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  • DINO BUZZATI

    da : La boutique del mistero(prima edizione Oscar Mondadori, Milano, 1968)

    I sette messaggeri

    Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dallacitt e le notizie che mi giungono si fanno sempre pi rare. Ho cominciato il viaggio poco pi che trentenne e pi di otto anni sono passati,esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, allapartenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece hocontinuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano lamia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei. Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procederesempre verso il meridione, noi in realt siamo forse andati girando su noi stessi, senza maiaumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo percui ancora non siamo giunti all'estrema frontiera. Ma pi sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno siestenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potr arrivare alla fine. Mi misi in viaggio che avevo gi pi di trent'anni, troppo tardi forse. Gli amici, i familiaristessi, deridevano il mio progetto come inutile dispendio degli anni migliori della vita. Pochiin realt dei miei fedeli acconsentirono a partire. Sebbene spensierato - ben pi di quanto sia ora! mi preoccupai di poter comunicare,durante il viaggio, con i miei cari, e fra i cavalieri della scorta scelsi i sette migliori, che miservissero da messaggeri. Credevo, inconsapevole, che averne sette fosse addirittura un'esagerazione. Con l'andardel tempo mi accorsi al contrario che erano ridicolmente pochi; e si che nessuno di essi mai caduto malato, n incappato nei briganti, n ha sfiancato le cavalcature. Tutti e settemi hanno servito con una tenacia e una devozione che difficilmente riuscir mai aricompensare. Per distinguerli facilmente imposi loro nomi con le iniziali alfabeticamente progressive:Alessandro, Bartolomeo, Caio, Domenico, Ettore, Federico, Gregorio. Non uso alla lontananza dalla mia casa, vi spedii il primo, Alessandro, fin dalla sera delmio secondo giorno di viaggio, quando avevamo percorso gi un'ottantina di leghe.La sera dopo, per assicurarmi la continuit delle comunicazioni, inviai il secondo, poi ilterzo, poi il quarto, consecutivamente, fino all'ottava sera di viaggio, in cui part Gregorio. Ilprimo non era ancora tornato. Ci raggiunse la decima sera, mentre stavamo disponendo il campo per la notte, in unavalle disabitata. Seppi da Alessandro che la sua rapidit era stata inferiore al previsto;avevo pensato che, procedendo isolato, in sella a un ottimo destriero, egli potessepercorrere, nel medesimo tempo, una distanza due volte la nostra; invece aveva potutosolamente una volta e mezza; in una giornata, mentre noi avanzavamo di quaranta leghe,lui ne divorava sessanta, ma non di pi. Cos fu degli altri. Bartolomeo, partito per la citt alla terza sera di viaggio, ci raggiunsealla quindicesima; Caio, partito alla quarta, alla ventesima solo fu di ritorno. Ben prestoconstatai che bastava moltiplicare per cinque i giorni fin l impiegati per sapere quando ilmessaggero ci avrebbe ripresi. Allontanandoci sempre pi dalla capitale, I'itinerario dei messi si faceva ogni volta pilungo. Dopo cinquanta giorni di cammino, I'intervallo fra un arrivo e l'altro dei messaggericominci a spaziarsi sensibilmente; mentre prima me ne vedevo arrivare al campo uno

  • ogni cinque giorni, questo intervallo divenne di venticinque; la voce della mia citt divenivain tal modo sempre pi fioca; intere settimane passavano senza che io ne avessi alcunanotizia. Trascorsi che furono sei mesi - gi avevamo varcato i monti Fasani - I'intervallo fra unarrivo e l'altro dei messaggeri aument a ben quattro mesi. Essi mi recavano oramainotizie lontane; le buste mi giungevano gualcite, talora con macchie di umido per le nottitrascorse all'addiaccio da chi me le portava. Procedemmo ancora. Invano cercavo di persuadermi che le nuvole trascorrenti sopra dime fossero uguali a quelle della mia fanciullezza, che il cielo della citt lontana non fossediverso dalla cupola azzurra che mi sovrastava, che l'aria fosse la stessa, uguale il soffiodel vento, identiche le voci degli uccelli. Le nuvole, il cielo, I'aria, i venti, gli uccelli, miapparivano in verit cose nuove e diverse; e io mi sentivo straniero. Avanti, avanti! Vagabondi incontrati per le pianure mi dicevano che i confini non eranolontani. Io incitavo i miei uomini a non posare, spegnevo gli accenti scoraggiati che sifacevano sulle loro labbra. Erano gi passati quattro anni dalla mia partenza; che lungafatica. La capitale, la mia casa, mio padre, si erano fatti stranamente remoti, quasi non cicredevo. Ben venti mesi di silenzio e di solitudine intercorrevano ora fra le successivecomparse dei messaggeri. Mi portavano curiose lettere ingiallite dal tempo, e in essetrovavo nomi dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riuscivo a capire. Ilmattino successivo, dopo una sola notte di riposo, mentre noi ci rimettevamo in cammino ilmesso ripartiva nella direzione opposta, recando alla citt le lettere che da parecchiotempo io avevo apprestate. Ma otto anni e mezzo sono trascorsi. Stasera cenavo da solo nella mia tenda quando entrato Domenico, che riusciva ancora a sorridere bench stravolto dalla fatica. Da quasisette anni non lo rivedevo. Per tutto questo periodo lunghissimo egli non aveva fatto checorrere, attraverso praterie, boschi e deserti, cambiando chiss quante volte cavalcatura,per portarmi quel pacco di buste che finora non ho avuto voglia di aprire. Egli gi andatoa dormire e ripartir domani stesso all'alba. Ripartir per l'ultima volta. Sul taccuino ho calcolato che, se tutto andr bene, iocontinuando il cammino come ho fatto finora e lui il suo, non potr rivedere Domenico chefra trentaquattro anni. Io allora ne avr settantadue. Ma comincio a sentirmi stanco ed probabile che la morte mi coglier prima. Cos non lo potr mai pi rivedere. Fra trentaquattro anni (prima anzi, molto prima) Domenico scorger inaspettatamente ifuochi del mio accampamento e si domander perch mai nel frattempo, io abbia fattocos poco cammino. Come stasera. il buon messaggero entrer nella mia tenda con lelettere ingiallite dagli anni, cariche di assurde notizie di un tempo gi sepolto; ma sifermer sulla soglia, vedendomi immobile disteso sul giaciglio, due soldati ai fianchi con letorce, morto. Eppure, va, Domenico, e non dirmi che sono crudele! Porta, il mio ultimo saluto alla cittdove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un tempo fu anche mio. Ipi recenti messaggi mi hanno fatto sapere che molte cose sono cambiate, che mio padre morto che la Corona passata a mio fratello maggiore, che mi considerano perduto,che hanno costruito alti palazzi di pietra l dove prima erano le querce sotto cui andavosolitamente a giocare. Ma pur sempre la mia vecchia patria. Tu sei l'ultimo legame con loro, Domenico. Il quinto messaggero, Ettore, che miraggiunger, Dio volendo, fra un anno e otto mesi, non potr ripartire perch non farebbepi in tempo a tornare. Dopo di te il silenzio, o Domenico, a meno che finalmente io nontrovi i sospirati confini. Ma quanto pi procedo, pi vado convincendomi che non esistefrontiera. Non esiste, io sospetto, frontiera, almeno non nel senso che noi siamo abituati apensare. Non ci sono muraglie di separazione, n valli divisorie, n montagne che

  • chiudano il passo. Probabilmente varcher il limite senza accorgermene neppure, econtinuer ad andare avanti, ignaro. Per questo io intendo che Ettore e gli altri messi dopo di lui, quando mi avrannonuovamente raggiunto, non riprendano pi la via della capitale ma partano innanzi aprecedermi, affinch io possa sapere in antecedenza ci che mi attende. Un'ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non pi rimpiantodelle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio; piuttosto l'impazienza diconoscere le terre ignote a cui mi dirigo. Vado notando - e non l'ho confidato finora a nessuno - vado notando come di giorno ingiorno, man mano che avanzo verso l'improbabile mta, nel cielo irraggi una luce insolitaquale mai mi apparsa, neppure nei sogni; e come le piante, i monti, i fiumi cheattraversiamo, sembrino fatti di una essenza diversa da quella nostrana e l'aria rechipresagi che non so dire. Una speranza nuova mi trarr domattina ancora pi avanti, verso quelle montagneinesplorate che le ombre della notte stanno occultando. Ancora una volta io lever ilcampo, mentre Domenico scomparir all'orizzonte dalla parte opposta, per recare alla cittlontanissima l'inutile mio messaggio.