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Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport Sostegno ai docenti in difficoltà Dall’analisi della problematica ad alcune progetti mirati di intervento Indice 1. Introduzione pag. 2 2. Dei cambiamenti a livello sociale, dei cambiamenti a livello scolastico pag. 4 3. L’analisi del problema da parte del DECS pag. 6 4. Prospettive, interventi e strategie per affrontare il tema dei docenti in difficoltà pag. 8 4.1 La garanzia di una buona qualità nella gestione delle risorse umane pag. 9 4.2 Mettere a disposizione dei docenti in difficoltà delle valide alternative professionali pag. 12 4.3 Presenza nelle sedi scolastiche di consulenti con preparazione pedagogico-didattica e psicologica in grado di sostenere e consigliare gli insegnanti pag. 14 4.4 Partecipazione da parte degli insegnanti a momenti formativi Dedicati a temi relativi al ruolo e all’identità professionale del docente pag. 17 5. Prossimi passi pag. 19 Breganzona-Bellinzona, 4 giugno 2010 A cura di Giorgio Ostinelli Divisione della formazione professionale 6_RAPP100525 Progetto sostegno ai docenti in difficoltà 25 05 10 1

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Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport

Sostegno ai docenti in difficoltà

Dall’analisi della problematica ad alcune progetti mirati di intervento

Indice 1. Introduzione pag. 2 2. Dei cambiamenti a livello sociale, dei cambiamenti a livello scolastico pag. 4 3. L’analisi del problema da parte del DECS pag. 6 4. Prospettive, interventi e strategie per affrontare il tema dei docenti in difficoltà pag. 8 4.1 La garanzia di una buona qualità nella gestione delle risorse umane pag. 9 4.2 Mettere a disposizione dei docenti in difficoltà delle valide alternative professionali pag. 12 4.3 Presenza nelle sedi scolastiche di consulenti con preparazione pedagogico-didattica e psicologica in grado di sostenere e consigliare gli insegnanti pag. 14 4.4 Partecipazione da parte degli insegnanti a momenti formativi Dedicati a temi relativi al ruolo e all’identità professionale del docente pag. 17 5. Prossimi passi pag. 19 Breganzona-Bellinzona, 4 giugno 2010 A cura di Giorgio Ostinelli Divisione della formazione professionale

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1. Introduzione Ogni organizzazione scolastica è generalmente strutturata sulla base del paradigma dominante nell’epoca in cui opera1. Uno degli scopi basilari delle organizzazioni umane in genere è quello di lottare contro l’entropia (Ostinelli, 2007; 2008a, b), ossia contro la tendenza da parte del sistema – che, nel caso del paradigma moderno è concepito come un’entità essenzialmente chiusa – a passare da forme più organizzate a forme meno organizzate, ossia a divenire più “disordinato”. È tuttavia noto che la dissipazione di energia (ossia, la perdita di organizzazione) da parte di un sistema fisico può essere notevolmente ridotta isolandolo dall’ambiente esterno (Gamow, 1959). Trasponendo questo principio all’educazione, la creazione di contesti isolati rispetto alle influenze esterne (ne è un classico esempio l’aula scolastica) è un mezzo, ancorché non perfetto, di proteggere la scuola dalle influenze provenienti dal mondo esteriore. L’educazione fornita dalle famiglie può essere considerata un altro “schermo” del genere, anche se non di tipo fisico. Possiamo dire che la combinazione di schermi fisici e culturali ha permesso alla scuola dell’era moderna di configurarsi come un contesto relativamente, anche se non assolutamente, isolato dal mondo esterno. Questo fenomeno va di pari passo con la perdita d’efficacia dell’organizzazione burocratica del sistema educativo, e il tutto ha condotto ad una situazioni in cui i sistemi scolastici possono essere definiti come sistemi “a legame debole” (Romei, 2000). Le difficoltà che i sistemi educativi strutturati tradizionalmente incontrano nel rispondere alle richieste di un’epoca in cui il cambiamento avviene a ritmi molto rapidi sono state descritte da vari autori (Hargreaves, 1994; 2003; Dalin, 1997; OCSE, 2008). Le seguenti illustrazioni mostrano come idealmente il mondo della scuola è evoluto nel corso degli ultimi 40-50 anni, passando da una situazione di relativo “ordine” ad una di relativo “disordine”. Nella prima figura, il sistema dispone ancora dei vari “schermi” in grado di ridurre l’influenza (e quindi la tendenza verso la disorganizzazione) proveniente dal mondo esterno, mentre nella seconda tali schermi hanno perso di efficacia.

1 Nel corso dei tempi, le forme di organizzazione sociale hanno subito delle evoluzioni contraddistinte da cambiamenti anche radicali. Tali cambiamenti hanno interessato evidentemente anche i sistemi scolastici. Ad esempio, le forme pre-moderne di organizzazione scolastica, caratteristiche del Medio Evo, sono state progressivamente sostituite da forme di tipo diverso, tipiche dell’era industriale, le quali si svilupparono poi in modo compiuto con la rivoluzione francese e con la sua diffusione sul continente europeo (Cambi, 1995). Tale struttura, che possiamo definire come scuola dell’era moderna, si è sostanzialmente, anche se con qualche cambiamento, mantenuta fino ai giorni nostri. Oggi ci troviamo a vivere in un’era in cui sta avvenendo una transizione verso una modalità sociale, economica ed esistenziale di tipo post-moderno, che è incarnata dalla società delle reti (Castells, 2000). La struttura organizzativa di tipo industriale/moderno che la scuola mantiene tuttora in molti paesi industrializzati, e quindi anche in Ticino, si trova sempre più in difficoltà a dare delle risposte valide in tempi adeguati a tutta una serie di fenomeni emergenti. Una nuova modalità organizzativa, capace di rispondere appropriatamente a queste nuove sfide è ormai necessaria (Hargreaves, 2003).

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Fig.1: la scuola fino alla fine degli anni ‘60 Fig.2: la scuola contemporanea

Schermi fisici quali le mura dell’edificio e culturali, come ad esempio l’educazione impartita dalla famiglia, l’autorità del docente o l’omogeneità della popolazione scolastica hanno perso parecchia della loro efficacia. La scuola non riesce più ad essere un ambito tendenzialmente isolato dal resto della società, ed è interessata da tutta una serie di fenomeni emergenti, quali influenze, richieste, devianze, ecc. In un simile quadro, l’esercizio della professione di insegnante ha subito nel tempo tutta una serie di cambiamenti, che toccano, tra le altre cose, la relazione con allievi, colleghi e dirigenti, i programmi scolastici, le modalità didattiche, e via di seguito. Più che restare attaccati a un’idea nostalgica, e in parte rassicurante, di un passato in cui ci si collocava all’interno di un contesto dai “confini” sicuri e ben definiti, si tratta di capire in che modo chi opera nel mondo della scuola può vivere questi cambiamenti come un’opportunità per rivisitare il proprio mestiere di insegnante e per scoprire una nuova identità professionale. È quindi necessario accompagnare questa fase di transizione proponendo delle risposte agli avvenimenti qui brevemente delineati, e la prevenzione del disagio degli insegnanti può rientrare in questo quadro.

Controllo sulla comunicazione

Famiglia

ScuolaOmogeneità

Autorità

Mura scolastiche

Cambiamentiambientali

Media

Economia

StatoCambiamento socio-culturale

-

Criminalità

Scuola

Genitori

Scienza e tecnologia

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2. Dei cambiamenti a livello sociale, dei cambiamenti a livello scolastico Le istanze politiche federali sono attente allo sviluppo di queste tendenze. Ad esempio, la CDPE dichiara, in un suo documento dedicato alla professionalità degli insegnanti (CDPE, 2003): Queste tesi si prefiggono lo scopo di definire un profilo della professione docente orientata al futuro, che possa incontrare il favore della scuola, dell’amministrazione scolastica e della politica,ma anche di larghe cerchie dell’opinione pubblica interessata perché possano essere tracciate le nuove strade del futuro. In particolare, si auspica che il docente del futuro sia:

Una persona con funzioni di gestione e di orientamento sociale, la quale sia in chiaro sul senso e sugli scopi della propria attività, sia professionalmente capace e sappia contribuire con il proprio operato alla ricostituzione di una diffusa stima a livello sociale nei confronti della professione docente, oggi in parte compromessa

Un’attrice/un attore dell’integrazione sociale, che sappia contribuire, all’interno della scuola, alla coordinazione tra diversi attori (famiglie, organizzazioni, enti) nell’azione di integrazione sociale. Chiaramente, per poter svolgere tale ruolo in modo efficace, è necessario disporre di adeguate risorse.

Una persona specialista ed esperta negli ambiti di insegnamento e apprendimento. In presenza di istituti scolastici che dovrebbero divenire sempre più comunità che apprendono a confrontarsi efficacemente con la realtà in cui sono situate, la professionalità degli insegnanti deve essere adattata ai bisogni reali e all’evoluzione della situazione.

Una formatrice/un formatore cosciente del suo ruolo e dei suoi limiti. La scuola persegue obiettivi educativi a lungo termine. Di conseguenza, tener conto della situazione attuale non significa appiattirsi su di essa, ma trovare il modo di integrare elementi contingenti nella prospettiva a lungo termine dell’educazione. La presenza di strutture affidabili e di processi decisionali democratici e trasparenti, di una partecipazione adeguata e di una pianificazione preventiva efficace sono aspetti chiave per poter svolgere il ruolo di formatrice/formatore in modo allo stesso tempo contestualizzato ed educativamente valido.

Una persona esperta nell’affrontare i cambiamenti: nel quadro della scuola/comunità che apprende, l’insegnante sviluppa delle competenze che evolvono nel tempo e che gli permettono di dare delle risposte, a livello individuale e in collaborazione con altri attori, ai cambiamenti e alle esigenze espresse dal contesto in cui opera.

Una persona esperta nel confronto con l’eterogeneità. La scuola svizzera, ai suoi vari livelli, presenta il fenomeno dell’eterogeneità socio-culturale, del cambiamento dei ruoli e dei rapporti tra i sessi, della convivenza tra religioni diverse, e via di seguito. Si è quindi venuta a creare, accanto a quella della formazione, che resta comunque il compito primario della scuola, una nuova dimensione, che è quella dell’integrazione sociale e culturale tra i vari allievi.

Una persona idonea al lavoro di gruppo e un’interlocutrice/un interlocutore cosciente di prestare un servizio pubblico. La scuola ha perso l’autorevolezza del passato, e, per riconquistarla, deve mostrare in modo convincente che il suo operato è utile e valido. La dimensione della collaborazione (fra docenti, con le famiglie, con i collaboratori della scuola, con altre scuole, con consulenti, ecc.) risulta un aspetto-chiave nello sviluppo di una scuola di qualità che sappia allo stesso tempo comunicare con gli attori presenti nel contesto in cui opera, e di conseguenza riconquistare l’autorevolezza perduta.

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Un lavoro di formazione sostenuto e riconosciuto pubblicamente. Attualmente, la scuola si trova sottoposta al “fuoco incrociato” dei media, delle famiglie, della politica, e via di seguito, come appare anche dalle due figure riportate all’inizio di questo documento. È quindi importante che essa sia capace di dare una risposta a questi attori sociali. In primo luogo, la politica deve garantire un’effettiva autonomia parziale degli istituti scolastici, chiarificare l’incarico sociale della scuola e mettere a disposizione le necessarie risorse. I docenti hanno bisogno allo stesso tempo di maggiori elementi di orientamento, di maggior protezione e di maggior riconoscimento.

La professionalità docente è quindi destinata a vivere diversi cambiamenti in un futuro prossimo. Tuttavia, nel presente troviamo una situazione nella quale insegnanti con una professionalità di tipo “tradizionale” si trovano confrontati con una contesto socio-culturale e formativo in rapida evoluzione, e per questo molto diverso rispetto a quello a cui esse/i erano abituate/i anche solo alcuni anni fa. Un certo numero di essi vive condizioni di oggettivo disagio, spesso confinato all’interno della sfera individuale: questo fenomeno può essere definito come quello dei docenti in difficoltà. Un certo numero di aspetti messi in luce dal documento della CDPE vengono ribaditi nel Rapporto finale “Identità professionale del docente” (GLIPD, 2007), realizzato dall’omonimo gruppo di lavoro del DECS, presieduto da Mauro Baranzini. Tra di essi, possono essere citati la necessità di cambiamento nell’organizzazione della didattica, la necessità di una pianificazione individuale e collettiva di una professionalità docente al passo con i tempi, la partecipazione dell’insegnante ad attività in collaborazione con altri soggetti. Viene inoltre introdotto l’importante discorso della formazione continua, sulla base della partecipazione attiva da parte dei docenti stessi, della definizione dei bisogni formativi, del coinvolgimento di attori e istanze diversi, della presenza di procedure in grado di garantire la qualità di quanto messo in atto, di modalità di validazione e di riconoscimento della formazione, e infine di un sistema per la valutazione individuale e collettiva della formazione degli insegnanti. Il gruppo formula alcune proposte operative:

La definizione di un profilo professionale degli insegnanti; Il coinvolgimento di diversi attori e enti nella definizione del progetto; La costituzione di un gruppo operativo; La pianificazione di interventi regolari; La possibilità di convertire parte dei diritti maturati come congedo di anzianità in termini di

formazione; La quantificazione dei costi e la messa a disposizione di opportunità e risorse da parte del

Cantone. Il documento passa poi ad affrontare il tema del disagio (GLIPD; 2007): Da un lato esiste il disagio che è “generato” nella scuola stessa, che è strettamente legato al contesto scolastico e che può avere origini diverse (stress, inadeguatezza delle risposte disponibili, scelte non consone alle aspettative, ecc.). Dall’altro vie è un disagio “importato” nella scuola, qual disagio che l’allievo si porta sulle spalle perché è parte del suo modo di essere, anche dentro la scuola.

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Rispetto a questa seconda forma di disagio, gli insegnanti che si sono formati nel corso degli scorsi decenni non dispongono, molto spesso, di competenze adeguate. Inoltre, la struttura dell’insegnamento come è tuttora concepito, non mette loro a disposizione le risorse appropriate, in particolare in termini di tempo, per poter far fronte in modo adeguato ai problemi con cui sono confrontati. Viene quindi proposto, quale prima misura, di mettere a disposizione degli insegnanti una rete di servizi di accompagnamento. Infine, il documento fa alcune proposte operative:

La ricerca di soluzioni alternative all’interno della scuola e dell’amministrazione cantonale per quei docenti che vivono una situazione di stress grave. Viene inoltre contemplata l’introduzione di incentivi per favorire la mobilità professionale.

L’assistenza da parte di consulenti preparati dal punto di vista pedagogico-didattico e psicologico. Nei casi di violenza subita, viene inoltre proposta la predisposizione di misure di sostegno psicologico.

Vengono inoltre individuate quattro aree prioritarie:

La formazione continua del docente La rete sociale di riferimento I rapporti scuola-famiglia Le situazioni di stress, burnout e violenza

3. L’analisi del problema da parte del DECS La consapevolezza dei cambiamenti in atto, e in particolare l’insorgere del problema dei docenti in difficoltà hanno condotto il DECS a organizzare due Workshop dedicati a tale tematica, rispettivamente il 19 febbraio e il 24 giugno 2009. Nel corso del primo di essi, vari attori provenienti da differenti contesti (amministrazione, insegnamento, consulenza) hanno cercato di rispondere, all’interno di 5 focus group, alle seguenti domande: 1) “Esistono situazioni di disagio fra il corpo docente? Se sì, in quale forma si manifestano?”; 2) “Come affrontare questo tema, proposte di soluzione?”. Rispondendo a questi interrogativi, i vari partecipanti hanno definito e delimitato la problematica ed abbozzato possibili soluzioni su vari fronti, e ai vari item è già stato attribuito un peso già all’interno di ogni gruppo; infine, gli aspetti ritenuti più importanti sono stati oggetto di una presentazione in “plenaria”, e sono infine stati raggruppati in una sintesi finale, riportata qui di seguito.

AMBITO “RETE DI SUPPORTO”

1. I docenti neoassunti sono accompagnati (tutoring) nei primi anni di insegnamento da docenti con esperienza pluriennale.

2. La direzione dell’istituto scolastico intrattiene, a scadenze regolari, colloqui di mentoring con i docenti in difficoltà.

3. Il docente, nello sviluppo della propria professionalità, deve poter contare sull’assistenza di consulenti preparati sia dal punto di vista pedagogico-didattico sia da quello psicologico.

4. Sono istituiti sportelli di sostegno istituzionali con funzioni di supporto e di ascolto, coaching, informazione e sensibilizzazione.

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5. In ogni sede viene creata una piattaforma di discussione condivisa fra i docenti su supporto informatico.

6. In ogni sede viene creato un fondo di solidarietà per la riqualifica, finanziato in parte dai docenti e in parte dal datore di lavoro.

AMBITO “EDUCATIVO E FORMATIVO”

7. Nei programmi di abilitazione sono inseriti e/o rafforzati temi che consentono al docente di migliorare le proprie competenze in ambiti che vanno oltre l’insegnamento in senso stretto.

8. Il docente deve seguire un aggiornamento professionale/una formazione continua legato/a a temi concernenti il suo ruolo e la sua identità professionale.

9. I docenti in difficoltà possono usufruire di periodi di congedo pagato per progetti esterni all’insegnamento (valvole di sfogo).

10. Nei criteri di assunzione dei futuri docenti si tiene conto non solo delle competenze disciplinari, ma anche di quelle relazionali e sociali.

11. La qualità dell’insegnamento viene valutata periodicamente.

AMBITO “GIURIDICO E NORMATIVO”

12. Compiti e finalità della scuola sono messi in discussione e eventualmente ridefiniti/ precisati.

13. Il datore di lavoro mette a disposizione valide alternative professionali ai docenti in difficoltà (es.: mobilità interna ed esterna).

14. Dopo 5 anni un docente cambia istituto.

15. Viene introdotta la retribuzione al merito.

16. Il datore di lavoro favorisce una politica attiva di pre-pensionamento ai docenti “au but de chemin”.

17. Si favorisce la diversificazione delle attività professionali del docente all’interno dell’istituto.

18. Sono individuate e applicate procedure di verifica capaci di garantire la qualità della gestione delle risorse umane. La sintesi riportata è stata il punto di riferimento della seconda seduta, durante la quale i presenti, dopo approfondite discussioni e messe a punto, hanno potuto esprimere il loro appoggio a determinati item, mediante la tecnica denominata “Abaque de Régnier”. Nell’ordine, gli item 13 e 18, e 3 e 8 sono quelli che hanno ottenuto il maggior consenso. Essi saranno quindi oggetto di analisi più approfondita nelle prossime pagine. Oltre ai quattro aspetti definiti come prioritari, il gruppo ne ha indicati altri, ossia, in ordine di importanza: i) la creazione di una rete di sostegno (4), la realizzazione di programmi di abilitazione (7), la retribuzione al merito (15), il prepensionamento (16); ii) l’accompagnamento dei docenti neo-assunti (1), i colloqui di mentoring (2), la verifica della qualità dell’insegnamento (11); iii) i periodi di congedo pagato (9), i criteri di assunzione (10).

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4. Prospettive, interventi e strategie per affrontare il tema dei docenti in

difficoltà Un aspetto che balza immediatamente agli occhi quando si leggono molti articoli e analisi relativi al ruolo dell’insegnante nella società odierna, è la perdita di autorità che ha interessato in modo crescente durante questo periodo il ruolo professionale del docente. Oggi, l’insegnante si trova ad essere un po’ l’anello debole di un sistema scolastico che riesce ad evolvere solo con molta difficoltà e lentezza. Proprio per questo motivo, i soggetti meno “resilienti”, ossia meno in grado di adattarsi alla situazione senza perdere per strada la propria identità, si trovano spesso in difficoltà (Howard & Johnson, 2004). Ad esempio, numerose ricerche svolte in vari paesi mostrano come essere oggi docente comporti un carico di stress non indifferente (Montgomery & Rupp, 2005). Nei casi estremi, si osserva lo sviluppo di problematiche complesse, quali ad esempio il burnout (Salanova, Llorens, García-Renedo, Burriel, BresÓ & Schaufeli, 2005; Goddard & Goddard, 2006; Otero López, Santiago, Godás, Castro, Villardefrancos & Ponte, 2008; Grayson & Alvarez, 2008). Gli insegnanti in difficoltà si trovano, in maggior proporzione, agli estremi della vita professionale, ossia all’inizio e alla fine. Le casistiche sono, evidentemente, diverse: i primi sono nuovi docenti che non riescono a introdursi efficacemente nella professione come è oggi; la seconda categoria, invece, comprende quei docenti che, con gli anni, si “esauriscono”. Tre sono i momenti importanti nello sviluppo della professionalità degli insegnanti: 1) quello della formazione di base; 2) quello dell’ingresso nel contesto scolastico; 3) quello dell’esercizio della professione sull’arco della carriera. Seguendo la corrente organizzazione degli interventi nell’ambito delle scienze mediche e sociali, il fenomeno dei docenti in difficoltà dovrebbe essere affrontato a tre livelli:

1. azione preventiva primaria – non si notano segnali di difficoltà; il pubblico di riferimento è quello di tutti i soggetti che fanno parte di un certo sistema

2. azione preventiva secondaria – si notano segnali di difficoltà; il pubblico di riferimento è quello costituito dalla persona in difficoltà e dai soggetti toccati dal problema, l’obiettivo è quello di evitare un peggioramento della situazione, e, nella misura del possibile di ottenere dei miglioramenti

3. azione preventiva terziaria – le difficoltà sono estese e consistenti, il soggetto presenta sintomi preoccupanti, indici di possibili sindromi psichiche (burnout, depressione, psicosi, ecc.); in situazioni simili, l’importante è contenere per quanto possibile gli effetti negativi, e disporre di un’appropriata collaborazione con servizi e specialisti (SMP, ecc.).

Ricordando l’esito dei due workshop citati in precedenza, quattro fattori sono stati considerati prioritari:

1. L’individuazione e la messa in atto di procedure di verifica capaci di garantire la qualità della gestione delle risorse umane

2. Il fatto di mettere a disposizione dei docenti in difficoltà delle valide alternative professionali 3. La presenza di consulenti con competenze pedagogico-didattiche e psicologiche nelle scuole,

capaci di assistere in modo effettivo i docenti nello sviluppo della loro professionalità 4. La partecipazione da parte dell’insegnante a moduli formativi dedicati a temi concernenti il

proprio ruolo e la propria identità professionali.

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Nelle pagine seguenti, i quattro aspetti prioritari verranno analizzati in modo più approfondito, nell’ottica di definire una strategia coerente, con obiettivi ed interventi precisi e momenti di valutazione, la quale si ponga in sinergia con altre iniziative, quali ad esempio il progetto RelPlus proposto dal Gruppo stop-molestie/CEFOS/IUFFP (Gruppo stop-molestie/CEFOS/IUFFP, 2009), nell’ottica di contenere ed affrontare efficacemente il problema dei docenti in difficoltà. Si tenga inoltre presente che il presente documento si riferisce principalmente alle realtà scolastiche della scuola professionale, della scuola media e del liceo. 4.1 La garanzia di una buona qualità nella gestione delle risorse umane Evidentemente, al di là delle misure che possono essere prese concretamente per prevenire e arginare il fenomeno dei docenti in difficoltà, la presenza nell’organizzazione di una buona capacità nella gestione delle risorse umane è di fondamentale importanza. Attualmente, le risorse umane del sistema scolastico ticinese vengono gestite a differenti livelli: per l’assunzione e l’attribuzione alle sedi scolastiche la responsabilità è delle istanze centrali, mentre la gestione della vita professionale vera e propria del docente, ricade piuttosto sulle direzioni degli istituti scolastici. È quindi importante distinguere tre momenti nella gestione delle risorse umane: l’assunzione, la destinazione e l’esercizio professionale. L’assunzione Attualmente, per assumere un insegnante, vengono presi in considerazione principalmente aspetti quali il curricolo di studi, l’attitudine, e via di seguito. Considerando il fatto che la gestione delle classi richiede oggi anche una solida personalità da parte del docente, sarebbe importante avere a disposizione degli strumenti in grado di fornire delle informazioni a tale livello. Sarebbe inoltre interessante, dove possibile, triangolare i dati con altre informazioni risultanti dalla pratica professionale realizzata durante i corsi di abilitazione. È chiaro che, in presenza di una carenza di docenti, risulta poi difficile utilizzare le informazioni raccolte, almeno in termini di scelta. Tuttavia, esse manterrebbero un valore per quanto riguarda la successiva dislocazione del docente presso una sede piuttosto che presso un’altra, oppure, all’interno della stessa sede, in materia di attribuzione delle classi, tenendo in linea di conto fattori quali la diversa problematicità degli allievi. La destinazione È risaputo che, per vari motivi, può capitare che determinate sedi scolastiche siano più “difficili” rispetto ad altre, oppure che, viceversa, in alcune esistano delle condizioni di collaborazione tra docenti particolarmente favorevoli, e via di seguito. Sarebbe quindi importante che, tenendo conto della personalità dell’insegnante e non solo delle sue capacità/attitudini, si cercasse di ottenere la migliore combinazione possibile. Inviare una giovane insegnante dal curricolo molto brillante, ma dalla personalità fragile, in una sede difficile rischia di rivelarsi con il tempo una scelta non indovinata. L’esercizio della professione Vi è tutta una serie di aspetti a cui un direttore scolastico dovrebbe prestare particolare attenzione. In primis, quando un insegnante alle prime armi comincia la propria vita professionale, è estremamente importante introdurlo bene. Di conseguenza, dovrebbero essere predisposte delle forme di assistenza e collaborazione con colleghi (gruppi di lavoro, mentoring, ecc.), anche alla luce di quanto finora emerso dalla ricerca condotta in tale ambito (Donati e Vanini De Carlo, 2009).

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In particolare, dovrebbe essere assegnata a docenti esperti, autorevoli e con buone attitudini verso la relazione interpersonale la funzione di mentore. Il compito principale di tale funzione dovrebbe essere quello di introdurre i giovani insegnanti alla vita professionale, prevenendo quindi anche lo sviluppo di possibili situazioni di disagio. Come appare da esperienze già realizzate in passato in vari contesti formativi, affinché tale figura possa svolgere il proprio compito in modo efficace, alcune condizioni devono essere presenti: 1) la sua accettazione reale (e non solo formale) da parte degli insegnanti; 2) la caratterizzazione del rapporto di mentoring come relazione tra due o più soggetti con pari dignità professionale, ma con diverso grado di esperienza 2) l’inserimento e il coordinamento dell’ intervento con altre azioni condotte nella scuola (es.: gruppi di materia, collaborazione fra docenti, aggiornamento professionale, azione dei docenti mediatori, ecc.) sulla base del possesso di una visione sistemica da parte delle istanze dirigenti (missione e obiettivi dell’istituto scolastico); 3) una chiara definizione dei compiti del mentore, dei suoi obiettivi e dei risultati auspicati dal suo intervento. Occorrerà quindi prestare attenzione alla scelta dei docenti mentori, per cui dovrebbero essere definiti almeno dei criteri-base, ad aspetti quali l’obbligatorietà generalizzata oppure la contrattazione del loro intervento a partire da necessità esistenti (sia del singolo docente, sia della scuola) alla capacità di costruire un rapporto di fiducia con gli insegnanti oggetto di mentoring, alla valutazione dei risultati dell’intervento operato, oltre che all’individuazione di risorse in termini di ore di sgravio per svolgere l’attività. In seguito, mentre l’insegnante svolge il proprio compito professionale nel corso degli anni, è importante che attribuisca costantemente un senso alle attività che svolge. A questo proposito, se l’istituto scolastico è in grado di divenire una vera comunità che apprende, le cose sono chiaramente più facili: in effetti, una comunità che apprende si pone degli obiettivi chiari, ed è capace di rispondere, ad esempio per quanto riguarda il mantenimento della disciplina, con una sola voce. In un tale contesto, anche il docente che ha una personalità non eccessivamente forte, “fa parte” del contesto, e non si trova a dover dare delle risposte in modo isolato. In ogni caso, il direttore deve essere in grado di supportare la vita professionale degli insegnanti dell’istituto che dirige in modo ottimale. Di conseguenza, è auspicabile che abbia estese competenze in materia di gestione del personale. Oltre a questo fatto, dovrebbe disporre sia di un grado elevato di sensibilità, che gli permetta di scorgere in anticipo eventuali problemi, sia di un’attitudine alla prevenzione, che gli consenta di evitare che certe situazioni problematiche si trascinino nel tempo e poi degenerino. Di conseguenza, l’aspetto della gestione delle risorse umane in loco e durante lo svolgimento della vita professionale degli insegnanti è di fondamentale importanza. A questo proposito, sarebbe importante individuare delle forme di valutazione della sua qualità, a due livelli: garanzia e miglioramento. Infatti, se da una parte occorre garantire che non vengano commessi degli errori cruciali, dall’altra è importante poter migliorare determinati aspetti che, pur non avendo conseguenze negative nell’immediato, non sono tuttavia soddisfacenti. Di conseguenza, occorre operare a due livelli, dei quali il primo richiede che, dopo la valutazione negativa, eventuali pratiche inadeguate cessino immediatamente, mentre il secondo si pone invece come obiettivo la realizzazione di processi di miglioramento condivisi (che potrebbero ad esempio appoggiarsi sulla partecipazione a moduli di formazione in gestione del personale, sull’esercizio di forme di coaching, mentoring e consulenza e sulla collaborazione attiva tra dirigenti scolastici di varie sedi), in grado di permettere uno sviluppo graduale di una professionalità più estesa nella gestione delle risorse umane. Inoltre, i direttori scolastici dovrebbero poter sviluppare, al di là di quanto hanno già potuto fare negli anni tramite la loro esperienza, la capacità di riconoscere i sintomi di difficoltà espressi dagli insegnanti e di interpretarli in modo corretto. I direttori potrebbero cioè essere aiutati ad affinare la loro sensibilità per riuscire ad individuare il più precocemente possibile quegli atteggiamenti e quei comportamenti che

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possono far pensare all’esistenza di una situazione di disagio più o meno marcata, che potrebbe addirittura sfociare in una sindrome di burnout. In questo senso potrebbe essere particolarmente efficace allestire una sorta di mappatura di comportamenti “a rischio” che, per frequenza, progressione e gravità, richiedono maggiore attenzione e aiuto da parte della direzione. A questo proposito, una formazione ad hoc su queste problematiche (proponibile sia in modo indipendente, sia in modo integrato nel contesto del Master of Advanced Studies in gestione della formazione per dirigenti di istituti di formazione proposto dall’USI) potrebbe essere utile. È chiaro che una collaborazione con figure quali quella del consulente scolastico potrebbe aiutare i dirigenti scolastici a meglio far fronte alle situazioni qui illustrate. Riassumendo: Prevenzione primaria

Procedure di assunzione che tengano conto in modo affidabile non solo di aspetti quali la competenza, ma anche di fattori a livello della personalità del candidato

Destinazione degli insegnanti a contesti adatti rispetto alle loro caratteristiche personali Pianificazione adeguata dell’introduzione degli insegnanti alla vita professionale Far sì che gli istituti scolastici divengano delle vere comunità che apprendono Sviluppo di competenze in materia di gestione del personale da parte dei direttori Realizzazione di un sistema di verifica e miglioramento della qualità nella gestione delle risorse

umane operata dalle istanze dirigenti delle sedi scolastiche

Prevenzione secondaria

Sviluppo di competenze da parte dei direttori scolastici e dei loro collaboratori che li mettano in grado di rilevare e interpretare correttamente segnali di difficoltà provenienti dagli insegnanti

Sviluppo di strumenti diagnostici rispetto al disagio degli insegnanti, da mettere a disposizione dei direttori

Capacità da parte dei direttori scolastici e dei loro collaboratori di mettere in atto degli interventi preventivi, utilizzando strumenti e risorse disponibili, per far sì che eventuali sintomi di difficoltà non degenerino

Prevenzione terziaria

Capacità da parte delle istanze dirigenti dell’istituto scolastico di gestire efficacemente insegnanti che presentano eventuali situazioni psichicamente problematiche mediante strumenti e risorse disponibili, e in coordinazione con i servizi specialistici competenti.

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4.2 Mettere a disposizione dei docenti in difficoltà delle valide alternative professionali La professione di insegnante presenta poche possibilità di carriera: al massimo, un docente può aspirare a cambiare ordine di scuola (ad esempio dalla SM al Liceo, oppure dalla SE alle scuole professionali) o ad accedere al ruolo di dirigente scolastico. Come si può notare, il numero di docenti che riesce effettivamente a diversificare la propria attività professionale è piuttosto ridotto. Questo fatto, unito alla tendenza a permanere presso la medesima sede scolastica per periodi molto estesi nel tempo, gioca con molta probabilità un ruolo importante nella perdita di dinamismo e di motivazione che caratterizza un certo numero di insegnanti a fine carriera. Nei fatti, quindi, disporre di alternative professionali potrebbe contribuire a migliorare la situazione. Vi sono tre ambiti in cui si possono concepire delle alternative professionali: quello del sistema scolastico, quello dell’amministrazione pubblica e quello privato. Alternative professionali nel sistema scolastico Attualmente, all’interno del sistema scolastico, oltre agli insegnanti, operano i dirigenti, i docenti del sostegno, i bibliotecari, gli esperti di materia: sono tutte attività già esistenti, alle quali è possibile facilitare ulteriormente il passaggio da parte di docenti che danno segni di affaticamento, ma che hanno buone motivazioni e potenzialità per tali ruoli. Vi è poi la creazione di nuove funzioni, la quale deve tuttavia rispondere a dei bisogni reali del sistema, e non essere realizzata ad arte, solo per impiegare delle persone. Per farsi un’idea chiara della situazione, sarebbe importante ed utile interpellare, a livello locale, i vari attori presenti nel sistema (dirigenti, insegnanti, allievi, famiglie) per mettere in luce eventuali necessità attualmente non coperte, mentre, a livello più generale, ci si potrebbe riferire allo studio “La scuola che si ascolta. I bisogni della scuola pubblica ticinese secondo gli attori coinvolti.” realizzato dall’Ufficio studi e ricerche del DECS (Crespi Branca, Galeandro & Berger, 2008). Come già segnalato, uno dei concetti più interessanti nei sistemi educativi più avanzati, è quello per cui gli istituti scolastici possono divenire delle autentiche comunità professionali che apprendono (Bouvier, 2001 ; Aucoin, 2000 ; Antikainen, 2006 ; Hargreaves, Halàsz & Pont, 2007). Le scuole che hanno già messo in atto tale modalità organizzativa sono in effetti particolarmente efficaci nella loro risposta alle sfide dei giorni nostri. In tale ottica, la leadership non viene esercitata in modo carismatico dal direttore, ma viene condivisa e ripartita a vari livelli. Funzioni quali quelle di responsabile di area, di collaboratore di direzione, ecc. possono essere create e/o ampliate, e svolte ad esempio da docenti esperti e validi che stanno tuttavia dando segni di affaticamento nella loro pratica quotidiana dell’insegnamento. Nell’ambito dell’organizzazione didattica a progetti, si potrebbero inoltre definire degli sgravi per curare simili attività. La mobilità degli insegnanti è un altro aspetto che potrebbe giocare un ruolo di un certo peso. Come detto, gli insegnanti sono riluttanti a cambiare sede scolastica. Tuttavia, anche dei semplici periodi limitati nel tempo, ad esempio di durata annuale, passati altrove potrebbero avere effetti positivi: infatti, l’insegnante si verrebbe a trovare in una situazione in cui deve confrontarsi con una realtà almeno in parte diversa, fatto che lo spingerebbe comunque a dover operare almeno alcuni cambiamenti nel proprio modo di insegnare e porsi in relazione con gli altri attori. Un cambiamento temporaneo di una certa utilità prevede che l’insegnante insegni per un periodo definito in un ordine di scuola diverso (ad esempio, l’insegnante della scuola media passa tre mesi presso una scuola elementare e viceversa), un fatto che, oltre a garantire una “rottura” conduce il docente a meglio capire problemi, esigenze e caratteristiche del livello scolastico contiguo. È chiaro che il fatto di cambiare anche provvisoriamente sede scolastica deve però essere negoziato con l’insegnante stesso: se questa misura dovesse essere imposta senza tener conto degli aspetti motivazionali, potrebbe ottenere effetti esattamente opposti rispetto a quanto auspicato.

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Alternative professionali nell’amministrazione pubblica Alcune persone che ad inizio carriera erano docenti hanno assunto nel corso degli anni il ruolo di funzionario pubblico. Probabilmente, tale via potrebbe essere resa più accessibile, individuando quali profili professionali docenti meglio si avvicinano alle esigenze dell’amministrazione pubblica, definendo quindi delle modalità di transizione da un settore all’altro (con eventuali complementi di formazione) che potrebbero essere proposte a docenti con difficoltà. Vi è poi l’ambito della socialità, rispetto al quale la formazione di base e la pratica professionale degli insegnanti hanno un certo numero di affinità. In questo contesto, si potrebbe pensare a dei complementi di formazione in vista di un impiego in tale sfera, oppure a delle misure attive di riqualificazione professionale. Alternative professionali nel settore privato Attualmente, gli insegnanti di materie scientifiche e professionali dispongono già in genere di un’alternativa verso il settore privato, in particolare negli ambiti industriali, tecnologici ed economici. Per questa tipologia di docenti esiste quindi una via già aperta e correntemente percorsa, che è per molti aspetti responsabile della carenza di tali insegnanti nel settore secondario, anche a livello internazionale. Non è quindi una tendenza da favorire. Tuttavia, rimane il problema di quei docenti di materie scientifiche che, magari verso fine carriera, non riescono più a gestire la situazione con le classi. È possibile individuare qualche alternativa, tenendo in conto che in questi casi i costi previdenziali e sociali sono il principale ostacolo all’assunzione? Il settore privato è in genere poco accessibile a chi ha studiato ad esempio storia o lingua italiana. Tuttavia, esistono delle professioni per le quali una base umanistica può essere adatta. Anche in questo caso esiste però il problema dei costi previdenziali. Si potrebbe forse ipotizzare che lo stato si assuma una parte degli oneri in modo tale da rendere attrattiva l’assunzione di queste persone da parte del settore privato. In un’ottica preventiva, tali costi sarebbero probabilmente inferiori rispetto ad un passaggio all’AI ad esempio a seguito di un burnout. Si potrebbero inoltre concepire delle possibilità di riqualificazione professionale “ad hoc”, rivolte particolarmente agli insegnanti – ad esempio con la collaborazione della SUPSI e dell’USI – le quali conducano poi a delle possibilità di impiego allo stesso tempo concrete e valide, nel contesto delle misure finanziate ad esempio dall’AD. In molti paesi si parla ormai correntemente di lifelong learning, nel senso che le persone non dovrebbero mai smettere di apprendere nel corso della vita (Antikainen, 2005). In tale ottica, si potrebbero concepire delle opportunità di formazione e/o di riqualificazione en emploi, in grado di permettere a chi svolge la professione di insegnante di sviluppare nuove competenze nella prospettiva della transizione verso una nuova attività. Probabilmente, sarebbe utile introdurre dei momenti di riflessione sulle motivazioni e sugli obiettivi che un insegnante si pone a diversi stadi della sua vita professionale, con funzione di orientamento. In una tale prospettiva, un insegnante che vede nel tempo diminuire le proprie motivazioni, potrebbe definire un percorso da realizzare nel corso degli anni, in grado di condurlo ad un nuovo ruolo più gratificante. Infine, vi è chiaramente la possibilità di proporre il prepensionamento per quegli insegnanti che sono totalmente esauriti.

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Riassumendo: Prevenzione primaria

Elementi di diversificazione durante la vita professionale degli insegnanti (es.: cambio sede anche temporaneo, periodi di formazione, partecipazione a progetti)

Rafforzare e istituire negli istituti scolastici attività professionali complementari all’insegnamento sulla base di reali bisogni

Indirizzare in modo avveduto le carriere professionali degli insegnanti, tenendo in considerazione non solo gli aspetti quali la competenza, ma anche elementi quali la personalità e l’emozionalità (es.: destinare a sedi scolastiche “difficili” giovani insegnanti con una struttura psicologica forte)

Definire il quadro della formazione in carriera degli insegnanti in un’ottica di lifelong learning Istituire momenti di riflessione sull’attività professionale a determinate scadenze, con funzione

di orientamento Prevenzione secondaria

Pianificare e concordare cambiamenti di sede e di attività per quegli insegnanti che cominciano a mostrare sintomi di difficoltà

Destinare almeno parzialmente ad attività professionali complementari all’insegnamento docenti in difficoltà, ma con buone capacità professionali

Pianificare e concordare con gli insegnanti in difficoltà delle forme di formazione/riqualificazione in vista di una loro futura attività professionale alternativa

Progettare misure attive di riqualificazione professionale finanziate dall’AD, coinvolgendo SUPSI e USI

Prevenzione terziaria

Concordare con i servizi che si occupano del caso delle strategie che utilizzino in modo adeguato risorse e strumenti a disposizione

Nei casi più gravi, poter proporre il prepensionamento

4.3 Presenza nelle sedi scolastiche di consulenti con preparazione pedagogico-didattica e psicologica in grado di sostenere e consigliare gli insegnanti

La figura del consulente, operante all’interno degli istituti, è qualcosa di relativamente nuovo nel contesto scolastico. In effetti, da un lato gli insegnanti, oltre al consueto compito di insegnare la disciplina in cui sono specializzati, devono sempre più confrontarsi con problematiche complesse, rispetto alle quali non dispongono sempre di tutte le competenze necessarie. E la stessa cosa vale, a livello più globale, per gli istituti scolastici stessi. Inoltre, se il mentoring può essere considerato come una valida misura a livello di prevenzione primaria, rivolta principalmente a giovani insegnanti, per poter

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esplicare, quando necessario, interventi a livello di prevenzione secondaria, in particolare nel caso di docenti con una certa anzianità di servizio, la presenza di consulenti con un grado di preparazione più esteso è chiaramente necessaria. Ne è implicitamente una conferma il fatto che, nei sistemi scolastici dei paesi industrializzati, sempre più si fa ricorso a persone esterne alla scuola, in possesso di determinate competenze. Tuttavia, questi interventi una tantum si rivelano spesso episodici, e ottengono degli effetti che a volte non si radicano all’interno delle varie realtà scolastiche, in quanto non fanno parte di azioni concepite in un’ottica sistemica. Di qui la necessità di una figura che sia presente con una certa costanza all’interno della scuola, che svolga un ruolo definito, funzionale al raggiungimento degli obiettivi educativi che costituiscono la missione educativa dell’istituto scolastico, e che venga riconosciuta come qualcuno il cui scopo non è quello di giudicare o sanzionare, ma piuttosto di aiutare insegnanti ed istituto scolastico a sviluppare delle strategie in grado di permettere loro di affrontare in modo più efficace tutta una serie di problemi che si manifestano. In Ticino, una pratica innovativa che presenta dei tratti analoghi è stata sperimentata ampiamente nel settore della formazione professionale mediante l’introduzione della figura dello School Improvement Advisor/researcher/SIA (Ostinelli, 2007; 2008a; 2008b). Sarebbe quindi interessante, a partire da tale esperienza, definire un possibile profilo professionale funzionale alla formazione di un certo numero di operatori. Le caratteristiche professionali di maggior importanza auspicabili per un consulente di questo tipo sono le seguenti:

È molto motivato nei confronti del miglioramento della realtà scolastica e considera tale obiettivo realistico

È presente nella scuola part-time (idealmente 5-6 ore settimanali). Coordina in loco (sede scolastica) iniziative e progetti che interessano docenti e istituti

scolastici Aiuta e consiglia l’istituto scolastico nelle iniziative di assicurazione e miglioramento della

qualità a livello pedagogico e relazionale Si occupa degli aspetti di miglioramento dell’insegnamento e della gestione della relazione

con colleghi ed allievi, assistendo i docenti Conduce un’azione costante destinata a favorire uno sviluppo positivo del clima d’istituto Partecipa alle attività interdisciplinari (gruppi di lavoro) tra docenti e alle attività di rete

relative a situazioni problematiche Assiste gli insegnanti in modo non invasivo, discutendo con loro di questioni legate allo

sviluppo professionale e personale Opera in funzione di un miglioramento sostenibile della qualità dell’offerta formativa, che

tenga in debito conto le differenti personalità degli insegnanti Svolge, quando possibile, attività di insegnamento ausiliarie (supplenze, lezioni tematiche,

ecc.) Un consulente di questo tipo deve essere in grado di svolgere tre funzioni:

1. La funzione epistemologica, che consiste nella sua capacità di garantire un fondamento scientifico alle iniziative che la scuola mette in atto

2. La funzione di interfaccia, che consiste nella sua capacità di avere un contatto costante con le ricerche più recenti condotte in ambito accademico

3. La funzione di consulenza, che consiste nell’assistere insegnanti e dirigenti scolastici nella definizione di scelte, strategie, ecc.

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La sua integrazione all’interno dell’istituto scolastico si svolge in tre distinti momenti: la fase di introduzione, la fase di accettazione e la fase di integrazione Introduzione Se da un lato è auspicabile, per evidenti motivi, che il consulente non provenga dall’organizzazione rispetto alla quale deve esercitare la sua azione, dall’altro tale esigenza conduce inevitabilmente alla conseguenza che, all’inizio, egli venga concepito come un corpo estraneo. La cosa importante è comunque che egli non venga visto come “l’inviato” dell’autorità centrale o della direzione: se da un lato la sua azione deve essere legittimata dalle istanze amministrative, dall’altro egli deve poter agire in modo per quanto possibile indipendente. Durante questa prima fase il suo obiettivo principale deve essere quello di venire accettato e riconosciuto come persona, e di fare percepire che il suo compito non è quello di giudicare, stigmatizzare, e via di seguito. Di conseguenza, il suo intervento non potrà raggiungere il singolo insegnante già in questa prima fase, ma dovrà esplicitarsi principalmente a livello di collaborazione/consulenza con la direzione e di progetti che toccano l’istituto scolastico nel suo complesso. Accettazione Nella seconda fase, il consulente deve porsi come obiettivo non solo di essere accettato come persona, ma anche e soprattutto di essere riconosciuto come valido professionista. Lo sviluppo della sua partecipazione a progetti a livello di istituto dovrebbe comportare la sua graduale collaborazione con gruppi di insegnanti, sviluppando, quando e dove possibile, la funzione di coach. Questo stadio è cruciale, in quanto da esso dipende la disponibilità da parte degli insegnanti a fidarsi e ad accettare una consulenza anche a livello individuale. Integrazione Se il consulente ha lavorato in modo appropriato nelle due precedenti fasi, può infine esercitare la sua funzione in modo pieno, essendo a questo punto integrato nella cultura e nell’immagine che l’istituto scolastico ha di sé. È importante tuttavia che egli non divenga, col tempo, il factotum dei problemi dell’istituto scolastico, ma un valido professionista che collabora con gli attori per aiutarli a sviluppare delle strategie e delle modalità di azione adeguate ed efficaci. Riassumendo: Prevenzione primaria

Collaborazione con la direzione e l’istituto scolastico nella realizzazione di varie azioni a largo raggio, tra cui quelle a carattere preventivo definite nei paragrafi precedenti

Consulenza scientifica alle istanze direttive, relativa a interventi, situazioni particolari da affrontare

Consulenza a gruppi di insegnanti e a insegnanti singoli, a dipendenza del livello della sua introduzione nell’istituto, rispetto a prospettive di sviluppo professionale (orientamento e definizione di possibili percorsi)

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Prevenzione secondaria

Segnalazione di eventuali segnali di difficoltà da parte dei docenti alle istanze direttive Consulenza alle istanze direttive rispetto a insegnanti che manifestano segnali di difficoltà Partecipazione ad attività di rete indirizzate a migliorare situazioni potenzialmente

problematiche

Prevenzione terziaria

Partecipazione ad attività di rete volte a contenere gli effetti di comportamenti influenzati da patologie

4.4 Partecipazione da parte degli insegnanti a momenti formativi dedicati a temi

relativi al ruolo e all’identità professionale del docente Evidentemente, la coscienza da parte dell’insegnante che certi segnali e determinate situazioni possono, col tempo, diventare problematici, ha un’importanza non indifferente. Inoltre, la capacità di prevenire l’insorgere di situazioni del genere è pure qualcosa di veramente auspicabile. Nel contesto contemporaneo, il classico modello formazione iniziale + aggiornamento, per il quale la persona costituisce il grosso del suo “bagaglio” di conoscenze e competenze durante la formazione iniziale, a cui fanno seguito degli aggiornamenti marginali durante la carriera professionale, è ormai superato (Ostinelli, 2009). Dal momento che le condizioni cambiano rapidamente, anche l’insegnante deve essere in grado di dare rapidamente delle riposte adeguate, un fatto che richiede a volte un vero e proprio cambiamento di paradigma. Di conseguenza, nei paesi più avanzati in Europa si parla ormai correntemente di lifelong learning, un concetto che presume un apprendimento sull’arco di tutta la vita, nel quale i momenti di formazione in carriera vengono ad assumere un peso molto più importante rispetto a quanto si intende comunemente con l’idea di aggiornamento. Di conseguenza, se si parla di una formazione dell’insegnante nella quale i temi del ruolo e dell’identità professionale giochino un ruolo importante, è importante farlo all’interno di questa cornice. Da un lato, esiste la formazione iniziale, che avviene sotto forma di curricoli di abilitazione, durante la quale occorrerebbe far sì che il futuro insegnante possa sviluppare una riflessione approfondita sul senso e il ruolo della professione docente nella società odierna, a contatto con esempi concreti che permettano di meglio comprendere questi importanti aspetti, e in relazione con la propria pratica all’interno della classe scolastica. In secondo luogo, al momento dell’introduzione del giovane insegnante all’interno di un istituto scolastico – fase che dovrebbe almeno in parte essere rivista, combinando i risultati provenienti dalla ricerca con le condizioni effettive presenti “sul terreno” (Donati & Vanini De Carlo, 2009) - è importante che l’attribuzione di senso allo svolgimento della professione docente venga ripreso e trovi corrispondenza nella realtà quotidiana. Perché ciò avvenga, è fondamentale che le istanze dirigenti si muovano in tale direzione, e che abbiano quindi un approccio alla gestione delle risorse umane (punto 2) adeguato. A questa fase di introduzione può partecipare in modo positivo anche il consulente (punto 3).

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Durante la carriera, l’insegnante dovrebbe sviluppare, come detto, un apprendimento continuo. È evidente che tale fatto avviene in modo più naturale in istituti scolastici che sono, come detto, comunità che apprendono o che si sono incamminati su tale via, piuttosto che in scuole tradizionali. Uno degli aspetti principali rispetto alla partecipazione a corsi di formazione è la motivazione e il senso che la persona attribuisce a tali iniziative (Neves de Jesus & Lens, 2005). Nella misura in cui vi è una connessione tra il vissuto individuale e le attività proposte, il docente partecipa più volentieri e assimila i contenuti proposti, cercando di metterli in pratica, mentre, se tali connessioni non esistono o non sono messe adeguatamente in luce, l’effetto rischia di essere praticamente nullo. È quindi importante che l’azione di chi propone la formazione, chi dirige l’istituto scolastico, chi svolge il ruolo di consulente sia coordinata e si sviluppi a partire da bisogni reali, sia della scuola, sia degli insegnanti. Si tratta di un discorso che è valido tanto per la disciplina d’insegnamento o la didattica, che, a maggior ragione, per gli aspetti legati alla personalità del docente o al senso che questi attribuisce alla propria attività professionale. In un certo senso, l’insegnante è qualcuno che deve essere gradualmente avvicinato, motivato e convinto, e questo processo richiede tempo, risorse e condizioni adeguate.

Riassumendo: Prevenzione primaria

Introduzione di momenti di riflessione rispetto al ruolo e all’identità professionale del docente nel quadro della formazione iniziale (corsi di abilitazione)

Continuità con i contenuti, i valori e gli obiettivi della formazione iniziale al momento dell’introduzione nella vita professionale, che deve essere gestita in accordo con i risultati provenienti dalla ricerca e con le condizioni esistenti in loco.

Coordinazione dell’azione di formazione in carriera degli insegnanti tra i vari attori (istituti di formazione, dirigenti scolastici, consulenti)

Prevenzione secondaria

Formazione in carriera degli insegnanti rispetto a come riconoscere e attribuire significato a segnali di difficoltà, sia a livello individuale, che di altri colleghi

Formazione in carriera degli insegnanti rispetto a strategie da realizzare in gruppo per aiutare colleghi che cominciano a manifestare segni di difficoltà

Prevenzione terziaria

Formazione in carriera degli insegnanti rispetto a come interagire individualmente o in gruppo con colleghi che hanno sviluppato patologie psichiche a seguito di difficoltà nell’insegnamento

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5. I prossimi passi Partendo dai quattro aspetti definiti come prioritari, sono presentati quattro possibili progetti:

1. Informazione, formazione e aggiornamento

Questo progetto dovrebbe condurre a proporre agli insegnanti delle opportunità di partecipazione a moduli formativi e a momenti di riflessione sul senso e sugli scopi della professione docente oggi, sulla propria identità professionale e sulla definizione delle competenze-chiave necessarie all’insegnante per poter svolgere efficacemente il proprio compito.

2. Supporto

Introduzione e presenza di consulenti professionali con competenze pedagogico-didattiche e psicologiche nelle scuole. A tale proposito, la prima questione da affrontare è quella della definizione di un quadro delle competenze di tali operatori, tale da permettere di cominciare a definire in modo generale un profilo ideale di tale figura professionale. A questo prima fase potrebbe far seguito quella della definizione di un curricolo formativo mirante a qualificare un certo numero di operatori.

3. Gestione delle risorse umane, mediazione dei conflitti

L’individuazione e la messa in atto di procedure per la verifica e il miglioramento della qualità nella gestione delle risorse umane. Tale attività potrebbe svilupparsi in collaborazione con il progetto RelPlus condotto dal gruppo Stop-molestie, dal CEFOS e dall’IUFFP assieme alla Divisione della formazione professionale.

4. Alternative professionali

Messa a disposizione di alternative professionali all’interno dell’AC e al suo esterno. Questo aspetto deve essere approfondito con la SRU. Breganzona-Bellinzona, GO, 4 giugno 2010

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