Diritti e politiche di parità nell’Unione europea · alcun cambiamento di notevole portata nelle...

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Diritti e politiche di parità nell’Unione europea Federica Di Sarcina Con il patrocinio e il contributo della Con il patrocinio di

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Diritti e politiche di parità nell’Unione europea

Federica Di Sarcina

Con il patrocinio e il contributo della Con il patrocinio di

Pubblicazione realizzata nell'ambito del corso di formazione:"Le Pari Opportunità nell'Anno Europeo della Lotta alla Povertà e all'Esclusione Sociale", organizzato dal Centro di Informazione Europe Direct Siena e dal Servizio Pari Opportunità dell'Università degli Studi di Siena.

Impaginazione e design di: Klajdi Gjondedaj (stagista presso Europe Direct Siena)

Stampa: Dicembre 2010

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Introduzione

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1° dicembre 2009, l’uguaglianza tra le donne e gli uomini è stata formalmente riconosciuta tra i valori dell’Unione europea e la Carta dei diritti fondamentali, guadagnando forza giuridica vincolante, è divenuta un autorevole documento di riferimento anche per il proseguimento della consolidata politica comunitaria di pari opportunità. L’interesse verso il principio di uguaglianza tra le donne e gli uomini ha, infatti, radici profonde nella Comunità/Unione europea (CEE/UE) e il desiderio di costruire una società basata sulla piena partecipazione dei generi alla vita economica, sociale, politica, culturale degli Stati membri era insito nel progetto di edificazione di un’Europa unita. Anche se il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE), firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore l’anno seguente, aveva riconosciuto una nozione molto circoscritta di uguaglianza tra i sessi, sarà grazie ad esso che la condizione femminile e le pari opportunità costituiranno temi di interesse sempre crescente nel processo di integrazione europea.

La parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici

Il Trattato di Roma segna la nascita della CEE e, con essa, della politica di pari opportunità. Infatti, all’articolo 119 – inserito nel capitolo dedicato alle disposizioni sociali – veniva stabilito l’obbligo per gli Stati membri di rispettare il principio della parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici per uno stesso lavoro. Questo articolo venne introdotto su richiesta della Francia che riconosceva nel proprio ordinamento la parità salariale tra le donne e gli uomini e di conseguenza temeva una concorrenza sleale da parte degli altri Stati membri dove il Gender Pay Gap – la differenza tra il salario maschile e quello femminile – era molto più ampio. Inoltre, nel 1951, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) aveva approvato la “Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione tra la manodopera maschile e la manodopera femminile” riaffermando sul piano internazionale un principio riconosciuto fin dal primo dopoguerra. 1

Purtroppo però, all’entrata in vigore del Trattato CEE non ha fatto seguito alcun cambiamento di notevole portata nelle realtà degli Stati membri e alla metà degli anni Sessanta la differenza di retribuzione tra i sessi era ancora molto elevata. Così, nel quadro del primo programma d’azione sociale (1973), il Consiglio dei ministri della CEE approvava una specifica direttiva sul “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”. In particolare, come recita l’articolo 3 della direttiva “Gli Stati membri sopprimono le discriminazioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile derivanti da disposizioni legislative regolamentari o amministrative contrarie al principio della parità delle retribuzioni”. Oltre a ciò, l’articolo 4 della direttiva stabiliva che “Gli Stati prendono le misure necessarie affinché le disposizioni contrarie al principio della parità delle retribuzioni e contenute in contratti collettivi, tabelle o accordi salariali o contratti individuali di lavoro siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate”. Grazie a questa direttiva, ad oggi le donne che subiscono discriminazioni salariali dirette – guadagnano cioè uno stipendio inferiore a quello dei loro colleghi maschi per uno stesso lavoro – sono sempre meno numerose.Tuttavia, le cause del Gender Pay Gap sono svariate per i lavori di valore uguale ai quali pure il principio della parità retributiva si applica. In questo caso, le ragioni della disparità salariale tra i sessi risiedono in primo luogo nella sottovalutazione del lavoro femminile. Così, i lavori che richiedono competenze, qualifiche o esperienze simili tendono a essere scarsamente retribuiti se svolti principalmente da donne. Oltre a ciò le donne sono vittime di una segregazione occupazionale, orizzontale e verticale. La segregazione occupazionale è l’ineguale distribuzione per genere degli individui tra le diverse occupazioni. Infatti, le donne non si distribuiscono in modo uniforme nei settori d’attività, nelle professioni e nei mestieri, ma si concentrano prevalentemente in poche occupazioni, spesso legate a stereotipi sociali e ricalcate sui ruoli tradizionali e di cura. La segregazione si definisce orizzontale quando viene riferita alla concentrazioni dell’occupazione femminile in un ristretto numero di settori e professioni, 2

verticale se riferita alla concentrazione femminile ai livelli più bassi della scala gerarchica nell’ambito di uno stesso lavoro.Ad oggi, la parità salariale tra lavoratori e lavoratrici non può dirsi rispettata e nei 27 paesi dell’UE il gender pay gap è ancora molto ampio. Nonostante l’evoluzione nettamente positiva del tasso d’occupazione femminile, il divario di retribuzione tra i sessi, stimato nel 2005 del 15%, ha rivelato un’elevata segregazione del mercato del lavoro (come in Slovacchia, Finlandia, Estonia e nell’isola di Cipro) o un forte ricorso delle donne al tempo parziale (come in Germania, Regno Unito, Olanda e Austria). Il differenziale salariale risulta superiore alla media nel settore privato (25%), all’interno del quale aumenta in modo direttamente proporzionale alla dimensione dell’azienda, all’età e al livello d’istruzione e di formazione professionale. In altri termini, le qualifiche e l’esperienza acquisite dalle donne sono meno remunerate di quelle degli uomini. Allo stesso modo, nei paesi in cui la discriminazione salariale nei confronti delle donne è meno accentuata, come in Italia, Grecia e Polonia, questo fenomeno si lega al fatto che il tasso di occupazione delle donne è più basso e che la manodopera è meno qualificata. La persistenza del divario di retribuzione impone dunque una rinnovata riflessione sulle linee d’azione da intraprendere, agendo sul quadro normativo e contando su tutti gli attori coinvolti in tale processo, a partire dai datori di lavoro. Del resto, la fissazione del salario femminile a un livello più basso rispetto a quello dell’uomo ha conseguenze significative sulla posizione delle donne nella società. Essa costituisce, infatti, un ostacolo a un’eguale indipendenza economica tra i sessi, incidendo inevitabilmente sulle scelte individuali come le modalità e la durata del lavoro, le interruzioni di carriera o la ripartizione delle responsabilità domestiche e familiari. I suoi effetti si risentono anche dopo la fine della vita attiva, quando il divario di retribuzione si trasforma in divario di pensione, accentuando in tal modo la maggiore esposizione delle donne al rischio di povertà.

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Italia 4, 9Lettonia 21, 6Lituania 13, 4

Lussemburgo 12, 4Malta 9, 2

Paesi Bassi 23,6 (2007)Polonia 9, 8

Portogallo 9, 2Romania 9

Slovacchia 20, 9Slovenia 8, 5Spagna 17, 1Svezia 17, 1

Regno Unito 21, 4

Stati membri dell’UE

Gender Pay Gap

Austria 25, 5Belgio 9

Bulgaria 13, 6Cipro 21, 6

Repubblica Ceca

26, 2

Danimarca 17,7 (2007)Estonia 30,3 (2007)

Finlandia 20Francia 19, 2

Germania 23, 2Grecia 22

Ungheria 17, 5Irlanda 17,1 (2007)

Divario retributivo tra i sessi nel 2008

Fonte: M. Smith, Analysis Note: The Gender Pay Gap in the EU – What Policy Responses?, February 2010, European Network of Experts on Employment and Gender Equality issues – Fondazione Giacomo Brodolini, in www.ingenere.it.

Le direttive comunitarie sulla parità tra uomini e donne:un pilastro della politica sociale dell’Unione europea

Per contrastare le numerose discriminazioni di cui è vittima la donna nel mondo del lavoro, alla parità tra i generi è dedicato un ampio corpus legislativo europeo composto da direttive riguardanti l’accesso all’occupazione, la protezione alla maternità, la sicurezza sociale, il congedo parentale, l’onere della prova nei casi di discriminazione e il lavoro autonomo. Queste direttive rappresentano un importante pilastro della politica sociale europea e, nonostante alcuni limiti, esse costituiscono ancor oggi il cuore dell’acquis in materia di parità tra i sessi.

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Direttiva 75/117/CEE del Consiglio del 10 febbraio 1975

Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile

GU L 45 del

19/02/1975

Direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976

Attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro

GU L 39 del

14/02/1976

Direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978

Graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi legali di sicurezza sociale

GU L 6 del 10/01/1979

Grazie a queste disposizioni, la CEE/UE ha definito nel tempo il suo primo approccio strategico per combattere la disuguaglianza di genere – la parità di trattamento – riconducibile a un concetto di uguaglianza formale e passo primordiale di ogni politica antidiscriminatoria. Un avanzamento che ha condotto gli Stati fondatori della CEE, nonché tutti quelli che nel corso del processo integrativo sono entrati a farne parte, a procedere al necessario adeguamento normativo, riconoscendo e tutelando da un punto di vista giuridico i pari diritti dei lavoratori e delle lavoratrici definiti sul piano europeo.

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DIRETTIVE IN MATERIA DI PARITÀ UOMO-DONNA

Direttiva 86/378/CEE del Consiglio del 24 luglio 1986

Attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di sicurezza sociale

GU L 225 del

12/08/1986

Direttiva 86/613/CEE del Consiglio dell'11 dicembre 1986

Applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità

GU L 359 del

19/12/1986

Direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992

Attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento

GU L 348 del

28/11/1992

Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996

Concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES

GU L 145 del

19/06/1996

Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997

Onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso

GU L 14 del 20/01/1998

Direttiva 96/97 CE del Consiglio del 20 dicembre 1996

Modifica la Direttiva 86/378/CEE del Consiglio del 24 luglio 1986 relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale

GU L 46 del

17/02/1997

Direttiva 2002/73/CEE del PE e del Consiglio del 23 settembre 2002

Modifica della direttiva 76/207/CEE GU 269 del

5/10/2002

Direttiva 2006/54/CE del Consiglio e del PE del 5 luglio 2006

Pari opportunità e parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)

GU L204 del

26/07/2006

Direttiva 2004/113/CEE del Consiglio del 13 dicembre 2004

Principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura

GU L373 del

21/12/2004

Direttiva 2010/41/UE del PE e del Consiglio del 7 luglio 2010

Applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613

GU L180 del

15/07/2010

I programmi d’azione per la parità delle possibilità tra gli uomini e le donne

A partire dagli anni Ottanta, l’approvazione dei “programmi d’azione per la parità delle possibilità tra donne e uomini” segna un importante passo in avanti per la politica comunitaria in materia di uguaglianza trai generi. Consapevole dell’importanza ma anche dell’insufficienza delle direttive comunitarie – nelle quali viene riconosciuto e tutelato un concetto di

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uguaglianza formale – la Commissione europea decide di impegnarsi lungo la strada delle pari opportunità. Strettamente legato al concetto di uguaglianza sostanziale, il principio di pari opportunità mira a ristabilire i medesimi punti di partenza nella vita sociale, economica e politica tra gli appartenenti ai diversi gruppi sociali attraverso l’adozione di “azioni positive. Ad esempio, di fronte al gap di scolarità e formazione professionale esistente tra gli uomini e le donne e che produce effetti di emarginazione e auto-emarginazione sui mercati del lavoro, solo il riconoscimento di azioni positive a favore del genere femminile potrà ristabilire condizioni di eguaglianza nei fatti. Oltre a ciò, l’affermazione della parità di opportunità passa necessariamente attraverso politiche volte a ottenere un certo equilibrio tra responsabilità familiari e lavorative nonché una distribuzione più efficace di tali responsabilità tra i due sessi. In questo caso viene data priorità alle misure concernenti l’organizzazione dell’orario di lavoro, la creazione di infrastrutture per la cura dei figli e la reintegrazione dei lavoratori nel mercato occupazionale dopo periodi di congedo parentale.L’uso dei programmi d’azione – strumenti di soft-law – costituisce una pratica diffusa in ambito comunitario, utilizzata per gestire particolari issues politiche, spesso non inizialmente incluse tra le competenze comunitarie. Da un punto di vista procedurale, le proposte vengono generalmente elaborate dalla Commissione europea per essere poi presentate al Consiglio dei ministri insieme ad una indicazione di bilancio. Nel caso specifico dei programmi d’azione per la parità delle possibilità, nel corso della trattativa, numerose sono le opinioni che vengono ascoltate (dalle lobbies ai sindacati, dai gruppi di ricerca al mondo dell’associazionismo femminile), tra le quali esercitano una notevole influenza quelle della Commissione per i diritti della donna del Parlamento europeo. Una volta approvato, il programma d’azione costituisce la base per le proposte legislative, il finanziamento di progetti, di studi e ricerche, sempre sotto il costante monitoraggio dell’esecutivo comunitario. Nei riquadri che seguono vengono elencati i settori d’intervento previsti dai primi quattro programmi d’azione grazie ai quali l’interesse della CEE/UE nel settore dell’uguaglianza di genere è andato ben oltre la sfera lavorativa, investendo la società nella sua complessità. 7

Primo programma d’azione (1982-1985)

Promuovere a livello nazionale di legislazioni quadro per sviluppare le azioni positive

Favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne e la padronanza delle nuove tecnologie

Diffondere una maggiore conoscenza della gamma delle carriere accessibili alle donne e della mediocrità degli sbocchi di taluni settori tradizionali dell’occupazione femminile

Tenere conto della situazione delle donne immigrate

Conciliare vita professionale e vita familiare

Sensibilizzare l’opinione pubblica e gli ambienti direttamente interessati agli aspetti positivi dell’evoluzione delle mentalità attraverso campagne nazionali di sensibilizzazione

Secondo piano d’azione (1986-1990)

Migliorare l’applicazione delle misure esistenti,

Istruzione e formazione, occupazione,

Nuove tecnologie

Protezione e sicurezza sociale

Ripartizione delle responsabilità familiari e professionali,

Sensibilizzazione ed evoluzione delle mentalità.

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Terzo piano d’azione (1990-1995)

Consolidare e valorizzare l’acquis communautaire nel settore dell’uguaglianza tra i generi

Sviluppare nuove iniziative a favore delle donne nel campo della formazione professionale e dell’occupazione

Rafforzare la cooperazione e la complementarietà delle azioni svolte dai vari attori interessati (Commissione, Stati membri e partner sociali)

Migliorare la condizione femminile nella società attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti della parità di genere; l’immagine della donna nei mass-media; la partecipazione delle donne al processo decisionale a tutti i livelli e in tutti gli ambiti della società

Quarto programma d’azione (1996-2000)

Acquisizione di poteri e responsabilità

Integrazione del punto di vista di genere nelle politiche governative

Formazione di una cultura della differenza di genere

Prevenzione e tutela della salute

Prevenzione e repressione della violenza

Cooperazione e relazioni internazionali

Politiche di sviluppo e di promozione dell’occupazione

Valorizzazione della professionalità e della imprenditorialità

femminile

Politiche dei tempi, degli orari e dell’organizzazione del lavoro

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Il gender mainstreaming

Nel corso degli anni Novanta, la politica di pari opportunità si sviluppa ulteriormente compiendo un passo molto importante. Pur proseguendo lungo la strada del rafforzamento normativo, attraverso l’approvazione di altre direttive, e delle azioni positive, con la definizione di nuovi programmi, l’Unione europea riconosce il gender mainstreaming. Si stratta di una strategia politica che consiste nella sistematica realizzazione delle pari opportunità in tutte le politiche comunitarie.

Il gender mainstreaming è un concetto rivoluzionario perché, oltre a portare la dimensione di genere in tutte le politiche comunitarie, richiede l’adozione di una prospettiva di genere da parte di tutti gli attori del processo politico anche di quelli che non hanno esperienza o interesse nell’ambito delle “questioni di genere”.

Il riconoscimento formale del gender mainstreaming avviene con il Trattato di Amsterdam (1997) che ha posto la parità tra i sessi tra gli obiettivi dell’Unione (articolo 2 del Trattato sull’Unione europea) e i compiti della Comunità, da perseguire tramite l’attuazione di politiche e azioni comuni (articoli 2 e 3 del Trattato sulla Comunità).

Nel riquadro che segue sono indicate le principali tappe che hanno contribuito all’istituzionalizzazione del gender mainstreaming nell’ordinamento giuridico dell’UE.

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Terzo piano d’azione (1990-1995): aveva previsto un miglioramento della condizione femminile nella società attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti della parità di genere; l’immagine della donna nei mass-media; la partecipazione delle donne al processo decisionale a tutti i livelli e in tutti gli ambiti della società

Riforma dei fondi strutturali (1993): il principio di pari opportunità viene inserito nella disciplina generale dei fondi

Entrata di Svezia e Finlandia nell’UE (1995), due paesi con una lunga tradizione di welfare state e particolarmente sensibili alle questioni relative all’uguaglianza di genere

Quarta Conferenza mondiale di Pechino sulle donne “Uguaglianza, Sviluppo e Pace” (1995) vengono riaffermati i Diritti umani delle donne, l’Empowerment femminile e il Gender Mainstreaming

Nascita del gruppo di commissari ad alto livello responsabili per la parità delle opportunità (1996) con il compito di stimolare la riflessione e di vigilare affinché le pari opportunità fossero contemplate nell’insieme delle azioni comunitarie.

Quarto piano d’azione (1996-2000): aveva previsto l’integrazione del punto di vista di genere nelle politiche governativeComunicazione della Commissione “Integrare la parità di opportunità tra le donne e gli uomini nel complesso delle politiche e azioni comunitarie”, (COM (96) 67 def.). In questo documento la Commissione sostiene che: “non bisogna limitare le azioni di promozione della parità alla realizzazione di misure specifiche a favore delle donne, ma bisogna invece mobilitare esplicitamente sull’obiettivo della parità il complesso delle azioni politiche generali introducendo in modo attivo e visibile, all’atto stesso della loro concezione, la sollecitudine per gli effetti che esse possono avere sulle situazioni rispettive delle donne e degli uomini (“gender perspective”).

Women in Development

La politica di cooperazione alla sviluppo della CEE/UE rappresenta uno degli esempi più consolidati di realizzazione del gender mainstreaming e ha registrato un passo in avanti significativo nella seconda metà degli anni Novanta, confermando il ruolo centrale dell’Unione europea in quanto “potenza civile”.

Ci riferiamo all’approvazione di due regolamenti comunitari, nel 1998 e nel 2004, volti all’integrazione delle questioni di genere e alla promozione dell’uguaglianza tra gli uomini e le donne nella politica di cooperazione allo sviluppo. Non v’è dubbio che, la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995 aveva fortemente contribuito alle iniziative comunitarie in tale settore, mettendo in luce la necessità di agire contro i fattori che nel mondo stavano ostacolando la parità uomo-donna e di far sì che i programmi e le politiche includessero tale obiettivo. Sulla base di queste considerazioni, il primo regolamento aveva sancito l’assistenza finanziaria e la consulenza tecnica dell’Unione europea al sostegno dell’integrazione di genere nell’insieme delle sue politiche e dei suoi interventi di cooperazione allo sviluppo, tenendo conto dello status giuridico e della situazione reale di uomini e donne, delle loro esigenze e del loro contributo alla società e alla famiglia. In seguito alla scadenza del regolamento del 1998 – che aveva previsto uno piano finanziario di venticinque milioni di Ecu per il periodo 1999-2003 – il Parlamento e il Consiglio ne approvavano un secondo, stabilendo un budget di nove milioni di euro per il periodo 2004-2006. Oltre a ciò, appare necessario ricordare come nel 2003 fosse stato previsto un regolamento più specifico, volto a sostenere le azioni riguardanti la salute e i diritti riproduttivi e sessuali nei paesi in via di sviluppo, nell’intento di favorire anzitutto una riduzione dei tassi di mortalità e di morbilità tra le madri. Il budget di circa settantatre milioni di euro stanziato per il periodo 2003-2006, intendeva offrire ai giovani, programmi educativi incentrati sul nesso tra pianificazione familiare, salute riproduttiva, malattie sessualmente trasmissibili e impatto dell’HIV/AIDS sulle relazioni, così come i servizi sanitari necessari. Ciò avrebbe contribuito anche a contrastare le pratiche dannose per il benessere

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fisico e psicologico di donne, adolescenti e bambine, quali le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni in giovane età, questioni che fin dagli anni Settanta erano stati al centro di dibattiti e riflessioni da parte delle istituzioni comunitarie.

Regolamento (CE) N. 2836/98 del Consiglio relativo all’integrazione delle questioni “di genere” nella cooperazione allo sviluppo, in «GUCE», L 354 del 30 dicembre 1998

Regolamento (CE) N. 806/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla promozione della parità tra i sessi nella cooperazione allo sviluppo, in «GUCE», L 143 del 30 aprile 2004

Regolamento (CE) N. 1567/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2003 sul sostegno alle politiche e alle azioni riguardanti la salute e i diritti riproduttivi e sessuali nei paesi in via di sviluppo, in «GUCE», L 224 del 6 settembre 2003

Women in Science

Il crescente abbandono della carriera scientifica da parte delle donne, sinonimo di spreco di capacità e conoscenze femminili, è da circa un decennio tra le preoccupazioni iscritte nell’agenda politica europea.

Il tema della sottorappresentazione delle donne nel settore scientifico è stato per la prima volta oggetto di discussione in una tavola rotonda, tenutasi a Bruxelles nell’aprile 1998. Nel corso di questo incontro, numerose scienziate e ricercatrici, coordinate da Rita Levi-Montalcini, premio Nobel per la medicina, hanno messo in luce come il contributo fornito dalle donne alla ricerca fosse compromesso dal sessismo presente nel settore scientifico e dalle numerose difficoltà incontrate dalle donne nel

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proprio percorso professionale. Ancor oggi le statistiche dimostrano che le carriere scientifiche femminili dopo la laurea, prevalentemente concentrate nel settore della medicina e della biologia, continuano a subire delle brusche interruzioni, un trend ancor più negativo se paragonato ai risultati ottenuti negli Stati Uniti, in America Latina e in Turchia. Stimolata dall’incontro di Bruxelles, nel febbraio 1999 la Commissione europea pubblicava una comunicazione dal titolo “Mobilitare le donne per arricchire la ricerca europea”. In tale documento, l’esecutivo comunitario aveva sottolineato l’importanza dello scambio di esperienze tra gli Stati membri e della promuovere la presenza femminile nelle attività di ricerca finanziate dell’Unione europea. In particolare, nell’ambito del «Quinto programma quadro delle azioni comunitarie di ricerca, di sviluppo tecnologico e di dimostrazione (1998-2002)», la Commissione aveva elaborato un approccio coerente per promuovere la ricerca da parte, per e sulle donne. Lo scopo era di sostenere le donne in quanto protagoniste delle varie tappe di realizzazione del programma stesso e di vigilare affinché la dimensione di genere venisse esaminata in tutti i settori affrontati dalla ricerca. Infine, l’esecutivo intendeva porre l’accento sul contributo che il Quinto programma quadro avrebbe apportato all’evoluzione della nozione di genere, dei rapporti sociali di sesso nonché ad una maggiore comprensione dell’impatto di tali concetti sulla società europea.

Anche il Parlamento europeo approvava nel febbraio del 2000 una Risoluzione invitando gli Stati membri ad aumentare il numero borse di studio a disposizione delle ricercatrici e a perseguire l’obiettivo dell’equilibrio di genere nella ricerca scientifica a livello nazionale. In ambito comunitario, il PE aveva chiesto il rafforzamento delle attività di elaborazione e di diffusione delle statistiche disaggregate per sesso circa il numero di lavoratori coinvolti nel settore della ricerca e di aumentare la partecipazione femminile alle attività di valutazione dei programmi dell’Unione europea.

Non v’è dubbio che per il conseguimento di tali obiettivi un ruolo molto importante verrà svolto dal Gruppo di Helsinki, istituito dalla Commissione europea nel novembre 1999. Composto da funzionari e da esperti nel settore dell’uguaglianza di genere, questo gruppo si preoccuperà

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da un lato, di sviluppare il dialogo tra gli Stati sulle politiche nazionali di pari opportunità nell’ambito della ricerca, dall’altro, di inserire la dimensione di genere nei programmi comunitari al fine di garantire alle scienziate pari opportunità nell’elaborazione, nel controllo e nella valutazione dei progetti scientifici finanziati dall’Unione europea. A distanza di 10 anni dalla sua creazione, il Gruppo di Helsinki ha tenuto un meeting formale a Bruxelles, approvando il documento Gender and Research Beyond 2009. Si tratta di una serie di raccomandazioni per la Commissione europea e per il gruppo stesso volte a proseguire la lotta contro la rappresentazione femminile a tutti i livelli della ricerca scientifica. Ricevendo questo documento, il presidente Barroso ha assicurato al Gruppo di Helsinki che “gender balance and the promotion of research and development are two issues of major importance for the current and future Commission” (http://ec.europa.eu/research/science-society/index.cfm?fuseaction=public.topic&id=1297).

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Organismi per la parità tra gli uomini e le donne nell'ordinamento dell'Unione europea

Parlamento europeo

1. Commissione sui diritti della donna e l’uguaglianza di genere (FEMM)Questa commissione parlamentare è stata creata nel 1984, all’inizio della seconda legislatura del Parlamento europeo in seguito all’attività svolta tra il 1979 e il 1984 dalla Commissione ad hoc sui diritti della donna e la Commissione d’inchiesta sulla situazione della donna in Europa, entrambi organismi di natura temporanea. È competente per: la definizione, la promozione e la tutela dei diritti della donna nell’UE; la promozione dei diritti della donna nei paesi terzi; la politica in materia di pari opportunità, compresa la parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità nel mercato del lavoro e il trattamento sul lavoro; l’eliminazione di ogni discriminazione fondata sul sesso; la realizzazione e il continuo sviluppo del gender mainstreaming;il monitoraggio e l’implementazione degli accordi e delle convenzioni internazionali aventi attinenza con i diritti della donna; la politica d’informazione sulle donne

2. Comitato “Pari opportunità tra uomini e donne” Questo Comitato è integrato alla Direzione generale del Personale del Parlamento europeo con il compito di favorire un ambiente di lavoro dove la dignità di tutti è rispettata, prevedere un orario di lavoro in grado di permettere una conciliazione responsabilità familiari e professionali, promuovere il lavoro part-time e il telelavoro, prevedere le modalità di applicazione del congedo parentale e del congedo familiare, migliorare le strutture di accoglienza per l’infanzia, vigilare sull’applicazione del principio di pari opportunità nel reclutamento, nella gestione delle carriere, nella formazione professionale, nella formazione professionale, nell’accesso ai centri decisionali.

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3. Settore Diritti della donna presso la Direzione generale degli Studi Si tratta della Direzione A presso la Direzione generale degli Studi (DG 4) del Parlamento europeo che, lavorando in stretta collaborazione con la Commissione sui diritti della donna e le pari opportunità e il Segretariato del PE, conduce, tra le altre cose, studi sulle questioni di genere. Le ricerche possono essere sia a lungo termine, spesso condotte da istituti di ricerca esterni, oppure a breve termine (documenti di lavoro, schede tematiche o tecniche, note d’informazione)

Commissione europea

1. Comitato consultivo per le pari opportunità Quest’organismo è stato creato nel 1981 dalla Commissione europea (Decisione 82/43/CEE) con il compito di assistere l’esecutivo comunitario nell’elaborazione e nell’attuazione della sua politica di promozione del lavoro delle donne e di uguaglianza delle possibilità. Il Comitato favorisce inoltre lo scambio di esperienze, politiche e pratiche tra i paesi dell’Unione europea e le varie parti interessate. È composto dai rappresentanti degli Stati membri, delle parti sociali a livello europeo e delle organizzazioni non governative.

2. Unità per le pari opportunità tra uomini e donne: strategia e programmaÈ stata creata nel 1976 presso la Direzione generale Occupazione e Affari sociali con il compito di assicurare la conformità delle direttive sulle pari opportunità, implementare i programmi d’azione sull’uguaglianza di genere, incoraggiare l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare la condizione delle donne nella società, includere elementi di genere nelle politiche e nelle attività dell’UE. In tal senso, questa unità monitora l’applicazione della legislazione sulle pari opportunità, avanza nuove proposte legislative, supporta i progetti transazionali volti a promuovere le pari opportunità i settori quali l’occupazione, la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari, i mezzi di comunicazione e il processo decisionale. Assiste il Gruppo di esperti europei sull’uguaglianza tra uomini e donne.

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3. Unità per le pari opportunità tra uomini e donne: questioni legaliAssicura l’effettiva trasposizione e implementazione della legislazione comunitaria e intraprende nuove proposte legislative se necessario

4. Servizio “Informazione donne”Creato nel 1977 presso la Direzione generale dell’Informazione, questo servizio ha organizzato nel tempo seminari, colloqui e tavole rotonde contribuendo a mettere in luce la necessità di una politica europea per l’uguaglianza di genere. Inoltre, il servizio “Informazione donne” ha dato vita al bollettino “Donne d’Europa” che tra il 1977 e il 1992 ha raccolto le informazioni relative alla vita politico-istituzionale della Comunità, nonché tutte le notizie concernenti i movimenti femminili e femministi presenti negli Stati membri. Dal 1992 “Donne d’Europa” ha ceduto il posto a “La lettera di Donne d’Europa”, pubblicata in 11 lingue e distribuita alle associazioni femminili, ai centri di documentazione e alle biblioteche.

5. Gruppo di commissari sui diritti fondamentali, antidiscriminazione e pari opportunitàCreato nel 2005, questo gruppo eredita e amplia il mandato del Gruppo di commissari ad alto livello sulle pari opportunità. Il suo compito è di assicurare la coerenza delle azioni intraprese dalla Commissione nell’ambito dei diritti fondamentali, le politiche antidiscriminatorie e le pari opportunità nonché di accertarsi che la dimensione di genere sia presa in considerazione nel quadro di tutte le azione e le politiche dell’Unione europea.

6. Gruppo ad alto livello sul gender mainstreaming

Forum informale di discussione e scambio di informazioni messo in piedi dalla Commissione europea nel 2002 con il compito di supportare le presidenze nell’identificazione di aree politiche rilevanti durante un Consiglio europeo, pianificare il seguito della Piattaforma d’azione di Pechino, assistere la Commissione nella preparazione della Relazione sulla parità tra uomini e donne da presentare al Consiglio europeo.

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7. Gruppo ad alto livello sul gender mainstreaming nei fondi strutturaliCreato nel 2004 e presieduto da un rappresentante della Commissione, questo gruppo è composto da responsabili nazionali nel settore dei Fondi strutturali. Il suo compito è di fornire suggerimenti sull’applicazione del gender mainstreaming alle autorità che gestiscono l’implementazione dei Fondi strutturali e di procedere a uno scambio di buone prassi ed esperienze in tal senso.

8. Comitato consultivo sulle donne nelle aree ruraliCreato nel 1998, questo comitato è composto dai rappresentanti delle organizzazioni socio-economiche ( produttori agricoli, commercianti, consumatori, lavoratori) e provvede allo scambio di opinioni e di consigli tra la Commissione e il settore socio-economico europeo sulle politiche di sviluppo rurale e più specificatamente sui suoi aspetti di genere.

Agenzie comunitarie

1. Istituto europeo per l’uguaglianza di genereQuest’agenzia comunitaria, entrata in funzione nel 2009 a Vilnius, ha il compito di supportare gli Stati membri e le istituzioni dell’UE nella definizione e nell’attuazione delle politiche di pari opportunità, nella lotta alle discriminazioni basate sul sesso e nella sensibilizzazione di tutti i cittadini e le cittadine alle “questioni di genere”. Più in particolare, l’Istituto svolge l’importante lavoro di collezionare ed elaborare dati disaggregati per genere, di sviluppare strumenti metodologici per l’integrazione della dimensione di genere in tutte le politiche comunitarie, facilitare lo scambio di best practices e il dialogo tra gli stakeholders. Il budget dell’Istituto è di 52,5 milioni di euro per il periodo 2009-2013 (http://www.eige.europa.eu).

Organizzazioni non governative

1. Lobby Europea delle DonneLa LED - formalmente istituita a Bruxelles nel 1990 e cofinanziata dalla Commissione europea – è ad oggi la più grande organizzazione di associazioni femminili nell’Unione europea. Lavorando in stretta collaborazione con il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio dell’UE ha il compito di promuovere i diritti delle donne e le pari opportunità con particolare attenzione verso la situazione economica e sociale delle donne, la condizione delle donne nel processo decisionale, la violenza di genere, l’immigrazione e l’asilo.

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Federica Di SarcinaDottore di ricerca in “Istituzioni, idee e movimenti politici nell'Europa contemporanea” (Università di Pavia) è attualmente Assegnista di ricerca in storia contemporanea dell'Università di Siena dove collabora con il CRIE Centro di Eccellenza Jean Monnet. Le sue ricerche si concentrano sull'evoluzione storica della politica di pari opportunità della CEE/UE e sulle questioni legate alla discriminazione e alla povertà in Europa. Tra le sue pubblicazioni: L'Europa delle donne la politica di pari opportunità nella storia dell’integrazione europea (1957 - 2007), Bologna, Il Mulino, 2010