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Guida lettere italiane Ugo Frasca Diritto e Potere Università, Questione Morale e Politica

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Progetto culturale della

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Ugo Frasca

Diritto e PotereUniversità, Questione Morale e Politica

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2012 © Alfredo Guida EditoreNapoli – Via Port’Alba, 19www.guidaeditori.itelites@guida. it

Il sistema di qualità della casa editriceè certificato ISO 9001/2000

ISBN 978-88-6666-109-2

L’Editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzionenon superiore al 15% del presente volume.Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’Associazione Italiana per i Diritti diRiproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO).Corso di Porta Romana, 108 – 20122 Milano – [email protected]

Sezione di Saggistica

In copertina: Faust tentato da Mefistofele, particolare del monumento dedi-cato a Johann Wolfgang von Goethe, per gentile concessione della Dire-zione dell’Unità Organizzativa “Ville e Parchi Storici” del Comune di Roma.

Lettere ItalianePeriodico quindicinalegiugno 2012

Direttore responsabile: Anna Maria FierroRegistrazione Tribunale di Napoli n. 5097 del 7.1.2000

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INDICE

Il bel Paese... 9

Un girone dantesco 23

Giornalismo, magistratura e comunismo 33

La menzogna 51

Napoli, e poi muori! 63

Fonti 101

Indice dei nomi 107

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Agli uomini liberi

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Il bel Paese...

Il mio percorso universitario nacque oltre ventiseianni orsono. Non avrei mai immaginato che esso potes-se divenire l’occasione per un rapporto più immediatocon alcuni apparati dello Stato e un allarmante motivodi riflessione, che contribuisce a indicare la debolezza isti-tuzionale del nostro assetto normativo, per il migliora-mento del quale è auspicabile una più intima relazionetra Teologia e Diritto. Occorre cioè che, in fondo allapropria coscienza, si viva il conflitto tra il bene e il male,cercando di attribuire un valore ai propri atti, anche intermini di trascendenza, mentre oggi il Potere e le suepiù bieche manifestazioni formali ne coprono il dominionefasto, accentuato dal ricorso alla menzogna, se neces-sario. I documenti pubblici e le memorie personali, at-testanti dunque la scientificità del presente lavoro, nonintendono contrassegnare soltanto la gravità del contestoaccademico, alimentata da un forte corporativismo, chelega in un abbraccio “amichevole” ma fondamentalmen-te tra compari molti dei suoi esponenti, bensì quella cheincombe sulle varie élites concernenti la stampa, soven-te faziosa e servile, la magistratura, la sanità, il presuntomondo dello spettacolo, che tanta violenza e volgaritàimpone a un cittadino sempre più disgustato. Ciò cheimporta al mercato è l’audience e, per conseguirla, sicerca di dare sfogo ai più reconditi quanto discutibiliistinti o sentimenti umani, tra armi, assassinî, fiction, cro-

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naca nera, nonché veri e propri omaggi alla vanità e allamondanità di gente che si alterna in salotti e salottini te-levisivi ove si discute del niente, di pettegolezzi o di ar-gomenti futili perché più in là sarebbe difficile andare.Le retribuzioni non sono giustificate da qualsivoglia lo-gica economica o etica, grazie a una martellante pubbli-cità denunciata efficacemente da Herbert Marcuse giànel 1964 ne L’uomo a una dimensione, e sostenuta dai lie-vitati prezzi dei prodotti, che finanziano le idiozie di pic-coli o grandi fratelli, isole di famosi e “incesti” beautiful,all’insegna dell’ignoranza, della mediocrità e, a volte, traurla, strilli e parolacce, non disdegnate da una sedicen-te comica che, con un piede o due, si abbandona quasisempre alla scrivania di un compiacente Fabio Fazio, pre-sentatore in una RAI che permette ciò. Piero e AlbertoAngela sono solo eccezioni in uno scenario orripilante.

Quali messaggi sono proposti soprattutto ai bambini,ai giovani e agli adulti da questo mostro, che quotidia-namente entra nelle nostre case? Il tutto s’inserisce, poi,in un sistema economico caratterizzato da crisi, disoccu-pazione, precarietà e dalla sperequata distribuzione delreddito e delle ricchezze in uno scenario nel quale ognu-no non si preoccupa, in genere, di avere la stessa ideadomani, mentre mutano di continuo simboli e sigle dipartito all’occorrenza, come se si trattasse di semplicioperazioni di facciata. In questo modo si distruggonoculture e tradizioni, seminando disorientamento, squallo-re e opportunismo.

L’Università quindi è integrata nell’assetto comples-sivo di uno Stato privo di orizzonti, nonostante si tentidi tamponare le falle con la retorica e i sentimentalismiinneggianti alla patria o all’unità, con parate militari,picchetti d’onore e la presenza di un qualche ex mini-stro leghista che della bandiera nazionale ne farebbe unuso certamente poco edificante o pulito, secondo le in-

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formazioni di Gian Guido Vecchi del «Corriere dellaSera». Egli, inoltre, ha potuto dire ciò che ha voluto del-l’Inno Nazionale, tanto tutto è consentito anche alla si-gnora Sabina Guzzanti, che l’8 luglio 2008 attaccò il Pon-tefice con parole ripugnanti solo ripetendole, in nomedella satira, che è ben altro. Il ministro di Grazia e Giu-stizia negò l’autorizzazione a procedere, riportava«LASTAMPA.it», una notizia accolta forse favorevolmen-te dal papà Paolo, giornalista e deputato del Pdl, com-pagine di Angelino Alfano.

È uno Stato di Diritto il nostro? Oppure, nel casoipotizzassi l’esistenza di collusioni ai vertici, correrei ilrischio di essere immediatamente perseguito ai terminidi legge, magari per terrorismo?

Insomma, il Potere “può” tutto, fino a denigrare, tracongiuntivi sconnessi, il Premier del trascorso Governo,assimilato «a dei magnaccia» nel sito web di Antonio DiPietro, esponente di una qualunquistica Italia dei valoriche non ha risparmiato toni discutibili persino verso l’in-quilino del Quirinale. Questi, a sua volta, continua a sof-fermarsi sull’antifascismo, tralasciando che il suo Partito,ben undici anni dopo la dipartita del duce, sosteneva an-cora l’uso della forza sovietica contro l’anelito alla libertàdegli ungheresi. Dimentica che il suo leader, Palmiro To-gliatti, aveva plaudito all’accordo del 23 agosto 1939, con-cluso da Stalin con Hitler, vedendo pertanto i comunistiitaliani vicini al nazismo per ben due anni. Altro che Resi-stenza! L’Italia, in effetti, fu liberata dalla potenza anglo-sassone poiché i partigiani, in azione solo all’indomanidella caduta di Mussolini, avrebbero fatto il solletico aitedeschi se non avessero subito l’avanzata dal Sud degliAlleati. La Costituzione, in realtà, fu firmata dai “bolscevi-chi” come unica possibilità, essendo lo Stivale in mani al-trui, specie di Washington, della Chiesa Cattolica e quindidi Alcide De Gasperi. La rivoluzione, la democrazia popo-

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lare o la dittatura del proletariato non erano realizzabili ec’era solo da opporsi, per il momento, all’atlantismo e al-l’europeismo, all’economia di mercato e all’idea di so-prannaturalità sino a cedere pian piano, rinnegando cre-do ed emblemi, per salvaguardare gli interessi della classeoperaia che, però, col suo sudore ha sponsorizzato ric-chezze e carriere di funzionari.

Un’analisi storica doverosa per capire il presente,nonché il ritardo in cui è precipitata la sinistra italianadal Congresso di Livorno del 1921, allorché i compagnilegati a Mosca lasciarono la casa socialista per poi dive-nire Pds, Ds, Pd e inquinare, con l’apporto di ex demo-cristiani, Napoli e il mondo con la monnezza! I respon-sabili, lasciati al loro posto, probabilmente continuandoa percepire appetibili onorari, non sono stati disturbatidall’Università degli Studi di Napoli Federico II, cheavrebbe dovuto innescare un meccanismo volto al riscat-to politico, economico, sociale e culturale della città e,perché no, dell’intero Mezzogiorno, grazie alla parteci-pazione della borghesia partenopea. Tuttavia, l’alloraRettore comunista o postcomunista, Guido Trombetti, èdivenuto assessore dell’attuale Giunta regionale berlusco-niana, accompagnato dalla consorte dell’ex ministro diGrazia e Giustizia, Clemente Mastella, in coincidenza conla fine dell’esperienza bassoliniana. Sono dati esemplariper cogliere l’ambito in cui si è costretti a operare, fratrasformismi suscettibili di bloccare o condizionare pesan-temente ogni aspirazione di vera democrazia.

L’attuale Presidente della Camera ha scoperto, dopoanni di collaborazione, che Berlusconi non ha favorito ilprogresso e lo sviluppo, trascurando di aver partecipatoalla nascita del Pdl e di aver posto termine alle storie diMsi e An, per dar vita infine a Futuro e Libertà. Non chesia molto lontano dagli impulsi in tal senso degli ultimitempi, come le metamorfosi dello stesso Casini o del

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Rutelli radicale, verde, appartenente alla Margherita pri-ma e ai Democratici dopo, divenendo fondatore dell’Al-leanza per l’Italia. In un panorama impreziosito da rife-rimenti alla fauna e alla flora, tra ulivi, asinelli, rose,querce e torri, chiunque si dichiara pronto a immolarsisull’altare di un Paese che barcolla, costretto, per man-canza di risorse, a non ospitare le Olimpiadi del 2020.

È incontestabile allora che l’intera convivenza civiledebba essere soggetta a una riforma sostanziale, che ri-veda alle radici le regole del gioco e i perversi meccani-smi che la insidiano, affinché siamo veramente liberi diautodeterminarci umanamente e professionalmente. Po-litica e Diritto, quindi, s’intrecciano fortemente nella le-gittimazione dello Stato, chiamato a indicare rotte e cer-tezze.

Wolfang Kunkel nel 1972 si soffermò sul pensierogiuridico del tedesco Friedrich Carl von Savigny (1779-1861), fondatore della «Scuola storica del diritto», perrilevarne il superamento del razionalismo astorico dell’Il-luminismo, a favore di una maggiore attenzione rivoltaall’interiorità dell’uomo e all’essenza profonda della nor-ma, grazie a una lettura viscerale della coscienza popo-lare. Ciò al fine di elaborare una teoria giuridica fonda-ta su valori sovratemporali, benché Theodor Mommsen(1817-1903) affermasse l’importanza degli elementi sto-rico-politici, socio-economici e culturali.

Ci si chiede dunque: vi è qualcosa di immutabiledentro di noi? Se i bisogni impellenti della vita fisica diun cinese, di un arabo o di un guatemalteco rispondo-no alle medesime esigenze, perché dovrebbe essere ne-gata l’esistenza di un comune denominatore nella dimen-sione dello Spirito? Le acute riflessioni di AlessandroCatelani, docente di Istituzioni di diritto pubblico pres-so l’Università degli Studi di Siena, ed emerse nel con-vegno Ripensare lo Stato, organizzato a Napoli nel 2002,

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aiutano significativamente. Nella visione del suo prezio-so intervento, Il principio di legalità e la tutela dei dirittiumani nel moderno Stato di diritto, la libertà individuale ri-sente del contemperamento delle contrapposte sfere giu-ridiche dei singoli, attraverso un ordinamento in cui lagiustizia è intesa come complesso di principî assoluti, vi-genti fra consociati laici o appartenenti a una qualsivo-glia religione. I diritti intangibili dell’uomo, rispecchian-do la sua natura, sono preesistenti allo Stato in base al-l’indirizzo giusnaturalistico. Egli però puntualizza:

La concezione dei diritti inviolabili dell’uomo si ètradotta in una metafisica; metafisica la quale ha avu-to la pretesa, a differenza di quella tradizionale, di tra-dursi in una disciplina positiva, negatrice in quantotale di entità trascendenti, che essa in realtà viene in-vece a presupporre. Il riferimento alla natura umanavuole rendere questa concezione accettabile a tutti,anche a coloro che non sono disposti ad accogliereconcezioni religiose o teistiche trascendentali, renden-do immanenti valori assoluti. Si sostiene che questivalori sono connaturati alla natura umana per renderlicon ciò stesso, all’apparenza, tangibili e positivi, anzi-ché soprannaturali. [...]

La norma morale non può essere applicata inquanto tale, perché essa è strutturalmente e radical-mente diversa da quella propria del diritto positivo: lanorma morale può esistere soltanto in quanto si riten-ga che vi sia la Divinità da cui essa promani. Se tuttoè materia, e non esiste un rapporto intersoggettivo conl’assoluto, allora non si ha alcun obbligo, perché nes-suno lo impone. Dalla materia, che è in realtà inani-mata, non può provenire alcun comando.

Se tutto è materia e non esiste Dio, nessuno è ob-bligato a fare il bene anziché il male, perché non esi-ste un obbligo di fare il bene, mancando ogni normamorale. Si segue soltanto l’impulso e il piacere, l’uti-lità che ogni azione procura a ciascuno.

La negazione della Divinità si identifica con l’assen-za di ogni norma morale, e con il rendere lecito qua-

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lunque atto immorale; nel legittimare il male, ponen-dolo sullo stesso piano del bene. Per la persona immo-rale, che pone sullo stesso piano il bene e il male, nonesiste una scelta tra i due termini del problema, mac’è solo il criterio dell’utile particolare, della conve-nienza individuale; lo scegliere quello che fa piacere,sia esso buono o cattivo.

Mettere sullo stesso piano il bene e il male signifi-ca negare l’esistenza stessa dell’uno e dell’altro, delbene come del male in sé, lasciando libertà di sceltaper qualunque comportamento. Il bene e il male im-plicano valori morali, valutazioni dello spirito, e la lorostessa esistenza risulta negata qualora si affermi cheDio non esiste, e che tutto è materia.

La norma morale non è diritto positivo, appuntoperché in essa l’intersoggettività esiste soltanto nei con-fronti di una realtà trascendentale e non umana. Ladifferenza rispetto alla morale è la diversa fonte del-l’imperativo, che in un caso promana da un’autoritàumana, e nell’altro da un’autorità trascendente.

Le norme giuridiche non possono essere confuse,né identificate, nemmeno in parte, con le norme mo-rali. Le norme giuridiche sono ben diverse dalle nor-me morali. Mentre le norme giuridiche promananodagli organi esponenziali di una collettività organizza-ta, le norme morali presuppongono l’esistenza dellaDivinità, senza la quale non possono esistere. Le regolemorali che disciplinano l’agire dei consociati rispec-chiano una realtà trascendente e non immanente, per-ché necessariamente promanano da un’entità portatri-ce di valori assoluti.

Al contrario del diritto, la morale pone l’uomo di-rettamente in rapporto con Dio. [...]

Man mano che le norme da specifiche diventanogenerali, assumendo i caratteri di principi generali deldiritto, esse rispecchiano sempre in maggior misuraprincipi etici e valori assoluti, abbandonando correla-tivamente il contenuto tecnico insito nella loro parti-colarità. [...]

Nel caso del nostro ordinamento ma anche, più ingenerale, dell’Europa e degli Stati moderni di origineeuropea, questi valori sono fondamentalmente quelli

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del Cristianesimo e di una cultura laica e liberale che,se pur si contrappone a quella religiosa, converge ver-so quest’ultima in maniera significativa, giungendo allestesse conclusioni. Il diritto positivo del nostro, comedi tutti gli altri ordinamenti di origine europea, è dun-que impregnato di valori assoluti che sono fondamen-talmente cristiani e, anche se laici, di remota originecristiana. Tutti questi valori si ritrovano, e ne costitui-scono la ragion d’essere, nelle norme positive, le qua-li di essi sono, in maniera più o meno immediata, aseconda delle circostanze, espressione. Quelli che sonoi diritti inviolabili dell’uomo, definiti nell’art. 2 dellanostra Costituzione, e nelle seguenti norme della stessasui diritti di libertà, corrispondono ad una concezio-ne la quale rispecchia una tradizione di pensiero e dicultura, sia laica che religiosa, improntata a questi va-lori.

Nel suo complesso ogni norma giuridica, in manie-ra più o meno immediata, converge verso la tuteladella persona umana. E tale finalità è enunciata inmaniera diretta ed esplicita nelle norme costituziona-li dei singoli Stati, ed ancor più in quelle che discipli-nano i rapporti internazionali [...]. Nel nostro ordina-mento, l’art. 2 sui diritti inviolabili dell’uomo è la nor-ma che ha recepito integralmente, più di ogni altra,tutta la tematica della morale cattolica e dell’umane-simo sia cristiano che laico. Non c’è in esso soltantouna salvaguardia della persona in quanto tale, ma an-che della sua dimensione associata, quale si realizzaattraverso la tutela dei gruppi sociali intermedi.

La salute, la cultura, l’economia ed il progressoeconomico, la famiglia, per non citarne che alcuni atitolo esemplificativo, sono altrettanti obiettivi e valorii quali convergono verso la tutela dell’uomo, e di taletutela non sono che aspetti. [...]

Riflessioni che stimolano un’attenzione particolare sutemi delicatissimi e difficilmente definibili sebbene siasemplice appurare che, oltre gli assetti delle organizzazio-ni internazionali e dei varî Stati con storie e costumi di-versi, debba essere senz’altro l’Amore la Fonte ultima del

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Diritto, da accogliere seguendo uno studio rigorosamenterazionale e scientifico. L’umanità è da sempre alla ricercadella soluzione circa il grande “mistero” che muove l’uni-verso, con la straordinaria, divina e incontestabile Intelli-genza che lo regge. Bisogna comprendere se anche lanostra natura risponda a dei requisiti oggettivi auspican-do, in caso affermativo, l’applicazione di regole valide perStati e nazioni, popoli e genti di ogni parte, nel riconosci-mento del Dio unico, che illumina le nostre anime nonabbandonate a loro stesse. Il “comando” imposto all’uo-mo, dunque, diventa non solo esterno, ma interiore, e fi-nalizzato alla libertà di quella altrui, determinando be-nessere in ogni campo. Ciò naturalmente presuppone uncammino arduo e una crescita notevole nel confronto trale religioni, per ambire al superamento dei maggiori stec-cati persino nel Diritto, avendo presente segnatamente ilVangelo di Cristo, col quale altre culture vantano conver-genze, in particolare, quelle liberale e socialista.

Non c’è spazio, nell’indagine del terzo millennio, peruna divisione nettissima tra ciò che rientra nell’area delcittadino e quella che avvicina il figlio al suo Creatore,tra leggi morale e positiva, tra il momento rilevante perl’intimità e quello che si esprime “fuori”. La problema-tica non è indubbiamente facile e per questo va svisce-rata in profondità, essendo ancora più insidiosa alla lucedelle innumerevoli differenze tra credi e realtà politichenell’arena internazionale, come si evince, per esempio,da un articolo di Simona Verrazzo pubblicato sul quoti-diano «Libero». Esso si sofferma sulle esecuzioni capita-li in alcuni Paesi: in Medio Oriente la legge coranicacondanna l’adulterio, lo stupro, l’apostasia e l’alcolismo;l’Iran intenderebbe aggiungere alla lista dei reati l’ere-sia e la stregoneria, mentre un docente universitario inArabia Saudita sarebbe stato percosso da centottanta fru-state, dopo aver consumato un caffè con una studentes-

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sa, per il divieto imposto a persone di sesso diverso, nonparenti o coniugate, di avere contatti in pubblico.

Fucilazioni, impiccagioni e iniezioni letali oggi si sus-seguono e lo stesso Occidente non può essere esentatoda critiche, quanto all’uso della violenza, specie in unpassato non lontanissimo. La liberale nazione britanni-ca va segnalata come la Francia, che, con l’anatomistaJoseph Ignace Guillotin, adottò il meno traumatico stru-mento della ghigliottina rispetto alla ruota della torturae alla decapitazione con l’ascia. Lo ha scritto MonicaRicci Sargentini, la quale rammenta pure sul «Corrieredella Sera» che, durante la Rivoluzione Francese, le vit-time soggette al patibolo appartenevano a umili catego-rie sociali, non solo aristocratiche. Gli oppositori furonoammazzati senza processo e, secondo alcune fonti, qua-rantamila durante la dittatura del Comitato di SalutePubblica di Robespierre, a sua volta giustiziato. Altro cheliberté, egalité, fraternité, si potrebbe giustamente argo-mentare, ma in realtà è il Potere il vero protagonista, lavolontà di controllo che alletta sovente l’individuo, spin-to pertanto ben oltre i limiti delle mete ideali.

La posizione dialettica di Carlo Galli, professore diStoria delle dottrine politiche presso l’Università degliStudi di Bologna, si evince da Legge e coscienza morale:

Antigone avverte come superiore a qualsiasi altro ildovere di seppellire il fratello, morto combattendo con-tro la propria patria. Per lei hanno più forza le leggi di-vine, che impongono di dare sepoltura a Polinice, chenon le leggi della città. Il re di Tebe, Creonte, ha infattidecretato che chiunque avesse dato sepoltura al tradito-re Polinice sarebbe stato condannato a morte. Il dovereche Antigone avverte come proprio si scontra con il do-vere codificato dalla legge; il conflitto tra la legge scrittae la legge della coscienza, attraverso la storia della civil-tà umana lo si ritrova nelle molte forme che ha assuntol’opposizione tra diritto naturale e diritto positivo. Ildiritto positivo è il risultato, codificato in legge, della

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volontà legislativa umana. Il diritto naturale è un dirit-to non scritto, che però si ritiene sia scritto nella co-scienza degli uomini. Si può allora seguire, in ogni pos-sibile caso, la legge positiva, cioè la legge emanata dagliStati, dagli uomini? La si deve seguire anche quando cisembra ingiusta? Il dramma di Antigone ci commuove esaremmo tutti portati a darle ragione. Ma il mondoantico ci offre un altro caso emblematico su cui medita-re e che in modo analogo attrae la nostra ammirazione.È il caso di Socrate che, condannato a morte ingiusta-mente, accetta la sentenza perché le leggi della cittàvanno rispettate.

Il quesito è ricco di fascino, ma la “sacralità” attri-buita dal filosofo all’imposizione umana è oggettivamentediversa da quella che ha la sua fonte in Dio, allo stessomodo in cui il diritto naturale di Ugo Grozio è lontanoda quello di San Tommaso d’Aquino, presupponendouno stato di natura che, in fondo, è frutto della Crea-zione.

Un altro momento rilevante, nell’analisi del docen-te, interessa il ruolo svolto dall’«anestesia» nello spegni-mento della coscienza morale, che caratterizza il «totali-tarismo contemporaneo», dolce e buono come l’Anticri-sto della tradizione ecclesiastica, per la vittoria della “spa-da” sulla penna e sul senso critico, contro cui si muoveil Potere. Osserva acutamente che all’uomo non restaaltro che proteggere il suo bene caro, la libertà, sebbe-ne essa continui a subire colpi a volte “mortali” e nono-stante siano da non tralasciare i grandi risultati conseguitinei secoli, precipuamente dal secondo dopoguerra inpoi.

Si tratta di temi che investono l’identità dello Statoe la stessa comunità internazionale sui concetti di giusti-zia, eguaglianza, solidarietà e pace; perciò le nuove sfi-de impegnano la parte essenziale del nostro essere fra-telli, inducendo a meditare sulle possibilità di una rela-

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zione più armonica tra religione e politica, leggi positi-va e naturale, coscienza morale e diritto. In tale ottica,l’idea di chi scrive s’innesta sull’aiuto ricevuto incondi-zionatamente e gratuitamente dalla Chiesa Cattolica intantissimi anni di forte disagio e di difficoltà immani,contraddistinto dalla forza viva del Cristo. Il pensieroconseguentemente non ne è estraneo, per i traumi, leviolenze, le forti cadute, i torti fatti e subiti, che hannoaccompagnato un sentiero impervio, di cui quello acca-demico ha costituito un capitolo doloroso e tormentato.Esso s’inquadra nella decadenza del sistema politico eistituzionale italiano, caratterizzato dalla presenza di unapiovra, il Potere, che sovente stritola, distrugge o danneg-gia i cuori, costringendo la vittima spesso a usare gli stessimetodi per difendersi, salvo poi essere colpevolizzata perle sue reazioni estrapolate dal contesto. Un mal costume,una disonestà e un’inclinazione al servilismo che impre-gnano significativamente la cultura nel nostro Paese, ap-pesantita di frequente dai condizionamenti partitici rav-visabili in testate giornalistiche e nei mass media in ge-nere, faziosamente offensivi non di rado della verità,amputata di contenuti scomodi. Allo stesso modo il mon-do universitario, che dovrebbe svolgere un’azione guidaspecie in momenti di declino, è trattenuto dai lacci elaccioli di un andazzo prevalentemente corporativo, pre-sumibilmente di ogni ambiente lavorativo, professione omestiere, ove si è costretti ahimè a sopravvivere. Il citta-dino ha il diritto al lavoro e deve essere liberato dal do-minio di chi lo controlla, essendo questa la vera grandeconquista di uno Stato di diritto, che non è attuabilesenza giustizia sociale.

È triste constatare, negli ultimi anni, l’inerzia del-l’Ateneo di Napoli Federico II, istituito nel 1224 sullabase di una motivazione centrale, quella di rivolgere allacollettività ogni crescita scientifica per costruirne una più

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giusta e moderna. La narrazione dell’esperienza persona-le, che segue, è dunque scolpita sulla pelle di chi l’ha vis-suta con indescrivibile sofferenza, trattandosi di un rac-conto che include analisi e aneddoti. Uno è quello de-scritto ne Le avventure di una biblioteca di Gaetano Arfèil quale, dopo essere stato invitato a trasferire la sua nelcapoluogo partenopeo, fu costretto, in seguito a una «so-lenne e ingannevole cerimonia», alla sofferta decisione«accettata con palese sollievo dalle autorità accademichenapoletane, di riportare i libri nella patria fiorentina»,non avendo ottenuto aiuti e risorse per schedarli e unasala per renderli disponibili al pubblico. Lo studioso, cheancora ricordo per la grande signorilità e il notevolissi-mo afflato intellettuale, mi confidò telefonicamente altridettagli del «miserando spettacolo», che si era consuma-to presso la Facoltà di Scienze Politiche di cui era Presi-de, se non erro, Tullio D’Aponte.

Gli eventi descritti attribuiscono quindi all’indagineun carattere tale da coinvolgere non soltanto gli addettiai lavori. Ha ragione Nicola Tranfaglia allorquando evi-denzia che gli storici riservano poca attenzione alla di-vulgazione, lasciando ad altri canali di comunicazionefatti di grande rilevanza, diversamente dai più attentianglosassoni. Il rischio è di divenire oggetto delle criti-che di colleghi e di commissioni esaminatrici.

Ecco quindi una storia, che non è esclusivamente uninsieme di avvenimenti narrati per finalità autobiografi-che, ma l’espressione tangibile di un vissuto che rasental’incredibile.

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Un girone dantesco

La mia carriera di studio è iniziata nella maniera piùrosea dopo aver ottenuto alle scuole medie inferiori tremedaglie d’oro e terminato il Liceo Scientifico in quat-tro anni, conseguendo il Diploma di Laurea con la vo-tazione finale di 110/110 e lode, adempiendo contempo-raneamente il servizio militare nella bellissima Merano inprovincia di Bolzano. Si tratta di elementi ricordati esclu-sivamente al fine di evidenziarne il contrasto con le suc-cessive disavventure e solo per tale motivo, non per va-nità. Gli entusiasmi giovanili, infatti, si sono scontrati conuna logica che oggi mi appare in tutta la sua perversio-ne non capendo, per anni, cosa mi stesse accadendo.Realizzo ora che si è trattato di un incessante reato dimobbing patito, per cui il divario esistente tra Diritto ePotere, nella nostra società, è lampante.

Non mi dilungo sull’avventura del concorso per lacarriera diplomatica, della quale ci sarebbe molto da diresulle mie responsabilità negli studi e rispetto alle confi-denze dei candidati a proposito dei loro rapporti con isingoli commissari. Ciononostante, la fase veramente dif-ficile aveva inizio nel 1985/1986 con il superamento dellaprova di ammissione al dottorato di ricerca in Storia del-le relazioni internazionali, presso la Facoltà di ScienzePolitiche dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma.Avvertii pressioni, ammonimenti e toni minacciosi inde-scrivibili affinché mi allontanassi dal giocare quella car-

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ta, che era l’unica possibilità per me di non cadere nelvuoto; mi si diceva che stavo perdendo tempo poiché iltitolo non l’avrei mai conseguito. Ero già in preda a gra-vissimi problemi familiari e, come se non bastasse, ag-grappato all’ultimo piano di un grattacielo, guardandoverso il basso, sentivo schiacciare le mie dita dalle scar-pe scure di un uomo che faceva di tutto perché io ca-dessi giù. I contrasti tra i docenti, le gelosie e i fortissi-mi rancori tra loro aiutano a comprendere ma, ahimè,non potevo che restare immobile. Dovevo correre ai ri-pari in qualche modo e, va sottolineato, in tali condizio-ni non si può pretendere che un cigno mantenga illiba-to il suo candore se costretto a vivere in una stalla.

Il lavoro svolto, benché sottoposto a verifiche e ap-provato annualmente, era oggetto della relazione finaledi cui si occupò il prof. Pietro Pastorelli, con esito ne-gativo, anche perché asseriva che il mio impegno era sta-to «notevolmente discontinuo». Ciò indiscutibilmentecontraddiceva le “promozioni” che avevano avuto luogoogni anno e certificate dalla mia regolare frequenza(Università degli Studi di Roma La Sapienza, Ripartizio-ne IV – Settore V, Dottorato di Ricerca, Prot. n. 324).Restavo chiuso nel silenzio e nell’affanno tra lotte inte-stine e risentimenti, temendo che essi potessero influiresu comportamenti apparentemente inafferrabili.

Come mi era stato annunciato tre anni prima, nonconseguii il titolo di dottore di ricerca allorché SergioPistone, Maria Paola Olla Brundu, Laura Renzoni Gover-natori conclusero, il 7 novembre 1989, che il mio scrit-to, I rapporti italo-britannici e l’esecuzione del Patto di Londranel Mediterraneo orientale (Editoriale Scientifica, Napoli1989) non meritasse la sufficienza, con alcune osservazio-ni per niente condivisibili. A peggiorare il tutto, essen-do in uno stato di grande ansia, non avevo riflettuto sullapossibilità di presentare un altro libro realizzato contem-

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poraneamente, La questione palestinese e la politica delle gran-di potenze (Editoriale Scientifica, Napoli 1989), imprezio-sito dallo studio dei Documenti Diplomatici Israelianiappena editi. Con gli stessi avrei vinto il concorso perricercatore presso l’Università degli Studi di Napoli Fe-derico II e, quanto al primo, il direttore della Rivista«Analisi Storica» dell’Istituto di Storia Moderna e Con-temporanea dell’Università degli Studi di Bari, prof. Mat-teo Pizzigallo, mi aveva inviato una dichiarazione perl’imminente pubblicazione, col contributo di un comita-to scientifico costituito da Gabriele De Rosa, RenatoMori, Andrea Riccardi e altri studiosi!

In effetti, nel mondo accademico, di una ricerca puòdirsi tutto e il contrario di tutto e quindi il mio disorien-tamento era notevole, alimentato dalla crescente consa-pevolezza delle difficoltà. Mi proposi pertanto di superareil guado con l’aiuto di persone che conoscevano bene ilproblema e nella condizione di operare con forza, inqualità di “liberatori”, che mi avrebbero aiutato a venirfuori da una situazione infernale. Qual è l’alternativa, intali casi, se si vivono realtà del genere? Vale il principio“la necessità non ha legge” o quello di una sorta di le-gittima difesa? Non mi è molto chiaro se i professoriCarlo e Stefano Fiore, rispettivamente degli Atenei diNapoli e del Molise, contemplino anche questa eventua-lità nel momento in cui richiamano il 1o comma dell’art.54 del Codice penale, in base al quale: «non è punibilechi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dal-la necessità di salvare se stesso o altri dal pericolo attua-le di un danno grave alla persona, da lui non volonta-riamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che ilfatto sia proporzionato al pericolo». Per l’ultimo commadello stesso articolo, è previsto che lo stato di necessitàsia causato da una minaccia, per cui «del fatto commes-so dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretto a

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commetterlo». I miei errori, dunque, sarebbero frutto diquelli altrui, benché giuridicamente poco rilevanti perchénon dimostrabili, ed ecco il limite del Diritto consisten-te nel poter far del male violando la legge senza “esservisti”. La giustizia divina, però, vede oltre e perciò lanorma deve approdare alla coscienza e acquisire conte-nuti teologici.

Spesso si è disarmati, data la mancanza di prove perdenunce o azioni di tutela, e in tale clima nel 1992 erovincitore di una valutazione comparativa per ricercatorein Storia delle relazioni internazionali presso la Facoltàdi Scienze Politiche dell’Università degli Studi FedericoII, grazie anche all’assenza agli orali del candidato alprimo posto in graduatoria. Tuttavia, fatto anomalo, erostato costretto con un atto di significazione dell’avvoca-to a sollecitare il Presidente della Commissione, prof.Fulvio D’Amoja, a chiudere le prove protrattesi strana-mente per anni (Ufficio unico di notificazione, Corte diAppello di Napoli, 14 aprile 1992).

Frastornato, non capivo perché dopo l’esame deimiei due testi avvenuto si badi bene all’unanimità, con-seguendo solo quattordici punti su trenta, uno di essifosse successivamente contestato dallo stesso prof.D’Amoja, come «ripetizione abbreviata di una tesi didottorato» dello statunitense Louis Anthony Cretella, Jr.,Italo British Relations in the Eastern Mediterrarean, 1919-1923: The View from Rome, (The University of Connecti-cut 1980), con innumerevoli affermazioni puntualmenteconfutate attraverso la documentazione presentata in ungiudizio tuttora pendente dinanzi al TAR della Campa-nia e col deposito del sottoscritto del 22 aprile 1997 (R.S. 970/93, R. G. 5684/93).

Mi dispiace notevolmente tediare il lettore con dati“tecnici”, necessari per respingere tassativamente le “cri-tiche”, non avendo tradotto dall’inglese i documenti del

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primo, rinvenuti direttamente in italiano, e dei quali se-gnalavo esattamente alcuni punti, per esempio la pagina914 di una lettera non riportata da Cretella, che addirit-tura sbagliava indicando la firma di Tommaso Carlottianziché quella vera di Tommaso Carletti, (si confrontinoper ambedue i casi le pagine 18 e 36 dei due libri). Diun incontro di Parigi, poi, citavo i nominativi dei presen-ti, Clemenceau, Lloyd George e Wilson, trascurati dallostudioso americano (pagine 20 e 44 dei medesimi testi)e, in un altro caso ancora, la mia fedele espressione, “HisGovernement”, (p. 22), corrispondeva alla sua errata,“British Government”, (p. 55). Inoltre, nei Documents onBritish Foreign Policy, precisamente del settantesimo (SerieI, vol. I), specificavo anche la pagina 870, non citata daCretella, che non pare abbia fatto riferimento al docu-mento 18 della stessa Serie, vol. VII, presente invece nelmio contributo (p. 23, nota 21).

Perché D’Amoja, oggetto dell’atto di significazione,amico di Pietro Pastorelli e di Ennio Di Nolfo, non no-tava evidenze del genere? Se non avessi attinto diretta-mente alle fonti, in moltissimi passaggi, avrei apportatoelementi differenti e persino correzioni? Perché non ri-conosceva il documento della mia nota 37, (p. 28), con-tenenente estremi più completi (Archivio della Direzio-ne generale degli Affari Politici, I e II semestre), noncontemplati dall’altro a pagina 102? Perché della nota 7,(p. 33), il mio fascicolo è 057 mentre per Cretella è 2(p. 180)? Quali le ragioni di rilevare il mio errore (p.24), secondo cui Lelio Bonin Longare era ambasciatorea Londra dove, specificavo alcune righe dopo, lo eraImperiali di Francavilla, mentre il primo esercitava il suomandato presso la capitale francese, contemplato dallanota 28, (p. 25)?

Lo stesso dicasi per il caso analogo di Carlo Sforza(pp. 26-27) e, come se non bastasse, io scrivevo non at-

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tentamente: «avvento del governo Giolitti» ma, per Cre-tella, si trattava giustamente di «fell from power», cioè ca-duta, con riguardo alla stessa data (pp. 37 e 207) e, peruna circostanza simile, si vedano pure le pagine 39, 419-420, in cui emerge un altro mio sbaglio, non però dellostudioso statunitense, che tuttavia non indicava esplicita-mente le parole dell’ambasciatore Lelio Bonin Longare(p. 88), da me puntualizzate tra virgolette (pp. 24-25).Il medesimo rilievo vale rispetto a una dichiarazione delconte Carlo Sforza, laddove egli preferiva sintetizzarne ilsenso (p. 188), nel momento in cui io optavo di inclu-derlo accuratamente (p. 36, nota 14), per di più, conestremi differenti (scatola 4, fasc. I, anziché 3 e 21), forseper una sopraggiunta sistemazione archivistica. Quest’ul-tima ha interessato probabilmente anche la lettera del 14ottobre 1922, segnalata da me (p. 49) con scatola 18 enon 1, fascicolo 72 e non 3, come per Cretella (p. 340).Inoltre, di un atto britannico definivo ancora la paginae si confronti in merito la nota 8, (p. 33 del mio studio),con la 7 (p. 179 dell’altro autore). Infine, di un docu-mento, firmato da Sforza, consideravamo punti diversi,(note 2 e 80 rispettivamente delle pagine 50 e 354), ol-tre a citare, del libro di J. L. Glanville, contenuti dissi-mili (p. 8 nel mio caso e p. 10 nel suo).

Fatto gravissimo, le “impressioni” del Presidente, senon erro comunista, sarebbero state riprese da un par-lamentare dello stesso Partito e in quelle di un giornali-sta e una Casa editrice, la Editori Riuniti, di cui era benconosciuta la linea. La mia esperienza assumeva pertan-to un valore molto più esteso e, a proposito delle diffi-coltà economiche dell’azienda, Bruno Vespa, ne Il cuoree la spada: Storia politica e romantica dell’Italia unita 1861-2011, rammenta che il magistrato Tiziana Parenti, dellaProcura di Milano, voleva «emettere un avviso di garan-zia a carico di Marcello Stefanini, nuovo tesoriere del Pci,

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convinta che Greganti fosse il braccio delle tangenti eStefanini la mente. Ma D’Ambrosio, che coordinava ilPool, fermò la richiesta di autorizzazione a procedere».Per la donna, col conto Gabbietta, era stato comprato unappartamento nella capitale e quindi, scrive Vespa, ilmagistrato gli disse:

Perché Greganti si è fatto cento giorni di carceresenza dire che con quei soldi si era comprato una casa?Perché D’Ambrosio scoprì il contratto d’acquisto il gior-no in cui stava per partire la richiesta di autorizzazionea procedere contro Stefanini, che così fu bloccata?Quando andai da Greganti con Di Pietro e gli mostrai ilcontratto, impallidì: “Dove l’avete trovato?” domandò.In realtà, la tangente fu pagata più in fretta di quellealla Dc e al Psi perché premevano i debiti della casaeditrice del partito, gli Editori Riuniti.

I danni soprattutto morali per me non avevano finee addirittura, del mio libro sulla questione palestinese, ildocente di Perugia ometteva ogni tipo di apprezzamen-to per lo studio dei Documenti Diplomatici Israelianiappena pubblicati. Sollevava «un’altra serie di errori dicontenuto e di interpretazione, quali quelli sullo statutodell’Egitto del 1882 e di Tunisi nel 1883», non sapendoforse che il trattato di Bardo sulla Tunisia del 12 mag-gio 1881 fu integrato dalla convenzione della Marsàdell’8 giugno 1883 e, relativamente all’Egitto, fu soltan-to occupato dalla Gran Bretagna nel 1882, ma essa rista-bilì al potere Tawfiq nel settembre dello stesso anno(Grande Dizionario Enciclopedico UTET, voll. XVIII, VI, pp.766, 756). Il Trattato di Sevrès, infine, non era stato cer-tamente firmato il 10 agosto1921, come da me scritto apagina 45, ma chiaramente un anno prima seguendol’ordine cronologico della trattazione. Ero quindi respon-sabile semplicemente di una svista o di un’imprecisionedovuta alla stampa e, allora, come si spiega l’attitudine

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di D’Amoja del quale il mio avvocato, nella risposta alTAR, stigmatizzava le valutazioni «pervicacemente condot-te non senza approssimazione e genericità [...] e ciò inmaniera così eclatante da non poter sfuggire ad una ce-sura di eccesso di potere sotto il profilo sintomatico dellosviamento»?

Ammetto indubbiamente mie carenze o imperfezionie l’apporto notevolissimo nonché determinante dello stu-dioso d’oltreoceano, una sorta di guida in un contestoove mi muovevo da solo, inesperto, con una “sentenza”che, come una spada di Damocle, continuava a pesare sulmio capo. Qualsiasi cosa avessi fatto, non sarebbe servitanel conseguimento del titolo: per mia negligenza? Avevoanalizzato direttamente tantissime fonti, oltre seicentoDocumenti Diplomatici Italiani e Britannici, poche quellememorialistiche e archivistiche, in gran parte già consul-tate da Cretella, che, aveva ragione il Presidente, avreidovuto citare più volte, considerata l’attendibilità deglisnodi cruciali nella sua indagine.

Il confronto faticosissimo con le sue osservazioni fureso possibile solo dopo aver richiesto insistentementeuna copia degli atti concorsuali all’ufficio amministrativocompetente, nel dicembre 1992 e ancora nel maggio del-l’anno successivo. (Università degli Studi di Napoli Fede-rico II, Ufficio Protocollo: 14.12.92, 017801; 10.05.93,004535). Ricordo bene l’accaduto, che mi lasciò stupefat-to. Ne avevo bisogno per difendermi, benché i “ripensa-menti” di D’Amoja non avessero decisiva importanza,avendo già attribuito quattordici punti alle mie pubblica-zioni, con poco da eccepire conseguentemente rispettoalla graduatoria finale.

Intanto il capo a Roma mi diceva: «Lei a Napoli nonandrà mai nonostante il suo dinamismo!» Stavo male nelvederlo o incontrarlo nei corridoi, non sapendo da qua-le parte scappare. Era fortemente temuto, rappresentava

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il Potere, ma andavo avanti comunque, forse verso unbaratro, rispondendogli che non credevo nella giustiziaumana bensì in quella divina. Alcuni anni orsono dietrouna scrivania, dove ho conosciuto una persona gradevo-lissima, non l’ho più trovato probabilmente in seguito aun allontanamento. Cionondimeno, solo da poco, sonoriuscito a non tremare consultando gli schedari bibliogra-fici.

Evidentemente il fantasma che si aggirava nella miamente turbata, impaurita, stanca anche per altre ragio-ni, ha resistito per tantissimi anni. Ma il peggio dovevaancora avvenire.

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Giornalismo, magistratura e comunismo

Un’altra dolorosa parentesi si apriva quando l’onore-vole Severino Galante di Rifondazione comunista, conun’interrogazione presso la Camera dei deputati del 20/07/1993, ricordava «l’opinione del prof. D’Amoja, suffra-gata da univoche prove documentali, che uno dei titolidel dott. Frasca fosse nient’altro che la traduzione in ita-liano di una dissertazione di dottorato (inedita ma acces-sibile per microfilm)». Il travisamento dei fatti era inquie-tante poiché il docente, pur compiendo “imprecisioni”rilevanti, non si era spinto fino a tanto e, per di più, ave-vo regolarmente consultato l’opera americana, come ri-sulta da un attestato rilasciato e versato agli atti di unulteriore giudizio dinanzi all’autorità giudiziaria civile.

Si potrebbe ipotizzare che fosse necessario alterare ifatti e ciò nel momento in cui la stessa questione diven-tava oggetto di un paragrafo, in un testo di Felice Fro-io, dal titolo «Vince con un libro plagiato», che non te-neva conto delle ragioni che avrei potuto addurre in miadifesa e dei possibili chiarimenti, parzialmente descrittiin questa sede. Forse si voleva semplicemente fare delmale, con un pessimo giornalismo di parte, trascurandotutti gli elementi in gioco utili a una più completa ricercadella verità; lo stesso si dica per il prefatore Raffaele Si-mone. E poi, perché scrivere il falso, non avendo io pre-sentato un esposto alla Procura della Repubblica di Na-poli, che non avrebbe dato risposte a quello di D’Amoja?

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Medesima questione rispetto al Tar della Regione Cam-pania.

Giustizialismo comunista? Il sig. Froio dovrebbe spie-garlo per fugare ogni dubbio circa la possibilità di averreso un favore a qualcuno poiché, in tal caso, ci sareb-be da riflettere sui rapporti tra mafia e potere cui allu-de. Scriva di giustizia avendo come bersaglio i protago-nisti della mia vicenda, soffermandosi particolarmentesulle asserzioni del Presidente di Commissione perugino,non dilungandosi eccessivamente sulla figura di Berlusco-ni, terzo baluardo dopo Mussolini, la Democrazia Cristia-na e i socialisti, alla “tirannide” comunista e postcomu-nista, incline non di rado a colpire l’avversario con vio-lenza fisica o morale, annullando le sfumature o negan-do l’evidenza, pur di stroncare. Si trattenga sulle ricchez-ze dei rossi o ex, sull’Università gestita da loro e sui con-tenuti delle pagine che seguono.

Galante, sua fonte d’ispirazione e titolare di Storiadei partiti politici presso l’Ateneo di Padova, pubblicavanel 1991 L’autonomia possibile. Il PCI del dopoguerra tra po-litica estera e politica interna, in una Sezione diretta daEnnio Di Nolfo, professore di Firenze e amico diD’Amoja. Ma di quale autonomia comunista possibilediscuteva, di quale «esigenza diffusa di costruire un sen-so educativo comune»? Non ve ne erano nel bagagliodella falce e martello, mancando della legittimazione sto-rica, morale e politica di dare lezioni a nessuno, nemme-no al duce e al fascismo, o attaccando il «dualismo ma-nicheo e totalizzante» del cattolicesimo che, al contrario,sgamava del bolscevismo italiano la componente demo-niaca, con cui non c’erano motivi d’intesa. Ecco perché,in ambito democristiano, si operava per «arginare la pro-paganda della menzogna, della calunnia» dei comunistiche, ribadisco, sono stati contrari all’atlantismo, all’euro-peismo, all’economia di mercato, alla religione, ai valori

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di democrazia e libertà, secondo i canoni occidentali, perpoi abiurare pian piano, nei decenni, fino a cambiareveste atteggiandosi comunque a salvatori della patria.Dimenticano l’immondizia con la quale Napoli e l’Italiapoche altre volte sono state così sporcate nella storia, ifatti delle regioni Lazio, Abruzzo e Lombardia, i disastridel governo Prodi, nonché l’appoggio dato all’Urss inseguito all’accordo Molotov-Ribbentrop del 1939, chetenne i comunisti vicini al Führer per ben due anni, e aquello contro gli ungheresi del 1956. È una storia di “in-ganni”.

La permanenza nel Partito di Giorgio Napolitano,che non prese le distanze come altri, gli ha permesso dicontinuare la carriera, diversamente per esempio da Gia-como Matteotti, del quale il «Corriere della Sera» pub-blicava una lettera del 17 aprile 1924 con cui, all’invitodei comunisti di organizzare insieme la festa del 1° mag-gio, rispondeva che i metodi fascisti di governo eranosimili ai loro, precisando ulteriormente:

Voi siete comunisti per la dittatura e per il meto-do della violenza delle minoranze. Noi siamo sociali-sti e per il metodo democratico delle libere maggio-ranze. Non c’è quindi nulla di comune tra voi e noi.Voi stessi lo dite ogni giorno, anzi ogni giorno ci ac-cusate di tradimento contro il proletariato. Se sietequindi in buona fede, è malvagia da parte vostra laproposta di unione coi traditori. Se siete in malafede,noi non intendiamo prestarci ai trucchi di nessuno.

Nello stesso anno, con l’editoriale La fine dell’Anticri-sto, firmato P.S., «Il Mattino» commentava poi la diparti-ta di Lenin, stigmatizzando che «il posto occupato nelmondo è stato enorme per soffocare territorialmenteprima e moralmente poi un’intera nazione». Ciò dimo-stra che i fatti si sapevano, erano palesi, eppure l’amici-zia con Mosca dei comunisti italiani sarebbe stata “ripen-

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sata” solo a cominciare dalla Primavera di Praga del1968! Intanto, forze differenti avrebbero assicurato indi-scutibilmente, pur tra mille contraddizioni, maggioreprogresso e libertà.

La vicenda accademica, che mi riguarda, va compre-sa dunque nell’ottica della pertinente congiuntura poli-tica, socio-economica e culturale e il mio avvocato osser-vava che, avendo io consultato regolarmente il libro diCretella presso il Dipartimento di Studi Politici della Fa-coltà di Scienze Politiche di Roma, «c’è da chiedersicome siano arrivate (e da quale fonte) simili sciocchez-ze ed enormità prima all’on. Galante, e poi al signorFroio, che non si è peritato di effettuare alcuna verificao riscontro alle azzardate affermazioni» del primo. Inol-tre, in Appello, il mio legale aggiungeva che «nella fatti-specie si assiste ad una enorme amplificazione della men-zogna, che nasce nel giudizio soggettivo quanto infonda-to di un commissario di concorso ostile, viene travasatain un atto parlamentare di un rappresentante politicodichiaratamente parziale, per dirla con il Tribunale, ediventa un caso emblematico in un volume sui mali del-l’Intera Università italiana».

È scontato che «la pur ampia accezione del “dirittodi cronaca”, infatti, non esime chi ne faccia uso del do-vere di diligente controllo delle fonti (cfr. ex multis Cass.02-11-2000, n. 143334)» e, nel caso specifico, si sarebbe-ro potuti consultare gli atti concorsuali. Non nego di avercompiuto errori, senza piena avvertenza e deliberato con-senso, da inquadrare per giunta nel rozzo contesto cheavviluppa e costringe, confondendo e disorientando. Diessi chiedo comunque perdono, tralasciando di indicareulteriori elementi e la totale trasparenza, per non coin-volgere altre persone e raccontare aneddoti spiacevoli. Sitratta, in effetti, delle lacune di un Diritto che non ol-trepassa la soglia di ciò che si può provare, ma a Dio

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nulla è segreto nella profondità delle nostre coscienze.L’apporto della Teologia è perciò indispensabile nel va-lutare appieno gli eventi, considerando i labirinti nasco-sti di ogni tematica, da non stimare solo per ciò cheemerge in superficie.

Il ricorso alla magistratura fu ritenuto indispensabi-le al fine di spiegare punti davvero nebulosi, ma ciò chedichiarava il magistrato Franca Mangano, autrice di unasentenza citata nelle Fonti, dopo l’estenuante attesa im-posta dal sistema giudiziario italiano, era ed è inverosi-mile! Non vi sarebbe cioè diffamazione nella frase «Vin-ce con un libro plagiato» in una dimensione di criticasociale, sebbene io non sia stato denunciato per talemotivo. Se Froio poi commenta che «è la certezza diimpunibilità, di arroganza e di autentica mentalità ma-fiosa di certe commissioni», mi interrogo: cosa direbbelo stesso giudice se del suo concorso si affermasse altret-tanto, senza fornire prove inconfutabili, attingendo a fal-sità gravi non accertate con la parte lesa e non visionan-do i documenti pubblici? Cosa direbbe la signora se, conl’uso del modo indicativo, non di quello condizionale perla probabilità, io sostenessi tesi di corruzione oppure dilegami con una parte della Sinistra? Sarebbe il mio dire«rispettoso dei limiti di un giudizio critico» che «nonindulge in giudizi gratuitamente denigratori» e che «nonesorbita dai canoni della correttezza formale usualmen-te esigibili da un testo di denuncia e critica sociale», se-condo le espressioni utilizzate nel mio caso? Mi scusi,incorrerei in conseguenze giudiziarie se asserissi, nonsollevando il semplice sospetto, che Lei sia filo-comuni-sta, postcomunista, come presumibilmente D’Amoja, Ga-lante, Froio e la Editori Riuniti? Le domando: per lamagistratura, che ha potuto riscontrare eventuali colpe,è davvero normale e accettabile se un commissario diesame può scrivere ciò che vuole, perché il suo parere

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è pressoché insindacabile, un parlamentare non vagliarefino in fondo e «amplificare», data l’immunità, per poilasciare al giornalista e alla Casa editrice l’opportunità dichiudere l’operazione? In breve, se io dicessi, ancora ipo-teticamente e senza provarlo, che la Commissione dellaSua competizione concorsuale era costituita da elementidi mentalità mafiosa, sulla falsariga delle osservazioni diFroio, Lei come reagirebbe? Non si tratterebbe di diffa-mazione e danno ingentissimo? Alla luce di tali argomen-tazioni, si potrebbe ipotizzare che certe statuizioni sianol’antitesi del Diritto! Altro che responsabilità civile deimagistrati!

Lei sa che la legge dell’8 febbraio 1948, n. 47, trovaun suo presupposto legittimante nella verità oggettiva, oanche soltanto putativa, purché frutto di un serio e dili-gente lavoro di ricerca? In cosa è consistito quest’ultimose non sono state prese in conto le mie ragioni dal de-putato, dal giornalista e dalla Casa editrice? Come haindicato il mio avvocato, nella fattispecie, «non risultanosoddisfatte le condizioni postulate dalla ormai consolida-ta giurisprudenza di legittimità e di merito affinché pos-sa essere ritenuta valida esimente della responsabilità perdanni derivanti dalla lesione del diritto personale all’ono-re, ossia a) la verità oggettiva della notizia pubblicata; b)l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. perti-nenza); c) la correttezza formale dell’esposizione (c.d.continenza) (così testualmente Cass. 24-01-2000, n. 747;in senso analogo su vari elementi v. anche Cass. 25-07-2000, n. 9746; Cass. 07-11-2000, n. 14485; Cass. 21-11-2000, n. 15022; Cass. 25-05-2000, n. 6877; Trib. Roma, 12-07-1999, in Foro it., 2000, I, 2702, ed altre)».

Sono acutissime pertanto le considerazioni del lega-le: «Senza voler scendere in eccessi polemici, viene tut-tavia da pensare che, mutatis mutandis, si abbattono lefrontiere tra diffamazione e libertà di critica o di opinio-

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ne, e dunque si potrebbe scrivere e diffondere qualsiasiassurdità, dalla negazione dell’Olocausto all’applicazionedegli stessi termini usati da Froio (arroganza, certezza diimpunibilità, mentalità mafiosa) ad altre categorie profes-sionali, quali ad esempio i magistrati, i medici o gli in-gegneri piuttosto che gli avvocati: non siamo però sicuriche gli esiti giudiziari sarebbero gli stessi».

Inoltro queste pagine, attendendo “pareri”, alle mag-giori cariche dello Stato, segnatamente ai Presidenti diCamera e Senato, al Governo, al Consiglio Superiore del-la Magistratura, alle Corti Costituzionale e dei Conti, aParlamentari, Questure, Procure, Prefetture, Sindaci, As-sessori e Amministratori, Forze dell’Ordine, Stampa, As-sociazioni, Enti e Atenei. Va ricordato, inoltre, ai signorimagistrati in Appello, Osvaldo Durante, Giuseppe DeSanctis e Riccardo Redivo, i quali hanno confermatoquanto disposto in I grado con sentenza riportata ancoranelle Fonti, che l’art. 21 della Costituzione non prevede sipossa dire e scrivere tutto ciò che si vuole, esaltando la li-bertà di pensiero, ben altra cosa. Ciò è intuibile nella stes-sa legge 3 febbraio 1963, n. 69, circa l’Ordinamento dellaProfessione di Giornalista, citata dall’avv. Lucio Giaco-mardo il 5 maggio 2008, presso la Facoltà di Scienze Poli-tiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sultema: Verità e Persona. L’informazione tra Diritto ed Etica. Ri-flessioni sul messaggio di Benedetto XVI per la giornata delle co-municazioni sociali. Essa, all’art. 2, recita:

È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà diinformazione e di critica, limitata dall’osservanza del-le norme di legge dettate a tutela della personalitàaltrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto dellaverità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveriimposti dalla lealtà e dalla buona fede.

Devono essere rettificate le notizie che risultino ine-satte e riparati gli eventuali errori.

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Allo stesso modo, nella Carta dei Doveri del Giorna-lista - Documento CNOG-FNSI dell’8 luglio 1993 - pre-sentata al convegno, si sostiene:

Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendereil diritto all’informazione di tutti i cittadini; per que-sto ricerca e diffonde ogni notizia o informazione cheritenga di pubblico interesse, nel rispetto della veritàe con la maggiore accuratezza possibile. [...]

I titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie nondevono travisare, né forzare il contenuto degli artico-li o delle notizie. [...]

Il commento e l’opinione appartengono al dirittodi parola e di critica e pertanto devono essere assolu-tamente liberi da qualsiasi vincolo, che non sia quel-lo posto dalla legge per l’offesa o la diffamazione dellepersone. [...]

Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del citta-dino alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute in-giustamente lesive.

Rettifica quindi con tempestività e appropriato ri-lievo, anche in assenza di specifica richiesta, le infor-mazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelateinesatte o errate, soprattutto quando l’errore possaledere o danneggiare singole persone, enti, categorie,associazioni o comunità.

Il giornalista non deve dare notizia di accuse chepossano danneggiare la reputazione e la dignità di unapersona senza garantire opportunità di replica all’ac-cusato. [...]

Il giornalista deve sempre verificare le informazio-ni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l’attendibi-lità e per controllare l’origine di quanto viene diffusoall’opinione pubblica, salvaguardando sempre la veri-tà sostanziale dei fatti».

È indiscutibile dunque che la mia disavventura deb-ba essere inserita in un discorso molto più ampio di quel-lo strettamente personale, benché sia comunque inam-missibile che, per il giudizio in Appello promosso da chi

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scrive contro la Editori Riuniti, la Commissione concor-suale «non si sia attivata, come dovuto, per verificare l’esi-stenza o meno dell’affermato plagio». Non si è pensatoche gli altri due docenti lo avessero fatto, in realtà, ri-gettando e non condividendo le asserzioni di D’Amoja eil suo animus, dopo una valutazione positiva all’unanimi-tà? Si esclude che potessero essere di opinione diversa?Non si sono domandati i giudici del perché il comuni-sta Galante non mi avesse richiesto spiegazioni, fidando-si a occhi chiusi dell’altra campana? E perché il signorFroio non abbia fatto altrettanto, prendendo atto deimiei moltissimi rilievi mossi al Presidente e ben conosciu-ti dagli stessi magistrati?

A Durante, De Sanctis e Redivo va rammentato, con-trariamente alle loro conclusioni, che il giornalista pren-de posizione con un titolo denigratorio, in cui si uti-lizza il verbo indicativo, che indica certezza, e senza l’usodi virgolette, necessarie quando s’intende rimandare ilconcetto ad affermazioni altrui. Cosa direbbero se ioscrivessi, solo per un sospetto, che occupano quel po-sto perché “compromessi” o vicini a certe forze partiti-che, senza suffragare tali impressioni con prove certee non adoperando una sintassi indicante la probabili-tà, magari con un avverbio o un verbo al condiziona-le? Per di più, cosa vuol dire che le dichiarazioni diFroio, circa la mentalità mafiosa di certe commissioni,non inficia il candidato? Se io attestassi lo stesso di loro,non avendo accertato alcunché, richiamandomi allaparzialità di comunicazioni parlamentari o ministeriali,la cosa non li nuocerebbe? Non vi è uno spirito giuri-dico che impone la ricerca della verità al parlamenta-re, al giornalista come al magistrato, sempre che nonsia un servo del Potere e non si tratti di una giustiziasommaria, oggi tanto discussa per le sue inclinazionicomuniste?

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A questo punto, la fattispecie assume una portatadiversa e molto più estesa, rimandando a interrogativiattualissimi, in relazione alle puntualizzazioni di ErnestoGalli della Loggia esposte sul «Corriere della Sera» del16 marzo 2008: «Abbiamo accettato voltando la testa dal-l’altra parte che la magistratura italiana si autogovernas-se con criteri di lottizzazione politica spietata». Dello stes-so avviso, precedentemente, in data 11 maggio 1994, erastato il vice segretario nazionale del Partito socialista,Giulio Di Donato, che mi aveva scritto:

Pago, più che per le mie responsabilità (in veritàpressoché irrilevanti e comunque comuni), perchésono stato il v/ di Craxi, perché sono stato un uomopolitico influente, perché ho un carattere duro ed ilmio orgoglio viene scambiato per arroganza. Pago per-ché non ho di che pentirmi, non accetto la sordidapratica della delazione, e perché non mi sono “conse-gnato” ai magistrati. I quali abusano del loro poterecommettendo arbitri ed illegalità, seppur in nome diun giusto obiettivo. Purtroppo, non c’è nulla da farese non resistere con pazienza e dignità. [...] Penso an-ch’io che, tra qualche anno, si ricreerà lo spazio po-litico per un riformismo di ispirazione cristiana, laicae socialista. E credo che ci si debba preparare per fa-vorire ed accelerare una simile opportunità. [...] Biso-gnerà aspettare che il gran polverone della mistifica-zione politico-giudiziaria scemi e che la gente sia mes-sa in condizioni di vedere le cose nei loro terminireali.

E il 22 giugno aveva aggiunto:

Io penso che il riformismo moderno non possa cheessere di ispirazione cristiana e socialista. E non pos-sa esprimersi se non in un contesto di rafforzata de-mocrazia. Il riformismo è l’unica prassi politica di cuici si può servire per attuare le necessarie e sempre piùurgenti politiche redistributive che danno il “sensosociale” del governo della cosa pubblica. [...]

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E senza la ex area socialista, la sinistra sarà sem-pre sconfitta. La illusione di Occhetto è stata che ba-stasse cambiar nome al PCI per occupare quel versantepolitico; e l’azione dei giudici gli è sembrata l’armasegreta ed infallibile per sgombrare il campo. Comesappiamo, non è andata così. Con il risultato che algoverno c’è Berlusconi, un imprenditore che rappre-senta interessi del ceto più forte economicamente, al-leato degli ex missini e di un movimento regionale so-stanzialmente indipendentista, la sinistra è alle corde,la democrazia in crisi, i diritti del cittadino, e anchedel lavoratore, fortemente sottovalutati. [...] Poi, perquanto ci sarà possibile, dovremo riorganizzarci intor-no a qualche idea forte. E, visto che non ci sono piùi recinti della DC e del PSI, [...] questa “idea forza”potrebbe essere proprio quella di un riformismo cri-stiano e socialista, fondato sui valori di pace, fratel-lanza, amore, solidarietà, pari opportunità, giustizia so-ciale.

Un documento di grande forza non lontano dalleriflessioni del 28 luglio 2010 di Alessandro Sallusti, con-direttore de «il Giornale», per il quale i giudici forma-no, come casta, la più potente lobby italiana e quindi ilCSM è una pericolosa associazione segreta, che usufrui-sce di totale immunità, potendo colpire altri poteri, in-fluendo su decisioni e su varie problematiche. I riferi-menti ai rapporti con Fassino e D’Alema e quelli allecooperative nelle regioni rosse, e non solo, spiegano lanatura dell’editoriale: Ma la vera lobby occulta è quella dipm e sinistra.

Il 6 aprile 2011 poi ha evidenziato: Il colpo basso deipm. Processate la Boccassini. La Procura allega alle carte delcaso Ruby le telefonate di Berlusconi. Che finiscono sui giorna-li. È un reato, ma chi pagherà? In particolare:

La legge è uguale per tutti, tranne che per i magi-strati che possono tranquillamente calpestarla sapendodi rimanere impuniti. A occhio, infatti, i pm della pro-

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cura di Milano hanno commesso un reato, trascriven-do e allegando ad atti pubblici tre intercettazioni te-lefoniche del presidente del Consiglio senza l’autoriz-zazione del Parlamento.[...] Su questo tema la legge èchiara. Primo: i telefoni di deputati e senatori nonpossono essere intercettati. Secondo: se intercettandouna persona terza, gli inquirenti si rendono conto chestanno ascoltando la voce di un parlamentare, l’ope-razione va subito interrotta.[...]

Terzo: se i pm si accorgono solo a cose fatte dell’in-debito ascolto, i nastri e le trascrizioni devono esserebuttati, a meno che la Camera di riferimento, interpel-lata, non decida diversamente. Nel caso in questionetutto ciò non è accaduto. Ilda Boccassini e compagni sene sono fregati della legge. In un Paese normale oggisarebbero sotto inchiesta, come capita a qualsiasi citta-dino che non rispetta le regole. [...] E Napolitano?Dove è finito il garante della legge e della Costituzione?Sparito, anche lui. [...] Che oggi inizi pure il processodel secolo, illegittimo nella sede (ieri il Parlamento havotato che Milano non ha titolo per procedere e che sene deve occupare il tribunale dei ministri), nella sostan-za (nessuna delle presunte vittime sostiene di esserlo),e ora anche nella forma in quanto inquinato da inter-cettazioni illegali. Basta che tutta questa messa in scenanon la si chiami giustizia.

Lo stesso giorno Simone Savoia, sulle pagine di «Li-bero», riportava la notizia che Luigi De Magistris, magi-strato ed europarlamentare dell’Italia dei valori, non siera presentato al giudice, essendo denunciato per diffa-mazione e avendo avanzato richiesta di immunità al Pre-sidente del Parlamento di afferenza. E cosa dire dei cir-ca trenta processi da cui è uscito immune Silvio Berlu-sconi? I magistrati ignoranti nel promuoverli o doponell’assolverlo? Chi lo risarcirà? E se proprio si vuole ri-solvere il problema della “prostituzione”, perché control-lare Arcore invece di andare in giro per le strade e i lo-cali dell’intera penisola? Presumibilmente è il Cavaliere

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ad attrarre tanto. Come commentare, infine, il caso deidue giovani “assassini” di Perugia, poi scagionati perché«il fatto non sussiste»? O, ancora, quello del pluriomici-da “rosso”, residente in Brasile, di cui non si è avutal’estradizione? Invece di criticare le autorità di quelloStato, bisognerebbe svolgere indagini in Italia per indi-viduare coloro che ne temono il ritorno.

Chissà cosa pensano Mangano, Durante, De Sanctise Redivo della rivoluzione del ’92. Quale sarà la loroopinione circa l’operato di Casson, D’Ambrosio, Di Pie-tro, che hanno sostenuto il governo Prodi a ogni costo,e anche nella questione, se non sbaglio, di un ministrodi Grazia e Giustizia indagato con la consorte, Presiden-te del Consiglio regionale campano agli arresti domici-liari? Come mai hanno lasciato la toga per entrare inuno schieramento di parte, che tanto male ha fatto alPaese? E come considerano un ex governatore parteno-peo ancora al suo posto fino alla scadenza elettorale eappartenente alla loro compagine?

Questo desolante scenario, per chi scrive, sopravvivegrazie a una sorta di magistratura senza la quale un’Ita-lia così devastata non sarebbe forse esistita. È finita odiminuita la corruzione dopo Tangentopoli, signori del-la Corte e della Giustizia? Perché non si prova a indaga-re sulle raccomandazioni, che hanno fortemente segna-to il mondo del lavoro, esplorando tanti altri campi daiquali sarebbe forse impossibile venirne fuori? È anche uncerto Diritto a essere in crisi, che tiene poco conto del-la complessità del vivere civile in uno Stato per moltiversi latitante.

Che esso risponda ai propri doveri, non richiaman-do soltanto il cittadino ai propri! Che garantisca a tuttiun’occupazione, se pretende illibatezza, invece di ab-bandonarci al dominio delle fazioni partitiche, renden-doci vulnerabili e conseguentemente reprensibili.

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Il Cappio del giornalista de «la Repubblica», EnricoBellavia, e del sostituto procuratore della Direzione nazio-nale antimafia, Maurizio De Lucia, non pare si soffermisufficientemente su limiti, divisioni e correnti della magi-stratura italiana e sulle innumerevoli alterazioni dei fatticonsumata da molta parte della stampa che, con denaropubblico, “educa” sovente le coscienze in modo distorto,per servire il Partito di turno. Ci si interroga se il tuttopossa rappresentare una sorta di “cancro”, rivestito di li-bertà di cronaca, che si associa ai tanti privilegi, anche dinatura economica, di giudici spesso impuniti o in gradodi percorrere altre strade. Sarebbe di De Magistris l’ester-nazione diretta al Cavaliere sull’opportunità di un “viag-gio” all’estero, ma con quale spirito svolgono un’attivitàgiudiziaria prima di optare diversamente?

A proposito dei conflitti tra politica e magistraturanegli anni Ottanta, ha scritto Simona Colarizi che i «pre-tori d’assalto» appartenevano a «quella leva di giudiciorientati a sinistra e cresciuti durante la grande mobili-tazione civile dei primi anni Settanta, che aveva appog-giato la campagna del Pci sulla questione morale». Daparte loro, i comunisti avevano sostenuto la «magistratu-ra democratica» e quindi «gli orientamenti giurispruden-ziali di tanti giovani magistrati in materia di lavoro, diinquinamento ambientale, di criminalità economica era-no in armonia con le battaglie politiche del Pci, cosìcome le iniziative giudiziarie in tema di corruzione poli-tica che colpivano direttamente i partiti avversari dellamaggioranza governativa». Tuttavia, conclude la docente,l’impegno comunista era contraddittorio poiché nel1983, in Parlamento, «proprio il Pci aveva salvato Andre-otti contro il quale era stata avanzata una richiesta di au-torizzazione a procedere; e nell’85, anche con il voto deicomunisti era stato eletto capo dello Stato Cossiga chenel 1990, con i suoi attacchi al Consiglio Superiore del-

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la Magistratura, avrebbe provocato un grave conflitto trai poteri dello Stato».

Oltre ai magistrati già menzionati, Finocchiaro, Im-posimato, Violante sono parte di uno schieramento? Ave-va ragione Craxi? Certamente tutti sono liberi di nutri-re le proprie opinioni, ma indiscutibilmente non trascu-rando le compatibilità. Se poi, nell’attaccare un leader,si omettono mancanze di altri esponenti vicini giustifican-doli o proteggendoli, in tal caso, siamo di fronte a reatiinaccettabili. Mi comprenda il lettore per l’estrema sin-cerità se considero risibile, ridicolo e quasi brutale ciòche accade nella Giustizia italiana, non in grado d’inse-gnare coerenza, “moralità” o “integrità” in numerose cir-costanze.

In realtà, una specie di “mafia” o di “illegalità” pe-netra e trascina lo Stato con conseguenze economiche,sociologiche e politiche, non solo giuridiche o giudizia-rie, tali da investire ovviamente le istituzioni in genere,senza riformare le quali non è possibile sradicare appie-no la criminalità organizzata in un Paese ammalato neigangli vitali. L’avvocatura ne è parte, con enormi respon-sabilità, allorquando è presente la mentalità di tutelarecomunque un’idea, forzando la verità per chiedere asso-luzioni o condanne conseguite con parcelle onerosissime,grazie a un sistema da smantellare nelle sue eventualiimplicazioni collusive con gli operatori di giustizia e traquesti ultimi, sulle spalle principalmente dei più deboli.

Un mio avvocato, che era stato tanto solerte in pre-cedenza, non lo era allo stesso modo rispetto al ricorsoin Cassazione contro la Editori Riuniti, e così i terminiscadevano. Egli riteneva che le argomentazioni della Cor-te di Appello, benché non condivisibili, fossero stretta-mente di merito e quindi non censurabili in sede di giu-dizio di legittimità. Un espediente per giustificare il man-cato intervento?

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Prendendone atto solo con ritardo, gli comunicavoche avevo varie volte telefonato al suo studio, ma non erastato possibile mettermi in contatto con lui anche attra-verso il telefono mobile. Da una sua collega, se non ri-cordo male, ero stato rassicurato circa la possibilità diessere informato tempestivamente per promuovere l’azio-ne legale, ma invano. Come se non bastasse, il saldo aiminimi tabellari relativo a un’attività non del tutto sod-disfacente, ammontava a oltre 7000 euro, successivamenteridotta a 2250. Tuttavia, ciò che determinava in me unnuovo malessere era il constatare che l’onorario include-va un esercizio in primo Appello mai realizzato. Non ave-vo risposte in tal senso e ciò mi induceva a meditare suipossibili “contatti” tra magistratura, editori e avvocaturaromana legata a quella partenopea, avendo versato pure400 euro a favore di un altro “difensore” dell’Urbe.

Mi rivolgevo pertanto a un altro ancora, depositan-do cinquecento euro, ma quando gli ricordavo di nonavere avuto risposta sul cellulare né di essere stato richia-mato per uno scambio d’informazioni relative a un pro-blema particolare, la mia tristezza aumentava poiché unmilione delle vecchie lire, per un aggiornamento sul ri-corso al TAR e per pochi altri dati forniti, sembrava dav-vero troppo. Lo invitavo pertanto a comportarsi di con-seguenza senza avere soddisfazione. Sarei stato ignorato.

Si parla tanto della riforma della Giustizia ma, perfarlo seriamente, bisogna rimuovere, in primis, l’assettoin cui agiscono persone incapaci e moralmente riprove-voli, rivedendo le regole del gioco e distribuendo il la-voro a tantissimi giovani preparati: lavorare tutti, lavora-re meno e... meglio.

Il pensiero di John Stuart Mill, descritto incisivamen-te da Francesco Valentini, è ancora molto attuale nell’ac-coglie l’economia di mercato e il liberalismo, concilian-doli però con la possibilità di rivedere leggi e consuetu-

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dini ai fini di una equa distribuzione della ricchezza. Lesperequazioni eccessive, non giustificate da ragioni eticheed economiche, sono il vero problema da risolvere allaradice e quindi il socialismo nel terzo millennio ha an-cora molto da dire, specialmente tramite un confrontoserrato col messaggio cristiano e con i valori della tra-scendenza. Un aspetto trattato e discusso da tantissimipensatori come Robert Félicité de Lamennais, VincenzoGioberti, Antonio Rosmini Serbati, Jacques Maritain,Emmanuel Mounier, solo per citarne alcuni, oltre natu-ralmente alle tantissime encicliche della Chiesa Cattoli-ca, in primo luogo, la Rerum Novarum del 1891.

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La menzogna

Un grande dramma, che viviamo oggi, è quello diimbatterci nella menzogna, sovente istituzionalizzata an-che televisivamente con la demonizzazione dell’avversario,che è molto distante da obiettive valutazioni politiche.Mentire insomma diventa una prassi, un costume cherende l’atmosfera torbida al servizio dei partiti, semprepiù stretti nella morsa dell’incompetenza. È un virus cheammala l’intero apparato dello Stato, rinvenibile nellacomponente demoniaca che occulta il vero per imbasti-re brogli e vendette, aventi un unico scopo: la protezio-ne intransigente dell’interesse particolare, costi quel checosti.

L’ambito accademico ne è pervaso moltissimo e pur-troppo sia i dispiaceri che i motivi di tensione sul miocammino sono continuati. Non tutti sanno probabilmen-te che il ricercatore universitario, dopo tre anni di atti-vità, era soggetto a un ulteriore giudizio di una commis-sione composta da professori che, nel mio caso, nonpoteva non suscitare angoscia, essendo presieduta da Pie-tro Pastorelli, il quale risvegliava in me trascorsi, ma maidimenticati bruttissimi ricordi. Un malessere profondo micostringeva a un congedo ed egli era sostituito da EnnioDi Nolfo di Firenze, la cui relazione sul mio operato eradel tutto sfavorevole e, allo stesso tempo, un omaggio allanegazione dell’evidenza circa alcuni fatti storici certi enon opinabili. Il mio libro, La Spagna e la diplomazia ita-

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liana dal 1928 al 1931. Dalla revisione dello Statuto di Tan-geri alla Seconda Repubblica, benché impreziosita dalla pre-fazione del noto Gaetano Arfè e apprezzata dai docentiGuido Donnini, dell’Ateneo di Pavia, e Ottavio Barié,dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di-veniva oggetto di una particolare attenzione del Presiden-te, per il quale il dittatore spagnolo, Miguel Primo deRivera, cadeva nel 1928 e non nel 1930, per cui la suaspietata critica all’intero impianto del testo era priva diogni fondamento e il titolo stesso non sarebbe altrimen-ti comprensibile. Come si giustifica ciò? Egli falsamentesentenziava:

Dal primo capitolo [...] sembrerebbe che obiettivodell’autore fosse quello di mettere in luce un aspettoparticolare della diplomazia fascista, e cioè il ruolo del-la Spagna nell’azione italiana durante gli anni della dit-tatura di Primo de Rivera. Tuttavia il periodo de Rive-ra si concluse nel luglio 1928 e l’A. trae lo spunto da unevento esterno (la firma del secondo statuto di Tange-ri del luglio 1928) senza che questo fornisca un riferi-mento scientifico o esplicativo della successiva ricostru-zione dell’A. Gli anni considerati potrebbero coincide-re con quelli della storia repubblicana della Spagna, maanche questo concetto non appare interno allo svilup-po della trattazione. Infine l’oggetto avrebbe potutoessere condizionato dal “periodo Grandi” (ministro de-gli esteri), ma anche questo (1925-1929) non coincidecon i termini cronologici indicati dall’autore. Sicchél’individuazione del tema appare immotivatamente ri-duttiva a una fase che, se considerata per sé (come fasedi transizione dalla dittatura di de Rivera alla dittaturarepubblicana) sarebbe di grande interesse, [...] (Firen-ze, 17 giugno 1998 - Università degli Studi di Napoli“Federico II”, Ufficio Personale Docente e Ricercatore,n. 3346 del registro rilascio documenti).

Occorrerebbe all’uopo un approfondimento dei suoirapporti con Pastorelli, D’Amoja, Galante, Froio, Editori

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Riuniti e magistratura. Infatti, in Prima lezione di storia dellerelazioni internazionali ringrazia, per l’aiuto, non solo iprimi due e Paola Olla Brundu, commissario del dotto-rato cui partecipai, ma i miei colleghi al concorso diNapoli, Leopoldo Nuti e Ilaria Poggiolini, promotrice diun ricorso al TAR, sulla base delle “contestazioni” diD’Amoja. I fatti esposti sono professionalmente e storio-graficamente inauditi toccando addirittura il pensiero diArfè, il quale relativamente a Mussolini sottolinea che iltentativo di stabilire un rapporto privilegiato con PrimoDe Rivera, ebbe «risultati nel complesso modesti» ma,secondo Di Nolfo, anche per il prefatore «l’opera presen-tata costituisce un tentativo dai risultati, nel complessomodesti», leggendo quindi con clamorosa superficialità enegando il vero. Altro che forma sciatta e disordinata,che dal suo punto di vista caratterizzerebbe il mio lavo-ro, o mancanza di rigore e accuratezza!

L’ipotesi di uno sconvolgimento dei canoni argomen-tativi, di ragionevolezza e logicità documentale, accenna-ta dal mio avvocato, potrebbe motivare l’indagine nellastessa direzione della forte critica al taglio bibliografico edocumentario, in realtà, ricchissimo di riferimenti. Il miolegale li specificava puntualmente, chiedendo al docentei motivi del suo orientamento su un libro cronologica-mente impostato con criteri chiarissimi, riguardo ai rap-porti tra Spagna e Italia dal 1928, data della revisionedello Statuto di Tangeri secondo le aspettative italianefino al 1931, anno della caduta della monarchia ibericasuccessiva a quella di Primo de Rivera del 1930. Due even-ti importanti e visti da Roma in un momento storico de-licatissimo e, si ribadisce, alla luce di una bibliografianotevole anche spagnola, che può essere verificata sempli-cemente consultando le 221 pagine, con oltre settecentocitazioni, di cui cinquecento archivistiche e quasi duecen-to di altro genere, che interessano in parte gli studi di:

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Aldo Albónico, Marco Alessi, Gianluca André, OttavioBarié, Gerard Brenan, Albert Broder, Paola Brundu Olla,Joseph Calmette, Giampiero Carocci, Raymond Carr, Lu-ciano Casali, Giovanni Casetta, Alan Cassels, Gérard Casta-gnaret, Giovanni Castellani Pastoris, Enrico Catellani,Temistocle Celotti, Antonio Còrdon, Renzo De Felice,Edoardo Del Vecchio, Guido Donnini, Giustino FilipponeThaulero, José Luis García Delgado, Fernando GarcíaSanz, Amedeo Giannini, Massimiliano Guderzo, José Or-tega y Gasset, Francesco Lefebvre D’Ovidio, Jesús PedroLorente Lorente, Denis Mack Smith, Salvador de Madaria-ga, Ramón Menéndez Pidal, Alberto Monticone, ElisabethMonroe, Marco Mugnaini, Carlos Navajas Zubeldia, Pao-lo Nello, Pietro Orsi, Gustave Palomares Lerma, MatteoPizzigallo, Conde de Romanones, José Sánchez Jiménez,Ismael Saz Campos, Carlo Maria Santoro, Carlo Sforza,Susana Sueiro Seoane, Giorgio Spini, Emile Témine,Manuel Tuñon de Lara, Javier Tusell, Miguel de Unamu-no, Gabriele Ranzato, Pierre Vilar, Ruggero Zangrandi,ecc., oltre a memorie, diari, discorsi, testate giornalistiche,documenti editi e inediti che, per ovvie ragioni, è impro-ponibile riportare in questa sede!

Una pubblicazione che otteneva un contributo finan-ziario della Regione Campania, dopo l’esame di unaCommissione e i grandi apprezzamenti del direttore Raf-faele Feola, per il quale «il lavoro affronta con metodoaggiornato e fecondo un tema poco noto, ma non per-ciò poco rilevante. L’autore riesce così a fornire un qua-dro estremamente esauriente ed offre di sé e delle suecapacità di ricercatore ottima prova», meritando pertan-to «vivide e penetranti pagine introduttive di uno stori-co del calibro e della fama di Gaetano Arfè e certamen-te il consenso della comunità scientifica». Tuttavia, DiNolfo apportava altri “giudizi” non molto limpidi e vera-mente contorti, dovendo probabilmente muoversi su un

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terreno difficilissimo per raggiungere lo scopo. Non“comprendeva” il taglio cronologico e la struttura di unoscritto ravvisabili già nel titolo e perciò ogni altro com-mento successivo non reggeva, essendo motivato da unmadornale, inammissibile “errore” iniziale. In breve, lasua relazione, “discutibile” dal punto di vista scientifico,può acquisire un significato notevolissimo se letta inun’ottica differente, comunque cupa, buia o tenebrosa,ma con un preciso leitmotiv, che non teneva conto del-la medesima prefazione di Gaetano Arfè, uomo di gran-de onestà intellettuale che indegnamente, e lo dico consincerità, ricordo e ringrazio:

La storia delle relazioni diplomatiche tra il gover-no fascista e la dittatura spagnola, tranne che per i ri-ferimenti, a volte anche ampi, in opere di carattere ge-nerale non è stata oggetto di trattazioni specifiche. Acolmare la lacuna, per gli anni tra il 1928 e il 1931,tra la revisione dello Statuto di Tangeri e la cadutadella monarchia, viene ora il lavoro di Ugo Frasca.

Il libro è fondato sulla conoscenza, padroneggiatae discussa, della bibliografia anche di parte spagnola,e su diligenti e minuziose ricerche condotte sulle car-te conservate presso l’Archivio del ministero degli Este-ri, l’Archivio Centrale dello Stato e l’Ufficio Storicodella Marina e copre un periodo breve ma interessan-te, caratterizzato dal tentativo di stabilire con la Spa-gna di Primo de Rivera un rapporto privilegiato cuifacciano da cemento, in funzione larvatamente anti-francese, le affinità ideologiche tra i due regimi.

È un tentativo dai risultati nel complesso modesti,ma proprio per questo la sua storia, al di là dei sin-goli episodi, contiene elementi utili alla valutazione dicerti tratti della politica estera fascista, nonché di cer-te tendenze proprie della tradizione nazionalistica ereazionaria spagnola, che troveranno continuità e con-ferma anche nella politica franchista. [...]

D’altra parte, sul versante italiano, il dinamismo fa-scista resta sostanzialmente velleitario, non riesce a do-

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tare l’azione diplomatica dei mezzi necessari a che essaprenda consistenza e valga a instaurare e a consolida-re nella Spagna una presenza che dia organicità airapporti.

Di queste carenze, ed è un dato che Frasca cogliee documenta, c’è consapevolezza nella diplomazia ita-liana, e a denunciarla con lucida efficacia, ma senzagrandi risultati, è Dino Grandi.

La caduta della monarchia, cui segue un quadrien-nio convulso, il “biennio rosso” e il “biennio nero”, de-stinato a sfociare nella guerra civile, porrà il proble-ma in termini nuovi, ma sarà anche stimolo a una piùattenta considerazione delle cose spagnole, da cui trar-rà spinta il massiccio impegno di Mussolini nel conflit-to tra le due Spagne, assai dispendioso per l’Italia peruomini e mezzi impiegati, ma che tuttavia non incide-rà sugli orientamenti di fondo della politica franchistache, nella sua sanguinaria durezza e nella sua reazio-naria coerenza, resterà refrattaria alle suggestioni e alleseduzioni ideologiche dei suoi alleati fascisti e nazisti.

Ugo Frasca, col suo documentato studio su una fasebreve e pressoché ignota dei rapporti tra Italia e Spa-gna, ha dato un contributo di notevole interesse allaconoscenza di una pagina di storia che è ancora ingran parte da ricostruire.

È incredibile il comportamento di Di Nolfo, autoredel manuale Storia delle relazioni internazionali 1918-1992,in cui scrive esattamente quanto contestato a me, cioèche Primo de Rivera cadde effettivamente nel 1930 e nonnel 1928, come invece asserisce nel verbale di confermache mi riguarda (sic!). Allora, il mio avvocato gli comu-nicava: «Come Lei, cadendo in contraddizione con sestesso, abbia potuto criticare così aspramente l’elabora-to del dott. Frasca su un concetto da Lei stesso afferma-to in altra sede, resta davvero incomprensibile e destaserissime perplessità».

Dove siete “professori” Pastorelli e D’Amoja, “giudi-ci”, Mangano, Durante, De Sanctis e Redivo, “giornalista”

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Froio, “prefatore” Simone, “Editori Riuniti” e “onorevo-le” Galante?

Poi, al convegno Il mondo visto dall’Italia organizzatoa Milano dal 19 al 21 settembre 2002, Alfonso Botti, di-rettore della rivista «Spagna Contemporanea» dell’Istitu-to Gaetano Salvemini di Torino, che aveva promosso lamia pubblicazione, addirittura la tralasciava tra i contri-buti storiografici, come evinto nel testo curato da Ago-stino Giovagnoli e Giorgio Del Zanna. Primo de Rivera,infatti, era presentato dal monarca iberico a VittorioEmanuele III come il Mussolini spagnolo, un passaggioda me indicato a pagina 25, mentre la sua frase, «nel1925 Bottai incaricò Carlo Boselli di seguire le vicendespagnole per Critica fascista», è sostanzialmente individua-bile alla 26 del mio libro: «Carlo Boselli, incaricato daGiuseppe Bottai nel 1925, di seguire sulla rivista “CriticaFascista” gli avvenimenti iberici», senza alcun richiamoancora una volta al mio lavoro di due anni prima. Dichia-rava che «allo stato attuale non esistono studi che con-sentano di affermare, come invece è stato fatto, che daparte del fascismo vi fosse un’attenzione particolare perle vicende spagnole», non indicando le mie conclusionie il loro carattere più articolato, pur facendo capo al-l’idea che, per il fascismo, la Seconda Repubblica avreb-be potuto favorire un avvicinamento tra Parigi e Madrid.Temi che avevo affrontato ampiamente, come quelli deirifugiati antifascisti in territorio iberico e del disinteres-se italiano per la Spagna, se non nell’ottica di conteni-mento della Francia, come lo stesso Grandi, riferisceBotti, scriveva il 26 aprile. Un contenuto da me già an-ticipato a pagina 207, con attinenza a una fonte d’archi-vio (ASMAE, CG, Diario 1929-1932, b. 22, f. 90, sf. 33),non indicata dal Direttore. Egli, allo stesso modo, nonsegnalava le moltissime fonti su altre problematiche, so-prattutto richiamando i Ricordi 1922-1946 di Raffaele

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Guariglia (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1950) allepagine 194-195, in relazione alle istruzioni inoltrategli daMussolini. Trascurava cioè il mio suggerimento della pa-gina 227, naturalmente in un ambito di ricerca molto piùesteso, ove è considerata l’altra opera del diplomaticoitaliano, Primi passi in diplomazia e rapporti dall’ambasciatadi Madrid, 1932-1934, (Edizioni Scientifiche Italiane, Na-poli 1972).

Come si giustifica ciò specie quando si continua adiscutere di laicità, cattolicesimo, censura, antifascismo ealtro? Prof. Botti, quali furono i suoi rapporti con DiNolfo, direttamente o indirettamente, nella fase succes-siva al contratto? Eppure, del rinomato Istituto torinese,si legge:

Nel richiamarsi idealmente a Gaetano Salvemini havoluto riunire una pluralità di valori e di riferimenti.Innanzitutto il saldo ancoraggio agli studi storici comeobiettivo prioritario di una ricerca che non si disperdanelle suggestioni dell’attualità politico-culturale, e, in-sieme, la determinazione di unire il rigore dello studiocon l’impegno dell’intellettuale che fa della propria co-noscenza strumento di partecipazione alle lotte civili eideali del proprio tempo. Inoltre, nella vicenda perso-nale del Salvemini maestro di cultura storica e di eticapolitica, si è voluto ritrovare ed evocare i fondamentidi una larga parte del pensiero laico italiano. (http://www.istitutosalvemini.it/Presentazione.html 03/04/2011).

Ironia della sorte, e fatto eclatante, il mio testo sul-la Spagna con l’altro, La questione palestinese e la politicadelle grandi potenze, costituivano l’oggetto di lodi lusinghie-re da parte del prof. Luigi Filippelli, presidente di Giu-ria del Premio letterario “Giano”, conferitomi nel mag-gio 2006 a Formia, e descritto da Piera Casale. La moti-vazione era: «Attentissimo alle ricostruzioni di ampio re-

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spiro su saldi supporti documentari, ma anche sensibilis-simo alla logica delle tessiture diplomatiche e, nel primostudio, alle peculiarità culturali ed ai connotati psicolo-gici dell’universo arabo, il Frasca si colloca fra gli storio-grafi più seri e meglio informati di questi anni». La miaindagine sul Paese iberico, come le altre ricerche conte-state in precedenza, furono accolte positivamente pure alconcorso per professore associato del maggio 2002 nelladisciplina M. STO/04, presso la Facoltà di Scienze Poli-tiche dell’Università degli Studi di Pisa (D. R. n. 01-614del 25 maggio 2001, Bando A. 01.02, Gazzetta Ufficiale,IV Serie Speciale, n. 46 del 12 giugno 2001). Altri “dan-ni” rilevanti, però, furono arrecati attraverso l’esito fina-le su Internet. Non sembrava emergere il valore scienti-fico della problematica palestinese, dato dall’analisi deiDocumenti Diplomatici Israeliani a suo tempo appenapubblicati, con particolare riguardo alle affermazioni delcommissario Elio D’Auria. Un fatto che lascia perplessio sgomenti e, quanto a ulteriori giudizi, le riserve nutri-te nei miei confronti, per la «vastità delle proiezioni te-matiche scelte e il necessario inquadramento metodolo-gico», non pare siano corrispondenti al vero. Dei tre la-vori presentati due interessavano periodi brevissimi.

Altri interrogativi potrebbero esser posti rispetto allevalutazioni di un altro concorso nella stessa materia pres-so la Facoltà di Lettere e Filosofia di Napoli (RelazioneRiassuntiva relativa al Bando sulla Gazzetta Ufficiale, IVSerie Speciale, n. 2 del 08.01.2002), ove decisi di nonrecarmi per continuare le prove orali, alle quali si è avolte ammessi ma con titoli già non sufficientemente sti-mati. Occorrono presenze per fare scena? In particola-re, mi si contestava la modesta attività didattica, cheavrebbe raggiunto livelli altissimi di apprezzamento daparte degli studenti, anche con valutazioni anonime econ voti oscillanti tra il molto soddisfatto e l’estremamen-

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te soddisfatto. Cosa sono i seminari tenuti ogni annonella cattedra di afferenza? E cosa dire delle critichedella prof.ssa Maria Gabriella Gribaudi al mio operato?Contraddicendo altri pareri e spinta probabilmente dadifferenti “necessità”, osservava che «il candidato ha af-frontato temi inerenti alle relazioni internazionali attra-verso fonti diplomatiche, senza tuttavia pervenire a qua-dri interpretativi di grande rilievo. La sua produzione sto-riografica appare poco consistente».

L’opinione della signora forse è dovuta al fatto dinon conoscere la fama, sul piano storico, politico e gior-nalistico del prof. Gaetano Arfè, e le sue considerazio-ni generiche non hanno tenuto nel debito conto ancheil valore dei menzionati Documenti Diplomatici Israelia-ni, a proposito dello scontro arabo-israeliano, in uno sfor-zo di prospettiva storica che dà al lettore un quadro d’in-sieme. Incomprensibili in tal senso, dunque, appaionopure i commenti del prof. Rosario Spampanato mentrei riferimenti di Paolo Macry, alla mancanza di coerenzae continuità della produzione scientifica, si scontrano conlo sforzo profuso in tre tematiche differenti, secondo unapproccio che dovrebbe caratterizzare ogni studioso. Eperché, infine, avrei dovuto partecipare a incontri cultu-rali se, quasi sempre, sono noiosi e organizzati non ra-ramente per sprecare risorse pubbliche e conferire unasterile visibilità ai presenti? Nonostante le significativedisapprovazioni, risultavo meritevole di interessamento aifini della valutazione comparativa. E io non mi presen-tavo!

Ero invece commosso da una lettera degli studentiindirizzata al Preside, in cui esprimevano gratitudine perl’attenzione da me dimostrata e il metodo didattico adot-tato, sottolineando l’avvenuta crescita intellettuale non-ché l’interessante e umana esperienza. Un’emozioneaccresciuta dalla stima per l’estrema disponibilità e gli

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stimoli allo spirito critico, testimonianza che rispecchial’amore cioè il senso profondo di un impegno controcui s’infrangono le contraddizioni apparenti o reali delsistema.

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Napoli, e poi muori!

Il mio vissuto partenopeo è stato contrassegnato damomenti oscuri in seguito al verificarsi di presunte irre-golarità o illegittimità, denunciate in gran parte ancorauna volta con l’aiuto dell’avvocato il 29 maggio 2002,grazie a una nutrita documentazione. Solo in qualchecaso i dubbi sono stati chiariti, senza indagini di rilievo,perché prive di un riscontro umano con il sottoscritto eper il mancato, incisivo, diretto intervento del rettoreGuido Trombetti. Infatti, il mio disappunto, esternato nelConsiglio di Facoltà di Scienze Politiche del 10 giugno2002 (prot. n. 730), e l’iniziativa legale sortivano nient’al-tro che deludenti e insoddisfacenti risposte (12/06/02037104, Presidenza prot. n. 711 del 06/06/02), in unasituazione ormai insostenibile in cui tutti “tacevano”. In-vocavo la necessità di organizzare un convegno sul temaUniversità, Questione Morale e Politica con l’intento di con-tribuire a ridare credibilità alla cultura per un Ateneoforte, che rimpiazzasse il “Palazzo” ormai cupidamenteripiegato su stesso e non in grado di dare indirizzi a unasocietà in crisi.

Scienze Politiche e la “Federico II”, ritenevo, nonpotevano permettersi in un momento storico così delica-to di non riflettere e operare, rivedendo le “regole inter-ne” che ne appesantivano o ne impedivano lo slancio, avantaggio dell’incoerenza e della falsità. Esse mi appari-vano legate a unanimità ottenute a volte con la paura,

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mista alla consapevolezza d’impotenza e agli interessi diparte. Altro che libertà e diritti dell’uomo, celebrati difrequente nelle assise da docenti presumibilmente attentia salvaguardare l’immagine!

Molti punti davvero raccapriccianti non furono af-frontati e risolti come auspicato: ritardi, disguidi ammi-nistrativi e verbalizzazioni che potevano essere gestite inmodo da non lasciar emergere sfumature, in vista di unconsenso realizzato da “allineati” con un quorum cui nonci si poteva sottrarre, dovendosi giustificare se assenti.Cionondimeno, va precisato, mi fu consentito di riporta-re per iscritto i miei interventi, benché avessi chiesto in-vano di registrare le sedute, mentre ero anche invitato,per me ingiustificatamente, a zittire con la minaccia, senon ricordo male, di un ricorso alla polizia. Quanto poial mancato rilascio dei verbali entro le scadenze previste,si può ipotizzare che esso possa essere opportuno perrivederli, limando le eventuali responsabilità prima direnderli pubblici e magari dopo la scadenza dei terminiper un ricorso in sede giudiziaria oppure per rallentar-lo o scoraggiarlo. Si sostenne pure che non avevo maitrasmesso una mia particolare comunicazione al Consigliodi Facoltà, che invece era stata regolarmente protocolla-ta in Presidenza.

In qualità di rappresentante dei ricercatori, reputainecessario che i fatti esposti fossero posti all’ordine delgiorno dei Dipartimenti e dei Corsi di Laurea affinchétutti, ma specie i tantissimi colleghi, ne potessero avereadeguata e tempestiva conoscenza, discutendo e inoltran-domi ufficialmente i loro suggerimenti. Ciò non accade-va e non acquisii, come desiderato, la lista dei nomi ditutto il personale, allora non aggiornata sulla Guida dellostudente. Non potendo avere gli indirizzi privati, il risul-tato fu che ogni mezzo di divulgazione effettiva era “con-trollato”, non essendo affatto appagante il deposito, pres-

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so il preside Tullio D’Aponte, della mia nota con gli al-legati annessi, con i quali esplicitavo la mia totale disap-provazione. Essa era ribadita nel marzo 2005 nei confron-ti di ogni tipo di proposta relativa alla programmazionetriennale, dopo aver sottolineato la necessità che fosse-ro coperte, con un titolare, due cattedre afferenti al set-tore scientifico disciplinare SPS\02, affidate a supplenza.

Alla richiesta del relativo verbale non corrispondevauna tempestiva risposta scritta e ciò si aggiungeva allevoci, che mi pervenivano, circa gli ostacoli frapposti allamia elezione in Consiglio di Facoltà. La sfiducia al neo-eletto preside, Raffaele Feola, era ancora una volta ine-vitabile (Presidenza, prot. 144 dell’11/03/05), benchéaugurassi contemporaneamente importantissimi, incisivi eseri segnali di rinnovamento, che avrebbero dovuto coin-volgere tutti. Ero molto ingenuo e, anche rispetto alCorso di Laurea in Scienze Politiche, evidenziavo unorientamento «enigmatico» e incomprensibile perché,quanto alle opzioni per la didattica, si alludeva a criteriorizzontali e verticali che certamente non aiutavano. Per-ciò le considerazioni apportate dal prof. Matteo Pizzigal-lo, dissi, (Presidenza, prot. n. 125/05 del 28/02/05), scio-glievano qualche nodo soltanto nella direzione non gra-dita di un modo di fare che si compiva forse dietro lequinte, per ottenere successivamente l’avallo e le firmedei presenti. Lo stesso docente avrebbe beneficiato, in unsecondo momento, di un terzo posto di ricercatore a sca-pito probabilmente della prof.ssa Liliana Mosca, che nonne aveva uno. Un modo questo per aggirare la program-mazione iniziale?

La mia insoddisfazione si acuiva e così Feola mi do-mandava in che modo potessi contribuire al rilanciodella Facoltà. La mia replica era immediata, proponen-do la costituzione di una commissione per l’elaborazio-ne di un grande progetto volto all’apertura sostanziale,

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non limitata a noiosi simposi, al mondo esterno. In ef-fetti, l’Università degli Studi di Napoli Federico II nac-que nel lontano 1224 proprio con l’intenzione di guida-re la società verso orizzonti di giustizia e modernità. Pro-posi quindi che si andasse incontro ai disoccupati, almondo della detenzione, ai senza tetto, finanche provo-cando le istituzioni con proposte risolutive. Le stessequestioni internazionali avrebbero potuto suscitare l’in-teresse delle cattedre interessate, in primo luogo, quellaisraelo-palestinese solo per citarne una. Insomma, sugge-rivo di fare della nostra Facoltà e poi dell’Ateneo unasorta di faro in una situazione difficile e complessa comequella partenopea. Nacque così il «Progetto Elia» con cuiprospettavo al cardinale Camillo Ruini l’utilizzo di unachiesa in Roma per incontri e iniziative varie da concor-dare. L’obiettivo di fondo era quello di scorgere un var-co nell’arduo quanto interessante rapporto tra culturapiù specificatamente laica e messaggio cristiano. A certecondizioni l’dea fu accolta e pertanto informavo imme-diatamente il Consiglio di Facoltà in data 29 marzo 2006(prot. n. 143), che non sollevava problemi di alcun tipo.La stampa del manifesto-invito era anticipata dall’invio diuna copia, tramite fax, al Direttore del Dipartimento diScienze dello Stato e al Preside. Il primo, Francesco Ric-cobono, rispondeva per iscritto: «Nulla da eccepire», aparte la sollecitazione ad apportare correzioni (prot. n.214 del 23 maggio 2006), poi accolte, e il secondo: «Ot-timo lavoro».

La sorpresa sopraggiungeva nel corso del Consigliodi Facoltà del 27 giugno, soprattutto a causa di alcuniprofessori: Daniela Luigia Caglioti, vice di Riccobononella direzione del Dipartimento, e Andrea Graziosi, untempo appartenente a una piccola organizzazione ex-traparlamentare napoletana sciolta agli inizi degli anniSettanta e presidente della SISSCO, Società Italiana per

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lo Studio della Storia Contemporanea, nonché coordi-natore nazionale dell’ANVUR (Agenzia Nazionale perla Valutazione del sistema Universitario e della Ricer-ca). Essi intervenivano in modo critico rispetto al pro-getto, di cui erano stati distribuiti gli inviti, e dopol’esposizione del manifesto accompagnata da un picco-lo buffet voluto a mie spese, indispensabili pure per altreesigenze. La prima, in particolare, dichiarava che laFacoltà non si era mai espressa con un voto formalesul «Progetto Elia», benché il Preside ne sottolineasseil suo valore morale, precisando che avevo più voltecomunicato il tutto al Consiglio con l’incoraggiamentoe l’adesione di numerosi docenti. Concludeva che nonera stato necessario alcun voto perché nessuna iniziati-va era stata ancora concretamente intrapresa. Dato ilpreoccupante stato d’incertezza, gli chiedevo se potessicontinuare a divulgare il bel manifesto appena stampa-to, puntualizzando che l’iniziativa non era della Facol-tà, ma elaborata nell’ambito della medesima e riguar-dante la mia attività didattica e scientifica. In realtà, essasi prestava a differenti interpretazioni, quanto alla suanatura individuale o collettiva, e il mio scopo era quel-lo di lasciare campo libero agli altri nel definirne lanatura, in base alle loro preferenze. Non ottenevo ri-sposta scritta e, pur denunciando un violentissimo attodi aggressione rispetto alla vicenda, nessuno si appre-stava a esigere chiarimenti nonostante inoltrassi al di-rettore Francesco Riccobono una richiesta di convoca-zione urgente del Consiglio e una sua indagine. Qual-cuno rammenta oggi se fu rotto un vetro, se volaronosedie e se le urla di un uomo in preda all’ira, nei mieiconfronti, costrinsero alcuni professori a uscire dalle lorostanze assistendo a una scena inverosimile?

Egregio prof. Riccobono, cosa ne pensa? Si tratta diun abuso di potere o di altro? È d’accordo con me che

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tutto passa sotto silenzio se la corporazione è d’accordo?Guai eventualmente al più debole, per quanta ragione edentusiasmo di lavorare possa avere!

Nessuno ha mai avuto l’umiltà di scusarsi e inutileper me fu lo stesso ricorso al Prorettore e al Rettoredell’Ateneo. Il primo non rispondeva, con la nitidezzasperata, al quesito posto se fosse lecito oppure no divul-gare un manifesto-invito dopo l’assenso del Preside, quel-lo di massima del Direttore del Dipartimento e nessunaopposizione del Consiglio di Facoltà, avvisato tempestiva-mente. Del secondo, invece, non si aveva alcun tipo direplica e così il mio stato di affaticamento morale e fisi-co era indescrivibile, giorno dopo giorno, mese dopomese, aggiungendosi a una stanchezza di oltre un ven-tennio.

Mentre divulgavo con fatica il mio elaborato «Docen-ti inaffidabili?» (Dipartimento di Scienze dello Stato,prot. n. 315 dell’11 settembre 2006), informavo che ilDirettore aveva respinto le mie “pressioni” rispetto all’attodi aggressione presunto o reale, opponendosi pure all’op-portunità di porre all’attenzione il suddetto documentoe di consentirmi uno spazio per comunicazioni (Dipar-timento di Scienze dello Stato, protocolli numeri 261 del29 giugno, 314 del 7 settembre, 316 dell’11 settembre,329 del 21 settembre, 381 del 24 ottobre, tutti del 2006).

Purtroppo, dopo aver preso atto che all’ordine delgiorno del 24 ottobre non compariva alcunché, facevonotare le inaccettabili dichiarazioni del prof. Matteo Piz-zigallo, sul quindicinale di informazione universitaria«Ateneapoli» del 20 ottobre 2006 (p. 24), relativamentealla natura del Corso di Laurea da lui presieduto e defi-nito il frutto dell’«intesa e dell’impegno di una straordi-naria équipe di docenti. Un gruppo di colleghi che daanni rappresenta una delle costole della Federico II. Unacostola di sinistra, una costola di vero cambiamento ed

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innovazione» per «rappresentare un auspicio di pace,contro la miopia dello scontro di civiltà».

Professore, si tratta di un partito politico o di unoschieramento simile, il Suo Corso? È la stessa squadra dicolleghi verso i quali ho mosso azioni di vario tipo? Èuna corporazione o un’associazione? È opportuno cheLei specifichi i nomi, non essendo altri probabilmenteinteressati all’aggregazione. Indubbiamente c’è da pren-dere atto dell’accentuato spirito di “conciliazione” o di“mediazione” che La caratterizza, ma che non può esse-re adattato a situazioni accademiche né all’idea di paceche, lungi dall’ispirarsi a semplicismo e qualunquismo,nasce da una ridefinizione dei valori nel terzo millennioe non dal portare per mano il bene e il male, la men-zogna e la verità, garantendo alla prima la sopravviven-za. Un processo da compiere, sì, nel rispetto di tutti, mainevitabile e arduo, con prezzi da pagare per chi scegliedi andare controcorrente. Quante volte, nel corso dellemie opposizioni motivate e provate, ha preso parte con-tro il più forte? Mi pare mai, pur essendo dotato di gran-di doti di umiltà, solarità e affabilità. «Senatores boni viri,Senatus autem mala bestia», ricorda Enrico Vetromile nel-lo stigmatizzare che gli uomini, da soli, sono buoni, nonpiù tali se insieme. Ciò perché il gruppo ha le sue rego-le che non sempre coincidono con quelle della comuni-tà nel suo complesso; la prassi è di solito distante dalmodello di perfezione preteso dalle leggi dello Stato, chein molti casi è addirittura assente.

Non so come comunicare il grande disagio vissutoanche quando prendevo atto che non erano state da luiriportate, in qualità di segretario verbalizzante, alcunemie tassative istanze concernenti gli interventi critici diFrancesco Riccobono e Andrea Graziosi rispetto al «Pro-getto Elia» (Presidenza, prot. n. 300). Non risultava quel-lo risolutore di Tullio D’Aponte, sebbene ne avessi avan-

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zato per iscritto la puntuale notificazione, e ciò inficiavala mia posizione che risultava ingiustificatamente reatti-va, almeno in parte. Avevo chiesto al prof. Pizzigallo diessere molto preciso anche sulla questione dei manifesti-inviti, divulgabili o meno per il Consiglio, come sulle de-cisioni relative alle proposte specifiche già inoltrate, manon vi erano assensi espliciti attesi. In breve, l’impressio-ne era che si volessero evitare sia mie denunce nelle sediadeguate per risarcimento danni, qualora fossero emer-si i nomi dei responsabili, sia soddisfacenti autorizzazio-ni a procedere che non li avrebbero appagati.

Atteggiamenti forse volutamente ambivalenti per ilbisogno di tenere in piedi uno spirito corporativo in vi-sta delle elezioni alla Presidenza, per la quale il voto didue ordinari, per giunta di un direttore e di un presi-dente di Corso di Laurea, Riccobono e Graziosi, potevaessere determinante. In tale circostanza si potrebbe os-servare che il Diritto sia invocato solo per i più deboli,oggetto non di rado di una speciale affettuosità e genti-lezza, per l’assimilazione e la loro neutralizzazione.

I sentimenti però non possono essere strumentaliz-zati. Vero, prof. Pizzigallo? Pur riconoscendo la Sua pro-fessionalità, medito su quanto abbiano potuto apprez-zare Pietro Pastorelli ed Ennio Di Nolfo, suoi commis-sari in un concorso di ordinario, un libro di centopagine circa che costituiva l’unica novità, pare, rispet-to alle pubblicazioni precedenti. Una riflessione utilesolo in relazione ai criteri di valutazione e non peralludere alla bontà dei titoli. Ciononostante, quante volteha voltato lo sguardo altrove, ben sapendo come essied altri operassero nei miei riguardi? La mia amiciziareclama riscontri.

Il lettore potrebbe essere appesantito o addiritturadisturbato dalla descrizione di tanti dettagli, comunquefondamentali per inoltrarlo in una dimensione di cui si

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vuole evidenziare la violenza subdola che il Potere, nel-le sue innumerevoli ramificazioni, sovente esercita ancheai danni di persone preparate, delle quali si serve. Sof-frivo quotidianamente e un solo pensiero dava un sensoalle mie pene, quello di poterle descrivere un giorno,raccontando un malessere che probabilmente è simile aitanti altri di una società da riedificare. La vera rivoluzio-ne del terzo millennio consiste essenzialmente nella sal-vaguardia del diritto al lavoro, tale da rendere il cittadi-no realmente libero, assicurandogli un tetto e un pasto,l’istruzione e l’espressione delle sue capacità. Ciò presup-pone la fine del dominio: un tema antico.

Frattanto il 29 marzo 2007, iniziando il Consiglio diDipartimento di Scienze dello Stato, notificavo la mia sfi-ducia in ordine a ogni questione che sarebbe stata discus-sa, per il crescente disagio causato pure dai mancati chia-rimenti relativi ai fatti esposti in un altro mio documen-to, «Sono preoccupato...». Non essendo pervenuti, invi-tavo il direttore Riccobono a rassegnare le dimissioni conuna lettera a tutti (Dipartimento di Scienze dello Stato,protocolli numeri: 114 del 29/03 e 169 del 27 aprile,ambedue del 2007), che comportava la reazione del Pre-side Feola il quale, onesto nel riconoscimento dei limitiche incombono sul mondo accademico quando opportu-no, attestava che le mie «verità erano espresse con par-tecipazione, sofferenza e speranza per il futuro». Tutta-via, ottenevo un verbale addirittura senza le firme delSegretario amministrativo e di Riccobono, nonostanterisalisse a sette mesi prima, cioè all’ottobre 2006. Lo stes-so accadeva per quello del Consiglio del 29 marzo 2007e, benché sollecitassi per iscritto, data la loro competen-za specifica, la collaborazione dei professori GiacintoDella Cananea ed Elio Palombi, quest’ultimo ex magistra-to e avvocato penalista, non ottenevo risposte. Avevo sol-levato l’esigenza di conoscere sedi, tempi e strumenti per

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eventuali iniziative in mia difesa (Dipartimento di Scienzedello Stato, prot. n. 189 dell’11 maggio 2007).

La mancanza delle firme nel verbale era giustificatadalle modalità di accesso informale ex art. 12 del Rego-lamento di attuazione della legge 07.08.1990, n. 241, re-cante nuove norme rispetto al procedimento amministra-tivo e al diritto di acquisire i documenti. Non avendoindicato la motivazione per il rilascio né specificato altro,le mie richieste erano state esaminate, come recita l’art.12 c. 3, «immediatamente e senza formalità» e accolte,tramite la consegna di fotocopie, al fine di privilegiarela trasmissione rapida del contenuto degli atti, secondogli standard di assoluta trasparenza e pubblicità caratte-rizzanti l’attività del Dipartimento di Scienze dello Stato.Ma dico: che senso ha rilasciare copie senza firme? Acosa possono servire in sede giornalistica, giudiziaria oper capire semplicemente quanto accaduto in mia assen-za, se poi possono essere riviste o corrette, rischiando, chieventualmente le contesta, una querela per asserzioni odenunce compiute e smentite in un secondo momento?Si trattava di una puntualizzazione nuova.

Dopo una mia ulteriore istanza del 31 maggio 2007,relativamente a un altro verbale, mi si comunicava chepotevo prenderne visione nell’albo del Dipartimento,non essendo possibile averne una trascrizione in via in-formale immediatamente, non avendo io chiarito l’inte-resse connesso all’oggetto della domanda e i propositid’uso. Nel caso avessi insistito, avrei potuto rivolgermi alDirettore amministrativo. Insomma, questa volta non ave-vo il documento nemmeno senza firme e così il tempopassava. Mai accaduto! Perché lo stesso direttore Ricco-bono non aveva mai posto problemi di sorta in preceden-za? Si era trattato di ignoranza o vi faceva capo ora, al-l’occorrenza, per altre ragioni? Con mio stupore, comun-que, constatavo che l’art. 12 del Regolamento di attua-

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zione della legge 07.08.1990, n. 241, recante nuove nor-me in materia di procedimento amministrativo e di di-ritto di accesso ai documenti dell’Università di NapoliFederico II, non si riferiva alla possibilità di rilasciarli sen-za sottoscrizioni, ma alla facoltà dell’interessato di presen-tare la richiesta anche verbalmente, per l’assenza di dub-bi sulla sua legittimazione, indicando semplicemente gliestremi. Al comma 3, tirato in ballo dal Direttore, eraprevisto infatti che la stessa, «esaminata immediatamen-te e senza formalità, è accolta mediante l’indicazionedella pubblicazione contenente le notizie, o l’esibizionedel documento, estrazione di copie, ovvero altra idoneaformalità». Non notavo richiami a rilasci privi di firmee si precisava, all’articolo 13, che «qualora non sia pos-sibile l’accoglimento immediato della richiesta in via in-formale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del ri-chiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresenta-tivi, sulla sussistenza dell’interesse, sull’accessibilità del do-cumento, il richiedente è invitato contestualmente a pre-sentare istanza formale».

In definitiva, la differenza riguardava la proceduraverbale o meno per procurarsi un atto, nel mio caso dievidente soluzione, data l’appartenenza al Dipartimen-to, e benché io non avessi mai presentato una domandainformale ma per iscritto. È chiaro Della Cananea ePalombi?

Le firme, secondo chi scrive, vanno apposte sempree, a conferma di ciò, una volta sostituito Riccobono colprof. Domenico Sinesio, avrei ottenuto un verbale con lemedesime, come sarebbe accaduto ancora dopo. Intan-to però, se avessi voluto procedere nelle dovute sedi perchiarimenti, facendo valere in qualche modo i miei di-ritti, avrei avuto molti ostacoli da superare. Cionondime-no, per l’art. 27, comma 1, del Regolamento del Dipar-timento di Scienze dello Stato, il Direttore lo rappresen-

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ta, ne promuove e coordina le attività e, in caso di ne-cessità e di urgenza, adotta i provvedimenti opportunisottoponendoli alla ratifica al Consiglio nella prima adu-nanza successiva, esercitando pure le altre attribuzioniche gli sono demandate dalla legge, dallo Statuto e dairegolamenti. L’atto di aggressione da me denunciato inprecedenza, dunque, rientrava pienamente nelle compe-tenze non accolte, così come in quelle del Consiglio edella Giunta (articoli 28 e 29), quest’ultima avendo com-piti istruttori e propositivi nei confronti del primo, oltrea quelli di adottare delibere di sua competenza nellemedesime circostanze con gli stessi limiti.

Ordinari, “maestri” e “dottori” dove eravate?Quanta tensione e spossatezza nel cercare leggi e

norme e quale “silenzio” intorno a me! Cercavo di re-sistere perché il logoramento era ormai veramente in-sostenibile, dopo oltre un ventennio di un’attività lega-le svolta parallelamente a quelle didattica e scientifica,che risentivano significativamente di paure, timori edifficoltà enormi, per non essere ingoiato da quello cheun mio collega definiva il “buco nero”. Ma, per giun-ta, ero sbalordito dal contenuto del verbale risalente al29.03.2007 in cui la prof.ssa Caglioti aveva portato aconoscenza del Consiglio che, per il Senato Accademi-co, l’istituzione di un Centro Interuniversitario di Sto-ria Contemporanea (Ciriec), sul quale il Dipartimentoaveva già deliberato nelle sedute del 20.04.2006 e del24.10. 2006, era realizzabile con l’assunzione di tutti glioneri finanziari. La proposta era stata approvata all’una-nimità e seduta stante.

L’assenza di firme, nella copia rilasciatami, mi indu-ceva a inviarla al Preside e immediatamente il direttoreRiccobono convocava il 18 maggio quel Consiglio chesolo il giorno antecedente aveva riferito non essere pos-sibile. In verità, in quello del 20.04.2006, i professori

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Caglioti e Graziosi avevano, sì, presentato l’iniziativa inquestione, che avrebbe visto la partecipazione della signo-ra Gribaudi già segnalata criticamente in questa sede aproposito di una mia prova concorsuale, ma non pesan-do sui fondi del Dipartimento. Anche nella seduta del24.10.2006 il secondo aveva richiamato l’attenzione sul-l’importanza di sostenerla, attraverso i contributi degliaderenti, e invece in quella del 29.03. 2007 il finanzia-mento “ricadeva” sul Dipartimento. Riccobono comuni-cava che erano intervenuti fatti e interpretazioni che im-ponevano una revoca e, quindi, non avevo sbagliato nelmanifestargli la mia sfiducia in ordine a ogni argomen-to da discutere quel giorno.

Ancora oggi non riesco a comprendere il resto delverbale, specie nella parte per me contorta esposta daGraziosi, il quale riteneva che l’idea del Centro dovesseconsiderarsi decaduta per motivi tecnici, quanto al nometroppo generico e per la necessità di accentuarne il ca-rattere interdisciplinare. Elementi che sembrano pocorilevanti rispetto al nodo centrale, che pare si voglia elu-dere, cioè quello della sovvenzione in contrasto con lavolontà iniziale dei presenti.

Mi chiedo: non avevate deliberato all’unanimità? E allettore: riesco a trasmettere il sentimento di pesantezza,di tedio, in cui si può essere obbligati a lavorare? Ci sirende conto degli intricati meccanismi che si è costrettia sopportare?

L’intervento del prof. Francesco Forzati, penalistacome Palombi, rincarava la dose avvertendo che il prov-vedimento si prestava a una lettura diversa dalle interpre-tazioni fornite fino ad allora, poiché l’adesione al Cen-tro era stata data senza assunzione di impegni economi-ci, contenendo di conseguenza una dichiarazione falsa.Parole forti, solo attutite dalle scuse successive, mentre ilprof. Della Cananea lasciava l’aula, forse estremamente

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imbarazzato, e la prof.ssa Caglioti ribadiva che la formu-lazione della delibera costituiva una clausola puramenteformale «senza risvolti concreti dato che lo Statuto delCentro non ne prevede il finanziamento ordinario conle risorse delle strutture aderenti». Insomma, aveva unvalore solo apparente la decisione del 29.03. 2007 delConsiglio?

È prevista dal Diritto la possibilità che non abbia al-cuna valenza sostanziale quella presa da astanti che poila contestano? Cosa è accaduto? Se il problema non fos-se stato sollevato, la decisione non avrebbe avuto forzagiuridica con tutti i vantaggi per le cattedre di Cagliotie Graziosi? Essa fu comunque annullata, mentre il diret-tore Riccobono avrebbe anticipato la fine dell’incaricoper motivi di studio.

Sono tutti elementi validi, quelli narrati, ai fini diuna riflessione che abbia un respiro ampio, oltre le con-tingenze che interessano la vita di una Facoltà o addirit-tura di un Ateneo, non solo rilievi “tecnici” ma indizi diuna realtà che per me è stata causa di ansie continue eincessanti. Pesi come macigni imposti da un Potere che,se vuole, può muovere critiche ai lavori di uno studiosoper la scarsa scientificità o forzare la lettura di leggiper stabilire che qualcosa non va in essi, grazie all’omertàdei colleghi quasi sempre cortesi come molti tra quellicitati.

I propositi dell’Università degli Studi Federico II,previsti dal Codice di condotta per la prevenzione delmobbing (D.D. n. 466 del 29.03.2007, in particolare, ar-ticoli 1-3), sono quelli di garantire ai lavoratori un am-biente sereno, nel quale le relazioni interpersonali sianoispirate a principî di correttezza ed eguaglianza nonchéal reciproco rispetto, sia della libertà che della dignità,salvaguardando il diritto alla tutela da qualsiasi atto ocomportamento che abbia un effetto pregiudizievole o

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che discrimini anche indirettamente. L’idea di salute,cioè, è quella di un benessere psico-fisico, che producauna sufficiente realizzazione delle potenzialità di ognu-no, prevenendo e contrastando l’insorgere di azioni le-sive riguardo all’organizzazione del lavoro e alle singolerelazioni interpersonali. Conseguentemente, coloro i qua-li assistono a fenomeni di mobbing hanno il doveremorale di intervenire in difesa della vittima e i respon-sabili delle strutture quello di favorirne la prevenzione.Gli organi centrali e periferici dell’Università e i dirigentidiffondono e garantiscono il rispetto del Codice di con-dotta.

Questo sulla carta!In realtà, il 13 settembre 2006 scrissi al rettore Guido

Trombetti, dopo un nostro casuale colloquio per strada,che «ormai lo stato dei rapporti in campo accademico haraggiunto livelli insostenibili. Una “mafia” vera e propriache, con le sue regole consolidate e lo strumento delpotere imposto in ogni senso, blocca lo sviluppo delleidee e del sapere» e se l’anima è impegnata diversamen-te, l’Università, il giornalismo e la politica muoiono. Ag-giunsi che purtroppo anche le verbalizzazioni possono es-sere distorte, rendendo irreprensibili giuridicamente gliatti utili per denunce, con rilasci difficili oppure ostaco-lati da personale accondiscendente e complice. Ero fidu-cioso ma non mi rendevo certamente conto di quello chesarebbe accaduto in seguito con lo scandalo della “mun-nezza”, che mi avrebbe dato ragione. Gli confessai, inol-tre, che non lo avevo votato alle ultime elezioni, annullan-do la scheda, essendo stato impressionato molto negativa-mente dalla sua “assenza” quando, anni prima, con uncentinaio di documenti circa, avevo elencato fatti dal miopunto di vista gravissimi. Gli comunicai che non mi ave-va nemmeno interpellato per un conforto umano, doven-domi accontentare quindi delle soluzioni, per me insuffi-

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cienti benché molto chiare, del prorettore Vincenzo Pata-lano. Infine, ripetevo quanto fosse forte lo spirito corpo-rativo in ambito universitario, riconoscendogli la familia-rità con la quale aveva accolto in Via Mezzocannone ilmio dispiacere. Ciò mi aveva indotto a invocargli rispostelimpide, esaurienti e motivate, ma soprattutto prive dialtre incombenze burocratiche, che ormai rientrano, se-condo me, in una strategia del Potere volta a ostacolaree frenare chi cerca giustizia contro gli interessi costituiti.In effetti, se non erro, fu proprio lui a suggerirmi unincontro e così, entusiasta, mi recai varie volte presso lesue segretarie per le quali, tuttavia, il Rettore a volte eraimpegnato, altre era appena andato via, lo stava per fareo non era presente in città. Dovevo attendere un cenno,mi si diceva, che ahimè non sarebbe più arrivato. Lo stes-so si verificava rispetto a un’altra mia missiva, in cui miscusavo per i toni troppo forti impiegati nella preceden-te, e così comprendevo e avvertivo la gravità del momen-to provando un malessere anche fisico tale da costringer-mi, un pomeriggio, ad appoggiarmi materialmente al pa-lazzo centrale dell’Università, quello che nella parte altacustodisce bellissime ed eloquenti sculture tra cui, in unangolo del timpano, un gruppo di serpenti agguerriti eun uomo con un bastone che cerca di tenerli a bada. Ca-pivo che non avevo scampo, che lui, Trombetti, non “esi-steva” e perciò non mi rappresentava. Constatavo che lamia unica possibilità sarebbe stata quella di scrivere, nonfidando più nell’appoggio di una qualsivoglia autorità, nécontando sull’apporto della polizia, che può accorreresolo in situazioni di pericolo incombente, o su quello deiricorsi giudiziari con i tempi lunghi e le eventuali amici-zie tra docenti, magistrati e avvocati. Un vero e propriosistema!

Nell’adunanza del Consiglio di Dipartimento diScienze dello Stato del 9 dicembre 2008, il direttore,

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Elio Palombi, succeduto a Domenico Sinesio, si rivol-geva a tutti affinché indicassero soluzioni per incenti-vare la ricerca scientifica. Nulla in contrario, era giu-sto, ma dichiaravo che occorresse vigilare accuratamentein Consiglio di Facoltà sulla destinazione delle risorse.Si può aver bisogno di noi e del nostro lavoro perottenere fondi, non sostenendo con la medesima de-terminazione i criteri meritocratici nel premiare carriere(Dipartimento di Scienze dello Stato, prot. 2009/0097195del 16/07/2009).

La vita dell’Accademia, come immagino quella diogni altro ambiente lavorativo, è pervasa di sospetti, dub-bi, incertezze, nello stesso tempo in cui si formano grup-pi tendenti a competere per il Potere, che assicura van-taggi da legittimare quasi sempre con la copertura legi-slativa. Le “operazioni” si conoscono in giro, ma difficil-mente possono essere dimostrate e, data la sfiducia or-mai nutrita nei riguardi di tutti, la comunicavo a Palombipregandolo di rassegnare le dimissioni (Dipartimento diScienze dello Stato, prot. 2009/0008549 del 23/01/2009)poi sopraggiunte, non avendo riscontrato in lui risoluzio-ne sull’incentivazione alla ricerca e sui criteri di destina-zione dei fondi. Un nodo molto serio da sciogliere chesi aggiungeva a un altro.

Infatti, sollecitavo gli organi competenti al rilascio delverbale relativo al Consiglio di Facoltà del 24 settembre2008, per sapere cosa fosse accaduto. La risposta era ne-gativa dato che la mia motivazione, consistente nel-l’«avere conoscenza delle decisioni adottate e commen-tarle nelle sedi opportune» era ritenuta generica. Nonrisultava cioè, dalla medesima, un mio «interesse diret-to, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazio-ne giuridicamente tutelata e collegata al documento in-tegrale al quale è richiesto l’accesso; quanto ai contenu-ti del suddetto verbale relativi a terzi, non vi sono ele-

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menti da cui risulti che tale accesso è necessario per latutela di interessi giuridici della S. V.

Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 24, comma3, della Legge n.241/1990 e s.m.i. “non sono ammissibi-li istanze di accesso preordinate ad un controllo genera-lizzato delle pubbliche amministrazioni”» (24/02/09,0023539, UNINA FEDII, U.R.P. Tit. I/8).

Insomma, per avere un atto, dovrei andare a consul-tare la legge, interpretarla, incaricare un avvocato e se-guire la pratica? No, lascio al lettore la mia domanda: Sein una Facoltà sono adottate scelte lecite e legittime, chemale c’è nel visionarle? Diversamente, se esse sono viziateo devianti rispetto al bene dell’Istituzione, non ho il di-ritto di conoscerle per poterle eventualmente confutare?Non è questa la trasparenza della Pubblica Amministra-zione? Se, per ipotesi, si decide paradossalmente di de-stinare mille euro per il trasloco di una scrivania da unastanza a un’altra o di affidare una cattedra di Filosofiaa un matematico, magari col placet dell’intero Consigliodettato eventualmente da timore, pigrizia o indifferenza,io non ho il diritto di saperlo?

Naturalmente posso aver commesso errori nell’espor-re i fatti e ciò sin dalle prime pagine del presente lavo-ro; per questo anticipo le scuse e l’impegno per eventualirettifiche, se provati...

Un ulteriore disagio, comunque, mi attendeva allor-ché, dopo aver presentato la relazione triennale sull’at-tività didattica e scientifica il 18 dicembre 2008, passava-no cinque mesi per un “verdetto” che tardava a venire,mentre si reclamava la documentazione relativa che, peril D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 33, non pare sia ne-cessaria, intesa come titoli e pubblicazioni, se non peraiuti finanziari da me mai richiesti. Avevo in ogni casoconsegnato i miei testi in corso di ultimazione allaprof.ssa Elvira Chiosi, la quale, molto gentile e affettuo-

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sa, pur inoltrandomi un preziosissimo consiglio d’impo-stazione generale dopo averne letto uno, si asteneva dal-l’esporre formalmente un qualsiasi parere, utile in uncontesto contrassegnato da sospetti, diffidenza e tantissi-mi contrasti.

Il direttore Palombi proponeva così che si nominas-se una commissione atta a valutare la mia attività, ciò chenon si era mai verificato, ma il prof. Pizzigallo, in segui-to a un’accesa discussione con Graziosi, faceva notare chela prassi aveva sempre rimesso il giudizio al docente dellamateria o a quella affine. Allora, perché ulteriori ritardie incertezze che m’innervosivano non poco? Così, nelmaggio 2010, facevo presente al prof. Massimo Marrelli,candidato alla guida dell’Ateneo, che apprezzava notevol-mente le sue peculiarità nell’approccio umano, ma occor-reva una vera svolta in un ambiente, come quello acca-demico, in cui prevalgono conformismo e ipocrisia, nelmigliore dei casi, fino alla menzogna e alla negazionedell’evidenza, quasi sempre, quando la componente pro-fessionale è “distratta” o aggrovigliata da altro. Gli con-fessavo di non credere nelle riforme in questo momen-to storico, necessitando l’intero sistema politico nazionalee, per alcuni tratti quello internazionale, di radicali in-versioni di rotta per evitare un collasso. Esso sarebbe di-peso verosimilmente dall’anteporre la logica del Potere,imperniata sull’interesse particolare, a orizzonti di gran-de portata, per cui, in assenza di essi, il crollo prima opoi sarebbe stato scontato. Il corporativismo e il trasfor-mismo, la disponibilità nel dire oggi ciò che si è prontia rinnegare domani nelle sedi istituzionali e non, rendo-no tutto possibile, fattibile, lecito e ammissibile, portan-do allo sbando un’intera società.

La “munnezza” napoletana, aggiungevo, avrebbe po-tuto innescare un meccanismo finalizzato al coinvolgi-mento della borghesia partenopea, che assicurasse un

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riscatto, e non sarebbero stati i nuovi tecnicismi univer-sitari a risolvere problematiche complesse di natura po-litica, etica e ideologica, dando l’impressione di cambia-re qualcosa che non si vuole, non si sa o non si puòmigliorare. Marrelli, eletto successivamente Rettore, nonreplicava, pur avendo insistito sul valore della «reputazio-ne» attraverso il quale realizzare il cambiamento in unafase di crisi appesantita da tagli. Ma si è mai interroga-to sul perché di tanta reticenza nel mondo accademico?Non pensa che a intimorire siano i giudizi che i “capi”possono far pesare in caso di “ribellione” o di mancatoallineamento? Come fanno la ricerca e la creatività a cre-scere in questa condizione? E dopo secoli continuiamoa parlare dell’Inquisizione? Il mondo cosiddetto laico olaicista sa fare di meglio?

Con mio grande stupore, il prof. Benedetto De Vivointerveniva a proposito della mia «analisi impietosa» e,ben felice di avere un interlocutore, rispondevo di noncredere ormai nell’imparzialità della giustizia in situazionicontraddistinte probabilmente dal bisogno elementare disopravvivenza, che spinge ognuno ad accettare lo statusquo. Dichiaravo che potrebbe essere la paura il vero pi-lastro su cui poggia la stessa Università, essenziale per ali-mentare la piovra del Potere con “maestri” sovente anellidi congiunzione, garanti di “ordine” e “disciplina”, con-seguentemente rei di un appiattimento che praticamen-te si traduce in annullamento di professionalità. Questio-ni composite, scrivevo, associate a una mentalità “mercan-tile”, che crea danni enormi soprattutto alle nuove ge-nerazioni disorientate dalla “distruzione” di culture, nelmomento in cui cambiano continuamente le collocazio-ni politiche, per ragioni non comprensibili, o a causa del-l’opportunismo più bieco accompagnato da guadagnifacili e sulla pelle specie dei meno abbienti e della clas-se operaia. Prendevo le distanze, dunque, da ogni tenta-

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tivo di edulcorare la realtà con messaggi volti a ricono-scere ad “amici” contributi inesistenti e intrisi di omag-gi, esistendo prima di tutto il Diritto, la Giustizia e la Li-bertà!

Pensieri, questi, rivolti a un coraggiosissimo dottoredi ricerca intervenuto per apprezzare i miei punti di vi-sta, che trattavano argomenti elusi dai rappresentanti deiricercatori della Facoltà di Scienze Politiche. Molti altrieventi mi inducevano a riflettere sul valore effettivo del-le “promozioni” costruite non “vedendo” e con la prete-sa di curare un’immagine differente. Si contestava il Mi-nistero Gelmini per il taglio dei fondi alla ricerca o perquello delle risorse, indispensabili per avanzare professio-nalmente?

«L’acritica e ideologica avversione a ogni prospettivadi riforma universitaria», cui alludeva Armando Vittoriain una lettera, non pare tenga in conto chi affronta confatica i grovigli del sistema, che non può essere riforma-to salvaguardando il paternalismo e i subdoli soprusi dei“maestri”, ostacolando revisioni radicali. Sollecitavo per-tanto i colleghi a una maggiore presenza, non soltantoquando la protesta è “consentita” dalla gerarchia, poichéil grande cambiamento riguarda ognuno di noi nel rap-porto con la verità e nella capacità di non far finta diniente quando l’apparato si rannicchia miseramente suse stesso a causa del ritrarsi di tutti. L’elenco delle op-portunità mancate, delle “assenze” ingiustificate e dellestrategie di controllo volute dall’alto, sarebbe stato nutri-to se approntato con dovizia di particolari.

Ricordando il giuramento durante il fascismo dei do-centi, respinto solo da pochi, raccomandavo vivamente aGianluca Luise, di indubbie doti umane, di non inviarmipiù inviti a collaborare, essendo intento a seguire altrestrade, che si concentravano sostanzialmente nell’elabora-zione della presente pubblicazione. Essa volontariamente

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non è stata sottoposta alla valutazione “anonima” del peerrewiev, il mio nome essendo facilmente individuabile tratantissimi documenti, nonché al vaglio di un “comitatoscientifico” i cui membri avrebbero potuto avvertire ami-ci o colleghi menzionati, tentando azioni sgradite pressol’Editore. È stata preferita la cautela affinché questa cre-atura nascesse. Il pericolo è sempre in agguato.

Almeno tu nell’universo è una delle più belle canzonidella musica leggera italiana, interpretata da una soffe-rente Mia Martini, che sente e comunica efficacementela volgarità di coloro i quali non sanno fare altro chelasciarsi prendere dalla corrente dominante, rinnegando-la all’occorrenza, optando eventualmente per un’altra almomento opportuno:

Sai, la gente è strana, prima si odia e poi si amaCambia idea improvvisamente, prima la verità poi men-tirà a noi senza serietà, come fosse niente.Sai, la gente è matta, forse è troppo insoddisfatta se-gue il mondo ciecamente quando la moda cambia leipure cambia continuamente, scioccamente...

E, in un altro contesto, Dino Grandi confidava:

non ho mai subito il fascino “di stregone” che Mus-solini indubbiamente possedeva, ma l’ho consideratosempre come la sola e più grande forza di cui dispo-nesse la nazione [che] si era data a lui con la cecitàdi un amante, perché i popoli hanno le loro tentazio-ni come gli uomini, ignari del confine impercettibileche divide sovente la favola dalla tragedia. Pronti adarsi, a odiare dopo, ad aver nostalgie dopo ancora[...]. Delle glorie e delle sventure di cui è intessuta dal1915 al 1945 la trentennale storia d’Italia e la storiad’Europa, siamo responsabili tutti, fascisti e antifasci-sti, italiani e stranieri, vincitori e vinti [...]. I giovanivivi potranno allora giudicare serenamente i vecchi chesono e saranno morti. Soltanto allora potrà operarsi

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quella sintesi fra contraddizioni che si chiama la Sto-ria. La figura di Mussolini potrà risaltare, nel bene enel male, quale essa in verità fu. Sarà spezzata concoraggio la cortina insidiosa delle menzogne. Poi ver-rà la leggenda.

Il 9 settembre 2010 rammentavo al direttore Dome-nico Sinesio che da mesi chiedevo il verbale del Consi-glio del 20 maggio precedente (sic!) quando avevo rile-vato che «la crisi universitaria risente di quella esistentein quasi tutti gli ambiti della vita istituzionale e politicarispetto alla quale il ministro in carica non esprime com-petenza ma ignoranza. Non è col cambiare il nome delDipartimento o con altre iniziative che si risolvono o siaffrontano i meccanismi perversi che si annidano nellestrutture accademiche, trattandosi di nodi profondi ecomplessi». Avevo stigmatizzato che «le denunce realizza-te rispetto al discutibile andamento della Facoltà hannoincontrato, come risposta, negli anni, il silenzio e, puresprimendo disponibilità per il futuro», affermavo cheguardare avanti presupponeva orizzonti e “gambe” chenon intravedevo (Dipartimento di Scienze dello Stato,prot. n. 2010/0063849).

Avrei domandato il rilascio del documento ancorauna volta il 27 aprile 2011, ottenendolo debitamente fir-mato solo l’8 giugno 2011, dopo circa un anno. Intan-to, il nuovo preside, Marco Musella, invitava tutti a unariunione volta alla costituzione di un Dipartimento diScienze Politiche, ma il suo predecessore Raffaele Feola,sorridendo bonariamente, ricordava che ne esisteva unodi Scienze Politiche e Giuridiche.

In breve, iniziava lo scontro su chi dovesse guidarequanto sarebbe rimasto della Facoltà in base alle nuovenorme. Le mie previsioni si realizzavano e, in uno statodi generale confusione, durante il Consiglio di un Cor-so di Laurea del 12 settembre 2011, sollevavo il proble-

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ma circa la legittimità di un regolamento di Ateneo cheattribuiva la retribuzione ai ricercatori solo in caso disupplenze obbligatorie, principio non contemplato espli-citamente dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, all’art.6, che non sembra dia spazio a una discrezionalità in talsenso. Le decisioni erano adottate ugualmente e il pre-sidente Vittorio Amato lasciava che tutto seguisse il suocorso.

Nel frattempo, l’ANVUR (Agenzia Nazionale per laValutazione del sistema Universitario e della Ricerca) siera sforzata di enucleare i criteri per i concorsi di abili-tazione, approvati dal Consiglio Direttivo il 22 giugno2011. Un muro altissimo da scavalcare mentre bastereb-bero semplicemente una Commissione onesta, buonepubblicazioni e una didattica efficace. Invece, alla sezio-ne 3, si legge:

I candidati alle procedure di abilitazione scientifi-ca nazionale per le posizioni di professore associato eordinario devono possedere parametri indicatori diqualità della produzione scientifica, normalizzati perl’età accademica (anni a partire dalla data della primapubblicazione scientifica, tenuto conto di periodi dicongedo o aspettativa previsti dalle leggi vigenti e di-versi da quelli per motivi di studio, maggiori di 5mesi) superiori alla mediana dello specifico SettoreConcorsuale e della fascia (associati o ordinari) per cuichiede l’abilitazione, secondo le procedure di seguitospecificate (vedi Sezione 5).

Cosa significa? Un linguaggio oscuro e non com-prensibile per rendere certa e oggettivamente sicura unaserietà rara, ingabbiando le coscienze dei commissariche, attraverso la corporazione, possono eventualmenteeludere qualsiasi comma o articolo di legge? Il poverocandidato, ancora, dopo essersi sforzato di soddisfareogni requisito, è costretto a subire il potere della Facol-

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tà, che dovrebbe chiamarlo presto, pena la scadenza delperiodo di abilitazione. Ostacoli di ogni genere che loincitano probabilmente a cercare appoggi persino per ac-quisire contatti con riviste e Case editrici specializzate, incambio del “silenzio” in Accademia, di cui il “maestro”che lo segue è parte. Ciò rafforza la struttura gerarchi-ca, resa ancora più granitica, ma con forti condiziona-menti per la libertà di pensiero, che risente delle lineedel “caposcuola” e dei luoghi comuni da non rivedere osconvolgere. I forti legami della casta col mondo parti-tico completano l’opera poiché esso non subisce ilcontrasto illuminante della cultura, che soccombe. I mec-canismi tecnici asfissianti e “incontrovertibili” dunque,tramite i quali si vuole rendere migliore la ricerca, sonosuscettibili di rivelarsi generalmente nefasti e in parteinadeguati.

Anche il numero di pubblicazioni, secondo la Sezio-ne 5, punto 2, costituirebbe un parametro di esame e,per giunta, circoscritto agli ultimi 10 anni. Chi eventual-mente avesse dato prova di notevole bravura con un te-sto di 11 non avrebbe spazio oggi, pur avendo atteso peranni che i ritardi dello Stato si traducessero in competi-zioni concorsuali.

Il linguaggio del documento è ancora più brutto al-lorché stabilisce, nella stessa parte, che

la definizione di pubblicazioni scientifiche da adot-tare ai fini del parametro si riferisce alla pubblicazio-ne in sedi (riviste o case editrici) che utilizzino mec-canismi certi di valutazione ex ante di ogni prodottosottoposto, attraverso peer review, comitati editoriali diselezione o simili. Tuttavia allo stato della informazio-ne disponibile non è possibile assicurare il controllodi qualità di questi elementi. L’ANVUR è infatti con-sapevole del fatto che, nonostante esistano meritorieiniziative in tal senso, non sono disponibili repertoriconsolidati e validati relativi alle riviste pubblicate in

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lingua italiana e alle monografie, tali da consentireuna misura puntuale del rispettivo valore scientifico.

Allo scopo comunque di migliorare la capacità rap-presentativa dell’indicatore e sulla base delle informa-zioni disponibili, si suggerisce il seguente schema diponderazione:– monografia pubblicata da editore interna-

zionale (autore o coautore) peso 3,0– articolo pubblicato su rivista internazionale

(ISI o Scopus) peso 1,5– curatela di volumi pubblicati da editori

internazionali peso 1,2- monografia pubblicata da editore nazio

nale peso 1,0- articoli pubblicati su riviste internazionali

non ISI o Scopus peso 0,5– articoli o capitoli pubblicati su volumi na-

zionali peso 0,5

Nell’attesa della costituzione delle Anagrafe dellepubblicazioni scientifiche (ANPRePS), rispetto al para-metro numero di pubblicazioni si ricorrerà alla com-pilazione da parte del proprio sito docente CINECA,sulla base di Linee guida stringenti poste in esseredall’ANVUR al fine di assicurare, nei limiti sopra ri-chiamati, la natura scientifica delle pubblicazioni.

In Appendice è previsto che il profilo scientifico delprofessore associato contempli pure la partecipazioneattiva all’organizzazione di congressi internazionali o l’es-servi stato invitato e, inoltre, l’«autonomia sufficiente aguidare gli studenti nella tesi della laurea magistrale e didottorato», mostrando «in almeno un caso, capacità diattrazione di finanziamenti per la ricerca partecipandocon successo a bandi competitivi in qualità di coordina-tore locale, nazionale o internazionale, o documentatacapacità di conduzione e coordinamento di gruppi diricerca». Quanto al professore ordinario, egli «ha dimo-strato capacità di guida di un gruppo di ricerca caratte-

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rizzato da scambi a livello internazionale, ha guidato stu-denti al raggiungimento del dottorato di ricerca. È capa-ce di attrarre finanziamenti competitivi qualificanti inuna posizione di leader».

Come si può pretendere qualcosa che, in genere, sirealizza soltanto con l’esperienza di associato e di ordina-rio, livelli per i quali si concorre? E per chi ama la ricercae la didattica con ottimi risultati, senza “costrizioni” digruppo o di coordinamenti varî, non esistono chances? Èindispensabile realmente finire in un paniere di pesi,come al mercato? La qualità di un impegno, un’invenzio-ne o un risultato scientifico di rilievo possono essere sin-tetizzate persino in poche righe e la vera rivoluzione delterzo millennio consiste, in realtà, nel superamento digran parte degli sbarramenti che hanno frammentato ilsapere, tra declaratorie anguste, per chi intende offrireuna visione di insieme. La Storia delle relazioni interna-zionali o quella contemporanea sono un tutt’uno con ilDiritto, l’Economia, la Filosofia, la Psicologia, la Scienzapolitica o la Teologia. Il docente non può non avere taleformazione ed è questa l’Università cui bisogna tendere,oltre ogni comodo e fuorviante steccato eccessivamentespecialistico, ma limitato e limitante. In tal modo non“proteggeremmo” verosimilmente le tante branche chefanno capo a nomi “eccellenti” nelle varie materie, tra iquali gli addetti alle valutazioni dell’ANVUR, GiacintoDella Cananea e Andrea Graziosi, che ha scritto centinaiadi pagine interessantissime senza una sola nota, per ilpuntuale riferimento ai documenti esaminati. (L’Urss diLenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica. 1914-1945, il Mu-lino, Bologna 2007; L’Urss dal trionfo al degrado. Storia del-l’Unione Sovietica. 1945-1991, il Mulino, Bologna 2008). Èun’adeguata ricerca scientifica rispettosa dei canoni?

Ha ragione il prof. Francesco Lefebvre D’Ovidio,dell’Ateneo Sapienza di Roma, a comunicare il 24 set-

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tembre 2011 la sua opinione negativa sull’attività del-l’Agenzia, che riflette «una conoscenza molto approssi-mativa e burocratica [...] un impianto concettualmentee culturalmente errato sul piano generale, a parte lenumerose critiche che possono muoversi sui singolipunti». E, relativamente al peso minore di una pubbli-cazione in italiano rispetto a un’altra in una lingua stra-niera, magari svedese, come può una commissione «com-posta di persone competenti fare ricorso ad argomentitanto apparentemente apodittici quanto privi di riscon-tro nella realtà?» Concludendo, «si tratta di criteri eparametri illogici, semplicistici e arbitrari che richiedonoquanto meno precisazioni e correzioni», essendo «neces-sario fare ricorso a elementi più seri e realmente rileva-tori di tale impatto, non a criteri puramente presuntivi,basati per giunta su presunzioni arbitrarie e infondate»e perciò si evincono «i gravissimi limiti culturali deldocumento Anvur».

Uno stile, aggiungo, costruito all’insegna del miglio-ramento tra sigle e abbreviazioni incomprensibili chemanifestano la tortuosità di un approccio che è, de facto,deviazione dalla semplicità: evidence-based, CUN, SSD, blindreview, outlier, full counting e fractional counting, GoogleScholar, Scopus, ISI, indice h-IF, h-index, information re-trieval, Web-of-Science, GEV, VQR, ERIH, MIUR, CINE-CA, ANVUR, macrosettori, sottogruppi, ecc.

Avevano ragione alcuni grandi esponenti del pensie-ro politico contemporaneo nel dedicare attenzione alruolo della Tecnica, come sono attualissime l’Eclissi dellaragione di Max Horkheimer e l’idea che Ormai solo un Dioci può salvare di Martin Heidegger.

Dottori della legge, facilitate la vita al cittadino, evi-tate di appesantirlo, presumendo di partorire scienza eserietà, senz’altro in buona fede, ma salvando la corpo-razione.

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Meritevole di apprezzamenti è pure il dott. Giusep-pe Caputo per il quale, secondo la stessa Agenzia, «unostudioso che pubblica un saggio, ad esempio su DanteAlighieri in lingua italiana, riceverebbe una valutazionetre volte inferiore a chi lo pubblica in lingua straniera(qualunque essa sia) e ciò a prescindere dai contenutidella pubblicazione che non sarebbe neppure presa inconsiderazione nella prima fase di selezione. Qualcunopotrebbe immaginare che nel Regno Unito una legge disua Maestà stabilisca che i saggi su Shakespeare hannopiù valore se pubblicati in una lingua diversa dall’ingle-se?» Inoltre, acutamente osserva: «non importa il conte-nuto delle pubblicazioni, ma la loro quantità. Per otte-nere l’abilitazione un ricercatore verrebbe infatti spintoad aumentare il volume della sua produzione scientificae non la qualità dei contenuti. L’effetto di questa scelta,ben noto nel mondo anglosassone, è quello della cosid-detta salami pubblications: per aumentare il numero dilavori si spezzetta il contenuto di una ricerca in più ar-ticoli. Il peso scientifico di un lavoro non cambia, ma siaumenta in modo apparente la propria produzione».Insomma, una proposta, quella dell’Anvur, «controprodu-cente, ingiusta e paradossale».

Presidente dell’ANVUR, prof. Stefano Fantoni, emembri del Consiglio Direttivo: prof. Sergio Benedetto,prof. Andrea Bonaccorsi, prof. Massimo Castagnaro,prof.ssa Fiorella Kostoris, prof. Giuseppe Novelli, prof.ssaLuisa Ribolzi... non ho parole!

Un grande agomento da affrontare è quindi Univer-sità, Questione Morale e Politica poiché i sentieri della ret-titudine attualmente sono quasi del tutto ostruiti e ogniinnovazione, che non tenga conto di ciò, serve esclusi-vamente ad alimentare il disordine, dando solo l’impres-sione di cambiare ciò che invece si vuole difendere, constudenti e famiglie che pagano sempre più. Il problema

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è politico e investe la ristrutturazione dello Stato nel suocomplesso; perciò libri come quello dei giornalisti Davi-de Carlucci e Antonio Castaldo, Un paese di baroni. Truf-fe, abusi di potere. Logge segrete e criminalità organizzata. Comefunziona l’Università italiana, dovrebbero essere accompa-gnati da accuse della stessa intensità al mondo dell’edi-toria e soprattutto al rapporto non sempre limpido coni partiti politici, dato che l’onestà d’informazione spessoè seriamente compromessa. E quanta pubblicità, quantisponsor e quanto danaro pubblico sprecato per finanzia-re le testate, come segnalato da Grillo!

Il problema interessa l’intero Stato, non solo l’Uni-versità, e il diritto al lavoro ne è la radice. Cosa avvienein altri settori, per esempio, tra Carabinieri, Polizia, Fi-nanza, con figli e nipoti, e a riguardo di Ferrovie, Enel,Sanità, Spettacolo ecc.?

In definitiva, Carlucci e Castaldo, camminate pure“con le vostre gambe”, ma fatelo indagando contempo-raneamente nel “piatto in cui mangiate” dove c’è moltoda dire, con nome e cognomi del giornalismo, special-mente quando la verità è venduta, distorta o faziosa, ri-portando accuratamente dichiarazioni di redditi, ricchez-ze, sponsorizzazioni e collusioni varie.

Anche Andrea Graziosi, autore de L’Università per tut-ti. Riforme e crisi del sistema universitario italiano, non habrillato ahimè nelle conclusioni e, quanto alle proposte,spinge a meditare su quale ruolo abbia avuto, con Gia-cinto Della Cananea e altri colleghi, nel contesto parte-nopeo: di grande “timidezza” rispetto a questioni sostan-ziali e non solo apparenti.

I mali accademici sono il risvolto di una realtà dainquadrare nella sua totalità e perciò è una problemati-ca di valori pure quando discutiamo delle lauree brevi,della parcellizzazione della cultura e dei crediti formati-vi universitari. Una situazione che, per chi scrive, ha solo

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accresciuto l’ignoranza e il disagio di studenti e insegnan-ti sempre più confusi. Ha scritto, anni fa, il docente del-l’Università degli Studi di Torino, Luciano Gallino:

Un altro guaio è la trasformazione di molte facol-tà universitarie in altrettante direzioni marketing. Sonopressate da una cronica mancanza di fondi, inaspritadalle ultime Finanziarie. Se vogliono reclutare nuovidocenti; affittare aule; aprire laboratori informatici;tenere aperte le biblioteche comprando ancora uncerto numero di libri e riviste, le facoltà hanno unasola strada: attrarre il maggior numero di studenti, vi-sto che sulle tasse che questi versano all’ateneo essericevono circa la metà dell’ammontare. E al fine diattrarli si moltiplicano a dismisura corsi di laurea trien-nali e specialistici che promettono mirabolanti sbocchiprofessionali; si alleggeriscono al limite della decenzai carichi didattici e le prove d’esame - giudizio cheproviene sovente, si noti, dagli stessi studenti; si trasfor-ma la elaborazione della tesi di laurea, che equivalevaun tempo alla bella sfida di scrivere un libro, nellacontemplazione di brevi articoli o sunti di opere.

Una lucida analisi che invita a una riflessione appro-fondita circa la vita comunitaria nel suo insieme, in vi-sta della realizzazione di una maggiore giustizia sociale,che riconosca un’occupazione a tutti. Ciò per aiutarel’uomo e il cittadino a vincere lo spirito diabolico nasco-sto dietro l’affannosa ricerca del Potere, che rassicura incambio dell’anima fondamentalmente attraverso l’aggre-gazione cieca. Occorre liberarlo per mezzo di un rinno-vamento anche sul versante giuridico poiché, nella vitaprivata e pubblica, dovremmo pensare che siamo di fron-te all’Eterno. La nostra interiorità e il nostro comporta-mento, se possono sfuggire ai comandi e alle sanzionidella legge positiva eventualmente violata e impunemen-te, non lo sono rispetto a quella divina. È nel giusto per-ciò il prof. Giuseppe Ignesti quando afferma che «dob-

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biamo farci teologi, cioè comprendere i fondamenti te-ologici delle nostre conoscenze scientifiche. Solo a que-sto punto sarà possibile un autentico e utile dialogo conquanti nel nostro campo di ricerca e di insegnamentosono mossi da altre visioni ideologiche, religiose, cultu-rali».

L’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, dell’11aprile 1963, è certamente attualissima allorché evidenziache l’ordine morale ha origine in Dio e pertanto:

28. L’autorità che si fonda solo o principalmentesulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessae attrattiva di premi, non muove efficacemente gli es-seri umani all’attuazione del bene comune; e se anche,per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme allaloro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli eliberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve,quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, aldovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamen-te il suo contributo al bene di tutti. Sennonché gliesseri umani sono tutti uguali per dignità naturale:nessuno di esso può obbligare gli altri interiormente.Soltanto Dio lo può, perché egli solo vede e giudicagli atteggiamenti che si assumono nel segreto del pro-prio spirito.

29. L’autorità umana pertanto può obbligare moral-mente soltanto se è in rapporto intrinseco con l’auto-rità di Dio, ed è una partecipazione di essa. (Cf. Enc.Diuturnum illud di Leone XIII).

In tal modo è pure salvaguardata la dignità perso-nale dei cittadini, giacché la loro obbedienza ai pote-ri pubblici non è sudditanza di uomo a uomo, ma nelsuo vero significato è un atto di omaggio a Dio crea-tore e provvido, il quale ha disposto che i rapportidella convivenza siano regolati secondo un ordine dalui stesso stabilito; e rendendo omaggio a Dio, non cisi umilia, ma ci si eleva e ci si nobilita, giacché servi-re Deo regnare est. (Cf. ivi, p. 278; e Enc. ImmortaleDei di Leone XIII).

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30. L’autorità, come si è detto, è postulata dall’or-dine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sueleggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’or-dine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, essenon hanno forza di obbligare la coscienza, poiché “bi-sogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”; (At5,29) in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale edegenera in sopruso. “La legge umana in tanto è talein quanto è conforme alla retta ragione e quindi de-riva dalla legge eterna. Quando invece una legge è incontrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua;in tal caso però cessa di essere legge e diviene piutto-sto un atto di violenza”. (Summa Theol., I-II, q. 93, a.3 ad 2).

Lo studioso Adolfo Sassi, poi, in un testo coinvolgen-te dedicato al beato Karol Wojtyla, ne esalta lo sforzo tesoa superare «l’accademismo, il settorialismo e l’esploderedella conoscenza iperspecialistica, fortemente presentinella cultura, specialmente universitaria, dell’Occidente ein particolar modo in quella americana, dove il fenome-no trova la sua manifestazione più evidente, creando cer-velli asfittici e competenti solo di un minuscolo orticel-lo del sapere, al quale hanno dedicato tutta la loro esi-stenza creativa e da cui non risplende il valore dell’uni-versale», con la conseguenza che la specializzazione puòsortire semplicemente una «specificità incolore».

Allora, ci si interroga se la riforma dell’on. Gelminirealizzi i principî ispiratori di cui all’art. 1, concernentiappunto la «libera ricerca» e la «libera formazione». Èdavvero possibile conseguire una «elaborazione criticadelle conoscenze [...] per il progresso culturale, civile edeconomico della Repubblica», senza colpire il corporati-vismo in grado di aggirare qualsiasi legge? Si pensa sulserio che la presente pubblicazione possa essere graditaalle persone citate e collocate nei posti di comando? Enon si riflette sugli intralci frapposti alla carriera, doven-

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do sovente “retribuire”una Casa editrice, che lascia all’au-tore il dieci per cento dei diritti, (a eccezione di Alfre-do Guida Editore, che ringrazio per la totale libertà diespressione)? E cos’è l’abilitazione nazionale a scadenza,solo quattro anni, con un minimo di dodici pubblicazioni(art. 16)? E la qualità? Un candidato che propone untesto o due di cinquecento o settecento pagine non puòaccedervi, diversamente da colui che ha dodici articolicomplessivamente di duecento?

Ma quanti ostacoli! E poi la chiamata da parte del-l’Ateneo se e quando ci sarà! Si è davvero convinti diaver risolto i problemi della corruzione col codice etico(art. 2, 4.) per la difesa dei diritti individuali, contro gliabusi e le discriminazioni, e grazie ad altre misure disci-plinari (art. 10)? I finanziamenti privati all’Università(art. 9) la rendono ancora più vulnerabile?

E pensare che, durante un’azione di protesta a Na-poli contro lo stesso ministro, posi ai partecipanti il que-sito su quali fossero stati i contributi di Prodi nell’istru-zione e nella cultura, senza il minimo sospetto del rischioche correvo. In realtà, volevo sottolineare che le respon-sabilità appartenevano a tutte le forze di governo, mal’accaduto era oggetto di un’altra spiacevole esperienzapoiché la stampa riportava la notizia di un’aggressione,con sentimenti di solidarietà nei miei riguardi da parteanche di esponenti politici. Ne «Il Mattino» del 10 set-tembre 2008, invece, per l’articolista Diana Cataldo undocente universitario aveva strappato un volantino dallemani di una precaria urlando che le donne non sono al-l’altezza e invitandole a fare la calza. Chiarivo al diretto-re, Mario Orfeo, oggi del Tg2, che il foglio mi era statogentilmente concesso per la lettura né avevo pensato afrasi come quella suddetta; richiedevo perciò una rettifi-ca che sarebbe stata negata. In effetti, non era menzio-nato il mio nome nel pezzo, rinvenibile nelle altre testa-

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te, per cui la bruttezza dell’informazione restava e nonera sanzionabile.

Allo stesso modo, alcuni anni orsono, ho vissuto unaparentesi sgradevole a causa di un periodico edito pres-so il Comune campano di S. Maria a Vico, «La Tribuna»,che, dopo aver dato prova di notevoli lacune interpreta-tive e storiografiche, riferendo il mio pensiero, ha respin-to ogni possibilità di una controreplica alla propria delmaggio 2007, costringendomi a pubblicare l’ulteriorearticolo, Un bisogno di Assoluto... sulla “Pagina di Libertà”de «il Giornale di Caserta». Un’occasione, comunque bel-lissima, che mi ha permesso di saggiare la sensibilità po-polare verso temi spinosi e ancora scomodi per coloroche, fraintendendo o non intendendo, omettendo o cen-surando, nutrono forse ripicche e rancori pur avendo“conosciuto” la precedente partitocrazia. Una riflessione,si badi bene, di ampio respiro e di natura generale, cheovviamente coinvolge aspetti inerenti non soltanto all’uo-mo del Sud.

Tutto è da rifare e, alla luce dei danni ingentissimidi ogni genere subiti in circa venticinque anni, impegnatigiorno e notte ininterrottamente a vivere amarezze pro-vate oltre ogni immaginazione, con enormi fastidi chegravano ancora sulla mia stessa produzione scientifica, io,cittadino italiano, conformemente allo spirito della nostraCostituzione, domando alle autorità competenti di dirmicome seguire strade oneste in un mondo dove appaio-no impraticabili. Qualora non avessi soddisfazione in talsenso, a causa di atteggiamenti aleatori, retorici o di uneloquente, indifferente silenzio, sarò indirizzato versoforme atipiche di autotutela.

Il ricorso alla lotta armata è stato alla base di moltimomenti storici che hanno costruito la nostra nazione.Se esso non è riproponibile, per ottenere giustizia, indub-biamente è possibile sciogliere, sul piano morale ed en-

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tro certi limiti su quello giuridico, il patto che mi legaal Paese di appartenenza. Potrei non più sottoscriverlo,annullando conseguentemente, ove possibile, una qual-siasi eventuale responsabilità del mio trascorso accademi-co, prendendo le distanze da una realtà politica non ispi-rata, per certi aspetti, sostanzialmente al Diritto, ma pre-varicatrice e violenta. Essa, con la sua “illegalità”, mi con-sentirà di non sentirmi rappresentato in alcun modo inscelte che dovessero ispirare la vita economica, sociale,culturale e istituzionale, sia in ambito nazionale che in-ternazionale, poiché uno Stato occupato da logiche diPartito e da potentati di varia natura non può pretendereche l’individuo si comporti secondo modelli di trasparen-za e onestà.

Come ho già scritto in Gaetano Arfè tra storia e politi-ca, non ci si aspetta alcuna realizzazione in termini digiustizia sociale e disoccupazione né riguardo ai proble-mi degli anziani, delle donne, dei senza tetto e delle di-sabilità. Le scelte saranno in genere quelle di sempreanche sul piano europeo e internazionale, non dandoslancio e impulso a «una democrazia che, per moltiaspetti, tale non è».

La recentissima pubblicazione a cura di Marco Mu-sella, La fine è l’inizio. Storia ed attualità della Facoltà diScienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli, con ap-porti di alcuni suoi componenti non esenti da errori, haprivilegiato una lettura edulcorata, formale e superficia-le, insomma “accademica”, dei mali che l’attanagliano.Franca Assante, per esempio, non ha letto o ha dimen-ticato Le avventure di una biblioteca di Gaetano Arfè, men-zionando il triste episodio e l’ipotesi sia di «lungagginidella burocrazia» che di «inspiegabili malintesi». Ne con-segue, alla luce dei fatti esposti in questa sede, con i qua-li contrasta aspramente, un taglio di scarso valore scien-tifico, umano e professionale, per le serissime vicende

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omesse quanto al corporativismo, all’individualismo e allecattive logiche interne, nonostante l’impianto del testo,i propostiti e alcuni scritti siano interessanti.

I nuovi orizzonti in ogni campo impongono che sirenda giustizia prima di tutto alla verità, meditando su-gli insegnamenti della Divina Commedia e soffermandosi,in particolare, sui versi 64-66 del Canto XXIII dell’Infer-no:

Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,che Federigo le mettea di paglia.

Affido alla Storia il cambiamento inevitabile e al per-dono cristiano la possibilità di ricominciare.

Grazie

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Fonti

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Gaetano Arfè, Le avventure di una biblioteca, «Nuova Antologia», Ri-vista di lettere, scienze ed atti, Serie trimestrale fondata daGiovanni Spadolini, Gennaio-Marzo 2005, vol. 594o- Fasc. 2233,Felice Le Monnier – Firenze, pp. 135-137.

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Enrico Bellavia, Maurizio De Lucia, Il Cappio. Pizzo e tangenti stran-golano la Sicilia. E non solo. L’implacabile legge del racket nel rac-conto del magistrato che la combatte da vent’anni, BUR Rizzoli, Mi-lano 2009.

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Piera Casale, VI edizione del premio letterario Giano città di Formia, inMario Lucio Novelli (a cura di) Antologia Letteraria Moderna.“Collana di cultura dedicata alla Nostra Terra”. «Il Giornale

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Grande Dizionario Enciclopedico UTET, fondato da Pietro Fede-le, Torino, Terza edizione interamente riveduta e accresciuta,Unione Tipografico - Editrice Torinese, 1968-1972, vol. XVI-II, p. 766 (Tunisia); vol. VI, p. 756 (Egitto), vol. XI, p. 156(Lenin), vol. XII, p. 685 (Molotov), vol. XVI, p. 147 (Robe-spierre), vol. XVII, p. 685 (Stalin).

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Francesco Lefebvre D’Ovidio, Oggetto: Re: lettera circolare SISI,[25/09/2011 13:48:16 CEST], ad [email protected] e a69 destinatari, https://webmail.unina.it/horde/imp/message.php?index=20768, 26/09/2011.

Franca Mangano, Tribunale civile di Roma, Sezione Prima, senten-za nella causa civile iscritta al n. 48847 del ruolo generale pergli affari contenziosi dell’anno 1998, posta in deliberazione il

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30 gennaio 2002, notifica della sentenza del Tribunale diRoma n. 22097 del 31 maggio 2002.

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Indice dei nomi

Albónico Aldo, 54Alessi Marco, 54Alfano Angelino, 11Alighieri Dante, 91Amato Vittorio, 86André Gianluca, 54Andreotti Giulio, 46Angela Alberto, 10Angela Piero, 10Antigone, 18Arfè Gaetano, 21, 52, 53, 54,

55, 60, 98Assante Franca, 98

Barié Ottavio, 52, 54Bellavia Enrico, 46Benedetto Sergio, 91Berlusconi Silvio, 12, 34, 43, 44Boccassini Ilda, 43, 44Bonaccorsi Andrea, 91Bonin Longare Lelio, 27, 28Boselli Carlo, 57Bottai Giuseppe, 57Botti Alfonso, 57, 58Brenan Gerard, 54Broder Albert, 54Brundu Olla Paola, 24, 53, 54

Caglioti Daniela Luigia, 66, 74,75, 76

Calmette Joseph, 54Caputo Giuseppe, 91Carletti Tommaso, 27Carlucci Davide, 92Carocci Giampiero, 54Carr Raymond, 54Casale Piera, 58Casali Luciano, 54Casetta Giovanni, 54Casini Pierferdinando, 12Cassels Alan, 54Casson Felice, 45Castagnaret Gérard, 54Castagnaro Massimo, 91Castaldo Antonio, 92Castellani Pastoris Giovanni,

54Cataldo Diana, 96Catelani Alessandro, 13Catellani Enrico, 54Celotti Temistocle, 54Chiosi Elvira, 80Clemenceau Georges, 27Colarizi Simona, 46Còrdon Antonio, 54Cossiga Francesco, 46Craxi Benedetto, 42, 47Creonte, 18Cretella Louis Anthony, 26, 27,

28, 30, 36

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D’Alema Massimo, 43D’Ambrosio Gerardo, 29, 45Damocle, 30D’Amoja Fulvio, 26, 27, 30, 33,

34, 37, 41, 52, 53, 56D’Aponte Tullio, 21, 65, 69D’Auria Elio, 59De Felice Renzo, 54De Gasperi Alcide, 11Della Cananea Giacinto, 71, 73,

75, 92De Lucia Maurizio, 46Del Vecchio Edoardo, 54Del Zanna Giorgio, 57De Magistris Luigi, 44, 46De Rosa Gabriele, 25De Sanctis Giuseppe, 39, 41, 45,

56De Vivo Benedetto, 82Di Donato Giulio, 42Di Nolfo Ennio, 27, 34, 51, 53,

54, 56, 70Di Pietro Antonio, 11, 29, 45Donnini Guido, 52, 54Durante Osvaldo, 39, 41, 45, 56

Fantoni Stefano, 91Fassino Piero, 43Fazio Fabio, 10Feola Raffaele, 54, 65, 71, 85Figueros y Torres, Álvaro, con-

de de Romanones, 54Filippelli Luigi, 58Filippone Thaulero Giustino,

54Finocchiaro Anna, 47Fiore Carlo, 25Fiore Stefano, 25Forzati Francesco, 75Frasca Ugo, 33, 55, 56, 59Froio Felice, 33, 34, 37, 38, 39,

41, 52, 57

Galante Severino, 33, 34, 36,37, 52, 57

Galli Carlo, 18Galli della Loggia Ernesto, 42Gallino Luciano, 93García Delgado José Luis, 54García Sanz Fernando, 54Gelmini Maria Stella, 95Giacomardo Lucio, 39Giannini Amedeo, 54Gioberti Vincenzo, 49Giolitti Giovanni, 28Giovagnoli Agostino, 57Giovanni XXIII, 94Glanville J. L., 28Grandi Dino, 52, 56, 57, 84Graziosi Andrea, 66, 69, 70,75,

76, 81, 89, 92Greganti Primo, 29Gribaudi Maria Gabriella, 60,

75Grillo Beppe, 92Grozio Ugo, 19Guariglia Raffaele, 57Guderzo Massimiliano, 54Guillotin Joseph Ignace, 18Guzzanti Paolo, 11Guzzanti Sabina, 11

Heidegger Martin, 90Hitler Adolf, 11Horkheimer Max, 90

Ignesti Giuseppe, 93Imposimato Ferdinando, 47

Kostoris Fiorella, 91Kunkel Wolfang, 13

Lamennais Félicité Robert de, 49Lefebvre D’Ovidio Francesco,

54, 89

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109

Lenin Nikolaj, pseudonimo diVladimir Ilić Uljanov, 35

Leone XIII, 94Lloyd George David, 27Lorente Lorente Jesœs Pedro,

54Luise Gianluca, 83

Mack Smith Denis, 54Madariaga (de) Salvador, 54Macry Paolo, 60Mangano Franca, 37, 45, 56Marcuse Herbert, 10Maritain Jacques, 49Marrelli Massimo, 81Martini Mia, 84Mastella Clemente, 12Matteotti Giacomo, 35Menéndez Pidal Ramón, 54Mill John Stuart, 48Molotov, pseudonimo di Vja-

cheslav Michajlovic Skrjabin,35

Mommsen Theodor, 13Monroe Elisabeth, 54Monticone Alberto, 54Mori Renato, 25Mosca Liliana, 65Mounier Emmanuel, 49Mugnaini Marco, 54Musella Marco, 85, 98Mussolini Benito, 11, 34, 53, 56,

57, 58, 84, 85

Napolitano Giorgio, 35Navajas Zubeldia Carlos, 54Nello Paolo, 54Novelli Giuseppe, 91Nuti Leopoldo, 53

Occhetto Achille, 43Orfeo Mario, 96

Orsi Pietro, 54Ortega y Gasset José, 54

Palomares Lerma Gustave, 54Palombi Elio, 71, 73, 75, 79, 81Parenti Tiziana, 28Pastorelli Pietro, 24, 27, 51, 52,

56, 70Patalano Vincenzo, 78Pistone Sergio, 24Pizzigallo Matteo, 25, 54, 65,

68, 70, 81Poggiolini Ilaria, 53Polinice, 18Primo de Rivera y Orbaneja,

Miguel, marchese de Estella,52, 53, 55, 56, 57

Prodi Romano, 96

Ranzato Gabriele, 54Redivo Riccardo, 39, 45Renzoni Governatori Laura, 24Ribbentrop Joachim von, 35Ribolzi Luisa, 91Riccardi Andrea, 25Ricci Sargentini Monica, 18Riccobono Francesco, 66, 67,

69, 70, 71, 72, 73, 74, 75,76

Robespierre Maximilien-Fran-çois-Isidore, 18

Romanones (de) Conde, si ve-da Figueros y Torres, Alvaro

Rosmini Serbati Antonio, 49Ruby, 43Ruini Camillo, 66Rutelli Francesco, 13

Salvemini Gaetano, 58Sallusti Alessandro, 43Sánchez Jiménez José, 54Santoro Carlo Maria, 54

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Sassi Adolfo, 95Savigny Friedrich Carl von, 13Savoia Simone, 44Saz Campos Ismael, 54Sforza Carlo, 27, 28, 54Shakespeare William, 91Simone Raffaele, 33, 57Sinesio Domenico, 73, 79, 85Socrate, 19Stalin, Josif Vissarionović, pseu-

donimo di J. V. Dzugasvili,11

Spampanato Rosario, 60Spini Giorgio, 54Stefanini Marcello, 28, 29Sueiro Seoane Susana, 54

Tawfiq, 29Témine Emile, 54Togliatti Palmiro, 11Tommaso d’Aquino, 19Tranfaglia Nicola, 21

Trombetti Guido, 12, 63, 77, 78Tuñon de Lara Manuel, 54Tusell Javier, 54

Unamuno (de) Miguel, 54

Valentini Francesco, 48Vecchi Gian Guido, 11Velardi Elisa, 106Verrazzo Simona, 17Vespa Bruno, 28, 29Vetromile Enrico, 69Vilar Pierre, 54Violante Luciano, 47Vittoria Armando, 83Vittorio Emanuele III, 57

Wilson Woodrow, 27Wojtyla Karol, 95

Zangrandi Ruggero, 54

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«Grafica Bodoni» – Napoli

giugno 2012

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8 10,00

sag

gis

tica L’analisi di un’esperienza personale, nel mondo accademico

italiano, diventa l’occasione per descrivere i meccanismi perversiche si annidano nelle istituzioni di uno Stato da riformare, per unruolo più incisivo nelle relazioni internazionali. Un “viaggio” cheassume i toni inquietanti di un incontro con le forze del male, cheostruiscono di continuo il cammino verso l’agognata meta di luce elibertà. In tale contesto, gli aneddoti di un vissuto sconvolgentesono accompagnati da riferimenti a fonti e documenti, che ne atte-stano la scientificità, trasmettendo al lettore il sentimento di disagioe sofferenza di una fase difficile dell’esistenza. Un libro, quindi,che si inserisce in un’ottica autobiografica senza tralasciare, nelcontempo, la dimensione politica, socio-economica e culturale incui è nato, al fine di mostrare i limiti di un Diritto che non difendesovente il cittadino da soprusi e ingiustizie. Una “illegalità” di Statoche è alla radice di un malessere ormai diffusissimo, non sanabilecon terapie contingenti e spicciole, ma per mezzo di un approcciosquisitamente teologico. La grande sfida del terzo millennio, per-tanto, consiste soprattutto nel garantire a ognuno il diritto al lavoroe a una vita dignitosa contro gli interessi in gioco, il corporativismoe la logica del Potere, i veri ostacoli per la sua realizzazione.

Ugo Frasca, giornalista pubblicista e professore aggregato di Storia delpensiero politico contemporaneo presso la Facoltà di Scienze Politichedell’Università degli Studi Federico II di Napoli, ha pubblicato per la cattedradi Storia delle relazioni internazionali: I rapporti italo-britannici e l’esecuzio-ne del Patto di Londra nel Mediterraneo Orientale, Editoriale Scientifica,Napoli 1989; La questione palestinese e la politica delle grandi potenze,Editoriale Scientifica, Napoli 1989; La Spagna e la diplomazia italiana dal1928 al 1931. Dalla revisione dello statuto di Tangeri alla Seconda Repub-blica, Istituto di studi storici Gaetano Salvemini, Biblioteca di “SpagnaContemporanea” 4, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2000; Il problema del dis-armo nei Documenti Diplomatici Francesi dal 13 febbraio al 27 giugno 1960,«L’ape ingegnosa», Rivista del Dipartimento di Scienze dello Stato, Edizioni:EffePi, 2/2001. Infine, Gaetano Arfè tra storia e politica, «L’ape ingegnosa»,Rivista del Dipartimento di Scienze dello Stato, Satura Editrice s.r.l., 1-2/2006; «Il Mattino», la stampa europea e la crisi austro-serba del luglio1914, Alfredo Guida Editore, Napoli 2012.