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Progetto di ricerca Lessico leopardiano 3.0. Ipertesto tra linguaggi dell’antico e modernità europea Rsponsabile Prof. Franco D’Intino Dipartimento di Studi europei, americani e interculturali Università «Sapienza» - Roma FILOMENA DIODATO Metodi di analisi lessicale: le teorie dei campi 1. Evoluzione del concetto di campo in linguistica 2 2. La teoria Trier-Weisgerber 10 3. Campo lessicale e analisi componenziale: il modello della gocciolina atomica 23 3.1 Alinei e il dominio semantico di ‘cavallo’ ..................................................................................... 31 4. Campo lessicale e relazioni semantiche 38 5. Campi lessicali e frame 40 6. Erasmo Leso: il vocabolario politico nel Triennio rivoluzionario 1796-1799 44 Bibliografia 49

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Progetto di ricerca

Lessico leopardiano 3.0. Ipertesto tra linguaggi dell’antico e modernità europea

Rsponsabile Prof. Franco D’Intino

Dipartimento di Studi europei, americani e interculturali

Università «Sapienza» - Roma

FILOMENA DIODATO

Metodi di analisi lessicale: le teorie dei campi

1. Evoluzione del concetto di campo in linguistica 2 2. La teoria Trier-Weisgerber 10

3. Campo lessicale e analisi componenziale: il modello della gocciolina atomica 23 3.1 Alinei e il dominio semantico di ‘cavallo’ ..................................................................................... 31

4. Campo lessicale e relazioni semantiche 38

5. Campi lessicali e frame 40 6. Erasmo Leso: il vocabolario politico nel Triennio rivoluzionario 1796-1799 44 Bibliografia 49

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1. Evoluzione del concetto di campo in linguistica

Dalla fine dell’Ottocento, fino a tutta la prima metà del Novecento, un gran numero di

discipline fanno uso del concetto di Feld (campo). Come scrive Ščur (1974, trad. it.

1978:9):

Con questo termine si designano fenomeni la cui natura è chiaramente diversa e in

secondo luogo […] il concetto stesso di campo ha numerose definizioni. […] Anche il

numero di scienze nel quale viene usato il concetto di campo e la quantità di definizioni

di questo concetto crescono costantemente e l’uso del termine acquista di conseguenza

un carattere pandemico.

Nelle discipline linguistiche, l’uso del termine – il cui significato non è talvolta

esplicitamente definito – sembra essere giustificato dal fatto che numerosi autori,

appartenenti a diversi ambiti di ricerca, si richiamino alla medesima metafora (cfr.

Herbermann, 1995:298). Ciò testimonia che l’approccio di ‘campo’ è insito nello ‘spirito’

del Novecento e risponde ad alcune esigenze teoriche e pratiche che animavano gli studiosi

di quel periodo.

Ancor prima che si affermasse l’approccio di ‘campo’, sia la filosofia che la psicologia (e,

in questi contesti, anche la linguistica) si erano interessate al fenomeno dell’associazione

tra idee e quindi, delle associazioni verbali1.

Sempre in ambito filosofico, si sviluppa parallelamente l’idea che, accanto ai dizionari

tradizionali ordinati alfabeticamente, quindi sulla base di criteri esclusivamente fonetici, si

potessero creare dizionari ordinati secondo un filo concettuale. Non a caso, nella sua

ricostruzione delle teorie del campo, Öhman (1951:72) attribuisce a Leibniz l’idea della

creazione di un Libro dei nomi ordinati secondo i vari tipi di cose e non secondo l’ordine

alfabetico. L’idea della costruzione di dizionari che riflettessero le relazioni concettuali tra

le parole rimane particolarmente viva proprio in Germania, là dove Paul (1894) e

Gabelentz (1901) avevano auspicato la costruzione di dizionari semanticamente ordinati.

All’inizio del XX Secolo era, quindi, diffuso, soprattutto in Germania, un approccio allo

1 L’associazionismo filosofico aveva riconosciuto, fin da Platone (Phaedro, 76a) e da Aristotele (De Memoria

et Reminescentia), che tra le leggi associative fondamentali assumevano particolare importanza quelle del

contrasto e della somiglianza. Il tema dell’associazione tra idee si sviluppa in modo particolare nella filosofia

empirista quando Locke (An Essay concerning Human Understanding, 1690) e Hume (Trattato sulla natura

umana, 1739) identificano l’azione delle leggi associative nella creazione delle idee complesse a partire dalle

idee semplici. È in questo ambito che le leggi dell’associazione diventano la chiave per spiegare la vita della

coscienza.

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studio del lessico orientato all’individuazione dei gruppi lessicali presenti nel vocabolario

della lingua ed era matura la convinzione che il lessico non consisteva di un elenco di

parole interrelate rappresentabili solo in successione alfabetica.

Come noto, dopo Kant, l’associazionismo filosofico cede il posto all’associazionismo

psicologico che si fonda anch’esso sull’ipotesi dell’atomismo (o elementarismo). Questa

corrente di pensiero, poi messa in crisi dalla psicologia della Gestalt, ha contribuito alla

teoria dell’associazione e si è interessata per lo più delle associazioni verbali, a mostrare

che i comportamenti associativi sono regolati da un insieme di principi che ne garantiscono

la costanza e la stabilità. L’associazionismo psicologico ha, inoltre, contribuito alla messa

a punto di una serie di tecniche che, a partire dal famoso test di associazione di Galton

(1883), sono ancora oggi utilizzate dagli psicolinguisti per l’indagine dei principi che

regolano l’organizzazione del lessico mentale.

È sintomatico che il termine Feld abbia avuto origine proprio nel contesto della

Gestaltpsychologie e sia stato inizialmente introdotto nel tentativo di spiegare il

funzionamento dei meccanismi percettivi umani proprio in aperto contrasto con le teorie

dell’associazione psicologica2.

Nella teoria della Gestalt il concetto di campo (Feld) viene utilizzato proprio in

opposizione all’elementarismo della psicologia associazionista tradizionale: ogni aspetto

della resa percettiva è determinato dall’auto-organizzazione del complesso delle

stimolazioni in un campo percettivo (Wahrnehmungsfeld) che interagisce dinamicamente

con il soggetto percepente.

Sulla base di questo assunto, gli psicologi della Gestalt studiano con particolare attenzione

i fenomeni percettivi apparenti o illusori in quanto questi dimostrerebbero che

l’organizzazione del campo non varia a seconda del fatto che l’evento percepito sia o no

apparente; essa è indipendente dalla mobilità fisica degli stimoli secondo il celebre slogan

“il movimento è l’impressione del movimento”.

2 Uno dei fondatori della Scuola di psicologia della Gestalt, Max Wertheimer, aveva usato per la prima volta

Feld nel 1912 nel suo Experimentelle Studien über das Sehen von Bewegung, là dove affermava che la resa

percettiva dipende esclusivamente dalle condizioni del campo percettivo e non da inferenze o conoscenze

pregresse. In generale, la teoria della percezione della Gestalt si fonda sull’assunto secondo il quale esistono

delle proprietà riconducibili a un complesso percettivo, ma non alle sue parti costituenti. Una concezione

olistica per la quale, ad esempio, una melodia risulta percepita come una configurazione globale (totalità,

Ganzheit) non riducibile alla somma delle sue parti. Ciò comporta che mentre le parti possono sussistere

indipendentemente dall’intero, l’intero non può sussistere senza le sue parti. Questa conclusione viene

radicalizzata dalla Scuola della Gestalt di Berlino, in evidente contrasto con la vecchia scuola della

psicologia associazionista secondo la quale i contenuti elementari della coscienza si riuniscono in complessi

mediante leggi puramente meccaniche.

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Alla base del concetto di Feld c’è, dunque, la proprietà della articolazione e della reciproca

determinazione degli elementi che vi rientrano per cui il cambiamento di una sola parte

comporterà delle ripercussioni sulla struttura dell’insieme. In altri termini, il campo è una

struttura olistica: se un elemento all’interno del campo subisce qualche modificazione si

avrà come conseguenza una riorganizzazione dell’intero sistema.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il termine Feld entra nel panorama

scientifico di altre discipline. È indubbio che l’attestazione di un approccio di ‘campo’ in

fisica ed in psicologia abbia avuto un’influenza – diretta o indiretta – sulla teoria di Ipsen

che sceglie, non a caso, il termine Feld per indicare un gruppo di parole strutturato ed

articolato al suo interno. Questo concetto entra nel lessico della linguistica e di altre

discipline ad essa correlate per indicare fenomeni che costituiscono una totalità organizzata

(gliederte Ganzheit) nei quali il Tutto risulta prioritario rispetto alle parti; queste ultime

sono ritenute definibili solo sulla base della configurazione che, di volta in volta, l’intero

insieme assume3.

Nonostante queste sostanziali anticipazioni, prima di Ipsen il termine ‘campo’ non era

frequente nel lessico della linguistica: gli autori comunemente designati come precursori

della Wortfeldtheorie non usano ancora questa espressione, preferendo parlare di sistemi

semantici. Solo con la pubblicazione del primo lavoro di Ipsen (1924) e poi degli articoli di

Trier, editi tra il 1931 e il 1934, si aprì un ampio dibattito sulla validità della teoria del

campo in linguistica e sulla scelta della nozione di campo più adatta a descrivere e a

spiegare il funzionamento della struttura lessicale delle lingue storico-naturali.

Tra i precursori dela teoria del campo si riconoscono tradizionalmente Heyse (1856) e

Meyer (1910). Entrambi condividevano l’idea di ispirazione humboldtiana della lingua

come totalità organizzata (gliederte Ganzheit) ed avevano osservato la presenza nel lessico

di sub-sistemi lessicali strutturati sulla base di relazioni semantiche di affinità e di

contrasto.

Heyse, nel suo System der Sprachwissenschaft, opera pubblicata postuma a cura del

glottologo Steinthal nel 1856, aveva analizzato il campo lessicale del termine tedesco

Schall (suono) utilizzando un metodo che, secondo Coseriu (1967), avrebbe anticipato

l’analisi strutturale del contenuto sviluppata da Trier e dai suoi allievi.

3 Herbermann (1995:270) ritiene che, dopo la sua affermazione nella fisica e nella psicologia, il termine Feld

sia divenuto un concetto alla moda (Modewort) al quale parecchi autori si sono richiamati per rendere conto

della natura sistemica di alcuni fenomeni.

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Più tardi, nel 1910, Meyer formulò il concetto di Bedeutungssysteme, inteso come

“l’ordinamento di un numero limitato di espressioni sotto un punto di vista individuale”

(Meyer, 1910:359, trad. it. in Geckeler 1979:71). Per Meyer, i significati non esistono

isolatamente, ma sono ordinati in piccoli gruppi dalla cui organizzazione si può

comprendere il ruolo di ogni singola espressione nel gruppo e nell’intero sistema lessicale.

Egli stabilì, così, una stretta relazione tra l’analisi del significato della singola parola e

l’analisi del sistema o dei sistemi in cui essa compare. Scopo dell’analisi era

l’individuazione dell’elemento condiviso dalle parole che rientrano nello stesso sistema

semantico, elemento sulla base del quale il sistema si costruisce.

Nella nozione di Bedeutungssysteme erano già presenti i due concetti centrali intorno ai

quali Trier – che, tuttavia, non cita espressamente l’opera di Meyer – formulerà la sua

teoria: l’idea della lingua come sistema di opposizioni e l’idea dell’organizzazione del

lessico in gruppi (che Meyer chiamò, appunto, sistemi semantici4) collocabili a metà strada

tra l’intero sistema lessicale e la singola parola (cfr. Kronasser, 1952).

La commistione tra i termini ‘sistema’ e ‘campo’ è abbastanza frequente non solo nei

lavori dei precursori della teoria di Trier. In tutta la letteratura sull’argomento i due termini

sono utilizzati con una certa scioltezza e non sempre vengono definiti come nozioni

separate ed interrelate.

Altri studiosi, pur non utilizzando queste nozioni, avevano, però, ammesso che le parole

non appaiono isolate nella mente dei parlanti, ma tendono ad occorrere in gruppi. Così il

linguista Paul definisce nei suoi Prinzipien der Sprachgeschichte (1880) la nozione di

organismo linguistico (Sprachorganismus) sul quale poggia lo sviluppo storico della

lingua come l’insieme dei gruppi delle rappresentazioni originate dalla nostra esperienza

linguistica (relative a ciò che è stato detto, pensato o ascoltato). Tali gruppi non sono

stabili, essi variano di continuo alimentando, così, lo sviluppo storico della lingua.

L’interesse per il lessico e per l’analisi dei principi che regolano la sua organizzazione ha,

insomma, radici profonde nella tradizione linguistica europea e tedesca in particolare. Il

fatto che proprio in questo contesto si affermi la teoria Trier-Weisgerber non è affatto

sorprendente. Quando Ipsen impiega il termine Feld in relazione alla struttura semantica

della lingua aveva perfettamente chiari, da un lato, il significato del termine per com’era

4 Meyer (1910), oltre a presentare la prima compiuta definizione di sistema semantico, offre una prima ed

approfondita applicazione della teoria del Bedeutungssysteme. Egli distingue tre tipi di sistemi semantici: i

sistemi semantici naturali, semi-artificiali ed artificiali, dedicando a quest’ultimo un’indagine specifica nella

sua analisi del sistema semantico dei titoli militari.

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stato impiegato nella psicologia della Gestalt, dall’altro, gli imponenti lavori di Wundt

sulla Volkerpsychologie5.

La sua idea di definire il campo semantico sulla base della relazione tra le parole

all’interno del campo stesso è, infatti, di chiara matrice psicologica: come gli psicologi

della Gestalt anche Ipsen rifiuta la teoria atomistica o elementarista della psicologia

associazionista e nega l’assunto che considera le relazioni tra le parole organizzate secondo

un mero “filo associativo” (Assoziationsfaden):

Inoltre, le parole non si trovano mai isolate in una lingua, ma sono inserite in gruppi

semantici (Bedeutungsfelder); con ciò non si intende un gruppo etimologico e ancora

meno parole ordinate intorno a “radici” chimeriche, ma parole il cui contenuto cosale è

intrecciato con altri contenuti. Questo intreccio però non è inteso come allineamento in

un filo associativo, ma in modo che l’intero gruppo delimiti un campo semantico che è

articolato internamente; come in un mosaico si unisce parola a parola, ciascuna

delimitata diversamente, ma in modo che i contorni coincidano, e in modo che tutte

insieme formino un’unità semantica di ordine superore e non si perdano in una mera

astrazione (Ipsen, 1924:225, trad. it. in Geckeler 1979:73, corsivi nel testo).

Nel campo semantico di Ipsen i significati non sono disposti linearmente lungo un «filo

associativo» ma si delimitano a vicenda. La superficie del campo, delimitata in modo

irregolare, mostra una divisione interna simile ad un mosaico all’interno del quale le

singole unità, Wort an Wort, si incastrano l’una accanto all’altra.

Il concetto di Bedeutungsfeld di Ipsen è assunto con lo stesso significato da Trier nel 1931.

Come egli stesso ammette:

Gunther Ipsen è stato il primo ad aver usato esplicitamente l’espressione campo

semantico. Se ho maturato la teoria del campo solo con l’aiuto di Saussure o se le 12

righe di Ipsen hanno in qualche modo contribuito, non saprei più dirlo. Non sono il

primo a parlare di campi. Tuttavia, posso affermare che l’argomento di questo lavoro e

la forma in cui esso è elaborato mi erano chiari fin dal 1923. Nella forma della

elaborazione è già presente l’idea di campo. Per quanto riguarda l’intera concezione mi

sento fortemente in debito con Ferdinand de Saussure e fortemente vicino a Leo

Weisgerber (Trier, 1931:11, nota 1, maiuscoletti nel testo, trad. nostra).

5 Nella prima parte della Volkerpsichologie (1900), lo psicologo Wundt aveva riconosciuto che le parole si

attraggono tra loro fino a costituire dei gruppi. Tra i principi del raggruppamento particolare importanza

assumono, anche per Wundt, le relazioni di affinità e di contrasto (cfr. Herbermann, 1995:270).

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L’attrattiva generale dell’espressione ‘campo’ nella trattazione scientifica di quegli anni ha

influenzato la scelta terminologica di Trier e ha favorito la ricezione della sua teoria.

Tuttavia, se nella prima formulazione del 1924 il Bedeutungsfeld di Ipsen è perfettamente

identico al concetto di ‘campo’ come lo intende Trier, in un’opera successiva – Der neue

Sprachbegriff (1932) – dedicata all’analisi delle denominazioni dei metalli tratte dal

vocabolario indoeuropeo, Ipsen modifica sostanzialmente la prima definizione di

Bedeutungsfeld poiché sostiene che la caratteristica saliente del campo consiste nella

reciproca assimilazione formale e semantica delle parole che vi rientrano.

L’introduzione di un criterio formale nella definizione del campo restringe, però,

inutilmente l’applicazione della teoria di Ipsen. Lo stesso Trier non condivide il criterio

dell’assimilazione formale degli elementi come fenomeno attraverso il quale il campo si

forma. Il campo semantico, per Trier, si delimita esclusivamente sulla base delle relazioni

semantiche tra le parole di un dato sistema lessicale; l’assimilazione formale non è che un

elemento accidentale e secondario che può presentarsi casualmente una volta che il campo

è stato individuato.

Oltre alla maturata consapevolezza della distanza tra la sua concezione e la seconda

formulazione della teoria di Ipsen, ben presto Trier decise di abbandonare l’espressione

campo semantico (Bedeutungsfeld) perché si accorse del rischio di una confusione

terminologica riguardo all’uso di questo concetto e di questo metodo in linguistica. Per il

timore di identificare le varie teorie del campo sotto un’unica etichetta, Trier eviterà

deliberatamente nel suo lavoro del 1934 l’uso dell’espressione campo semantico

(Bedeutungsfeld), servendosi alternativamente dei concetti di campo linguistico

(Sprachfeld, Sprachliches Zeichenfeld) e di campo lessicale (Wortfeld).

Gli anni Trenta videro crescere il dibattito sulla validità delle teorie del campo in

linguistica. Accanto alla teoria trieriana si affermò un’altra concezione di campo semantico

apparentemente in contrasto con quella del linguista di Münster, sostenuta da Walter

Porzig e da André Jolles.

Porzig presentò la sua teoria delle relazioni semantiche essenziali (wesenhafte

Bedeutungsbeziehungen) e introdusse il concetto di campo semantico elementare

(elementare Bedeutungsfeld), fondato sull’analisi e sulla spiegazione delle relazioni

sintagmatiche individuabili tra i lessemi dei sintagmi cosiddetti bipartiti, composti da un

nome e un aggettivo o da un nome e un verbo.

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Sebbene solo pochi lessemi all’interno della lingua tendano ad occorrere in sintagmi fissi

con altri lessemi, l’attenzione di Porzig si sofferma proprio sui lessemi collocazionalmente

ristretti, ovvero su quei lessemi che si trovano in collocazione con uno o con pochi altri

lessemi.

Tra i due elementi di una collocazione (ad esempio, tra cane ed abbaiare, tra mano ed

toccare, tra biondo e capelli) esiste, secondo Porzig, una relazione semantica essenziale

(wesenhafte) puramente linguistica (sprachlichen selbst). È evidente, infatti, ch, in un

sintagma di questo tip, è quasi impossibile spiegare il significato di un lessema senza

coinvolgere l’altro: la relazione tra cane ed abbaiare è semanticamente forte proprio

perché, per spiegare il significato del secondo lessema, è impossibile evitare di menzionare

il primo.

Nel 1934 anche Jolles propose una sua teoria del campo per molti versi simile a quella di

Porzig. Jolles definisce Bedeutungsfelder i campi minimali formati solitamente da due

lessemi (padre/figlio, giorno/notte, morte/vita) e sosteneva di aver trovato le premesse

della sua teoria nientemeno che nella sezione όνομα della Τέχμη di Dionisio Trace. Per

questo motivo i suoi campi sono noti anche come Antike Bedeutungsfelder. La concezione

di Jolles non ha avuto, però, alcun seguito poiché limitava l’analisi del campo semantico

alle sole coppie di opposizioni immediate, a differenza della teoria di Porzig che, pur

lavorando su insiemi ristretti, analizzava vere e proprie strutture combinatorie. È a partire

dalla teoria di Porzig, infatti, che Coseriu svilupperà la nozione di solidarietà lessicale.

Con l’espressione collocazione o solidarietà lessicale o sintagmatica si indicano, peraltro,

una serie di fenomeni distinti.

Un primo caso di collocazione è quello indicato da Porzig: alcuni lessemi occorrono in

combinazione con altri lessemi poiché, a partire da una relazione di implicazione

semantica, dalla presenza di uno è possibile predire la presenza dell’altro.

Altri casi di collocazione coinvolgono lessemi che, pur non presentando questa relazione

semantica “essenziale”, tendono ad occorre in sintagmi fissi, anche se, in linea di principio,

possono occorrere separatamente in una pluralità di combinazioni diverse (come dolorosa

scomparsa, clamorosa sconfitta, schiacciante vittoria). Alcune di queste combinazioni

fisse possono essere così cristallizzate nella lingua da far risultare strana ed inappropriata

una combinazione diversa (è il caso di combinazioni come errore madornale; sarebbe

strano, infatti, sentire un’espressione come una esattezza madornale).

L’affermazione della concezione di campo sintagmatico accanto a quello paradigmatico

diede vita a una accesa polemica che vide coinvolti Trier e Porzig sulla superiorità, o

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quanto meno sulla validità, dell’una o dell’altra concezione. Ben presto, però, la diatriba si

spense a favore della consapevolezza che entrambi gli approcci, pur indicando fenomeni

diversi, fossero essenziali alla descrizione delle relazioni lessicali. L’analisi della struttura

di un campo lessicale non può, infatti, prescindere dalla considerazione delle relazioni

sintattiche che i lessemi intrattengono tra loro. Relazioni semantiche e relazioni sintattiche

rivelano entrambe aspetti organizzativi del lessico e devono, pertanto, essere

necessariamente integrate nel quadro di una teoria semantico-lessicale.

Il dibattito sul problema dei rapporti tra la semantica e la sintassi si è riproposto in anni più

recenti, portando alla lenta maturazione dell’idea dell’impossibilità di considerare un

aspetto prioritario rispetto all’altro. Nelle semantiche cognitive, per esempio, è ormai

comunemente accettata la tesi della necessaria integrazione dei due punti di vista: per

descrivere in modo efficace i principi che regolano l’organizzazione lessicale delle lingue,

semantica, grammatica e sintassi vanno necessariamente considerate nel quadro di una

prospettiva teorica integrata (cfr. Diodato, 2013, cap. IV).

A causa delle divergenze teoriche dei diversi approcci di campo, le espressioni campo

semantico, campo lessicale e campo linguistico assumono significati talvolta molto

diversi6. In linea generale, quando non diversamente specificato, useremo l’espressione

campo semantico-lessicale o campo lessicale (Wortfeld) per indicare l’insieme dei

lessemi e delle espressioni polirematiche che intrattengono delle relazioni paradigmatiche

all’interno di un determinato campo concettuale e che ne costituiscono il livello

linguistico-lessicale. Utilizzeremo il termine campo linguistico (Sprachfeld, Sprachliches

Feld), che ha tradizionalmente un’estensione più ampia poiché comprende, oltre alla

nozione di campo lessicale anche quella di campo sintattico (Syntaktisches Feld), quando

sarà necessario enfatizzare il ruolo che le strutture sintagmatiche rivestono, unitamente a

quelle paradigmatiche, nella organizzazione del campo lessicale.

I problemi terminologici riguardano, in particolar modo, l’impiego della nozione di campo

semantico (Bedeutungsfeld, Semantisches Feld) che in letteratura viene utilizzata

6 Riguardo alla confusione terminologica relativa all’uso del termine campo basti pensare che Müller (1957 e

1965) distingue in un primo momento il campo semantico-lessicale (Wortfeld, Begriffsfeld) dal campo

sintattico-linguistico (Sprachfeld, syntaktisches Feld), per poi servirsi delle espressione campo linguistico-

lessicale (Sprachfeld, lexikalisches Feld) come una specie di iperonimo di campo (semantico) lessicale

(Wortfeld, Semantisches Feld) e campo sintattico-grammaticale (syntaktisches - grammatische Feld).

Un’incertezza terminologica che non è, come vedremo, esclusiva di questo autore.

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indifferentemente come sinonimo di campo linguistico o di campo lessicale7. Seguendo la

terminologia diffusasi più recentemente nella semantica lessicale statunitense,

utilizzeremo, quando non diversamente precisato, la dizione campo semantico come

sinonimo di campo lessicale8.

Il concetto di campo concettuale (Begriffsfeld) corrisponde, invece, al livello concettuale

che soggiace al campo lessicale e che, almeno nella versione strutturalista della teoria,

risulta da esso articolato.

I cooncetti di sfera concettuale o semantica (Sinnbezirk) o di dominio concettuale

(content domain) rimandano, invece, all’area concettuale sulla quale poggia l’articolazione

linguistica. Nella maggior parte degli autori – e soprattutto in Trier – la sfera concettuale

corrisponde alla «massa amorfa ed indistinta» (CLG p. 136) del pensiero-suono prima della

sua articolazione linguistica. Con le nozioni di sfera semantica e di dominio concettuale

indichiamo, quindi, un continuum concettuale non discretizzato da nessuna particolare

lingua.

2. La teoria Trier-Weisgerber

Trier sviluppa la teoria del campo lessicale per ragioni di natura pratica. Era un linguista

storico dedito da tempo allo studio della sfera semantica (Sinnbezirk) della conoscenza ed

era particolarmente interessato al problema del mutamento semantico. Sulla sua

formazione avevano avuto un ruolo importante, oltre agli studi di semantica storica di

tradizione tedesca, Humboldt, con il quale era venuto in contatto anche grazie all’amico e

collega Leo Weisgerber, e Saussure, sulla cui lezione fonderà la metodologia per l’analisi

del campo lessicale.

Trier e Weisgerber sviluppano la nozione humboldtiana di lingua come visione del mondo

(Weltansicht) ed affermano che la lingua è il medium attraverso il quale gli uomini creano

e comprendono la realtà. Per Trier e Weisgerber, come per Humboldt, il linguaggio nel suo

complesso e le singole lingue nella loro individualità storica sono strumenti cognitivi

indispensabili per concettualizzare la realtà (Wirklichkeit) e per oggettivare le

rappresentazioni interne (soggettive) che altrimenti resterebbero inesprimibili.

7 Cfr. Geckeler (1979:73) che, sull’esempio di Coseriu (1967), rifiuta l’espressione campo semantico

(Bedeutungsfeld) che definisce troppo ampia poiché il termine Bedeutung esula dall’ambito puramente

lessicale della lingua. 8 Nei vari lavori che esprimono la necessità del recupero e dell’integrazione della concezione del campo di

Trier e Weisgerber nel quadro di una teoria generale dell’organizzazione lessicale, le dizioni semantic field e

lexical field sono utilizzate per lo più come sinonimi (cfr. Lehrer, 1974 e Kittay, 1987).

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Nei termini di Trier e Weisgerber, la lingua costituisce un mondo intermedio

(Zwischenwelt der Sprache) che si colloca tra l’individuo e il mondo esterno. Attraverso la

mediazione della lingua ciascun popolo e, al limite, ciascun individuo, costruisce la sua

realtà poiché ciascuna lingua seleziona, concettualizza e, quindi, nomina ciò che è

pertinente per un popolo in un determinato momento storico:

La realtà ci è data attraverso il mondo intermedio della lingua. La lingua ci porge la

realtà. Di questi mondi (linguistici) intermedi ne esistono tanti quante sono le lingue che

circondano la realtà sconosciuta con i loro raggi convergenti. Tutte (le lingue) riescono a

cogliere e a rappresentare per la loro comunità linguistica ciò che in relazione al loro

livello e al loro punto di vista è dato loro di vedere, contenere e rappresentare (Trier,

1934b:145, trad. nostra).

La caratteristica principale attraverso cui la lingua riesce a fornire al parlante questa

immagine della realtà è l’articolazione o classificazione (Gliederung):

Ogni lingua presenta un sistema di selezione della realtà tale da crearne un’immagine

completa e del tutto conchiusa. L’immagine della realtà di una lingua è un continuum

che non ha lacune o punti ciechi per il parlante di una determinata comunità linguistica.

La lingua costruisce questa immagine integra e completa della realtà operando una

classificazione, ponendo limiti ed attuando differenze nella realtà assoluta. La

classificazione è la caratteristica più generale e più profonda della lingua (Humboldt)

(Ibidem, trad. nostra).

Da questo punto di vista, il lessico, la grammatica e la sintassi di una lingua non sono meri

riflessi della cultura di un popolo, ma strumenti indispensabili per la creazione dei concetti,

delle credenze e dei valori e quindi della cultura nel suo complesso (Basilius, 1952:104).

Le relazioni che si riscontrano tra le parole all’interno del lessico della lingua – e del

campo lessicale inteso come porzione organizzata di esso – non sono semplicemente i

mezzi attraverso cui il significato si esprime. Le strutture semantiche rivelano il modo in

cui i parlanti danno forma alla realtà; esse costituiscono, dunque, il contenuto di una lingua

e l’analisi di questa rete di relazioni si configura come l’unico metodo empirico adatto a

studiare la storia della lingua, intesa, nei termini di Weisgerber (1953, 1954), come storia

del contenuto (Begriffslehre).

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12

I campi lessicali di Trier non sono concepiti come meri strumenti formali, ma come realtà

linguistiche vive che rivelano l’organizzazione di porzioni strutturate della realtà

linguistica (Sprachliche Wirklichkeit): lo studio del campo lessicale, in quanto metodo

empirico, consente di comprendere la struttura concettuale degli utenti della lingua e di

penetrare nella loro coscienza linguistica (Bewußtsein des Sprachbrauches) (Trier,

1931:10).

Trier, sicuramente influenzato dal pensiero di Weisgerber, spinge alle estreme conseguenze

la tesi humboldtiana della lingua come visione del mondo. Sia per Trier che per Weisgerber

la Weltansicht (visione del mondo) humboldtiana viene assimilata alla Weltbild (immagine

del mondo). La differenza tra i due concetti è, però, sostanziale: la nozione humboldtiana

di Weltansicht indica «l’originario approccio visivo dell’uomo alla realtà fenomenica» (Di

Cesare, 1991, III ed. 2000: LVII); essa non è tanto una interpretazione del mondo quanto,

in senso kantiano, una «condizione di possibilità» che permette all’uomo di costruirsi

un’immagine del mondo. L’interpretazione radicale dell’idea della lingua come visione del

mondo allontana i linguisti neo-humboldtiani dalla concezione di Humboldt che non aveva

inteso affermare un punto di vista deterministico o relativistico in senso così estremo9.

L’idea di Trier, che trova illustri precedenti in Humboldt e Saussure, è che le parole di una

lingua non sono isolate nella coscienza dei parlanti. L’esistenza delle connessioni tra

parole nella mente dei parlanti dipende dal fatto che la singola parola riceve la sua

determinatezza semantica solo in quanto parte di un lessico. Dietro alla singola parola

pronunciata da un individuo in un certo momento c’è, infatti, sempre il sistema

semiologico della lingua nella sua interezza. È questa l’intuizione sulla quale Trier fonda la

sua teoria, espressa nelle prime righe del saggio Über Wort- und Begriffsfelder (1931):

Nessuna parola pronunciata risulta isolata nella coscienza del parlante e dell’ascoltatore,

contrariamente a quanto si potrebbe desumere dal fatto che è foneticamente delimitata.

In ogni parola pronunciata risuona l’eco del suo contrario. (…) Accanto e al di sopra di

essa emerge una quantità di altre parole che si collocano, semanticamente più o meno

vicino dalla parola pronunciata. (…) Esse costituiscono con la parola pronunciata,

collegate l’una con l’altra, un insieme articolato, una struttura che può denominarsi

campo lessicale o campo linguistico di segni (Trier, 1931:1, corsivi e trad. nostri).

9 Sotto questo aspetto, le tesi dei neo-humboldtiani si distaccano dall’originario pensiero di Humboldt per

avvicinarsi alla posizione relativistica ben più radicale di Whorf (cfr. Wartburg-Ullmann, 1946, trad. it.

1971:234-235 e Ullmann, 1957, trad. it. 1977:364).

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Per Trier, nessuna parola – e, più in generale, nessun segno – può significare qualcosa se

preso isolatamente, considerato, cioè, indipendentemente dalla rete di relazioni che

intrattiene con gli altri elementi del sistema. La presenza del segno all’interno di un

sistema e il fatto che per comprendere un segno occorre sempre conoscere il sistema di cui

esso è parte costituisce, per Trier, la legge fondamentale della scienza di segni (Grund-

Gesetz des Zichenwesen) (Ibidem, p. 5). È su questo punto che risulta determinante

l’influenza della Gestaltpsychologie: per Trier le parti, cioè le singole parole, non hanno

esistenza autonoma (valore semantico) se non all’interno di una struttura globale.

Il lessico è un sistema10

o, come afferma Trier servendosi di una suggestiva metafora,

come uno spazio architettonico:

Di conseguenza, la parola esiste in quanto appartiene ad un lessico; ma per lessico noi

non intendiamo un repertorio, una lista o un Thesaurus, quanto – in una analogia

architettonica – uno spazio costruito e suddiviso, una struttura che, proprio grazie al fatto

di essere costruita e suddivisa, determina il singolo elemento della costruzione (le

parole) e la singola posizione (delle parole). Noi diciamo: alla parola viene assegnato il

suo posto nell’insieme del lessico strutturato e classificato (ergliedert) e, viceversa, il

lessico si articola (ausgliedert) a partire dalle singole parole (Trier, 1934b:146-147,

maiuscoletto nel testo, trad. nostra).

Il sistema lessicale della lingua si presenta come una struttura articolata in insiemi più

piccoli che presentano le stesse modalità di strutturazione del lessico intero. Da un lato,

dunque, le parole appaiono in gruppi strutturati, i campi lessicali, appunto; dall’altro

l’intero lessico si presenta come una totalità strutturata, alla cui formazione concorrono

questi insiemi legati tra loro da relazioni semantiche-concettuali.

Le caratteristiche essenziali del concetto di Wortfeld sono così riassumibili (cfr. Kandler,

1959 e Herbermann, 1995:264-268):

- i campi lessicali (Wortfelder) sono totalità organizzate (gliederte Ganzheit)

conchiuse (angeschlossen) (principio della totalità);

10

L’ipotesi della sistematicità del lessico è anche uno dei principi basilari dello strutturalismo linguistico e

ciò ha contribuito sicuramente al successo del metodo di Trier presso i linguisti che hanno inaugurato la

semantica strutturalista. L’idea che anche il lessico costituisca un sistema, al pari degli altri piani di analisi

della lingua, è, infatti, affermata e difesa, tra gli altri, prima da Hjelmslev (1943), poi da Coseriu (1964) e da

Lyons (1963, 1977).

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- l’articolazione del campo lessicale determina i contenuti delle singole parole nel

campo; i singoli contenuti, quindi, si delimitano reciprocamente in modo preciso

(principio della determinatezza reciproca);

- il campo lessicale non presenta lacune, essendo completamente articolato in

parole (immagine del mosaico);

- il campo lessicale è presente completamente nella mente del parlante e

dell’ascoltatore (principio della completezza);

- tutto il lessico è articolato in campi (postulato dell’ubiquità dei campi lessicali).

La caratteristica principale dei campi lessicali di Trier è la loro articolazione, la loro

organizzazione strutturale (Gliederung). La sfera concettuale (Sinnbezirk) diviene un

campo concettuale (Begriffsfeld, Sinnfeld) nel momento in cui è articolata nei sistemi

linguistici particolari. L’insieme dei lessemi che coprono il campo concettuale è un campo

lessicale (Wortfeld).

La più compiuta definizione di campo lessicale di Trier si fonda sull’uso di due termini

contrapposti per indicare i due fenomeni dell’articolazione in insiemi di rango inferiore e

di rango superiore: ergliedern è utilizzato per spiegare l’articolazione del lessico in campi

lessicali e augliedern per affermare che le relazioni tra detti campi formano l’intero

sistema lessicale. Nei campi lessicali sono, del resto, presenti entrambe le modalità di

strutturazione di ordine inferiore e superiore, poiché:

I campi sono le realtà vive tra le singole parole e il lessico intero, come tutto parziale

essi hanno in comune con la parola la caratteristica di articolarsi a partire da unità

superiori, e con il lessico la caratteristica di articolarsi in unità inferiori (Trier,

1934b:148, maiuscoletto nel testo, trad. it. in Geckeler, 1979:83).

Questa idea è però spinta all’estremo quando Trier afferma:

Il valore di una parola viene riconosciuto solo quando la si distingue dal valore delle

parole affini e contrapposte. Soltanto come parte di una totalità essa avrà senso, poiché

solo nel campo c’è il significare (Trier, 1931:6, corsivi e trad. nostri).

Il campo lessicale, come inteso da Trier, si presenta come una struttura linguistico-

concettuale chiusa, nella quale i contenuti delle parole si delimitano reciprocamente con

precisione strutturale (cfr. Herbermann, 1995:264). A questi principi si accompagna la

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pretesa che tutto il lessico sia formato da campi lessicali e che non vi siano parole che non

rientrino in un qualche CL; allo stesso modo ogni parola appartiene ad uno ed un solo

campo lessicale. Quest’ultima affermazione elimina radicalmente il problema della

polisemia nelle lingue storico-naturali: se la stessa parola appartiene a due campi diversi

non si può che trattare questo fenomeno come omonimia/omofonia e non come polisemia.

Nella concezione di Trier, il campo lessicale si colloca non già sul piano della parole ma

sul piano della langue, essendo esso non determinato solo sulla base dei rapporti

associativi (fortemente soggettivi e, pertanto, idiosincratici) ma sulla base delle relazioni

che le unità lessicali intrattengono nel sistema.

L’idea di Trier, di chiara discendenza saussuriana, non va, però, intesa alla lettera. I

principi della totalità e della determinatezza, strettamente interrelati l’uno all’altro, non

sono enunciati con chiarezza. Leggendo attentamente i passi sopra riportati (Trier, 1931:6-

7) non possiamo fare a meno di notare le contraddizioni nelle quali Trier cade e che, tutto

sommato, sono inevitabili poiché egli cerca di ancorare la sua intuizione dell’esistenza del

campo semantico - campo lessicale nella mente del parlante e non già sul piano

idiosincratico e soggettivo della parole.

Nelle prime pagine dello scritto del 1931, alle quali Kandler (1959) e gli altri critici si

richiamano per mostrare i limiti della concezione di Trier, il linguista di Münster afferma

la necessità della condivisione del sistema della langue ai fini della mutua comprensione

tra i parlanti. Così come per Saussure i singoli atti di parole sono compresi poiché trovano

corrispondenza nelle classi astratte della langue, così per Trier le singole parole sono

comprese poiché sono delimitate ed organizzate in strutture lessicali (i campi) condivise e,

in questo senso, (inters)oggettive.

L’articolazione del campo concettuale è condivisa tra il parlante e l’ascoltatore; il fatto che

la struttura del campo concettuale non sia percepibile sul piano fenomenologico non

significa che esso sia meno accessibile alla consapevolezza: la sua presenza nella mente

dei parlanti che, condividendo l’intero sistema della langue, condividono anche queste

strutture lessicali intermedie, garantisce la sua oggettività e la sua analizzabilità. La

riflessione di Trier è interamente rivolta all’affermazione dell’esistenza del campo

concettuale – e, dunque, del campo lessicale, che altro non è che il rivestimento di parole

del campo concettuale – come porzione strutturata rientrante nel sistema complessivo della

langue.

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Il campo lessicale non è, per Trier, un’astrazione arbitraria del linguista11

, ma una struttura

sovra-individuale che è, pertanto, analizzabile con gli stessi metodi che Saussure aveva

indicato per l’analisi del sistema linguistico (langue). Come la lingua, infatti, esso è dotato

di intrinseca dinamicità e la sua analisi è possibile solo dal punto di vista sincronico.

L’idea del campo come sistema chiuso e completo e l’idea della determinatezza reciproca

delle parole all’interno del campo sono spinte alle estreme conseguenze poiché l’obiettivo

di Trier è quello di difendere il principio della obiettività, ovvero della analizzabilità, del

campo lessicale. Le inevitabili esemplificazioni e l’enfasi che Trier pone su questi aspetti

sembra, dunque, dovuta alla necessità di rendere chiaro il suo pensiero e accettabile la sua

tesi, peraltro suffragata da continui richiami più o meno impliciti all’opera di Saussure.

Difatti, in alcuni punti, come quelli in cui fa riferimento alla non-matematicità della

struttura dei campi concettuali e lessicali e della intrinseca dinamicità delle strutture

concettuali intermedie, egli stesso sembra mitigare la sua nozione di campo lessicale come

struttura rigidamente articolata e conchiusa.

Uno dei difetti della concezione di Trier, che sarà superato con l’introduzione del concetto

di arcilessema (Coseriu, 1968), consiste, semmai, nel non aver attribuito al campo un

significato globale. Le ricerche successive hanno, invece, dimostrato che «gli elementi di

un campo lessicale possiedono una base semantica comune, una specie di comune

denominatore» e che ogni lessema del campo aggiunge a questa base condivisa «una o più

determinazioni ulteriori che lo differenziano semanticamente nel quadro della costellazione

globale» (Geckeler, 1971, trad. it. 1979:94).

Una delle caratteristiche più dibattute del campo trieriano è, però, quella che Herbermann

(1995:265) denomina la Luckenlosigkeit der Feldabdeckung, che rimanda all’immagine del

mosaico di Ipsen: il campo lessicale è, cioè, una struttura linguistica che rappresenta in

superficie l’articolazione di una determinata area concettuale e la copre interamente senza

lasciare vuoti o lacune. La critica ha molto discusso l’impiego della metafora del mosaico

per spiegare il funzionamento e la struttura del lessico di una lingua naturale.

L’immagine del campo lessicale come mosaico pone due ordini di problemi. Il primo

concerne la questione dei confini lessicali ; il secondo riguarda la presenza di strappi nel

«mantello di segni» e rimanda, quindi, alla necessità di tener conto delle lacune lessicali.

11

In senso opposto si veda Betz (1954) che ha ritenuto, in seguito a un esperimento condotto con i suoi

studenti, che i campi semantici sono costrutti artificiosi e che, non avendo realtà psicologica, sono una mera

illusione dei linguisti. Il suo esperimento mostrava solo che i parlanti non sono consapevoli dell’intera

struttura di un campo semantico, sconfessando il solo principio della completezza del campo e non la validità

dell’intera teoria trieriana. Per una discussione sulla questione si rimanda a Müller (1995:217).

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17

Riguardo al primo aspetto, Trier, pur insistendo sul fatto che la compagine del campo

lessicale si articola al suo interno come un mosaico, ammette di non aver risolto la

questione dei confini esterni dei campi lessicali. In altre parole, egli riconosce di non aver

trovato un criterio per individuare con precisione dove finisce un campo lessicale e dove ne

comincia un altro.

Riguardo al problema dei confini esterni, Gipper e Schwarz (1966, trad it. in Geckeler,

1979:110) hanno rilevato che «l’articolazione nel campo può essere studiata anche senza

tale determinazione dei reali confini esterni nella lingua». Gli autori, seguendo

l’impostazione di Trier, ma soprattutto di Weisgerber, propongono una definizione di

campo lessicale i cui confini, lungi dall’essere rigidamente stabiliti, siano tracciati nelle

zone del campo in cui diminuisce «la tensione del senso tra gli elementi» (Schwarz,

1959:249; trad it. in Geckeler, 1979:110).

Tale indizio eviterebbe al linguista una delimitazione troppo arbitraria del campo. Infatti,

ciò che conta non è la determinazione degli esatti confini quanto «l’individuazione dei

centri di gravità e la loro disposizione reciproca», e, soprattutto, il riconoscimento dei

«principi di articolazione esistenti all’interno del campo lessicale» (Gipper - Schwarz,

1966:LXIV; trad it. in Geckeler, 1979:110).

Sia Trier che Weisgerber riconoscono che i campi lessicali hanno confini fluidi o, almeno,

non facilmente individuabili. In particolare, Trier affronta la questione dei confini del

campo nel rispondere all’accusa di Porzig che definisce arbitrario il suo metodo, proprio

perché il campo paradigmatico, a differenza di quello sintagmatico, ha confini incerti.

Jolles e Porzig avevano, infatti, evitato la questione dei confini interni ed esterni del campo

accettando la scarsa estensione del campo, accontentandosi di descrivere un mosaico

costituito di sole due tessere (cfr. Trier, 1934b:173). Dal canto suo, Trier rifiuta le nozioni

di campo di Porzig e Jolles che considera inutilmente restrittive (ricordiamo che aveva

criticato i loro campi minimali che, a suo dire, non erano campi ma porzioni di campi), ma,

allo stesso tempo, è ben consapevole dell’incertezza dei confini del suo campo:

SIAMO DAVVERO COSÌ ARBITRARI? È vero che le circostanze che ci hanno indotto a

determinare un campo intorno alle forze, alle caratteristiche, ai contenuti e alle pratiche

della Conoscenza si trovano completamente al di là di ciò che è linguistico, tanto che si

dovrebbe dire, con le parole di Porzig, che non è stata fornita prova della loro

appartenenza ad uno stesso campo, né tale prova può essere fornita per mezzo di indizi

linguistici? Qui si vede che le differenze tra i vari concetti di campo sono differenze tra i

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vari concetti di lingua. Un giudizio sulla sussistenza di arbitrarietà o meno dipenderà da

cosa si voglia considerare appartenente a ciò che è linguistico. Se si considera, come

abbiamo fatto noi, anche i contenuti appartenenti a ciò che è linguistico (i contenuti della

lingua, beninteso, e non soltanto i significati delle parole), allora anche quei

raggruppamenti, così come li facciamo noi, sono determinati dalla lingua, e la differenza

tra le cosiddette appartenenze date da fattori linguistici ed i cosiddetti legami e

classificazioni logico-formali perde quell’assolutezza che ha necessariamente per ogni

concezione della lingua per la quale i contenuti e IL LORO ORDINE si trovano al di fuori

di ciò che è linguistico. Anche i nostri raggruppamenti alla rinfusa sono dati, a loro

modo, dalla lingua, certamente non in un senso così limitato alla singola parola e riferito

puramente al significato della parola, come lo esigono i campi elementari di Porzig, ma

pur sempre dati dalla lingua, in quanto l’intera struttura della nostra lingua odierna viva,

nelle sue classificazioni e suddivisioni che determinano i contenuti, per mezzo della

quale parliamo e comprendiamo ci sa dire a quali sfere intere e a quali sfere parziali

appartiene questa o quella parola, questo o quel gruppo di parole. NOI DETERMINIAMO IL

CAMPO LESSICALE PER MEZZO DEL POTERE ASSOLUTO DEL NOSTRO POSSESSO

COLLETTIVO DELLA LINGUA ED IL SUO ORDINE CONTENUTISTICO (Trier 1934:165, trad.

nostra, maiuscoletto nel testo)

Nel concetto trieriano di lingua rientra, in pratica, non solo tutto ciò che concerne il

sistema grammaticale, ma anche tutto ciò che rientra nell’ambito del concettuale poiché è,

appunto, la lingua che organizza e delimita la sfera concettuale. Si ripresenta qui di nuovo

il problema della sovrapposizione tra il livello concettuale e il livello linguistico che

caratterizza l’approccio di campo di Trier e Weisgerber e che si riproporrà, seppur in forma

diversa, negli altri tentativi di analisi del lessico che seguono l’approccio di campo, almeno

fino a quando si affermerà una teoria semantica contestualista (Lehrer, 1974; Lyons, 1977

e Grandy, 1992) che vincola l’estensione del campo a fattori che i due linguisti tedeschi

ritengono di natura extralinguistica e, pertanto, non pertinenti all’analisi concettuale e

linguistica.

Lo stesso Trier (1931:6-7), a dire il vero, sembra conscio del fatto che il campo lessicale

non è sempre strutturato secondo una modalità rigidamente gerarchica, tant’è che propone

una distinzione tra campi matematici (mathematischen Felder) e campi non (o meno)

matematici e sostiene che, in questi ultimi, si pone con maggiore incertezza il problema

della delimitazione dei confini tra i significati le parole. D’altra parte, egli è, però, convinto

che la struttura del campo non varia con il variare dell’area lessicale che si intende

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sottoporre ad analisi poiché il numero e la posizione dei segni presenti all’interno del

campo – di qualsiasi natura esso sia – sono sempre presenti nella mente del parlante e

dell’ascoltatore.

Queste contraddizioni fanno supporre che Trier, pur consapevole della fluidità dei confini

tanto interni che esterni del campo, volesse porre l’accento soprattutto sulla sua

determinatezza. Determinatezza ed indeterminatezza sono, come ha mostrato Garroni,

(1998:73) “il duplice volto del linguaggio”. Una teoria semantica prende sempre le mosse

da questa antinomia e deve cercare, in qualche modo, di ricomporla.

Il modello del mosaico utilizzato per spiegare il rapporto tra il campo concettuale e il

campo lessicale esclude la presenza di lacune all’interno dei campi lessicali e del sistema

lessicale nel suo complesso; tuttavia, anche su questo punto, l’impostazione di Trier risulta

spesso contraddittoria.

D’altra parte, proprio lo studio delle lacune lessicali ha mostrato che tra le strategie

utilizzate per riempire i gap assume particolare importanza quella di reperire la parola

mancante nello stesso campo lessicale. In presenza di un gap funzionale, ovvero, della

mancanza di una parola specifica per esprimere ciò che il parlante vuole comunicare, egli

attiva una serie di strategie per sopperire alla lacuna (gap filling strategies).

Il campo lessicale divide il campo concettuale sulla base di principi di tipo percettivo,

cognitivo e culturale; per questo motivo la strutturazione linguistica dell’area concettuale

non sempre conduce a una categorizzazione gerarchica e definita dell’esperienza. Se

consideriamo, ad esempio, il campo lessicale dei termini afferenti ai contenitori (Lehrer,

1974:82) notiamo che «the variety of shapes, sizes, materials, and functions, provides

many times the number of possible objects as there are words. So each word has to cover a

fairly wide range» (Ibidem, p. 87).

Senza abbandonare il principio della priorità dell’analisi sincronica su quella diacronica,

Trier sostiene la necessità di analizzare parallelamente la struttura dei campi lessicali che il

linguista storico riesce a ‘congelare’ nel costante fluire della lingua.

Saussure, nella sua argomentazione circa l’impossibilità dell’analisi diacronica senza una

preliminare analisi sincronica, stabilisce un’ulteriore ripartizione: l’analisi sincronica si

occupa dei sistemi, l’analisi diacronica riguarda i singoli elementi.

La Wortfeldtheorie nasce per scopi puramente pratici come metodo della semantica

diacronica, disciplina alla quale Trier era principalmente interessato. Durante il lungo

studio del lessico della sfera semantica della conoscenza nel medio - alto tedesco,

intrapresa fin dagli inizi degli anni Venti, Trier si accorse che le parole che rientravano in

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questo ambito formavano una sfera lessicale estremamente intrecciata ed articolata e che le

aree semantiche ricoperte di singoli termini si delimitavano reciprocamente, fino a coprire

l’intera sfera delle attività intellettuali. Egli si soffermò sui rapporti paradigmatici che si

attivano in una stessa sfera concettuale, sostenendo, così, di aver trovato la strada che

consentiva di analizzare la storia del contenuto della lingua con un metodo nuovo,

attraverso il quale poter dimostrare:

Può essere chiaramente dimostrato quale posto questo campo occupa nella struttura di ordine

superiore e in che modo questo insieme parziale si trasforma (cosa storicamente molto interessante)

dal punto di vista dell’antropologia, dei rapporti, delle associazioni e della posizione e come

cambia il contenuto della lingua, in modo tale che una comunità linguistica, grazie al nuovo suo

spazio linguistico, allo stato B sa di cose che non sapeva allo stato A, e allo stato A sapeva di cose

che non può più sapere allo stato B (Trier, 1934b:150, trad. nostra).

Nella sua analisi del Sinnbezirk des Verstandes nell’alto e medio tedesco, Trier confrontò

due sistemi lessicali sincronici, il primo riguardava il lessico della conoscenza del 1200, il

secondo comprendeva le parole che coprivano lo ‘stesso’ dominio semantico circa un

secolo dopo.

Nel 1200 il campo era compendiato nei termini Wîsheit, Kunst e List. Kunst era riferito alle

conoscenze di corte e comprendeva anche il comportamento sociale; List stava ad indicare

capacità o conoscenze di tipo tecnico; Wîsheit era invece un termine generale che copriva

l’intero campo ed era, perciò, iperonimo di Kunst e List. Circa un secolo dopo12

, i termini

che coprivano la sfera semantica della conoscenza erano Wîsheit, Kunst e Wissen. Il

termine Wîsheit aveva cambiato significato; nel 1300 non era più usato come termine

generale della sfera della conoscenza, ma indicava esclusivamente le conoscenze intese in

senso religioso o mistico; Kunst, aveva perso la sua connotazione di termine riferito alla

vita di corte ed indicava l’insieme delle conoscenze e della capacità mondane; il nuovo

termine entrato nel campo, Wissen, non sostituisce automaticamente il significato del

vecchio List poiché nel passaggio da uno stato sincronico all’altro sono mutati i termini e

le relazioni esistenti tra loro.

L’analisi della struttura del campo del 1200 ci permette, secondo Trier, di entrare nella

struttura linguistica cortese poiché tutto ciò che riusciamo a capire dei rapporti umani di

quell’epoca è determinato dal particolare modo di coesistenza e dai rapporti interni che

12

Le ricerche relative alla terminologia del misticismo in Meister Eckhart (1300 ca.), condotte da Suor

Humilitas Schneider (Der Intellektuellen Wortschatz Meister Eckaharts, Dissertazione alla Facoltà di

Filosofia e Scienze naturali di Münster, 1934), furono utilizzate da Trier per la comparazione tra questo stato

sincronico e quello da lui investigato sulla struttura della stessa sfera semantica nel 1200.

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intercorrono tra queste tre parole (cfr. Trier, 1934b:151); lo stesso può dirsi dello stato

sincronico del campo del 1300. Nessuno dei due stati di lingua, egli afferma giustamente,

risulta essere più vero dell’altro in quanto ciascuno riflette una diversa rappresentazione

dei fatti.

Trier intende dimostrare che il cambiamento che avviene all’interno del campo nel

passaggio da uno stato di lingua all’altro non consiste nella semplice soppressione o

sostituzione di una parola con un’altra e sostiene che il cambiamento della struttura

lessicale del campo comporta sempre una ristrutturazione sul piano concettuale,

corrispondente alle trasformazioni sul piano culturale e sociale di un dato periodo storico.

La conseguenza più immediata della concezione del campo come unità linguistico-

concettuale chiusa è stata quella di considerare la teoria di Trier particolarmente adatta

all’analisi delle cosiddette concrete del lessico. Non a caso essa è stata utilizzata, dopo

trier, soprattutto per descrivere l’organizzazione lessicale di porzioni del lessico abbastanza

stabili sia dal punto di vista diatopico che diacronico, con una spiccata preferenza per i

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gruppi semantici con denotata facilmente identificabili (campo lessicale dei termini di

colore, dei termini di parentela, dei nomi indicanti le piante, ecc.).

Il dibattito su questo punto è stato aperto proprio da Trier che sosteneva che,

contrariamente alle ricerche semasiologiche e onomasiologiche della linguistica

tradizionale, la sua teoria fosse applicabile, in via preferenziale, alle aree astratte del

lessico. La critica successiva ha, però, privilegiato l’opinione opposta. Scrive Lyons

(1977a, trad. it. 1980:280):

Nel caso dei termini dei colori, ciascun colore riconosciuto da una lingua particolare può

essere associato con un’area del continuum psicofisico del colore (il suo denotatum); e i

limiti di quest’area possono essere stabiliti, in modo approssimativo, ma abbastanza

valido ai nostri fini, in una metalingua neutra. Ciò evidentemente non può farsi con

quelle aree che potremmo descrivere come parole astratte quali conoscenza e

intelligenza. È dubbio che conoscenza e intelligenza abbiano denotata identificabili. Se

ne hanno, la relazione di denotazione è molto più complessa della relazione che sussiste

fra rosso e blu e i loro denotata.

In linea di principio, però, sia Geckeler (1979) che Lyons (1969 e 1977) convengono sul

fatto che la teoria del campo lessicale può essere applicata all’analisi del sistema lessicale

nel suo intero, senza distinzioni artificiose tra campi concreti e astratti poiché i principi

determinanti la struttura lessicale sono esattamente gli stessi13

.

Non sorprende che Trier, date le premesse linguistico - filosofiche da cui nasce il suo

metodo, abbia deciso di analizzare un campo lessicale ‘astratto’ quale quello della

conoscenza. Una volta accettato il fatto che il lessico tutto è articolato in porzioni

organizzate, non c’è alcuna differenza teorica né metodologica tra l’analisi dei campi

lessicali ‘concreti’ e quelli ‘astratti’. Il fatto che la teoria dei campi semantici possa essere

limitata, per così dire, ai Realia, si è dimostrato privo di fondamento teorico poiché, come

riconosce lo stesso Trier, dal punto di vista linguistico e concettuale è assolutamente

ininfluente che il significato di un termine rinvii nella realtà extralinguistica ad un

denotatum (o referente) chiaramente identificabile.

13

In Diodato (2015: 67 e ss.) si mostra proprio come le modalità di categorizzazione dei colori e delle

categorie a base percettiva non siano diversi da quelli in opera per le aree cosiddette ‘astratte’, attesa

l’interrelazione tra fattori naturali e culturali alla base dei processi cognitivi e concettuali umani.

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23

3. Campo lessicale e analisi componenziale: il modello della gocciolina

atomica

L’analisi componenziale, uno dei metodi di indagine più diffusi in semantica, si fonda sul

principio della scomponibilità del significato in componenti di ordine inferiore (tratti

semantici o atomi di significato).

L’idea che soggiace all’analisi componenziale va rintracciata nella tradizione filosofica

della ricerca della lingua perfetta. Studiosi come Lullo (1233/5-1315), Dalgarno (1661),

Becker (1661) e Wilkins (1668) avevano, in epoche diverse, cercato di costruire delle

lingue universali sostituendo alle parole di uso comune un sistema di simboli

corrispondenti ai concetti ‘reali’. Sicuramente il maggiore contributo alla maturazione

all’idea della scomponibilità delle idee complesse in idee semplici universali proviene da

Leibniz, il cui pensiero continua ad ispirare anche i tentativi più recenti di costruzione di

un Metalinguaggio Semantico Universale quale quello che Wierzbicka e i suoi

collaboratori stanno mettendo a punto fin dagli anni Settanta.

Prima di affermarsi nel paradigma della linguistica strutturalista europea, l’analisi

componenziale si era affermata sul finire dell’Ottocento negli Stati Uniti, là dove era stata

molto utilizzata soprattutto in ambito antropologico ed etnolinguistico. In questo contesto,

autore della prima analisi in tratti distintivi (componential analysis) è stato l’antropologo

americano Lewis Morgan, che, nel 1871, pubblicò una monumentale monografia dal titolo

Systems of Consanguinity, opera che ha inaugurato un fortunato filone di ricerca sui

termini relativi ai sistemi di parentele nelle varie lingue amerindie14

.

Sempre negli Stati Uniti, negli anni Sessanta del Novecento, mentre in Europa si era già

affermata come metodo di indagine della linguistica strutturalista, l’analisi componenziale

viene inglobata nella teoria della grammatica generativa15

che sfocia nella semantica

trasformazionale di Katz e Fodor16

. Tutt’altro che superata, nel corso degli anni Sessanta e

14

Tra gli autori che hanno applicato la componential analysis nello studio del lessico delle lingue amerinde

ricordiamo anche Goodenough, (1956), Lounsbury (1956) e Conklin (1962). 15

Cosa che non stupisce se si considera che nel 1948 il linguista americano Zelig Harris, maestro di

Chomsky, aveva pubblicato su Language un saggio dal titolo Componential Analisys of a Hebrew Paradigm

in cui analizzava in termini di analisi componenziale il paradigma di un verbo ebraico. 16

Katz e Fodor (1963) inseriscono la teoria semantica componenziale nel quadro di un ampio progetto di

costruzione di un lessico, formato da una serie di entrate lessicale associate a diverse informazioni: la parola

nella sua forma fonologica ed ortografica, gli indicatori grammaticali, le restrizioni di selezione e i tratti

semantici, che essi denominano semantic markers and distinguishers. Questi ultimi sono definiti come “the

means by which we can decompose the meaning of one sense of a lexical item into its atomic concepts”

(Katz e Fodor, 1963,186)

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24

Ottanta questa teoria si afferma, come vedremo, anche nel quadro di diversi orientamenti

della linguistica cognitiva17

.

Secondo i sostenitori delle teorie componenziali, le parole che condividono uno o più

atomi di significato presentano delle relazioni semantiche; pertanto è possibile affermare

che formeranno un campo lessicale tutte le parole che presentano almeno un tratto

distintivo in comune. L’analisi componenziale, quindi, sembra essere una buona cornice

teorica per ridurre la presunta arbitrarietà della nozione originaria di Wortfeld.

Ricordiamo che Trier, definendo il campo lessicale come insieme di parole connesse dal

punto di vista paradigmatico, aveva lasciata inspiegata la natura di questa connessione

esponendo la sua teoria alle critiche di coloro che ne vedevano difficile la sua applicazione

concreta. Trier intende, infatti, le parole come unità non scomponibili in elementi minimi e

lascia, così, aperta la questione dei confini dei campi lessicali. La presunta arbitrarietà

dell’impostazione di Trier deriva dal fatto che, in linea di principio, tutte le parole possono

essere, sulla base di qualche criterio, associate tra loro (cfr. la nozione saussuriana di

campo associativo). Per distinguere la mera associazione verbale dalla relazione semantica

vera e propria occorre, quindi, stabilire un qualche criterio che consenta la definizione

delle strutture lessicali non su basi intuitive ma su fondamenti metodologici rigorosi. Per

questo motivo la teoria dei tratti distintivi apparirà ai linguisti strutturalisti come l’unico

metodo atto a rendere utilizzabile la teoria trieriana sul piano empirico.

La tesi strutturalista della scomponibilità del significato in tratti distintivi prende le mosse

dalla nozione saussuriana della bifaccialità del segno linguistico18

. Così come il

significante è analizzabile in tratti distintivi, anche il significato sembra essere, a partire

dall’interpretazione di Hjelmslev (1943), suscettibile di essere analizzato in tratti minimi (o

figure del contenuto). Si avanza, quindi, l’ipotesi della simmetria del segno, ovvero si

afferma la perfetta specularità di significante e significato poiché entrambi i versanti del

segno sono ritenuti essere dati dalla somma di un insieme chiuso e definito di tratti minimi.

L’applicazione della teoria dei tratti distintivi in fonologia prevedeva il rispetto di due

condizioni che non si verificano sul piano dell’analisi lessicale :

17

Sulla teoria componenziale si fonda la teoria di Shank (1972), le teorie delle reti di Norman e Rumelhart

(1975) e le teorie di Miller e Johnson-Laird (1976) e di Jackendoff (1983). 18

Su questo tema si veda anche l’esauriente contributo di Petrilli (1998).

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25

1) l’analisi di un’unità fonologica non può essere effettuata isolatamente, ma solo

contemporaneamente all’analisi di tutte le unità che rientrano nel sistema (principio

della completezza di Jakobson);

2) per ottenere un inventario dei tratti distintivi validi universalmente è necessario

procedere all’analisi di un vasto insieme di sistemi fonologici di lingue e dialetti

diversi19

.

Se queste due condizioni sembrano essere rispettate nell’analisi dei sistemi fonologici e

morfologici20

, esse non sembrano poter essere soddisfatte quando ci si avvicina

all’indagine dei sistemi lessicali.

Sia il sistema fonologico che quello morfologico presentano a differenza del sistema

lessicale, le proprietà della chiusura e della limitatezza degli elementi che rendono

possibile un’analisi in tratti distintivi senza residui, individuando, cioè, tutti i tratti

necessari e sufficienti a descrivere un dato sistema.

Questa tesi deriva da un’interpretazione per molti versi fuorviante della lezione

saussuriana. Saussure, infatti, non era mai arrivato a sostenere la simmetria di significante

e significato; per contro, egli sembrava affermare che, mentre il significante si articola in

elementi minimi discreti, il significato “est indéfiniment extensible” (De Palo, 2003:251).

La differenza tra la semantica strutturalista e la “semantica saussuriana” è, dunque,

sostanziale: l’idea della elasticità e della estendibilità del senso – e, dunque, il

riconoscimento dell’indeterminatezza semantica (cfr. De Mauro, 1991:108) – viene

eliminata dai sostenitori della tesi della simmetria del segno che, avanzando una

concezione categoriale e componenziale del significato, affermano l’assunto

dell’analizzabilità del significato come entità autonoma, che va indagato esclusivamente

sulla base dei rapporti tra le unità linguistiche all’interno del sistema.

In ambito strutturalista, la tesi della scomponibilità del significato in tratti distintivi si

attesta a partire dall’interpretazione del Cours di Hjelmslev che, ispirandosi alle teorie

fonologiche maturate all’interno della Scuola di Praga (Trubeckoj, 1939), ne applica i

principi alla semantica.

19

Sul piano dell’analisi fonologica si è riusciti ad individuare un numero chiuso di elementi minimi operanti

in tutti i sistemi fonologici. Jakobson (1951) ha sostenuto che i sistemi fonologici delle lingue umane

possono essere analizzati sulla base di dodici opposizioni. 20

Lo stesso Jakobson (1932) tentò di applicare la sua teoria dei tratti distintivi ai sistemi morfologici,

mostrando l’applicabilità dell’analisi in tratti ai sistemi caratterizzati da un numero di tratti chiusi e limitati.

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26

L’analisi dei due piani del segno deve essere condotta rispettando il principio di riduzione.

L’indagine deve, cioè, procedere con il fine di individuare su ogni piano le unità ultime, il

cui numero deve essere il più ristretto possibile. Per ogni esemplare (variante) deve essere

individuata l’entità (invariante irriducibile o glossema) di cui essa è esemplare. Per

individuare le invarianti e per distinguerle dalle varianti, Hjelmslev propone la nozione di

fattore distintivo, già applicata con successo in fonologia (Jakobson, 1933 e Trubeckoj,

1939).

La distinzione tra varianti e invarianti si compirà con lo stesso criterio sia sul piano del

contenuto che sul piano dell’espressione. Come su quest’ultimo si avrà un’invariante là

dove la correlazione tra due unità ha una relazione con una correlazione del contenuto,

anche sul piano del contenuto si hanno due invarianti se la loro correlazione ha una

relazione con una correlazione sul piano dell’espressione. In altri termini, se lo scambio di

un solo elemento con un altro porta uno scambio anche sull’altro piano della lingua avremo

trovato un’invariante dell’espressione o del contenuto. La prova di commutazione che, sul

piano dell’espressione ha portato al riconoscimento di un insieme chiuso di fonemi, porterà

sul piano del contenuto all’individuazione di un numero limitato, sebbene più ampio, di

figure. Le figure che formano l’espressione sono dette cenematemi, quelle che formano il

contenuto plerematemi. Nei cenematemi rientrano i cenemi (costituenti) e i prosodemi

(esponenti); i plerematemi, invece, comprendono, i pleremi (costituenti) e i morfemi

(esponenti). Le unità minime sul piano dell’espressione sono unità prive di contenuto;

quelle sul piano del contenuto sono, invece, unità piene. Il nesso tra queste due unità

costituisce il glossema che, nei termini di Hjelmslev, è assimilabile al segno di Saussure.

Riguardo alla natura dei tratti semantici o figure del contenuto, l’approccio di Hjelmslev si

distingue dalle analisi semantiche componenziale condotte all’interno del paradigma

generativista: essendo individuabili solo in funzione del testo, le unità di analisi non sono

intese come atomi di significato universali o innati. Atteso che la lingua è forma e che la

sostanza, essa non può essere analizzata indipendentemente ma solo in quanto già formata,

sia la differenza che la somiglianza tra le lingue dipende dalla forma, quindi da fattori

interni al linguaggio. Perciò, lo studio linguistico non è, in questo senso, ontologico.

L’analisi di questo piccolo sistema mostra che i termini designanti i nomi degli animali e

degli esseri umani differiscono a coppie sulla base del tratto semantico individuante la

sessualità (+ MASCHIO), mentre i termini che condividono il tratto +UMANO si differenziano

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non solo in base alla presenza o assenza del tratto + MASCHIO ma anche sulla base del tratto

indicante l’età (+ADULTO)21

.

Termine Tratti Distintivi (Figure del Contenuto)

Montone + ANIMALE + OVINO + MASCHIO

Pecora + ANIMALE + OVINO – MASCHIO

Stallone + ANIMALE + EQUINO + MASCHIO

Giumenta + ANIMALE + EQUINO – MASCHIO

Uomo +UMANO +ADULTO + MASCHIO

Donna +UMANO +ADULTO – MASCHIO

Bambino +UMANO -ADULTO + MASCHIO

Bambina +UMANO -ADULTO – MASCHIO

La ricerca di un metodo preciso di analisi lessicale, fondato sulla tesi del parallelismo tra i

due piani della lingua e sulla riduzione del contenuto in figure o tratti distintivi,

caratterizza tutto l’approccio strutturalista europeo. Dopo Hjelmslev e il suo allievo Prieto

(1964), anche Pottier (1963, 1965) e Greimas (1966) applicano il metodo all’analisi di

alcuni ristretti campi lessicali22

, ma è soprattutto con Coseriu e con la sua Scuola che si

afferma una nuova teoria delle strutture lessicali – la Lessematica – fondata sul metodo

della riduzione di Hjelmslev e sulle teorie dei campi lessicali di Trier e Weisgerber per le

strutture paradigmatiche e di Porzig per le strutture sintagmatiche. Sempre a Coseriu va

attribuito, inoltre, il primo importante tentativo di classificazione delle strutture lessicali

paradigmatiche e sintagmatiche.

L’evidenza delle differenze tra sistemi fonologici e sistemi lessicali non deve, secondo

Coseriu, portare alla negazione dell’esistenza o della non analizzabilità delle strutture

lessicali dal punto di vista strutturale. Ed è proprio su questo punto che la Wortfeldtheorie

di Trier e Weisgerber si dimostra un buon metodo per descrivere e spiegare

21

Questi ultimi termini costituiscono, all’interno del campo lessicale della sessualità, un altro campo lessicale

più piccolo, quello afferente ai termini relativi alla razza umana (cfr. Leech 1974:96). Questo esempio

sembra mostrare che, come aveva inteso Trier, i campi semantici sono organizzati come scatole cinesi, con

un campo lessicale di dimensione maggiore (Grossfeld) che contiene campi semantici di dimensione via via

decrescente. Tuttavia, questa immagine può essere valida solo per la descrizione di un numero abbastanza

limitato di campi lessicali, mentre la maggior parte del vocabolario delle lingue non sembra essere strutturata

sulla base di tale criterio rigidamente gerarchico. 22

Di Pottier (1963) è particolarmente nota, soprattutto per le critiche che ha ricevuto, l’analisi, peraltro

parziale, del campo lessicale della ‘sedia’, comprendente i cinque lessemi chaise, fauteil, tabouret, canapé, e

pouf.

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l’organizzazione lessicale della lingua, soprattutto se abbinata all’analisi del contenuto in

tratti distintivi.

Dalla combinazione della teoria di Trier con il principio delle opposizioni funzionali e con

l’analisi del contenuto in tratti differenziali nasce la Lessematica (o semantica strutturale

diacronica) che è la disciplina che ha per oggetto “lo sviluppo dei campi concettuali

considerati come strutture lessicali di contenuto” e che avrà come suo compito quello di

“stabilire, studiare e, se possibile, spiegare (motivare) il conservarsi, il comparire, lo

scomparire e il modificarsi, nel corso della storia di una lingua, delle opposizioni lessicali

distintive” (Coseriu, 1964, trad. it. 1971:248).

La centralità della nozione di campo lessicale nell’ambito della Lessematica è motivata

anche dalla profonda convinzione di Coseriu e dei suoi allievi che il punto di partenza della

semantica strutturale deve essere la semantica paradigmatica, ovvero la semantica delle

parole (word semantics). Ogni tentativo di analizzare le strutture semantiche combinatorie

(semantica della frase o del testo) deve svilupparsi, infatti, sulla base di una solida

semantica lessicale (cfr. Geckeler, 1988:14).

Per Coseriu, la concezione originaria di Begriffsfeld di Trier e Weisgerber richiede di

essere emendata in alcuni punti affinché possa rappresentare un metodo strutturale vero e

proprio. La struttura del campo lessicale di Trier e Weisgerber è, infatti, una struttura

globale non analizzata in tratti di livello inferiore rispetto al singolo lessema. Da questo

punto di vista, la nozione originaria di Begriffs-Wortfeld sembra essere legata all’idea

dell’organizzazione lessicale come rete di parole più che alla tesi, maturata solo

successivamente, dei lessemi come fasci di tratti distintivi. I campi lessicali di Trier e

Weisgerber rappresentano, tra l’altro, solo un tipo di struttura Lessematica che, come

vedremo, trovano una collocazione ben precisa nell’esame dell’insieme delle strutture

lessematiche di Coseriu.

Coseriu (1964) ripropone la tesi del parallelismo tra l’analisi del livello dell’espressione e

quella del livello del contenuto, ma la sua argomentazione è esposta in termini più

moderati rispetto a quelli di Hjelmslev. Egli è, difatti, ben consapevole del fatto che il

sistema lessicale della lingua presenta margini di strutturazione più incerti rispetto a quelli

del sistema fonologico, ma ritiene che questa osservazione non presenti, in linea di

principio, un impedimento al tentativo di analisi del sistema lessicale fondato sul metodo

dei tratti distintivi.

La Lessematica è stata sviluppata a partire dagli anni Settanta nell’ambito della scuola di

semantica di Tubinga. In questo contesto il termine strutturale viene inteso

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29

(…) in an analytic respect, as referred to the organization of the content level of

language by means of functional lexical oppositions. In this primary type of lexical

semantics, the analysis of lexical meaning is carried out by the decomposition of content

into smaller elements (situated below the sign-threshold), i.e. into relevant meaning-

differentiated features. Thus, the content of a lexeme results from the structure of its

semantic features (archisememe, dimensions, semes and classemes) (Geckeler, 1988:12).

Per Coseriu, la teoria del campo semantico di Trier e Weisgerber rappresenta, come

abbiamo detto, un lavoro pionieristico nell’ambito della semantica strutturale diacronica.

Le sue strutture lessicali o strutture lessematiche intese come “sistemi ristretti e immediati

del lessico” sono analoghe, sotto molti aspetti, ai Begriffsfelder di Trier e Weisgerber23

. Il

grande merito del linguista rumeno è stato quello di aver provveduto ad una classificazione

delle strutture lessicali (o lessematiche) e di aver collocato in questo quadro la nozione di

campo lessicale di Trier e Weisgerber24

.

Le strutture paradigmatiche «sono costituite da unità lessicali che si trovano in opposizione

sull’asse della selezione» (Coseriu, 1968, trad. it. 1971:292); sono, quindi, insiemi di unità

lessicali tra le quali, in un punto della catena parlata, bisogna scegliere.

23

Le strutture lessematiche sono assimilabili anche alle ‘piccole classi chiuse’ del lessico individuate da

Hjelmslev (1943, trad. it. 1968) che, stranamente, pur richiamandosi ad altre teorie del campo lessicale, non

cita il lavoro ‘pionieristico’ dei due linguisti tedeschi (cfr. anche Coseriu, 1964, trad. it. 1971:243). 24

Quest’ultimo, dal canto suo, aveva provveduto ad una classificazione dei campi lessicali sia dal punto di

vista delle dimensioni sulle quali si articolano sia dal punto di vista dell’ambito lessicale nei quali si

presentano, ed aveva inglobato il concetto di campo lessicale (Wortfeld) nel contesto più ampio dei campi

linguistici, che – lo ricordiamo – comprendevano sia i campi lessicali che i campi sintattici.

blu

….. rosso

giallo

nero

verde

gonna

……... abito

giacca

vestito

cappotto

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Come mostra l’esempio riportato nei diagrammi, nella frase ho comprato un cappotto

verde, la presenza di cappotto in un punto della catena parlata esclude vestito, giacca,

gonna, ecc. mentre la presenza di verde esclude tutti gli altri termini di colore, ma non

termini appartenenti ad altri campi (piccolo, grande, lungo, corto, ecc.).

Essendo il campo lessicale definito come un “paradigma lessicale”, composto, cioè, solo

dai lessemi che formano un sistema di opposizioni, esso comprenderà necessariamente solo

una pars orationis. Coseriu esclude, perciò, dall’analisi lessematica le perifrasi che, pur

rientrando nell’ambito di significato dei termini, non possono appartenere al campo

lessicale che è essenzialmente concepito come un “campo di parole”.

Le due definizioni non sono in contrasto con quanto affermato su base intuitiva da Trier.

Tuttavia le definizioni di Coseriu presentano due aspetti che nelle prime formulazioni del

concetto di campo lessicale non erano stati considerati. Oltre all’esplicito riconoscimento

del principio delle opposizioni funzionali come metodo sulla base del quale il campo

lessicale è individuabile e definibile, Coseriu afferma, difatti, anche la necessità di

distinguere il valore (o significato) unitario dal significato dei singoli lessemi nel campo.

Il concetto di arcilessema risolve il delicato problema della descrizione della struttura

interna del campo lessicale. A questo proposito, Trier aveva dichiarato che le parole

ricavano la loro determinatezza semantica reciprocamente, in virtù dei rapporti che esse

intrattengono tra loro all’interno del campo. Il significato di una parola nel campo si

definisce esclusivamente sulla base del suo valore posizionale. Pur condividendo questa

impostazione di fondo, Coseriu riconosce che bisogna scindere il significato globale del

campo dal significato delle parole al suo interno; significato, quest’ultimo, che si stabilisce

su base differenziale: per ogni Begriffsfeld va individuato un contenuto o valore unitario

sulla base del quale esso si oppone ad altri campi concettuali; tale valore unitario andrà a

sua volta analizzato sulla base delle opposizioni riscontrabili tra le parole (i lessemi) che lo

compongono. L’arcilessema può essere realizzato come unità lessicale, ma non è

necessario che lo sia.

Il valore unitario del campo costituisce un tratto distintivo primario in forza del quale è

possibile individuare opposizioni di ordine inferiore tra le parole che vi rientrano; il campo

lessicale così definito trova il suo limite esterno là dove una nuova opposizione impone il

cambiamento del tratto distintivo dominante (quello relativo al campo nel suo complesso).

La nozione di arcilessema permette di risolvere la questione dei confini del campo

lessicale per la quale né Trier né Weisgerber avevano trovato soluzione.

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3.1 Alinei e il dominio semantico di ‘cavallo’

Anche il lignuista Mario Alinei ritiene feconda l’applicazione del metodo componenziale

per l’analisi e la descrizione del sistema lessicale della lingua. L’analisi in tratti distintivi

binari sviluppata nell’ambito della Scuola fonologica di Praga non è, secondo questo

autore, «una mera teoria linguistica, ma una teoria di validità generale» che trova le sue

premesse teoriche nella filosofia dialettica di Hegel e Marx (Alinei, 1974:6).

Lo studio strutturale del lessico secondo il metodo componenziale consente, per Alinei

(Ibidem, pp. 6-7) la ricostruzione delle visioni del mondo racchiuse nei lessici delle varie

lingue25

, permette l’analisi della mobilità strutturale del lessico e dimostra l’autonomia

della competenza lessicale all’interno del complessivo sviluppo linguistico del bambino.

Dal punto di vista pratico e teorico, questo metodo ha due meriti importanti: da un lato,

anche se l’analisi componenziale è stata condotta su sistemi lessicali ristretti e, tutto

sommato, banali, ha portato alla definizione di alcune proprietà formali generali dei sistemi

lessicali; dall’altro ha consentito di utilizzare sul piano linguistico lo stesso metodo messo

a punto per le tassonomie dei biologi (Ibidem, p. 20).

Condizione assoluta per la validità dell’analisi componenziale è l’individuazione di tutti i

tratti minimi che caratterizzano una dato sistema o, almeno, di poter raggruppare tutti i

termini di un sistema che condividono un certo tratto.

Attesa l’impossibilità di ridurre il lessico a un numero finito di tratti distintivi universali,

Alinei fonda la sua analisi del dominio lessicale del cavallo sull’ipotesi che «tutte le

definizioni lessicali di un dizionario siano un’immagine approssimativa e rudimentale di

definizioni formali in tratti» (Ibidem, p. 31). Non tutti i lemmi del dizionario sono, però

tratti semantici universali in senso sostanziale ma tratti universali formali. La nozione di

tratto semantico primitivo ed universale deve essere, perciò, intesa in senso storico e non in

senso logico o ontologico. L’analisi di ciascuna unità lessicale, che coincide con il lemma,

25

L’analisi componenziale, tradizionalmente utilizzata per rendere conto delle differenze strutturali tra lingue

culturalmente diverse, è utile, secondo Alinei, anche per evidenziare le differenze tra lingue appartenenti a

culture vicine. Se nel primo caso, infatti, tali differenze sono il riflesso di differenze culturali e ambientali

(famoso l’esempio dell’abbondanza dei termini eschimesi per designare la neve); nel secondo caso le

differenze rivelano delle diversità afferenti alle basi conoscitive e socio-psicologiche dei popoli. Alinei

(1974:40) porta l’esempio del sistema lessicale dei suoni del cane e riconosce che gli italiani accentuano gli

aspetti vezzeggiativi e lamentosi mentre gli inglesi e gli olandesi, pur appartenendo allo stesso ambito

culturale, accentuano le caratteristiche meno emotive. Tuttavia, tali osservazioni non devono necessariamente

portare a conclusioni “esageratamente relativistiche” poiché “alle incontestabili influenze storico-culturali e

socio-psicologiche sulla percezione del mondo, la lingua oppone come forza di segno contrario la possibilità

di percepire il reale analiticamente oltre che lessicalmente; per cui anche l’ABBAIARE può essere, per

l’Italiano, NERVOSO, CONCITATO, RAPIDO RABBIOSO, ecc.” (Ibidem, maiuscoletto nel testo).

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ovvero con l’entrata del dizionario, si attua a partire dalle parole che compongono la sua

definizione nel dizionario; tali parole vengono trattate come tratti distintivi della data unità.

Sulla base di questa ipotesi di lavoro, Alinei e i suoi collaboratori hanno provveduto a una

prima scrematura del lessico della lingua, ottenendo delle famiglie lessicali costituite da

tutti i lemmi che condividono un certo tratto distintivo. Queste parentele lessicali saranno

di diverso tipo: avremo parentele di primo grado se i lemmi condividono un solo tratto, di

secondo grado se condividono due tratti e così via.

Le definizioni del dizionario non sono, però, delle vere e proprie analisi in tratti delle unità

lessicali, anche se, essendo definizioni analitiche, contengono molti tratti coincidenti; per

utilizzarle come tali è necessario correggere alcuni difetti che rendono asistematico e non

strutturato il primo tabulato ottenuto con questo rudimentale esperimento.

A un primo livello di analisi, Alinei e i suoi collaboratori hanno estratto dalle definizioni

del vocabolario italiano26

, con un procedimento automatico, tutti i lemmi che presentano

nella loro definizione il lessema cavallo ed hanno ottenuto un primo tabulato notevolmente

disomogeneo. Tale disomogeneità è dipesa, secondo i ricercatori, dal fatto di non aver

tenuto in conto alcune proprietà generali dei sistemi lessicali. Una prima proprietà che

permette la riduzione della disomogeneità del materiale ottenuto è la proprietà gerarchica

ed inclusiva del sistema lessicale della lingua che illustreremo con un esempio tratto dallo

stesso Alinei.

Se analizziamo il lessema cane otteniamo una definizione componenziale del tipo:

(animale) (vertebrato) (mammifero) (carnivoro) (canide) → cane

La definizione è rappresentabile ricorrendo a uno schema a albero, che mostra sia la

profondità, data dal numero di livelli successivi a quello iniziale, cioè dei livelli necessari

per arrivare dal termine generale o iperonimo al termine finale, sia la struttura dell’intero

sistema lessicale che si muove lungo due assi, quello della specializzazione (verticale), per

cui si arriva dal termine più generale a quello più specifico, e quello della differenziazione

(orizzontale) che comprende, per ciascun livello, i termini coiponimi.

26

Alinei si serve, a dire il vero, di un vocabolario relativamente ristretto di 42.000 lemmi, le cui definizioni si

compongono di circa 600.00 parole

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Come mostra il diagramma, la definizione componenziale dell’unità lessicale cane

comprende cinque livelli di profondità e consiste nell’insieme di tutti i tratti che collegano

il tratto iniziale con quello finale. L’unità lessicale cane è, dunque, definibile correttamente

con uno qualsiasi dei tratti inclusi nei livelli precedenti. È, infatti, corretto dire che il cane

è un animale, un vertebrato, un mammifero e così via.

Tuttavia, nelle definizioni del vocabolario – ma anche nelle riflessioni semantiche dei

parlanti – per definire un termine si utilizzano per lo più i tratti appartenenti ai livelli di

profondità più contigui. In altre parole, per definire un boxer tutti tenderemo ad usare il

termine superordinato (o iperonimo) che si colloca al livello immediatamente superiore

(diremo “un boxer è un cane”) senza far riferimento ai termini che si collocano su livelli di

profondità più distanti (non diremo “un Boxer è un vertebrato, un mammifero o un

carnivoro”). Per questa ragione, analizzando i primi tabulati rudimentali, Alinei non aveva

trovato, ad esempio, nel gruppo dei nomi delle razze dei cani (bracco, segugio, mastino…)

il tratto dominante ANIMALE, ma solo il tratto dominante di quel sub-sistema, cioè CANE.

Più in generale, le osservazioni di Alinei e dei suoi collaboratori rendono conto anche della

particolare salienza che il livello di base assume nelle nostre modalità di categorizzazione

dell’esperienza (Diodato, 2015:27). Questo esperimento mostra, inoltre, che nei sistemi

lessicali delle lingue, accanto al principio gerarchico, operano anche i meccanismi della

rappresentanza abbreviata – che si verifica quando un insieme di tratti di una definizione

“delega” un lemma a rappresentarli allo stesso livello gerarchico – e dello scambio di

ANIMALE

INVERTEBRATO VERTEBRATO

UCCELLO MAMMIFERO

CARNIVORO ERBIVORO

CANIDE FELIDE

Cane

D I F F E R E N Z I A Z I O N E

S P E C I A L I Z Z A Z I O N E

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funzioni tra il lemma e il tratto – quando un lemma “delega” se stesso a rappresentarsi

come tratto a livello inferiore.

Alinei fonda la definizione componenziale di un termine sulla differenza tra tassonomia e

nomenclatura: i tratti distintivi, i componenti semantici, non sono unità lessicali ma

concetti che servono a scomporre un termine lessicale. È chiaro che ad ogni concetto non

sempre corrisponde un’unità lessicale, mentre ogni unità lessicale corrisponde sempre a un

concetto o a un insieme concettuale. La tassonomia è costruita sulla base di unità

concettuali che possono o meno essere realizzate in una corrispondente unità lessicale e

differisce dalla nomenclatura poiché quest’ultima comprenderà solo le unità lessicali

effettivamente realizzate nel lessico di una lingua (Ibidem, p. 22).

Ai fini dell’analisi componenziale del sistema lessicale della lingua non conta il livello di

analisi; non importa, cioè, la complessità del sistema analizzato quanto il fatto che tutti i

sistemi lessicali «hanno in comune la costruzione a piramide» (Ibidem, p. 24) caratterizzata

dai due processi della differenziazione sull’asse orizzontale e della specializzazione

sull’asse verticale. Una tassonomia di questo tipo è una vera e propria gerarchia dominata

da un tratto unico (quello afferente al livello zero). Questo aspetto gerarchico della

struttura lessicale delle lingue è, secondo Alinei, «un universale formale della struttura

mentale umana» perché «una delle capacità “date” dell’uomo sarebbe quella di percepire il

reale attraverso uno schema di rappresentazione concettuale gerarchicamente strutturato»

(Ibidem).

Tuttavia, questa nozione di gerarchia lessicale non deve essere fraintesa27

: tutto il lessico

può essere ricondotto a un unico e coerente principio gerarchico senza residui, a patto che

la nozione di gerarchia strutturale venga intesa come «molteplice, relativa e funzionale»

(Ibidem, p. 184). Le gerarchie degli stessi materiali semantici sono molteplici e sempre

relative, come mostra anche il fatto, spesso sottovalutato, che lo sviluppo lessicale della

lingua non avviene solo lungo l’asse della specializzazione (dal generale al particolare) ma

si muove anche in senso inverso lungo l’asse della generalizzazione (dal particolare al

generale).

Superato il problema della completezza dell’analisi del sistema lessicale globale con

un’analisi in tratti distintivi rudimentale del lessico della lingua a partire dalle entrate

lessicali di un dizionario standard e con l’ausilio di alcuni accorgimenti per limitare la

27

La strutturazione gerarchica del lessico e del pensiero è, per Alinei (Ibidem, p. 24), una costante che resta

tale anche quando il contenuto della gerarchia cambia. Tassonomie popolari e scientifiche possono non

coincidere per contenuto, ma «l’ordine gerarchico che determina la formazione di concetti» rimane invariato.

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35

ridondanza dei tratti e la asistematicità delle prime liste ottenute, Alinei propone una

importante distinzione tra dominio lessicale e sistema lessicale (Ibidem, p. 38).

Il dominio lessicale è composto di lemmi che condividono almeno un tratto e che

appartengono a diverse categorie grammaticali ed è, pertanto, un insieme asimmetrico. Il

dominio lessicale del cavallo sarà, ad esempio, composto da tutti i lemmi che condividono

il tratto CAVALLO. Il sistema lessicale, invece, è composto da tutti i lemmi che condividono

almeno un tratto distintivo e che appartengono alla stessa categoria grammaticale quindi un

insieme simmetrico. Il sistema lessicale dei suoni del cavallo sarà pertanto formato da tutti

i lemmi che condividono il tratto CAVALLO e che appartengono alla stessa categoria

grammaticale.

Questa definizione preliminare di sistema lessicale complica notevolmente la ripartizione

del dominio in sistemi: l’analisi del dominio lessicale, infatti, dovrebbe essere articolata in

tanti sistemi quante sono le parti del discorso (sistema nominale, sistema verbale, sistema

aggettivale, sistema avverbiale…). Per ovviare a questo problema Alinei (Ibidem, p. 53)

definisce il sistema tenendo conto della funzione logico-sintattica del significato del

lemma: un sistema lessicale, sarà, quindi definito come l’insieme dei lemmi che hanno

almeno due tratti in comune di cui uno nella stessa relazione logico-sintattica rispetto

all’altro28

.

Ciascun sistema lessicale sarà costruito intorno a una relazione di base che assegna le

funzioni di soggetto, oggetto e predicato ai due o tre tratti dominanti del sistema. Tale

relazione di base realizza, per mezzo di trasformatori logico-sintattici, dei tipi lemmatici.

Tali tipi lemmatici, con l’aggiunta di tratti semantici secondari, si traducono in lemmi. Un

sistema lessicale sarà scomponibile, quindi, in una pluralità di livelli categoriali. Alinei ne

individua almeno sei:

1. tratti semantici primari (comuni a tutto il sistema) e tratti semantici secondari (che

si aggiungono ai tipi lemmatici per ottenere i lemmi);

28

Un esempio può chiarire la posizione di Alinei: consideriamo tre lemmi appartenenti al sistema dei suoni

del cane, ringhio, ringhiare, abbaiare. Essi, secondo la definizione di sistema di cui sopra, fanno sistema

poiché hanno due tratti in comune (SUONO e CANE) e perché cane è soggetto rispetto a suono. Il sistema dei

‘suoni del cane’ si basa quindi su una relazione logico-sintattica di base in cui il tratto CANE è soggetto e il

tratto SUONO è predicato. È possibile osservare che tutti i verbi afferenti al sistema ‘suoni del cane’ inglobano

in forma abbreviata un soggetto implicito (CANE), così come tutti i sostantivi relativi a questo sistema

inglobano la specificazione “DEL CANE”. Abbaia ha cane come soggetto implicito, cosi come ringhio,

abbaiata, guaito sono tutti completabili per mezzo del sintagma ‘del cane’, che essi implicitamente

sottintendono. Un discorso di questo tipo può essere esteso a tutti i termini del sistema in cui il tratto CANE

funge da soggetto del tratto SUONO, individuando altre funzioni logico-sintattiche, ad esempio, CHE →

abbaione (cane)CHE(abbaia).

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2. categorie logico-sintattiche della struttura di base (Soggetto, Oggetto, Predicato ed

altri trasformatori);

3. i tipi lemmatici;

4. categorie grammaticali (raggruppamenti dei lemmi sulla base dei tipi lemmatici);

5. categorie morfologiche (desinenze verbali, aggettivali, ecc.);

6. altre informazioni lessicali (raro, desueto, dialettale, ecc.).

Queste le premesse teoriche dell’analisi del dominio lessicale di cavallo. Per dare un’idea

della complessità di questo dominio e della precisione con la quale Alinei lo presenta

riportiamo nelle figure che seguono la lista dei 42 sistemi che lo compongono.

Presentiamo, inoltre, anche l’analisi del sistema dominante dell’intero dominio che

coincide con la definizione componenziale (o matrice semantica) del lessema cavallo e del

sistema animali equidi che evidenzia i tratti semantici che distinguono il concetto di

cavallo da quello degli altri animali equidi. L’analisi di questo secondo sistema fornisce

anche un esempio del metodo di Alinei, che distingue le relazioni di base, i trasformatori

logico-sintattici ed, infine, i tipi lemmatici.

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37

Preme ai nostri fini evidenziare il fatto che Alinei sviluppa la sua teoria della struttura

lessicale unicamente sulla base del metodo componenziale così come emerso nell’ambito

della linguistica di Jakobson e dei suoi allievi, escludendo esplicitamente ogni richiamo

alla teoria del campo semantico di Trier e Weisgerber che, a suo dire, rappresenta «un

ramo grosso e secco dell’attività linguistica» (Alinei, 1974:214, n. 21).

Nonostante il recupero e la correzione, peraltro tardivi, dell’originaria concezione di

campo semantico, la dottrina di Trier e Weisgerber non si presterebbe, secondo questo

autore, a una applicazione strutturale poiché

(…) il limite organico di questa teoria è di essersi fermata ad una interpretazione

letterale di Saussure, e di non essere, per così dire, passata per Praga: la “struttura” del

campo è una struttura inanalizzata, senza tratti che la compongano e la spieghino e,

soprattutto, rendano esplicita la natura “incrociata” della struttura stessa. Per questo, la

teoria dei campi arriva e non può non arrivare alla conclusione profondamente errata –

un vero cul de sac – che il lessico sia un “mosaico” sovrapposto al reale. Inoltre, non

disponendo di “tratti”, la teoria dei campi non può delimitare rigorosamente i campi

stessi ed è condannata a piétiner sur place (Ibidem).

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38

Il fatto che la teoria di Trier e Weisgerber non sia «passata per Praga» ne limita

notevolmente la portata poiché essa non offre al ricercatore un metodo rigoroso da

applicare all’analisi dei sistemi lessicali. Non fornendo un criterio preciso per

l’individuazione dei campi e dei loro confini interni ed esterni, Trier e Weisgerber hanno

ancorato, secondo Alinei, la loro teoria ad intuizioni filosofiche poco verificabili sul piano

empirico. Questa di Alinei è una delle più comuni contestazioni alla teoria dei linguisti

neo-humboldtiani, unitamente al rifiuto della metafora del mosaico. Che questa immagine

non rifletta la natura e la struttura del lessico è, ormai, opinione diffusa sia tra i sostenitori

e che dai critici della TCS: il lessico non è concepibile come un insieme di pezzi

combacianti l’uno con l’altro quanto, piuttosto, come «una gigantesca “struttura di

parentele” semantiche, in cui ogni membro riveste diverse funzioni pur restando sempre lo

stesso» (Ibidem, p. 41).

4. Campo lessicale e relazioni semantiche

La semantica strutturale di Lyons (1963, 1977) e dei suoi allievi (Lehrer, 1974; Lehrer -

Kittay, 1981 e 1992; Kittay, 1987 e 1992) rappresenta un’altra linea di sviluppo della

Wortfeldtheorie.

A partire dall’analisi semantica di una porzione del lessico di Platone29

, Lyons contribuisce

all’inserimento della teoria del campo semantico in un contesto teorico in contrasto sia con

le impostazioni dominanti nello strutturalismo europeo che con la tradizione della

grammatica generativa. L’autore, combinando principi tipici della linguistica strutturalista

europea con concetti maturati nell’ambito della semantica filosofica, inserisce l’originaria

concezione di Wortfeld nel quadro di una teoria semantica fondata su una nozione

operazionale o contestuale di significato nella quale acquistano centralità le molteplici

relazioni semantiche che le unità lessicali intrattengono tra loro in un peculiare contesto. In

questo ambito, la stessa nozione di relazione semantica diviene primaria sia per la

definizione del significato lessicale sia per l’individuazione e la definizione del campo

semantico.

Trier e Weisgerber avevano fatto un passo in questa direzione quando avevano

riconosciuto nella definizione del significato di un’unità linguistica la priorità delle

29

Del complesso lessico platonico, Lyons (1963, II ed. 1969:94) analizza il campo lessicale dei termini

riguardanti alla sfera della conoscenza (τέχνη, επιστήμη, σοφία, ecc.). Pur essendo riluttante a postulare

l’esistenza di aree concettuali coperte dallo stesso campo lessicale in diverse lingue, egli riconosce che il

campo semantico oggetto della sua analisi può essere identificato con il Sinnbezirk des Verstandes di Trier.

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39

relazioni semantiche che essa contrae con le altre del campo lessicale e, tra i numerosi

rapporti associativi che il parlante può individuare a partire da un’unità linguistica,

avevano posto l’attenzione sulle relazioni semantiche più propriamente linguistiche

(ovvero fissate stabilmente nella langue). Tuttavia, fa notare Lyons, essi avevano fondato

la loro teoria su una sorta di medium concettuale a priori che la ha indebolita dal punto di

vista sia teorico che empirico. Per Lyons, infatti, l’identificazione del significato di

un’unità linguistica con il concetto (Begriff) o il contenuto (Inhalt) rischia, come abbiamo

visto, di paralizzare il lavoro del linguista conducendolo a delle riflessioni sulla natura del

significato che lo allontanano dallo scopo della sua analisi30

.

Piuttosto che analizzare il significato globale di ogni singola unità linguistica in tutti i

contesti nei quali essa occorre, è teoricamente e metodologicamente più corretto, secondo

Lyons, limitare l’analisi semantica al contesto o ai contesti nei quali l’unità lessicale di

volta in volta occorre. Se la definizione del significato di un lessema in tutti i contesti in

cui esso può occorrere si rivela un lavoro alla lunga estenuante per il linguista (tenendo

conto anche del fenomeno della creatività lessicale), risulta più agevole, ammette Lyons,

limitare l’indagine alle relazioni tra i lessemi che si riscontrano in un particolare testo, in

un singolo autore, in un genere letterario, ecc. (cfr. anche Lehrer, 1974:22).

Schematizzando, mentre l’approccio componenziale àncora la teoria del campo alla

condivisione di uno o tratti in comune, adottando il modello della “gocciolima atomica”,

quello proposto da Lyons poggia sul modello della rete semantica o “ragnatela”. I due

approcci non si escludono, però, a vicenda, come mostra la teoria dei frame.

30

Paralizzante per la linguistica è, secondo Lyons (Ibidem, p. 86) anche la proposta bloomfieldiana della

sospensione della ricerca semantica in attesa delle scoperte provenienti da altre scienze.

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40

5. Campi lessicali e frame

Il tentativo strutturalista di definire il significato per sé ha portato ad affermare la

possibilità di separare i tratti semantici puramente linguistici dai tratti cosiddetti

enciclopedici che, essendo legati a conoscenze non essenziali per la definizione del

significato di un termine, possono – e, secondo i sostenitori delle semantiche a tratti,

devono – essere esclusi dalla matrice semantica.

La distinzione tra conoscenze linguistiche e conoscenze extralinguistiche corrisponde alla

tradizionale dicotomia tra dizionario ed enciclopedia31

, intendendo con il primo concetto

l’insieme ristretto e rappresentabile delle conoscenze costitutive del significato e con il

secondo l’insieme virtualmente illimitato e irrappresentabile delle conoscenze sul mondo32

.

31

Nell’ambito della semantica filosofica un altro criterio per discernere la conoscenza linguistica da quella

extralinguistica è tradizionalmente legato alla dicotomia analitico / sintetico che afferma che sono analitici

tutti gli enunciati la cui verità dipende esclusivamente dal significato delle parole (il cane è un animale);

sono, invece, sintetici gli enunciati i cui valori di verità dipendono da com’è fatto il mondo (il cane è il

miglior amico dell’uomo). Quine (1951) si oppone, com’è noto, alla distinzione analitico / sintetico e, in

particolare, attacca la validità del concetto di analitico poiché la sua stessa definizione è circolare:

l’analiticità presuppone la sinonimia che presuppone, a sua volta, l’analiticità. Per la discussione e la critica

del pensiero di Quine si veda anche Marconi (1999:35-42). 32

Per una discussione su questa dicotomia e per una disamina del concetto di enciclopedia si veda Eco

(1984).

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Oltre a sostenere la fondatezza della separazione tra dizionario ed enciclopedia (o tra

analitico e sintetico33

), l’affermazione del principio dell’autonomia della linguistica e della

semantica esclude dall’analisi semantica ogni riferimento alla dimensione mentale del

linguaggio e delle lingue poiché l’introduzione di istanze cognitive nella determinazione

semantica “inevitabilmente eccede il sistema delle pure relazioni intralinguistiche” (Violi,

1997a:63).

La semantica strutturalista e autonomista è messa in crisi dal progetto di ricerca della

Semantica Cognitiva che nasce, verso la fine degli anni Sessanta, in polemica gli assunti

teorici della Grammatica Generativa. La teoria di Chomsky e dei suoi seguaci aveva,

com’è noto, attribuito una posizione centrale alle rappresentazioni sintattiche intese come

fondamento della semantica che, in questo ambito, veniva a ricoprire un ruolo ancillare e

subordinato34

. Contro il paradigma dei sintatticisti, un gruppo di studiosi generativisti – i

cosiddetti semanticisti – diede vita allo scisma35

che portò all’affermazione della priorità

delle rappresentazioni semantiche su quelle sintattiche e quindi alla nascita della Semantica

Cognitiva. L’approccio cognitivista stabilisce il rovesciamento della prospettiva

generativista dominante: la semantica diviene, da materia ancillare, la disciplina centrale

nell’ambito degli studi sul linguaggio e sulla cognizione umani (cfr. Casadei, 2003a:41)

così come garantisce il superamento del tradizionale approccio strutturalista che ha portato

all’esclusione dalle discipline linguistiche delle più generali modalità cognitive ed

esperienziali umane.

Con la semantica dei frame (Fillmore, 1977 e 1982) e dei prototipi (Rosch, 1975) si

costruisce un nuovo paradigma di ricerca nell’ambito della semantica lessicale che, tenuto

conto delle debite differenze tra gli autori, propone di sostituire la tradizionale prospettiva

componenziale analitica con descrizioni olistiche.

È bene specificare, però, che quella che va sotto il nome di Semantica Cognitiva non è una

corrente di pensiero omogenea quanto una “famiglia di teorie” (Marconi, 1992:431)

33

Non tutti i tratti sono considerati come condizioni necessarie e sufficienti per la definizione del significato.

Una soluzione per determinare quali tratti siano costitutivi del significato e quali no può essere rintracciata

proprio nella TCS. Come afferma Leech (1974:97): “(…) not all semantic opposition relevant to a given

semantic field need to be operant in a given definition within that field”. Così, per specificare la distinzione

tra i lessemi adulto e bambino non è rilevante il tratto SESSO. La neutralizzazione dell’insieme di opposizioni

riscontrabili in un campo lessicale, dipende, dunque, dalla loro pertinenza nel rendere conto di alcune

distinzioni specifiche. 34

Lo stesso Chomsky (1981) ha rivisto la sua posizione riconoscendo il ruolo del lessico. Secondo questa

nuova prospettiva gran parte della sintassi è considerata una proiezione del lessico. 35

Per la ricostruzione della polemica tra sintatticisti e semanticisti si veda Cinque (1979).

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42

essendo caratterizzata da una molteplicità di approcci al problema del significato e della

conoscenza.

La semantica cognitiva supera il tradizionale approccio strutturalista presentandosi come

una teoria della comprensione. Semantica e studio dei processi cognitivi che rendono

possibile la costruzione e la comprensione dei significati (intesi come contenuti mentali)

sono, da questo punto di vista, inestricabilmente connessi36

. Essendo il significato

identificato con il contenuto mentale, non è più possibile, secondo l’approccio cognitivo,

separare la conoscenza linguistica dalla conoscenza del mondo: il significato rimanda a

tutte le nostre conoscenze, alle pratiche sociali e culturali che abbiamo appreso; insomma a

tutti i nostri saperi intesi nel senso più ampio possibile. Alla vocazione dizionariale della

semantica strutturalista si oppone, perciò, la vocazione enciclopedica della semantica

cognitiva (cfr. Violi, 1997a:50).

La scene-and-frame semanticampo semantico di Fillmore presenta molti punti di contatto

con le nozioni di campo lessicale e campo concettuale di Trier. Lo stesso Fillmore (1975,

1977 e 1992) ammette che la sua teoria appare, in un contesto teorico diverso, nei lavori

dei linguisti strutturalisti europei che seguono la teoria del campo semantico e,

individuando una stretta correlazione tra le due teorie, afferma:

The concept of semantic field can be captured by appealing to the notion of schema, and

the allied concept of vocabulary field can be identified with the notion of frame and with

various linkage among frames. The human colour schema identifies the semantic field of

colour terms; the commercial event schema underlies the vocabulary field of buying and

selling. And so on (Fillmore, 1977a:130).

In prima istanza, sia la teoria del campo semantico che la scene-and-frame semanticampo

semantico affermano che i gruppi lessicali riflettono le strutture concettuali e non la realtà

esterna. Questa relazione tra la struttura della lingua e la struttura del pensiero è spiegata in

termini diversi. Per Trier e Weisgerber è la lingua che fornisce i limiti al continuum

indifferenziato del pensiero; per Fillmore, invece, le strutture linguistiche sono, nella gran

parte dei casi, il mero riflesso della struttura concettuale. Mentre il campo di Trier è una

36

Per contro, la pretesa strutturalista di una semantica autonoma da ogni componente extralinguistica

conduceva, come ha argomentato De Mauro (1965) all’affermazione del solipsismo linguistico e

all’impossibilità si spiegare i normali processi di comunicazione e di comprensione.

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struttura linguistica in quanto determinata esclusivamente dalla lingua, il frame è sì una

struttura linguistica ma non sempre è “provided by language”:

The language – chiarisce Fillmore (1985:229 n. 12) – provides the mapping between

linguistic choices and the interpretative frames, but while some of them are ‘created by

language’, most of them can be said to exist independently of the language. The situation

with interpretative frames is similar to what Fauconnier (1985:1) has to say about mental

spaces: “they are not part of language itself but language does not come without them”.

La teoria di Trier riconosce, com’è nello spirito della linguistica humboldtiana, l’azione

costitutiva della lingua rispetto al pensiero; quella di Fillmore, invece, non considera negli

stessi termini il problema del rapporto tra linguaggio e pensiero.

Ciò che conta, però, è che in entrambi gli approcci è riconosciuto il fatto che le strutture

concettuali e quelle linguistiche (siano esse i campi di Trier o i frame di Fillmore)

riflettono anche l’esperienza dei parlanti e che, quindi, sono “experientially-based” (Post,

1988:38).

I campi di Trier e Weisgerber, proponendosi come l’unico metodo atto a riflettere la

“coscienza linguistica” degli utenti della lingua, sono “determined environmentally, i.e.

they reflect the experiences of language users” (Post, 1988:38). Questo aspetto è

tradizionalmente poco riconosciuto dai critici della Wortfeldtheorie che intendono i campi

come strutture meramente formali.

La teoria di Trier considera la struttura della lingua come l’immagine della realtà di

un’intera nazione37

. La teoria di Fillmore sembra essere, invece, indirizzata a spiegare e a

descrivere quello che accade nella mente del singolo parlante38

. In entrambe le

impostazioni, però, prevale la stessa idea di fondo: a parte questa differenza meramente

quantitativa, entrambe le teorie rimandano alle rappresentazioni mentali dei parlanti ed

individuano uno stretto nesso tra la struttura della lingua e la struttura concettuale.

Sia le strutture concettuali che il sistema lessicale sono intese come sistemi. In particolare,

per Trier, il lessico è un sistema articolato in un certo numero di sub-sistemi che

corrispondono ai campi lessicali ; il lessico è, perciò, una struttura gerarchica organizzata

37

Tra le critiche mosse a Trier, Oksaar (1958) ha insistito proprio sui margini di variabilità che il campo

semantico presenta nei diversi individui. 38

Anche nella prospettiva cognitivista è, però, rintracciabile, secondo Post (1988:39), il richiamo a qualcosa

di simile al Volksgeist a cui si richiama Trier. Un esempio in questo senso è offerto proprio dall’analisi dei

sistemi di categorizzazione linguistica che riguardano non tanto i singoli parlanti quanto intere comunità

linguistiche, come quella presentato da Lakoff a proposito della lingua Dyirbal.

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su due livelli paralleli ed isomorfici, i campi concettuali (Begriffsfelder) e i campi lessicali

(Wortfelder) che presentano al loro interno una articolazione rispettivamente in concetti e

in lessemi. La teoria di Fillmore nega, invece, questa immagine omogenea del lessico,

avvicinandosi alla versione cosiddetta ‘debole’ della TCS. D’altra parte, però, “his

heterogeneous lexicon can easily accommodate with the proposal of Trier and other file

theoreticians” (Post, 1988:45).

Un altro forte punto di contatto tra le due teorie sta nella definizione delle strutture

linguistiche e concettuali come Gestalten. Sia i campi di Trier che i frame di Fillmore

sono, infatti concepiti come strutture olistiche.

Trier, con l’appello alla metafora del mosaico, aveva voluto dimostrare che i campi

concettuali sono strutture organiche che coprono l’intero mondo e riflettono il modo in cui

una nazione concettualizza la realtà e che le strutture linguistiche (i campi lessicali) altro

non sono che il mantello di parole che coprono (ma, allo stesso tempo, strutturano) queste

aree concettuale. Fillmore definisce le scene e i frame allo stesso modo: anche queste

strutture sono, infatti, organiche ed olistiche e rappresentano la strutturazione del pensiero

di un individuo o, al limite, dell’intera comunità linguistica.

Dal punto di vista della definizione della nozione di significato, però, le due teorie

divergono. Se Trier e Weisgerber intendevano il significato come valore e individuavano

una assoluta sovrapposizione tra il CC e il campo lessicale fino a predicare l’isomorfismo

delle due strutture, la scene-and-frame semanticampo semantico di Fillmore intende il

significato in termini prototipici, ammettendo che per definire il significato lessicale basta

individuare solo le condizioni tipiche in cui una parola è usata correttamente (cfr. Coleman

e Kay, 1981). In entrambe le teorie prevale, però, il rifiuto di analizzare il significato in

termini che Trier aveva definito atomistici. Se per Trier (1931: 6) «solo nel campo c’è il

significare», per Fillmore (1977B:84) «meanings are relatives to scenes». Nonostante le

divergenti teorie del significato, in entrambi gli approcci il significato di un singolo

lessema è definito «within experientially-based mental structures» (Post, 1988:42).

6. Erasmo Leso: il vocabolario politico nel Triennio rivoluzionario 1796-

1799

L’imponente lavoro di Erasmo Leso (1991) è un’indagine sul lessico politico italiano nel

Triennio rivoluzionario 1796-1799, a partire dalla produzione pubblicistica giacobina.

Questa ricerca si propone di indagare «con occhio storico» (Ibidem, p. 33) un periodo di

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crisi della vita politica e, quindi, di rinnovamento e ammodernamento della lingua italiana

limitatamente al lessico politico. Di questo complesso e frammentato momento storico,

l’autore sceglie di indagare «lo scorcio estremo» (Ibidem, p. 33), alla luce del fatto che le

grandi rivoluzioni politiche lasciano sempre, come ha affermato Migliorini, delle tracce

nelle lingue. L’esperienza del giacobinismo italiano rappresenta, infatti, il «frutto estremo»

(Ibidem, p. 34), nel bene e nel male, dell’Illuminismo ed è, in questo contesto, che nasce

una nuova concezione della politica e della cultura che appaiono, forse mai come in questo

momento, strettamente connesse l’una all’altra.

L’analisi semantica del lessico politico giacobino mostra, oltre all’incertezza e alla

vaghezza del significato che alcune parole assumono in questo delicato momento di rottura

in cui vecchie e nuove forme e vecchi e nuovi usi convivono, la nascita di una nuova epoca

della nostra lingua; un epoca in cui l’italiano smette di essere lingua letteraria per diventare

lentamente la lingua degli italiani.

È in questo periodo che nasce il lessico italiano politico moderno e che si abbandona

gradualmente il bilinguismo sia sul piano politico e militare che sul piano sociale. Il

progressivo affermarsi dell’italiano come lingua degli italiani è strettamente intrecciato al

maturare del sentimento nazionalistico: proprio le spinte unitarie determineranno, infatti,

quelle manifestazioni di nazionalismo linguistico che faranno emergere dalla «selva dei

dialetti» la lingua unitaria (De Mauro, 1963, IV ed. 1991:21).

Le fonti del Triennio sono numerose ma omogenee. Tra queste rientrano saggi, manifesti,

costituzioni, dissertazioni in materia politica e sociale e giornali giacobini italiani. Sono

state inclusi anche un esame dei vocabolari e la raccolta di fonti illuministiche anteriori al

Triennio.

Il corpus scelto è, dunque, «abbastanza esteso, compatto, ma non feticisticamente

ipostatizzato» (Ibidem, p. 37). Questo consente, da un lato, di non restringere l’analisi ad

un solo autore, ad una sola corrente di pensiero o ad una sola «visione del mondo»,

dall’altro di non estendere la ricerca a periodi e fonti tanto numerose che la renderebbero

impraticabile.

L’autore ha preferito, dunque, quelle fonti che consentono di mantenere un buon equilibrio

tra il bisogno di definire un corpus ‘analizzabile’ e la necessità di tener presente tutte

quelle opere che possano contribuire a far luce sui mutamenti semantici che la lingua

attraversa in questa peculiare fase. L’allargamento del corpus a fonti precedenti al Triennio

e l’aggiunta di alcune osservazioni etimologiche sono state possibili anche perché il

materiale selezionato non ha richiesto un’analisi rigorosa, grazie anche al procedimento

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“artigianalissimo” e manuale che l’autore ha volutamente (e orgogliosamente) seguito

(Ibidem, p. 37, n. 54).

Dal punto di vista più strettamente linguistico e teorico, la ricerca è stata svolta, quindi, in

una sincronia abbastanza stretta, con qualche «controllata» incursione diacronica, limitata,

come abbiamo anticipato, a fonti illuministiche e, quindi, di poco anteriori al periodo in

esame.

L’approccio seguito è, per grosse linee, assimilabile alla teoria del campo semantico di

impronta strutturalista. Per ogni lessema si procede, infatti, alla individuazione delle

relazioni semantiche di opposizione (indicate con il segno /), di sinonimia (=), di

implicazione ( ≡) e di incompatibilità (segno ≠).

Dal punto di vista dell’analisi lessicale, lo stile dei testi oggetto dello studio hanno

facilitato, per così dire, la ricostruzione del lessico politico del Triennio. Tra i testi

analizzati, infatti, molti presentano una vocazione pedagogica che giustifica la

preoccupazione “vocabolaristica” dei diversi autori e che sfocia spesso nell’uso di

espressioni esplicitamente metalinguistiche39

(Leso, 1991:30-31). Sia l’intento pedagogico

che la vocazione “vocabolaristica” sono da ricondurre al complesso clima politico di quegli

anni: il lessico riflette, da questo punto di vista, le tensioni politiche e sociali tipiche di un

periodo di transizione da una fase politica reazionaria a una fase “democratica”.

La confusione politica di quegli anni è anche, e soprattutto, confusione linguistica poiché si

vive una situazione in cui «la lingua è strumento della politica» avendo quest’ultima

soprattutto lo scopo di ottenere consensi e di far maturare le opinioni utilizzando la stampa

(Leso, 1991:31). Un periodo di confusione linguistica caratterizzato dal mutamento

semantico di alcuni lessemi, che sebbene presenti e attestati nel lessico politico dei periodi

precedenti, cominciano a dilatare o restringere il loro significato proprio alla luce delle

nuove vicende politiche e sociali.

Dal complesso lavoro di Leso, abbiamo estratto l’analisi che l’autore conduce sui lessemi

democrazia e repubblica, essendo questi ultimi i termini maggiormente coinvolti nel

processo di ammodernamento politico e lessicale del Triennio.

Non ci occuperemo, dunque, dati i limiti di questo lavoro, delle indagini di Leso sui lessici

speciali (della cultura, della religione, dei rapporti sociali e statali) né dei cenni sulla

39

Da questo punto di vista, quei “catechismi politici” che circolano nel Triennio in esame sono assimilabili a

dei veri e propri vocabolari ricchi di espressioni metalinguistiche quali: “costituzione significa…”, “le

costituzione è…”, presentate, talvolta, anche nella forma di domanda retorica “che cosa è questa Patria?”

(Leso, 1991:29).

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OPPOSIZIONE: - governo vecchio - ex-governo - governo di uno - aristocrazia - dispotismo

- monarchia - tirannia

ATTRIBUTI - sacro - santo

- universale

- assoluta - rappresentativa

- anticattolica

- antiumana

INCOMPATIBILITÀ - potere arbitrario - leggi (disposizioni) arbitrarie - insubordinazione alle leggi - commercio, arti - ricchezza e miseria - moralità, virtù

- monopolista (egoista, intrigante)

DEMOCRAZIA

DERIVATI: - democratico - democratismo - democratizzare - democratizzarsi - democratizzazione - democrazie (stati democratici) - democratizzato - democraticità

LOCUZIONI - amatore, amico, apostolo, martire, nemico, della democrazia - amore (per), attaccamento, causa, semi della democrazia - fedeltà alla democrazia - predicare la democrazia

SINONIMIA - governo del popolo - repubblica (democratica, popolare)

- virtù politica, moralità

IMPLICAZIONE - uguaglianza (politica, di rappresentanza, di diritto, di fatto) - sovranità del popolo - assemblee elettive (del popolo) - sovranità di tutti (o di molti) - leggi, costituzione, subordinazione alle leggi, riforme - libertà (di esprimere opinioni, di stampa) - fratellanza - legge di Cristo, religione cristiana - educazione (democratica, pubblica, uniforme), istruzione - partecipazione, diritti e doveri - patriottismo - rivoluzione

- uomo (‘vero e forte’)

formazione delle parole, che pure contengono importanti spunti di riflessione sullo stato

della lingua del Triennio giacobino italiano.

Democrazia (e la sua famiglia etimologico-lessicale) è il lessema – guida; la parola intorno

alla quale ruota “l’intera struttura del vocabolario politico di un’epoca” (Ibidem, p. 43).

Democrazia non è una parola nuova, per meglio dire, non è un neologismo rivoluzionario,

ma il suo valore semantico muta radicalmente in questo periodo, anche perché è proprio

nel contesto rivoluzionario che il suo uso si diffonde presso nel popolo ed assume

lentamente nuovi sensi. Nel periodo giacobino il concetto di democrazia perde quella

“astrattezza” che aveva mantenuto presso gli Illuministi che identificavano la democrazia

come una forma di governo ipotetica, suppositiva, e neanche particolarmente agognata per

diventare una realtà politica vissuta e desiderata (Ibidem, p. 46).

Questo profondo mutamento semantico della parola democrazia si può ricostruire

attraverso l’esame delle relazioni semantiche, degli attributi e delle locuzioni - in pratica

dall’uso di questo termine nei testi analizzati.

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Nel diagramma presentiamo le principali relazioni paradigmatiche (opposizione,

implicazione, sinonimia, incompatibilità) che il lessema democrazia intrattiene con gli altri

lessemi, unitamente all’analisi delle relazioni sintagmatiche, ovvero le locuzioni in cui la

parola compare e gli attributi che vi sono associati con maggiore frequenza.

Come democrazia, neppure repubblica è un neologismo rivoluzionario. Rispetto

all’antichità classica, dove il termine designava una qualsiasi forma di governo ed era,

dunque, sinonimo di Stato, nel periodo in esame questo lessema vede restringere il suo

significato e viene a designare una peculiare forma di organizzazione politica contrapposta

a monarchia. Entrambi gli usi sono, peraltro, ancora attestati nel Triennio, sebbene il

secondo più diffuso del primo.

La persistenza dell’uso del primo senso di repubblica e la “riesumazione” di termini greci

e romani presso i rivoluzionati giacobini testimonia anche quel “culto dell’antichità”

(Ibidem, p. 167) che caratterizza questo momento storico40

.

Dal punto di vista paradigmatico, repubblica si presenta, dunque, innanzitutto come

antonimo di monarchia e regno e designa, come democrazia tanto una realtà politica

ancora astratta e teorica quanto una realtà politica che esiste (o che è desiderabile).

Nell’opposizione monarchia/repubblica, quest’ultimo è, come democrazia, il termine

positivo della coppia. A repubblica sono associati tutti i valori positivi, mentre monarchia

contiene, com’è evidente dato il carattere per lo più “eversivo” delle opere esaminate e del

periodo politico, tratti negativi. In particolare, è particolarmente sentita l’opposizione tra

monarchia- governo di uno solo / repubblica (democratica)-governo di tutti (o di molti).

Rilevante è, pertanto, l’area di sovrapposizione tra democrazia e repubblica (e dei loro

derivati): in alcuni testi, infatti, essi sono utilizzati come sinonimi o quasi sinonimi ed è

forte anche la relazione di implicazione reciproca tra democrazia e repubblica. I due

termini condividono, infatti, molti tratti semantici (uguaglianza, libertà, felicità, giustizia,

leggi, educazione). Tuttavia, repubblica e democrazia non sempre coincidono, considerato

anche l’uso delle locuzione repubblica aristocratica che si oppone, nei testi di autori più

conservatori, a democrazia. Nel diagramma seguente esponiamo le principali relazioni

sintagmatiche e paradigmatiche di repubblica, secondo lo schema già seguito per

democrazia.

40

I discorsi politici del Triennio giacobino sono ricchi di richiami alla storia politica greco-romana. L’uso di

questi termini dotti è quanto mai variegato. Si va dai nomi propri utilizzati antonomasticamente (nuovo

Mario, Catilina novello, le nostre Cornelie, Ippocrate di Losanna, Semiramide, solo per citarne alcuni), ai

nomi mitologici (come Furia, Genio, Tantalo, spada di Temide), ai toponimi (Adria, Etruria, Insubria) e agli

etnonimi (Galli, Ateniesi, Spartani italici, educazione spartana, Franchi, romano). Per l’analisi di questi usi

si rimanda a Leso (1991:167-172).

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OPPOSIZIONE: - monarchia - regno - governo monarchico - arbitrio di uno solo - governo tirannico - tirannide, tirannia, - dispotismo

- aristocrazia

ATTRIBUTI - aristocratica - democratica, assolutamente democratica - popolare - rappresentativa, mista, semidemocratica - nazionale, italiana, italica, itala - una e indivisibile (nazione) - cisalpina, cispadana, napoletana, veneta, romana

IMPLICAZIONE - Libertà (amici della repubblica = proseliti della libertà, nemici della repubblica =

nemici della libertà) - felicità - uguaglianza (eguaglianza) - educazione democratica - costituzione democratica - giustizia, legge, - fratellanza - patria (amore della) - benessere - cittadini - indipendenza

SINONIMIA - stato - democrazia - società libera - nazione - patria

LOCUZIONI - spirito, amici, figli, benemerito, uomini della repubblica, - affetto, attaccamento, amore, della repubblica - lesa repubblica - repubblica nascente, nascita della repubblica - repubblica madre, figlia, sorella, - repubblica dell’universo, del genere umano, delle lettere - in nome, a nome, in vantaggio della repubblica, - territorio, estensione, sostanze della repubblica

INCOMPATIBILITÀ - Tiranni - Egoismo - Corporazioni - Schiavitù - Nobiltà

REPUBBLICA

DERIVATI: - repubblicano (agg. e sost.), - repubblicanamente, - repubblicanesimo - repubblicanismo - repubblicanizzare - repubblicanizzazione

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