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Direttore Responsabile Dott. MARIO NOLA Comitato di Redazione Avv. CLAUDIO BERLIRI Prof. Avv. IVO CARACCIOLI Prof. Avv. VALERIO FICARI Dott. ROBERTO LUNELLI Prof. Avv. GIANNI MARONGIU Prof. Avv. FRANCO PAPARELLA Prof. Avv. GAETANO RAGUCCI Prof. Avv. FRANCESCO TESAURO Prof. Avv. MARCO VERSIGLIONI Segreteria e Redazione Via Cosimo del Fante, 16 - 20122 Milano Tel. 02.58310288 - Fax 02.58310285 e-mail: [email protected] sito internet: www.associazionetributaristi.it Anno II n. 1/2009 Periodico Quadrimestrale Registrato presso il Tribunale di Milano il 24/4/2008 con il n. 266 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 2 - DCB Roma Service Provider: Register.it - Viale Giovine Italia, 17 - Firenze sito internet: www.associazionetributaristi.it Autorizz. Ministero delle Telecomunicazioni n. 243 del 28/01/1997 Impaginazione e Stampa Istituto Arti Grafiche Mengarelli Via Cicerone, 28 - 00193 Roma DOTTRINA LEGISLAZIONE GIURISPRUDENZA CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO PERIODICO UFFICIALE DELL’A.N.T.I. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI

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Direttore Responsabile

Dott. MARIO NOLA

Comitato di Redazione

Avv. CLAUDIO BERLIRI

Prof. Avv. IVO CARACCIOLI

Prof. Avv. VALERIO FICARI

Dott. ROBERTO LUNELLI

Prof. Avv. GIANNI MARONGIU

Prof. Avv. FRANCO PAPARELLA

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Segreteria e RedazioneVia Cosimo del Fante, 16 - 20122 Milano

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Anno II • n. 1/2009

Periodico QuadrimestraleRegistrato presso il Tribunale di Milano

il 24/4/2008 con il n. 266

Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postale

D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46)Art. 1, Comma 2 - DCB Roma

Service Provider:Register.it - Viale Giovine Italia, 17 - Firenze

sito internet: www.associazionetributaristi.itAutorizz. Ministero delle Telecomunicazioni

n. 243 del 28/01/1997

Impaginazione e StampaIstituto Arti Grafiche Mengarelli Via Cicerone, 28 - 00193 Roma

DOTTRINA•

LEGISLAZIONE•

GIURISPRUDENZA•

CONVEGNI EDATTIVITÀ ANTI

ELUSIONE FISCALEE ABUSO DI DIRITTO

PERIODICO UFFICIALE DELL’A.N.T.I. – ASSOCIAZIONE NAZIONALE TRIBUTARISTI ITALIANI

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ANTI - CONSIGLIO NAZIONALE

PRESIDENTE

Prof. Dott. Mario BOIDI, Torino

VICE PRESIDENTI

Prof. Dott. Avv. Vito BRANCA, CataniaProf. Avv. Leonardo PERRONE, Roma

Notaio Dott. Avv. Ciro DE VINCENZO, Milano

SEGRETARIO GENERALE

Avv. Claudio BERLIRI, Roma

TESORIERE

Gr. Uff. Rag. Giuseppe Antonio Ciro BARRANCO DI VALDIVIESO, Milano

CONSIGLIERI NAZIONALI (PRESIDENTI DI SEZIONE)

Dott. Alessandro ALESSI Presidente Sezione LombardiaProf. Avv. Vito BRANCA Presidente Sezione Sicilia OrientaleDott. Cosimo CAFAGNA Presidente Sezione PugliaDott. Giorgio COMINI Presidente Sezione Emilia RomagnaDott. Carlo DEIDDA GAGLIARDO Presidente Sezione SardegnaAvv. Salvatore IANNELLO Presidente Sezione Sicilia OccidentaleDott. Roberto LUNELLI Presidente Sezione Friuli Venezia GiuliaProf. Avv. Gianni MARONGIU Presidente Sezione LiguriaProf. Avv. Francesco MOSCHETTI Presidente Sezione Veneto-Trentino Alto AdigeProf. Dott. Umberto PLATÌ Presidente Sezione CalabriaProf. Avv. Gaetano RAGUCCI Presidente Sezione Provinciale di ComoDott. Ernesto RAMOJNO Presidente Sezione Piemonte-Valle d’AostaProf.ssa Paola Valeria RENZI Presidente Sezione Marche-AbruzzoProf. Dott. Francesco ROSSI RAGAZZI Presidente Sezione LazioProf. Avv. Pasquale RUSSO Presidente Sezione ToscanaAvv. Giuseppe SERA Presidente Sezione CampaniaProf. Avv. Marco VERSIGLIONI Presidente Sezione Umbria

FONDATA NEL 1949

Sede Legale e Segreteria Generale: Via Alessandro Farnese, 7 • 00192 Roma • Tel. e Fax 06.3201559Sito Internet: www.associazionetributaristi.it • E-mail: [email protected]

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Sommario

ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO

“Perché questa scelta e perché questo tema” di Claudio Berliri 4

DOTTRINA

• Considerazioni generali in tema di elusione fiscale e abuso del diritto 7di Franco Paparella

• Senza affidabilità nella applicazione delle regole, non esiste un “diritto tributario” 13di Roberto Lunelli

• Elusione Tributaria: l’abuso del diritto tra norma comunitaria e norma interna 19di Ivan Vacca

• Profili Penal-Tributari dell’“Abuso di diritto” 29di Ivo Caraccioli

• Elusioni o forzature nell’applicazione dell’imposta di registro 31di Gianni Marongiu

• Spunti di metodo in tema di “abuso del diritto” 36di Paolo Gentili

LEGISLAZIONE (CIRCOLARI E ISTRUZIONI MINISTERIALI)

• Circolare Agenzia Ent. Dir. Centr. 43Normativa e contenzioso 13-12-2007, n. 67/E

GIURISPRUDENZA

• Rassegna di Giurisprudenza 48

CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI

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PERCHÉ QUESTA SCELTA E PERCHÉ QUESTO TEMA

Dopo il numero 0 dello scorso anno, con questo numero

inizia la sua pubblicazione periodica.

Anche in relazione ai consensi dei lettori, abbiamo confermato la scelta monote-

matica e questo numero della rivista è interamente dedicato al tema della “elusione

fiscale e abuso del diritto”.

Argomento di grande attualità che ha formato oggetto del Convegno organizza-

to dall’ANTI presso il CNEL il 20 ottobre u.s. La parte dottrinaria di questo nume-

ro, è infatti costituita dalla sintesi di alcune relazioni tenute in detto convegno.

Nel settore “Legislazione” riportiamo integralmente la recente circolare del-

l’Agenzia delle Entrate n. 67/E del 13 dicembre 2007.

Nella parte riservata alla Giurisprudenza riportiamo le massime delle principali

sentenze di merito e di legittimità intervenute in materia, suddivise per argomenti.

Di particolare interesse appaiono le recentissime sentenze delle Sezioni Unite

della Suprema Corte di Cassazione n. 30055 e 30057/08, depositate il 23 dicembre

2008, e quindi successive al nostro convegno di ottobre.

Con la sentenza n. 30055/08, relativa a fattispecie di Dividend Washing anterio-

ri alla normativa prevista dall’art. 7 bis del D.L. n. 372 del 1992, convertito in L.

n. 429/92, la Suprema Corte ha fra l’altro affermato quanto segue:

“Nel merito, ritengono le Sezioni Unite di questa Corte di dover aderire all’indiriz-

zo di recente affermatosi nella giurisprudenza della Sezione tributaria (si veda, da ulti-

mo, Cass. 10257/08, 25374/08), fondato sul riconoscimento dell’esistenza di un gene-

rale principio antielusivo; con la precisazione che la fonte di tale principio, in tema di

tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurispruden-

za comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’or-

dinamento tributario italiano”.

“Ed in effetti, i principi di capacità contributiva (art. 53, primo comma., Cost.) e

di progressività dell’imposizione (art. 53, secondo comma, Cost.) costituiscono il fonda-

mento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al con-

tribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evi-

dentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza

che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme

costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi

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fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di

strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni econo-

micamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di

quel risparmio fiscale”.

Ed ha altresì rilevato:

“Nessun dubbio può d’altro canto sussistere riguardo alla concreta rilevabilità d’uffi-

cio, in questa sede di legittimità, della inopponibilità del negozio abusivo all’erario”.

“In aggiunta alle considerazioni svolte sub 2.1., giova ricordare che, per costante giu-

risprudenza di questa Corte, sono rilevabili d’ufficio le eccezioni poste a vantaggio del-

l’amministrazione in una materia, come è quella tributaria, da essa non disponibile (da

ultimo, Cass. 1605/08). Il carattere elusivo dell’operazione può d’altro canto agevolmen-

te desumersi, senza necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto, sulla base della com-

piuta descrizione che se ne rinviene in atti (in specie nella stessa sentenza impugnata) e,

soprattutto, della esplicita valutazione proveniente dallo stesso legislatore, per quanto si

è osservato sub 2.3. e 2.4.”.

“La sentenza impugnata – fondata sull’implicito presupposto della inesistenza nell’or-

dinamento di un generale principio antielusivo – risulta dunque erronea e va cassata”:

A sua volta la coeva sentenza n. 30057 ha dettato il seguente principio di diritto:

“È inopponibile all’erario – in virtù di un generale principio di divieto di abuso del

diritto in materia tributaria, desumibile dall’art. 53 Cost. – il negozio con il quale viene

costituito, in favore di una società residente nel territorio dello Stato, un diritto di usu-

frutto sulle azioni o sulle quote di una società italiana, possedute da un soggetto non resi-

dente, in modo da consentire al cedente di trasformare il reddito di partecipazione in

reddito di negoziazione (esente dalla ritenuta sui dividendi di cui all’art. 27, comma 3,

del d.P.R. n. 600 del 1973) ed alla cessionaria di percepire i dividendi, sui quali, oltre

a subire l’applicazione della ritenuta meno onerosa di cui all’art. 27, comma 1, del

d.P.R. n. 600 del 1973 (oltretutto recuperabile in sede di dichiarazione annuale) essa

può avvalersi del credito di imposta previsto dall’art. 14 del d.P.R. n. 917 del 1986, ed

inoltre di dedurre dal reddito di impresa, pro quota annuale, il costo dell’usufrutto,

allorché risulti che il negozio stesso non ha altre ragioni economicamente apprezzabili al

di fuori di quella di conseguire un vantaggio tributario”.

Certamente di tali sentenze si parlerà a lungo, ma il primo pensiero che viene alla

mente è il ben noto proverbio “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”.

Nessuno infatti dubita delle buone intenzioni della Suprema Corte, ma le vie segui-

te e le conclusioni cui perviene appaiono… infernali.

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In estrema sintesi, e con riserva di futuri sviluppi, si può infatti osservare:

a) che con tali pronunce la Corte ha assunto contemporaneamente le funzioni di

legislatore (ampliando la portata delle norme antielusive, e applicandole retroattiva-

mente) nonché di difensore del ricorrente e di giudice unico e inappellabile, deci-

dendo in base a motivi non dedotti e senza possibilità di difesa e di impugnazione

da parte del soccombente;

b) che le tesi, del tutto innovative sostenute dalla Corte, trovano esclusivo fonda-

mento nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione di cui

all’art. 53 della Costituzione, principi che per oltre 60 anni non hanno mai consen-

tito di considerare indebito l’uso legittimo e non simulato di strumenti giuridici;

c) che non è dato vedere perché mai debbano essere considerate elusive operazio-

ni poste in essere per soli motivi fiscali, quando gli oneri fiscali costituiscono un

peso tanto rilevante sui risultati economici di una impresa. In base a questo princi-

pio sarebbe inopponibile al fisco qualsiasi operazione fiscalmente agevolata, quale,

ad esempio, la rivalutazione agevolata degli immobili e delle partecipazioni agli

effetti delle plusvalenze di cui agli artt. 5 e 7 della legge n. 448 del 2001 – con l’ali-

quota del 4% – ovvero l’applicazione del condono, posto che ovviamente non sus-

sistano altri motivi se non quello fiscale, che giustificano tali operazioni.

d) che la disciplina relativa alla tassazione dei dividendi è unica e oggettiva, quale

che sia il percipiente dei dividendi, in quanto giustificata dalla tassazione dei reddi-

ti in capo alla società erogante. Non è dato quindi vedere come e perché tale disci-

plina possa essere ignorata in relazione ai motivi che hanno consentito l’incasso dei

dividendi, quando la legge è uguale per tutti.

Ciò posto ritengo che il problema dell’abuso del diritto debba essere ulterior-

mente approfondito, ed auspicabilmente definito in via legislativa e comunque

riconsiderato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Claudio Berliri

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DOTTRINAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 7

Il compito che mi è stato assegnato è quello di un in-tervento con finalità meramente introduttive. E poichéè il primo della sezione riservata agli “interventi de iurecondito” sostanzialmente dovrei provare a delineare lostato dell’arte con riferimento a due fenomeni giuridicidel diritto tributario materia – l’elusione fiscale e l’abusodel diritto – dalle notevoli implicazioni teoriche e prati-che ma dai rilevanti punti di contatto, com’è acutamen-te colto dal titolo assegnato al convegno1.

Tuttavia, dovendo effettuare una scelta anche rispettoai numerosi aspetti problematici individuati dagli stessiorganizzatori del convegno, nelle considerazioni succes-sive mi limiterò ad esporre qualche considerazione intro-duttiva in tema di “abuso del diritto”2, rinviando ai con-

tributi dei relatori che seguiranno l’approfondimentodelle numerose questioni controverse che attengono, invia diretta o mediata, all’ampio oggetto del convegno.

In particolare, senza pretesa di completezza, il mio in-tervento tenderà solo a fornire qualche spunto di riflessio-ne sulle questioni sostanziali che, a mio avviso, si colloca-no “a monte” e che condizionano in misura rilevante tuttigli altri profili irrisolti derivanti dalle ultime pronuncedella Suprema Corte. Queste ultime, infatti, sebbene per-seguano l’obiettivo dichiarato di consolidare “principi ge-nerali”, ritenendoli addirittura “pacifici”, in realtà, solle-vano nuovi interrogativi, che meritano una riflessione ap-profondita muovendo proprio dall’evoluzione che è pos-sibile cogliere nella giurisprudenza di legittimità.

1. Brevi cenni sugli sviluppi del dibattitogiurisprudenziale desumibile dalle numerosepronunce rese dalla Suprema Corte

I termini essenziali del dibattito interno sono noti erisalgono a tre sentenze della Suprema Corte del 2005,in tema di dividend washing, con le quali è stato ribaltatol’orientamento precedente sulla base di un originale per-corso ricostruttivo3.

In particolare, nel momento in cui la questione sullaqualificazione in termini di fittizietà/elusività di tali ope-

Considerazioni generali in temadi elusione fiscale e abuso del dirittodi Franco Paparella

1 Sul tema dell’elusione in una visione interna la dottrina è interve-nuta copiosamente negli ultimi anni sottolineando il passaggio alla ti-pizzazione della fattispecie legale a seguito dell’introduzione della clau-sola antielusiva e prospettando la ricostruzione del fenomeno giuridicoalternativamente nell’ambito della teoria dell’interpretazione allo sco-po di distinguere i comportamenti ritenuti illeciti (ad esempio, si vedaRUSSO, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, in Rass. Trib.,1999, 68; VANZ, L’elusione fiscale tra forma giuridica e sostanza econo-mica, in Rass. Trib., 2002, 223; MONTANARI, Elusione fiscale senzasanzione?, in Giur. It., 2002, 2433) oppure, con maggior rigore, qualinorme che eccedono le regole interpretative in quanto volte a disappli-care le norme regolatrici della fattispecie imponibile secondo il model-lo riconducibile all’estensione analogica ai casi non espressamente pre-visti (in questo senso cfr. FEDELE, Appunti dalle lezioni di dir. trib.,Torino, 2005, 135; LUPI, Diritto tributario, Parte gen., VIII Ed., Mila-no, 2005, 102; TESAURO, Ist. di dir. trib., I, VIII Ed., Torino, 2003,247; LA ROSA, Principi di dir. trib., II Ed., Torino, 2006, 23; CIPOL-LINA, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992, 140). Tra i contri-buti più recenti volti a giustificare gli incerti orientamenti giurispru-denziali, cfr. LA ROSA, Sugli incerti confini tra l’evasione, l’elusione el’assenza del presupposto soggettivo dell’Iva, in Riv. dir. trib., 2006, II,619; TABELLINI, L’elusione della norma tributaria, Milano, 2007,passim; PISTONE, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995,passim; ZOPPINI, Abuso del diritto e dintorni (ricostruzione critica perlo studio sistematico dell’elusione fiscale), in Riv. dir. trib., 2005, I, 809;ANDRIOLA, La dialettica tra “aggiramento” e valide ragioni economi-che in una serie di ipotesi applicative della norma antielusiva, in Rass.Trib., 2006, 1897. Infine per interessanti considerazioni recenti riferiteai profili di compatibilità comunitaria, si veda VACCA, Evoluzione del-la riforma IRES: considerazioni generali, in Riv. dir. trib., 2007, I, 354.

2 Sull’ampia sfera concettuale della nozione di abuso del diritto nel-l’ordinamento interno, tra i contributi più significativi, cfr. RESCI-GNO, L’abuso del diritto, Il Mulino, 1998, passim; PATTI, Abuso del di-ritto, in Digesto IV, Disc. priv. sez. civ., Torino, 1987, I, 1; C. SALVI,

Abuso del diritto, I) dir. civ., in Enc. Giur. Treccani, I, Roma, 1998;GAMBARO, Abuso del diritto, diritto comparato e straniero, ibidem;MESSINETTI, Abuso del diritto, in Enc. dir., II, Agg., Milano, 1998, 5.

3 Nei confronti di dette operazioni, infatti, i precedenti della Su-prema Corte avevano chiarito l’impossibilità di contestarle sia ricor-rendo al terzo comma dell’art. 37 del D.P.R. n. 600 del 1973, sia ne-gando efficacia retroattiva alla legge n. 429 del 5 novembre 1992, incoerenza con quanto riconosciuto dalla stessa Amm. Fin. (cfr. Ris.Dip. Entrate n. 5/022 del 6 luglio 1993, in Il Fisco, 1993, 8432) alpunto che gli Uffici periferici erano stati invitati ad abbandonare lecontroversie pendenti sulla base di un parere reso dall’AvvocaturaGenerale dello Stato (per conferma, si veda Circ. Min. n. 87/E del27 dicembre 2002, in Il Fisco, 2003, 127). Per conferma, si consultiCass., n. 3979 del 26 gennaio 2000, in Rass. Trib., 2000, 1267, concommento nostro Finalmente la Cassazione mette la parola fine allaquestione del campo di applicazione dell’art. 37, comma 3, del D.P.R.n. 600 del 1973; Cass., n. 11351 del 3 settembre 2001; Cass., n.3345 del 7 marzo 2002, in Foro It., 2002, I, 1703.

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8 DOTTRINA ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009

razioni è sembrata definitivamente risolta, sono interve-nute tre innovative pronunce, relative al sistema delle im-poste sui redditi, che hanno riconosciuto la possibilità didesumere un “principio tendenziale” in tema di abuso deldiritto “alla luce di alcuni principi ricavabili dalla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia”4 al punto che, sotto ilprofilo processuale, si è ritenuto che “la nullità dei con-tratti può essere dichiarata d’ufficio – in via incidentale –anche nel giudizio di legittimità”5.

In realtà, a supporto della conclusione volta a dichia-rare la nullità del negozio o dei negozi collegati sono sta-ti utilizzati soprattutto i modelli civilistici di diritto in-terno al punto che è stata esclusa l’ipotesi della frode allalegge di cui all’art. 1344 del Cod. Civ. (con l’eccezionedella sentenza n. 20816 del 2005), la nullità per assenzadi interessi meritevoli di tutela ex art. 1322, l’assenza diun motivo illecito invalidante mentre si è ritenuto sussi-stente il difetto di causa ai sensi del comma 2 dell’art.1418, richiamando talune datate pronunce in tema diaccollo del debito d’imposta superate dal comma 2 del-l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente 6.

Tuttavia, sotto il profilo argomentativo, per la primavolta appare il riferimento ad una non meglio precisatagiurisprudenza comunitaria, in qualche caso non attinen-te al settore tributario, nonostante sia evidente l’influenzadei lavori processuali che hanno portato alle tre sentenzerese dalla Corte di Giustizia, fra le quali ha assunto un ri-lievo particolare la cosiddetta sentenza Halifax 7.

Com’è noto, l’innovativa ed articolata conclusioneenunciata dalla Suprema Corte ha raccolto pochi consen-si in dottrina ed i numerosi rilievi critici hanno riguarda-to indifferentemente gli aspetti sostanziali e processuali,come è stato ampiamente ribadito in occasione del recen-te convegno dello scorso 10 luglio8. Non è un caso che ildibattito giurisprudenziale successivo ha abbandonatol’approccio iniziale sulla base dei condizionamenti impo-sti dalla sentenza Halifax posto che, a partire dalle trepronunce del 2006 relative all’I.V.A. emesse nello stessogiorno delle tre sentenze comunitarie9, è possibile coglie-re un atteggiamento diverso della Suprema Corte.

Infatti, l’ulteriore evoluzione giurisprudenziale ècontraddistinta dalle due ordinanze del 2006, con lequali la Corte di Cassazione ha investito del problema leSezioni Unite ed ha sollevato una rilevante questione si-stematica alla Corte di Giustizia10. In particolare, con laprima la Suprema Corte, prendendo atto della situazio-ne di incertezza, ha lodevolmente rimesso gli atti alle Se-zioni Unite, ritenendo necessario l’esame di “questioni didiritto involgenti massime di particolare importanza” aisensi del comma 2 dell’art. 314 del Cod. Proc. Civ.11.

Con la seconda, invece, poiché si è ritenuto “che sia-no necessari alcuni chiarimenti al fine di consentire una ri-gorosa applicazione del principio enunciato dalla sentenzaHalifax”, è stato formulato un rinvio pregiudiziale allaCorte di Giustizia allo scopo di chiarire se “la nozione di

4 Ritenendolo applicabile ad operazioni perfezionate quasi diecianni prima nonostante altre sentenze dello stesso periodo (ad esem-pio, Cass. n. 14515 del 29 luglio 2004, in Riv. dir. trib., 2004, II,272, con nota di ZOPPINI, oppure Cass. n. 19227 del 22 giugno2006, in Il Fisco, 2006, 1, 5687) avessero più correttamente applica-to l’art. 10 della legge n. 408 del 1990 vigente ratione temporis e mal-grado sia stata avvertita l’esigenza “di ulteriori specificazioni della giu-risprudenza comunitaria”.

5 Cfr. Cass., Sez. Trib., 21 ottobre 2005, n. 20398, in Rass. Trib.,2006, 295, con commento di STEVANATO, Le ragioni economichedel dividend washing e l’indagine sulla “causa concreta” del negozio: spun-ti per un approfondimento; Cass., Sez. Trib., 26 ottobre 2005, n.20816, in Riv. dir. trib., 2006, II, 691, con nota contraria di GIULIA-NI, Su talune categorie privatistiche evocate da tre pronunce del SupremoCollegio in tema di elusione-evasione; Cass., Sez. Trib., 14 novembre2005, n. 22932, in Giur. Trib., 2006, 212, con commento critico diBEGHIN, L’usufrutto azionario tra lecita pianificazione fiscale, elusionetributaria e interrogativi in ordine alla funzione giurisdizionale).

6 Sul punto, sia consentito di richiamare il nostro L’accollo del de-bito d’imposta, Milano, 2008, 109.

7 Trattasi delle tre sentenze della Corte di Giustizia del 21 febbraio2006, trattate dall’Avvocato Generale Poiares Maduro nelle conclu-sioni del 7 aprile 2005, relative alla Causa C-223/03, (in Trusts e atti-vità fiduciarie, 2007, 563, con nota di PAPARELLA, Un’architetturacontrattuale fondata sulla costituzione di un trust e la valutazione in ter-mini di “abuso del diritto” nel sistema dell’I.V.A.), alla Causa C-419/02

(cosiddetta BUPA, pubblicata in Corr. Trib., 2006, 1105, con nota diCENTORE, La detrazione IVA ai confini dell’elusione) ed alla CausaC-255/02 (cosiddetta Halifax), in Riv. dir. trib., 2006, III, 107, connota di POGGIOLI, La Corte di Giustizia elabora il concetto di “com-portamento abusivo” in materia d’Iva e ne tratteggia le conseguenze sulpiano impositivo: epifania di una clausola generale antielusiva di matricecomunitaria?; in Riv. dir. trib., 2007, III, 3, con commento di PISTO-NE, L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le im-precisioni terminologiche della Corte di Giustizia Europea in tema di Iva;in Rass. Trib., 2006, 1016, con commento di PICCOLO, Abuso deldiritto ed Iva: tra interpretazione comunitaria ed applicazione nazionale.

8 Tra i tanti, si vedano soprattutto gli interventi di MOSCHET-TI e SCHIAVOLIN raccolti nell’opuscolo AA. VV., Elusione fiscale.La nullità civilistica come strumento generale antielusivo, in Atti delConvegno tenutosi presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Universi-tà di Padova, All. de Il Fisco, n. 43 del 2006, 82 e 93.

9 Il riferimento è alle tre sentenze nn. 10353, 10532 e 11061 del5 maggio 2006.

10 Per completezza, ed in considerazione del fatto che la questio-ne verte sempre in materia di I.V.A., non è superfluo segnalare anchel’ordinanza n. 5503 del 9 marzo 2007 in quanto la Suprema Corteha formulato un altro rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustiziaavente ad oggetto il rilievo del principio di proporzionalità rispettoalle applicazioni del divieto all’abuso del diritto.

11 Per conferma, si veda Cass., Sez. Trib., Ordinanza n. 12031del 24 maggio 2006, in Corr. Trib., 2006, 2141, con commento diZIZZO; in Giur. Trib., 2006, 881, con nota di PINO.

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abuso del diritto o di forme giuridiche, definita dalla sen-tenze della Corte di Giustizia in causa C-255/02 come«operazione essenzialmente compiuta al fine di conseguireun vantaggio fiscale» sia coincidente, più ampia o più re-strittiva di quella di «operazione non avente ragioni econo-miche diverse da un vantaggio fiscale»”12.

Le indicazioni della Corte di Giustizia sono arrivatecon la nota sentenza del 21 febbraio 2008, Causa C-425/06 (cosiddetta Part Service), riferita al sistema del-l’I.V.A., che ha chiarito “l’esistenza di una prativa abusivapuò essere riconosciuta qualora il perseguimento di un van-taggio fiscale costituisce lo scopo essenziale dell’operazione odelle operazione controverse”, specificando che “l’unicoscopo di procurare un vantaggio fiscale” non è una “condi-zione per l’esistenza di una pratica abusiva” (par. 44)13.

Il sopraggiungere di tale sentenza ha segnato l’avviodell’ultimo filone giurisprudenziale, che si è caratterizza-to per soluzioni interpretative ulteriormente improntatealla tutela del principio anti-abuso senza però garantireadeguate forme di tutela e di contraddittorio al contri-buente ed in proposito le critiche sollevate dalla dottrinameritano un’attenta considerazione.

In definitiva, dalla recente evoluzione giurispruden-ziale dell’ultimo periodo è difficile cogliere un principiotendenziale chiaro in grado di conciliare con equilibrio erazionalità le contrapposte esigenze dell’Amm. Fin. e delcontribuente a causa del sovrapporsi di pronunce dal-l’impostazione non sempre univoca su molti aspetti difondo e comunque dalle soluzioni in gran parte noncondivise dalla dottrina di maggioranza. In via di princi-pio, con riferimento alle questioni di sistema, sembrache, allo stato attuale dell’esperienza giuridica, la nozio-ne di abuso abbia ormai assunto una connotazione stret-tamente comunitaria14 posto che:

a) si abbandona il sistema delle nullità di diritto inter-no15 ed in questo senso probabilmente hanno giocato unruolo decisivo le conclusioni dell’Avvocato Generale conriferimento alle cause riunite C-439/04 e C-440/04, inmerito all’ordinamento belga, che hanno portato allasentenza della Corte di Giustizia del 6 luglio 200616;

b) conseguentemente, sotto il profilo degli effetti dellaviolazione del principio dell’abuso del diritto, si abbando-na il modello della nullità – che prospettava problemi dicoordinamento sistematico con il comma 3 dell’art. 10dello Statuto dei diritti del contribuente che dispone “leviolazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributarionon possono essere causa di nullità del contratto” – e si iniziaa fare strada, più propriamente, quello dell’inefficacia neiconfronti dell’Amm. Fin o dell’inopponibilità;

c) infine, è apertamente sollevato il problema del rap-porto tra la nozione di abuso e quella di elusione17.

In questa nuova prospettiva, tuttavia, permangonoquestioni molto controverse che attengono soprattutto al-l’ambito oggettivo di applicazione – e, quindi, alla possi-bilità che la nozione di abuso sia limitata ai tributi di stret-ta derivazione comunitaria – ed alla difficoltà di recepire iprincipi elaborati dalla Corte di Giustizia in considerazio-ne dei vincoli imposti dall’ordinamento nazionale 18.

2. L’ambito di applicazione dell’abuso del dirittocon riferimento ai tributi diversi da quelli piùpropriamente comunitari

Come detto, la questione dell’ambito oggettivo diapplicazione del principio anti-abuso è quella sistemati-

12 Cfr. Cass., Sez. Trib., Ordinanza n. 21371 del 10 marzo 2006,in Il Fisco, 2006, 1, 6585.

13 In Riv. dir. trib., 2008, IV, 252, con ampia nota di POGGIOLI,Il modello comunitario della “pratica abusiva” in ambito fiscale: elementicostituivi essenziali e forza di coordinamento rispetto alle scelte legislativeed interpretative nazionali; in Riv. Giur. Trib., 2008, 750, con commen-to di CENTORE, Lo «spettro» dell’abuso sulle operazioni soggette ad IVA

14 In questo senso si orientano le pronunce della Corte di Cassazio-ne n. 22023 del 13 ottobre 2006, nonché n. 5503 del 30 novembre2006. Sul criterio di valutazione degli assetti negoziali nell’ordinamen-to europeo ai fini del giudizio in termini di elusione o di abuso, cfr.RIDSDALE, Abuse of right, fiscal neutrality and VAT, in EC Tax review,2005, 82; FROMMEL, United Kingdom tax law and abuse of rights, inIntertax, 1991/1992, 54; SHIPWRIGHT, L’esperienza britannica, inDI PIETRO, a cura di, L’elusione fiscale nell’esperienza europea, Milano,1999, 107; BURGIO, The abuse of law in the framework of the Europe-an tax law, in Intertax, 1991/1992, 82; TERRA-WATTEL, Europeantax law, IV Ed., Kluver law international, 140 e 525; KJELLGREN,On the border of abuse, in European business law review, 2000, 192.

15 Sull’ampio e complesso tema riguardante la possibilità di eccepi-re ai fini fiscali la nullità di singoli negozi ed assetti collegati o complessisulla base dei vizi previsti dal Codice Civile (ad esempio, la violazionedi norme imperative, i vizi funzionali della causa, la nullità per frode al-la legge, l’esistenza di motivi illeciti, etc..), tra i tanti, cfr. GAFFURI, Larilevanza della nullità contrattuale in diritto tributario, in Boll. Trib.,2006, 453; TABELLINI, L’elusione della norma tributaria, cit., 101;CECCHINI, Collegamento tra negozi a prestazioni corrispettive e nullitàper mancanza di causa, in AA. VV., Elusione fiscale. La nullità civilisticacome strumento generale antielusivo, cit., 19; BUSA, La nullità civilisticacome strumento generale antielusivo, in Il Fisco, 2006, 1, 15596.

16 In Rass. Trib., 2008, 235, con nota di CARDILLO, Tutela del-la buona fede e dell’affidamento del soggetto passivo nelle frodi Iva me-diante “carosello”.

17 Cfr. Cass., Sez. Trib., 21 febbraio 2006, nn. 10352, 10353 e11061, in Riv. dir. trib., 2006, II, 619, con commento di LA ROSA,Sugli incerti confini tra l’elusione, l’evasione e l’assenza del presuppostosoggettivo Iva.

18 Questo profilo è approfondito da SCHIAVOLIN, L’elusionefiscale come abuso del diritto: allo stato dell’arte, più problemi che solu-zioni, in AA. VV., Elusione fiscale. La nullità civilistica come strumen-to generale antielusivo, cit., 66.

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camente più rilevante posto che si tratta di comprenderese esso sia applicabile al sistema tributario nel suo com-plesso oppure se sussistono limiti in grado di limitarnel’applicazione a tributi specifici, escludendo, ad esem-pio, le imposte sui redditi.

Sul punto, anche le indicazioni più recenti della Su-prema Corte sono perentorie posto che con la sentenza n.21221 del 29 settembre 200619 (ritenuta dalla stessaCorte “l’espressione più articolata e compiuta di un indiriz-zo giurisprudenziale che può ormai dirsi pacifico”20), le or-dinanze n. 3031 e 3033 del 8 febbraio 2008, in tema diaiuti di Stato alle cooperative, e, soprattutto, con la piùrecente sentenza n. 8772 del 4 aprile 2008 si è pervenutialla conclusione, ritenuta desumibile dalla giurispruden-za comunitaria, che “anche nell’imposizione fiscale diretta,pur essendo questa attribuita alla competenza degli Statimembri, gli stessi devono esercitare tale competenza nel ri-spetto dei principi e delle libertà fondamentali contenuti nelTrattato Ce”21. Ma a tale ampliamento si oppone quantoevidenziato dalla dottrina che ritiene applicabile la clau-sola anti-abuso ai soli tributi armonizzati22.

In quest’ultimo senso depongono diversi argomentiche mi limito solo ad enunciare.

In primo luogo, sotto il profilo metodologico, se siconviene che il principio anti-abuso abbia una fontestrettamente comunitaria a me pare coerente desumereche il suo ambito di applicazione debba essere in primoluogo definito sulla base di tale sistema normativo e, so-lo in subordine, in forza dell’ordinamento interno, assu-mendolo peraltro nel rispetto della totalità dei vincoliche riguardano sia i profili sostanziali, che quelli piùstrettamente procedimentali.

Se tale premessa è condivisa è agevole constatare chel’abuso del diritto non rientra i principi propri del Tratta-to, né può essere qualificato alla stregua di un vago e ge-nerico “canone ermenutico” in assenza di parametri nor-mativi di riferimento ed, inoltre, che, a partire dalla notasentenza Halifax, allorquando la Corte di Giustizia hautilizzato detto principio lo ha prevalentemente ancoratoalla violazione delle disposizioni comunitarie riguardantitributi specifici ed in primo luogo dell’I.V.A.23. In questosenso le indicazioni più recenti sono addirittura perento-rie posto che con la sentenza del 22 maggio 2008, CausaC-162/07, la Corte ha specificato al par. 27 che “il princi-pio del divieto all’abuso del diritto … è volto, segnatamentenel settore dell’I.V.A., a che la normativa comunitaria nonvenga estesa sino a comprendere i comportamenti abusivi dioperatori economici”.

Invece, con riferimento al settore delle imposte suiredditi, a partire dalla sentenza Schweppes24, la Corte diGiustizia ha prospettato un ragionamento diverso, cheha avuto la sua elaborazione più compiuta nella sentenzadel 5 luglio 2007, Causa C-321/05 (cosiddetta Kofo-ed)25, nella quale si legge che il mancato recepimentonell’ordinamento interno della clausola antielusiva pre-vista da una direttiva comunitaria consente la persegui-bilità della condotta in termini in termini di antielusivi-tà a condizione che sussistano norme nazionali in temadi abuso del diritto, il che, riguardo all’ordinamento na-zionale, prospetta un delicato problema di conformitàall’art. 23 della Cost.26.

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19 In Dir. e Prat. Trib., 2007, II, 723, con commento di LOVI-SOLO, Il principio di matrice comunitaria dell’“abuso” del diritto en-tra nell’ordinamento giuridico italiano: norma antielusiva di chiusura oclausola generale antielusiva? L’evoluzione della giurisprudenza dellaSuprema Corte.

20 Per conferma, si veda la sentenza n. 10257 del 16 gennaio2008, in Riv. dir. trib., 2008, II, 448, con nota di BEGHIN, Note cri-tiche a proposito di un recente orientamento giurisprudenziale incentratosulla diretta applicazione in campo domestico, nel comparto delle impostesul reddito, del principio comunitario del divieto di abuso del diritto.

21 In Riv. Giur. Trib., 2008, 695, con commento critico di OR-SINI, L’abuso del diritto rende l’atto inefficace: sul contribuente l’oneredella prova.

22 Per conferma, cfr. ZIZZO, L’abuso dell’abuso del diritto, in Riv.Giur. Trib., 2008, 465; BEGHIN, Abuso del diritto la confusione per-siste, in Riv. Giur. Trib., 2008, 649; IDEM, Note critiche a propositodi un recente orientamento giurisprudenziale, cit., 474; ORSINI,L’abuso del diritto rende l’atto inefficace, cit., 704; POGGIOLI, Il mo-dello comunitario della “pratica abusiva” in ambito fiscale, cit., 252;ATTARDI, Il divieto di abuso del diritto nel settore delle imposte suiredditi, in Il Fisco, 2008, 1, 6661.

23 Spunti del medesimo tenore sono prospettati da BASILA-VECCHIA, Norma antielusiva e “relatività” delle operazioni imponi-bili, in Corr. Trib., 2006, 1466; SALVINI, L’elusione Iva nella giuri-sprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. Trib., 2006, 3099; AT-TARDI, L’elusione nell’Iva. L’impatto del divieto comunitario di abusodel diritto, in Il Fisco, 2007, 1, 4572; IDEM, How the Halifax ECJ’sdecision affects italian tax-payers, in Tax notes intertax, 2006, 613.

24 Si tratta della sentenza della Corte di Giustizia del 12 settem-bre 2006, Causa C-196/04, in Riv. dir. fin., 2007, II, 3, con com-mento di CIPOLLINA, CFC legislation e abuso della libertà di stabi-limento: il caso Cadbury Schweppes; in Rass. Trib., 2007, 983, con no-ta di BEGHIN, La sentenza Cadbury-Schweppes ed il “malleabile”principio della libertà di stabilimento; in Corr. Trib., 2006, 3347, concommento di DELLA VALLE, Tassazione degli utili della società este-ra controllata e rispetto del diritto di stabilimento. L’oggettiva difficoltàdi applicare i principi elaborati in materia di I.V.A. al sistema delleimposte sui redditi in conseguenza della sentenza Schweppes è coltada PISTONE, L’elusione fiscale come abuso del diritto, cit., 26.

25 In Rass. Trib., 2008, 261, con commento di ANDRIOLA,Quale incidenza della clausola anti-abuso comunitaria nella imposizio-ne sui redditi in Italia?; al riguardo, inoltre, si veda ATTARDI, Il di-vieto di abuso del diritto nel settore delle imposte dirette, cit., 6664.

26 Per ulteriori considerazioni sul tema, inoltre, si consultino leconclusioni dell’avvocato generale Kokott del 8 febbraio 2007. Iltema della conformità all’art. 23 della Cost. nel dibattito interno è

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Peraltro, la distinzione tra i diversi settori impositivi èagevolmente riscontrabile sul piano del diritto positivocomunitario in quanto è noto che, a fronte dell’assenzadi clausole specifiche per i tributi armonizzati, per le im-poste sui redditi una sorta di clausola antiabuso è codifi-cata dalla Direttiva n. 434 del 1990 in tema di operazio-ni straordinarie di modo che la sua applicazione concre-ta dovrebbe essere strettamente limitata alle fattispeciepreviste dalla Direttiva medesima27.

Il quadro sistematico che si desume dall’ordinamen-to comunitario, quindi, sembra sufficientemente chiaroe porta a concludere che il principio anti-abuso è pacifi-camente applicabile per i tributi armonizzati e con riferi-mento alle violazioni riguardanti la relativa disciplinamentre per quelli non armonizzati il parametro norma-tivo di riferimento è di diritto interno ed andrebbe coor-dinato con gli altri principi generali propri di tale ordi-namento di modo che il ripetuto tentativo di codificarloin via interpretativa è oltremodo dubbio.

D’altro canto, nonostante l’ampiezza del tessuto argo-mentativo che contraddistingue la sentenza n. 8772 del2008, al punto da proporsi come il punto di arrivo diun’evoluzione giurisprudenziale tormentata, il ragiona-mento della Corte non è supportato da un percorso teori-co in grado di superare l’obiezione di principio in quantol’applicazione del principio comunitario dell’abuso del di-ritto a tutti i settori impositivi è sostenuta con quattroprecedenti della Corte di Giustizia nei quali però il pro-blema era sostanzialmente diverso posto che riguardava laqualificazione fittizia o fraudolenta dell’operazione28.

Da tale impostazione sostanziale, peraltro, derivano inuna visione interna le ulteriori e rilevanti questioni di na-tura procedimentale e processuale – in termini di assenzadi contestazione nell’atto di accertamento, di assenza dicontraddittorio in fase endoprocedimentale e di eccepibi-lità d’ufficio in ogni stato del giudizio sulle quali si soffer-meranno gli altri relatori – che effettivamente pregiudica-no in misura sostanziale il diritto di difesa del contribuentea differenza di quanto accade se la contestazione fosse fon-data su argomenti di natura più strettamente antielusiva.

3. La dimensione concettuale della nozione diabuso del diritto

Per qualche verso collegata alla questione appena esa-minata è l’ulteriore profilo che induce a domandarsi se ilprincipio dell’abuso del diritto costituisca nella nostramateria un fenomeno giuridico diverso, analogo o piùampio dell’elusione fiscale alla luce delle indicazioni re-cate dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

In questi termini, gli ultimi interventi della SupremaCorte sono ancora più asistematici sia perché la prospet-tazione di un “principio immanente” travolge qualsiasitentativo di sistemazione teorica rispetto a due categoriegiuridiche (ovvero l’elusione e la simulazione) – rispettoalle quali l’elaborazione dottrinale aveva compiuto note-voli progressi – ma soprattutto perchè la nozione di abu-so è assunta con una dimensione più ampia di quella co-dificata dalla giurisprudenza comunitaria, che distingue,a partire dai fondamentali parr. 74-75 della sentenzaHalifax, la pluralità di cause o motivi sottostanti l’opera-zione (definiti “elementi obiettivi”) dalla finalità di con-seguire un risparmio d’imposta (letteralmente “lo scopodi ottenere un vantaggio fiscale”) e, soprattutto, richiede ildecisivo parametro della contrarietà rispetto agli obietti-vi perseguiti dal diritto comunitario29.

È noto, infatti, che secondo le recenti sentenze dellaSuprema Corte n. 8772 del 2008 e n. 10257 del 16 gen-naio 2008 la fattispecie dell’“abuso” supera qualsiasi valu-tazione in termini di scopi economici diversi dal risparmiofiscale e si risolve nelle “operazioni compiute essenzialmenteper il conseguimento di un vantaggio fiscale” talché la suaformulazione estrema porterebbe ad escludere qualsiasiipotesi di risparmio legittimo d’imposta ed a rilevare che ilcomportamento irreprensibile del contribuente dovrebbeessere ispirato al principio del regime fiscale più oneroso incontrasto con l’esigenza posta in risalto dalla sentenza n.21221 del 2006 volta al riconoscimento della “liceità del-l’obiettivo della minimizzazione del carico fiscale”.

L’ampliamento della casistica dei fenomeni immeri-tevoli di tutela, peraltro, è fonte di un’ulteriore irrazio-nalità dal punto di vista della coerenza sistematica e delprincipio di proporzionalità in quanto ribaltando la re-gola secondo cui alla maggiore intensità del rimedio pre-disposto dall’ordinamento giuridico deve corrispondereun livello più elevato di garanzia per il soggetto colpitodalla misura repressiva:

ricorrente in dottrina. Tra i tanti, cfr. BEGHIN, Note critiche a proposi-to di un recente orientamento giurisprudenziale, cit., 461; POGGIOLI,Il modello comunitario della “pratica abusiva” in ambito fiscale, cit., 264.

27 In senso conforme PLACIDO, Dall’Europa all’Italia avanza ilprincipio dell’abuso del diritto, in Il Fisco, 2006, 1, 4801.

28 In dottrina, l’esistenza di un “principio immanente” è stata so-stenuta da LIPRINO, Il difficile equilibrio tra libertà di gestione eabuso del diritto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: il casoPart. Service, in Riv. dir. trib., 2008, II, 112; SANTACROCE,L’abuso del diritto, dall’Iva comunitaria all’Iva interna, in Dialoghi tri-butari, 2008, 115.

29 Per una completa ricognizione delle differenze esistenti tra lavisione interna e quella comunitaria si veda CENTORE, Lo «spettro»dell’abuso sulle operazioni soggette ad IVA, cit., 755, ove ulteriori rife-rimenti di dottrina.

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a) mentre la patologia più grave – ovvero la conte-stazione in punto di abuso – non sarebbe assistitada alcuna specifica garanzia in quanto anche latendenza giurisprudenziale che sancisce l’inver-sione dell’onere della prova, ponendo a carico delcontribuente l’onere di dimostrare “l’esistenza diragioni economiche, alternative o concorrenti, di ca-rattere non meramente marginale o teorico” è causadi una confusione concettuale sul rilievo dellemotivazioni di natura extra-fiscale (o, comunque,diverse dalle ragioni di risparmio fiscale) oltre anon produrre alcun risultato concreto;

b) quelle più lievi – e cioè l’elusione e la simulazione– sarebbero contraddistinte da maggiori cautelesotto il profilo endoprocedimentale, dell’interpel-lo o degli strumenti di prova a disposizione del-l’Amm. Fin.30.

In tale contesto evidentemente assume un rilievo piùsignificativo il tema dell’inapplicabilità delle sanzioni31,sottolineato dalla Corte di Giustizia a partire dalla sen-tenza Halifax32, e che, allo stato attuale dell’esperienzagiuridica, non è stato ancora preso in esame dalla giuri-sprudenza di legittimità a fronte di qualche pronunciafavorevole della giurisprudenza di merito33.

A mio avviso, l’ultima prospettiva adottata dalla Cortedi Cassazione merita di essere corretta e le soluzioni pos-sono essere diverse in funzione degli strumenti utilizzati.

Da un lato, infatti, sotto il profilo interpretativo, si po-trebbe pervenire alla conclusione che per il versante delleimposte sui redditi il principio anti-abuso corrispondecon l’elusione fiscale34, di modo che la sua concreta appli-cazione sarebbe soggetta ai limiti previsti dall’art. 37-bisdel D.P.R. n. 600 del 1972; viceversa, per i soli tributi ar-

monizzati sarebbero applicabili le regole desumibili dallagiurisprudenza comunitaria, che prospetta ben altra no-zione rispetto a quella equivalente al mero risparmio fisca-le desumibile dalle ultime sentenze della Suprema Corteed impone maggiori garanzie per il contribuente35.

Dall’altro, invece, potrebbe ipotizzarsi un tentativodi razionalizzazione tramite l’intervento legislativo sulmodello del par. 42 della legge generale tributaria tede-sca del 1977 (Abgabeordnung) talvolta richiamato dallastessa Corte di Cassazione.

In questo senso, a me sembra condivisibile il suggeri-mento di porre fine all’incessante revisione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e di provvedere alla sua ri-formulazione in termini di clausola generale in modo daricondurre ad unità sistematica anche quelle fattispecieassai controverse riguardanti, ad esempio, l’imposta diregistro36. In particolare, essa dovrebbe essere svincolatadall’individuazione di operazioni tipiche e non limitataa tributi specifici o categorie omogenee di tributi, salva-guardando il sistema delle garanzie volto a garantire lasfera patrimoniale del contribuente ed a consentire ilsindacato sull’operato dell’Amm. Fin.37.

4. Conclusioni

In definitiva, alla luce delle considerazioni preceden-ti, mi sembra che, fermo restando il rilievo assunto nel-l’esperienza giuridica dal principio anti-abuso, la sua di-mensione giuridica nel diritto tributario, a prescinderedalla meritevolezza delle finalità che è preordinato a sod-disfare, presenti ancora profili irrisolti allo stato attualedel dibattito e necessiti di una sistemazione compiuta al-lo scopo di conferire al sistema piena coerenza rispetto aiprincipi di legalità, certezza del diritto, legittimo affida-mento e stabilità nei rapporti giuridici.

In questo senso spero di aver contribuito a stimolarele riflessioni degli altri relatori sui tanti aspetti che ho vo-lutamente trascurato e sugli altri che emergeranno nelcorso della tavola rotonda.

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30 Tale aspetti cono acutamente evidenziati, da ultimo, da BASI-LAVECCHIA, Elusione e abuso del diritto: una integrazione possibile,in Riv. Giur. Trib., 2008, 741.

31 La delicatezza del profilo sanzionatorio è posta in risalto daBASILAVECCHIA, Norma antielusiva e “relatività” delle operazioniimponibili Iva, cit., 1468.

32 Tra le più recenti, si consulti la sentenza della Corte di Giusti-zia del 6 luglio 2006, nella causa C-439/04, in Riv. Giur. Trib., 2006,837, con commento di CENTORE, L’evoluzione della giurispruden-za comunitaria in tema di frodi Iva.

33 Per conferma, si veda la corposa sentenza della Comm. Trib.Prov. di Milano, Sez, XIV, n. 278 del 13 dicembre 2006, in Dialoghi didir. trib., 2007, 390, con commenti di STEVANATO, PARA e LUPI.

34 Sul punto, si consulti il contributo di PISTONE, L’elusione fi-scale come abuso del diritto, cit., 20, che perviene alla sostanziale equi-parazione delle due nozioni sulla base delle imprecisioni terminolo-giche e di traduzione (sui termini abuso, elusione, evasione e frode)presenti nella sentenza Halifax confrontate con i precedenti dellaCorte. In senso sostanzialmente analogo cfr. CONTRINO, Elusionefiscale, evasione e strumenti di contrasto, Bologna, 1996, 307.

35 In senso conforme BASILAVECCHIA, Norma antielusione e“relatività” delle operazioni imponibili Iva, cit., 1468.

36 In particolare, sulla dubbia applicazione del principio del-l’abuso del diritto con riferimento l’art. 20 del D.P.R. n. 131 del1986 in tema di interpretazione degli atti ai fini dell’imposta di regi-stro, cfr. STANCATI, Riqualificazione negoziale e abuso della clausolaantielusiva nell’imposta di registro, in Corr. Trib., 2008, 1685. In giu-risprudenza, cfr. Cass., n. 10273 del 4 maggio 2007.

37 In questo senso si veda ZIZZO, L’abuso dell’abuso del diritto,cit., 466.

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A. Premessa

1. A ben poco servono le leggi tributarie se il “dirittovivente” fa prevalere, su di esse, principi che dichiara “im-manenti” nell’ordinamento tributario italiano, ma che, inrealtà, si sono formati nel tempo, sulla scorta neanche del-la legislazione, ma della giurisprudenza comunitaria.

Fino a tre anni fa, infatti, quei principi – “esterni” al-l’ordinamento nazionale e riguardanti “tributi comuni-tari” – non solo erano ancora “in via di formazione”1,ma non se ne poteva prevedere neanche una applicazio-ne nel settore delle imposte sui redditi (per di più, ancheper il passato).

Oggi, questa situazione determina gravi incertezze eprofondi disagi negli operatori economici e giuridici:perché viene meno il quadro di riferimento (e le garan-zie) che i contribuenti avevano riposto, per i tributi dipertinenza nazionale, nella legislazione interna (tenutoconto della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costi-tuzione); per i tributi di pertinenza comunitaria, nei re-golamenti e nelle direttive (sufficientemente precise)elaborate dal Legislatore dell’Unione Europea: sempre,dunque, nelle tradizionali fonti scritte.

2. Nel campo tributario sta accadendo che la legisla-zione, spesso incerta e confusa, viene interpretata dallagiurisprudenza (in particolare, di legittimità) non tantoattribuendo ad essa il significato proprio delle parole (se-condo la loro connessione e le intenzioni del Legislatore),quanto, invece, assegnandole il senso che la stessa “do-vrebbe avere” per essere “in armonia” con un (qualche)“sistema”: quello tributario2, ma anche quello civili-

stico3 o quello comunitario4 … La prassi amministrati-va, a sua volta, si adegua alla giurisprudenza, anche nelleoscillazioni, incurante dei suoi “precedenti” e del princi-pio di affidamento dei soggetti passivi …

Sullo sfondo la dottrina, che (spesso) critica la legisla-zione, contesta la giurisprudenza, disapprova la prassi am-ministrativa, evoca – giustamente – lo “Statuto dei dirittidel contribuente”… ma non propone un “modello” daadottare, né persegue, con la necessaria tenacia, quei prin-cipi di razionalizzazione, di semplificazione e di sistemati-cità dell’ordinamento tributario che – se espressi – avreb-bero potuto indurre il Legislatore a realizzare, prima, unaserie di Testi Unici (che siano tali anche nei fatti) e, poi, fi-nalmente un Codice tributario (di parte generale e partespeciale), organico nel contenuto e stabile nel tempo5.

In questo contesto – che pretende l’applicazione diuna legislazione casistica (talora “provvedimentale”) e,però, fa applicazione anche di “principi” spesso ignotianche alla prassi (e neanche consolidati) – il contribuen-te non sa come comportarsi; e anche se si rivolge a un(qualificato) tributarista non ottiene certezze, ma rispo-ste prudenti e poco rassicuranti; per cui, ulteriormentedisorientato, o adotta la soluzione a sé più conveniente,con l’alibi della incertezza; o si assoggetta a una tassazio-ne “precauzionale”, che, però, finisce per danneggiarloin termini di competitività e concorrenza. Quale che siala sua decisione, sbaglia.

3. È accaduto proprio questo, in materia di elusionefiscale e abuso del diritto; mettendo a rischio, in questiultimi anni, operazioni concluse vent’anni fa, quando sicominciava a disciplinare le operazioni elusive, ma senza

Senza affidabilità nella applicazione delle regole,non esiste un “diritto tributario”di Roberto Lunelli

1 Cfr. Corte di Cassazione, Sentt. 21 ottobre 2005, n. 20398 e14 novembre 2005, n. 22932 che affermano “Nella disciplina ante-riore all’entrata in vigore dell’art. 37–bis del D.P.R. 29 settembre 1973,n, 600, introdotto dall’art. 7 del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, purnon esistendo nell’ordinamento fiscale italiano una clausola generaleantielusiva, non può negarsi l’emergenza di un principio tendenziale,desumibile dalle fonti comunitarie e dal concetto di abuso del dirittoelaborato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui non possonotrarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procu-rarsi un risparmio fiscale”.

2 Prospettazione sistematicamente comprensibile, anche se vannorispettate – e salvaguardate – le caratteristiche proprie di ogni tributo.

3 Cfr. le Sentt. 20398/2005 e22932/2005 già citate in nota 1.4 Cfr. le Sentt. 29 settembre 2006, n. 21221 e, di seguito, 4 apri-

le 2008, n. 8772; 21 aprile 2008, n. 10257; 15 settembre 2008, n.23633 e 17 ottobre 2008, n. 25374.

5 Tale “Progetto” era contenuto nella Legge (delega) 7 aprile2003, n. 80, che – al di là dei tanti limiti – si era posta un obiettivo“di sistema” e avrebbe potuto e dovuto essere l’occasione per propor-re soluzioni ispirate ai principi dello Statuto, da consolidare e mante-nere stabili nel tempo … ma alla Legge delega dovevano seguire i de-creti delegati, che sono mancati, se si eccettua quello sulla “trasfor-mazione” dell’IRPEG nell’IReS. realizzata con il D.Lgs. 344/2003.

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ipotizzare che l’abuso del diritto potesse interessare unsettore impositivo – come quello delle imposte sui red-diti – che si stava (appunto) pensando di regolamentarecon la normativa interna.

È vero che il principio dell’art. 23 della Costituzione6

non può essere esteso ai “tributi comunitari”, ma è anchevero che la preminenza della fonte esterna dovrebbe va-lere solo in presenza di regolamenti o di direttive suffi-cientemente precise7; tutt’al più, nel perimetro di perti-nenza comunitaria8, ma non anche nel settore delle im-poste sui redditi (altro che per particolari e ben indivi-duate operazioni9). In altre parole: i principi elaboratidalla Corte di Giustizia C.E. non dovrebbero essere uti-lizzati in un settore, come quello delle imposte sui reddi-

ti, che è rimasto nella disponibilità (conflittuale) dei sin-goli Stati10; né trovare applicazione fin tanto che nonvengano consacrati in provvedimenti normativi11 (e tan-to meno con riferimento a fatti accaduti quando taleprincipio era ancora “tendenziale”).

B. La Corte di Giustizia

È noto che la giurisprudenza della Corte di Giustiziadella C.E. ha elaborato, nel tempo, un principio “antia-buso” (del diritto) per contrastare l’elusione relativa aitributi di sua pertinenza: innanzitutto per l’IVA, ma an-che nel campo dei dazi doganali, delle accise ed eccezio-nalmente, per talune operazioni societarie ritenute meri-tevoli di una disciplina (comunitaria) comune nell’im-posizione sui redditi.

Si verifica, peraltro, “abuso del diritto” solo quandovengono “violati” gli obiettivi posti dalla normativa co-munitaria: così, per l’IVA, dalle Direttive. Si deve indaga-re, pertanto, prima di tutto, sulla possibilità (in astratto)che l’operazione si ponga in conflitto con tale normativa;e solo poi, se del caso, sullo scopo (in concreto) dell’opera-zione stessa12: “perché possa parlarsi di un comportamentoabusivo, le operazioni controverse devono … procurare un

6 Il principio per cui “nessuna prestazione (…) patrimoniale puòessere imposta se non in base alla legge” vale per la normativa interna,ma non anche per quella comunitaria, con la precisazione, però, che“le norme comunitarie disciplinanti l’area loro riservata, prevalgono[solo] sulle norme statali incompatibili” (Cfr. G. Falsitta, Corso isti-tuzionale di diritto tributario, II edizione, Cedam 2007).

7 Cfr. artt. 93 e 249 del Trattato istitutivo della Comunità Euro-pea (ora, Unione Europea). È sufficientemente precisa, la Direttiva2006/112/CE, relativa alla armonizzazione, nel settore IVA, delle le-gislazioni degli Stati membri, ai quali non è lasciata discrezionalità infase di recepimento: pertanto, fattispecie che non trovino un unifor-me trattamento nei diversi Stati, può implicare l’intervento interpre-tativo della Corte di Giustizia, con effetto vincolante per gli stessi.

8 L’ordinamento comunitario e quello interno sono, infatti, coor-dinati tra loro avendo riguardo alle “ripartizioni di competenze stabili-te e garantite nel Trattato” (istitutivo della Comunità europea), il qualestabilisce (nell’ambito dei principi) che “la Comunità agisce nei limitidelle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnatidal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competen-za la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, sol-tanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possonoessere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque …essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunitànon va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettividel presente trattato” (art. 5). “Dal punto di vista della potestà normati-va, la competenza comunitaria, in sostanza, è limitata al campo delleimposte indirette e segnatamente solo per quanto necessario per l’instaura-zione e il funzionamento del mercato interno (art. 93 del Trattato Ce).”Il Trattato non prevede una competenza positiva della Comunità inmateria di imposizione diretta, ma solo alcuni modelli per “giungereall’integrazione comunitaria in materia fiscale” tra i quali “quello finoad oggi impiegato, consiste nell’adozione di misure singole, tese a risolverespecifici problemi che ostacolano il funzionamento del mercato unico. Ac-canto ad essi … si trovano gli interventi censori della Corte di Giustizia.”(cfr. Victor Uckmar, “Il ruolo della Corte costituzionale in materia tri-butaria nell’era della Corte di Giustizia Europea”, in Diritto tributarioe Corte costituzionale, Ed. Scientifiche italiane, 2006).

9 Mi riferisco alle operazioni cd. “madre figlia” o alle operazionisocietarie straordinarie di tipo intracomunitario, di cui rispettiva-mente alla Direttiva 90/435/CEE (modificata con direttiva2003/123/CE) e alla Direttiva 90/434/CEE (modificata con diretti-va 2005/19/CE).

10 Fermo restando il rispetto dei “principi base” del Trattato, co-me la libera circolazione delle persone, dei capitali e dei beni, il ri-spetto della concorrenza, ecc., (fra i quali, però, non può essere an-noverato quello del divieto di “abuso del diritto”): rispetto a dettiprincipi, la Corte di Giustizia si pone come censore laddove gli Statimembri non li rispettino. Si veda, nel settore delle imposte sui reddi-ti, la sentenza 5 luglio 2007, C-321/05 [Koford], con cui la CGCEha considerato “non abusivo” il comportamento di un soggetto chesi era conformato alle disposizioni, in materia, del diritto nazionale,ancorché in contrasto con quelle comunitarie. (Si veda, inoltre, lasentenza 23 aprile 2008, C-201/05, a proposito della libertà di stabi-limento, citata in nota 14).

11 Anche volendo riconoscere i poteri che la Corte di Giustizia si èattribuita, in ordine alla valenza erga omnes dei suoi principi interpre-tativi, non si può trascurare che “la diretta applicabilità nell’ambitoterritoriale di ciascuno Stato” delle sentenze interpretative della Cortedi Giusitizia è prevalente rispetto “solo” al “diritto nazionale diffor-me” (Cfr. G. Falsitta, già citato); ma quando vi è analogia tra le dispo-sizioni del diritto interno (nel caso specifico, l’art. 37-bis) e i principielaborati dalla Corte di Giustizia (nel caso specifico, il divieto di abu-so del diritto), non c’è ragione di far prevalere questi ultimi su una di-sposizione nazionale tutelata dal principio della riserva di legge.

12 Cfr. CGCE, Sentenze 21 febbraio 2006, causa C-255/02; 21febbraio 2008, causa C-425/06. Per valutare se le operazioni “possanoessere considerate come rientranti in una pratica abusiva, il giudice nazio-nale deve anzitutto verificare se il risultato perseguito sia un vantaggio fi-scale la cui concessione sarebbe contraria a uno o più obiettivi della VI di-rettiva e, successivamente, se abbia costituito lo scopo essenziale della solu-zione contrattuale prescelta”. Ne deriva che lo scopo dell’operazione ne-anche viene considerato se non emerge un contrasto con la Direttiva.

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vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria al-l’obiettivo perseguito” (nel caso, dalla VI Direttiva comuni-taria sull’IVA); e “deve (…) risultare, da un insieme di ele-menti oggettivi, che lo scopo delle operazioni controverse è es-senzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale” 13.

Del resto, anche precedentemente, in diverse occa-sioni14, la Corte di Giustizia (delle Comunità europee)aveva affermato che le Direttive non impongono all’ope-ratore un percorso obbligatorio, ma lo lasciano libero dioptare per quello che gli assicura un minor carico fiscale:purché il suo comportamento non contrasti con gliobiettivi perseguiti dalle stesse.

C. La Corte di Cassazione

La giurisprudenza della Corte di Cassazione presentaun andamento ondivago, che non si è ancora stabilizzato.

1. Fino a qualche anno fa, essa aveva reiteratamenteaffermato che l’“autonomia contrattuale” delle parti e lalibertà di scelta del contribuente non vanno limitati, senon in presenza di specifiche disposizioni di legge; percui “in difetto, si rimane nell’ambito della mera lacunadella disciplina tributaria”15.

2. Nel 2005, la svolta: in due Sentenze16, la Corte ritie-ne che nel diritto tributario (normativa speciale) possanoessere trasposti principi e criteri che sono propri del dirit-to civile (generale), dichiarando, per la prima volta, che“l’applicazione del principio [di divieto di abuso del dirit-

to] si traduce nella individuazione di un difetto di causa chedà luogo alla nullità dei contratti ”. La stessa Sezione Tri-butaria della Cassazione, peraltro, si rende conto del con-trasto esistente nell’ambito della sua stessa giurisprudenzae rimette la soluzione del problema alle Sezioni Unite17.

3. A partire dal 200618, infine, la Corte fa diretta ap-plicazione del principio giurisprudenziale (comunitario)di divieto di abuso (del diritto); rilevando

• che l’operazione deve essere valutata secondo le fi-nalità “essenziali” (non dovendo dare rilievo a ragionieconomiche solo marginali o teoriche); per cui nonvale opporre – da parte dell’interessato – che la finali-tà non era “esclusivamente” tributaria19;• che tale principio “deve essere considerato di generaleapplicazione, che trascende non solo i limiti di area deic.d. tributi armonizzati, ma (…) l’intera materia tri-butaria”20; per concludere: “l’ottica dei rapporti elusio-ne/norma legislativa si è così ribaltata e le singole norme«anti-elusive» vengono invocate non più come eccezionia una regola, ma come vero sintomo dell’esistenza diuna regola … Non si dubita, cioè, più della generale ap-plicabilità della «clausola antielusione»”.21

Nonostante le perplessità della dottrina e le conse-guenze – talora devastanti – che ne potrebbero derivare acarico di soggetti che – a suo tempo, quando avevanoconcluso le operazioni – avevano rispettato le leggi vi-genti (e non potevano certo prevedere tale evoluzione del“diritto vivente”), questa tendenza è ancora in corso e staconsolidandosi: il principio dell’abuso del diritto “trovaapplicazione anche (…) in riferimento al periodo anterio-re all’entrata in vigore del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, art. 37-bis, introdotto dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n.358, art. 7, rappresentando, pur in mancanza di una13 CGCE, Sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02.

14 Cfr. CGCE, Sentenze 6 giugno 1995, causa C-4/94; 9 ottobre2001, causa C-108/99; 30 aprile 2004, cause C-487/01 e C-7/02: “lasoppressione del contesto normativo del quale un soggetto passivo dell’im-posta sul valore aggiunto ha beneficiato pagando meno imposte, senza cheper questo vi sia una pratica abusiva, non può (…) di per sé, violare unlegittimo affidamento fondato sul diritto comunitario”. A proposito del-la “libertà di stabilimento”, cfr. Sentenza 23 aprile 2008, causa C-201/05, secondo la quale “gli artt. 43CE e 48CE devono essere inter-pretati nel senso che ostano alla inclusione, nella base imponibile di unasocietà residente in uno Stato membro, degli utili realizzati da una SECstabilita in un altro Stato qualora tali utili siano ivi soggetti ad un livelloimpositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, a meno che taleinclusione riguardi esclusivamente costruzioni di puro artificio destina-te a eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione diuna misura impositiva siffatta deve essere perciò esclusa ove da elementioggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di mo-tivazioni di natura fiscale, la SEC sia realmente impiantata nello Statomembro di stabilimento, ivi esercitando attività economiche effettive”.

15 Cfr. Cassazione, Sentenze 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345; 9 maggio 2002, n. 6599.

16 Sentt. n. 20398/2005 e 22932/2005, già citate.

17 Cfr. Ordinanza 24 maggio 2006, n. 12301 e 12302.18 Cfr. Sentenza 29 settembre 2006, n. 21221.19 “Una rigorosa applicazione del principio dell’abuso del diritto”,

come definito dalla Corte di giustizia nella sentenza Halifax, “com-porta che l’operazione deve essere valutata secondo la sua essenza, sullaquale non possono influire ragioni economiche meramente marginali oteoriche, tali, quindi, da considerarsi manifestamente inattendibili o as-solutamente irrilevanti, rispetto alla finalità di conseguire un risparmiodi imposta”. (Cfr. Sentenza 21221/2006, già citata).

20 Cfr. Sentenza 29 settembre 2006, n. 21221, già citata, secon-do la quale “Pur riguardando la pronuncia dei Giudici di Lussemburgoun campo impositivo di competenza comunitaria (l’Iva), questa Corteritiene che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza comu-nitaria, anche nella imposizione fiscale diretta, pur essendo questa attri-buita alla competenza degli Stati membri, gli stessi devono esercitare talecompetenza nel rispetto dei principi e delle libertà fondamentali conte-nuti nel trattato CE.”

21 Sentenza 4 aprile 2008, n. 8772; il principio è ribadito anchecon la successiva Sentenza 21 aprile 2008, n. 10257.

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clausola generale antielusiva, all’epoca non configurabilenell’ordinamento fiscale italiano, un canone interpretativodel sistema, che comporta il disconoscimento del diritto alladeduzione per oneri derivanti da meccanismi elusivi”22.

Quanto, poi, all’onere della prova, la situazione appa-re ancora più instabile, dato che, nell’aprile 200823 laCorte di Cassazione, dopo aver confermato che “nonhanno efficacia, nei confronti dell’Amministrazione finan-ziaria, gli atti posti in essere dal contribuente, che costitui-scano “abuso di diritto”, cioè che si traducano in operazionicompiute essenzialmente per il conseguimento di un vantag-gio fiscale.”; aveva affermato che “incombe sul contribuentefornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche, alter-native o concorrenti, di carattere non meramente marginaleo teorico”. Sei mesi dopo (ottobre 2008), la stessa Sezione(Tributaria) della Corte (in altra composizione), prima ditutto, fa rilevare24, che “… lo strumento dell’abuso del di-ritto deve essere utilizzato dell’Amministrazione finanziariacon particolare cautela, dovendosi sempre tenere presenteche l’impiego di forme contrattuali e/o organizzative checonsentano un minor carico fiscale costituisce esercizio dellalibertà d’impresa e di iniziativa economica, nel quadrodelle libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione edall’ordinamento comunitario …” – affermazione, questa,che va sottolineata e apprezzata – e, poi, precisa che “in-combe all’Amministrazione finanziaria” (…) “… l’indivi-duazione dell’impiego abusivo di una forma giuridica …”,per cui essa “… non potrà (…) limitarsi ad una mera e ge-nerica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gliaspetti e le particolarità che fanno ritenere l’operazione direale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta…”: il giudice di legittimità non può, dunque, ritenereinopponibile all’Amministrazione finanziaria una opera-zione di cui quest’ultima non abbia dimostrato, nei ter-mini e nelle forme dovuti, la sua valenza “abusiva”25.

Da ultimo, non va trascurato l’orientamento dellaCorte di Cassazione sul piano processuale: “poiché ilprincipio della irrilevanza fiscale degli atti in abuso di di-

ritto deriva dalla normativa comunitaria, è consentitointrodurre nel giudizio la problematica dell’abuso del dirit-to, purché sia ancora aperto (…) un contenzioso sui com-portamenti fraudolenti e/o elusivi”26; e ciò in quanto “ilrango comunitario della regola comporta (…) l’obbligo del-la sua applicazione d’ufficio, a prescindere da specifiche de-duzioni di parte, anche per la prima volta nel giudizio diCassazione (richiamandosi alla) sentenza delle Sezioniunite n. 36948 del 18 dicembre 2006, oltre alla (…) sen-tenza (…) n. 21221/06, nella quale è stato affermato l’ob-bligo dell’applicazione d’ufficio della regola dell’abuso deldiritto in materia di imposizione diretta” 27.

Se questa conclusione (discutibile e pericolosa) venis-se confermata, il giudice non dovrebbe limitarsi a decide-re se ricorre (o meno) l’abuso di diritto (o l’elusione), mapotrebbe dichiarare, di sua iniziativa, inopponibili al-l’Amministrazione finanziaria atti, fatti e negozi, “a pre-scindere” dalle contestazioni e dalle prove addotte dal-l’Amministrazione finanziaria28 … e, questo, anche dopouna o più fasi processuali nel corso delle quali tale ipotesineanche è stata discussa … con inaccettabile (a mio pare-re) superamento delle regole del processo (avuto riguar-do, in particolare, al suo oggetto e alla funzione delle im-pugnazioni); non solo, ma ne deriverebbe una “confusio-ne” nei ruoli e nei poteri degli Organi istituzionali che ame pare non solo preoccupante, ma sconvolgente.

D. Contrasto tra Corte di Cassazione e Corte diGiustizia C.E.

Nel trasporre il principio dell’“abuso del diritto” dalcomparto comunitario (in cui si è sviluppato) a quellonazionale, la Corte di Cassazione ha ritenuto, dunque

a. di poterlo applicare “trasversalmente”, in quantosarebbe “immanente” nell’ordinamento tributa-rio italiano (per cui la sua applicazione potrebbeavvenire anche in assenza di una norma specificadi recepimento);

16 DOTTRINA ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009

22 Cfr. Sent. 15 settembre 2008, n. 23633; la quale ha ribaditoche “non possono trarsi benefici da operazioni che, seppur realmente vo-lute ed immuni da invalidità, risultino, da un insieme di elementi obiet-tivi, compiute essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.”

23 Cfr. Sentt. 4 aprile, n. 8772 e 21 aprile 2008, n. 10257.24 Cfr. Sent. 17 ottobre 2008, n. 25374.25 Sembra un significativo passo verso la riaffermazione ed il ripri-

stino degli ordinari principi in tema di riparto dell’onere della prova,onere che, salvi i casi di “inversione” probatoria espressamente previ-sti dalla legge [cfr. ad esempio art. 32, comma 1 n. 2) D.P.R.600/1973], non può che incombere sull’Amministrazione finanziariache, nel processo tributario, riveste (come da sempre rilevato dalla Su-prema Corte) il ruolo di “attore sostanziale” (chiamato, dunque, aprovare le proprie ragioni ed i fondamenti delle contestazioni mosse).

26 Cfr. Corte di Cassazione Sent. 21 aprile 2008, n. 10257.27 Cfr. Sent. 17 ottobre 2008, n. 25374.28 Senza contare che Il diritto di difesa, costituzionalmente ga-

rantito (cfr. art. 24), sarebbe compresso per difetto di contradditto-rio che, previsto espressamente dalla disposizione sull’elusione (cfr.art. 37-bis, commi 4 e 5), è anche imposto dallo Statuto dei dirittidel contribuente (cfr. art. 12) e richiamato come principio generaledalla giurisprudenza “nel rispetto del principio generale del giusto pro-cedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell’art. 12, com-ma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, di intervenire già in sede pro-cedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudi-ce tributario” (cfr. Corte di Cassazione Sez. V, Sentenza n. 17229 del28 luglio 2006).

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b. di volerlo applicare con modalità diverse da quel-le elaborate dalla giurisprudenza comunitaria;prescindendo, in particolare, dalla previa consta-tazione che il “vantaggio fiscale” del contribuentesi ponga in contrasto con le disposizioni comu-nitarie. L’indagine sulla incompatibilità del com-portamento contestato con l’ordinamento sareb-be, dunque, superflua quando, invece, la giuri-sprudenza comunitaria ha sempre consideratotale contrasto come condizione “di accesso” allaverifica dello scopo (eventualmente elusivo) del-l’operazione.

Viene valutata, dunque, solo la finalità di “vantaggiofiscale” di una certa operazione rispetto ad altre (piùconsuete e onerose) che portino agli stessi risultati so-stanziali; vantaggio fiscale che può costituire lo scopo“essenziale” (e, non necessariamente esclusivo) dell’ope-razione. In proposito, non va sottaciuto un (ulteriore) ri-schio, costituito dal fatto che i giudici (esperti in diritto,ma non nella gestione delle imprese) potrebbero averedifficoltà nel cogliere le ragioni – non sempre evidenti(in quanto prospettiche o mediate) – di determinatescelte imprenditoriali che pure sono “essenziali” e pre-minenti rispetto al (pur rilevante) risparmio d’imposta,che è più facile da individuare: per ciò stesso qualifican-do “in odore di abuso del diritto” anche operazioni“pensate” con finalità societarie (come un window dres-sing in un Bilancio); o addirittura pianificazioni fiscaliche determinano un (lecito) “risparmio d’imposta”: ilquale, in astratto, viene riconosciuto legittimo29, ma inconcreto, potrebbe essere considerato “inopponibile” al-l’Amministrazione finanziaria, perché ottenuto attraver-so una o più operazioni che consentono di conseguire lestesse finalità di altre (ritenute più “normali”), con una“minore” imposizione.

Ne verrebbe irrimediabilmente compromessa la “cer-tezza” (o, meglio, la “affidabilità”) dell’ordinamento ita-liano sul piano nazionale e internazionale.

E. Conclusioni

1. Nel nostro ordinamento giuridico non esiste unadisposizione “generale” sull’”abuso del diritto”, ma solotalune disposizioni specifiche che lo contrastano30.

Nel comparto tributario, l’istituto giuridico che piùsi avvicina a tale concetto – e, forse, meglio lo interpre-ta31 – si rinviene nell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973,che, dopo la rubrica “disposizioni antielusive”, reca, inmateria, una normativa “generale”, ancorché a fattispe-cie predeterminate e a valere solo nel settore delle impo-ste sui redditi32.

Dato che dell’“elusione” si è interessato il Legislatoreitaliano – quando il problema cominciava ad assumereun certo rilievo (anche ai fini della concorrenza) – se nedovrebbe trarre la conferma che il “principio comunita-rio” di abuso del diritto può trovare applicazione solocon riferimento a tributi “comunitari”33: non anche,dunque, in un settore nel quale Parlamento e Governosono intervenuti, in più occasioni, per limitare la valenzatributaria di determinate operazioni, con norme “antie-lusive” – specifiche o generali – che sarebbero “inutiliterdatae”, se fosse stato applicabile – anche in quel campo –tale “principio immanente e trasversale”… Anzi, le ope-razioni che il Legislatore ha ritenuto – ai fini delle impo-ste sui redditi – “potenzialmente pericolose” sarebberoaddirittura “protette” rispetto alle altre, in considerazio-ne dei limiti alla operatività della normativa antielusivanazionale: con un evidente paradosso.

2. Forse è giunto il momento di affrontare il temadella “elusione tributaria” e dell’”abuso del diritto” intermini sistematici e nel contesto di una iniziativa legi-

29 Cfr., da ultimo, quanto riportato sub C: Sent. 17 ottobre2008, n. 25374.

30 Ad. es. l’art. 833 c.c. sul divieto di atti emulativi; l’art. 96c.p.c. sul divieto di agire in giudizio in mala fede; alcune ipotesi direato previste dal codice penale.

31 Cfr. Sent. 25374/2008 in cui si afferma, con riferimento al-l’abuso del diritto, che “si tratta della stessa regola, contenuta nell’art.37-bis D.P.R. 600/1973”. Il riconoscimento di una disposizione na-zionale che già disciplina – pur potendo essere migliorata e ampliatanei contenuti – una fattispecie analoga a quella elaborata dalla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia (peraltro in un diverso ambitoimpositivo), dovrebbe indurre ad ammettere che manca quel contra-sto tra i due ordinamenti – quello interno e quello comunitario –che consente di far prevalere il secondo sul primo.

32 In sostituzione dell’art. 10 della L. 408/1990, con funzionedeterrente e applicazione subordinata alla presenza di ben individua-ti comportamenti soggettivi. Che valga solo per le imposte sui reddi-ti è esplicitamente affermato nella Relazione ministeriale che accom-pagna il provvedimento e nella Circ. Min. (19/12/1997, n. 320/E),dove si dice che “la norma antielusiva può trovare applicazione soltan-to con riferimento al settore delle imposte sui redditi e sempreché sia stataeffettuata una o più delle operazioni predeterminate”.

33 Iva, accise, tributi doganali e, nelle imposte sui redditi, solospecifiche operazioni: fusioni, scissioni, conferimenti, operazionimadre–figlia, ecc… Nel caso dell’IVA, ad esempio, dove non vi èuna disposizione nazionale che disciplini l’elusione e dove la Diretti-va comunitaria intende realizzare una armonizzazione fra gli Statimembri, le sentenze interpretative della Corte di Giustizia potrebbe-ro senz’altro colmare il “vuoto legislativo”, cioè valere (e prevalere) inambito domestico.

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slativa di ampio respiro: con l’introduzione di una di-sposizione (antielusiva) “a tutto campo”, che si riportianche ai principi elaborati dalla giurisprudenza comuni-taria (oltre che nazionale), ma a valere solo dalla sua en-trata in vigore e con la definizione dei limiti e delle pre-cise condizioni cui può essere applicata.

Attualmente si ha l’impressione che la Corte di Cas-sazione intenda elevare a “sistema” (ispirato alla capaci-tà contributiva) un ordinamento – come quello tribu-tario italiano – privo di una base stabile e razionale, chesi sviluppa non in base a principi generali, ma a regolespeciali e contingenti, quasi sempre al di fuori di un“sistema”.

Per perseguire tale obiettivo, viene affermata la presen-za di un principio “anti–abuso del diritto”, che, però, nonesiste, e che fino a pochi anni fa, non poteva neanche esse-re intravisto o previsto (anche se, in futuro, potrebbe co-stituire uno dei pilastri della legislazione tributaria).

Le finalità sono apprezzabili, ma i risultati sonoinaccettabili, dato che la Corte di Cassazione finisceper svolgere un ruolo di (sostanziale) “supplenza” (oaddirittura di “sostituzione”) in un comparto – quellolegislativo – che spetta al Parlamento. È il Legislatoreche deve stabilire “le regole” (comprese quelle tributa-rie) da osservare: siano esse (nella valutazione deglioperatori del diritto) buone o cattive, rigorose o tolle-ranti, sistematiche o casistiche … e la giurisprudenzadovrebbe applicare le norme “esistenti”, senza andarealla ricerca di un “sistema che oggi non c’è”: perchénon è tollerabile che un soggetto che si era conformatoieri alla legge, alla giurisprudenza e alla prassi ammini-strativa allora esistente, debba oggi difendersi da ecce-zioni (del tutto nuove) fatte valere – neanche dall’Am-ministrazione finanziaria, ma – dai giudici; e fondatesu principi che allora non erano neanche prevedibili eche si sono sviluppati nel tempo…: perché è evidenteche, a quel punto, lo stesso soggetto, che opera oggi inbase alla attuale legge, giurisprudenza e prassi, teme dipotersi trovare, domani, a doversi difendere nel caso incui venissero approvati nuovi provvedimenti (legislati-vi o amministrativi) o addirittura si affacciassero nuoviorientamenti giurisprudenziali che pretendono – a po-steriori – di contestare (e addirittura sanzionare) uncomportamento che – a priori – non poteva conside-rarsi illegittimo.

3. Non va trascurata la preoccupazione, grave e diffu-sa (soprattutto fra gli operatori economici di una certadimensione), che una legislazione (nazionale) incerta epoco chiara, una prassi amministrativa debole e ondiva-ga, una giurisprudenza di legittimità oscillante ma trop-

po forte34, possa indurre le imprese italiane a delocaliz-zarsi all’estero e le imprese straniere a evitare l’Italia per iloro insediamenti. Quello fiscale costituisce – infatti, dasempre – uno dei fattori fondamentali di attrazione (o diavversione) nella scelta del Paese in cui collocare le strut-ture produttive e commerciali, da parte degli imprendi-tori; espressione e parametro, al tempo stesso, di compe-titività e di concorrenza sul piano internazionale.

La preoccupazione degli operatori economici italianiè fondata: perché prima ancora che il livello “quantitati-vo” dell’imposizione è importante la “qualità” dell’ordi-namento: non solo sotto il profilo legislativo, ma ancheamministrativo e, soprattutto, giurisprudenziale35.

Senza affidabilità non esiste il diritto e si configuraun (ulteriore) “rischio Paese”: per carenza, questa volta,del diritto tributario.

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34 Che, al di là delle sue (apprezzabili) finalità, se rivolte al futuro– cioè a sollecitare una maggiore coscienza civica nei contribuenti e,soprattutto, una maggiore attenzione del legislatore nei confronti difenomeni distorsivi come l’elusione e l’evasione – rimette in discus-sione comportamenti pregressi del contribuente.

35 L’ordinamento non si esaurisce nella legislazione, ma si com-pone anche della prassi amministrativa e, soprattutto, della giuri-sprudenza, dato che “il diritto vive nell’interpretazione che ne dà ilgiudice” (Francesco Carnelutti, giurista friulano).

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1. Ormai da più parti si mette l’accento su un males-sere evidente del nostro ordinamento fiscale: la sua man-canza di affidabilità e di stabilità, una sua certa opacitàche potrebbe compromettere nel tempo non solo i valoridi equità e democrazia, ma anche un’efficace competizio-ne internazionale e l’attrattiva per gli investitori esteri.

Soprattutto, per quel che concerne l’imposizione delleattività d’impresa – dove la pianificazione degli investi-menti richiede tempi lunghi – ciò che si lamenta è la man-canza di regole sostanziali o procedimentali conoscibiliper tempo, chiare e inequivocabili, relativamente stabili.

I motivi di questo malessere sono di varia natura: unpeso importante va attribuito, sicuramente, a una produ-zione normativa che è in continuo divenire, prevalente-mente per esigenze di gettito (fatto questo che ha indottoad introdurre regole impositive non sempre sistematica-mente coordinate, con efficacia spesso immediata, se nonretroattiva), oltre che a una attività interpretativa dellapubblica amministrazione sollecitata dagli interpelli deicontribuenti altrettanto pletorica, spesso indirizzata alcaso specifico e non sempre inquadrabile a sistema1.

Ma al di là di questa sorta di “polverizzazione” delleregole, un impatto rilevante su queste tematiche, e in unsenso non certo rassicurante, sta assumendo la questio-ne dell’abuso del diritto, “alias” del contrasto all’elusio-ne fiscale.

2. L’“elusione” come è noto è quella zona grigia – nonmeglio definita – in cui l’Amministrazione Finanziariaviene abilitata dall’ordinamento a difendersi non da un

semplice nascondimento del reddito (dall’evasione “toutcourt”), ma dall’uso improprio da parte dei contribuentidelle norme che predeterminano la fattispecie impositivaa fini ingiustamente vantaggiosi: a difendersi, cioè, daquelle operazioni che non dissimulano il reddito, anzi ri-spettano anche formalmente i canoni della fattispecie le-gale e, pur tuttavia, attraverso l’uso combinato degli ele-menti oggettivi della fattispecie legale, realizzano effettiimpositivi contrari alla “ratio legis” e dunque non in lineacon la corretta attuazione del principio di capacità con-tributiva; effetti, in definitiva, discordanti con le finalitàdel sistema o del sottosistema in cui si colloca l’istituto fi-scale del quale il contribuente invoca l’applicazione.

Siamo in presenza, dunque, di quella linea di confineche separa le regole scritte dai principi metagiuridici.

Il rischio è evidente: o che lo Stato non riesca a reagi-re con sufficiente forza a questa tipologia di operazioni,realizzate, per la verità, in modo sempre più sofisticato econ collegamenti transnazionali, ovvero, al contrarioche la reazione sia eccessiva o scomposta, tale da com-promettere il fondamentale principio di legalità del no-stro sistema tributario, il principio di predeterminazionedella fattispecie impositiva, quale regola di rilevanza an-che costituzionale ed espressione imprescindibile dellanatura “civil law” del nostro ordinamento giuridico.

È proprio quest’ultima la preoccupazione, evidenzia-ta da più parti, in ordine alle posizioni recentemente as-sunte in materia dall’Amministrazione finanziaria e dal-la giurisprudenza.

L’accusa è chiara: nell’ambito dell’Amministrazionefinanziaria e della giurisprudenza stanno maturando in-terpretazioni che sembrano consentire al fisco di disap-plicare “ad nutum” le regole impositive scritte sulla basedi un giudizio caso per caso dell’esistenza o meno di vali-de ragioni economiche “extrafiscali”; di un giudizio, ol-tretutto, non definito o definibile in base a regole precisee pertanto suscettibile di dar luogo di volta in volta ad in-terpretazioni soggettive e disparate dell’organo ammini-strativo o dell’organo giudicante. In altri termini se è purvero che è un preciso potere-dovere dell’Amministrazio-ne contrastare il contribuente che si sottragga al dovere

Elusione Tributaria:l’abuso del diritto tra norma comunitariae norma internadi Ivan Vacca

1 Come già rilevato da Assonime nell’audizione del 19 luglio2006 presso la Commissione consultiva sulla imposizione fiscale del-la società (c.d. Commissione Biasco) all’epoca istituita dal Ministrodell’Economia e delle Finanze, la proliferazione degli interpelli an-che quelli a carattere ordinario, estranei all’applicazione della normaantielusiva – sta creando una casistica interpretativa estremamentevariegata con soluzioni volte al caso concreto e non sempre ricondu-cibili ad una impostazione sistematica; sicché soluzioni che purepossono risultare soddisfacenti per il contribuente istante, talvoltasottendono interpretazioni non accettabili come principio generaleper gli altri contribuenti.

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costituzionale di contribuzione (art. 3 e 53 della Cost.),vuoi “evadendo” vuoi “eludendo” le norme fiscali, è al-trettanto vero che la riserva di legge (art. 23 Cost.) è unprincipio di matrice costituzionale “che non svolge unafunzione ornamentale o decorativa del sistema, ma loplasma in modo da garantire ai soggetti passivi non sol-tanto la democraticità delle scelte impositive (non certa-mente demandabili al giudice) ma anche la certezza (deldiritto) nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria2.

3. Prima di scendere più nel dettaglio di questa tema-tica, merita prendere atto della complessità della situa-zione che si è venuta, in concreto, a creare.

Un primo aspetto, su cui riflettere, riguarda il “modusoperandi” dell’Amministrazione finanziaria nell’esplica-zione della sua attività di accertamento.

È noto che agli uffici finanziari vengono assegnatiprecisi obiettivi nel compimento delle verifiche, obietti-vi di efficienza, di razionalizzazione dell’azione accertati-va, di suo coordinamento sul territorio nazionale e al-l’estero, di indirizzo delle verifiche per gruppi economi-ci, per settore produttivo, per tipologia di fattispecie etc.In questo contesto, non sono indifferenti anche gliobiettivi di budgets sul numero degli accertamenti an-nuali da eseguire e sull’entità dei recuperi potenziali. Èchiaro, però, che quest’ultimo aspetto potrebbe condi-zionare – volente o nolente – non poco la prospettiva incui gli accertamenti vengono in concreto condotti, nelsenso che si potrebbe determinare una spinta (sia pur in-consapevole) a “stressare” la pretesa impositiva, fino adarrivare ad accertamenti non dico pretestuosi, ma dallemotivazioni quantomeno discutibili. Ed è proprio nelcampo dell’“elusione” che trova facile sviluppo questo“modus operandi” – e in particolare, nelle verifiche dioperazioni di riorganizzazione aziendale che costituisco-no il cuore, se vogliamo, della fattispecie elusiva indicatanell’art. 37 bis del d.p.r. n. 600 del 1973 – poiché inquesta materia il disconoscimento degli effetti delle ope-razioni (considerate le dimensioni che, di regola, esse as-sumono) possono ingenerare recuperi di una certa entitàe, soprattutto, perché la costruzione della motivazionedella pretesa impositiva, ove si accetti l’impostazione so-pra evidenziata (quella cioè di far riferimento sic et sim-pliciter alla presunta mancanza di valide ragioni econo-

miche) si presenta in termini oggettivamente più sem-plici. Non è da escludere, quindi, che proprio questa si-tuazione sia stata, sia pur indirettamente, una fra le variecause che ha in qualche modo favorito, quanto menopresso l’Amministrazione, lo sviluppo della linea inter-pretativa sul concetto di elusione dianzi ricordata; lineainterpretativa che, per altro, è seguita e convalidata –giova ribadirlo – anche dalla recente giurisprudenza.

Comunque, a prescindere da queste illazioni, sta difatto che questa tipologia di accertamenti – accertamen-ti, cioè, volti alla contestazione del fenomeno elusivo –sono divenuti, a quanto consta, preponderanti e ripetiti-vi, per lo meno nei confronti delle medie e grosse orga-nizzazioni d’impresa.

4. Un altro aspetto che non può essere trascurato ri-guarda le scelte legislative che sono state compiute inmateria tributaria.

La ricerca di competitività, di modernità del nostrosistema fiscale, di comparabilità con gli altri ordinamen-ti, ha indotto il legislatore, soprattutto in questi ultimianni, ad introdurre una serie di istituti e di modelli dioperazioni che pur perseguendo risultati economici avolte similari a quelli di altre operazioni sottoposte adimposizione ordinaria, sono caratterizzati da regimi dif-ferenziati, da regimi spesso di favore. Mi riferisco adesempio alle operazioni di fusione, scissione e conferi-menti di azienda, assistite tradizionalmente dalla disci-plina di neutralità fiscale sulle plusvalenze dei beni tra-sferiti, in ciò differenziandosi dalle liquidazioni societa-rie o dalla vendita di aziende che hanno, invece, caratte-re realizzativo. Mi riferisco al regime di consolidamentofiscale degli imponibili che consente la compensazionedi utili e perdite delle società appartenenti allo stessogruppo, ma che opera solo per le società del gruppo sot-toposte a controllo di diritto (richiedendo quindi che ilegami partecipativi siano strutturati in un determinatomodo) e ancora, al regime di detassazione delle plusva-lenze su partecipazioni societarie che consente indiretta-mente, attraverso appunto il trasferimento di tali parte-cipazioni, la circolazione di complessi aziendali in neu-tralità fiscale (rectius parziale neutralità al 95 per cento)laddove, invece, la cessione diretta degli assets aziendali èsottoposta ad imposizione ordinaria etc. Tutti questi re-gimi sono stati, peraltro, ricondotti con espressa disposi-zione di legge nell’alveo applicativo della norma antielu-siva dell’art. 37 bis del d.p.r. n. 600 del 1973, nel sensoche per la loro applicazione il legislatore ha consentito,anzi ha imposto all’Amministrazione finanziaria di eser-citare il suo potere dovere di controllo sull’eventuale esi-stenza, caso per caso, di forme di abuso.

2 Il testo virgolettato è ripreso da “Note critiche a proposito di unrecente orientamento giurisprudenziale incentrato sulla diretta ap-plicazione, in campo domestico, del principio comunitario di divie-to di abuso del diritto” (nota a Cass., sez. trib., n. 8772/2008; Cass.,sez. trib. n. 10257/2008) di BEGHIN in Rivista di Diritto Tributa-rio vol. XVIII luglio-agosto 2008, 465 e ss.

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Ciò induce ad almeno due riflessioni.Innanzitutto, la norma antielusiva dell’art. 37 bis del

d.p.r. n. 600 nata, come disposizione relativa a talunefattispecie, è divenuta sostanzialmente di portata gene-rale nell’ambito del reddito d’impresa, caratterizzandol’applicazione di quasi tutti i regimi fondamentali di de-terminazione dell’imponibile e tende, a quanto consta,ulteriormente ad espandersi. Sicché la risalente diatribase la clausola antielusiva abbia valenza generale o menonel sistema tributario, ha perso sostanzialmente di signi-ficato, per lo meno nell’ambito dell’imposizione diretta.In questo senso il percorso legislativo sta giungendo difatto e per via parallela ad un risultato sostanzialmentenon dissimile da quello cui perviene in via interpretativala Corte di Cassazione che fonda il suo approccio – co-me è noto – sulla diretta e generale applicabilità al no-stro ordinamento domestico del principio di matrice co-munitaria dell’abuso del diritto3.

Ma c’è anche un altro aspetto che non può essere tra-scurato.

La scelta del legislatore in ordine alle fattispecie dian-zi ricordate – conferimenti, fusioni, scissioni, cessioni dipartecipazioni fruenti di esenzione etc. – sono chiare edinequivocabili, nel senso che, per motivi di strategia fi-scale di varia natura (e che non è il caso qui di sindacare),sono stati previsti per esse regimi impositivi differenzia-ti, spesso più vantaggiosi rispetto ad operazioni produt-tive di effetti “latu sensu” similari. E tali regimi, nell’as-setto globale del sistema fiscale, sono stati concepiti noncome meramente temporanei o eccezionali, ma comestrutturali alla natura giuridico-formale di tali operazio-ni, le quali quindi, proprio in aderenza alla volontà dellegislatore, non possono che essere individuate evidente-mente se non in base ai corretti criteri ermeneutici cheattengono alla loro disciplina civilistica.

In prima battuta, quindi, non appare razionale, sot-to un profilo sistematico, l’idea che molti manifestano –e che è fonte di vari equivoci – secondo cui l’imposizionedeve tendenzialmente attuarsi secondo il modello impo-sitivo più oneroso; tesi che porterebbe a ricondurre, làove possibile, gli atti negoziali anzidetti agli archetipi –per natura e per qualificazione – di operazioni negoziali

produttive di effetti similari ma sottoposte a regime im-positivo meno vantaggioso.

È vero tendenzialmente, anzi, il contrario.La fusione non è una liquidazione anche se condivi-

de con la liquidazione il fatto che una società possascomparire e i suoi assets essere trasferiti alla società so-cia; così come un conferimento d’azienda è un negozioavente causa giuridico-formale diversa dalla cessione percompravendita della azienda medesima; e ancora la ces-sione di partecipazione costituisce fenomeno negozialenon assimilabile alla vendita diretta della azienda socie-taria, ancorché l’una e l’altra operazione consente di at-tuare la circolazione del bene azienda e di realizzarne iplusvalori latenti.

E il legislatore, ben consapevole di questa distinzio-ne giuridico-formale, ha inteso introdurre regimi diffe-renziati. Se il nostro sistema avesse voluto perseguirel’effetto contrario, avrebbe dovuto imboccare, eviden-temente, la via esattamente opposta. Ad esempio, nel-l’ambito dei principi contabili internazionali, il supe-ramento delle forme giuridico-negoziali per addiveniread un trattamento unitario delle operazioni gestionalidell’impresa che risultino produttive di risultati econo-mici equivalenti, costituisce uno dei capisaldi di tale si-stema volto a realizzare, come è noto, come principaleobiettivo la comparabilità dei bilanci delle imprese aprescindere dagli ordinamenti giuridici in cui operanoe a beneficio di una informazione omogenea degli in-vestitori. Così a titolo esemplificativo, l’IFRS 3 acco-muna in un’unica disciplina i conferimenti e le cessionidi aziende, le fusioni, le scissioni, i trasferimenti di par-tecipazioni che determinino il trasferimento del con-trollo dell’impresa o di parte di essa4. È di tutta eviden-za, tuttavia, che questo tipo di interpretazione non puòessere “sic et simpliciter” “importato” in un ordinamen-to di “civil law”, quale il nostro, che ha il suo fonda-mento, al contrario, nella predeterminazione della fat-tispecie legale; soprattutto non può essere valido stru-mento interpretativo della nostra attuale legislazionefiscale che – ripetiamo – ha espressamente distinto i re-gimi impositivi proprio in ragione delle differenti fatti-specie legali. Sia allora il legislatore eventualmente a re-vocare queste scelte, ma attraverso disposizioni specifi-che in tal senso.

3 Naturalmente, questa analogia è riscontrabile solo con riguar-do alla progressiva estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 37bis del d.p.r. n. 600 del 1973. L’abuso del diritto – così come rico-struito dalla Cassazione – e la disciplina antielusiva dell’art. 37 bis,per il resto, presentano rilevanti differenze, tra le quali spicca l’assen-za, nel caso di abuso, della garanzia di un contraddittorio preventivocon l’Amministrazione; contraddittorio che, come è noto, è inveceobbligatorio in base al citato art. 37 bis.

4 La tematica del diverso approccio dei principi contabili inter-nazionali nella rappresentazione contabile delle operazioni di aggre-gazione aziendale è sviluppata nella circolare Assonime n. 51 del2008 sulla nuova disciplina dei conferimenti, fusioni e scissioni cosìcome risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 244 del 2007(finanziaria per il 2008).

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Quanto detto non mi pare – in prima battuta – possaessere revocato in dubbio neanche facendo leva sullaclausola elusiva che, come accennato, accompagna l’ap-plicazione di questi regimi. In linea generale quando unordinamento mette a disposizione strumenti operativiaventi trattamenti fiscali alternativi, è chiaro che i contri-buenti si ritengono abilitati ad optare a buon diritto perquelli che, caso per caso, risultano più rispondenti alla lo-ro pianificazione fiscale. Censurare questa loro scelta soloperché fondata su motivi di convenienza fiscale appare inun certo senso una petizione di principio rispetto alla sta-tuizione normativa e, comunque, un surrettizio supera-mento del principio del legittimo affidamento sulle indi-cazioni poste dalla stessa norma. L’elusione va ricercata ela conseguente reazione all’elusione va fatta scattare nonper contrastare i risultati voluti dal legislatore ma per im-pedire il verificarsi di quelli non voluti, contrari in qual-che modo alla “ratio” del sistema o dell’istituto fiscale in-vocato dal contribuente. Ci vuole, insomma, qualcosa dipiù perché possa ravvisarsi un fenomeno elusivo.

Sott’altro profilo, occorre anche aggiungere che i regi-mi fiscali differenziati di cui si discute non sono frutto diiniziative legislative avventurose: nel perseguire nelle fat-tispecie in esame finalità di politica economica, sono stateadottate anche opportune cautele a difesa in qualche mo-do delle basi imponibili. Così ad esempio, per le opera-zioni di fusione, scissione e conferimento di azienda il re-gime di neutralità del trasferimento dei cespiti aziendali siaccompagna al principio di continuità dei loro valori fi-scali, sicché la pretesa del fisco si conserva intatta e potràesercitarsi in occasione delle successive vicende redditualidi tali cespiti presso la società beneficiaria. Per tali opera-zioni, semmai, il problema principale è di evitare l’utilizzoimproprio della compensazione delle perdite fiscali, il c.d.commercio delle “bare”: un aspetto, cioè, patologico diun istituto che di per sé sarebbe riguardato con favore dal-lo stesso legislatore se la compensazione avviene nel grup-po economicamente unitario, ma che assume evidente-mente connotati inaccettabili se si trasforma in un “com-mercio” di “bare fiscali” fra realtà imprenditoriali diverse5.

E così ancora, il trasferimento dell’azienda tramite lacessione delle partecipazioni sociali fruenti di esenzione,consente senz’altro al soggetto cedente di beneficiaredella non tassazione, nell’immediato, delle relative plu-svalenze, diversamente da quanto accade nel trasferi-mento diretto dei relativi “assets”, ma a ciò si accompa-gnano specifici meccanismi di recupero di questo bene-ficio presso l’acquirente delle partecipazioni. In partico-lare tale soggetto, diversamente che nell’acquisizione di-retta dei cespiti aziendali, non può trasferire i maggioricosti sostenuti per l’acquisto delle partecipazioni suglianzidetti cespiti che continuano, di conseguenza, ad as-sumersi fiscalmente ai valori precedenti. Il legislatore, inaltri termini, sembra aver consapevolmente consentitoche l’obbligazione tributaria possa essere indifferente-mente assolta, secondo lo strumento negoziale in con-creto scelto dalle parti, dal cedente l’azienda nell’“assetdeal” o dal cessionario nello “share deal”6. E gli esempipotrebbero proseguire.

In estrema sintesi, quello che mi sembra opportunoribadire è che della clausola antielusiva indubbiamentec’è bisogno nell’ordinamento fiscale, così come c’è biso-gno in qualsiasi ordinamento ispirato alla predetermina-zione della fattispecie impositiva e che può presentareproprio per questo “modus operandi” dei “varchi” nonvoluti, delle zone c.d. oscure, ma questa clausola deveservire a colpire quello che è sfuggito al sistema dellenorme scritte: deve colpire gli effetti indesiderati inquanto contrari più o meno palesemente alla “ratio” delsistema, alla logica o alle logiche degli istituti impositivicosì come positivamente disciplinati, non ciò che il legi-slatore ha realmente e fondatamente perseguito. In que-sto senso, la clausola antielusiva è una norma non scrittadi chiusura del sistema, non uno strumento per porrecostantemente nel nulla le regole scritte.

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5 Al riguardo, occorre tuttavia ricordare che l’art. 84, comma 3,del TUIR, per contrastare il commercio di bare fiscali realizzato at-traverso l’acquisto di società in perdita e la modificazione della loroattività subordina il riporto delle perdite della società acquisita al su-peramento di un test di vitalità; test cui andavano esenti le società ac-quisite all’interno dello stesso gruppo. L’art. 36 comma 12 del decre-to-legge n. 223 del 2006 ha abolito questa esimente, lasciando primafacie intendere che il commercio delle bare fiscali possa realizzarsi an-che tra società già soggette al medesimo controllo. Per una approfon-dita analisi del significato e delle conseguenze di questa modifica e sirinvia alla circolare Assonime n. 31 del 31 maggio 2007.

6 Nella circolare Assonime n. 32 del 2004 già veniva sottolineatal’equivalenza sul piano sistematico delle due opzioni confrontandol’ipotesi di un conferimento in neutralità seguito dalla cessione dipartecipazione in regime di participation exemption (share deal) equello di cessione diretta dei beni aziendali (asset deal). Nella primaipotesi il regime di neutralità comporta che i plusvalori dell’aziendarimangano in stato di latenza anche presso il soggetto cessionario, sulquale, dunque, si conserveranno intatte le pretese del Fisco ad unsuccessivo recupero a tassazione delle plusvalenze stesse allorché tro-veranno manifestazione. Viceversa, nell’ipotesi di cessione realizzati-va di plusvalenze imponibili, l’applicazione del regime impositivoordinario permette una corrispondente lievitazione dei costi dei beniceduti presso l’impresa ricevente. Conseguentemente il sistema, sen-za dar luogo a salti d’imposta o a duplicazioni, viene a rimettere alleparti che pongono in essere queste operazioni la scelta di chi tra diesse debba assumere la posizione di contribuente sui plusvalori deibeni di primo grado.

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DOTTRINAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 23

5. Venendo più nel dettaglio all’esame delle posizio-ni assunte dall’Amministrazione finanziaria e dalla giu-risprudenza, può facilmente constatarsi che si tratta diposizioni molto vicine: sostanzialmente esse incentranoil fenomeno elusivo, come accennato, sull’assenza di va-lide ragioni economiche a supporto dell’operazione odelle operazioni poste in essere dai contribuenti. Si trat-ta di tesi che sono sviluppate, peraltro, in ambiti diversi:l’Amministrazione finanziaria ha assunto tale posizionein sede di applicazione della disposizione antielusivaprevista dall’art. 37 bis, d.p.r. n. 600 ai fini delle impo-ste dirette; la giurisprudenza, e segnatamente l’Alta Cor-te di Cassazione trae questo assunto dal concetto di abu-so del diritto di matrice comunitaria, così come inter-pretato dalla Corte di Giustizia e sulla presunta valenzagenerale di tale principio anche nell’ambito della nostralegislazione domestica e, dunque, a prescindere dalleprevisioni dell’art. 37 bis che verrebbe in quest’ottica adessere superato.

Giova, dunque, esaminare distintamente queste po-sizioni.

Per quanto riguarda l’art. 37 bis del d.p.r. n. 600molto sinteticamente ricordo che fino agli anni novantasi riteneva del tutto assente all’ordinamento tributariouna clausola generale antielusiva e ciò in virtù del rigoro-so rispetto del principio costituzionale di predetermina-zione dell’obbligazione tributaria: la reazione all’elusio-ne veniva affidata ad una moltitudine di norme antielu-sive specifiche che predefinivano la fattispecie da consi-derare elusiva e di cui disconoscere gli effetti. Fu, dun-que, una novità l’introduzione di una nozione generaledi elusione ad opera dell’art. 10, della Legge n. 408/90,il quale, pur limitandone l’applicazione solo a particolarifattispecie – quali le operazioni di aggregazione aziendae di riduzione del capitale – definì come elusive le opera-zioni poste in essere allo scopo esclusivo di ottenere frau-dolentemente un risparmio d’imposta.

Le innovazioni introdotte successivamente sul finiredegli anni novanta con la riformulazione di questa nozio-ne nel nuovo art. 37 bis, del d.p.r. n. 600, non intendeva-no in alcun modo modificare questo approccio, ma chia-rire il concetto di fraudolenza che nella precedente nor-ma aveva dato luogo a dubbi interpretativi, definendonemeglio – per lo meno nelle intenzioni del legislatore – icaratteri oggettivi: la frode fiscale secondo questa nuovadefinizione non deve necessariamente rispondere ad unconcetto penalistico di fraudolenza, non si articola cioè,nell’impiego di artifizi o raggiri per ottenere vantaggi tri-butari; essa va più semplicemente colta in quegli atti, fattie negozi anche collegati fra loro, privi di valide ragionieconomiche, che risultano diretti ad aggirare obblighi e

divieti previsti dall’ordinamento tributario al fine di otte-nere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.

È evidente l’intenzione di individuare in questo mo-do una disciplina ai fini tributari simile a quella che in se-de civilistica detta l’art. 1344 c.c. sul contratto in frodealla legge. Non nel senso di trasferire “sic et simpliciter”questa disciplina civilistica in campo tributario – trattan-dosi, anzi, di regimi differenti nelle intenzioni e nelle rea-zioni alla frode7 – quanto nel proporre ai fini fiscali un“modus operandi” parallelo a quello della norma del codi-ce. Così come in sede civile costituisce negozio in frodealla legge quello che si pone come mezzo per eludere l’ap-plicazione di una norma imperativa – il negozio, cioè,che secondo una accreditata dottrina (anche se non l’uni-ca) veste con causa negoziale tipica un rapporto che nelcaso di specie realizza viceversa una causa reale vietata,utilizzando non la simulazione ma la combinazione invario modo degli stessi elementi oggettivi del modellonegoziale regolato dalla norma (si conclude, ad esempio,formalmente un atto di liberalità ma la combinazione de-gli eventi è tale per cui siamo, in realtà, in presenza divendita di beni non commercializzabili) – così pure in se-de fiscale costituisce operazione in frode alle regole di im-posizione quella che non viola direttamente ma aggiraobblighi e divieti, ottenendo in questo modo vantaggiche altrimenti sarebbero stati indebiti: l’esistenza in que-sto contesto delle varie ragioni economiche sembra dun-que posta dal legislatore non come diretto (ed unico) sin-tomo dell’elusione, ma al contrario come possibilità peril contribuente di superare la configurazione elusiva della

7 Come è noto, in dottrina sono state avanzate diverse ricostru-zioni riguardo alla possibilità di invocare l’art. 1344 cc come stru-mento di contrasto dei fenomeni elusivi. Una serie di autori propen-de per la tesi negativa in quanto l’art. 1344 cc sarebbe posto a presi-dio dell’aggiramento di norme imperative di natura proibitiva, lad-dove invece le disposizioni fiscali, lungi dallo stabilire se un negoziopossa essere stipulato o meno, si limiterebbero a disciplinarne gli ef-fetti (Cfr. FANTOZZI, Il diritto tributario, Utet, 2003, 161; TE-SAURO, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, Milano2006, 251). Altri autori hanno osservato che gli atti negoziali non ri-leverebbero in quanto tali ai fini tributari, bensì regredirebbero ameri elementi della fattispecie, con la conseguenza che l’elusionedella legge tributaria non potrebbe essere arginata con il ricorso al ri-medio civilistico dell’art. 1344 cc (LUPI, Usufrutto di azioni: unanorma antielusione non si può inventare, in Rass trib. 1995, 1936).A diversa conclusione giunge invece la dottrina che ha sostenutol’applicabilità dell’art. 1344 cc in materia tributaria, ravvisando nel-l’elusione tributaria una violazione del dovere solidaristico alla con-tribuzione di cui all’art. 53 Cost. e prospettando che l’operativitàdello schema della frode alla legge sul piano tributario dovrebbe ri-solversi non nella nullità civilistica, ma nell’irrilevanza fiscale dell’at-to elusivo (GALLO, Prime riflessioni su alcune recenti norme antie-lusione, in Dir. e prat. trib. 1992, 1767 e ss).

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fattispecie. Ed in questo senso si esprime chiaramente larelazione governativa al provvedimento di legge che haintrodotto l’art. 37 bis in parola.

Due considerazioni emergono da questa ricostruzio-ne interpretativa.

La prima è che, così come in sede civile la disciplinadell’art. 1344 c.c. costituisce una norma di chiusura edunque di applicazione non ricorrente di un sistema cheresta legalistico e cioè basato su fattispecie determinatedalla norma, così pure il regime fiscale dell’elusione do-vrebbe avere la medesima valenza, cioè dovrebbe porsicome norma di chiusura di un sistema anch’esso basato,forse a maggior ragione, sul principio legale della prede-terminazione della obbligazione tributaria.

La seconda considerazione è che nel regime antielusi-vo della norma fiscale costituisce elemento essenziale del-la frode, prima ancora dell’analisi delle ragioni economi-che dell’operazione, l’accertamento di un effettivo aggira-mento di obblighi e divieti, cioè l’acclaramento di un ef-fettiva violazione della ratio del sistema fiscale o del sotto-sistema dalla quale scaturisca un’applicazione della nor-ma in modo non corretto rispetto alla esatta esplicazionedella capacità contributiva. Occorre, cioè, che risultinoviolati i principi fondamentali dell’ordinamento, quali ildivieto di doppia deduzione dei costi, il divieto di salto diimposizione, il commercio di bare fiscali, il commercio,cioè, di perdite non realizzate nel gruppo ma acquisite ap-positamente da società inattive per trarne vantaggi dallacompensazione con i propri imponibili8. Ma soprattuttoemerge da questa ricostruzione – e il punto è esplicita-mente sottolineato dalla relazione governativa all’art. 37bis – che non possono essere considerate elusive le sceltefra regimi impositivi alternativi messi a disposizione dallostesso ordinamento senza limiti o condizioni e ciò anchequando le operazioni che beneficiano di tali regimi pro-ducano risultati economici, in tutto o in parte, equivalen-ti ad altre operazioni diversamente trattate9. Ad esempio,è nella libertà dei contribuenti: insediare un’attività eco-nomica all’estero tramite stabili organizzazioni o tramitela costituzione di subsideries con tutto ciò che ne consegueper ciò che concerne il differente trattamento delle perdi-te riportabili; ottenere un finanziamento o un capitale diapporto per attuare gli investimenti di impresa; sceglieredi fruire o meno dell’applicazione di imposte sostitutive;

acquisire o spostare partecipazioni per rientrare nel rangedel consolidato fiscale; scegliere di cedere l’attività d’im-presa della società partecipata trasferendo i relativi assetscon effetti impositivi o, viceversa, cedere le partecipazionifruenti di detassazione, e così via10.

Nonostante queste premesse, l’evoluzione interpreta-tiva non ha seguito questa linea. Forse l’art. 37 bis espri-meva concetti dal contenuto semantico non chiaramenteindividuabile o comunque non radicato nella tradizionegiuridica, quale in effetti potrebbe risultare la nozione di“aggiramento di divieti o obblighi” normativi; forse hainfluito la preoccupazione dell’amministrazione di limi-tare l’efficacia fiscale di operazioni sempre più complessedi cui non si capiva appieno il contenuto. Sta di fatto chesotto il profilo teorico si sono sviluppate tesi che hannoattribuito poca valenza al problema dell’aggiramento del-la ratio del sistema fiscale e alla distinzione di questo pro-filo rispetto alla legittima scelta del risparmio di imposte:mi riferisco a quelle tesi che individuano il fenomenoelusivo nella semplice esistenza di operazioni definite co-me “insolite” o “inutilmente complesse e articolate” ri-spetto agli strumenti tipici a disposizione, in quella sortadi “abuso delle forme giuridiche adoperate”11. Sotto ilprofilo della prassi amministrativa si è giunti – forse co-me risultato pragmatico di questo tipo di approccio – adepotenziare completamente il riferimento della normaall’aggiramento di obblighi e divieti e ad attribuire esclu-siva valenza alla esistenza o meno di motivazioni econo-miche extra tributarie a supporto dell’operazione. Piùprecisamente si è realizzata, interpretativamente, una sor-ta di equivalenza fra l’assenza di finalità extra tributariedell’operazione “sub iudice” e il presunto perseguimentoattraverso tali operazioni, e proprio per questa assenza difinalità extra-tributarie, di vantaggi fiscali indebiti.

Questa semplificazione interpretativa ha determina-to una svolta enorme, un cambiamento radicale della vi-sione del problema.

L’effetto più rilevante è stato che ha perso di qualsiasisignificato la circostanza che il regime fiscale di favore diuna determinata operazione sia previsto ex lege. In altri

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8 Cfr. la precedente nota 4. 9 In questo senso si veda anche la circolare del Ministero delle fi-

nanze n. 320/e del 19 dicembre 1997, che, tra l’altro, richiama la re-lazione nella parte in cui chiarisce che “non c’è aggiramento fintantoche il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modostrutturale e fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione”.

10 Vedasi, in questo senso, la lucida analisi di LUPI, Manualegiuridico professionale di diritto tributario, Milano, Ipsoa, 2001 e,da ultimo, le condivisibili considerazioni di STEVANATO, Trasfor-mazione in s.r.l. agricola ed elusione tributaria: è davvero aggirato lospirito della legge? in Corr. Trib. 2008, 1719 e ss.

11 Cfr. RUSSO, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, inRass. trib. 1999, 72 e TESAURO, Compendio di diritto tributario,UTET, 2002, le cui definizioni del fenomeno elusivo pongono l’ac-cento sull’anomalia delle scelte negoziali rispetto a quelle a disposi-zione per ottenere i medesimi effetti economici, lasciando in secon-do piano la coerenza di tali scelte con quelle del legislatore.

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DOTTRINAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 25

termini il semplice fatto che un’operazione trattata in uncerto modo dal legislatore produca – da sola o in combi-nazione con altri – un risultato in tutto o in parte equi-valente ad altra operazione avente differente e più one-roso regime fiscale, abiliterebbe l’amministrazione a sot-toporre tale operazione al sindacato di elusività. Ci sa-rebbe dunque, una sorta di modello di riferimento da as-sumere acriticamente come modello principale, per ilsolo fatto di comportare conseguenze impositive piùonerose e rispetto al quale l’operazione alternativa menoonerosa fiscalmente dovrebbe essere sempre (e per que-sto solo fatto) sottoposta a giudizio di elusività. Adesempio, il regime di neutralità della fusione è sindaca-bile per il solo fatto che l’operazione conduce ad unaestinzione di una delle società che vi partecipa in alter-nativa alla liquidazione della società medesima, che pro-durrebbe invece, effetti impositivi12. Analogamente unascissione che serva a distinguere un ramo industriale daun ramo immobiliare per cedere le partecipazioni delprimo ad acquirenti interessati e conservare le partecipa-zioni del secondo, sarebbe tacciabile di elusività perchéconsentirebbe di realizzare il trasferimento del ramo in-dustriale con la disciplina della cessione delle partecipa-zioni che si presenta più favorevole rispetto alla cessionediretta degli assets dell’azienda industriale13: come direche se fin dall’origine il gruppo fosse stato composto dauna società che gestiva l’azienda industriale e una societàche gestiva il ramo immobiliare, la cessione delle parteci-pazioni del ramo industriale poteva legittimamente esse-re operata, mentre invece, tale legittimazione non ci sa-rebbe se la società nella fattispecie gestisce unitariamentetanto il ramo industriale quanto quello immobiliare eper operare la cessione del primo venga fatta la scissione.E ancora è stata tacciata di elusività una trasformazionedi una società per azioni in una società a responsabilitàlimitata, perché nella fattispecie il regime impositivodell’azienda agricola gestita nella forma di s.p.a. era di-verso, e, per certi versi più oneroso di quello previsto perla gestione dell’azienda agricola da parte di una s.r.l.14.

Come dire che una volta eletta una forma societaria a cuiil legislatore attribuisce un determinato regime impositi-vo non è più possibile scegliere una diversa forma di ge-stione dell’azienda (pur se del tutto legittima sotto ilprofilo civilistico e pur se non vietata espressamente dallegislatore fiscale), solo perché a questa seconda forma illegislatore riconduce l’applicazione di altro regime im-positivo e tale forma non è stata scelta fin dall’origine.Non c’è da stupirsi in una logica di questo genere, che seun gruppo ha una composizione partecipativa che nongli permette di attivare lo strumento del consolidato fi-scale e ricolloca le partecipazioni in modo tale da realiz-zare i presupposti voluti dalla norma per attivare il con-solidato, ciò possa far considerare anche questa un’ope-razione suscettibile di essere tacciata di elusività a moti-vo del fatto che l’operazione riorganizzativa sarebbe ispi-rata da esclusive motivazioni fiscali e cioè dall’esigenzadi poter usufruire di una scelta impositiva messa a dispo-sizione dal legislatore fiscale erga omnes.

Ora al di là della evidente constatazione che posizio-ni del genere conducono alla configurazione di una legi-slazione tributaria che opererebbe sulla base di una sortadi “diritto elettivo” – nel senso che l’organizzazioned’impresa che è nata in un certo modo, ha una determi-nata configurazione giuridica, può accedere a determi-nati regimi tributari e quella che, non avendo questaconfigurazione, pone in essere le modificazioni necessa-rie per realizzarla si troverebbe comunque sbarrata lastrada all’accesso al corrispondente regime tributario –sta di fatto che questo approccio interpretativo contrastaproprio con quanto è stato osservato nel precedente pa-ragrafo 4. Non si può, a mio avviso, tacciare di “poten-ziale” elusività la scelta del contribuente di adottare ope-razioni produttive di effetti economici similari ad altre,sol perché le une hanno una disciplina fiscale di maggiorfavore rispetto alle altre. Si finirebbe in questo modo, ri-peto, per contrastare una precisa volontà legislativa di ri-ferire “quel” determinato regime fiscale a “quella” deter-minata operazione avente le caratteristiche giuridico-formali indicate dalla norma. E ciò si risolve sostanzial-mente – ripeto – in una petizione di principio, oltre chein un surrettizio superamento dell’affidamento alle indi-cazioni normative. Fondare il concetto di “elusione” nel-la assenza di valide ragioni economiche “extra-fiscali”conduce proprio a questo risultato.

Obiezioni sostanzialmente simili mi sembra che pos-sano muoversi anche alle posizioni assunte dalla Cortedi Cassazione.

Come è noto, la Suprema Corte ha abbandonato lalinea argomentativa che aveva sviluppato nel 2005 e chesi incentrava sulla nullità per difetto di cause o per causa

12 Si veda, in questo senso, il parere del Comitato consultivo perl’applicazione delle norme antielusive n. 27 del 21 settembre 2005.

13 Il Comitato si è espresso per l’elusività delle scissioni propor-zionali del ramo immobiliare nei pareri n. 24 del 25 luglio 2006, n.27 e 28 del 4 ottobre 2006 pur avendone avallato la validità in altreoccasioni (cfr. parere n. 19 del 21 settembre 2005 e n. 40 del 14 ot-tobre 2005).

14 Il riferimento è alla risoluzione dell’Agenzia delle entrate n.177/e del 28 aprile 2008 in Corr. trib. 2008, 1719 e ss. che ha rite-nuto elusiva la trasformazione di una s.p.a in s.r.l diretta ad accedereall’opzione per il regime di tassazione catastale previsto dall’art. 1,comma 1093 della legge finanziaria 2007.

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illecita dei contratti conclusi per finalità fiscali (il riferi-mento era, in particolare, ai contratti “dividend washing”e “dividend stripping”)15. Oggi le posizioni sono diverse esi fondono sulla presunta valenza, come accennato, delprincipio di abuso del diritto affermato dall’Alta Cortedi Giustizia in materia di IVA – segnatamene nel casoHalifax16 – anche ai fini della nostra legislazione interna.

Da più parti sono state mosse ampie critiche sulla ef-fettiva possibilità che tale principio, affermato per l’ap-plicazione di disposizioni comunitarie, possa estenderela sua applicazione anche ai tributi non armonizzati17.

Prescindendo comunque da questa questione, quelche mi preme semplicemente segnalare in questa sede èche il concetto di “abuso del diritto” che la Corte di Cas-sazione trae dalle conclusioni raggiunte dall’Alta Cortedi Giustizia nel caso di Halifax, è tutt’altro che confor-me a queste conclusioni. Come è stato efficacementeevidenziato in dottrina18, l’Alta Corte individua l’abusoin quelle operazioni che sono conformi all’“applicazioneformale delle condizioni previste dalle pertinenti dispo-sizioni della VI direttiva e dalla legislazione nazionaleche le traspone” e tuttavia conducono ad un vantaggiofiscale contrario “all’obiettivo perseguito da quelle stessedisposizioni”. Dunque, adotta un tipo di interpretazio-ne molto simile a quello fatto proprio nella nostra legi-slazione dall’art. 37 bis del d.p.r. n. 600 (ove interpretato– beninteso – nel senso sopra auspicato e conformemen-te al testo letterale della norma, non così come secondola prassi dell’Amministrazione finanziaria). Non si in-tende, infatti, colpire qualsiasi vantaggio fiscale ma soloquelli non giustificabili in quanto contrari alla “ratio”dell’istituto fiscale di cui si invoca l’applicazione19. Mol-

to chiara in questo senso è l’affermazione di principioche l’Alta Corte fà secondo cui in nessun modo può es-sere impedito al contribuente di scegliere, fra regimi al-ternativi previsti dal legislatore, quello a lui più favore-vole. La Suprema Corte di Cassazione invece traducequesto concetto di abuso nel senso di identificarlo, comeaccennato, sic et simpliciter nelle operazioni “compiuteessenzialmente per il perseguimento di un vantaggio fi-scale”, senza alcuna distinzione fra vantaggio legittimo evantaggio non legittimo.

Bisogna, dunque, dare atto che l’Alta Corte di Giu-stizia adotta una impostazione più garantista del princi-pio di legalità nella determinazione della obbligazionetributaria di quanto non lo faccia la Corte di Cassazioneche pur si pone come interprete di un diritto – quellodomestico – che fa di tale principio un caposaldo costi-tuzionale (art. 23 Cost.).

6. Il tema merita ancora una riflessione. È chiaro da quanto fin qui detto che la individuazio-

ne delle valide ragioni economiche “extra-fiscali” non èun aspetto essenziale per coloro che, come me, intrave-dono l’elusione o l’abuso del diritto in quegli atti ed ope-razioni che pur rispettando formalmente i canoni dellafattispecie legale o tributaria realizzano effetti impositivicontrari alla loro “ratio” o finalità e per questo risultanonon conformi alla corretta attuazione del principio dicapacità contributiva.

In effetti, la “ratio” “tradita” non sempre si coglie diprimo acchitto; spesso più che di una singola “ratio” oc-corre parlare di diverse “rationes” in relazione ai vari sottosistemi in cui si articola l’ordinamento tributario e que-sto può rendere più arduo il compito dell’interprete.Comunque, ove si aderisca a questa impostazione, la di-mostrazione dell’esistenza di valide ragioni può even-tualmente aver rilievo, caso per caso, come elementosintomatico della bontà dell’operazione, laddove ci fos-sero dubbi sulla sua aderenza alla “ratio legis”, ma – ripe-to – non è un punto focale per far scattare o meno la di-sciplina antielusiva.

Per i sostenitori dell’altra impostazione, viceversa, laverifica dell’esistenza o meno delle valide ragioni econo-miche è un punto essenziale, anzi – per essere chiari – èl’unico elemento regolatore della fattispecie elusiva,

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15 Si vedano le sentenze della Cassazione 21 ottobre 2005 n.20398 e 14 novembre 2005 n. 22932 e, anche in merito alla succes-siva evoluzione, la nota di LOVISOLO, Il principio di matrice co-munitaria dell’abuso del diritto entra nell’ordinamento giuridico ita-liano:norma antielusiva di chiusura o clausola generale antielusiva?L’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, in Dir. eprat. Trib, 2007, II, 723 e ss.

16 Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006 nella causa C-255/02, in GT, Riv. Giur. Trib.,n. 5/2006, 377.

17 Così, tra gli altri, SALVINI, L’elusione IVA nella giurispru-denza nazionale e comunitaria, in Corr. Trib. 2006, 3097e ss.; TE-SAURO, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincoloda giudicato esterno incompatibile con il diritto comunitario, inGiur., It. 2008, 1029 e ss.; ZIZZO, L’abuso del diritto in GT, Riv.Giur. Trib., 2008, 465; GIANONCELLI, Abuso del diritto nelleimposte dirette, in Giur. It. 2008, 1297 e ss.

18 Cfr., al riguardo, BEGHIN, Note critiche cit., 473 e ss.; ZIZ-ZO, L’abuso cit., 465.

19 In questo senso, la Corte di giustizia concepisce l’assenza di ra-gioni extrafiscali semplicemente come un indicatore della possibile esi-stenza di un abuso, il cui presupposto è costituito fondamentalmente

dal conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi della Diret-tiva. La valutazione della sussistenza delle ragioni economiche, cioè, ri-leva, in quanto – come si legge nella parte conclusiva della sentenza C-255/02 “deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che ledette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fi-scale” in contrasto con il diritto comunitario.

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l’unico canone normativo. E su quali siano queste valideragioni economiche e come vadano individuate, si è svi-luppata una letteratura tanto ampia quanto fantasiosa.

Ad esempio, è stata negata dal Comitato antielusivol’esistenza di queste valide ragioni economiche nell’ipo-tesi di una fusione societaria motivata dalla necessità diaccorciare la catena partecipativa eliminando una sub-holding. Ciò in quanto, nella fattispecie, l’operazionerealizzava un risparmio di costi del gruppo e dunque uninteresse della società capogruppo in qualità di socio enon un interesse organizzativo-imprenditoriale delle so-cietà partecipanti alla fusione20. E ancora in tema di scis-sione non proporzionale è stato ravvisato un interessemeritevole di tutela (e dunque, l’operazione ha avuto ri-conoscimento ai fini fiscali) in una fattispecie in cui lascissione era volta a risolvere un conflitto gestionale in-sanabile della compagine sociale (si trattava nel caso dispecie di fratelli)21, mentre, invece, queste ragioni nonsono state ritenute valide, come abbiamo già visto, nel-l’ipotesi di scissione attuata per dividere il ramo indu-striale dell’azienda da quello immobiliare al fine di desti-nare l’uno alla vendita (in favore di compratori interes-sati ad acquisire solo tale ramo), continuando la gestionedell’altro22. E ancora è stata censurata una fusione per-ché la ragione economica più importante non era extra-fiscale. L’operazione, infatti, interamente realizzata nellafattispecie fra società appartenenti al medesimo gruppo,mirava a rendere fruibili in compensazione da parte del-la società incorporante le perdite della società incorpora-ta che erano in scadenza e che quindi rischiavano di di-venire non più utilizzabili; e questa presa di posizionesulla presunta assenza di valide ragioni economiche èstata adottata ancorché fossero rispettate, nella fattispe-cie, le condizioni di vitalità e di patrimonializzazionepreviste dall’art. 172 del t.u.i.r. e, dunque, non si trattas-se affatto di un commercio di bare fra imprese apparte-nenti a gruppi diversi23. In un altro caso similare il moti-vo era stato ravvisato nel fatto che le perdite appartene-vano ad una holding che per effetto della riforma fiscaledel 2003 non aveva più redditi imponibili24 (essendostata introdotta la detassazione dei dividendi e delle plu-

svalenze su partecipazioni) sicché l’operazione serviva afar transitare queste perdite sulla società operativa (figu-rante come incorporante nella fusione) per poter essereutilizzate in compensazione con il proprio reddito im-ponibile. E gli esempi potrebbero continuare.

In definitiva, ci troviamo davanti ad una sorta dicreazione del concetto di valide ragioni economiche affi-date all’“estro”, di volta in volta, dell’organo accertatoreo dell’organo giudicante. È chiaro, infatti, che se guar-diamo all’archetipo civilistico di queste operazioni – ar-chetipo che come abbiamo visto (par. 4) è stato presoespressamente a riferimento dal legislatore fiscale per re-golarne il regime ai fini tributari – non c’è nessun moti-vo per distinguere una fusione realizzata per risparmiarei costi della catena societaria o per rendere più efficientel’organizzazione produttiva della società operativa; cosìcome non c’è alcun motivo per distinguere una scissionefatta per risolvere conflitti personali dei soci o per venireincontro alle esigenze di un acquirente interessato a unramo di azienda e non all’altro. Si tratta di operazioniperfettamente valide e perfettamente coerenti – nell’unoe nell’altro caso – con la causa giuridico-formale del ne-gozio di fusione e del negozio di scissione.

Così come anche sotto il profilo fiscale non si riscon-tra neanche un “simulacro” di norma che canonizzi in unottica, sia pur esclusivamente tributaria, il concetto divalide ragioni economiche. In definitiva, anche esami-nando la questione sotto questa angolatura, appare chia-ro che la tesi di ancorare l’accertamento dell’elusione – odell’abuso del diritto, che dir si voglia – all’esistenza divalide ragioni extra-fiscale porta non solo a sconfessare ilprincipio di legalità e di certezza del diritto che connotaintimamente il nostro ordinamento giuridico e segnata-mente il sistema tributario, ma la stessa democraticitàdell’imposizione – valore, come accennato, di rilevanzaanch’esso costituzionale – non potendo la determinazio-ne dell’obbligazione tributaria essere affidata ad un’in-tuizione soggettiva, anche se risultasse di buon senso, diun verificatore o di un giudice.

7. Conclusivamente, possono formularsi le seguenticonsiderazioni:

– non c’è dubbio che il nostro ordinamento fiscale,come gli ordinamenti degli altri stati, deve essere in gra-do di reagire ai comportamenti elusivi dei contribuenti,tanto più che questi comportamenti stanno assumendoforme e contenuti sempre più sofisticati;

– è necessario, tuttavia, che questa reazione non sitrasformi in una disapplicazione “ad nutum” delle regoleimpositive scritte, sulla base di giudizi soggettivi affidatiall’amministrazione finanziaria o all’organo giudicante;

20 Cfr. la nota 11. 21 Cfr. il parere n. 22 del 29 settembre 2004 del Comitato con-

sultivo per l’applicazione delle norme antielusive. 22 Si vedano, sul punto, i pareri del Comitato già ricordati nella

nota 12. 23 In terminis, la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 116 del

24 ottobre 2006 con nota di LUPISTEVANATO in Dialoghi di di-ritto trib. 2007, 110 e ss.

24 Così il parere del Comitato consultivo per l’applicazione dellenorme antielusive n. 2 del 19 gennaio 2005.

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– questo rischio è concretamente presente nell’impo-stazione interpretativa seguita dall’Amministrazione fi-nanziaria, in sede di applicazione dell’art. 37 bis del d.p.r.n. 600 e in quella fatta propria recentemente dalla Supre-ma corte di Cassazione che ha ritenuto applicabile al no-stro ordinamento interno il concetto di abuso di dirittodi stampo comunitario, così come definito dall’Alta Cor-te di Giustizia e interpretato dalla stessa Cassazione;

– entrambe le accennate posizioni convergono sulfatto che l’elusione o abuso del diritto è ravvisabile nelleoperazioni poste in essere dai contribuenti mancanti so-stanzialmente di valide ragioni economiche extra-fiscali;

– questa tesi può compromettere non poco il princi-pio di predeterminazione “ex lege” dell’obbligazione tri-butaria e, dunque, di certezza del diritto e di democrati-cità dell’imposizione, per almeno due ordini di conside-razioni: innanzitutto, perché il nostro ordinamento fi-scale è costellato di regimi alternativi in ragione dellediverse tipologie formali-giuridiche delle operazioni,sicché questa distinzione di trattamenti fiscali rispondead una precisa scelta del legislatore che verrebbe siste-maticamente disattesa sulla base di un ordine di consi-derazioni – il giudizio appunto sulle valide ragioni eco-nomiche – affidato “ex post” al verificatore o all’organogiudicante, ciò risolvendosi in una sorta di petizione diprincipio e di superamento dell’affidamento sulle indi-

cazioni della norma; e inoltre perché – aspetto, questo,strettamente connesso al primo – non esistono indica-zioni normative e canoni ermeneutici sulla definizionedi questo concetto di “valide ragioni economiche” sic-ché esso è rimesso caso per caso alla intuizione – a voltedi buon senso, a volte no – del verificatore o dell’organogiudicante;

– meglio sarebbe, dunque, ricondurre la individua-zione dell’elusione o dell’abuso del diritto alla distinzio-ne fra le scelte che il contribuente può lecitamente com-piere perché rispondenti ad opzioni espressamente mes-se a disposizioni dal legislatore e quelle che, invece, nonpuò compiere perché violano la “ratio” dell’istituto e de-gli istituti di cui si invoca l’applicazione. In particolare,occorre a questi fini analizzare il contenuto complessivodell’operazione, che proprio perché elusiva si presenta diregola conforme alle applicazioni formali della norma,ma sostanzialmente produce vantaggi contrari ai suoiobiettivi. Questo approccio, d’altra parte, è in linea siacon esplicite prescrizioni dell’art. 37 bis del d.p.r. n. 600(che pone riferimento all’aggiramento di obblighi e di-vieti per ottenere vantaggi altrimenti indebiti) sia con leindicazioni dell’Alta Corte di Giustizia che – diversa-mente dalla interpretazione che ne da la Corte di Cassa-zione – ravvisa l’abuso non in qualsiasi vantaggio fiscalema in quello contrario, appunto, alla “ratio legis”.

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Il tema dei rapporti tra “elusione fiscale” e reati tribu-tari si è sempre posto in dottrina e giurisprudenza con laclassica domanda: “fino a che punto si rimane nell’ambi-to dell’elusione, penalmente non sanzionabile, e da qua-le punto in poi si cade nel reato tributario, punibile”.

Sotto la vigenza della precedente L. 516/82, poichéla frode fiscale (art. 4 lett. f ) richiedeva l’utilizzazione didocumenti falsi ovvero altri comportamenti fraudolenti,in giurisprudenza alcuni importanti provvedimenti ave-vano sostenuto che le ipotesi prospettate (“dividend wa-shing” e “dividend stripping”) non comportavano l’uso didocumenti falsi e neppure atti fraudolenti, tutta la situa-zione risultando chiaramente dalla contabilità, dai con-tratti e dai bilanci, e pertanto non erano riconducibili adalcuna fattispecie penalmente rilevante.

La situazione è, peraltro, mutata con il D.Lgs. 74/00,il quale ha introdotto un nuovo reato (“dichiarazione in-fedele”: art. 4), privo di connotati frodatori e consistentenel mero occultamento,oltre date soglie quantitative, dicomponenti positivi di reddito, anche mediante indica-zione di componenti negativi fittizi. Vi è quindi ora il ri-schio che i verificatori, in casi di questo genere, ossia dicomportamenti genericamente ritenuti “elusivi”, pre-sentino la denunzia alla Procura della Repubblica per ta-le reato, superandosi la soglia di punibilità.

In proposito occorre, comunque, tenere presente ilseguente importante dato sistematico: la fattispecie inesame richiede una soglia di punibilità “mista”, relativasia all’entità dell’imposta evasa sia all’ammontare deicomponenti di reddito sottratti all’imposizione. Pertan-to non è sufficiente che il comportamento sia produttivodi evasione fiscale, ma occorre che tale risultato sia otte-nuto mediante condotte che si risolvono in un vero eproprio occultamento di componenti di reddito1.

Si deve, di conseguenza, da parte dei contribuenti edei professionisti, esigere che, nella prassi dei verificatorie degli Uffici, molto spesso ispirata ad ingiustificate pre-occupazioni “cautelative”, tendenti ad inviare comun-que la denunzia al P.M. (talvolta financo quando non siaaccertato il superamento della soglia), essa venga presen-tata solo quando effettivamente risultano perfezionatitutti gli estremi del reato in esame, e non si tratti di meraevasione (od elusione) solo fiscalmente rilevante (con re-lativo recupero di imposta ed applicazione di sanzionitributarie non penali).

A tale conclusione si deve pervenire anche di frontealle specifiche “clausole antielusive” di cui agli artt. 37 c.3 e 37-bis D.P.R. 600/73, la cui violazione non importaautomaticamente, per quanto detto, la realizzazione diun reato di dichiarazione infedele.

Chiediamoci ora se l’impostazione sia destinata amutare a seguito dell’applicazione in sede giurispruden-ziale del nuovo istituto denominato “abuso del diritto”,per il cui esame specifico, e per la relativa casistica, si farinvio agli scritti in argomento.

Poiché l’essenza dell’istituto attiene alla predisposi-zione di negozi c.d. ”indiretti”, collegati tra di loro, nonaventi altro scopo che quello di ottenere un risparmio diimposta, è chiaro che l’attenzione del giudice penale sideve spostare su tale ulteriore profilo, nel senso di porsila domanda se la mera adozione di contratti così qualifi-cati dall’A.F. dia luogo a qualche reato.

Profili Penal-Tributaridell’“Abuso di diritto”di Ivo Caraccioli

1 In linea esemplificativa si possono, quindi, ritenere punibili iseguenti comportamenti:Ipotesi integranti il reato di dichiarazione infedele ai sensi dell’art.4 D.Lgs. 74/2000: mancata registrazione a libro giornale di alcunefatture emesse; registrazione a libro giornale di fatture emesse per unimporto inferiore a quello reale; plurima registrazione a libro giorna-le di documenti di spesa; registrazione a libro giornale di fatture rice-vute per un importo superiore a quello reale; registrazione a libro

giornale di costi fittizi; indicazione nel quadro F del Modello UnicoSC di fittizie variazioni extracontabili in diminuzione; indicazionenel quadro F del Modello Unico SC di variazioni extracontabili inaumento per importi inferiori al dovuto. Ipotesi non integranti il reato di dichiarazione infedele ai sensidell’art. 4 D.Lgs. 74/2000: utilizzo di perdite di periodi d’impostaprecedenti, qualora le stesse siano indicate in dichiarazioni regolar-mente presentate; mancato adeguamento alle risultanze degli Studidi Settore; errata indicazione di dati rilevanti ai fini degli Studi diSettore; errata indicazione di dati rilevanti ai fini della determina-zione del reddito minimo da società di comodo; mancata dichiara-zione del reddito minimo da società di comodo; l’indicazione nelquadro N del Modello Unico SC di detrazioni non spettanti; indi-cazione nel quadro N del Modello Unico SC di crediti d’impostanon spettanti; errata indicazione di compensazioni d’imposta effet-tuate tramite F24.

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30 DOTTRINA ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009

Quanto a quello di cui all’art. 4 D.Lgs. 74/00,essosta e cade a seconda che nelle dichiarazioni redditi edIVA si tengano comportamenti idonei ad occultarecomponenti positivi di reddito. Poco importa, quindi,sotto questo profilo, che il risultato in esame sia ottenu-to mediante il ricorso a negozi indiretti o collegati, talepresupposto di fatto confluendo nel risultato finale delladichiarazione2.

Si faccia, tra i tanti possibili esempi, il seguente: at-traverso negozi indiretti e collegati, privi di qualsiasi sco-po economico, si trasferiscono dei costi da una ad altrasocietà dello stesso gruppo. Il giudice penale, indipen-dentemente dalla valutazione dei negozi, può pervenirea dimostrare, con strumenti di indagine propri, che glielementi passivi in questione sono “fittizi”3.

Non può, al contrario, essere chiamato in causa il piùgrave delitto di “dichiarazione fraudolenta” di cui all’art.

3 stesso D.Lgs., sotto il profilo che la “costruzione” deinegozi indiretti sia “artificiosa”, in quanto il reato in esa-me richiede il c.d. ”falso contabile”, il quale, nel caso inesame, manca assolutamente, tutta la situazione emer-gendo con chiarezza dalla contabilità e dai bilanci.

Parimenti apparirebbe infruttuoso il ricorso alla fatti-specie comune della truffa aggravata (art. 640 cpv.n. 1c.p.), di cui qualche volta superficialmente si sente parla-re, in quanto è pacifico in dottrina che la materia penaletributaria costituisce un “sistema chiuso” nel quale nontrovano ingresso le fattispecie penali comuni.

2 Va ricordato che, secondo qualche Autore, peraltro senza parti-colare approfondimento dell’argomento, la definizione di “impostaevasa” di cui all’art. 1 lett. f ) D.Lgs. 74/00 legittimerebbe la rilevanzapenale dei fenomeni di “abuso del diritto”. Il ragionamento è sostan-zialmente il seguente: l’art. 4 stesso D.Lgs. richiede il “fine di evaderele imposte”; la citata definizione fa riferimento alla “differenza tral’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazio-ne”. Pertanto, rileverebbe ai fini penali qualunque differenza tra ledue quantità, comunque ottenuta con riguardo a qualsivoglia regoladi computo dell’imposta rilevante in diritto tributario, ivi compresaquindi l’applicazione della regola dell’”abuso del diritto”. Tale impo-stazione non pare, peraltro, accettabile, in quanto interpreta il con-cetto di “imposta dovuta” alla stregua delle norme tributarie, senzatener conto che, sulla base del principio del “doppio binario”, che ca-ratterizza il settore, l’“imposta dovuta” stessa va ricostruita esclusiva-mente con i mezzi a disposizione del giudice penale, potendosi di-scostare dagli accertamenti compiuti dall’A.F., la cui destinazione èdiversa da quella del processo penale. Pertanto, il fatto che l’impostaritenuta dovuta in sede fiscale sia di un certo ammontare, in applica-zione anche dell’abuso del diritto, non ha alcun valore in sede pena-le, dove il criterio medesimo – basato su un metodo sostanzialmentepresuntivo con prova contraria, tipico del diritto civile e del dirittotributario – non ha diritto di cittadinanza.

3 Ipotizziamo ora il caso di un conferimento di azienda asserita-mente elusivo, tendente a conseguire l’emersione di una plusvalenzadestinata ad essere compensata con perdite fiscali entro la scadenzaprevista dalla legge. In tale ipotesi è difficile ravvisare l’integrazionedell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 4 cit., e ciò inquanto il presunto comportamento elusivo,ossia il conferimento diazienda, non comporta in alcun modo la presentazione di una di-chiarazione, come si usa dire, ”sottomanifestante”, ma anzi presup-pone la realizzazione di una plusvalenza.Alla medesima conclusione si deve pervenire nel caso l’applicazionedella disposizione antielusiva si sostanzi in una mera “riqualificazio-ne” della fattispecie impositiva. In tal caso, infatti, ben difficilmenteil vantaggio fiscale indebito scaturente dall’inopponibilità degli ef-fetti dei singoli atti viene configurato dall’A.F. in termini di occulta-mento di componenti positivi ovvero di esposizione di componentinegativi indeducibili della base imponibile.

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DOTTRINAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 31

1. L’occasione per una riflessione

L’intento del presente lavoro è volto ad esprimere unamotivata riflessione, nei limiti ovviamente delle mie per-sonali possibilità, sul trattamento fiscale, ai fini dell’im-posta di registro, di alcune operazioni che hanno datoluogo a contrastanti soluzioni delle diverse Commissio-ni tributarie.

In breve si tratta di questo.Accade che una società “alfa” conferisce un suo ramo

d’azienda (ad esempio di costruzione e vendita di immo-bili) alla società “beta”, conferimento che, in sede di re-gistrazione, sconta le imposte fisse di registro, ipotecariae catastale.

Con un successivo atto la stessa società “alfa” cede auna terza società “gamma” la sua partecipazione nella so-cietà “beta”.

Le Agenzie delle Entrate, invocando l’articolo 20 deldpr 131/1986 (Testo Unico dell’Imposta di Registro),riqualificano gli atti presentati per la registrazione comeun’unica operazione di cessione di azienda da parte di“alfa” a “gamma” e contestando, così, l’autonomia deisingoli atti e attribuendo loro un unitario “effetto eco-nomico” nella considerazione, erronea, che i contri-buenti avrebbero posto in essere gli atti con finalità asse-ritamente elusiva, liquidano e pretendono le relative im-poste proporzionali:

Questo essendo il caso da esaminare si osserva, preli-minarmente, che esso pone questioni già delicate di persé ma che lo divengono vieppiù perché sono affrontatein una prospettiva che tende a svalutare l’analisi del det-tato legislativo e a rovesciare, senza un idoneo sostegnonormativo, indirizzi interpretativi consolidati.

2. La ricognizione della norma applicabile

Al riguardo è appena il caso di ricordare che la disci-plina dei tributi è coperta dalla riserva di legge previstadall’art. 23 della Costituzione.

Ne consegue che l’amministrazione finanziaria, peresercitare i propri poteri, deve individuare una normache li legittimi.

Ebbene, nelle proprie deduzioni gli Uffici osservanoche “gli avvisi con i quali si accettano e si liquidano imaggiori tributi principali trovano il loro fondamentonell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (significati-vamente la prima delle disposizioni contenute nel titoloterzo “Applicazione dell’imposta”) secondo il quale“l’imposta di registro è applicata secondo la intrinsecanatura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla regi-strazione, anche se non vi corrispondono il titolo o laforma apparente”.

Su questa norma, in altre parole, si fonda la pretesa dilegare più atti, di tassarli come un atto unico e di preten-dere i relativi tributi. Si assume che l’art. 20, ora ricorda-to, sarebbe una norma antielusiva e si soggiunge, anzi,che essa sarebbe il sintomo dell’esistenza di una regola,di una clausola generale antielusiva.

Ebbene, pare a chi scrive che palese sia la duplice for-zatura perché l’art. 20 né è né può divenire una normaeccezionale antielusiva e tantomeno è il sintomo di unprincipio che non esiste e che solo il legislatore può in-trodurre.

3. Il significato dell’art. 20 della legge di registro

L’art. 20, nel momento in cui sancisce che il tributodi registro colpisce l’atto in relazione al suo contenutogiuridico, ossia in relazione agli effetti giuridici che esso èidoneo a produrre, disciplina il principio generale cuideve uniformarsi l’operazione di interpretazione dell’at-to sottoposto a registrazione allo scopo di individuare icriteri impositivi e la voce della tariffa applicabili.

Orbene, alla stregua della disposizione testè richia-mata, il regime fiscale applicabile ai fini del tributo di re-gistro al singolo atto va ricercato avendo riguardo, preci-puamente, al contenuto delle clausole negoziali e agli ef-fetti giuridici prodotti dall’atto, indipendentemente dalnomen iuris attribuito dalle parti all’atto medesimo.

Così, ad esempio, qualora dal contenuto giuridicodell’atto risulti che trattasi di conferimento di immobiledovranno applicarsi i relativi criteri impositivi, anche sein ipotesi l’atto sia intitolato “conferimento d’azienda”: eciò in quanto, secondo il dettato normativo, prevale la

Elusioni o forzature nell’applicazionedell’imposta di registrodi Gianni Marongiu

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32 DOTTRINA ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009

effettiva sostanza giuridica emergente dal contenuto del-l’atto sul nomen iuris (titolo o forma apparente) attribui-to dalle parti all’atto stesso.

Questo è ciò che deve e può fare l’interprete, tassarel’atto (quell’atto) secondo la sua effettiva sostanza e nonsecondo il mero “nomen”.

Altro non può fare come emerge dalla significativaformulazione dell’art. 20.

Si ricorda, infatti, che una norma analoga era conte-nuta anche nelle previgenti leggi di registro (cfr. l’art. 19,d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e l’art. 8, r.d. 30 dicem-bre 1923, n. 3269).

In particolare l’art. 8 del r.d. n. 3269/1923 disponevache “le tasse sono applicate secondo l’intrinseca natura egli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vicorrisponde il titolo o la forma apparente”. Secondo lac.d. Scuola Pavese (che faceva capo a Benvenuto Griziot-ti) tale disposizione era espressione di un principio gene-rale, secondo cui l’atto doveva essere assoggettato a tassa-zione secondo gli effetti economici da esso derivanti.

Codesta tesi interpretativa (tesi che si sostenne neglianni “30”, “40” e “50”), già sconfitta in giurisprudenza,è stata esplicitamente ripudiata dal legislatore, il quale,nel formulare l’art. 20 del t.u. del registro, ha espressa-mente codificato il riferimento agli effetti giuridici del-l’atto, già contenuto nell’art. 19, del d.P.R. n. 634/1972.

In sintesi, se l’ufficio può e deve ricostruire, attra-verso un’indagine complessiva dell’atto e delle relativeclausole, la reale natura giuridica del medesimo – senzafermarsi all’intitolazione dello stesso e alla mera inter-pretazione letterale (così Cass. 7 marzo 1978, n. 1123;id. 16 ottobre 1980, n. 5563; id. 17 dicembre 1988, n.6902) e senza essere vincolato da un’inesatta qualifica-zione operata dalle parti, e quindi dal nomen juris da es-se attribuito all’atto – non può, invece, andare al di làdella qualificazione civilistica e degli effetti giuridici de-sumibili da un’interpretazione complessiva dell’atto. Soloquesta lettura dell’art. 20 T.U. rispetta i principi costi-tuzionali della riserva di legge nell’individuazione delpresupposto impositivo (art. 23 Cost.), della tutela del-l’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), e delprincipio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e nona caso questa è l’interpretazione accolta dalla totalitariadottrina (ex plurimis si vedano Uckmar-Dominici, Re-gistro (imposta di), in Digesto discipline privatistiche,XII, Torino, 1999, p. 260; Santamaria, Registro (impo-sta di), in Enc. del dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 542;Ferrari, Registro (imposta di), in Enc. giur. Treccani,XXVI, Roma, 1991).

Nell’esempio fatto la differenza tra vendita e conferi-mento di ramo di azienda è del tutto evidente sotto il

profilo civilistico, del diritto commerciale ed economicoonde, se si operasse nel modo indicato dagli uffici, nonvi sarebbe una puntuale qualificazione dell’atto (quellache si chiama la “riqualificazione”) ma la sostituzione del-la volontà delle parti con una presunta diversa volontà.

Il che non può essere perché non è conforme alla legge.

4. L’irrilevanza di eventi successivi all’atto edextratestuali

Anche con riguardo alla rilevanza degli elementi ex-tra-testuali, quali ad esempio gli eventi successivi alla sti-pulazione dell’atto ovvero il comportamento delle partipreferibile e preferita è l’opinione che esclude la rilevan-za di codesti elementi, in quanto, alla stregua della nor-ma in esame, assume rilievo esclusivamente l’atto sotto-posto a registrazione.

E non a caso questa è l’opinione preferita dalla dot-trina (si vedano Ferrari, op. cit., p. 245 e Tesauro, Istitu-zioni di diritto tributario, parte seconda, Padova, Ce-dam, 2002, p. 245) e della giurisprudenza (ex plurimis sivedano Cass. n. 4994/1991, in Giust. civ., 1991, I, p.2280; Cass., n. 353/1990, in Rass. trib., 1990, II, p. 299,note; Cass. n. 2633/1983; Cass., n. 1123/1978).

Ebbene, è agevole osservare che gli elementi cui gli uf-fici intendono dare valore per suffragare la propria prete-sa (per la verità non sempre si capisce bene quali siano)sono tutti successivi o esterni all’atto e ai suoi effetti giu-ridici: un diverso atto? il trascorrere del tempo?

Ne consegue che la tesi dell’Agenzia e di chi la doves-se esplicitamente condividere si pone in netto contrastonon solo con la formulazione dell’art. 20 ma con l’interoimpianto della disciplina dell’imposta di registro così co-me intesa dalla dottrina, dalla giurisprudenza e da unaprassi più che secolare.

Occorre, infatti, considerare che, secondo la dottri-na e la giurisprudenza assolutamente prevalenti, la qua-lificazione dell’imposta di registro come “imposta d’atto”preclude all’ufficio l’utilizzo di elementi extratestuali nel-l’attività di interpretazione dell’atto assoggettato a regi-strazione. Si parla di “imposta d’atto” per sottolineare ilfatto che l’imposta colpisce l’atto e non il trasferimento, es-sendo, tra l’altro, pacificamente riconosciuto che, ai finidell’applicazione dell’imposta, non rilevano le vicende(modificative, novative, revocatorie, ecc.) che gli effettigiuridici scaturenti dall’atto possono subire successiva-mente al suo perfezionamento. Addirittura non rileva lastessa nullità dell’atto (art. 38 T.U.), circostanza, questa,che dottrina e giurisprudenza, da sempre, valorizzano asupporto della natura dell’imposta di registro quale

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DOTTRINAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 33

“imposta d’atto”. Facendo applicazione dei medesimiprincipi, si è poi correttamente ritenuto che l’Ufficionon può far valere neppure la simulazione di un attonell’esercizio della propria attività di interpretazione,ma deve, a tal fine, promuovere apposita azione giudi-ziale, essendo equiparato ai terzi ai quali l’art. 1415,comma 2, c.c., consente di far valere la simulazione conogni mezzo di prova.

Il divieto di interpretazione extratestuale dell’atto aifini della registrazione è fondato, quindi, sulla naturastessa dell’imposta di registro, quale si desume dal siste-ma del testo unico che la disciplina, oltre che sulla dispo-sizione dell’art. 20 T.U.

5. L’inesistenza di un supporto normativo alla tesidelle Agenzia delle entrate

Vano appare, quindi, il tentativo di aggirare il dispo-sto dell’art. 20 e la sistematica dell’imposta di registroquali che siano gli scopi più o meno nobili e l’interessefiscale sotteso.

In qualunque direzione si intenda procedere si ri-scontra che il supporto normativo della pretesa del fiscosfuma fino a liquefarsi.

E invero, se si procede alla riqualificazione dell’attosottoposto a registrazione intendendosi per tale l’attivitàconsistente nell’individuare l’esatta natura giuridica ri-spetto a quella inesatta o falsa, utilizzata dai contribuentierroneamente o artatamente, al fine di usufruire di untrattamento fiscale più vantaggioso, si rimane all’internodel perimetro dell’art. 20 della legge di registro.

Se, invece, per tassare un atto si intendono legare fraloro più negozi, distinti e successivi nel tempo, questotentativo, che è quello degli uffici, va ben al di là delprincipio della rilevanza dei soli effetti giuridici dell’attopresentato alla registrazione.

Questo approccio e la relativa pretesa, nella sostanza,con il riferimento alla “causa reale” degli atti e ad un pre-sunto “intento negoziale oggettivamente unico” ripren-dono le motivazioni e gli obiettivi della vecchia teoria“economicistica”, esponendosi alle medesime critichecui essa era stata sottoposta.

L’indagine sulla natura economica degli effetti del-l’atto si trasforma, inevitabilmente, in una ricerca sogget-tiva dei motivi delle parti, certamente non consentita e sipone, comunque, in insanabile contrasto con il precettodell’art. 20 e delle norme costituzionali che ne costitui-scono il fondamento. Non è certamente compatibilecon la riserva di legge in materia tributaria una letturacreativa che pretenda di travalicare gli effetti giuridici,

cui fa espresso riferimento l’art. 20, per ricostruire unacausa reale o una sostanza economica diversa.

Le considerazioni svolte sono a tale punto convin-centi (e lo scriviamo proprio perché non sono solo no-stre ma sono mutuate da un costante, fermo insegna-mento) che, nel tentativo di superare l’inequivocabile si-gnificato dell’art. 20, si è invocata del tutto generica-mente, con frasi sibilline e non ancorate al dettato nor-mativo, una supposta “funzione antielusiva” della inter-pretazione qui oppugnata.

6. La tassatività delle previsioni antielusive nellalegge di registro e l’estraneità ad esse dellefattispecie ipotizzate

Al riguardo è bene precisare che neppure la strada diragionamenti “antielusivi” si rivela percorribile perchéanch’essa è priva di qualsiasi supporto e ancoraggio nor-mativo.

È significativa la fumosità del linguaggio dell’ammi-nistrazione là dove scrive che “pur tenendo conto dellapeculiare natura dell’imposta di registro, sembra possafondatamente configurarsi una ratio antielusiva dellapredetta norma, e cioè dell’art. 20”.

Il legislatore dell’imposta di registro ha introdotto al-cune norme volte a prevenire ed arginare fenomeni elu-sivi e a queste e solo a queste occorre attenersi.

Proprio perché l’imposta di registro colpisce l’attoavendo precipuo riguardo al suo contenuto giuridico,nel presupposto che vi sia una corrispondenza tra il tipocontrattuale e il substrato economico dell’operazione, illegislatore ha avvertito l’esigenza di intervenire con ap-posite disposizioni per reprimere fenomeni di elusione,caratterizzati da una divergenza tra lo schema negozialeadottato dalle parti contraenti e gli scopi pratici da esseperseguiti, diversi ed ulteriori rispetto a quelli connatu-rati al tipo negoziale.

Esaminiamo qui di seguito le disposizioni antielusive.a) Secondo il dettato dell’art. 26 i trasferimenti im-

mobiliari posti in essere tra coniugi ovvero tra parentiin linea retta si presumono donazioni, se l’ammontaredell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovutaper il trasferimento (imposte ipotecarie e catastali) ri-sulta inferiore a quello delle imposte applicabili in ca-so di trasferimento a titolo gratuito. Nell’originariaformulazione l’art. 26 prevedeva una presunzione le-gale assoluta di gratuità. Con sentenza n. 41/1999 laCorte costituzionale ha, tuttavia, dichiarato l’incosti-tuzionalità della norma con riferimento agli art. 3 e 53cost. nella parte in cui escludeva la prova contraria di-

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retta a superare la presunzione di liberalità dei trasferi-menti immobiliari.

La disposizione mira ad evitare che le parti eludanol’applicazione dell’imposta sulle donazioni, ponendo inessere atti simulatamente onerosi, ma in realtà gratuiti.

Allo scopo di impedire l’operatività della presun-zione legale le parti devono specificare se fra loro sussi-sta o meno un rapporto di coniugio o di parentela inlinea retta.

La presunzione di liberalità trova applicazione an-che in relazione alle sentenze che accertano l’acquistoper usucapione della proprietà (o di altri diritti reali) suimmobili.

b) Ai sensi dell’art. 24 nei trasferimenti immobiliarile accessioni, le pertinenze e i frutti pendenti si presu-mono trasferiti all’acquirente dell’immobile salvo chesiano espressamente esclusi dalla vendita ovvero si provi,con atto registrato, l’appartenenza ad un terzo.

c) Nell’ambito delle misure antielusive si colloca an-che la norma dettata dall’art. 32 per la dichiarazione dinomina effettuata oltre i tre giorni dalla data di stipula-zione del contratto per persona da nominare.

Alla stregua della disciplina civilistica, allorchè unadelle parti contraenti si riserva di nominare successiva-mente la persona che acquista i diritti e assume gli obbli-ghi scaturenti dal contratto, la dichiarazione di nominadeve essere comunicata all’altra parte entro i tre giornisuccessivi, salvo che le parti abbiano statuito un terminediverso (si cfr. gli art. 1401 e 1402 c.c.).

Il legislatore tributario, al fine di evitare che, con ilcontratto per persona da nominare, un soggetto possaacquistare per sé e successivamente rivendere ad un ter-zo, facendo apparire in luogo del duplice trasferimentouno solo, ha stabilito che la dichiarazione di nomina intutti i casi in cui sia effettuata oltre i tre giorni venga tas-sata con l’imposta stabilita per l’atto cui si riferisce la di-chiarazione.

d) Una ratio antielusiva ispira anche il disposto del-l’art. 33, giusta il quale il mandato irrevocabile con di-spensa dall’obbligo del rendiconto è soggetto all’impostastabilita per l’atto per il quale è stato conferito. Così a ti-tolo esemplificativo il mandato irrevocabile a venderecon dispensa dall’obbligo del rendiconto è assimilato aifini dell’imposta in esame alla vendita, nel presuppostoche esso dissimuli un trasferimento dal mandante almandatario dei diritti cui si riferisce.

e) Da ultimo, tra le misure antielusive va menzionatol’art. 62, a mente del quale “i patti contrari alle disposi-zioni del presente testo unico, compresi quelli che pon-gono l’imposta e le eventuali sanzioni a carico della parteinadempiente, sono nulli anche tra le parti”. La disposi-

zione in esame costituisce una applicazione particolarealla materia de qua del principio generale sancito dal-l’art. 1418 c.c., che sancisce la nullità dei contratti con-trari a norme imperative.

La rassegna svolta porta all’evidenza a due inesorabiliconclusioni: in primo luogo che non esiste, nella discipli-na dell’imposta di registro, una generale norma antielu-siva; in secondo luogo che la fattispecie qui consideratanon rientra in nessuna delle ipotesi previste esplicita-mente dalla legge di registro.

È significativo, del resto, che anche nel sistema del-l’imposizione diretta una tale norma generale non esistatant’è che lo stesso art. 37 bis del d.P.R. 29 settembre1973, n. 600, riguarda fattispecie ben determinate.

Norma, quella dell’art. 37, ora ricordata, che certa-mente non è applicabile all’imposta di registro con laconseguenza che, non esistendo nessuna norma generale“antielusiva” nell’ordinamento tributario italiano, laconclusione è una sola e cioè che il tentativo, nel caso inesame, di ragionare in termini di “elusività” e “antielusi-vità” è privo di fondamento giuridico.

7. L’arbitrarietà del collegamento tra più atti al difuori dei casi tassativamente previsti (dalla leggedi registro)

All’identica conclusione deve pervenirsi ove si affron-ti il problema sotto un diverso profilo, quello che, muo-vendo dai ricordati principi, vale a constatare come unaserie univoca di dati normativi depongono inequivocabil-mente nel senso dell’irrilevanza del collegamento tra piùatti distinti ai fini della determinazione dell’imposta, aldi fuori dei casi tassativamente previsti.

Si muova dall’art. 20 sopra ampiamente commenta-to e si proceda nella lettura del testo normativo.

Innanzitutto, l’art. 21 T.U. è assolutamente chiaronel condizionare la rilevanza del collegamento tra piùdisposizioni alla circostanza che le stesse siano contenu-te in un medesimo atto. L’art. 22 T.U., eccezionalmen-te, attribuisce rilevanza ad un precedente atto non regi-strato in virtù del meccanismo dell’enunciazione, masolo nei limiti ivi previsti, al di fuori dei quali, evidente-mente, non è consentito all’amministrazione operare.Analogamente, l’articolo 24, comma 2, T.U., assoggettaad un determinato trattamento tributario il trasferi-mento delle pertinenze, solo se effettuato entro tre annidal trasferimento dell’immobile al cui servizio le stessesono destinate.

Tutte queste disposizioni assumono una particolareimportanza, ai fini sistematici, in quanto chiariscono

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l’intento del legislatore tributario, che – ai fini dell’im-posta di registro – laddove ha voluto attribuire rilevanzaa vicende estranee all’atto oggetto di registrazione, e inparticolare al collegamento tra più atti, lo ha fattoespressamente. Le norme che attribuiscono rilievo, ai finidell’imposta in esame, a tale collegamento sono quindi ec-cezionali, e non possono essere applicate oltre i casi da esseconsiderati. Il che è conforme, lo si ripete, ai principi co-stituzionali e in particolare alla riserva di legge in mate-ria tributaria, che verrebbe agevolmente elusa attri-buendo all’interprete il compito di ricostruire le condi-zioni e i limiti di rilevanza del collegamento negoziale.Del resto, tale compito sarebbe oltremodo arduo e con-durrebbe a risultati non certo in linea con l’irrinuncia-bile esigenza di certezza del diritto in materia tributaria:basti pensare al profilo temporale e quindi all’intervallodi tempo che dovrebbe intercorrere tra i vari atti costi-tuenti, secondo l’interpretazione criticata, la fattispeciecomplessa oggetto di tassazione. Si assume che uno de-gli elementi adducibili a favore dell’unitarietà della tas-sazione sarebbe il “breve” intervallo di tempo tra i dueatti ma è facile replicare che se il tempo è elemento costitu-tivo della fattispecie tassabile il legislatore, e solo il legisla-tore può sancire quale è il “tempo” giuridicamente rilevan-te (un mese? un anno? una vita?). È certo che la mancatadeterminazione ad opera del legislatore non può esseresupplita né dalla giurisprudenza né tanto meno dallaburocrazia finanziaria.

8. Conclusioni

Deve, quindi, recisamente negarsi che l’ufficio possafar valere il collegamento ai fini dell’imposizione di regi-stro, e quindi – interpretando l’atto sottoposto a registra-zione unitamente ad altri atti ad esso collegati – tenerconto di un presunto “effetto giuridico unitario”. Ciò chein realtà rileva, per escludere un tale potere dell’ufficio,non è tanto la distinzione tra unicità e pluralità di causenegoziali, come pure affermato da parte della dottrina edella giurisprudenza, ma piuttosto l’autonomia docu-mentale dei singoli “atti” presentati alla registrazione.

Alla luce di quanto precisato, appare agevole esclude-re la rilevanza, ai fini dell’imposta di registro, del colle-gamento esistente, nella fattispecie concreta, tra più atti.

Oltre all’argomento della natura giuridica dell’impo-sta di registro quale “imposta d’atto”, e alla circostanza,decisiva, che laddove il legislatore ha inteso attribuire ri-levanza al collegamento lo ha effettuato espressamente,stabilendone i presupposti anche temporali, va comun-que evidenziato che l’effetto finale della fattispecie com-plessa come sopra realizzata non può essere assoluta-mente equiparato a quello della cessione dell’azienda,poiché nel patrimonio del terzo acquirente entra non giàquest’ultima, bensì la partecipazione sociale con le ovviedifferenze sia sotto il profilo civilistico che sotto quellotributario: la differenza degli effetti è talmente evidenteda non necessitare di ulteriori spiegazioni.

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Il tema dell’abuso dei diritto in materia fiscale vienesolitamente proiettato sullo sfondo dei seguenti ordinidi problemi:

a) l’esistenza di un divieto generale di abuso del dirit-to in materia fiscale;

b) il rapporto di tale ipotetico diritto con le nozionidi elusione e di evasione fiscale;

c) le fonti, interne e comunitarie, di tale supposto di-ritto;

d) il problema dell’autonomia negoziale e della cer-tezza del diritto.

Questa impostazione è condivisa sia dai fautori chedagli avversari della configurazione di una fattispecie ge-nerale di abuso del diritto. Tutti ragionano, più o meno,in questi termini: esistono alcune disposizioni specifiche(tipo art. 37 bis dpr 600/73 o art. 14 commi 4 bis e 6 bisdPR 917/86 vecchio testo) dalle quali si ricava che nonsono fiscalmente riconosciuti gli effetti di talune opera-zioni (fusioni, scissioni, cessioni di aziende, costituzionidi usufrutto su azioni ecc.) allorchè avvengano in un con-testo tale da far ritenere che esse non hanno altra finalitàche il risparmio di imposta. Può trarsi da queste norme laconclusione che in generale è interdetto al contribuenteporre in essere negozi giuridici i quali non abbiano altrafinalità economica che il risparmio di imposta? E se sì,quali sono le conseguenze del comportamento difforme?E, sempre in caso di risposta positiva, attraverso qualipassaggi pervenire ad applicare tali conseguenze?

Nell’impostazione dell’argomento, che si diceva co-mune a fautori e negatori, il punto meno discusso è ilprimo: se cioè dall’esistenza di alcune norme speciali co-munemente dette “antielusive” possa trarsi, teoricamen-te, una norma generale. Tra i negatori tendono infatti adivenire minoritari (non era così in passato) coloro cheapplicano il semplice criterio “ubi lex voluit dixit” e chequindi escludono radicalmente la possibilità di una nor-ma generale antielusiva perché la scelta legislativa è statanel senso di procedere per fattispecie tipiche, tassative enon estensibili per analogia iuris o legis.

La maggior parte degli interpreti ammette dunque lapossibilità teorica di pervenire ad una norma antielusiva.Le differenze, radicali e insanabili, iniziano però a que-sto punto.

I negatori osservano che, se è ammissibile in teoria(perché rispondente ad un metodo codificato di interpre-tazione della legge) inferire da norme di specie un princi-pio generale, nel nostro caso ciò non sarebbe concreta-mente possibile. Osterebbero alla costruzione del princi-pio in questione altri principi, già sicuramente stabilitinell’ordinamento e incompatibili con il nuovo che si vor-rebbe introdurre: in particolare, si tratterebbe dei princi-pi di autonomia negoziale e di certezza del diritto. Unavolta che i contribuenti hanno posto in essere un negoziogiuridico appartenente ad un tipo ammesso dal dirittoprivato, o anche un negozio atipico ammissibile, non sipotrebbero escludere gli effetti di questo in forza di unsuo non precisato né prevedibile rapporto di incompati-bilità con il diritto tributario. Il riconoscimento di effettigarantito al negozio dal diritto privato, dovrebbe operareper ciò solo anche in tutti gli altri campi del diritto.

Replicano i fautori che l’autonomia negoziale non èillimitata, poiché lo stesso diritto privato ne contemplalimiti formulati secondo clausole aperte e indefinite: lanullità per illiceità dei motivi, o per frode alla legge, oper mancanza di causa in concreto costituirebbero al-trettanti limiti riferiti ai singoli negozi stipulati nella re-altà; limiti derivanti da concetti di cui non è prevedibilela concretizzazione in relazione a tali negozi e che diven-gono operanti solo dopo che di questi si siano potuti ap-prezzare in pratica gli effetti. Tra i riferimenti dai qualitrarre casi di nullità del genere indicato ben potrebbequindi includersi anche il diritto tributario. Il fine disottrarsi a talune sue disposizioni dovrebbe entrare nellavalutazione causale dei negozi. Si chiama a conferma ildiritto comunitario, ove la giurisprudenza ha costruitola regola del “divieto di abuso del diritto comunitario”inteso come impossibilità di avvalersi di disposizioni tri-butarie agevolatrici di matrice comunitaria (per lo piùnell’ambito dell’IVA) ponendo in essere negozi che ab-biano come finalità unica o essenziale appunto lo sfrut-tamento di simili norme.

Se si ammette questa possibilità, sorge poi controver-sia sulla qualificazione del fatto rappresentato dalla sti-pulazione di un negozio di diritto privato causalmentenon ammissibile per ragioni tributarie. Ci si divide traquanti lo considerano un fatto illecito, produttivo di

Spunti di metodoin tema di “abuso del diritto”di Paolo Gentili

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sanzioni, e quanti lo considerano una semplice situazio-ne di inopponibilità del negozio all’amministrazione fi-nanziaria. Questa seconda tesi viene, per la precisione,sostenuta da quanti, pur nel campo dei fautori, optanopiù che per la nullità da illiceità (nella quale è insita laviolazione di un divieto, e con essa la sanzionabilità delcomportamento), per la mancanza assoluta o relativa divolontà, cioè per la simulazione.

Non mancano, poi, posizioni “miste” o intermedie,le quali combinano in vario modo le diverse prospettivequi sommariamente ricordate.

Ho appunto ricordato tali prospettive per dare consi-stenza alla mia convinzione che perseverando con questaimpostazione non raggiungeremo mai una soluzione ge-neralmente condivisa, di cui si debba soltanto controlla-re la correttezza delle singole applicazioni.

Credo che il vizio dell’impostazione stia nel metodo.Si parte dal presupposto per cui l’oggetto primario dellavalutazione giuridica da compiere è il negozio giuridico,e tale valutazione deve essere condotta come valutazionedi diritto privato, cui il diritto tributario fornisce soltan-to i riferimenti esterni.

In pratica, è con criterio privatistico che si deve valu-tare, sempre, se un negozio giuridico sia, p. es., nullo perilliceità dei motivi. Le norme tributarie di cui il negoziointendeva, in tesi, evitare o limitare l’applicazione costi-tuiranno per così dire l’innesco della verifica di liceità deimotivi, ma sarà il diritto privato (ossia l’insieme delle re-gole da questo elaborate in generale per applicare la rego-la della nullità per illiceità dei motivi) a determinare sequelle norme avessero una tale pregnanza da giustificarela qualificazione come illecito del motivo di eluderle.

Questo aspetto è ancora più chiaro se ci si pone dalpunto di vista della nullità per inesistenza dell’oggetto odella volontà (simulazione): è solo il diritto privato chepuò stabilire quale sia l’oggetto di un negozio al fine divalutarne la validità, o se un negozio apparente sottendauna volontà reale (e, in ipotesi, quale). In tutti questi ca-si, il diritto tributario fornisce insomma i materiali peruna elaborazione che, però, è e deve essere prettamentedi diritto privato.

Come si diceva, questa è anche l’impostazione deinegatori della regola generale antiabuso, poiché essi fan-no leva sui principi di autonomia negoziale e di certezzadelle relazioni giuridiche private; quindi partono an-ch’essi dal negozio come termine principale del giudizio.Anche per essi la questione principale sta, in definitiva,nello stabilire se un determinato negozio giuridico possao meno essere considerato produttivo di effetti.

A mio avviso il vizio di impostazione deriva dal fattoche noi dobbiamo invece risolvere una questione pratica

che non è di diritto privato, ma di diritto tributario. Tut-te le questioni reali in occasione delle quali sorge il dub-bio se sussista e vada applicata una regola generale antia-buso sono infatti questioni nelle quali vi è controversiatra il contribuente e l’amministrazione circa l’operativitàdi una determinata norma tributaria (p. es. il credito diimposta sui dividendi, o la neutralità delle fusioni ecc.).

Allora il punto di vista va rovesciato: bisogna partiredall’interpretazione della norma tributaria vista in sé,nella sua autonomia concettuale e, appunto, normativa,cioè nei suoi presupposti, nella sua ratio e nel suo signifi-cato dispositivo. Stabilita così la corretta interpretazionedella norma tributaria di cui è controversa l’applicazio-ne, si dovrà verificare se e con quali effetti sia possibilesussumere in essa il dato di fatto rappresentato dalla sti-pulazione di un certo negozio.

Ritengo che, impostando l’argomento in questi ter-mini, buona parte dei problemi che ho sopra ricordatopossano essere superati come sostanzialmente inutili, eche si possano raggiungere conclusioni operative piùagevolmente praticabili.

Si deve considerare che la nozione di “abuso del dirit-to” già in termini di teoria generale forma oggetto, nondi un divieto, cioè di una autonoma norma (o di un au-tonomo principio generale), quanto di un criterio inter-pretativo delle norme attributive di un diritto soggetti-vo. L’endiadi abuso del diritto non è scindibile sul pianologico, per cui non può concepirsi un “abuso del dirittocome fattispecie astratta distinta dal diritto “abusato”. Alcontrario, l’abuso è un elemento logico interno alla rico-struzione della fattispecie del diritto soggettivo: se non simuove da questa fattispecie, non è possibile configurar-ne l’abuso (e ciò è evidente); ma reciprocamente è delpari evidente che la configurazione dell’abuso concorrealla ricostruzione della fattispecie. I due termini non so-no quindi separabili.

In questa prospettiva, l’abuso identifica sintetica-mente l’insieme di tutte le situazioni di fatto nelle qualisi pretenda di applicare una norma attributiva di un di-ritto soggettivo andando oltre il presupposto oggettivoche costituiva la giustificazione di quella norma.

Si vede quindi che il criterio dell’abuso non può rife-rirsi a tutti i diritti, ma solo a quelli “di pura creazionenormativa”; creazione giustificata da un presupposto checolleghi tali diritti ad una fonte sovraordinata, di livello,quindi, innanzitutto costituzionale.

In breve, dei diritti di immediata attribuzione costi-tuzionale non può abusarsi. Si tratta di quei diritti (sipensi al diritto alla salute) che nella concretizzazionegiurisprudenziale si sono poi venuti precisando come di-ritti “assoluti” o “incomprimibili”. Al più potrà rilevarne

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un esercizio imprudente (si pensi al diritto alla tutelagiurisdizionale e alla lite temeraria), idoneo a generareresponsabilità risarcitoria, ma mai l’inapplicabilità inconcreto del diritto stesso (per restare all’esempio, la te-merarietà della lite non comporta di per sè l’inammissi-bilità della domanda, cioè la negazione del processo).

Venendo al campo tributario, si vede allora che l’areaa cui riferire il criterio interpretativo dell’abuso (cioèl’abuso inteso come ricognizione del limite intrinsecoassegnato al diritto soggettivo dal presupposto su cui sifonda la norma che lo attribuisce, e che trae da tale pre-supposto la propria giustificazione costituzionale), èquella dei diritti soggettivi riconosciuti al contribuenteall’interno di un rapporto di imposta.

Occorre che il rapporto di imposta si sia costituito,cioè che si sia realizzato il presupposto al ricorrere delquale nasce l’assoggettamento del contribuente ad ob-blighi di natura tributaria; e che all’interno di questorapporto (in cui la posizione soggettiva fondamentaledel contribuente è di soggezione ad obblighi) una normaattribuisca al contribuente, invece, dei diritti soggettivi;cioè configuri dei presupposti il cui effetto giuridico è lalimitazione o l’esclusione degli obblighi “di partenza”.

Il rapporto tra norma costitutiva del rapporto tribu-tario e norma attributiva di un diritto al contribuente èquindi, tipicamente, un rapporto tra norma generale enorma eccezionale. E, del resto, anche sul piano dei fattil’allegazione del presupposto della norma attributiva didiritti si pone, dal lato del contribuente, come il rilievodi un’eccezione in senso stretto, cioè come la deduzionedi fatti modificativi o estintivi della pretesa fiscale.

Si avrà dunque abuso tutte le volte in cui si pretendadi applicare un diritto soggettivo del contribuente all’in-terno del rapporto di imposta (si pensi, per esprimersi insintesi, alle esenzioni, alle esclusioni, alle deduzioni, alledetrazioni, ai crediti di imposta) in situazioni di fattoconcrete che non corrispondono al tipo astratto del pre-supposto assunto a propria base e giustificazione dallanorma attributiva del diritto. In tali situazioni concretetorna a produrre effetto il presupposto di instaurazionedel rapporto tributario, cioè il presupposto da cui scatu-riva l’obbligo del contribuente, cui la norma attributivadel diritto faceva eccezione.

L’abuso deriva, insomma, dalla pretesa avanzata dalcontribuente ad un diritto soggettivo in una situazionedi non corrispondenza tra la situazione data in concretoe la situazione astrattamente presupposta dalla normaattributiva.

Esso è, quindi, nozione totalmente oggettiva. Nel-l’indagare se un certo diritto del contribuente si preten-da applicabile oltre il limite del suo presupposto norma-

tivo, non debbono avere un ruolo necessario considera-zioni di ordine soggettivo inerenti alla volontà del con-tribuente, cioè considerazioni inerenti principalmentealla qualificazione privatistica del negozio come valido oviziato. La volontà del contribuente sottostante, p. es.,alla stipulazione di certi negozi giuridici come potrebbeessere l’usufrutto di azioni estero/Italia, potrà rilevarequale elemento utile, ma non indispensabile, della valu-tazione complessiva e oggettiva del fatto verificatosi edella sua corrispondenza al presupposto astratto dellanorma tributaria attributiva, nell’esempio, del dirittosoggettivo al credito di imposta sui dividendi e alla de-duzione delle quote di ammortamento del prezzo pagatoper l’acquisto dell’usufrutto.

Chiarito ciò, si vede allora che nella nozione di abusocosì intesa rifluisce senza residui la nozione di elusionefiscale (è solo una preferenza lessicale usare l’una o l’altraespressione). L’elusione fiscale altro non è che l’impiegodi una norma attributiva di diritti all’interno di un rap-porto di imposta al di là dei presupposti assunti a pro-pria base dalla norma stessa, in modo da vanificare, per iltramite di questa, l’applicazione della norma obbligante.

Diverso è il concetto dell’evasione. L’evasione noncomporta impiego “eccedente” (id est abusivo o elusivo)di una norma di eccezione alla norma da cui scaturiscel’obbligo. L’evasione è la violazione diretta di tale ultimanorma. La relazione tra il comportamento concreto e lanorma, in questo caso, non è una relazione di “regola/ec-cezione”, bensì di “osservanza/violazione”. Per configu-rare un caso di evasione, diviene allora determinante ilriferimento ai profili soggettivi del comportamento delcontribuente. Come ogni condotta illecita, l’evasionedeve evidenziare una componente soggettiva intenzio-nalmente dolosa. La stipulazione di negozi simulati ofraudolenti costituirà quindi di regola una forma di eva-sione, mentre rimarrà estranea al tema dell’abuso e del-l’elusione. Da questo punto di vista, l’accentuazione deiprofili soggettivi dell’illecito tributario introdotta dal d.lgs. 472/97 rende più agevole la distinzione.

Diverse sono anche le conseguenze: nel caso dell’abu-so o elusione, la conseguenza sarà l’irrilevanza in concre-to nei confronti del fisco, cioè l’inefficacia relativa, delfatto (astrattamente) costitutivo del diritto del contri-buente (id est del fatto modificativo o estintivo dellapretesa fiscale). In quanto eccedente il presupposto, talefatto non sarà costitutivo del diritto vantato dal contri-buente. Nel caso dell’evasione, la conseguenza sarà lasanzione.

Si vede quindi, in definitiva, che il tema dell’abuso odell’elusione è estraneo al tema dell’autonomia negozialee della sua sindacabilità da parte dell’amministrazione o

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del giudice tributari. L’accertamento propriamente dacompiere in questi casi è di natura, come si diceva, stret-tamente oggettiva; e, deve ora aggiungersi, autonoma-mente tributaria.

Si deve, in altri termini, costruire secondo criteri ov-viamente tributari la fattispecie della norma (tributaria)attributiva di diritti (si pensi alle norme sulla deduzionedei costi di acquisto di un diritto di usufrutto di azioni, ealle norme sul credito di imposta sui dividendi derivantida queste ultime); e verificare se vi sia corrispondenza traquesta ricostruzione e il fatto concretamente verificatosi.

Non hanno quindi particolare importanza indaginisulla validità negoziale degli atti posti in essere, cioè sullepossibili cause di nullità che possano colpirli. Dal puntodi vista civilistico tali atti possono anche essere conside-rati perfettamente validi. Ciò che rileva è la loro autono-ma valutazione tributaria.

In questo quadro, allora, l’indagine sulla finalità eco-nomica dell’atto e sulla sua razionale connessione conuna normale gestione dell’impresa assume un valorecentrale. Il criterio dell’insussistenza di valide ragionieconomiche, in quanto criterio puramente oggettivo edespressivo della ragione astratta (del presupposto) percui la norma tributaria attribuì un certo diritto soggetti-vo al contribuente, consente di operare questa valutazio-ne strettamente tributaria.

Tutto ciò risolve le questioni concernenti la fonte nor-mativa da cui dedurre il limite costituito dall’abuso. Il pa-rametro alla cui stregua valutare se un fatto concreto si siacontenuto o abbia ecceduto il presupposto della normaattributiva di diritto è il principio costituzionale della ca-pacità contributiva; principio che regge tanto le normetributarie “di obbligazione” quanto quelle “di esonero”.

Il rapporto di imposta, cioè l’assoggettamento delcontribuente ad obblighi di natura tributaria, può avve-nire soltanto se il presupposto di instaurazione del rap-porto sia un fatto espressivo di capacità contributiva. Lanorma può quindi attribuire, in via di eccezione, un di-ritto soggettivo al contribuente all’interno di un rappor-to di imposta, così da rendere inoperante l’obbligo, soloqualora identifichi fatti o situazioni non espressive di ca-pacità contributiva, o meritevoli di agevolazione. Doveil fatto concreto faccia emergere che la capacità contri-butiva persiste, o che non vi è meritevolezza dell’agevo-lazione, deve riespandersi la norma generale portantel’obbligo di imposta.

Esemplificando, se un imprenditore pone in essere latipica operazione di “dividend washing” (per stare aduno dei casi che ha originato la svolta giurisprudenzialesu cui stiamo riflettendo), cioè un’operazione nella qualeegli acquista delle azioni da un fondo di investimento

pagandole al lordo del valore del dividendo di cui è giàstata deliberata la distribuzione, e le rivende al medesi-mo fondo il giorno successivo, quando la distribuzione èavvenuta, e a questo punto ovviamente lo fa per un prez-zo al netto del valore del dividendo, quell’imprenditorepone in essere un’operazione priva di ragionevole con-nessione economica con qualsiasi sana gestione del-l’azienda poiché ha programmato un’operazione di ac-quisto/rivendita necessariamente in perdita e quindinon collegabile a obiettive ragioni aziendali. È allora evi-dente che a quell’imprenditore vanno negati la deduzio-ne della perdita così evidenziata e il credito di impostasui dividendi riscossi.

Le norme (di eccezione all’obbligo di imposta sulreddito) che accordano la deduzione dei costi presup-pongono infatti che si tratti di costi collegabili alla razio-nale gestione dell’azienda (questo è il significato propriodel principio di inerenza, che costituisce la vera giustifi-cazione costituzionale della deducibilità dei costi, moltopiù che non il principio di tassazione in base a bilancio,visto che in sé anche un costo può, dal punto di vista au-tonomamente tributario, costituire una manifestazionedi capacità contributiva, come dimostra il caso dell’Irap;sicchè la mera appostazione di esso a conto economiconon ne giustifica solo per ciò la deduzione). Una perditaderivante da un’operazione che strutturalmente non po-teva non produrla non è quindi “inerente” nel senso oraprecisato.

Allo stesso modo, la disposizione che accordava il cre-dito di imposta sui dividendi onde prevenirne la doppiaimposizione economica in capo alla società distributricea al socio percettore, presupponeva che il contribuenteavesse acquistato una partecipazione perché lo ritenevaconveniente dal punto di vista economico. Questa valu-tazione di convenienza economica non doveva, nell’ap-prezzamento della norma tributaria, essere influenzatanegativamente dal pericolo della doppia imposizioneeconomica, che avrebbe potuto dissuadere dal compierla;sicchè la tassazione dei dividendi doveva essere resa neu-tra attraverso il credito di imposta. Se questo era, comeera, il presupposto di giustificazione costituzionale deldiritto soggettivo al credito di imposta sui dividendi, evi-dentemente esso non poteva operare qualora la parteci-pazione fosse stata acquisita scientemente in perdita, cioèsenza alcuna valutazione di convenienza, talchè il solo si-gnificato economico dell’operazione potesse rinvenirsi,appunto, nel credito di imposta sui dividendi.

Se, in altre parole, si ammettesse il credito di impostain un caso come il “dividend washing”, ciò implichereb-be leggere la norma attributiva di tale diritto non come sedicesse: “chi acquista una partecipazione azionaria in base

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ad una valutazione di convenienza di tale operazione ha di-ritto alla neutralizzazione fiscale dell’operazione stessa tra-mite un credito di imposta, in modo che la valutazione eco-nomica di convenienza dell’operazione non sia alterata dalpericolo di una doppia imposizione economica dei dividendinel passaggio dell’utile dalla società che lo produce al socioche lo percepisce”; ma come se dicesse, né più né meno:“ha diritto al credito di imposta sui dividendi chi ha dirittoai dividendi”. Ma ciò priverebbe il diritto al credito diimposta della sua giustificazione costituzionale. Infattipercepire dividendi, sia pure su un utile già tassato in ca-po alla società distributrice, costituisce comunque unamanifestazione di capacità contributiva (se non altro per-ché esprime la decisione dei soci di appropriarsi indivi-dualisticamente dell’utile anziché accantonarlo a riservafavorendo l’autofinanziamento della società). Per cui laneutralizzazione fiscale della percezione di un dividendopuò essere giustificata solo se si postula un presuppostoulteriore e sostanziale rispetto al mero dato formale delladelibera di distribuzione del dividendo stesso.

In questo caso sono quindi ragioni oggettivamenteeconomiche e giuridico tributarie (alla luce delle basigiuridiche costituzionali della normativa fiscale tanto diimposizione che di esonero) le quali conducono a negarei diritti soggettivi reclamati dai contribuenti.

Non occorre affatto interrogarsi, invece, sulla validitànegoziale o sulla realtà o simulazione del collegamentonegoziale acquisto/rivendita di partecipazioni azionariein cui si compendia il “dividend washing”. È anzi evi-dente, a mio avviso, che questo collegamento negozialealla stregua del diritto privato è valido, reale ed efficace.Soltanto che non centra il bersaglio del presupposto del-le norme tributarie di esonero (deduzione della perdita;credito di imposta) che aveva di mira.

Considerazioni del tutto analoghe possono farsi aproposito dell’operazione di usufrutto di azioniestero/Italia o “dividend stripping”.

Anche qui vengono in esame le norme sulla deduzio-ne delle quote di ammortamento del prezzo di acquistodell’usufrutto e sul credito di imposta. Anche qui va rile-vato che non può competere deduzione dell’ammorta-mento per l’acquisto di una partecipazione avvenuto at-traverso un contratto palesemente antieconomico (cioènon “inerente” nel senso pregnante dell’inerenza sopraprecisato). È infatti antieconomico anticipare per interoe in contanti al proprietario delle azioni senza scontarealcun interesse da “attualizzazione” i dividendi speratiper i successivi tre anni; e ottenere in cambio il mero di-ritto a riscuotere i dividendi stessi anno per anno, la-sciando al proprietario stesso (ben poco “nudo”) il pote-re di gestire la società partecipata e di deliberare (attra-

verso il conservato diritto di voto) se e in quale misuradistribuire dividendi (sempre che vi sia utile), riservandoall’usufruttuario il solo diritto di recedere dal contrattose la delibera di distribuzione non lo soddisfi, ma senzaprevedere neppure alcuna garanzia reale o personale, intal caso, del pagamento in restituzione del prezzo pagatoper acquistare l’usufrutto.

Soltanto il credito di imposta sui dividendi dà un sen-so economico ad un simile “suicidio”; ma si è visto che ilcredito di imposta non può giustificarsi con se stesso.

Anche qui, si coglie con nettezza (salvi i casi di preor-dinazione fraudolenta, che se dimostrati costituirannoforme di evasione punibile) la superfluità della discussio-ne se il contratto costitutivo dell’usufrutto sia reale o si-mulato; se sia simulato assolutamente o relativamente (inquest’ultimo caso, in rapporto ad un presunto contrattodi negoziazione del credito di imposta di cui dovrebbepoi ulteriormente costruirsi l’illiceità); se sia valido o nul-lo per mancanza di oggetto o di causa, e ciò in relazionead un contratto di per sé atipico o a causa variabile comeè quello avente per oggetto l’usufrutto di azioni.

Ciò che conta è solo che ad un’analisi economica egiuridico tributaria oggettiva e sostanziale il “dividendstripping” si dimostra del tutto eccentrico rispetto allenorme sulla deduzione delle quote di ammortamento esul credito di imposta sui dividendi.

Se si condivide che il problema va affrontato dal pun-to di vista costituzionale e tributario, diviene, infine, su-perflua non solo la discussione in chiave “privatistica”dei casi di abuso o elusione, ma anche la discussione sul-le implicazioni comunitarie di essi.

Dal diritto comunitario si può trarre, però, una con-ferma che il problema è reale e che va impostato comequi ho proposto.

Non mi riferisco tanto alla giurisprudenza in tema diIVA tipo “Halifax” e séguiti (che pure adotta una logicatutta fondata sulla ratio oggettiva e autonomamente tri-butaria delle norme di esonero, mentre si disinteressacompletamente della qualificazione privatistica dei ne-gozi), quanto ad un dato normativo.

L’art. 11 n. 1 della direttiva 90/434/CEE sulla neu-tralità fiscale delle fusioni dispone, come si sa, che “UnoStato membro può rifiutare di applicare in tutto o in partele disposizioni dei titoli II, III e IV o revocarne il beneficioqualora risulti che l’operazione di fusione, di scissione, diconferimento d’attivo o di scambio di azioni:

a) ha come obiettivo principale o come uno degli obietti-vi principali la frode o l’evasione fiscale; il fatto cheuna delle operazioni di cui all’articolo 1 non sia effet-tuata per valide ragioni economiche, quali la ristrut-turazione o la razionalizzazione delle attività delle

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società partecipanti all’operazione, può costituire lapresunzione che quest’ultima abbia come obiettivoprincipale o come uno degli obiettivi principali la fro-de o l’evasione fiscali …”.

Questa norma ha una grande importanza sistematicaperché contiene il riconoscimento che nel diritto tribu-tario comune agli Stati membri l’insussistenza di valideragioni economiche di un’operazione costituisce il pre-supposto per disconoscerne le pretese conseguenze eso-nerative da obblighi fiscale: infatti il diritto comunita-rio, nel momento in cui, sovrapponendosi alla sovranitàdegli Stati in materia di imposte sul reddito, impone laneutralità fiscale delle fusioni (cioè, in concreto, la nontassabilità delle plusvalenze emerse in queste occasioni),tuttavia precisa che tale imposizione non ha il significatodi comportare che le fusioni siano fiscalmente neutre percosì dire “a prescindere”, cioè per il solo fatto di esserestate effettuate. Al contrario, il diritto comunitarioprende atto che nel diritto degli Stati membri un’opera-zione può comportare esonero fiscale soltanto se confor-me al presupposto economico della norma che lo preve-de (cioè “la ristrutturazione o la razionalizzazione delleattività delle società partecipanti all’operazione”), mentrela medesima operazione non comporta tale esonero seeconomicamente difforme dal presupposto; e dichiarache ciò vale anche se la norma di esonero trae la propriafonte dal diritto comunitario.

L’art. 11 ha quindi un valore ricognitivo della effetti-va situazione normativa costituzionale e tributaria sussi-stente negli Stati membri a proposito del problema del-l’abuso fiscale. I punti 44 e 45 della sentenza Kofoed, al-lorché alludono, da un lato, ad una “situazione normati-va generale” interna ai singoli Stati membri che possa va-lere come conformazione implicita all’art. 11, e, dall’al-tro, alla possibilità di dare del sistema normativo internoun’interpretazione “conforme” all’art. 11 anche a pre-scindere da norme espresse di recepimento, mi sembrache confermino questa ricognizione.

A questo riguardo porto un esempio, proveniente dauna questione pregiudiziale di recente sollevata presso laCorte di giustizia dalla Corte di cassazione olandese(causa C-352/08).

La decisione di rinvio pregiudiziale (non pubblicata)riferisce di una complessa operazione che può sintetiz-zarsi nei seguenti termini:

1. La società A possiede un immobile commerciale,distinto dal numero civico 19, adibito a negozio di ven-dita di abbigliamento. Tale attività costituisce l’oggettodella società. La società B possiede l’immobile contiguo(distinto dal numero civico 17), utilizzato anch’esso dal-la società A, tramite una locazione, per l’esercizio della

suddetta attività di vendita di abbigliamento. Oggettodella società B è la mera gestione di immobili, e non ilcommercio di abbigliamento. Le azioni della società Asono possedute, tramite una holding, da una persona fi-sica (“il figlio”) che è figlio delle persone fisiche (“i geni-tori”) che possiedono le azioni della società B.

2. Le parti intendono realizzare le seguenti operazio-ni. La società A conferisce l’immobile n. 19 alla societàB. Questa emette azioni che assegna alla società A. I ge-nitori attribuiscono alla società A un’opzione per l’ac-quisto delle azioni della società B in loro possesso. Unavolta che A sia venuta in tal modo in possesso della tota-lità delle azioni di B, è prevista una fusione di B in A. Ilrisultato finale dell’operazione è che nella società A, to-talmente posseduta dal figlio, si riunirà la proprietà deidue immobili commerciali nn. 17 e 19, che la medesimasocietà utilizza per svolgere l’attività di vendita di abbi-gliamento.

3. La prospettata fusione sarebbe esente da imposi-zione sul reddito della società B, in particolare per quan-to riguarda le plusvalenze che ne emergerebbero. La leg-ge olandese sull’imposta sulle società è infatti perfetta-mente modellata, anche per i rapporti puramente inter-ni (come quello di cui alla causa principale), sulla Diret-tiva 434/90/CEE, che esenta da tassazione sulle plusva-lenze le operazioni di fusione transfrontaliere. In base alDecreto di attuazione delle imposte sugli atti giuridici,non dovrebbe neppure applicarsi alcuna imposta sul tra-sferimento degli immobili n. 17 da A a B, e n. 19 da Bad A (trasferimento, quest’ultimo, insito nella fusione diB in A). La decisione di rinvio non chiarisce, ma è pro-babilmente così, se l’esenzione da imposta sul trasferi-mento derivi dal recepimento nell’ordinamento olande-se della Direttiva 69/335/CEE.

4. La decisione di rinvio invece chiarisce che se la riu-nione dei due immobili nn. 19 e n. 17 in A fosse avvenu-ta semplicemente con la vendita del n. 17 da B ad A, ocon la cessione ad A da parte dei genitori delle loro azio-ni di B, queste due operazioni avrebbero sempre com-portato il pagamento dell’imposta sul trasferimento.

5. La decisione di rinvio chiarisce ancora che lo scopopratico perseguito da tutte le parti era riunire nella socie-tà del figlio la proprietà complessiva degli immobili uti-lizzati dall’impresa di questo, proprietà che era divisa trail figlio (per il n. 19) e i genitori (per il n. 17).

6. Tracciato questo quadro, la decisione di rinvio ri-leva che il conferimento dell’immobile n. 19 da A a Bpoteva apparire privo di scopo commerciale, visto che lafinalità perseguita dalle parti era opposta, e cioè concen-trare in A (ossia nel figlio) la proprietà dei due immobi-li. Per cui l’impiego del conferimento del n. 19 da A a B,

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remunerato con azioni emesse da B e assegnate ad A.,serviva in sostanza, combinato con l’opzione concessadai genitori ad A, soltanto allo scopo di predisporre lasuccessiva fusione di B in A; e questa a sua volta serviva afar passare il n. 17 da B ad A senza pagare imposte sultrasferimento. In ogni altro caso, sarebbe stato inevita-bile il pagamento dell’imposta sul trasferimento, tantoche venisse trasferito direttamente l’immobile n. 17,quanto che venisse trasferito il pacchetto azionario dete-nuto in B dai genitori. La finalità essenziale della fusio-ne era quindi, plausibilmente, il risparmio dell’impostasul trasferimento.

Il giudice del rinvio si è chiesto allora se a questa fatti-specie possa applicarsi l’art. 11 n. 1 lett. a) della Diretti-va 434/90/CEE. L’imposta sul trasferimento, osserva ilgiudice del rinvio, “non fa parte delle imposte il cui prelie-vo non deve aver luogo in forza della Direttiva in caso diuna fusione societaria”. Tali imposte sono quelle sulleplusvalenze, cioè sul reddito, mentre la Direttiva non sioccupa dell’imposta sul trasferimento. L’elusione di que-sta imposta può, allora, condurre al disconoscimentodell’esenzione delle plusvalenze?

Sarà interessante conoscere la risposta della Corte digiustizia, che dovrà necessariamente chiarire qualeestensione si attribuisca, dal punto di vista comunitario,al riconoscimento del “limite dell’abuso” presente neidiritti degli Stati membri.

Ma ciò che è già significativo e che merita di esserequi sottolineato è che il giudice nazionale ha rilevato chel’operazione di fusione posta in essere nella fattispecie,benché potesse astrattamente rientrare nel presuppostodell’esonero da tassazione delle plusvalenze emerse in se-de di fusione perché oggettivamente tendeva a concen-trare nella società del figlio entrambi gli spazi commer-

ciali utilizzati dalla sua azienda, in realtà ne esulava per-ché era più complessa del necessario: essa infatti “inizia-va” con una cessione di azienda dalla società del figlio aquella dei genitori, cioè con un’operazione di concentra-zione esattamente inversa a quella programmata comefine ultimo dagli interessati. Questo passaggio struttu-ralmente ed economicamente non necessario aveva sol-tanto una spiegazione fiscale, riferita all’imposta sul tra-sferimento. In questo quadro potrebbe allora trovarenuovamente campo l’imposizione della plusvalenza chel’operazione “non necessaria” aveva fatto emergere.

Il giudice olandese, insomma, non dubita della realtàe validità negoziale degli atti posti in essere per realizzarel’operazione. Nel preciso resoconto della causa principaleche si legge nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, non sirinviene alcuna considerazione circa la qualificazione pri-vatistica di tali negozi, che appare scontata e come un ar-gomento del tutto estraneo alla valutazione del caso che ilgiudice compie. L’impostazione della questione è tutta esoltanto basata sulla ricognizione dello scopo economicoperseguito dalle parti e del rapporto di congruità o in-congruità strutturale ed economica degli atti posti in es-sere rispetto a tale scopo. Atti non congrui non possonofruire dell’esonero perché questo non è concesso in consi-derazione degli atti visti in sé, ma di un presupposto eco-nomico “esterno” che lo giustifica (favorire le concentra-zioni aziendali) e dà, solo esso, senso alla norma.

In conclusione, credo che l’impostazione qui propo-sta possa meglio assicurare la costituzionalità complessi-va del sistema impositivo e, insieme, la certezza del dirit-to per gli operatori, i quali di regola non avranno diffi-coltà a percepire i casi in cui il rapporto di congruità trafini perseguiti e mezzi giuridici usati divenga critico allastregua di un criterio di normalità economica.

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OGGETTO: Corte di Giustizia delle Comunità Euro-pee – Sentenza del 21 febbraio 2006, causa C-255/02 –IVA – Comportamento abusivo – Operazioni realizzateal solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

1. Premessa

Con sentenza del 21 febbraio 2006, emessa nellacausa C-255/02, la Corte di Giustizia delle ComunitàEuropee ha preso in esame – ai fini della verifica dellacompatibilità con la normativa comunitaria in materiadi imposta sul valore aggiunto – una serie complessa dioperazioni, collegate tra loro, poste in essere da diversisoggetti al fine di fruire di determinati vantaggi fiscali al-trimenti non conseguibili.

2. La controversia principale e le questionipregiudiziali sollevate

La domanda di pronuncia pregiudiziale, avente adoggetto l’interpretazione della sesta direttiva del Consi-glio 17 maggio 1977, 77/388/CEE1, ha tratto origine dauna controversia tra alcune società inglesi2 e i Commis-sioners of Customs & Excise per aver questi ultimi re-spinto le domande di recupero ovvero di detrazione del-l’IVA presentate dalle società medesime nell’ambito diun piano di riduzione del carico fiscale del gruppo.

In particolare, un istituto bancario inglese intendevaeffettuare lavori di costruzione di alcuni immobili su ter-reni di proprietà o in locazione; tuttavia, essendo la mag-gior parte delle proprie prestazioni “attive” (servizi ban-cari e finanziari) in regime di esenzione da IVA, lo stessoistituto avrebbe potuto recuperare sui lavori direttamen-te ad esso fatturati soltanto una parte minima dell’impo-sta assolta su tali lavori (meno del 5 per cento).

L’istituto bancario ha elaborato un piano che consen-tiva, attraverso una serie di operazioni che coinvolgeva-no diverse società controllate (alle quali l’istituto mede-simo forniva la relativa provvista), di recuperare in prati-ca integralmente l’IVA assolta a monte sui predetti lavoridi costruzione.

In sostanza, mediante una serie di contratti e di su-bappalti i predetti lavori erano stati affidati dall’istitutobancario a società controllate operanti in regime di im-ponibilità e con diritto alla detrazione, e da queste – a lo-ro volta – affidati a terzi costruttori indipendenti; tutta-via, il pagamento dei lavori risultava imputabile (ai di-versi livelli) allo stesso controllante, il quale in sostanzafinanziava l’operazione complessiva attraverso la conces-sione di prestiti alle proprie controllate.

L’amministrazione finanziaria del Regno Unito hacontestato ai predetti soggetti di aver posto in essere lediverse operazioni al solo fine di recuperare l’intero im-porto dell’IVA sui lavori e non solamente la quota parteche sarebbe stata recuperabile dall’istituto bancario inbase al proprio pro-rata di detraibilità; a parere del fiscobritannico l’analisi delle operazioni nel loro complessomostrava che – nella sostanza – era stato l’istituto banca-rio ad ottenere prestazioni edilizie dai costruttori indi-pendenti e poteva quindi recuperare l’IVA su questi la-vori solo nella misura della sua ordinaria percentuale direcupero.

Nell’ambito del contenzioso insorto, i giudici nazio-nali hanno sottoposto alla Corte di Giustizia le seguentiquestioni pregiudiziali:

• se un’operazione possa essere considerata una “ces-sione di beni” o “prestazione di servizi” ovveropossa essere considerata un atto compiuto nell’am-bito di un’“attività economica” ai sensi della sestadirettiva qualora sia condotta al solo scopo di otte-nere un vantaggio fiscale, senza un autonomoobiettivo economico;

• se, in conformità al generale principio dell’ordina-mento comunitario che impone di prevenire abusidel diritto, le operazioni condotte ai soli fini dell’eva-sione dell’IVA non devono essere prese in considera-zione, applicando, invece, alle operazioni medesimela sesta direttiva secondo la loro vera natura.

Circolare Agenzia Ent. Dir. Centr.Normativa e contenzioso 13-12-2007, n. 67/E

1 Attualmente direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006. 2 Halifax plc, Leeds Permanent Development Services Ltd e

County Wide Property Investments Ltd. I medesimi principi sonostati affermati dalla Corte di Giustizia nelle sentenze emesse, nellamedesima data del 21 febbraio 2006, nella cause C-419/02 (BUPAHospitals Ltd e Goldsborough Developments Ltd) e C-223/03(University of Huddersfield Higher Education Corporation).

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3. La sentenza della Corte di Giustizia

Prima di passare ad una compiuta disamina del conte-nuto della sentenza in esame e dei possibili riflessi sul-l’operato dell’amministrazione finanziaria, si richiamanobrevemente le conclusioni assunte dai giudici comunitari.

In ordine alla prima questione, la Corte di Giustizia– dopo aver rilevato che la sesta direttiva stabilisce un si-stema comune dell’IVA basato, in particolare, su una de-finizione uniforme delle operazioni imponibili – ha pre-cisato, facendo ampio richiamo a precedenti giurispru-denziali, che l’analisi delle definizioni delle nozioni disoggetto passivo, di attività economiche nonché di “ces-sioni” e “prestazioni” ne mette in rilievo l’ampiezza dellasfera d’applicazione ed il carattere obiettivo; tali nozioni,quindi, devono essere applicate “indipendentemente da-gli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi”.

Ne consegue, secondo la Corte, che al fine di stabilirese una operazione costituisca una cessione di beni ovve-ro se una prestazione di servizi è un’attività economica aisensi degli articoli 4 e seguenti della sesta direttiva, nonrileva il fatto che la stessa sia posta in essere al solo scopodi ottenere un vantaggio fiscale, senza altro obiettivoeconomico, bensì che risultino soddisfatti i criteri ogget-tivi sui quali le predette nozioni sono fondate.

La Corte ha poi preso posizione – negandolo sulla basedella corretta interpretazione della sesta direttiva – in or-dine al diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA assoltaa monte nelle ipotesi in cui le operazioni che hanno fattosorgere il diritto integrino un comportamento abusivo.

La Corte – pur riconoscendo, in capo al soggetto pas-sivo, il diritto di scegliere la forma di conduzione degliaffari che gli permette di limitare la sua contribuzione fi-scale – ha affermato che, nel settore IVA, si integra uncomportamento abusivo, quando “le operazioni contro-verse ..., nonostante l’applicazione formale delle condi-zioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta di-rettiva e della legislazione nazionale che la traspone” sia-no idonee a “procurare un vantaggio fiscale la cui con-cessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito daquelle stesse disposizioni”.

Al riguardo, i giudici comunitari hanno precisato, inparticolare, che permettere ad un soggetto passivo di de-trarre la totalità dell’IVA assolta a monte laddove – nel-l’ambito delle sue normali operazioni commerciali –nessuna operazione conforme alle disposizioni del siste-ma delle detrazioni della sesta direttiva o della legislazio-ne nazionale che le traspone glielo avrebbe consentito (oglielo avrebbe consentito solo in parte), sarebbe contra-rio al principio di neutralità fiscale e, pertanto, contrarioallo scopo del detto sistema.

Il sistema delle detrazioni previsto dalla sesta direttiva“... intende sollevare interamente l’imprenditore dall’IVAdovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività econo-miche” ed è a tal fine che il sistema comune dell’IVA ga-rantisce “la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale pertutte le attività economiche, indipendentemente dalloscopo o dai risultati di tale attività, purché queste siano,in linea di principio, di per sé soggette all’IVA”.

Affinché si integri un comportamento abusivo, inol-tre, “deve altresì risultare da un insieme di elementiobiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente loscopo di ottenere un vantaggio fiscale”.

La Corte, infine, ha preso posizione in ordine all’ipo-tesi in cui sia stato constatato che il contribuente ha po-sto in essere un comportamento abusivo, come sopraidentificato; in tal caso, “... le operazioni implicate devo-no essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazionequale sarebbe esistita senza le operazioni che quel com-portamento hanno fondato”.

4. Riflessi sull’operato dell’Amministrazionefinanziaria

I principi espressi dai giudici comunitari nella sen-tenza in esame appaiono di rilevante interesse per le am-ministrazioni fiscali dei diversi Stati membri dell’Unio-ne Europea, impegnate nell’azione di contrasto dei com-portamenti abusivi dei contribuenti in tema di applica-zione dell’imposta sul valore aggiunto.

La Corte di Giustizia ha evidenziato con chiarezza,infatti, che la lotta contro ogni possibile frode, evasioneed abuso è obiettivo non solo riconosciuto, ma anchepromosso dalla sesta direttiva e, pur in assenza nell’am-bito dell’ordinamento comunitario di una disciplina po-sitiva di tali fattispecie, deve ravvisarsi – nel sistema del-l’IVA – l’esistenza di una clausola generale antiabuso po-sta a tutela proprio di tale obiettivo di interesse generale.

Le considerazioni svolte in narrativa della sentenza inesame appaiono, peraltro, di particolare interesse, laddo-ve la Corte, in sostanza, riconosce e motiva l’esistenza inambito IVA di una clausola generale antiabuso sulla basedelle medesime argomentazioni sottese alla norma gene-rale antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. 29 set-tembre 1973, n. 600, applicabile nel nostro ordinamen-to nazionale con riferimento all’imposizione diretta.

Dall’esame della sentenza emerge che la Corte diGiustizia distingue nell’ambito dell’ordinamento comu-nitario le diverse fattispecie di “evasione” e di “abuso”(rectius di “elusione”) ed, in particolare, individua que-st’ultima nelle situazioni in cui – “nonostante l’applica-

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zione formale delle condizioni previste dalle pertinentidisposizioni della sesta direttiva e della legislazione na-zionale che la traspone” – il soggetto passivo possa pro-curarsi un vantaggio fiscale la cui concessione è contrariaall’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni.

I giudici comunitari, in sostanza, adottando una im-postazione che nell’ordinamento nazionale trova confer-ma nella prassi dell’Amministrazione finanziaria, oltreche a livello giurisprudenziale e dottrinario, distinguonotra situazioni di “evasione”, nelle quali il soggetto passi-vo si pone direttamente in contrasto con una norma chegli impone un determinato comportamento quando ilpresupposto impositivo si è già verificato, e situazioni di“elusione o abuso”, nelle quali il soggetti passivo – purrispettando formalmente una norma – la aggira al fine diprocurarsi un vantaggio altrimenti non conseguibile ecomunque contrario alle finalità perseguite dalla normamedesima.

Secondo la Corte, il soggetto passivo ha sempre il di-ritto di scegliere la forma di conduzione degli affari chegli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (p.73 della sentenza); tale scelta, tuttavia, secondo una giu-risprudenza costante, trova un preciso limite nel divietoper gli interessati di avvalersi abusivamente del dirittocomunitario.

In sostanza, è escluso che l’applicazione della norma-tiva comunitaria possa estendersi fino a ricomprendere icomportamenti abusivi degli operatori economici, ovve-ro le operazioni realizzate non nell’ambito di transazionicommerciali “normali”, bensì al solo scopo di beneficia-re “abusivamente” dei vantaggi previsti dal diritto comu-nitario.

Dall’esame della sentenza emerge con chiarezza chetale principio di carattere generale, seppur non espressa-mente richiamato nel diritto positivo, deve essere ricono-sciuto come immanente nel sistema della sesta direttiva;le disposizioni della direttiva medesima devono quindiessere interpretate nel senso che ostano alla adozione dicomportamenti abusivi, come definiti dalla Corte.

Tutto ciò premesso, occorre osservare che a normadell’art. 234 (già art. 177) del Trattato, alla Corte diGiustizia è riservato in via esclusiva il potere di interpre-tare in via pregiudiziale le norme comunitarie; in parti-colare, come affermato dagli stessi giudici comunitari inprecedenti giurisprudenziali, l’interpretazione di unanorma di diritto comunitario, resa dalla Corte di Giusti-zia nell’ambito delle proprie attribuzioni, chiarisce eprecisa il significato e la portata della norma, quale deveo avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momentodella sua entrata in vigore. Una sentenza della Corte cheprecisi il significato di una norma comunitaria, determi-

nandone ampiezza e contenuto, viene quindi ad integra-re e costituisce un tutt’uno con la norma interpretata edha la stessa immediata efficacia – con riguardo agli ordi-namenti nazionali – di quest’ultima.

L’accertata esistenza da parte dei giudici comunitaridi una clausola generale antiabuso immanente nel siste-ma della sesta direttiva, che consente di perseguire de-terminati comportamenti dei contribuenti nell’ambitodella realizzazione di un obiettivo di carattere generaledato dalla lotta alle frodi e agli abusi, fa sì che la stessaintegri il contenuto della direttiva medesima e risulti,quindi, anch’essa direttamente applicabile negli ordina-menti nazionali.

Al riguardo, occorre formulare alcune ulteriori consi-derazioni circa i riflessi del principio di diritto enunciatonella sentenza in esame sull’attività accertativa dell’Am-ministrazione finanziaria.

La Corte di Giustizia afferma che l’elusione in sé(quale scopo perseguito nel porre in essere l’operazioneeconomica), non incide sulla qualificazione dell’opera-zione ai fini IVA, né sulla qualificazione giuridica delcontratto in essere tra le parti come interposizione ma siriflette sul trattamento fiscale dell’operazione medesima.

Alla luce di quanto sino ad ora esposto, può ritenersiche l’immanenza nei principi dell’IVA di norme anti-abuso, riconosciuta dalla Corte di Giustizia, fa sì chepossa riconoscersi da parte dell’Amministrazione finan-ziaria la presenza di comportamenti elusivi, senza la ne-cessità di una norma positiva che sancisca tale potere, sianell’ordinamento comunitario che nazionale.

Tale affermazione trova esplicita conferma nelle pun-tuali statuizioni della Corte di Cassazione, la quale –nella sentenza n. 10352 del 5 maggio 2006 – fa espressorinvio ai principi espressi dalla Corte di Giustizia nellacausa C-419/02, emessa sempre in data 21 febbraio2006 e di tenore sostanzialmente analogo a quella incommento.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che “...peraltro, con riferimento all’ordinamento comunitario,con la recentissima pronuncia del 21 febbraio 2006, nel-la causa C-419/02, la Corte di Giustizia delle Comunitàeuropee ha chiarito che la 6° direttiva CEE n.77/388/CEE, direttamente applicabile in quello nazio-nale, aggiunge alla tradizionale bipartizione dei compor-tamenti tenuti dai contribuenti in tema di IVA, fra quel-lo fisiologico e quello patologico (proprio delle frodi fi-scali), il primo idoneo a consentire una piena detraibilitàdell’imposta assolta ed il secondo la sua assoluta inde-traibilità, una sorta di tertium genus, in dipendenza delcomportamento abusivo ed elusivo del contribuente,comportante il recupero dell’IVA detratta e l’eventuale

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rimborso in favore del soggetto che abbia posto in esserel’operazione elusiva; .... pertanto, nell’ordinamento co-munitario e, quindi, anche in quello interno deve consi-derarsi vigente il principio di indetraibilità dell’IVA (art.17 della citata direttiva n. 77/388/CEE) assolta in corri-spondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conse-guire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una realeed autonoma ragione economica giustificatrice delleoperazioni economiche che, perciò, risultano eseguite informa solo apparentemente corretta ma, in realtà, so-stanzialmente elusiva; ...”.

* * * Dopo aver affermato l’esistenza di una clausola gene-

rale antiabuso in ambito IVA, i giudici comunitari – conargomentazioni che, come già evidenziato in preceden-za, appaiono ricalcare la struttura logico-sistematica delgiudizio di elusività di un comportamento, come disci-plinato ai fini delle imposte sui redditi dal citato art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 – hanno precisato (pp. 74-76della sentenza in esame) che ad orientare l’attività del-l’amministrazione fiscale e del Giudice devono essere iseguenti elementi:

• le operazioni controverse devono, nonostante l’ap-plicazione formale delle condizioni previste dallasesta direttiva e dalla legislazione nazionale che latraspone, procurare un vantaggio fiscale la cui con-cessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguitoda queste stesse disposizioni.A tal fine, a parere della Corte, l’amministrazioneed il Giudice dovranno tenere conto della circo-stanza che costituisce principio fondamentale dellasesta direttiva e della normativa nazionale che latrasfonde, quello della “neutralità fiscale”: consen-tire la detrazione al soggetto quando, nell’ambitodelle sue “normali” operazioni commerciali, ciònon gli sarebbe stato consentito costituisce unaespressa violazione di tale principio e costituiscequindi un comportamento abusivo;

• deve altresì risultare da un insieme di elementi og-gettivi che lo scopo delle operazioni controverse è es-senzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale.

* * * In ordine agli effetti dell’individuazione di un com-

portamento abusivo, la Corte di Giustizia afferma che leoperazioni relative a tale comportamento “devono essereridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sa-rebbe esistita senza le operazioni che quel comporta-mento hanno fondato”.

In sostanza, la Corte afferma l’esistenza nel sistemaIVA, come disciplinato dalla sesta direttiva, di una rego-la generale antielusiva che in presenza di determinate

circostanze legittima l’amministrazione fiscale nazionalea disconoscere il vantaggio fiscale ottenuto attraversol’effettuazione di operazioni elusive, ovvero poste in es-sere al solo fine di ottenere un risparmio di imposta, at-traverso la riqualificazione delle medesime operazioni inmaniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistitasenza le operazioni che quel comportamento hanno fon-dato (pp. 93-98 della sentenza in esame).

Pertanto l’amministrazione fiscale ha il diritto dichiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle som-me detratte per ciascuna operazione rilevante, consen-tendo altresì al soggetto passivo di effettuare quelle de-trazioni che avrebbe potuto effettuare in assenza delcomportamento abusivo.

Alla luce delle considerazioni sino ad ora esposte, siritiene che gli uffici possano (e debbano) tener conto, insede di controllo, dei principi enunciati in via generaledalla Corte di giustizia, in tema di abuso del diritto, fa-cendone applicazione in tutti i casi in cui possono confi-gurarsi i presupposti prima richiamati.

A titolo meramente esemplificativo, oltre al caso diinterposizione soggettiva specificatamente esaminatodalla Corte di Giustizia nella sentenza citata, si enuncia-no alcune possibili fattispecie di abuso.

a) Fatturazione anticipata

La fatturazione anticipata (rispetto agli eventi in pre-senza dei quali l’operazione si considera effettuata), ovenon supportata da valide ragioni economiche da parte dicontribuenti soggetti ad un regime di detraibilità limita-ta, potrebbe comportare un vantaggio fiscale a favore diquesti ultimi in termini di maggior detrazione con riferi-mento al pro rata di detraibilità del periodo; ciò ovvia-mente nei casi in cui lo strumento della rettifica alla de-trazione non possa essere utilizzato per correggere que-sto effetto.

b) Variazioni in diminuzione

La variazione in diminuzione ai sensi dell’art. 26 delD.P.R. n. 633/1972, rileva nel sistema come mera facol-tà del contribuente, posto che la stessa ove anche nonrealizzata, non produce di norma effetti distorsivi.

Tuttavia, con riguardo ad operazioni di cessione ef-fettuate – ad esempio – in regime speciale, possonoemergere profili di elusività soprattutto quando l’ope-razione avviene tra soggetti collegati in base all’appar-tenenza al medesimo gruppo. Avendo presente che ilcedente emette fattura con l’aliquota propria del beneceduto, ma opera la detrazione in maniera forfetaria,con ciò realizzandosi un vantaggio economico che lalegge riconosce solo al soggetto che opera nell’ambito

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del predetto regime speciale, si osserva che in caso dieventi che darebbero luogo ad una variazione in dimi-nuzione, può configurarsi un abuso delle norme disci-plinanti il regime speciale qualora si ometta di effettua-re detta variazione, con la conseguenza che di fatto par-te del vantaggio economico attribuito dal sistema al-l’operatore in regime speciale transita verso il cliente diquest’ultimo.

c) Fenomeni di abuso nella prassi commerciale

Ai sensi dell’art. 13 del Regolamento CE n.1777/2005, recante norme di applicazione della VI di-rettiva IVA (ora direttiva 112/2006) “allorché un forni-tore dei beni o un prestatore di servizi esige che per l’ac-cettazione del pagamento mediante carta di credito o didebito il cliente paghi un importo a lui stesso o ad un’al-tra impresa e allorché il prezzo complessivo che talecliente deve pagare resta invariato a prescindere dalla

modalità di pagamento, tale importo è parte integrantedella base imponibile per la cessione di beni o la presta-zione di servizi, a norma dell’articolo 11 della direttiva77/388/CEE.”.

La ratio della disposizione comunitaria è volta a con-trastare possibili fenomeni elusivi sottesi ad alcune prati-che invalse in campo commerciale, che tendono a ridur-re, ma solo fittiziamente, la base imponibile dell’IVA.

Ogniqualvolta, si accerti – sulla base di adeguati e ri-gorosi riscontri – una prassi commerciale ispirata alla fi-nalità che il richiamato Regolamento comunitario in-tende contrastare, sarà possibile invocare, oltre che lanorma regolamentare richiamata (in quanto diretta-mente applicabile), anche il più generale principio del-l’abuso del diritto contenuto nella sentenza in esame.

* * * Le Direzioni regionali vigileranno sulla corretta ap-

plicazione delle presenti istruzioni.

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48 GIURISPRUDENZA ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009

A. Sulla (necessità di una) disciplina legislativadell’elusione

1. Corte di Cassazione, 03-04-2000, n. 3979“A fronte di divergenti trattamenti fiscali, a seconda del

soggetto cui faccia capo un certo reddito, la frode alla leggeex art. 1344 c.c., non è ravvisabile per il solo fatto che unatto negoziale (reale e non simulato) abbia spostato la tito-larità del bene al contribuente “favorito”, occorrendo unanorma che direttamente od indirettamente neghi la facoltàdi trasmigrare con l’atto stesso dall’uno all’altro regime ditassazione; in difetto, si rimane nell’ambito della meralacuna della disciplina tributaria, per non aver prefigu-rato la possibilità dei contribuenti di optare per assetti pri-vatistici fiscalmente proficui.”

Da questa premessa consegue – nel caso specifico –che “Nella fattispecie … del c.d. dividend washing … nonè individuabile nella normativa tributaria un divieto deltipo sopra specificato.

L’ammissibilità e la liceità di detta operazione, in assen-za di contraria previsione di legge, trovano sicura confermanell’evoluzione normativa successiva ai rapporti in discus-sione …

Il comma 6-bis dell’art. 14 del D.P.R. 917/1986, ag-giunto con effetto ex nunc dall’art. 7-bis del D.L.372/1992 … nega il credito di imposta correlato alla di-stribuzione di utili azionari a chi acquisti titoli da un fon-do comune di investimento …

Le scelta del legislatore di elidere o attenuare la conve-nienza fiscale dell’operazione riposa sull’evidente presuppo-sto della liceità della medesima”.

2. Corte di Cassazione, 03-09-2001, n. 11351“Il potere di disconoscere, ai fini tributari, gli effetti de-

gli atti compiuti dal contribuente è stato riconosciuto per laprima volta, in modo espresso,dal legislatore con l’art. 10,legge 29/12/1990, n. 408 … detta disposizione … è privadi carattere retroattivo, come si desume in modo in equivo-co dal suo terzo comma”.

3. Corte di Cassazione, 07-03-2002, n. 3345“Nella disciplina anteriore alla integrazione dell’art. 14

del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, operata dall’art. 7-bis del D.L. 9 settembre 1992, n. 372 (convertito, con mo-dificazioni, nella legge n. 429 del 1992), che ha aggiunto

al predetto art. 14 il comma 6-bis, … non era … rinveni-bile una norma tributaria che negasse la facoltà di fartrasmigrare con un atto reale la titolarità di un bene trasoggetti sottoposti a trattamenti fiscali divergenti e dispostare tale titolarità sul soggetto più favorito.

4. CTR Friuli Venezia Giulia, 26-06-2007, n. 45“Con le modifiche apportate all’art. 14 del T.U.I.R.

dalla legge 429/1992, in base alle quali “le disposizionidel presente articolo non si applicano agli utili percepitidall’usufruttuario allorché la costituzione o la cessione deldiritto di usufrutto sono state poste in essere da soggetti nonresidenti, privi nel territorio dello Stato di una stabile orga-nizzazione”, non si è trasformato in lecito ciò che non loera, ma si è reso possibile tassare quanto in precedenzasfuggiva all’imposizione”.

B. Sul concetto di abuso del diritto elaborato dallagiurisprudenza comunitaria

1. Corte di Giustizia CE, 21-02-2006, causa C-255/02(Halifax)

“A un soggetto passivo che ha la scelta tra due operazionila sesta direttiva non impone di scegliere quella che implicaun maggior pagamento Iva. Al contrario … il soggetto pas-sivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degliaffari che gli permette di limitare la sua contribuzione fi-scale”. [cfr. par. 73]

Nel settore Iva, “perché possa parlarsi di comportamen-to abusivo, le operazioni controverse devono, nonostantel’applicazione formale delle condizioni previste dalle perti-nenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazionenazionale che le traspone, procurare un vantaggio fiscalela cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perse-guito da quelle stesse disposizioni. Non solo. Deve altresìrisultare da un insieme di elementi obiettivi che le detteoperazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere unvantaggio fiscale”. [cfr. par. 86]

Occorre altresì ricordare che la constatazione dell’esi-stenza di un comportamento abusivo non deve condurrea una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fonda-mento normativo chiaro e univoco, bensì e semplicemente aun obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detra-zioni dell’Iva assolta a monte …

Rassegna di Giurisprudenza

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GIURISPRUDENZAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 49

Ne discende che operazioni implicate in un comporta-mento abusivo devono essere ridefinite in maniera da ri-stabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le opera-zioni che quel comportamento hanno fondato”. [cfr. parr.93 e 94]

2. Corte di Giustizia CE, 12-09-2006, causa C-196/04Sentenza in materia di “Libertà di stabilimento –

Normativa sulle società controllate estere – Inclusionenella base imponibile della società madre degli utili dellecontrollate estere.“Perché sia giustificata da motivi di lottaa pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabili-mento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comporta-menti consistenti nel creare costruzioni puramente artifi-ciose, prive di effettività economica e finalizzate ad eluderela normale imposta sugli utili generati da attività svolte sulterritorio nazionale.” [cfr. par. 55]

“La constatazione dell’esistenza di una tale costruzione[di puro artificio] richiede oltre ad un elemento soggettivoconsistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale,elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispet-to formale delle condizioni previste dall’ordinamento co-munitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabili-mento … non è stato raggiunto”. [cfr. par. 64]

“Gli artt. 43CE e 48CE devono essere interpretati nel sen-so che ostano all’inclusione, nella base imponibile di una so-cietà residente in uno Stato membro, degli utili realizzati dauna società estera controllata stabilita in un altro Stato allor-ché tali utili sono ivi soggetti ad un livello impositivo inferiorea quello applicabile nel primo Stato, a meno che tale inclusio-ne non riguardi costruzioni di puro artificio destinate ad elu-dere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazio-ne di una misura impositiva siffatta deve perciò essere esclusaove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risultiche, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la con-trollata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento eivi esercita attività economiche effettive”. [Conclusioni]

3. Corte di Giustizia UE, 21-02-2008, causa C-425/06“La VI Direttiva [IVA] deve essere interpretata nel senso

che l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciu-ta qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costitui-sca lo scopo essenziale dell’operazione o delle operazionicontroverse”. [cfr. par. 45]

Per valutare se determinate “operazioni possano essereconsiderate come rientranti in una pratica abusiva, il giu-dice nazionale deve anzitutto verificare se il risultato per-seguito sia un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbecontraria a uno o più obiettivi della VI direttiva e, suc-cessivamente, se abbia costituito lo scopo essenziale dellasoluzione contrattuale prescelta”. [cfr. par. 58]

C. Sulla applicabilità nel diritto interno delprincipio dell’abuso del diritto elaborato in sedecomunitaria (in assenza di una disposizionenormativa interna che lo preveda) e sulla suaestensibilità a settori diversi dall’IVA

1. Corte di Cassazione, 21-10-2005, n. 20398Nella disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art.

37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdottodall’art. 7 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, pur non esi-stendo nell’ordinamento fiscale italiano una clausola ge-nerale antielusiva, non può negarsi l’emergenza di unprincipio tendenziale, desumibile dalle fonti comunita-rie e dal concetto di abuso del diritto elaborato dallagiurisprudenza comunitaria, secondo cui non possonotrarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al soloscopo di procurarsi un risparmio fiscale.

Da questa premessa consegue – nel caso specifico –che “In riferimento all’ipotesi in cui l’acquirente di azionida un fondo comune d’investimento, dopo averne percepitoi dividendi, abbia rivenduto i titoli al fondo stesso al fine diconsentire l’elusione del regime fiscale previsto dall’art. 9della legge n. 77 del 1983 (come sostituito dal d.lgs. 25 gen-naio 1992, n. 83) (c.d. “dividend washing”), l’applica-zione del predetto principio si traduce nella individua-zione di un difetto di causa che dà luogo alla nullità deicontratti collegati di acquisto e di rivendita delle azioni,non conseguendo dagli stessi alcun vantaggio economico perle parti, all’infuori del risparmio fiscale. Tale mancanza diragione, che investe nella sua essenza lo scambio tra le pre-stazioni contrattuali attuato attraverso il collegamento ne-goziale, comporta l’inefficacia dei contratti nei confrontidel fisco, con conseguente esclusione del credito d’impostaprevisto per l’acquirente dei titoli dall’art. 14 del D.P.R. 22dicembre 1986, n. 917 (nel testo anteriore all’integrazioneapportatavi dall’art. 7-bis del decreto-legge 9 settembre1992, n. 372, conv. con modificazioni nella legge 5 novem-bre 1992, n. 429).”

2. Corte di Cassazione, 14-11-2005, n. 22932“Nella disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art.

37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdottodall’art. 7 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, pur non esi-stendo nell’ordinamento fiscale italiano una clausola gene-rale antielusiva, non può negarsi l’emergenza di un princi-pio tendenziale, desumibile dalle fonti comunitarie e dalconcetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenzacomunitaria, secondo cui non possono trarsi benefici daoperazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procu-rarsi un risparmio fiscale.”

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3. Corte di Cassazione, 05-05-2006, n. 10353“Costituisce principio consolidato … l’affermazione se-

condo cui, come confermato dalla pronuncia del 21 febbra-io 2006, nella causa C-419/02 (rectius C-255/02), dellaCorte di Giustizia UE, la VI Direttiva n. 77/388/CEEaggiunge nell’ordinamento comunitario, direttamenteapplicabile in quello nazionale, alla tradizionale biparti-zione dei comportamenti dei contribuenti, in tema di Iva,in fisiologici e patologici (propri delle frodi fiscali),una sor-ta di tertium genus, in dipendenza del comportamentoabusivo ed elusivo del contribuente, volto a conseguire ilsolo risultato del beneficio fiscale, senza una reale ed auto-noma ragione economica giustificatrice delle operazionieconomiche che risultano eseguite in forma solo apparente-mente corretta ma, in realtà, sostanzialmente elusiva; inqueste ultime ipotesi scatta l’indetraibilità dell’Iva”.

4. Corte di Cassazione, 29-09-2006, n. 21221“Una rigorosa applicazione del principio dell’abuso del

diritto, definito dalla Corte di giustizia nella sentenza Ha-lifax, comporta che l’operazione deve essere valutata secon-do la sua essenza, sulla quale non possono influire ragionieconomiche meramente marginali o teoriche, tali, quindi,da considerarsi manifestamente inattendibili o assoluta-mente irrilevanti, rispetto alla finalità di conseguire un ri-sparmio di imposta. Pur riguardando la pronuncia deiGiudici di Lussemburgo un campo impositivo di compe-tenza comunitaria (l’Iva), questa Corte ritiene che, comeripetutamente affermato dalla giurisprudenza comunita-ria, anche nella imposizione fiscale diretta, pur essendoquesta attribuita alla competenza degli Stati membri,gli stessi devono esercitare tale competenza nel rispettodei principi e delle libertà fondamentali contenuti neltrattato CE.

La nozione di abuso del diritto prescinde, pertanto, daqualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta diun’operazione, nel senso di una prefigurazione di comporta-menti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all’uffi-cio di cogliere la vera natura dell’operazione.. come ha riba-dito la sentenza Halifax al punto 2) del dispositivo, il pro-prium del comportamento abusivo consiste proprio nelfatto che, a differenza delle ipotesi di frode, il soggetto haposto in essere operazioni reali, assolutamente conformiai modelli legali, senza immutazioni del vero o rappre-sentazioni incomplete della realtà”.

5. CTP Padova, 07-03-2007, n. 23 “Non costituisce operazione elusiva quella posta in essere

dopo aver scelto, tra più alternative, il percorso che corri-sponde ad una fattispecie prevista dalla vigente legislazione;segnatamente, la cessione di quote societarie con l’applica-

zione dell’imposta sostitutiva del 12,50% non elude l’ope-razione di cessione di azienda, giacché difetta l’aggiramentodi obblighi e divieti …” [In termini anche CTP Padova31/01/2007, n. 241]

6. CTR Friuli Venezia Giulia, 26-06-2007, n. 45In merito all’emergenza del principio dell’abuso del

diritto, affermata dalla giurisprudenza interna, la Com-missione regionale osserva“che questo principio è tuttoproprio e deve essere interpretato all’interno delle compe-tenze e prerogative normative della comunità economicaeuropea e dei suoi organi, anche giurisdizionali: tranneipotesi specifiche, e fermi i principi della libera concorrenzaeconomica tra Paesi, il disinteresse comunitario versol’imposizione diretta è la regola: le materia in cui si leggo-no espressi i principi in questione (fondamentalmente quel-la dell’Iva) sono e rimangono differenti da quelle delle im-poste dirette, e quindi accorta deve essere l’estensione appli-cativa dei principi che si rinvengono nella giurisprudenzacomunitaria …

Se ne ricava, a giudizio di questo Collegio, che la parti-ta della liceità o meno della causa e dell’operazione debbaessere giocata sul terreno del diritto nazionale, senza ince-dere in richiami – all’apparenza fuorvianti – al diritto co-munitario”.

7. CTR Lombardia, Sez. III, 04-02-2008, n. 85“L’elencazione delle possibili fattispecie elusive indicate

nell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973 non può ritenersi nétassativa né esaustiva. Si è, infatti, venuto a configurareun concetto generale di elusione fiscale, desumibile da ta-le disposizione e che si delinea come una forma di abusoda parte del contribuente del proprio diritto di scelta deivari strumenti giuridici stabiliti dalla norma tributaria,fino al punto di porre in essere atti e/o fatti che, pur essendorigorosamente rispettosi di previsioni legislative, si traduco-no, in concreto, in strategie idonee a determinare un van-taggio, formalmente lecito, ma che, nella sostanza, si scon-tra con i principi di sistema e con le modalità generali del-l’ordinamento tributario. In altre parole nell’elusione fisca-le il contribuente non si limita a scegliere una soluzione trale tante previste dall’ordinamento tributario, ma sfrutta ilsistema tributario per crearsi una particolare situazione divantaggio che l’ordinamento stesso normalmente non am-mette ed implicitamente vieta”.

8. Corte di Cassazione, 04-04-2008, n. 8772“Non hanno efficacia nei confronti dell’Amministrazio-

ne finanziaria gli atti posti in essere dal contribuente, checostituiscano “abuso di diritto”, cioè che si traducano inoperazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di

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GIURISPRUDENZAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 51

un vantaggio fiscale. Tale inefficacia non opera, laddove ilcontribuente fornisca la prova dell’esistenza di ragioni eco-nomiche, alternative o concorrenti, di carattere non mera-mente marginale o teorico”.

9. Corte di Cassazione, 21-04-2008, n. 10257“Non hanno efficacia nei confronti dell’Amministra-

zione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuen-te, che costituiscano “abuso di diritto”, cioè che si traduca-no in operazioni compiute essenzialmente per il consegui-mento di un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuentefornire la prova della esistenza di ragioni economiche al-ternative o concorrenti di carattere non meramente margi-nale o teorico”.

10. Corte di Cassazione, 15-09-2008, n. 23633“L’esame delle operazioni poste in essere dall’imprendi-

tore, ai fini del riconoscimento del diritto alla deduzioneper gli oneri economici “deve essere compiuto anche allastregua del principio, desumibile dal concetto di abusodel diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria(da ultimo, in materia fiscale, sent. della Corte di Giusti-zia 21 febbraio 2006 in causa C-255/02), secondo cuinon possono trarsi benefici da operazioni che, seppur real-mente volute ed immuni da invalidità, risultino, da uninsieme di elementi obiettivi, compiute essenzialmente al-lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. Tale principiotrova applicazione anche … in riferimento al periodoanteriore all’entrata in vigore del D.P.R. 29 settembre1973, n. 600, art. 37 bis, introdotto dal D.Lgs. 8 ottobre1997, n. 358, art. 7, rappresentando, pur in mancanzadi una clausola generale antielusiva, all’epoca non con-figurabile nell’ordinamento fiscale italiano, un canone in-terpretativo del sistema, che comporta il disconoscimentodel diritto alla deduzione per oneri derivanti da meccani-smi elusivi”.

11. Corte di Cassazione, 17-10-2008, n. 25374“L’abuso del diritto, quale clausola generale antielu-

siva nell’ordinamento tributario di matrice comunita-ria, si ravvisa ogni qual volta dall’impiego di una formagiuridica o di un regolamento contrattuale il risparmiofiscale sia lo scopo principale della forma della transa-zione svolta, anche laddove siano coinvolte altre finalitàdi contenuto economico.

Il rango comunitario della regola comporta l’estensionedel campo applicativo a tutte le fattispecie di entrate tribu-tarie, nonché l’obbligo per il giudice nazionale di applica-zione d’ufficio, anche al di fuori di specifica deduzione edallegazione di parte ed anche per la prima volta nel giudi-zio di cassazione.

In tema di abuso di diritto, se, da un canto, l’onere didimostrare che l’uso della forma giuridica corrisponde adun reale scopo economico, diverso da quello di un rispar-mio fiscale, incombe al contribuente, dall’altro, l’indivi-duazione dell’impiego abusivo di una forma giuridicaincombe all’amministrazione finanziaria, la quale nonpotrà limitarsi ad una mera e generica affermazione, madovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolaritàche fanno ritenere l’operazione priva di reale contenutoeconomico diverso dal risparmio d’imposta.

A questi effetti è considerata pratica abusiva – come talenon opponibile all’amministrazione finanziaria – la con-clusione di contratti di locazione finanziaria (leasing), difinanziamento, di assicurazione e di intermediazione, conil coinvolgimento di due soggetti appartenenti ad uno stessogruppo societario, laddove l’operazione si riveli priva diadeguata redditività e abbia come risultato la soggezione adIVA del solo corrispettivo della concessione in uso del bene.

D. Sulla applicabilità nel diritto interno delprincipio dell’abuso del diritto alla luce deiprincipi costituzionali

1-2. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 23-12-2008,nn. 30055-30056

La cognizione del giudice tributario è rivolta essenzial-mente all’accertamento della sussistenza della pretesa fiscalefatta valere – e contestata dal contribuente – secondo gli ele-menti di fatto e le considerazioni di diritto formulate nell’at-to impositivo impugnato, conformemente alla posizione di“attore sostanziale” del processo tributario dell’Amministra-zione finanziaria, sulla quale incombono gli ordinari oneriprobatori ex art. 2697 c.c.. L’indagine del giudice tributariopuò rivolgersi a differenti temi (nella specie, esistenza, validi-tà ed opponibilità dell’attività negoziale del privato nei con-fronti dell’Erario) rispetto all’iniziale assunto formulato dal-l’Amministrazione finanziaria (nella specie, disconoscimentodi un componente negativo di reddito) all’esito delle deduzio-ni ed allegazioni della difesa del contribuente.

I principi costituzionali della capacità contributiva edella progressività dell’imposizione che informano l’or-dinamento tributario ostano al conseguimento di van-taggi fiscali ottenuti attraverso strumenti giuridicil’adozione ovvero l’utilizzo dei quali sia unicamente ri-volto, in assenza di ragioni economicamente apprezza-bili, al risparmio d’imposta – anche laddove non ricorraalcuna violazione o contrasto puntuale ad alcuna speci-fica disposizione, e l’inopponibilità del negozio abusivoall’erario può essere rilevata d’ufficio anche in sede digiudizio di legittimità.

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3. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 23-12-2008, n.30057

È inopponibile all’erario – in virtù di un generaleprincipio di divieto di abuso del diritto in materia tribu-taria, desumibile dall’art. 53 Cost., – il negozio con ilquale viene costituito, in favore di una società residentenel territorio dello Stato, un diritto di usufrutto sulleazioni o sulle quote di una società italiana, possedute daun soggetto non residente, in modo da consentire al cedentedi trasformare il reddito di partecipazione in reddito di ne-goziazione (esente dalla ritenuta sui dividendi di cui alD.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3) ed alla cessiona-ria di percepire i dividendi, sui quali, oltre a subire l’appli-cazione della ritenuta meno onerosa di cui al D.P.R. n. 600del 1973, art. 27, comma 1, (oltretutto recuperabile in sededi dichiarazione annuale) essa può avvalersi del credito diimposta previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, edinoltre di dedurre dal reddito di impresa, pro quota annua-le, il costo dell’usufrutto, allorché risulti che il negozio stes-so non ha altre ragioni economicamente apprezzabili aldi fuori di quella di conseguire un vantaggio tributario.

E. Sul potere dell’Amministrazione di riqualificare icontratti

1. Corte di Cassazione, 03-09-2001, n. 11351“Prima dell’entrata in vigore dell’art. 37-bis del D.P.R.

29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’art. 7 del D.LGS.8 ottobre 1997, n. 358, – che con disposizione, non avente ef-ficacia retroattiva, ha attribuito all’Amministrazione Finan-ziaria ampio potere di disconoscere, a fini antielusivi, gli ef-fetti degli atti compiuti dal contribuente al fine di beneficiaredi un trattamento fiscale più vantaggioso – detta ammini-strazione non aveva il potere di riqualificare i contrattiposti in essere dalle parti, prescindendo dalla volontà concre-tamente manifestata dalle stesse, per assoggettarli ad un trat-tamento fiscale meno favorevole di quello altrimenti applica-bile, neppure in virtù degli artt. 1344 e 1418 cod. civ., chesanciscono la nullità dei contratti che costituiscono “il mezzoper eludere l’applicazione di una norma imperativa”.

2. Corte di Cassazione, 26-10-2005, n. 20816“L’Amministrazione finanziaria, quale terzo interes-

sato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimataa dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi insede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa deicontratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità perfrode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344cod. civ.); la relativa prova può essere fornita con qualsiasimezzo, anche attraverso presunzioni.”

3. Corte di Cassazione, 06-08-2008, n. 21170“Non è precluso all’Amministrazione finanziaria, che

si faccia carico di giustificare coerentemente il proprio assuntosulla scorta delle risultanze acquisite, procedere alla riquali-ficazione (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sedecontenziosa) dei contrati sottoscritti dal contribuente, perfarne valere la simulazione ed assoggettarli ad un trattamen-to fiscale meno favorevole di quello altrimenti applicabile”.

F. Sul potere del Giudice di qualificareautonomamente la fattispecie

1. Corte di Cassazione, 21-10-2005, n. 20398“Il principio secondo cui le ragioni poste a base dell’atto

impositivo segnano i confini del processo tributario, che èun giudizio d’impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio finan-ziario non può porre a base della propria pretesa ragioni di-verse e modificare nel corso del giudizio la motivazione del-l’atto, non esclude il potere del giudice di qualificare au-tonomamente la fattispecie posta a fondamento dellapretesa fiscale, né l’esercizio di poteri cognitori d’ufficio,non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario sia-no più limitati di quelli esercitabili in qualunque processod’impugnazione di atti autoritativi, quale quello ammini-strativo di legittimità …

Il carattere impugnatorio del processo, comportandol’identificazione del “petitum” e della “causa petendi” con ladomanda ed i motivi del ricorso, non esclude il potere del giu-dice di rilevare d’ufficio eventuali cause di nullità di contrat-ti, la cui validità ed opponibilità all’Amministrazione abbiacostituito oggetto dell’attività assertoria del ricorrente.”

2. Corte di Cassazione, 14-11-2005, n. 22932“Il principio secondo cui le ragioni poste a base dell’atto

impositivo segnano i confini del processo tributario, che èun giudizio d’impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio finan-ziario non può porre a base della propria pretesa ragioni di-verse e modificare nel corso del giudizio la motivazione del-l’atto, non esclude il potere del giudice di qualificare auto-nomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesafiscale, né l’esercizio di poteri cognitori d’ufficio, non poten-do ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più li-mitati di quelli esercitabili in qualunque processo d’impu-gnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativodi legittimità.”

3. Corte di Cassazione, 29-09-2006, n. 21221“La regola enunciata dalla giurisprudenza di questa

Suprema Corte, secondo cui le ragioni poste a base dell’attoimpositivo, oltre ad identificare il fatto costitutive dell’ob-

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GIURISPRUDENZAELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 53

bligazione, segnano i confini del giudizio tributario, che èun giudizio di impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio fi-nanziario non può porre a base della propria pretesa ragio-ni diverse, non deve essere intesa in senso talmente rigido daescludere l’autonomo potere qualificatorio del giudice ol’esercizio, da parte dello stesso, dei poteri cognitori ex offi-cio nei casi previsti dalla legge”.

4. Corte di Cassazione, 21-04-2008, n. 10257“Infine, sul piano processuale: poiché il principio della

irrilevanza fiscale degli atti in abuso di diritti deriva dallanormativa comunitaria, è consentito introdurre nel giu-dizio di cassazione la problematica dell’abuso del dirit-to, purché sia ancora aperto … un contenzioso su compor-tamenti fraudolenti e/o elusivi”. [In termini Cassazione04/04/2008, n. 8772]

5. Corte di Cassazione, 15-09-2008, n. 23633“Tale principio [dell’abuso del diritto], che non esclude

l’operatività del principio di legalità ne’ la liceità di com-portamenti volti a minimizzare il carico fiscale, trova ap-plicazione anche nel giudizio di cassazione, quale norma didiritto comunitario che impone la disapplicazione dellenorme interne con esso eventualmente contrastanti”.

G. Sulla pregiudiziale comunitaria

1. Corte di Cassazione, Ordinanza 04-10-2006, n.21371

“In tema di IVA, il frazionamento di un unitario con-tratto di “leasing” in una pluralità di contratti distinti,conclusi con soggetti diversi ed aventi ad oggetto rispettiva-mente la concessione in uso del bene ed i servizi di finan-ziamento e di assicurazione contro la perdita o il deteriora-mento del bene stesso, comporta che l’imponibile è costitui-to soltanto dal corrispettivo dell’uso del bene, essendo gli al-tri servizi, separatamente considerati, operazioni esenti daimposta, ai sensi dell’art. 10 nn. 1, 2 e 9 del D.P.R. 26 ot-tobre 1972, n. 633. Il ricorso a tale complesso di negozi perottenere una riduzione della base imponibile rispetto aquella prevista per gli ordinari contratti di locazione fi-nanziaria si traduce peraltro in una pratica elusiva, in or-dine alla quale (pur non essendo nella specie applicabile,“ratione temporis”, una clausola generale antielusiva, al-l’epoca non prevista dall’ordinamento fiscale italiano) tro-va applicazione il concetto di abuso del diritto, elaboratodalla giurisprudenza comunitaria, il quale impone di con-siderare l’operazione come un tutto unitario, disapplican-do le norme interne che consentono, attraverso l’abusivofrazionamento delle forme contrattuali, di determinare

una perdita delle risorse comunitarie proprie derivantidall’IVA. A tal fine, va tuttavia rimessa alla Corte digiustizia delle Comunità europee, affinché si pronunciin via pregiudiziale, la questione interpretativa volta astabilire se, per la configurabilità di tale abuso, sia ne-cessario che il conseguimento del vantaggio fiscale costi-tuisca l’unico scopo dell’operazione, ovvero se esso nonescluda il perseguimento di altre finalità economiche,comunque inidonee a fornire una spiegazione alterna-tiva dell’operazione, e se un indizio di tale abuso possaessere costituito dal fatto che l’operazione di finanzia-mento, considerata nella prassi economica e nell’inter-pretazione dei giudici nazionali quale componente es-senziale del contratto di “leasing”, venga disciplinatada un contratto separato da quello avente ad oggetto laconcessione in uso del bene.”

2. Corte di Cassazione, Ordinanza 21-12-2007, n.26996

“Posto che le controversie in materia di IVA sono conna-turalmente annoverabili tra quelle che richiedono il rispettoda parte dello Stato membro di norme comunitarie impera-tive, in considerazione del ruolo centrale che tale impostaassume ai fini della costituzione delle risorse proprie dellaComunità, nonché della molteplicità di obblighi che il di-ritto comunitario imperativamente impone in materia agliStati membri, l’applicazione del diritto nazionale in temadi giudicato esterno, e la connessa proiezione anche oltre ilperiodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, po-trebbero impedire la compiuta realizzazione del principiodi contrasto dell’abuso del diritto, affermato dalla giuri-sprudenza comunitaria in tale materia, come strumento te-so a garantire la piena applicazione del sistema comunita-rio d’imposta. Va, pertanto, rimessa alla Corte di giusti-zia delle Comunità europee, affinché si pronunci in viapregiudiziale, la questione interpretativa volta a stabili-re se il diritto comunitario osti all’applicazione dell’art.2909 cod. civ., che sancisce il principio dell’autorità dicosa giudicata, quando da tale applicazione derivino ef-fetti contrari al diritto comunitario, ed in particolare inmateria di IVA e di abuso del diritto posto in essere perottenere indebiti risparmi d’imposta, avuto riguardo al-l’orientamento giurisprudenziale secondo cui nelle con-troversie tributarie il giudicato esterno, qualora l’accer-tamento consacrato concerna un punto fondamentalecomune ad altre cause, esplica, rispetto a questo, effica-cia vincolante anche se formatosi in relazione ad un di-verso periodo di imposta.”

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54 CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTI ELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009

Tra i convegni tenuti in questo ultimo scorcio del2008 - come tradizione tutti pubblicati sul nostro sitoweb www.associazionetributaristi.it nella sezione “Tenu-ti nell’anno” del menu “Incontri e Convegni” - segnalia-mo, oltre a quelli ricordati nell’ultimo notiziario:

– il seminario organizzato dalla Sezione Veneto-Trentino Alto Adige a Padova il 7 novembre u.s. sul te-ma: “Profili tributari dei conferimenti in natura e degli ap-porti in società”. Relatore: Prof. Giuseppe Corasaniti;

– il convegno organizzato a Pescara dalla SezioneMarche-Abruzzo sempre lo scorso 7 novembre sul tema:“La riscossione tributaria - Profili di criticità e prospettive ditutela”. Introduzione e moderazione: Prof. Avv. LorenzoDel Federico. Relatori: Prof. Massimo Basilavecchia, Pro-fili evolutivi della riscossione tributaria; Dott. Fabio Zolea,I nuovi poteri dell’Agente della riscossione; Dott. ChristianCalifano, Cartelle di pagamento e avvisi di intimazione:notificazione, contenuto e vizi; Prof. Sebastiano MaurizioMessina, Gli strumenti cautelari: fermo amministrativo eipoteca; Dott. Francesco Montanari, Strumenti dell’esecu-zione forzata tributaria: profili di rischiosità e mezzi di tu-tela; Dott. Luigi Cinquemani, La riscossione tributaria traprocedimento amministrativo e processo esecutivo; Dott.ssaAlessandra Magliaro, La tutela giurisdizionale nella fasedell’esecuzione forzata tributaria;

– il convegno organizzato dalla Sezione Calabria aCatanzaro il 24 novembre u.s. sul tema: “Federalismo Fi-scale e Mezzogiorno”. Coordinatore: Prof. Avv. VictorUckmar. Relatori: Prof. Avv. Salvatore Sammartino, Fi-nanza statale; Prof. Avv. Gianni Marongiu, Finanza re-gionale; Prof. Avv. Salvatore Muleo, Finanza Locale: Pro-vince e Comuni. Tavola Rotonda Moderatore: Dott.Giuseppe Soluri. Interventi: Dott.ssa Wanda Ferro,Dott. Emilio Le Donne, On.le Ignazio Loiero, Avv. Sal-vatore Perugini, Dott. Claudio Siciliotti e Sen. VincenzoSpeziali. Conclusioni: Prof. Franco Gallo.

Per quanto concerne i convegni in programmazione(anch’essi pubblicati sul sito nella sezione “In Program-mazione” del menu “Incontri e Convegni”), si segnalaquanto segue:

a) Sezione Sicilia Orientale

Ha partecipato all’organizzazione del seminario che siterrà a Catania nel periodo 23-30 gennaio 2009/6-20-27febbraio 2009 sul tema: “Diritto Penale Tributario. Pro-gramma: 23.01.2009 Prof. Avv. Vito Branca, Evoluzionenormativa, scelte legislative e portata repressiva dell’attualesistema penale tributario; 30.01.2009 Avv. Carmelo Pelu-so, I reati relativi alle dichiarazioni ed alle fatture per ope-razioni inesistenti; 06.02.2009 Dott. Roberto Passalac-qua, Sequestro per equivalente e confisca nei reati tributari;20.02.2009 Prof. Avv. Ivo Caraccioli, Omesso versamentodi ritenute certificate o di IVA . Indebita compensazione esottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte;27.02.2009 T. Col. Dott. Giuseppe Arbore, I reati tribu-tari come delitto presupposto del reato di riciclaggio.

b) Sezione Piemonte-Valle D’Aosta

Ha organizzato a Torino per il 29 gennaio 2009 unaserata sul tema “I trasferimenti generazionali dell’impresa:strumenti vecchi e nuovi” Relatore: Avv. Notaio Ciro DeVincenzo.

c) Sezione Veneto-Trentino Alto Adige

Ha organizzato - in collaborazione con la Facoltà diGiurisprudenza dell’Università degli studi di Padova -per il 13 febbraio 2009 a Padova una giornata di studi inonore di Gaspare Falsitta sul tema”Per un ordinamentotributario non confiscatorio e non rinunciatario - Alla ri-cerca di criteri costituzionali di giustizia tributaria”: I ses-sione: Il prelievo confiscatorio. Moderatore: AugustoFantozzi. Relatori: - G. Marongiu, La giustizia tributarianel pensiero di G. Falsitta; R. Schiavolin, La tassazionedella capacità economica disponibile e l’indeducibilità diici ed irap dal reddito; G. Zizzo, Abuso di regole volte al“gonfiamento”della base imponibile nella recente normati-va fiscale ed effetti confiscatori del prelievo ad esso collegato;L. Tosi, La normalizzazione degli imponibili: l’effettivitàdegli indici di riparto e gli studi di settore. Moderatore:Gilberto Muraro. Relatori: F. Volpe, Possibili influenze einterferenze sul diritto tributario delle recenti sentenze del-

A.N.T.I.

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la Corte di Strasburgo e della Corte Costituzionale in temadi tutela del diritto di proprietà e di equo indennizzo; N.Bozza, L’imposta confiscatoria nella giurisprudenza e nelladottrina tedesca dopo la sentenza 10 gennaio 2006 dellaCorte Costituzionale germanica; F. Escribano Lopez, Ildivieto di “alcance confiscatorio” del sistema tributario nel-la costituzione spagnola; F. Moschetti: “Interesse fiscale” e“ragioni del fisco” nel prisma della capacità contributiva. IIsessione: Il fisco rinunciatario Moderatore: Mario Ber-tolissi. Relatori: A. Di Pietro, I vuoti d’imposta (aiuti distato, agevolazioni e condoni): l’altra faccia del vulnus alprincipio di eguaglianza tributaria; M. Beghin, Giustiziatributaria e indisponibilità dell’imposta nei più recentiorientamenti dottrinali e giurisprudenziali. La transazioneconcordataria e l’accertamento con adesione; G. Falsitta,Relazione di sintesi e conclusioni

Con l’occasione Vi segnalo la tavola rotonda che siterrà il 30 gennaio 2009 presso l’Università degli Studidi Brescia sul tema “Il federalismo fiscale tra autonomia esolidarietà” patrocinata dalla Fondazione Antonio Uck-mar alla quale interverranno, oltre al nostro consocioProf. Victor Uckmar in qualità di moderatore, tra gli al-tri, il Prof. Franco Gallo, il Prof. Mario Bertolissi, il Prof.Luca Antonini, il Prof. Antonio D’Andrea, il Prof. SilvioGambino, il Prof. Gianni Marongiu, il Prof. AntonioUricchio, il Prof. Paolo Panteghini, il Dott. Giuseppe

Corasaniti, il Prof. Andrea Giovanardi, il Prof. MarioGorlani, il Prof. Ennio Agostino Scala, l’On. DanieleFolgora e il Sen. Guido Galperti.

Vi rammento altresì che, come ogni anno, a partire dafebbraio 2009 si terrà il corso di aggiornamento e perfezio-namento su “La fiscalità finanziaria internazionale” orga-nizzato dalla Facoltà di Economia dell’Università degli Stu-di dell’Insubria e il Centro Studi Bancari di Vezia, al qualel’ANTI ha sempre offerto il suo sostegno. A questi effettiVi indico i link di presentazione del primo e secondo mo-dulo contenenti tutte le informazioni relative al corso:http://www.csbancari.ch/Moduli/Q6UJ9A00D7LP.asphttp://www.csbancari.ch/Moduli/Q6UJ9A00D7M0.asp

Da ultimo Vi comunico che il Consorzio interuniver-sitario per l’aggiornamento professionale in campo giuri-dico “Uniforma” - costituito dalle Università di Bari, Ca-tania, Genova, Milano, Palermo, Roma “La Sapienza” e“Roma Tre”, Salento e Torino ha organizzato a Padova dal19 marzo 2009 un corso di aggiornamento professionalesul tema “Il diritto dei trust”, che riconosce 24 crediti perla formazione professionale degli avvocati, 15 crediti perla formazione continua dei notai ed un numero non an-cora definito di crediti per i dottori commercialisti edesperti contabili. Per ogni ulteriore informazione Vi invi-to a visitare il sito www.SfidaGlobalizzazione.unige.it .

CONVEGNI ED ATTIVITÀ ANTIELUSIONE FISCALE E ABUSO DI DIRITTO • 1/2009 55

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L’A.N.T.I. Associazione Nazionale Tributaristi Italiani è stata costituita

il 13 giugno 1949 e, nei suoi quasi sessant’anni di storia, ha avuto illustri

Presidenti quali: Ernesto D’Albergo, Epicarmo Corbino, Ignazio Manzoni,

Giovanni Adonnino, Victor Uckmar. Attualmente è presieduta dal Prof.

Mario Boidi. L’Associazione, che ha sezioni in tutta Italia, si propone,

attraverso incontri di studio, convegni e pubblicazioni, di approfondire

le tematiche fiscali, sotto il profilo scientifico, ma attenta anche alle

applicazioni professionali. Essa tiene, altresì, contatti con Governo

e Parlamento collaborando quando richiesto allo studio e alla formazione

delle leggi. L’A.N.T.I. è socia della Confédération Fiscale Européenne,

l’unico raggruppamento Europeo di consulenti tributari che opera a livello

Comunitario e nell’anno 2004 è stato presieduto dal Prof. Mario Boidi.

SEDEVia Alessandro Farnese, 7 • 00192 Roma • Tel. e Fax 06.3201559

PRESIDENZAVia Andrea Doria, 15 • 10123 Torino • Tel. 011.8126767 • Fax 011.8122300

E-mail: [email protected]

SEGRETERIA GENERALEVia Alessandro Farnese, 7 • 00192 Roma • Tel. e Fax 06.3201559

E-mail: [email protected]

TESORERIA NAZIONALEVia Cosimo del Fante, 16 • 20122 Milano • Tel. 02.58310288 • Fax 02.58310285

E-mail: [email protected] • Sito Internet: www.associazionetributaristi.it