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Dipinti del ’900 dai lasciti AltaVita-IRA di Padova

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Dipinti del ’900 dai lasciti AltaVita-IRA di Padova

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LA BELLEZZA DEL DONODipinti del ’900 dai lasciti AltaVita-IRA di Padova

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©2016 AltaVita- IRA PadovaTutti i diritti riservati

In copertina: Teodoro Wolf Ferrari, Dal monte della Madonna verso San Zenone degli Ezzelini, particolare, 1931Padova, Collezione AltaVita-IRA

RingraziamentiIl sindaco Moreno Valdisolo e l’Amministrazione comunale di TeoloIl vicesegretario comunale Marcella Leone e l’ufficio cultura del Comune di TeoloDaniele Formaggio, garante del MAC Dino Formaggio

Mostra promossa daAltaVita-IRA, Padova

a cura diStefano Annibaletto

OrganizzazioneGiuseppe Alessandro Boniolo

Segreteria organizzativaGiovanna RossiFlavia Giacomini

RestauriAntonella Daolio

FotografieLuigi Baldin, fotografo d’arte

Ufficio stampaAlberto Gottardo

con il contributo di

con il patrocinio di

Provincia di Padova

Comune di Teolo

si ringrazia

LA BELLEZZA DEL DONODipinti del ’900 dai lasciti AltaVita-IRA di Padova

Museo di Arte Contemporanea Dino Formaggio, Teolo

19 marzo-8 maggio 2016

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AltaVita-IRA

Consiglio di amministrazionePresidenteStefano BellonConsiglieriTino BedinAnna CiardulloElisabetta LebanSandro Norbiato Donatella RossatelliLuigi Zoppello

Collegio dei RevisoriPresidenteMaurizio FabrisComponentiTiziana VitacchioRiccardo Franco

DirezioneSegretario direttore generaleSandra NicolettoDirigente tecnicoGiuseppe Alessandro Boniolo

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Il sentimento individuale di beneficenza, che si è realizzato nei secoli principalmente

attraverso lasciti e donazioni di beni immobiliari, da parte di privati, ha contribuito

non poco alla crescita del nostro Istituto e tutt’ora è alla base di un consistente fondo

patrimoniale che ci permette di essere competitivi nell’offerta di servizi alle persone

anziane.

Approfondendo la ricerca sulle personalità e sulle motivazioni testamentarie dei prin-

cipali autori di lasciti, soprattutto di opere d’arte del ‘900, mi sono accorto della quasi

totale assenza di giustificazioni morali o fini religiosi, come invece avveniva quasi sem-

pre. Era come se i testamenti fossero muti. In verità i lasciti erano più che eloquenti e

parlavano della volontà del testamentario di trasmettere il proprio pensiero, il proprio

mondo e tramandarlo alle generazioni future attraverso un patrimonio culturale, fatto

di anni e anni di ricerche e passioni.

Si era forse di fronte ad una volontà laica, quella cioè di dare forma ai propri pensieri

e alle proprie azioni per rapportarsi ed entrare in relazione con gli altri perpetrando, in

qualche modo, il proprio essere nel tempo e nello spazio.

Il lascito non era più un’egoistica espiazione della colpa di essere ricchi, bensì diven-

tava un dovere morale, un personale contributo nei confronti dell’essere sociale, che si

realizzava solo attraverso la fruizione di ciò che era stato donato.

Nell’entrare per la prima volta nella sede amministrativa dell’Istituto, sono rimasto

impressionato dalla quantità e qualità di opere pittoriche esposte alle pareti degli uffici

e in particolare dall’importante presenza di opere di autori del ‘900 che hanno lavorato

in ambito triveneto e che ora fanno parte del patrimonio storico-artistico di AltaVita-

IRA, patrimonio ancora sconosciuto alla città.

Partendo dall’idea della fruizione pubblica del nostro patrimonio storico-artistico, si è

pensato di “portar fuori” dalle mura istituzionali alcune opere pittoriche riferibili ad un

periodo molto rappresentativo per la cultura italiana e veneta in particolare.

Vorremmo in qualche modo rendere omaggio ai nostri benefattori tracciando, attra-

verso la lettura dei dipinti esposti, un ritratto ideale delle loro personalità e del contesto

sociale in cui vivevano, facendo riflettere il visitatore sul rapporto che intercorreva tra

la cosiddetta “borghesia colta” di area veneta e la cultura artistica della prima metà del

‘900, rapporto che sembra non essere stato caratterizzato da un approccio all’arte vissuto

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come “status-sociale”, bensì informato da una sensibilità che riesce ad arrivare fino ai

giorni nostri.

Quest’iniziativa è per noi di grande interesse e in qualche modo simboleggia un “la-

scito culturale” a conclusione del nostro mandato, che vuole affermare il ruolo proposi-

tivo che il nostro Ente può assumere non solo nei confronti delle attività che da sempre

lo caratterizzano ma anche per l’arte, la cultura e la promozione del territorio.

Colgo l’occasione per ringraziare il Comune di Teolo, nella persona del Sindaco Mo-

reno Valdisolo e Daniele Formaggio, Garante del Museo, per aver creduto fin da subito

nella nostra iniziativa e aver messo a disposizione le sale del Museo d’arte contempo-

ranea Dino Formaggio.

Un particolare ringraziamento va anche alla Cassa di Risparmio del Veneto, per il

contributo che ha voluto elargire e a tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazio-

ne di questo evento.

Il Presidente di AltaVita – IRA

Dott. Stefano Bellon

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Negli ultimi due secoli l’idea di assistenza è profondamente mutata.

La demanializzazione dell’antico Monastero di Sant’Anna, avvenuta il 28 luglio 1806

all’epoca della dominazione napoleonica di Padova, ha sancito il passaggio da un’idea

di assistenza come gesto filantropico, derivata da una concezione religiosa dove era

preponderante il fine della vita eterna dell’uomo caritatevole, alla sua progressiva laiciz-

zazione sotto l’influsso delle nuove teorie ispirate all’Illuminismo, ovvero come risposta

dello Stato e dei privati nei confronti di poveri, vecchi e bisognosi.

Nel mondo moderno le forze sociali che agiscono nell’ambito dell’assistenza hanno

origine diversa: da un lato scaturiscono da esigenze collettive di difesa e di prevenzione

contro i pericoli insiti nel pauperismo, per la conservazione e il progresso dell’aggregato

sociale (il che spiega l’interesse degli apparati pubblici), dall’altro da sentimenti indivi-

duali di solidarietà e di altruismo, stimolati specialmente dalla pietà religiosa.

La contrapposizione tra la tendenza liberistica e individuale della carità e quella giuri-

dico-statale si è risolta con una sempre maggiore presenza delle istituzioni nella funzio-

ne caritativa e si è consolidata tra la seconda metà del secolo scorso e i nostri giorni.

Le pie istituzioni a scopo benefico sono state mano a mano incorporate nel Demanio

statale e il concetto di carità ha iniziato ad approssimarsi a quello di assistenza pubblica

socialmente utile, arrivando fino ai giorni nostri, con l’inserimento a pieno titolo delle

Istituzioni di Assistenza e Beneficenza nella rete dei servizi alla persona sul territorio.

Storicamente, le prime forme di rendita a scopo caritatevole consistevano nei lasciti

testamentari di signori benestanti, ai quali rimaneva comunque estranea la volontà di

prestare soccorso ai poveri. Loro preoccupazione primaria era per lo più la celebrazione

di messe in suffragio della propria anima insieme ad altre elemosine per la parziale re-

missione dei peccati commessi in vita.

E’ innegabile, però, che negli ultimi tempi il contenuto dei lasciti testamentari abbia

assunto un’impronta più propriamente laica. Ciò è verificabile soprattutto nei lasciti di

beni culturali ed artistici, dove il soggetto esteriorizza maggiormente le sue funzioni e

i suoi saperi.

Il lascito, in questi casi, acquisisce forma simbolica e sociale in quanto finalizzato

principalmente a far crescere l’identità culturale di una comunità in cui il benefattore

stesso si riconosce.

L’evoluzione del concetto di assistenza e donoGiuseppe Alessandro Boniolo

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Il lascito in quanto “forma sociale”, non si può manifestare solo attraverso la cessione

unilaterale del bene ma si può realizzare compiutamente attraverso uno scambio, ovvero

attraverso la partecipazione attiva di chi è destinatario della donazione: solo se vi è una

continuità nella fruizione di ciò che è stato donato, potrà avere un senso il lascito. Lo

scambio, rappresenta quindi l’essenza stessa del lascito ed interessa l’intera collettività.

E’ proprio l’idea dello scambio e della fruizione dei lasciti che ha suggerito di rendere

in qualche modo pubbliche le opere che fanno parte del patrimonio storico-artistico

di AltaVita-IRA, tramite la mostra realizzata in collaborazione con il Museo di Arte

contemporanea Dino Formaggio di Teolo.

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La collezione di dipinti novecenteschi di AltaVita-IRA si è costituita attraverso

alcuni lasciti all’istituzione da parte di privati. Si tratta di un nucleo contenuto di

opere, di provenienza diversa e non guidato da un programma di acquisizioni. Ciono-

nostante una certa omogeneità si riconosce nel tratteggiare un panorama della pittura

padovana, e poi veneta, intorno alla metà del secolo vista soprattutto attraverso quella

grande vetrina cittadina che fu per tutti gli anni ‘50 e ‘60 la Biennale d’arte triveneta

(BAT).

La BAT fu fondata tra le due guerre; interrotta nel 1939 riprese le sue esposizioni nel

1951 con l’obiettivo di documentare il lavoro dei più interessanti artisti delle Tre Vene-

zie. Negli anni ‘50 la manifestazione riuscì a portare a Padova, nel Salone del Palazzo

della Ragione, i fermenti di un dibattito quantomeno nazionale. Il decennio era comin-

ciato nel segno di una conflittuale contrapposizione tra le tendenze realiste e astratte in

pittura. Alla Biennale di Venezia del 1948, la prima dopo la guerra, Peggy Guggenheim

espose la sua collezione di maestri moderni e Giuseppe Marchiori presentò gli artisti

del Fronte nuovo delle arti, fondato due anni prima a Venezia, che con personali rilettu-

re della forma picassiana (dopo “Guernica”) segneranno una tappa di fondamentale im-

portanza nel rinnovamento del linguaggio pittorico non solo locale. L’esperienza fron-

tista bruciò però con breve intensità. Nel 1950 il gruppo si sciolse, Armando Pizzinato

sposò con Renato Guttuso la linea del realismo sociale e di lì a poco Emilio Vedova e

Giuseppe Santomaso confluirono (con Afro, Renato Birolli, Antonio Corpora, Mattia

Moreni, Ennio Morlotti e Giulio Turcato) nel Gruppo degli Otto raccolto da Lionello

Venturi. La contrapposizione tra astrattisti e realisti infiammò il dibattito attorno alla

Biennale del 1950, in cui esponevano tra gli altri i muralisti messicani Diego Rivera,

José Clemente Orozco e Alfaro David Siqueiros; il museo Correr ospitava frattanto la

prima grande mostra europea di Jackson Pollock, organizzata da Peggy Guggenheim

con il gallerista Carlo Cardazzo.

Echi di questo dibattito giunsero anche a Padova, dove in seno alla BAT si orga-

nizzarono negli anni seguenti conferenze e confronti sui nuovi orientamenti dell’arte

moderna. La manifestazione rimase però sempre in bilico tra lo sforzo di un aggiorna-

mento anche divulgativo nei confronti del pubblico, e il mantenimento di un’identità

locale innestata nella tradizione veneta del paesaggio, e quindi di una pittura basata sul

Il dono della bellezza. Percorsi in una collezioneStefano Annibaletto

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colore e sulla luce, spesso ammorbidita da vibrazioni post-impressioniste di scuola fran-

cese. Era questa la linea più apprezzata dai visitatori, e più premiata nelle vendite, come

confermano le opere qui presentate, provenienti da diverse collezioni private cittadine.

La tensione tra innovazione e chiusura nei confini locali finì per provocare polemiche

che crebbero negli anni ‘60, sopraggiunti con la carica contraddittoria di contestazioni

e importanti cambiamenti. Nel 1960 era già attivo a Padova il gruppo N, proiettato con

le sue ricerche cinetiche sulla scena artistica internazionale; le proposte più innovative si

muovevano ormai già da tempo all’interno di una articolata rete di gallerie private, con

un’interessante esperienza coagulata attorno al circolo culturale del Pozzetto. L’ultima

edizione della BAT si svolse nel 1969.

D’altra parte anche a Venezia le collettive della Fondazione Bevilacqua La Masa, che

avevano visto nella stagione di Ca’ Pesaro, tra il 1908 e il 1920, il fiorire di una straor-

dinaria generazione di artisti “ribelli” alla tradizione (Ugo Valeri, Umberto Boccioni,

Gino Rossi, Arturo Martini, Umberto Moggioli, Tullio Garbari, Pio Semeghini, Felice

Casorati, Mario Cavaglieri, Vittorio Zecchin, Teodoro Wolf Ferrari, Nino Springolo),

al volgere della metà del secolo si trovavano a rappresentare anime diverse della pittura

in città. Una seconda generazione di pittori capesarini, vicini soprattutto a Pio Seme-

ghini, aveva diffuso dalla fine degli anni ‘20 il gusto di una pittura luminosa e tonale, di

sensibilità post-impressionista, che come detto si sarebbe allargata anche in terraferma

per ondate successive, oltre il dopoguerra, via via perdendo la sua freschezza. Tra il 1951

e il 1953 l’adesione di un gruppo di artisti veneziani (Virgilio Guidi, Mario Deluigi,

Vinicio Vianello, lo scultore Bruno De Toffoli, Tancredi, Edmondo Bacci, Gino Mo-

randis) allo Spazialismo di Lucio Fontana, complice il gallerista Carlo Cardazzo, aprì

una nuova riflessione non solo sulla pittura aniconica ma anche su una sua possibile

declinazione accordata alla tradizione veneta, nel senso del colore e della luce. Altri ar-

tisti pur senza firmare i manifesti del movimento ne fecero propri gli assunti, come nel

caso delle ricerche organiche di Luciano Gaspari e di Bruna Gasparini. Tra la fine degli

anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60 negli studi concessi ai giovani artisti dalla Fondazione

Bevilacqua La Masa una nuova generazione si avventurava intanto in una figurazione

scossa da personali interpretazioni.

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Nell’esame dei dipinti che costituiscono la collezione AltaVita-IRA non sorprende

trovare in prima battuta alcuni artisti padovani che esordirono tra gli anni ‘20 e gli anni

‘30, e che a metà del secolo vedevano riconosciuta una già consolidata carriera: Antonio

Fasan, Antonio Morato e Fulvio Pendini. I tre furono all’opera nel cantiere voluto dal

rettore Carlo Anti all’Università di Padova, con cui Gio Ponti realizzò in pochi anni, dal

1939, un memorabile intervento riprogettando il rettorato e affidandone la decorazione

ad artisti di fama nazionale e ad altri attivi in città. La natura morta di Antonio Fasan,

del 1943, con le due fette di cocomero, i tessuti e il piatto dipinto, è una delle sue tipiche

composizioni che tradisce l’attenzione per il gusto decorativo e cromatico di Matisse,

trasfigurato da un sentire candido e poetico. E’ peraltro opera coeva ai primi lavori per

il Bo, e quindi di piena maturità.

La veduta padovana di Fulvio Pendini, del 1950, non ha ancora quella sintesi più tar-

da, che priva le architetture della loro profondità e le disegna sul piano, ed è al contrario

costruita per masse aggettanti, di emozionante monumentalità. Pendini fu impegnato

nelle vicende dell’arte cittadina anche come segretario della BAT, di cui fu tra i promo-

tori.

“Maschere” di Antonio Morato si colloca in quel periodo di ritorno a una figurazione

più pura, seguìto all’esperienza neocubista, abbracciata sul finire degli anni ‘40. L’artista

aveva già interpretato con perfetta misura il ritorno all’ordine di Novecento negli anni

‘20 (si veda il magnifico autoritratto del 1927) e la lezione cézanniana in fine di decen-

nio e nei primi anni ‘30, al punto da allertare un artista sensibile e colto come Renato

Birolli che lo avrebbe voluto nel gruppo di Corrente.

Il paesaggio di Dino Lazzaro è esempio della sintesi per masse e della stesura vaga-

mente espressionista tipica del suo periodo più tardo.

Sintesi caratterizza anche la veduta di Burano di Antonio Menegazzo. Quando la

dipinge, nel 1950, “Amen” ha già una lunga attività di illustratore alle spalle, e sta per

partire per un lungo periodo di lavoro nelle Americhe da cui tornerà definitivamente

solo nel 1969.

Opera tarda (1963) è il paesaggio di Primiero di Silvio Travaglia, allievo di Guglielmo

Ciardi all’Accademia di belle arti di Venezia, che pur mantiene una certa purezza di

sguardo, e al contrario è opera giovanile l’angolo buranello dipinto nel 1921 da Amleto

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Dal Prà. Vicino negli anni ‘30 ai modi di un post-impressionismo diffuso anche a Pado-

va, voltato più tardi a dettami neocubisti ugualmente affermati, qui Dal Prà si esprime

con tratti ispirati alla lezione di Gino Rossi, e non a caso proprio quell’anno l’artista

avvia la sua serie di presenze all’esposizione veneziana di Ca’ Pesaro.

Del 1921 è anche il paesaggio montano di Millo Bortoluzzi, soggetto caro all’artista,

trevigiano di nascita, che a Venezia studiò e insegnò all’Accademia prima di trasferirsi

a Dolo e a Padova.

Tra i veneziani presenti nella raccolta, Teodoro Wolf Ferrari fu parte del gruppo dei

primi espositori di Ca’ Pesaro, esprimendo forte vicinanza allo Jugendstil anche in virtù

dei suoi studi a Monaco di Baviera. Il dipinto qui esposto, del 1931, è esempio di quella

pittura di paesaggio, luminosa e leggera, a cui l’artista si dedicò nell’ultima fase della sua

vita, trasferitosi nella campagna trevigiana.

“Douarnenez” risale al soggiorno bretone di Saverio Barbaro, agli inizi degli anni ‘50,

sulle tracce di Gino Rossi di cui si palesa qui un’ovvia influenza.

Anche nelle vedute veneziane di Giorgio Dario Paolucci (“Periferie di Venezia “ è

esposto alla BAT del 1953) si evidenzia un richiamo al “cloisonnisme” di Gino Rossi,

il richiudere campiture di colore in un contorno più scuro, che si mescola ad un espres-

sionismo tipico del suo trattamento del paesaggio, mentre è una personale sensibilità

visionaria e barocca a guidare il pennello di Carlo Hollesch in “Campo di Marte a

Firenze” e in “Nudino rosa sdraiato”, tutti degli anni ‘50. Si tratta di presenze originali

e interessanti nella generazione che si affaccia in questo decennio alle collettive della

Bevilacqua La Masa, e lo stesso si può dire di Ezio Rizzetto, di una decina d’anni più

vecchio, che già alla fine della guerra si avvicina con ragionata rapidità all’allora palpa-

bile sensibilità neocubista.

Più vicine alla tradizione lagunare le vedute di Giorgio Valenzin (“Venezia con la

neve”, 1949), di Renzo Zanutto (“Canale veneziano”) e Luigi Scarpa Croce (“Frutta

dell’estuario”, 1948, di pur interessante composizione).

“Gladioli e margheritine” (1949) di Eugenio da Venezia testimonia il suo sguardo al

post-impressionismo francese, in particolare a Bonnard, così come di gusto francese è il

raffinato ritratto femminile di Carlo Cherubini, che visse a Parigi dal 1927 al 1940.

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La veduta di San Giorgio di Virgilio Guidi è soggetto ampiamente frequentato

dall’artista. Guidi fu persona di straordinaria influenza nell’arte veneziana, attraversata

per quasi l’intero novecento, anche nell’importante ruolo di docente all’Accademia.

Presenze legate alla storia del realismo in laguna sono Toni Fulgenzi, Toffolo Anzil e

Federico de Rocco. Di Fulgenzi, veneziano, autore di vigorosa figurazione attenta alle

esperienze europee, che sperimenterà negli anni ‘60 composizioni astratte prima di tor-

nare alla sua riflessione esistenziale, si espone un piccolo ma potente ritratto femminile.

Di Toffolo Anzil, nato a Monaco di Baviera ma vissuto a Tarcento, in Friuli, una natura

morta. Friulano era anche Federico de Rocco, che a Venezia studiò e fu docente di pit-

tura. Il dipinto qui presentato, una scena di vita contadina che partecipò su invito alla

BAT del 1953, ha echi della pittura realista dei corregionali Pizzinato e Zigaina, tempe-

rata dal lirismo di Bruno Saetti di cui De Rocco fu allievo e in seguito assistente.

Giorgio Celiberti, udinese, dopo un precoce esordio alla Biennale del 1948 si recò a

Parigi agli inizi degli anni ‘50; a quel periodo risale la chiesa bretone qui esposta, forte

di un espressionismo di cultura francese, vicino in particolare alla pittura di Georges

Rouault.

Renzo Tubaro, autore di “Chiesa romana”, nato a Codroipo, studiò a Venezia con

Guido Cadorin e Felice Carena e a Roma con Ferruccio Ferrazzi. Fu anche freschista,

ed espose alla BAT di Padova nel 1959 e nel 1967.

Freschista fu anche Aldo Tavella, veronese, docente e poi direttore dell’Accademia

Cignaroli di Verona; il suo “Cinema all’aperto” racconta il gusto per la costruzione del

dipinto e per il tratto sciolto.

Bruno Darzino e Renato de Giorgis parteciparono al gruppo della Rossignona, costi-

tuito a Treviso nel 1946. L’esempio cézanniano si evidenzia per entrambi in una costru-

zione essenziale, che in Darzino si agglutina in masse cromatiche (“Figura”, esposta alla

BAT del 1957, ha una forza chiaroscurale quasi spigolosa) e in de Giorgis sembra lique-

farsi in lunghe, lente pennellate verticali (“Paesaggio”, esposto alla BAT del 1957).

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OPERE

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Saverio Barbaro(Venezia, 1924)Douarnenez, 1954olio su tela, cm 50x70

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Millo Bortoluzzi(Treviso, 1868-Dolo, 1933)Paesaggio montano, 1921olio su cartone, cm 43x33

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Giorgio Celiberti(Udine, 1929)Chiesa di Bretagna-S.Geneviève, 1952olio su tavola, cm 45x65

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Carlo Cherubini(Ancona, 1897-Venezia, 1978)Ritratto di donnaolio su tela, cm 50x40

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Amleto Dal Pra’(Padova, 1893-1961)Angolo di Burano, 1921 olio su cartone, cm 48x65

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Bruno Darzino(Oderzo, 1922-Treviso, 1984)Figura, 1957olio su tavola, cm 70x58

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Eugenio Da Venezia(Venezia, 1900-1992)Gladioli e margheritine, 1949olio su tela, cm 50x40

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Renato De Giorgis(Treviso, 1923-2009)Paesaggio, 1957 ca.olio su tela, cm 80x90

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Federico De Rocco(Sedegliano, 1918-San Vito al Tagliamento, 1962)Ottobre, 1952olio su tela, cm 60x80

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Antonio Fasan(Padova, 1902-1985)Natura morta con angurie, 1943olio su tavola, cm 40x50

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Toni Fulgenzi(Venezia, 1922-1998)Viso di donnaolio su tavola, cm 30x40

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Virgilio Guidi(Roma, 1881-Venezia, 1984)Isola di San Giorgio olio su tela, cm 50x70

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Carlo Hollesch(Pola, 1926-Venezia, 1978)Campo di Marte a Firenze, 1953olio su tavola, cm 55x90

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Carlo Hollesch(Pola, 1926-Venezia, 1978)Nudino rosa sdraiato, 1955olio su tela, cm 50x70

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Dino Lazzaro(Saonara, 1898-Padova, 1962)Paesaggio con caseolio su tavola, cm 50x65

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Antonio Menegazzo (Amen)(Padova, 1892-1974)Canale di Burano, 1950olio su faesite, cm 50x60

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Antonio Morato(Este, 1903-Padova, 1991)Maschereolio su tavola, cm 60x50

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Giorgio Dario Paolucci(Venezia, 1926)Periferie di Venezia, 1953 ca.olio su tela, cm 60x80

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Giorgio Dario Paolucci(Venezia, 1926)Paesaggio di Buranoolio su tela, cm 70x100

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Fulvio Pendini(Padova, 1907-1975)La città antica, 1950olio su faesite, cm 80x70

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Ezio Rizzetto(Mogliano Veneto, 1917-Venezia, 1997)Paesaggioolio su tela, cm 50x60

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Luigi Scarpa Croce(Venezia, 1901-1967)Frutta dell ’estuario, 1948olio su tela, cm 50x60

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Aldo Tavella(Verona, 1909-2004)Cinema all ’aperto, 1953 ca.olio su cartone, cm 50x60

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Giovanni Toffolo Anzil(Monaco di Baviera, 1911-Tarcento, 2000)Natura mortaolio su cartone, cm 35x50

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Silvio Travaglia(Monselice, 1880-Padova, 1970)Chiesa di Transacqua (Primiero), 1963olio su tavola, cm 40x50

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Renzo Tubaro(Codroipo, 1925-Udine, 2002)Chiesa romana, 1947olio su tavola, cm 50x40

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Giorgio Valenzin(Pordenone, 1901-Venezia, 1978)Venezia con la neve, 1949olio su tavola, cm 50x40

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Teodoro Wolf FerrariDal monte della Madonna verso San Zenone degli Ezzelini, 1931olio su tavola, cm 60x80

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Renzo Zanutto(Venezia, 1909-1979)Canale venezianoolio su tela, cm 50x60

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Finito di stampareda Grafiche Antiga spa

Crocetta del Montello (TV)marzo 2016

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ISBN 978-88-97784-90-6