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21 Disfagia psicogena: un caso clinico trattato con psicoterapia strategica Psychogenic dysphagia: a clinical case with strategic psychotherapy Lorena Calandi 1 Riassunto In questo lavoro è trattato un caso clinico di Disfagia psicogena con l’approccio strategico breve. Dopo una breve introduzione, che descrive la disfagia come un’alterazione qualitativa e quantitativa della deglutizione, esso prosegue con la definizione dei disturbi psicosomatici e la descrizione del percorso terapeutico effettuato. Il trattamento realizza importanti cambiamenti già con la riflessione intorno ai vantaggi secondari del comportamento sintomatico. Parole chiave Approccio strategico breve, disfagia, deglutizione, disfagia psicogena, disturbi psicosomatici Abstract In this work has treated a clinical case of psychogenic dysphagia with the strategic approach short. After a brief introduction, which describes dysphagia as a qualitative and quantitative swallowing, it continues with the definition of psychosomatic disorders and description of the course of treatment carried out. The treatment produces important changes already with reflection around the secondary benefits of symptomatic behavior. Keywords Strategic approach short, dysphagia, swallowing, psychogenic dysphagia, psychosomatic disorders Introduzione Per deglutizione s’intende l’abilità dell’individuo di convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste dall’esterno allo stomaco (Logemann,1995). Il termine disfagia, invece, indica un’alterazione qualitativa e quantitativa della deglutizione e quindi non configura una malattia con eziologia, patogenesi ed evoluzioni proprie, ma è un segno o sintomo di una patologia.

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Disfagia psicogena: un caso clinico trattato con psicoterapia

strategica

Psychogenic dysphagia: a clinical case with strategic

psychotherapy

Lorena Calandi

1

Riassunto

In questo lavoro è trattato un caso clinico di Disfagia psicogena con l’approccio

strategico breve. Dopo una breve introduzione, che descrive la disfagia come

un’alterazione qualitativa e quantitativa della deglutizione, esso prosegue con la

definizione dei disturbi psicosomatici e la descrizione del percorso terapeutico

effettuato. Il trattamento realizza importanti cambiamenti già con la riflessione intorno

ai vantaggi secondari del comportamento sintomatico.

Parole chiave Approccio strategico breve, disfagia, deglutizione, disfagia psicogena, disturbi

psicosomatici

Abstract

In this work has treated a clinical case of psychogenic dysphagia with the strategic

approach short. After a brief introduction, which describes dysphagia as a qualitative

and quantitative swallowing, it continues with the definition of psychosomatic disorders

and description of the course of treatment carried out. The treatment produces

important changes already with reflection around the secondary benefits of

symptomatic behavior.

Keywords

Strategic approach short, dysphagia, swallowing, psychogenic dysphagia,

psychosomatic disorders

Introduzione

Per deglutizione s’intende l’abilità dell’individuo di convogliare sostanze solide,

liquide, gassose o miste dall’esterno allo stomaco (Logemann,1995).

Il termine disfagia, invece, indica un’alterazione qualitativa e quantitativa della

deglutizione e quindi non configura una malattia con eziologia, patogenesi ed

evoluzioni proprie, ma è un segno o sintomo di una patologia.

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La deglutizione è un atto fisiologico articolato che consente la normale progressione del

cibo dal cavo orale allo stomaco e con il termine disfagia si definisce rappresenta

l’alterazione di questo processo.

La disfagia di conseguenza è una disfunzione anatomo-funzionale dell'apparato

digerente, consistente nella difficoltà a deglutire, ed al corretto transito del bolo nelle

vie digestive superiori. Esistono diverse tipologie nosografiche delle disfagie, a seconda

dell'eziologia, della localizzazione ed alla funzione svolta in questo processo.

Nel transito del bolo dall’esterno allo stomaco, le alterazioni possibili possono essere

divise in due grandi categorie:

disfagie oro-faringee che riguardano le prime tre fasi del processo di

deglutizione;

disfagie esofagee che riguardano l’ultima fase e sono correlate a patologie

esofagee e gastriche.

Si parla, invece, di disfagia psicogena, quando essa accade in assenza di ostacoli

obbiettivamente rilevabili al transito del bolo e non si riconoscono cause organiche,

anatomiche, e fisiopatologiche, ma è ricondotta a disturbi del comportamento

alimentare o altre psicopatologie.

La disfagia può riguardare cibi solidi, liquidi, semiliquidi, semisolidi, gassosi e può

essere persistente o saltuaria.

La disfagia ha una prevalenza nella popolazione generale riportata intorno al 3-5%

(Lindgren e Janzon, 1991). Tale numero aumenta fino al 16% nei soggetti oltre gli 85

anni (Bloem et al, 1990).

Un aspetto a cui è necessario prestare maggiore attenzione è quello legato alle

restrizioni sociali del paziente disfagico e alla conseguente compromissione della

qualità di vita (Gustafsson et al, 1992).

Di conseguenza, si tratta di un vero e proprio handicap: in quanto è sempre più chiara la

relazione tra disfagia e riduzione di attività psicologiche e sociali e il conseguente

peggioramento della qualità della vita come espressione di riduzione di autostima,

sicurezza, capacità lavorativa e svago (Ekberg et al, 2002).

Oltre a rappresentare un problema debilitante e costoso dal punto di vista sociale per

pazienti e familiari, la disfagia è causa di numerosi ricoveri ospedalieri, anche ripetuti

nel tempo (Martin-Harris, 1999).

La gestione della disfagia orofaringea è complessa e costosa, e richiede sia nella fase

diagnostica sia in quella terapeutica un’ampia rete di esperti, costituita da medici

specialisti e da altro personale sanitario.

Strutture anatomiche coinvolte e fasi

La deglutizione, come altre funzioni fisiologiche, dipende da una rete neuronale che

coinvolge molte strutture cerebrali: corteccia, aree sottocorticali, tronco cerebrale e

nervi cranici (V trigemino, VII facciale, IX glosso-faringeo, X vago, XI accessorio e

XII ipoglosso).

La deglutizione riflessa e volontaria è attivata dal giro precentrale e postcentrale, insula

e giro cingolato anteriore.

La funzione deglutitoria viene suddivisa in quattro fasi cronologicamente successive e

distinte, con riferimento alle regioni anatomiche via via interessate dal transito del bolo

alimentare (Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari, 2013).

Prima della deglutizione l’osso ioide, come postura preparatoria si sposta in posizione

di moderata elevazione; contemporaneamente si verifica l’arresto della “manipolazione”

intraorale e l’inibizione della respirazione, che si rendono indispensabili per

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l’incrociamento tra via aerea e digestiva, in modo da alternare funzione deglutitoria e

respiratoria.

La prime due fasi, dette preparatoria orale ed orale,durante le quali si verifica una

contrazione rapida dei muscoli che danno inizio ai movimenti della deglutizione, che

sono sotto il controllo della muscolatura volontaria.

Nella successiva fase faringea entrano in azione i muscoli faringei, la cui contrazione è

di tipo involontario.

L’ultima fase, anch’essa involontaria, si conclude a livello esofageo.

1. Fase preparatoria orale.

Nella fase preparatoria, sotto il controllo della volontà, il cibo e la saliva sono masticate

insieme per formare il bolo e la lingua lo comprime contro il palato duro.

2. Fase orale.

Nella fase orale la lingua opera un movimento verso l’alto ed indietro, in un’azione

sequenziale di compressione e srotolamento verso il palato, spingendo così il bolo in

faringe. A questo punto la deglutizione avverrà autonomamente in modo coordinato

con il riflesso peristaltico.

Normalmente l’atto deglutitorio si svolge al di fuori del controllo corticale ma la fase

orale si differenzia dalle altre perché consapevole e volontaria, ciò è di fondamentale

importanza ai fini terapeutici poiché consente nei casi di presenza di deglutizione

atipica, di correggere la prassia infantile in quella di tipo adulto, con esercizi volontari

di rieducazione neuromuscolare.

Nel trattare casi di deglutizione atipica l’attenzione è focalizzata sulle prime due fasi

che nella deglutizione adulta o matura sono caratterizzate da precisi e rigorosi schemi

motori che vedono coinvolti lingua, mandibola, labbra e guance.

3. Fase faringea.

La fase faringea ha una durata di circa 1, 2 sec. ed è caratterizzata da una serie di eventi

complessi che proteggono le vie aeree: quando il bolo si muove verso la faringe, il

respiro cessa momentaneamente e si innesca una rapida sequenza di eventi

biomeccanici .

4. Fase esofagea.

Quando il bolo passa in faringe, la stimolazione di questa per via riflessa, porta al

rilasciamento dello sfintere esofageo superiore che permette al bolo di entrare in

esofago dando inizio allo stadio esofageo. Si ha poi la contrazione di tale sfintere che si

richiude impedendo il reflusso alimentare esofago-faringeo.

Il movimento verso l’interno, con progressive contrazioni ad onda, delle pareti faringee,

mantiene una pressione continua, necessaria per spingere il bolo nello sfintere esofageo

superiore (SES) e permette al bolo di entrare in esofago. Il passaggio del bolo determina

la chiusura del SES, che blocca il suo riflusso in laringe, e l’attivazione delle onde

pressorie dell’esofago che lo incanalano verso lo stomaco. Mentre le strutture faringee

ed il respiro riprendono la configurazione “normale” il bolo, spinto dalle peristalsi

esofagee, oltrepassa lo sfintere esofageo inferiore (LES) e giunge nello stomaco.

Insieme, SES e LES, funzionano come protezione per prevenire sia che l’esofago si

riempia d’aria durante altre attività come il parlare, sia che venga invaso da materiale di

reflusso dallo stomaco.

In ogni emisfero cerebrale è presente un centro della deglutizione, capace di attivare

l’atto deglutitorio; tali centri sono interconnessi sia tra loro che con i centri cerebrali

responsabili del vomito, del respiro e della masticazione (ibidem).

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Trattamento

Il trattamento è eziologico, vale a dire volto a trattare la causa della sintomatologia. In

caso di restringimenti dell'esofago per anomalie della muscolatura intrinseca (acalasia),

il trattamento farmacologico sarà volto a favorire il rilassamento della muscolatura

tramite farmaci miorilassanti come i calcio-antagonisti, il trattamento chirurgico sarà

volto alla dilatazione dell'area coinvolta (generalmente lo sfintere esofageo inferiore)

tramite dilatazione pneumatica o miotomia. In caso di tumori comprimenti o infiltranti

l'esofago il trattamento si avvarrà di rimozione chirurgica del tumore con eventualmente

chemioterapia adiuvante. L'intervento sarà palliativo o curativo a seconda della

tipologia e dello stadio del tumore in questione. In corso di sindrome di Plummer-

Vinson sarà effettuata terapia marziale eventualmente supportata da chirurgia dilatativa.

Per disordini psicogeni il trattamento è psicologico o psichiatrico (Agenzia Regionale

per i Servizi Sanitari, 2013).

Disfagia psicogena

Se consideriamo l’organismo come un’unità integrata di ordine biopsicosociale, ogni

variazione introdotta in un livello va a modificare tutti gli altri livelli. In questa ottica la

malattia diventa l’espressione di un disagio, di un rifiuto, di un’incapacità che non è

solo del corpo ma di tutta la persona, un messaggio da decodificare, uno dei molteplici

modi con cui il nostro corpo può comunicare. Con le osservazioni di Freud (1892-1895)

sulle manifestazioni somatiche dell’isteria e della nevrosi di angoscia e i successivi

contributi di autori come Stekel e Groddek comincia a emergere una medicina

psicosomatica sebbene il termine sia stato introdotto già nel 1818 da Heinroth, la

nascita della disciplina può essere fatta coincidere con la pubblicazione delle opere di

H.F. Dunbar (1947) e F. G. Alexander (1950).

E’ necessaria una distinzione tra reazioni e disturbi psicosomatici. La prima è episodica,

momentanea, e scaturisce da un evento stimolo: per esempio nella tachicardia da

spavento c'è una evidente alterazione del battito cardiaco, che è solo momentanea e che

scompare non appena cessa la reazione emotiva. Nei disturbi psicosomatici esiste,

invece, un'alterazione duratura, funzionale oppure organica. Nel primo caso l'organo

non è leso, ma si comporta come se lo fosse. Nella malattia organica esiste, invece, una

lesione dell'organo in questione: per esempio l'ulcera gastro-duodenale, che oltre ai

sintomi comporta un reperto anatomo-patologico ben preciso ed individuabile.

Un’emozione o un affetto possono incidere sul soma fino a procurarne un disturbo

funzionale o una lesione.

Lipowski (1987) definisce la somatizzazione come la tendenza a provare e comunicare

il malessere psicologico sotto forma di sintomi fisici e a richiedere consulenza medica

per questi.

Kellner (1994), osservando le caratteristiche cliniche di pazienti affetti da disturbi

medici funzionali come la dispepsia non ulcerosa e la sindrome dell’intestino irritabile,

ha proposto di definire un individuo che somatizza come una persona in cui sono

raggruppati diversi sintomi psicofisiologici come quelli funzionali somatici e di

attivazione del sistema nervoso autonomo.

Si è resa ben presto necessaria la creazione di sistemi di classificazione che, pur

presentando numerosi limiti, rappresentano il tentativo di ordinare dati e fenomeni per

facilitarne la comunicazione fra diversi professionisti.

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Con il termine di “malattie psicosomatiche” si intende infatti quell’ampia fascia di

patologie che si situano tra lo psichico ed il corporeo, con produzione di una

sintomatologia di tipo funzionale ed organico in cui è possibile ravvisare una origine

psicologica (Berti Ceroni,Grava 2005). .

Con i ritmi di vita sempre più veloci ed il moltiplicarsi dei fattori di stress cui ognuno di

noi è sottoposto, le malattie psicosomatiche sono in netto aumento e rappresentano le

risposte estreme dell’organismo, inteso nella sua interezza di corpo-mente, di fronte a

problematiche di natura affettiva ed emotiva e sotto le pressioni di tipo socio-

ambientale.

Il meccanismo della “somatizzazione” può intendersi, come il meccanismo

trasformativo che, a partire da specifici contenuti psichici, opera un cambiamento a

livello somatico, attraverso il coinvolgimento dei sistemi endocrino ed immunitario.

Alcuni autori hanno poi ipotizzato in questo tipo di disturbi la presenza di una

iperattività dei sistemi nervosi parasimpatico e simpatico, iperstimolati e condotti ad un

disfunzione cronicizzata, unitamente ad alcuni altri fattori predisponenti tra i quali la

specifica personalità del soggetto, una particolare “vulnerabilità d’organo” (cioè il fatto

che ogni individuo può presentare un organo “bersaglio” sul quale vengono canalizzate

di preferenza le tensioni interne), ed un certo tipo di ambiente esterno.

Ad esempio, una aggressività intrapsichica eccessivamente inibita viene canalizzata, in

base a precedenti modalità di gestione di simili vissuti emotivi, attraverso un

meccanismo di somatizzazione producendo un sintomo organico (p.es. a livello di

apparato gastroenterico).

Ecco dunque che il corpo si incarica di comunicare la presenza di contenuti

“disturbanti” per la coscienza, attraverso il ricorso al sintomo fisico. In questo senso

specifico, la somatizzazione costituirebbe una sorta di “codificazione” di contenuti

affettivi ed emotivi non mentalizzabili (Albarella ,Racalbuto,2004).

La classificazione secondo il DSM IV-TR ed il DSM-5

La categoria dei “disturbi somatoformi” è entrata nella nosografiapsichiatrica nel 1980,

con la terza edizione del DSM (DSM-III, 1980) e comprende, nella versione del DSM-

IV-TR, 2000:

il Disturbo da Somatizzazione

il Disturbo Somatoforme Indifferenziato

il Disturbo di Conversione

il Disturbo Algico

l’Ipocondria

il Disturbo di Dismorfismo Corporeo

il Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato

Nella realtà, così come è possibile osservare nella pratica clinica quotidiana, i pazienti si

presentano con problematiche diverse e quadri più complessi, non omogenei fra loro.

Inoltre, il DSM, ponendosi come strumento diagnostico ateoretico e categoriale basato

sull’osservazione dei sintomi, esclude ogni ricerca sulle cause e introduce una visione

discontinua dei disturbi mentali.

Secondo la definizione del manuale, “la caratteristica comune dei Disturbi Somatoformi

è la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica generale, da

cui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica

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generale, dagli effetti diretti di una sostanza, o da un altro disturbo mentale (per es. il

Disturbo di Panico).

I sintomi devono causare significativo disagio o menomazione nel funzionamento

sociale, lavorativo, o in altre aree. A differenza dai Disturbi Fittizi e dalla Simulazione, i

sintomi fisici non sono intenzionali (cioè sotto il controllo della volontà)” (DSM IV-

TR,2001).

Nel manuale è prevista inoltre, come categoria a se stante, quella denominata “ Fattori

Psicologici che influenzano una condizione medica”.

Questi fattori psicologici o comportamentali “includono disturbi in asse I,disturbi in

asse II, sintomi psicologici o tratti di personalità che non soddisfano appieno i criteri per

un disturbo mentale specifico, comportamenti dannosi alla salute, o reazioni

fisiologiche a fattori stressanti ambientali o sociali”. Questa categoria, di grande

interesse per il medico,racchiude in parte le malattie psicosomatiche nella cui genesi ed

evoluzione sono implicati fattori psichici diversi (esperienze ed emozioni stressanti,

fattori di personalità predisponenti, condizioni conflittuali) che agiscono con vari

meccanismi.

Il termine disturbi somatoformi del Dsm-IV-Tr creava confusione ed è stato sostituito

da disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati nel Dsm-5.Nel Dsm-IV esisteva

un'ampia sovrapposizione delle diverse categorie e non vi era mancanza di chiarezza sui

reali confini diagnostici. L'attuale classificazione del Dsm-5 di conseguenza riduce il

numero totale dei disturbi e delle sottocategorie. precedenti criteri attribuivano

un'eccessiva importanza ai sintomi dal punto di vista medico (in Dsm-5, 2014). La

nuova classificazione definisce la diagnosi principale,disturbo da sintomi somatici,sulla

base di sintomi oggettivi (sintomi somatici che procurano disagio accompagnati da

pensieri,sentimenti e comportamenti anomali, e comportamenti adottati in risposta a tali

sintomi) (ibidem).Questa sezione del Dsm-5 comprende:

Il Disturbo da sintomi somatici

Il Disturbo da ansia di malattia

Il Disturbo di conversione (Disturbo da sintomi neurologici funzionali)

Fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche

Disturbo fittizio

Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati con altra specificazione

Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati senza specificazione

Caratteristiche del Disturbo

Il Disturbo di Conversione si caratterizza per le manifestazioni sintomatiche (sintomi

“pseudo-neurologici”) inerenti le funzioni motorie volontarie o sensitive senza la

presenza di una compromissione anatomica o organica che ne giustifichi la presenza:

I sintomi motori includono alterazioni della coordinazione e dell'equilibrio, paralisi

localizzate, perdita della voce (afonia), difficoltà di deglutire o sensazione di nodo alla

gola, ed infine ritenzione urinaria;

I sintomi sensitivi comprendono invece perdita della sensibilità tattile o del dolore,

cecità, sordità, allucinazioni, attacchi pseudo-epilettci o convulsioni.

L’assenza di una qualche compromissione organica lascia presagire che il quadro

sintomatico trae origine da una qualche ragione psicologica come un conflitto o una

condizione di stress; tale supposizione deve essere incoraggiata dalla correlazione

temporale tra le manifestazioni sintomatiche o il loro aggravamento e i fattori

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psicologici responsabili. In altre parole, le manifestazioni sintomatiche

rappresenterebbero la simbolizzazione di un conflitto interno.

Freud aveva già messo in evidenza tale meccanismo, soprattutto nei suoi studi

sull’isteria, a proposito del quale parlava di “vantaggi primari e secondari della

malattia” intendendo con “vantaggio primario” la risoluzione del conflitto psichico, e

quindi dell’angoscia, attraverso la sua simbolizzazione nella malattia mentre, per

“vantaggio secondario”, intendeva i vantaggi concreti che la condizione dell’esser

malato può garantire (deresponsabilizzazione, cura, affetto ecc.) (Bollas,2001).

Le manifestazioni sintomatiche di conversione sarebbero dunque una sorta di

compromesso tra lo psichico e il somatico. Gli individui affetti dal disturbo appaiono

particolarmente suggestionabili (non ha caso una delle prime cure sperimentate da

Charcot e da Freud per curare l’Isteria fu l’ipnosi) tanto che le manifestazioni

sintomatiche possono variare o dipendere da condizioni esterne come l’attenzione degli

altri. Un’altra caratteristica che può accompagnare il disturbo è la belle indifference”,

ovvero un atteggiamento distaccato, quasi indifferente, che accompagna le

manifestazioni sintomatiche (paralisi, cecità, afonia, sordità ecc.) dell’individuo (Ferro,

Riefolo2006).

Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato (come nei Disturbi

Fittizi o nella Simulazione).

Il Dsm-IV-Tr (2001) sostiene che al Disturbo di Conversione si possono accompagnare

Disturbi Dissociativi, il Disturbo Depressivo Maggiore e il Disturbo Istrionico,

Antisociale, Borderline e Dipendente di Personalità.

A seconda del tipo di sintomo o deficit, si può specificare:

Con Sintomi o Deficit Motori

Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni

Con Sintomi o Deficit Sensitivi

Con Sintomatologia Mista

Il Dsm-5 (2014), invece, specifica i seguenti sintomi:

Con debolezza o paralisi

Con movimento anomalo (es. tremore, movimenti distonici, mioclono, disturbi

della deambulazione);

Con sintomi riguardanti la deglutizione

Con sintomi riguardanti l'eloquio (es. disfonia,biascicamento);

Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni

Con anestesia o perdita di sensibilità

Con sintomi sensoriali specifici (problemi visivi,olfattivi o uditivi)

con sintomi misti

Inoltre si tende a specificare se si tratta di episodio acuto (i sintomi sono presenti per

meno di 6 mesi) o persistente (i sintomi si presentano per 6 mesi o più) e se vi è o meno

un fattore psicologico stressante.

In fase diagnostica si utilizzano alternativamente le definizioni di "funzionale"

(riferendosi al funzionamento anomalo del sistema nervoso centrale) o

"psicogeno"(riferendosi ad un'eziologia presunta tale) (ibidem).

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Caso clinico: Il nodo alla gola

Viviana, 34 anni, vive in provincia di Enna ed è impiegata. E’ sposata con Giuseppe da

7 anni dopo un lungo fidanzamento, ed è mamma di un bambino di quasi 3 anni.

Viviana è una bella ragazza, esile con gli occhi azzurri. Si presenta allo studio

accompagnata dal marito.

La paziente esordisce raccontando come è venuta a conoscenza dell’approccio

strategico che ritiene adeguato per la risoluzione del suo problema. Dopo diversi

tentativi di risoluzione intrapresi, farmacologici e psicoterapici risultati

fallimentari,riferisce che attualmente il disturbo si è accentuato "…il mio medico….lo

scorso anno è stato…mi indirizzò da uno psicoterapeuta…sicuramente un ragazzo

bravissimo…e tutto quanto….però poi….alla fine…non ho….non ho continuato questa

psicoterapia…ci dovevo andare diverse volte la settimana…naturalmente…dovevo fare

una cura….doveva capire le mie…problematiche ,naturalmente….non….e niente….poi

un pochettino mi….niente non lo so….non sono stata neanche incoraggiata…non lo so

manco io…come….cosa è….l’ho presa così…niente poi….finì così….non l’ho

fatto….ora praticamente poi ultimamente ho questo mio disturbo…accentuato".

Il terapeuta tenta di indagare e fare una definizione del problema di Viviana "..io ho un

problema….che non so a cosa è dovuto….non riesco ad ingoiare….ero già sposata….mi

ero sposata…ed ho avuto questo disturbo che non capivo cosa fosse…ed un po’ mi sono

spaventata...perchè mi veniva di non respirare…ho fatto una visita otorino-laringoiatra

….e…niente….questa visita fatta un po’ così…perché…non sono riuscita a farmi fare la

gastroscopia…sempre dovuto a questa mia ansia…un esame dal naso…un tubicino che

mise nel naso ed andò un poco nella gola una cura che dovevo prendere una bustina

anti-acidodopo che pranzavo…che rilassano …delle goccine per rilassare i muscoli….

Mi diede 5 goccine di Lexotan la mattina e 5 il pomeriggio…ed io l’ho fatto… queste 5

goccine di Lexotan e poi altre 5….poi quando io ci sono andata nuovamente da

lui…sono ritornata e dico….dottore…io non mi sento bene…dico….io penso di essere

tranquilla con la testa…penso….non ne ho depressione…io non mi sento che c’ho la

depressione".

Secondo l’approccio strategico il terapeuta, sin dal primo incontro con il paziente non si

sofferma sul suo passato ma valuta e prende in considerazione alcuni aspetti

fondamentali (Nardone,Watzlawick,1997):

cosa avviene nelle relazioni che il soggetto crea con se stesso, con il mondo e

con gli altri;

come il problema che viene presentato sia “funzionale” all’interno di queste

interazioni; le tentate soluzioni che il soggetto ha cercato ed azionato per

risolvere la sua difficoltà e che, spesso, risultano essere il “vero” problema;

come è possibile cambiare questa situazione di disagio nel modo più facile e

veloce possibile.

Si tratta di enunciare il problema nei termini più concreti possibili, identificando quale

sia il sistema interattivo disfunzionale (i 3 sistemi interattivi: l’individuo in relazione

con sé stesso, con gli altri, con il mondo) che lo mantiene.

Una chiara definizione del problema, inoltre, permette di evitare di lavorare su pseudo-

problemi (Haley,1976);

Il terapeuta mira a definire il problema della paziente cercando di contestualizzarlo

("non riuscivo ad ingoiare…eh…..praticamente….allora non ce l’ho avuto

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fortissimo….ci sono stati periodi in cui sono stata tranquilla…voglio dire…da un po’ di

tempo…l’estate….l’estate del….non questa estate che …..l’estate scorsa

diciamo...Giulietto era più piccolino….poteva avere un annetto …il primo anno che

siamo andati a mare…e mi ricordo che eravamo a cena…stavamo mangiando del

pesce ed ho avuto la sensazione come se mi fossi ingoiata una lisca....Giulio stava

dormendo…noi stavamo cenando…ed io ho avuto questa cosa…ho detto…mamma mia

Giuseppe…mi sono ingoiata una lisca…ed ho avuto la sensazione che…e lui mi ha

risposto….è la tua impressione… stiamo mangiando….tu ti sei presa....ed ho avuto la

sensazione che ho ingoiato….il gambero non ha quelle…non mi viene come si

chiamano…quelle antennine…non lische…mi sono impressionata che no…stavo

morendo….mi dicevo ora muoio così…come faccio…e…e sono andata in ospedale… gli

dissi….senta mi deve controllare…io ho questa sensazione che ho questo corpo

estraneo…mi fece aprire la gola e mi disse…signora non ha niente…prenda queste

goccine…. io mi tranquillizzai…e ce ne siamo tornati da questo villaggio che eravamo

e piano piano mi sono tranquillizzata ed è passato...da allora….praticamente…io mi

spaventavo a….tutte le cose…tutto….e dicevo mamma…e se incontro…tipo mentre

mangio…qualcosa…io muoio….gli dissi…dottore…io ultimamente penso che ho

qualcosa…qualcosa che comunque dico…non lo so….cosa potrebbe essere…chi sacciu

chi posso avere….io non riesco più a mangiare…mangio tipo gli

omogeneizzati…mangio la pastina…non riesco a fare una vita normale…perché

comunque…avendo un lavoro…io parto la mattina prestissimo…cioè….sono….non

sono costretta…mmm…comunque la mia giornata si svolge anche fuori…ed io

dico….con questa cosa che ho…che mi spavento a mangiare…dico….devo tornare a

casa a mangiare per evitare…prima solitamente mi capitava che il pranzo lo facevo

pure con i colleghi …il panino…la qualsiasi cosa…ora tipo io evito di fare questa

cosa…perché dico…se mi viene di soffocarmi dico…mamma mia che brutta figura che

dovrò fare con gli altri….ed allora evito….ed arrivo a queste conclusioni….allora il

dottore mi disse…una volta che tu mi stai dicendo tutte queste cose…è un pochino più

pesantuccia come cosa…se tu devi mangiare pastina…non posso ingoiare la

carne…mangiare l’omogenizzato….mi grattugio la mela…questa situazione…un

pochettino dobbiamo essere …..con un lavoretto un po’ più fortino…sai che

rilassa….poi un po’ di tempo fa….lui mi indirizzo…questo mio medico….lo scorso anno

è stato…mi indirizzò da uno psicoterapeuta...forte…più…come mio marito….che mi

dice…ma che dici…ma che hai….non hai niente……non mi crede……tipo….non che

non mi crede….non glielo so spiegare dottore…ad esempio lui non mi capisce").

Il terapeuta indaga il sistema reattivo-percettivo della paziente, individuando una paura

dei cambiamenti e delle novità determinandole notevole ansia.

Il principio è che ogni persona ha un proprio sistema di percezione della realtà e, di

conseguenza, un proprio modo di reagire ad essa. L'individuazione del sistema

percettivo-reattivo del paziente è uno dei primi passi che viene compiuto in terapia.

Il sistema utilizzato dalla paziente è di tipo cenestesico. Il nostro sistema percettivo

reattivo funziona come un filtro che seleziona i significati da dare alle cose, come una

cornice che inquadra un fenomeno interpretandolo in un senso o nell’altro, secondo i

propri criteri (emotivi, motivazionali, logici, valoriali e secondo gli stati della mente). Il

sistema percettivo-reattivo individuale è frutto dell’interazione con l’ambiente. Noi

siamo in contatto col resto del mondo per mezzo dei nostri cinque sensi, connessi con la

nostra sensorialità interiore.. ("ora invece hanno un pochettino rimodulato tutte le

cose…..io sono stata spostata in un altro ufficio… dopo quell’evento che ho diciamo

avuto un pò di anni fà… dovuto anche ad una situazione di stress che

vivevo…..perchè…che ne so…per me i cambiamenti …le cose nuove anziché essere

presi in modo positivo…io…li prendo sempre in modo negativo…allora io…questa

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cosa che mi sono sposata…che me ne dovevo andare a vivere in un altro paesino…che

non era quello in cui abitavo…in un paesino vicinissimo….però…questa cosa del

cambiamento mi ha un po’…un attimino…scosso…non ero molto….e ho avuto questo

evento…che poi però è finito…si…mmm….quando mi sono sposata…io penso di essere

tranquilla con la testa…penso….non ne ho depressione…io non mi sento che c’ho la

depressione….io ce l’ho davvero sto fastidio se mi mangio una cosa…mi resta

qua…mi resta qua….un corpo estraneo….ogni cosa che mi mangio…mamma

mia…dico….mi devo riprendere io stessa…mi sto facendo una cura..dico..per la

depressione…tipo che io mi volevo fare forza … dico…io devo mangiare…se no dico

muoio se non mangio…queste cose mi venivano per la testa…dico….la devo

finire….che cosa sto facendo dico…niente...un periodo….perchè poi ho avuto Giulio

….magari ero…..60 Kg ci pesavo…sicuro….si anche di più di 60 Kg…ero bella in

carne…si…ad esempio quest’estate …siamo andati al mare…siamo tornati

naturalmente a mare…e tipo io….già iniziavo ad essere…avere dei disturbi più

forti…tipo che ne so….io mi ricordo che mio marito comprava il pane…le baguette…ed

io tipo…non ne cercavo pane…o cerco il pane quello morbido…o comunque mi mangio

la mollica").

Il terapeuta rende concreto il problema evitando generalizzazioni,preconcetti ed auto-

inganni ed analizza le “tentate soluzioni” che la paziente mette in atto nell’assunzione di

cibo,indagando nella sua storia personale l’eventuale presenza di disordini alimentari

pregressi. Si tenta di indagare i gusti alimentari di Viviana sia prima che dopo

l'insorgenza del problema (" tutto vorrei mangiare…no no…allora….mi piacerebbe

mangiarmi tutte cose…e non me le posso mangiare….e mi dispero…si…si…ora mangio

cose che non hanno gusto secondo me…che ne so….ad esempio…quando stavo

bene…non mi veniva di mangiare tipo le fave…bollite e fatte a purè…non me le

mangiavo per dire…a volte capitava che mia mamma faceva ste cose così….e gli dicevo

mamma che è….e lei…dai mangiatele…lo sai che sono sostanziose…io ad esempio tipo

mangio…non mangio più la carne perché non la posso ingoiare e mi mangio gli

omogeneizzati oppure ad esempio tipo…ste fave così…per essere più

sostanziose…perché poi penso posso morire…e mi mangio sti passati a purè

…parmiggiano ed olio…a volte la saltavo prima….o una cosa qualsiasi…tipo

cornetti…mangiavo tutto….io sono un tipo che mi piace mangiare…ora prima che vado

a lavoro…mangio a casa…perché dico poi non posso mangiare fuori…allora la mattina

mi alterno…mi mangio a volte il latte …però siccome ho il sospetto di reflusso ed il

latte può fare male…sto latte o forse mi accentua comunque sta patologia…anche

questo…può essere una forma di reflusso…e quindi a volte mi mangio il latte con i

biscotti..plasmon…perché si sciolgono subito e non mi possono dare fastidio…e quindi

mi sto mangiando i biscotti a casa col latte…e a volte lo alterno con l’orzo…alcolici

niente…tipo domenica…ho avuto invitati a casa mia…ed ho fatto con tanto piacere….le

lasagne…per dire…no…le ho mangiate…ma mi sono sentita male…stavo

soffocando…stavo morendo…sono dovuta andare nell’altra stanza…senza fare capire

niente perché poi mi vergogno...no….no…dicevo mamma sto morendo….dove se n’è

andato qua di traverso…si…io sento che mi resta qua…e a volte….quando lo

ingoio….io mi rendo conto che devo mangiare…se io non mangio dico muoio").

Il terapeuta analizza le abitudini alimentari familiari ed emerge che anche il fratello

della paziente ha il suo stesso problema,anche se lei stessa dice che non è grave come il

suo problema "allora mio fratello praticamente…ultimamente…ha questa patologia

come la mia…l’anno scorso gli venne per la prima volta…e non capì

cos’era…mmm….lui mi dice che ci brucia tutta la gola…mi dice che non

riesce….però….mi dice che non riesce a deglutire….dice che non riesce a….però

rispetto a me io lo vedo un pochettino meglio".

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Viviana racconta che nella sua storia familiare non ci sono storie di disordini

alimentari,sebbene tutti in famiglia avessero una corporatura esile.

Ultima di tre fratelli, Viviana ha conosciuto il marito Giuseppe, di 14 anni più grande,

all’età di 19 anni mentre studiava. Descrive la sua vita sentimentale per certi versi

appagante, insoddisfacente per altri. Oggi la sua vita appare improntata inevitabilmente

al ruolo di madre e moglie.

Dopo la maternità ha ripreso a lavorare in un paese a circa 2 ore e mezza da casa propria

che l’ha costretta a portare il bambino in un asilo nido comunale, in quanto il marito è

ingegnere nei cantieri. Inoltre, la difficoltà nella gestione dei ritmi familiari l’hanno

costretta per un breve periodo a tornare a vivere nella casa paterna col marito ed il

figlio. Il terapeuta cerca di far notare a Viviana un punto di vista diverso della sua vita

quotidiana attraverso la tecnica strategica della ristrutturazione. ("ma tu non hai una vita

normale…questo è un buon motivo per non affrontare il vero problema che è avere una

vita normale per Viviana… vita no stop…questa è .tragica…eh….dovremmo lavorare

su questo anche noi……dovremmo trovare il modo di dare a Viviana tanti stop…cioè

se uno sta in una situazione difficile …come la sua adesso…dovremmo intervenire

anche sulla situazione…perché se io mi sento bella…forte…ed in grado di

affrontare…situazioni difficili ….perchè questa vita no stop….ho come l’impressione

che sia una vita senza prospettive…o sbaglio? uno dice…mi faccio un periodo con mia

mamma….un super periodo finchè mio figlio diventa più grandicello…va all’asilo e poi

mi metto a vivere per conto mio...lo so….. eh….ce lo possiamo tenere anche per

un’altra volta…perché non credo sia l’ultima volta che ci incontreremo…anche se…lei

è abituata ad andare dallo psicoterapeuta una volta…e poi non ci va più…uhm…questa

è la vita di Viviana eh……solo la vita di Giulio…la vita di Giuseppe…la vita di

mamma…la vita di….ma di Viviana…solo parlando della gola di Viviana….ma

Viviana c’ha i capelli…gli occhi…il naso…la bocca…le spalle…fino ai piedi….staremo

un quarto d’ora per dire che Viviana non è solo la gola di Viviana…ma cosa fa lei per

tutto….oltre alla gola….benissimo lei c’ha male qui…e mi occupo della gola….ma chi

si occupa di Viviana..no….ma cosa fa per Viviana mi chiedo…a 34 anni ….cioè mi

chiedo….vita no stop….ottima mamma…moglie abbastanza ….voglio dire senza nessun

problema…figlia….eh…..ma Viviana dove sta….lei non si è nemmeno

permessa….voglio dire prima di 19 anni era una ragazzetta…una ragazzina…non ha

mai avuto una vita per Viviana ….quanti viaggi da sola fa?ma quando lei mi parla di

vita no stop…ho la sensazione che lei non c’ha un futuro…un’immagine…un

futuro….questa vita no stop non finirà tra un mese…due mesi…questa vita no

stop….Viviana…non se l’immagina nemmeno…come potrebbe finire …cambiare….a

meno che….per grandi rivoluzioni….non lavoro… amiche ce ne ha?quale sarebbe una

vita normale per Viviana? Che farebbe Viviana se non avrebbe questo problema? Cosa

cambierebbe nella vita di Viviana quando non avrà più questo problema?......non riesci

nemmeno ad immaginartela tu una vita normale…o si? Te lo riesci ad immaginare?

eh…cosa ci dobbiamo fare con questa vita…Viviana non è Giuseppe…può essere un

po’ Giulio…sicuramente….ma….tutta questa vita di Viviana deve essere indirizzata

verso una gratificazione…un miglioramento della qualità della vita di Viviana….io

non so se le persone che ti stanno vicino giocano a favore di questo o giocano

contro..non lo so…ma non è questa….la troveremo la soluzione…ma sarà una

soluzione anche non facile da….raggiungere…perché sa questi sintomi sembrano cose

molto…..molto come dire circoscritti…eh si…è vero….ho come l’impressione che sei

una…compressa….non so dirti come…e poi chiaramente viene fuori la rabbia…viene

fuori il mal di gola….viene fuori così….viene fuori").

Il punto centrale di questa tecnica è che se il problema può essere visto e vissuto in

maniera alternativa, allora può essere ridotto, eliminato dato che la sua esistenza è

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intimamente associata con la prospettiva di coloro i quali sono coinvolti. L’effettiva

ristrutturazione della situazione non dipende unicamente dalla reale possibilità di

alterare la stessa. Infatti, in alcuni casi, la situazione non potrebbe neanche essere

alterata ma, finché essa è percepita diversamente, anche le sue conseguenze potranno

essere diverse (Gulotta, Petruccelli, 2005). La ristrutturazione è un aiuto alla persona

per riorganizzare il suo modo di capire una situazione. Nel ristrutturare un’idea o

concezione, non si mette in discussione l’idea o la concezione ma si propongono diversi

percorsi logici e diverse prospettive di approccio a tali idee e concezioni. Non si cambia

il contenuto del quadro ma solo la cornice.

Nel corso della seduta il terapeuta utilizza una serie di interventi che mirano a proporre

diverse alternative alla paziente attraverso l’uso dei paradossi. Viviana viene messa di

fronte al cambiamento avvenuto nella sua vita.

La psicoterapia breve strategica considera la “realtà” il prodotto di una costruzione

personale (Erickson,1982). La pratica clinica mira a sostituire una “realtà”sgradita e

limitante, ossia problematica, con una più soddisfacente. Ciò comunque nella

consapevolezza che la nuova “realtà” non può essere ritenuta più vera di quella

precedente.

Nelle parole di Watzlawick et al (1967), “la psicoterapia si occupa della ristrutturazione

della visione del mondo del paziente. Nell'analisi della costruzione del problema,

particolare attenzione viene rivolta al sistema percettivo-reattivo del paziente: le

specifiche modalità di attribuzione di senso agli eventi e le relative strategie

comportamentali messe abitualmente in atto dalle persone costituiscono una solida

impalcatura a mantenimento del disagio psichico. Il terapeuta, pertanto, interviene con

la finalità di perturbare, in modo strategico, il sistema percettivo-reattivo del paziente”.

Un intervento mirato alla ristrutturazione che consiste nell’indurre il paziente ad una

ricodificazione d’immagini e percezioni della realtà, mediante lo spostamento del punto

di osservazione. Se il problema può essere visto e vissuto in maniera alternativa, allora

forse può essere affrontato e gestito in maniera efficace.

L’utilizzo della persuasione in psicoterapia strategica comporta un atto che comporta

sempre una scelta, un esercizio di libera volontà del paziente, significa, cioè, indurre un

cambiamento dell'opinione altrui solo per mezzo di un trasferimento di idee, un

passaggio di puri contenuti mentali.

Una comunicazione strategica è caratterizzata dal suo essere sempre orientata in

direzione di un obiettivo da raggiungere. L’interlocutore, lascia intravedere la possibilità

che per un’altra via, attuando un altro comportamento, si potranno raggiungere gli stessi

obbiettivi o gli stessi benefici, salvaguardando i propri valori. Il solo fatto che si possa

ammettere l’esistenza di altre possibilità distoglie la persona dalla sua rigidità ed apre

nuove prospettive.

L’obiettivo generale che Viviana si pone è riuscire a non avvertire più la sensazione di

morire e soffocare ogni qualvolta mangia qualcosa e riprendere la sua vita normalmente

"ma posso guarire da sta cosa…o no?poi penso porca puttana ma proprio a me mi

doveva venire….meglio un’altra cosa…ma non questo….che non mi permette di stare

serena….non mi permette di condurre una vita normale…io voglio

iniziare…seriamente".

Il terapeuta a questo punto spiega alla paziente che il suo ruolo sarà direttivo e che lei

dovrà fare ciò che lui le dirà. Le prescrizioni di comportamento,utilizzate nel modello

strategico,permettono al paziente di fargli sperimentare azioni concrete di vita che

rompono il meccanismo di azioni,retroazioni e tentate soluzioni che mantengono il

problema.

Il terapeuta, quindi, assegna a Viviana due prescrizioni comportamentali dirette:

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Non parlare del suo problema con la madre ed il marito e di conseguenza non

condividere i pasti con loro (Congiura del silenzio);

Fare una lista delle sue paure;

Si parte dalla convinzione che il cambiamento passi attraverso esperienze concrete, e la

prescrizione di sequenze comportamentali, da eseguire tra una seduta e l’altra, ha il fine

di far vivere quelle esperienze individuate come portatrici di cambiamento (Verrastro,

V., 2004). Le prescrizioni dirette sono quel tipo di indicazioni chiare di azioni da

eseguire tese alla risoluzione del problema presentato, o al raggiungimento di uno dei

progressivi obiettivi del cambiamento. E’ utile nei casi di persone molto collaborative e

che hanno una scarsa resistenza al cambiamento, alle quali è sufficiente dare la chiave

di risoluzione del problema, prescrivendo loro come comportarsi di fronte alla

situazione problematica in maniera da disinnescare i meccanismi che la mantengono

operante. Si sposta così l’attenzione dal singolo individuo al sistema, dall’intrapsichico

al relazionale. Particolare interesse è rivolto al modo in cui ognuno comunica e si

relaziona non solo con se stesso, ma anche con gli altri e con il mondo.

Se è vero che per migliorare bisogna cambiare, questo è possibile solo “agendo”. Quello

che diventa prioritario è come fare, quali mosse attuare, quale strada percorrere per

arrivare all’obiettivo stabilito, piuttosto che soffermarsi semplicemente sulle cause di un

problema o sul perché della soluzione.

Quindi, niente analisi del profondo ma analisi delle attuali relazioni che il paziente

instaura e immediata modificazione del comportamento disfunzionale. Da qui deriva

l’importanza dello studio e della conoscenza di quanto riguarda la vita quotidiana del

paziente.

Secondo il modello strategico non è necessario che il paziente raggiunga l’insight (cioè

la consapevolezza delle cause che in passato hanno determinato un disturbo presente),

in quanto i problemi possono essere risolti mediante tattiche mirate a rompere il sistema

disfunzionale in cui è caduto (Petruccelli,Verrastro 2012).

Al secondo incontro,Viviana appare più rilassata. Racconta che nel periodo trascorso tra

una seduta e l’altra, è cambiato il suo modo di approcciarsi al cibo. Un giorno, infatti,

ha deciso di provare a mangiare un panino croccante, dopo che per molto tempo non lo

assaggiava ho visto in questo periodo che…allora c’è stato un periodo che non sono

riuscita a mangiare quasi nulla…mentre ultimamente…sono riuscita a mangiare

tipo…mezzo….mi sono detta…un po’ di giorni fa…non sono riuscita a trovare un

panino morbido…ed allora mi sono detta…perché non provare quello giusto…che

sempre questo coso morbido…che poi ultimamente…questo coso morbido…mi dava

ancora più fastidio…tipo che quella mollica diventava una poltiglia…mi dava

fastidio…e quindi mi sono detta…quel giorno non c’era…ora mi prendo quello giusto

croccante che a me piaceva questo prima…e l’ho…prova...comprato…poi sono

arrivata a casa e mamma mia come me lo mangio questo panino…e se poi mi sento

male…pensavo..come devo fare non lo so…posso morire? Soffoco….Non

respiro…come faccio…quindi mi sono detta…mamma mia…chi se ne importa…ma se

gli altri non si soffocano…io non mi devo soffocare neanche se non ho niente….e quindi

mi sono mangiata il panino…mi sono messa l’acqua vicino…e mi sono detta…ma….se

mi soffoco…soffoco….me lo devo mangiare sto panino….e piano piano….l’ho

masticato tantissimo…e poi l’ho deglutito…c'ho impiegato un po’ di tempo…perché

l’ho fatto a pezzettini piccolini…perché era bello croccante…mi veniva di addentarlo

un po’ di più…c’ho messo il prosciutto dentro…il toast…l’altro giorno mi sono

mangiata il toast con la sottiletta e prosciutto…l’ho tostato non tantissimo…e mi sono

resa conto che ultimamente…se sono troppo morbidi…mi danno fastidio…tipo che

questa mollica diventa….un tappo").

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Il terapeuta cerca di far sì che la paziente possa prospettarsi in una vita senza il sintomo

che possa rappresentare allo stesso tempo la definizione di obiettivi specifici concreti da

raggiungere per stare bene attraverso l’uso della tecnica del Miracolo ("ogni giorno è un

giorno nuovo…se tu dovessi immaginarti… una vita… tra virgolette…felice….senza

tutte queste….cose che ti danno fastidio…come te la immagineresti?che cosa faresti di

diverso da quello che fai?").

La miracle question ha lo scopo di supportare il paziente nella definizione di un

obiettivo terapeutico chiaro e realistico, e di individuare quali risorse egli può utilizzare

per raggiungerlo (Verrastro,V.2004). La domanda del miracolo crea un clima di fiducia,

stimola la persona a rappresentarsi possibili soluzioni ancora intentate e rileva il suo

atteggiamento verso un possibile cambiamento (ibidem).

Il terapeuta indaga sulla vita matrimoniale di Viviana e sul suo livello di soddisfazione

"ma quando ti….deprimi….ti scoraggi….è solo per il cibo?o ti vengono in mente altre

cose che secondo te non c’entrano nulla…la tua vita…è una vita felice

indipendentemente da questo….o vorresti essere più felice…io vorrei capire se la tua

vita…quanto ti soddisfa…quando dici non felicissima…quali sono i pensieri…che

strillano…le cose che non vanno…le cose pesanti".

Viviana affronta le difficoltà insite nel suo rapporto coniugale dopo il matrimonio.

Si descrive diversa caratterialmente dal marito. Dice di esprimere le sue emozioni con

parole ed abbracci a differenza di lui. Il terapeuta cerca di fargli capire come sia

inevitabile con la nascita di Giulio perdere di vista la relazione di coppia, ma cerca di

farle notare come sia necessario trovare del tempo da condividere assieme per il

benessere del proprio figlio.

Il terapeuta ristruttura il suo sistema percettivo-rappresentativo cercando far capire alla

paziente i vari scenari possibili di un rapporto di coppia attraverso l’offerta di

alternative peggiori. Questa tecnica è utilizzata per far eseguire al soggetto i

suggerimenti del terapeuta lasciandogli un margine di autonomia nel prendere decisioni

e nel trovare nuovi modelli di comportamento (Haley,1976). Il terapeuta utilizza la

tecnica della concretizzazione. Dinnanzi a problematiche formulate in maniera generica,

lo scopo della tecnica risulta nell'accumulazione di un numero sufficiente di esempi

concreti che permettono di incominciare a scorgere i contorni del problema, la maniera

in cui il paziente lo percepisce, i ruoli assunti, le diagnosi inespresse ("ma se voi non

avete nessuna intimità…cioè non vi fate mai….una passeggiata insieme voi due…non vi

fate mai un week end insieme voi due…non vi fate mai…una cenetta romantica…voi

due….non fate niente…scusami…voi due…..come coppia…voi c’avete la famiglia e vi

siete incaprettati…in questa famiglia…che per altro è un famiglia un po’

allargata…con i suoceri…i genitori…che lo fanno solo per

piacere…naturalmente…però…voi due vi siete persi….non so se siete mai stati voi

due…forse quando eravate fidanzatini…ne sono convinto….ma secondo te…c’ anche il

problema che tu non sai che fare in una storia così?...scusa la volgarità…se tuo marito

non ti cerca…o ti cerca…tre o quattro volte dopo che è nato tuo figlio…sono cambiate

le cose così quando ti sei sposata o quando è nato tuo figlio…quand’è che hai notato un

calo...anche perché se vi perdete voi…e questo è il modo migliore di

perdersi…facciamo il solito figlio quando uno non vuole separarsi…ma secondo te…lui

c’ha altri modi di avere…una vita sessuale…non lo so…c’ha altre persone…non

t’incuriosisce saperlo?non lo so…ci sono donne che quando vedono che il proprio

marito non le cerca più…vanno in paranoia…cominciano a controllare i

telefonini…non lo so…le peggio cose…ma non è che si sistema perché tu dici così…si

sistema se cominci a rendertene conto se ci sta qualcosa che non va…da questo punto

di vista…e che forse molto del tuo malessere è legato a quello…tu ti aspettavi un

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matrimonio così….no…non ti aspettavi un matrimonio così…a parte proprio l’atto

sessuale…questo non ti stringe la mano…non ti fa una carezza…e quando queste

fantasie diventeranno più forti…a quel punto che cosa farà una signora che si sente

che il marito….lasciamo perdere…..cominci a stare male…e secondo me…hai iniziato a

starci male….e cercherà aiuto…e tu già lo stai facendo…naturalmente per un problema

diverso….ma chi lo sa se poi i problemi sono esattamente così staccati dentro di

noi…che poi uno sta male ed un po’ quello..un po’ questo…un po’…un’altra cosa che

si punta sul mangiare e poi non mangia più").

Viviana inizia a scorgere nella sua vita degli aspetti che prima non aveva mai notato

"non lo so…certo è un accumulo di tante cose la mia…al punto che….da capire ha

anche un’intensità la vita….comunque viaggio…devo svolgere un lavoro….un impegno

della casa….pulizie della casa...un po’ di distacco tra noi due c’è".

Se il problema può essere visto e vissuto in maniera alternativa ("si…ma il Buco

affettivo…c’è…poi c’abbiamo pure il problema col cibo…di ingoiare…lo stress

lavorativo….mia madre sempre in mezzo….per dire…però ci sta…"), allora può essere

ridotto o eliminato, dal momento che la sua esistenza è intimamente associata con la

prospettiva di chi è coinvolto.

Il terapeuta rimanda a Viviana i cambiamenti ottenuti fino a quel momento in vista del

raggiungimento dell’obiettivo prefissato "vabbene…signora…io sono molto contento

dei tuoi progressi!". Inoltre, cerca di distogliere l’attenzione della paziente dal sintomo,

su cui era incentrata tutta la sua vita, attraverso la tecnica del Seminare concetti, che

permette a Viviana di prendere consapevolezza del nucleo conflittuale che si cela dietro

al sintomo organico, mentalizzando le emozioni nascoste ed attribuendogli un

significato.

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1 Istituto per lo Studio delle Psicoterapie