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1 Dimensione urbana ottima o di equilibrio: riflessioni teoriche ed evidenza empirica Roberto Camagni * , Roberta Capello * e Andrea Caragliu *,§ * Politecnico di Milano Dipartimento di Scienza e Tecnologia dell’Ambiente Costruito (BEST) Piazza Leonardo 32 20133 Milano (MI) § Corresponding author. [email protected] Telefono: +39-0223994048 Fax: +39-0223999477 Abstract L’ipotesi dell’unicità di una dimensione ottima per tutte le città - raggiunta quando i ricavi e i costi marginali di localizzazione si uguagliano garantendo una scelta localizzativa indifferente per imprese e individui - è alla base della teoria della dimensione ottima della città. Questo lavoro dimostra come questa assunzione sia irrealistica quando le specificità urbane quali le funzioni svolte, la qualità della vita, la diversità settoriale, il livello di congestione e di conflitti sociali accumulati, sono prese in considerazione. Queste specificità permettono di spostare verso l’alto – o il basso – le curve di costo e beneficio sociale legate alla sola dimensione fisica della città, causando in ultima analisi dimensioni di equilibrio diverse per ciascuna città. Per raggiungere tale risultato viene presentato un nuovo modello microfondato per la stima della dimensione di equilibrio delle aree funzionali europee; il modello viene stimato su un nuovo data set di 59 FUA (aree urbane funzionali) Europee. Particolare attenzione viene rivolta a due caratteristiche urbane recentemente considerate nella letteratura urbana, ovvero le reti di città e le funzioni urbane. I risultati empirici permettono l’identificazione di dimensioni urbane “di equilibrio” per ciascuna città. Il termine di errore, ovvero la differenza fra la popolazione urbana reale e la dimensione di equilibrio predetta dal modello, viene interpretata come l’effetto di una governance urbana di qualità (o insufficiente), con le implicazioni di policy che ne conseguono in termini di pianificazione urbana. Parole chiave: dimensione urbana d’equilibrio; funzioni urbane; reti di città. JEL classification codes: R00, R11.

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Dimensione urbana ottima o di equilibrio:

riflessioni teoriche ed evidenza empirica

Roberto Camagni*, Roberta Capello* e Andrea Caragliu*,§

* Politecnico di Milano

Dipartimento di Scienza e Tecnologia dell’Ambiente Costruito (BEST)

Piazza Leonardo 32

20133 Milano (MI)

§ Corresponding author.

[email protected]

Telefono: +39-0223994048

Fax: +39-0223999477

Abstract

L’ipotesi dell’unicità di una dimensione ottima per tutte le città - raggiunta quando i ricavi e i costi marginali di localizzazione si uguagliano garantendo una scelta localizzativa indifferente per imprese e individui - è alla base della teoria della dimensione ottima della città. Questo lavoro dimostra come questa assunzione sia irrealistica quando le specificità urbane quali le funzioni svolte, la qualità della vita, la diversità settoriale, il livello di congestione e di conflitti sociali accumulati, sono prese in considerazione. Queste specificità permettono di spostare verso l’alto – o il basso – le curve di costo e beneficio sociale legate alla sola dimensione fisica della città, causando in ultima analisi dimensioni di equilibrio diverse per ciascuna città.

Per raggiungere tale risultato viene presentato un nuovo modello microfondato per la stima della dimensione di equilibrio delle aree funzionali europee; il modello viene stimato su un nuovo data set di 59 FUA (aree urbane funzionali) Europee. Particolare attenzione viene rivolta a due caratteristiche urbane recentemente considerate nella letteratura urbana, ovvero le reti di città e le funzioni urbane.

I risultati empirici permettono l’identificazione di dimensioni urbane “di equilibrio” per ciascuna città. Il termine di errore, ovvero la differenza fra la popolazione urbana reale e la dimensione di equilibrio predetta dal modello, viene interpretata come l’effetto di una governance urbana di qualità (o insufficiente), con le implicazioni di policy che ne conseguono in termini di pianificazione urbana.

Parole chiave: dimensione urbana d’equilibrio; funzioni urbane; reti di città.

JEL classification codes: R00, R11.

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1. Introduzione

Molto lavoro è stato svolto dalla comparsa della teoria della dimensione ottima della città proposta da William Alonso (Alonso, 1971), che ha cercato di dare una risposta alle domande ”quanto grande è abbastanza grande?” e “quanto grande è troppo grande?”. La teoria della dimensione ottima della città spiega la crescita fisica delle città attraverso un modello microfondato in cui vengono spiegate le scelte degli individui e delle imprese con il fine di massimizzare il loro vantaggio localizzativo, situazione che viene raggiunta quando costi marginali di localizzazione sono uguali ai benefici marginali di localizzazione. In questa situazione, individui e imprese non hanno incentivo a rilocalizzarsi e viene ottenuta una scelta di indifferenza localizzativa à la Muth (Muth, 1969), che garantisce una “dimensione ottima della città”, uguale per tutte le città. In questo approccio viene ipotizzata una sola funzione di produzione aggregata valida per tutte le città.

Richardson ha formulato per primo scettico una critica a tale approccio, sottolineando una contraddizione evidente tra dimensione ottima della città prevista dalla teoria e i sentieri di sviluppo urbano verificati nel mondo reale. Secondo Richardson, questo paradosso potrebbe essere spiegato con l’esistenza di altre determinanti che influenzano le economie di agglomerazione urbana, al di là della pura dimensione fisica (Richardson, 1972).

Dopo il lavoro di Richardson, altre interpretazioni sono emerse su questo paradosso, attraverso l’osservazione delle relazioni centro-periferia nel “ciclo di vita urbana“ (van den Berg et al, 1983;. Camagni et al, 1985; Camagni, 2011, capitolo 8) e l’integrazione di elementi dinamici quali l’innovazione, e la continua acquisizione di informazione e conoscenza. Per molto tempo gli sforzi scientifici si sono concentrati sull’identificazione di specificità urbane diverse dalla dimensione della città, che simultaneamente influenzino costi e benefici urbani; questo sforzo ha comportato l’abbando della pura struttura fisica e delle pure indivisibilità nella fornitura di servizi publbici per la spiegazione della dimensione ottima della città.

Il superamento delle pure indivisibilità nell’identificazione della dimensione ottima possono può essere associato a due tipi di riflessione. La prima riflessione è più convenzionale, ed evidenzia come determinanti dei benefici dovuti alla dimensione urbana elementi come la qualità della vita, l’atmosfera urbana, il capitale umano, e le economie di agglomerazione, e come determinanti dei costi i conflitti sociali/malessere, e i costi della città in generale (rendita fondiaria urbana). Questi elementi sono strettamente correlati con la dimensione della città, e ne influenzano benefici e costi di localizzazione. Una seconda, più recente e relativamente meno convenzionale, riflessione si focalizza sul ruolo delle funzioni urbane (incorporato in modelli dinamici urbani), il ruolo della città all’interno di accordi di cooperazione inter-urbani (il cosiddetto paradigma di reti delle città) sul coté benefici, e la ridotta efficienza legata da una forma urbana dispersa, lato costi.

Questo articolo prende in considerazione sia gli elementi che nascono da un approccio tradizionale che quelli di natura più squisitamente moderna, e sulla base di un modello microfondato sulle determinanti dei costi e dei benefici urbani, abbandona il risultato standard che esista un’unica dimensione ottima della città e dimostra, invece, che le specificità urbane possono aumentare i benefici e i costi della pura dimensione fisica.

La struttura del lavoro è la seguente. Nel par. 2 viene presentata la letteratura sui fattori di performance urbana, distinguendo tra elementi convenzionali e non convenzionali. Questi elementi entrano in un modello micro fondato di equilibrio, per la prima volta concettualizzato in questo lavoro, come determinanti dei costi e dei benefici urbani (par. 3). Il modello teorico viene successivamente testato empiricamente su un campione di 59 città europee (par. 4 e 5). Il risultato è una dimensione urbana “di equilibrio” per ciascuna città del nostro campione che si discosta dalle dimensioni reali; le differenze sono interpretate come il risultato di un’efficace (o non efficiente) governance urbana; sulla base di questi risultati si possono suggerire future strategie di pianificazione urbana (par. 6).

2. Le determinanti della dimensione urbana

2.1 Gli approcci tradizionali

Indivisibilità e produttività

Sin dal 1960, economisti e geografi urbani hanno concentrato l’attenzione sul problema della dimensione ottima della città. La letteratura di quei tempi è unanime nel sostenere che i rendimenti crescenti esistono

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fino ad una certa dimensione urbana: al di là di quella dimensione, sono al lavoro meccanismi opposti che trasformano le economie in diseconomie. In questo caso, i costi di localizzazione aumentano, superando i benefici localizzativi. Come nel caso di qualsiasi altra risorsa utilizzata in maniera intensiva, rendimenti decrescenti di scala decrescenti sopraggiungono al di sopra di una certa dimensione.

Secondo questa teoria, vantaggi e costi localizzativi urbani medi hanno entrambi una forma ad U (Alonso, 1971): i primi prima crescono e poi rimangono costanti o decrescono, i secondi si comportano in maniera opposta. La dimensione in cui la differenza tra le curve di benefici e costi medi corrisponde alla dimensione ottima (pro-capite) della città, una situazione ottimale dal punto di vista della popolazione già residente nella città. La condizione ottimale per tutta la popolazione del sistema, urbano e non urbano, viene raggiunta quando i costi marginali uguagliano i benefici marginali (Richardson, 1978).

In questo primo approccio, la dimensione urbana è stata principalmente concettualizzata in termini fisici, vale a dire in termini di dimensioni del capitale fisso privato e pubblico che caratterizza una città; nei primi studi, la dimensione ottima della città è stata anche erroneamente identificata nel punto in cui è garantita la minimizzazione dei costi di localizzazione, senza alcuna attenzione per i vantaggi localizzativi1. Lungo questa linea, nella prima parte degli anni ‘70, ricerca teorica è stata accompagnata da studi empirici prevalentemente concentrati sull’analisi delle spese pro capite per i servizi pubblici (Ladd, 1992): Alonso e Mera stimano, su un campione di città, rispettivamente americane e giapponesi, che le spese pubbliche pro-capite sono maggiori per le città con più di un milione di abitanti (Alonso, 1971; Mera, 1973) 2. Al di là di questa dimensione, le spese pro-capite aumentano, suggerendo una curva a forma di U per i costi medi urbani3. Hirsch ha dimostrato che questa regola è valida solo per determinati servizi (Hirsch, 1968), come i vigili del fuoco, mentre la curva del costo medio ha o una forma costante rispetto alla dimensione urbana per alcuni servizi, come l'istruzione, o una forma funzionale crescente, per altri quali la fornitura di acqua, gas, ed elettricità.

Sul lato dei benefici, un’ampia letteratura ha sottolineato il ruolo delle economie di agglomerazione come fonte di aumenti di produttività. Alonso ha dimostrato che la produttività media del lavoro è maggiore nelle città americane che hanno più di 5 milioni di abitanti, e dimostra, come molti altri successivamente, che il minimo della curva dei costi localizzativi è raggiunto per una dimensione urbana più piccola rispetto alla dimensione che garantisce il massimo dei vantaggi localizzativi (Alonso, 1971). Attraverso la stima di una funzione di produzione aggregata urbana Cobb-Douglas, su un campione di 58 città americane, Segal ha dimostrato che il parametro della variabile di dimensione urbana è significativo: le aree metropolitane con più di 3 milioni di abitanti mostrerebbero una produttività dei fattori dell'8 per cento superiore alle altre città (Segal, 1976). In uno studio trasversale su 230 città americane, Marelli ha ottenuto risultati simili: le città più grandi avrebbero una produttività dei fattori maggiore di città più piccole. Questo risultato sarebbe valido solo fino ad una certa dimensione urbana, al di là della quale la produttività fattoriale mostrerebbe ancora una volta rendimenti decrescenti (Marelli, 1981). Altri studi empirici hanno verificato che la produttività sarebbe del 30 per cento maggiore nell’Île de France e del 12 per cento superiore a Marsiglia, Lione e Nizza rispetto al resto delle città francesi (Rousseaux e Proud'homme, 1992; Rousseaux, 1995).

Nel tempo, l’approccio neoclassico alla teoria della dimensione ottima della città è stato oggetto di molte critiche. Queste includono l’osservazione che le città differiscono l’una dall’altra. Esse svolgono funzioni diverse e sono caratterizzate da diversi profili di specializzazione (Henderson, 1974, 1985, 1996). Nelle parole di Richardson: “possiamo aspettarci che la varietà delle dimensioni urbane efficienti vari, e anche in maniera drammatica, a seconda delle funzioni e della struttura delle città in questione” (1972, pp 30). Nel mondo reale, non ci si aspetterebbe che la localizzazione ottima per ogni impresa si verifichi allo stesso livello di output; pertanto perché dovremmo aspettarci che il punto di ottimo per diverse città si identifichi allo stesso livello di popolazione? Per superare questi limiti, le teorie convenzionali hanno iniziato a riflettere

1 Alonso ha sottolineato l’errata tendenza di molti autori di cercare “la dimensione ottima della città” solo attraverso la minimizzazione della funzione di costo localizzativo. Come egli ha sostenuto, ciò sarebbe sensato solo l’output pro-capite fosse costante (Alonso, 1971, p. 70). 2 I dati presentati da Alonso erano stati in precedenza analizzati da Douglas, 1967. 3 Su questi risultati permane tuttavia un dubbio: nelle città più grandi le maggiori spese pro-capite potrebbero essere dovute ad una maggiore disponibilità a pagare per i servizi pubblici che a diseconomie di scala. Inoltre, la differenza di reddito pro-capite tra le città grandi e piccole supera la differenza tra i costi medi, pertanto, se esiste una dimensione ottima, questa dovrebbe essere caratterizzata più da una maggiore produttività che da costi medi più bassi.

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su aspetti specifici, soprattutto di natura immateriale, che influenzino benefici e costi della dimensione della città.

Costi ambientali e conflitti sociali

Sul lato dei costi, una vasta letteratura ha cercato di distinguere dai costi generali di localizzazione urbana i costi specificamente connessi con l’ambiente naturale (Anderson e Crocker, 1971; Clark e Kahn, 1989), la criminalità e l’inquinamento atmosferico (Duncan, 1956), e i costi ambientali associati alle dimensioni urbane (Richardson, 1972). Il modello dei prezzi edonici è diventato una metodologia diffusa per la misurazione dei costi ambientali e dei conflitti sociali - implicitamente incorporati nella rendita urbana - e fortemente dipendenti dalla dimensione della città (Ridker e Henning, 1967; Wilkinson, 1973; Freeman, 1971; Getz e Huang, 1978; Izraeli, 1987).

L’agglomerazione come facilitatore delle interazioni sociali

Come precedentemente accennato, i benefici associati all’agglomerazione determinano aumenti di produttività. Questo aspetto è stato recentemente spiegato con il ruolo svolto dalla densità nella creazione di un “ambiente urbano”. La densità, infatti, aumenta la probabilità di scambio di idee e di conoscenza e facilità l’interazione sociale. Tutti questi elementi sono alla base di una maggiore produttività nelle aree agglomerate. Un ciclo di studi empirici relativamente recente ha dimostrato che la pura densità potrebbe spiegare fino alla metà della varianza totale della produzione per lavoratore (Ciccone e Hall, 1996). La prossimità in una zona densa può essere concepita come un fattore di riduzione dell’ impedenza spaziale, e che pertanto ci si aspetta che aumenti i livelli di efficienza degli agenti economici.

La diversità urbana come fonte di creatività

Un ampio corpus di letteratura affronta la grande varietà di esternalità che derivano dalle caratteristiche qualitative dell’ambiente di produzione urbana. Nel 1961, Chinitz ha espresso dubbi sul fatto che la produttività dei fattori urbana dipenda principalmente dalla dimensione fisica della città. Egli sottolinea, al contrario, l’importanza di un sistema diversificato e competitivo di produzione urbana come fonte di efficienza e crescita. Tale sistema sarebbe in grado di fornire una varietà molto più grande di esternalità per le piccole imprese di una struttura urbana oligopolistica e specializzata, in cui l’internalizzazione delle funzioni di servizio all’interno di imprese di grandi dimensioni ridurrebbe le economie di urbanizzazione. Chinitz ha sostenuto la sua tesi con un’analisi empirica con un confronto fra New York, città grande e diversificata, e Pittsburgh, una città altamente specializzata nei settori monopolistici; tale verifica empirica dimostra che nelle aree urbane più diversificate la produttività urbana dipende principalmente dai vantaggi di urbanizzazione, mentre in città più specializzate essa dipende soprattutto dalle economie di scala4

. Una posizione analoga è stata espressa da Jane Jacobs, che ha sottolineato che non è la sola vicinanza fisica a generare economie di scala, ma la diversità delle attività situate nelle grandi città che determinano una maggiore creatività per le persone che lavorano e vivono nelle grandi città (Jacobs, 1969).

Un ampio dibattito si è sviluppato in letteratura sul fatto che la specializzazione o la diversificazione industriale abbiano un effetto maggiore sulla produttività urbana (Sveikauskas et al., 1988). Al fine di controllare per le specificità settoriali, alcuni studi hanno valutato gli effetti della dimensione urbana a livello settoriale. Stimando una funzione di produzione CES, Shefer verifica l’esistenza di ampie economie di scala in 10 settori situati nelle città americane (Shefer, 1973); Carlino divide l'indice utilizzato da Shefer in tre parti, al fine di catturare le economie di scala, le economie di localizzazione e le economie di urbanizzazione in 19 settori manifatturieri, e trova risultati significativi sia per le economie di localizzazione che per quelle di urbanizzazione in 12 settori su un totale di 19 (Carlino, 1980). Sveikauskas stima la produttività del lavoro industriale in 14 settori, e trova che la produttività aumenta del 6,4 per cento per ogni raddoppio delle dimensioni urbane (Sveikauskas, 1975). Moomaw giunge a conclusioni analoghe, con un aumento della produttività settoriale associato ad un raddoppio della dimensione della città pari al 6 per cento (Moomaw, 1983).

Capitale umano e sinergie locali come fonti di apprendimento

4 Carlino (1980) critica l’analisi di Chinitz, e dimostra su un campione di 65 città americane che le economie di scala, sia interne che esterne all'azienda, svolgono un ruolo nel determinare la produttività urbana. Su questo dibattito si veda anche Kawashima, 1975.

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Una parte importante della letteratura si è occupata del ruolo svolto dalle grandi città come vivaio di nuove idee e processi di apprendimento, incorporati nel capitale umano e nella cosiddetta “conoscenza tacita” (Polanyi, 1966;. Bathelt et al, 2004). Se interpretato in termini dinamici, l’ambiente urbano sostiene la cooperazione, la sinergia e la prossimità relazionale, elementi che influenzano la capacità di innovazione delle imprese. Valori condivisi, codici di comportamento comuni, senso di appartenenza e di fiducia reciproca sono caratteristiche che l’ambiente urbano condivide con il milieu innovateur (Camagni, 1999), e sono capaci di spiegare la capacità di ridurre l'incertezza e generare processi di socializzazione della conoscenza e apprendimento collettivo5.

Le amenities come fonte di attrattività urbana.

In generale, le amenities urbane, sotto forma di accessibilità ai servizi pubblici di alta qualità (scuole, ospedali), a una serie di servizi ricreativi (teatri, cinema), ai servizi di alta formazione (università), al capitale culturale (musei e monumenti storici) (Clark e Kahn, 1988), sono stati evidenziate come vantaggi immateriali presenti nella grande città (Clark e Cosgrave, 1991; Cropper, 1981; Henderson, 1982). La loro valutazione economica si basa generalmente su modelli di prezzi edonici (Herzog e Schlottmann, 1993; Wilkinson, 1973). Seguendo questi ragionamenti, molti studi sono stati dedicati alla misurazione della qualità della vita nelle aree urbane (Berger et al, 1987; Blomqvist et al, 1988; Burnell e Galster, 1992; Conway e Liston, 1981; Liu, 1976; Roback , 1982 e 1988; Rosen, 1979; Carlino e Saiz, 2008) come elementi di attrazione per imprese e individui.

2.2 Approcci non convenzionali

Le funzioni urbane

Le differenze fra città in termini di funzioni urbane è stata portata alla ribalta da Richardson nel 1970, e formalizzata in un modello dinamico orientato all’offerta (il modello Soudy: Camagni et al, 1986). Il modello ipotizza che un intervallo di dimensioni urbane “efficienti” diverse esistano per ogni livello gerarchico, in unione a funzioni economiche proprie del rango urbano. In altre parole, per ogni funzione economica caratterizzata da una specifica soglia di domanda e una dimensione minima di produzione, esistono una dimensione urbana minima e massima oltre la quale le diseconomie di localizzazione urbana prevalgono sugli aumenti di produttività tipici di tale funzione.

Come mostra la Figura 1, sotto queste condizioni per ogni funzione economica e ogni rango urbano, è possibile definire una dimensione della città minima e massima in cui la città opera in condizioni di efficienza (cioè con vantaggi netti positivi) (d1-d2 per la funzione - e il centro - di rango 1; d3-d5 per la funzione - e il centro - di rango 2, ...). Maggiori saranno i benefici produttivi (profitti) delle singole funzioni (crescenti con il rango), maggiore è l'intervallo di dimensione urbana efficiente associato a tale funzione.

Poiché ogni centro cresce, si avvicina alla dimensione massima compatibile con il suo ordine, ed entra in un’area instabilità (ad esempio in d3-d2 in figura 1) raggiungendo una dimensione potenzialmente utile per funzioni di ordine superiore. In termini dinamici, la possibilità per ciascuna città di crescita a lungo termine dipenderà dalla sua capacità di passare a un più elevato grado nella gerarchia urbana, sviluppando o attraendo nuove funzioni di ordine superiore. Questo “salto” non è raggiunto meccanicamente: esso avviene attraverso la realizzazione di una vera innovazione urbana (Camagni et al., 1986).

5 Sul concetto di milieu urbano si veda Camagni, 1999. Per l'evidenza empirica in merito all'esistenza di 'effetti di milieu urbano, cfr. Capello, 2001.

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Figura 1. Dimensione urbana efficiente per differenti funzioni urbane

Benefici medi di localizzazione (BML) e costi medi di localizzazione (CML) per differenti ranghi urbani R

d 1

CML

BML1

BML2

BML3

Dimensione della cittàd 2d 3 d5 d 4 d 6

Area di instabilità

Fonte: Camagni et al. (1986).

L’interesse di questo modello risiede nel fatto che essa supera alcuni dei limiti della teoria della dimensione “ottima” della città, suggerendo:

• la necessità di sostituire alla dimensione ottima un “intervallo” entro il quale la dimensione della città è “efficace”

6, vale a dire nel punto in cui i benefici di produzione medi superano i costi medi localizzativi;

• la necessità di contemplare diverse dimensioni urbane “efficienti” in base alle funzioni effettivamente svolte dalle città;

• la possibilità di distinguere il rango della città dalla dimensione urbana. A differenza dell’approccio di Christaller, due città della stessa dimensione (ad esempio, la dimensione d2 in Figura 1) possono appartenere a due ranghi diversi (1 e 2 nell’esempio), a seconda della loro capacità di attrarre / sviluppare funzioni superiori7.

Le reti di città

Nato nel campo dell’economia industriale (Chesnais, 1988), il concetto di comportamento a rete è stato trasferito nell’economia urbana fornendo un quadro teorico di successo per superare la limitazione di capacità interpretativa del tradizionale modello delle località centrali.8 In realtà, nei paesi avanzati veri e propri sistemi di città si sono profondamente discostati dal modello teorico Christalleriano di una gerarchia nidificata dei centri e dei mercati, mostrando (Camagni, 1993):

• processi di specializzazione urbana e la presenza di funzioni di ordine superiore nei centri di ordine inferiore;

• l’esistenza di collegamenti orizzontali tra città simili, non previsti nel modello tradizionale (ad esempio la rete finanziaria tra le città più importanti della gerarchia mondiale o i collegamenti tra i

6 Richardson (1972) suggerisce di sostituire il concetto di dimensione ottima della città con un intervallo di dimensione efficiente urbano in cui i benefici marginali urbani siano superiori ai costi marginali. 7 Le due città saranno peraltro differenti in termini dinamici: quella appartenente al rango inferiore (R1) non crescerà ulteriormente, dopo aver raggiunto la dimensione massima del proprio intervallo, mentre quella che ha sviluppato le funzioni superiori (legata al rango 2) crescerà, a causa della presenza di nuovi e ampi benefici netti urbani (profitti). 8 Camagni (1993) teorizza il concetto applicandolo ai sistemi urbani. Lo stesso concetto è stato già utilizzato in altri campi, ad esempio per descrivere il comportamento di impresa dal punto di vista macroeconomico ed organizzativo. Per una review del concetto, cfr. Capello e Rietveld (1998).

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centri che svolgono analoghe funzioni di quartier generale e di servizi avanzati (Camagni e Capello, 2004).

Tale evidenza empirica ha suggerito che i nuovi e crescenti rapporti tra i centri seguano una logica a rete, dove i modelli di specializzazione sono le ragioni principali per stabilire relazioni economiche. Mentre la logica organizzativa che sottende il modello delle località centrali à la Christaller è di tipo territoriale, sottolineando un meccanismo di controllo sulle aree di mercato di tipo gravitazionale, nel modello a rete prevale una logica diversa, basata sulla concorrenza e la cooperazione a lunga distanza, indipendentemente dalla barriera offerta dalla distanza stessa (Camagni, 1993). Mentre nelle analisi più tradizionali, i costi di trasporto e le economie di scala sono le forze principali che influiscono sull’organizzazione spaziale delle funzioni e delle città, nella nuova logica emergono altri elementi – ad esempio, le economie di integrazione verticali e orizzontali, e le esternalità di rete simili a quelle che derivano da “beni di club”. Questi elementi forniscono la possibilità per le città per raggiungere livelli di massa critica e economie di scala attraverso una integrazione in rete - in campo economico, logistico ed organizzativo - con altre città.

Due principali tipologie di reti di città sono state considerate: i legami tra centri di dimensioni simili che svolgono funzioni diverse, con il fine di realizzare economie di integrazione verticale, divisione del lavoro e raggiungere dimensioni di mercato (reti di complementarità) e i collegamenti tra centri che svolgono funzioni analoghe volte al raggiungimento di economie di integrazione orizzontale e esternalità di rete (“reti sinergiche”) (Camagni, 1993).

Il modello delle reti di città consente alle singole città di accedere a funzioni elevate, senza necessariamente aumentare la loro dimensione individuale. Le città di dimensioni intermedie sono pertanto sempre più considerate come i luoghi che potrebbero ospitare la crescita urbana degli anni a venire: le dimensioni limitate della città, infatti, facilitano l’equilibrio ambientale, l’efficienza del sistema della mobilità e la possibilità per i cittadini di conservare un senso di identità, a condizione che una maggiore efficienza economica e economie di scala vengano raggiunte attraverso reti di cooperazione con altre città – sia localizzate nella stessa regione sia distanti, ma ben collegate.

L’applicazione congiunta del modello Soudy e del paradigma delle reti di città ha implicazioni rilevanti per l’efficienza e per la crescita urbana: la dimensione non è l’unico fattore determinante della produttività dei fattori e delle economie di agglomerazione. La presenza di funzioni urbane superiori e l’integrazione all’interno di reti di città sono elementi estremamente importanti nella spiegazione del vantaggio competitivo delle città, e permettono di incrementare la produttività anche in presenza di limitate dimensioni urbane.

Forma urbana e sprawl

Un altro recente programma di ricerca riguarda il controllo della forma urbana e la sua rilevanza per l’efficienza delle città. In questo caso, la forma urbana è “ottima” quando permette alle città di crescere in termini fisici con bassi costi sociali e ambientali e massimi benefici sociali ed economici. La forma urbana dispersa, infatti, aumenta i costi ambientali associati a una maggiore mobilità privata, genera facilmente segregazione sociale e limita le interazioni inter-personali. Purtroppo tali modelli tentacolari si stanno diffondendo in molti paesi avanzati e in via di sviluppo (Breheny, 1992; Owens, 1992), seguendo il modello americano. Un indice di consumo di suolo calcolato dalla francese Agences d’Urbanisme mostra che tra il 1950 e il 1975 in 22 aree urbane francesi la popolazione è raddoppiata, mentre il territorio occupato è aumentato solo del 20-30%, tuttavia, tra il 1975 e il 1990 la popolazione è aumentata del 25%, mentre il territorio occupato da attività urbane è raddoppiato (Camagni, 1999). Altri studi hanno calcolato il costo collettivo della dispersione urbana; nell’area metropolitana milanese, ad esempio, un’analisi su 186 comuni mostra il carattere spreco dei modelli di sviluppo caratterizzati da sprawl in termini di consumo di suolo, costi pubblici per le infrastrutture e servizi, e costi ambientali e collettivi legati alla mobilità urbana (Camagni et al., 2002).

Istituzioni internazionali come la Commissione Europea e l’OCSE hanno da tempo sottolineato i costi economici e sociali dello sprawl, mentre più di recente, l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA, 2006) ha indicato lo sprawl urbano come una sfida cruciale, ma fino ad oggi affrontata in maniera insoddisfacente.

In termini teorici, sembra giustificato ipotizzare che la forma urbana qualifichi e complementi la dimensione urbana nella determinazione dell’efficienza e della performance della città.

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3. Un modello per la dimensione di equilibrio della città

In questo articolo, gli elementi materiali e immateriali evidenziati dalla letteratura come fonte di sviluppo urbano e determinanti della dimensione della città vengono utilizzati in un modello microfondato, che trova le sue radici nella visione neoclassica dei modelli di scelta localizzativa à la Von Thünen-Alonso-Fujita. In questa classe di modelli, la scelta localizzativa dei singoli individui (imprese) è guidata dalla massimizzazione della funzione di utilità (profitto), raggiunta quando i costi marginali sono pari ai benefici marginali di localizzazione (Alonso, 1960, Fujita, 1989).

Si ipotizza la seguente funzione urbana implicita di costo totale, in cui i costi totali di localizzazione dipendono dalla dimensione fisica della città (dim), e dagli aspetti intangibili evidenziati dalla letteratura, vale a dire i costi sociali (conflitti sociali), i costi causati dalla forma urbana dispersa (sprawl) e in generale, i costi della città, catturato dalla rendita fondiaria urbana (rent):

( ), , ,C f dim rent malaise sprawl= (1.)

A loro volta, i benefici totali dipendono dalla dimensione fisica della città (dim), dagli aspetti immateriali evidenziati dalla letteratura tradizionale - vale a dire la qualità della vita (amenities), la creatività (diversità), l’atmosfera urbana (densità) - e da quelli non convenzionali - vale a dire la qualità delle funzioni economiche svolte (funzioni) e le reti inter-urbane (reti) - come evidenziato dalla seguente funzione implicita:

( ), , , , ,B f dim amenities diversità densità funzioni reti= (2.)

La dimensione fisica agisce sia sui costi che sui vantaggi, ed è quindi una variabile dal doppio significato, in quanto rappresenta una fonte di esternalità sia positive che negative per gli abitanti delle città.

Viene adottata una specifica standard Cobb-Douglas per entrambe le funzioni. Questa forma funzionale è più trattabile della maggior parte delle funzioni alternative, e permette di evitare ipotesi implausibili sull’elasticità degli argomenti della funzione (Uzawa, 1962).

Le equazioni (1.) e (2.), pertanto, diventano:

C dim rent malaise sprawlα β δ γ= (3.)

e

B dim amenities diversità densità funzioni retiκ ζ ϑ χ µ ν= (4.)

Per aumentare la trattabilità del modello e senza perdere in generalità, si ipotizza che ogni parametro sia limitato nell’intervallo (0,1). L’unica eccezione è rappresentata dall’esponente α della dimensione nella funzione di costo, che, à la Alonso, si ipotizza essere maggiore di uno, riflettendo pertanto una funzione esponenziale (rispetto alla dimensione ) di costo. Analiticamente, queste ipotesi conducono alle seguenti condizioni:

1Cdim rent malaise sprawl

dimα β δ γα −∂

=∂

>0,

2"( 1)

"

Cdim rent malaise sprawl

dimα β δ γα α −∂

= −∂

>0

(5.)

e

1Bdim amenities diversità densità funzioni reti

dimκ ζ ϑ χ µ νκ −∂

=∂

>0,

2''( 1)

''

Bdim amenities diversità densità funzioni reti

dimκ ζ ϑ χ µ νκ κ −∂

= −∂

<0

(6.)

Page 9: Dimensione urbana ottima o di equilibrio - Servizio Ambiente · dovute ad una maggiore disponibilità a pagare per i servizi pubblici che a diseconomie di scala. Inoltre, la differenza

9

Con queste ipotesi, i costi e benefici marginali funzionano bene rispetto alla teoria tradizionale della dimensione ottima della città, e hanno la forma prevista come rappresentato in Figura 2.

Questo modello viene chiuso assumendo equilibrio spaziale in tutto il sistema urbano. Poiché le persone possono muoversi liberamente attraverso lo spazio, alla ricerca di migliori condizioni di vita (vale a dire, possono cercare le città caratterizzate da benefici superiori o minori costi), in equilibrio la città deve soddisfare la condizione in cui i costi marginali posizione uguagliano i vantaggi marginali (CML = BLM), massimizzando così l’utilità delle persone e i profitti delle imprese. La condizione di equilibrio è rappresentata nel punto E* in Figura 2.

Figura 2. Dimensione di equilibrio della città.

Benefici e costimarginali

CML

Dimensione urbana

BML

S1

E*

Analiticamente, questo implica la seguente condizione:

C B

dim dim

∂ ∂=

∂ ∂ (7.)

ovvero

1

1

dim rent malaise sprawl

dim amenities diversità densità funzioni reti

α β δ γ

κ ζ ϑ χ µ ν

α

κ

=

= (8.)

che a sua volta implica:

1

1

dim amenities diversità densità funzioni reti

dim rent malaise sprawl

α ζ ϑ χ µ ν

κ β δ γ

κα

−= (9.)

ovvero:

amenities diversità densità funzioni retidim

rent malaise sprawl

ζ ϑ χ µ να κ

β δ γ

κα

− = (10.)

L’eq. (9.) può essere log-linearizzata al fine di ottenere una funzione stimabile. Questo processo porta alla seguente forma funzionale:

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( )

ln ln ln ln ln ln

ln ln ln ln

dim amenities diversità densità funzioni

reti rent malaise sprawl

κα κ ζ ϑ χ µ

α

ν β δ γ

− = + + + + +

+ − − −

(11.)

e infine:

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10

( )( )

( ) ( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

lnln ln ln

ln ln ln

ln ln ln

dim amenities diversità

densità funzioni reti

rent malaise sprawl

κζ ϑα

α κ α κ α κ

χ µ να κ α κ α κ

β δ γα κ α κ α κ

= + + +− − −

+ + + +− − −

− − −− − −

(12.)

L’eq. (12.) mostra che la dimensione di equilibrio della città, e in particolare la dimensioni di equilibrio fisica della città, dipende da caratteristiche che variano a livello urbano. Elementi convenzionali come l’accesso alle amenities, il capitale umano, la diversità industriale, e elementi non convenzionali, come la presenza di funzioni di alto livello e le reti urbane, possono agire come “leve”, spostando verso l’alto la funzione di beneficio marginale e raggiungendo, coeteris paribus, un equilibrio fisico alla dimensione E** (Figura 3a). D’altra parte, elementi come lo sprawl, i conflitti sociali e un’alta rendita urbana possono spingere verso l'alto i costi marginali, riducendo la dimensione fisica di equilibrio ad E*** (Figura 3b).

Figura 3. Differenti dimensioni di equilibrio per diverse caratteristiche urbane.

a. Shifters verticali sui benefici localizzativi marginali

Benefici e costi marginali

CML

Dimensione urbana

BML1

S1

E*

BML2

S 2

E**

b. Shifters verticali sui costi localizzativi marginali

CML

Dimensione urbana

BML1

S1

E*

1

S 3

E***

2 CMLBenefici e costi marginali

Mentre per gli elementi tradizionali vi è un ampio consenso sull’impatto sui costi o i benefici, per gli elementi non convenzionali vengono effettuate ipotesi sul fatto che lo sprawl rappresenti soprattutto un costo, con una notevole eccezione in Glaeser e Kahn (2004), e che invece le funzioni di alto livello e le reti di città agiscano sui benefici. Gli effetti reali di queste caratteristiche urbane sulla dimensione della città vengono in questo articolo testati empiricamente stimando l’eq. (12.) con modelli econometrici tradizionali,

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11

e trovando l’elasticità della dimensione di equilibrio rispetto a ciascuna caratteristica urbana. Le dimensioni di equilibrio stimate per ogni città possono essere confrontate alla popolazione reale, al fine di svelare se in realtà le città del campione sono al di sopra (o al di sotto) della propria dimensione di equilibrio. Il risultato - rappresentato dal residuo econometrico - può essere spiegato da un’inefficiente (efficiente) governance urbana, e può mettere in luce utili strategie di pianificazione urbana (cfr. Sezione 6).

4. Il campione e i dati

La nostra analisi empirica si basa su una serie di 59 aree urbane di media e grande dimensione, definite in particolare secondo la definizione EUROSTAT del concetto di Area Urbana Funzionale (LUZ – Larger Urban Zone9). Questa scelta è resa possibile dalla disponibilità di un data base originale, che unisce in modo innovativo informazioni da due fonti principali, ovvero EUROSTAT e il progetto ESPON “Future Orientations for Cities” (Foci, 2010).

La Figura 4 rappresenta il campione della città impiegato in quest’analisi, che risulta ben diversificato tra Europa orientale e occidentale, fra città capitale e città europee non capitale, fra Nord e Sud del continente: il 22% delle città del campione si trovano nei nuovi Stati membri, il 37% del campione totale è città capitale10. Il nostro campione (secondo dati del 2010) copre il 26% del totale della popolazione, il 36% della popolazione urbana totale, il 33% del PIL totale prodotto, il 29% della forza lavoro totale, e il 32% della forza lavoro totale impiegata nel terziario avanzato, il tutto relativo al contesto dell’UE27.

Figura 4. Il campione di dati.

Berlin

Paris

London

Riga

Madrid

Praha

Wien

HamburgBremen

Lyon

Szczecin

Tallinn

Sofia

Vilnius

Roma

Lodz

München

Stockholm

WroclawErfurt

Warszawa

Sevilla

Athina

Toulouse

Stuttgart

Linz

Bordeaux

Glasgow

Magdeburg

Helsinki

Dresden

Torino

Ljubljana

BudapestGraz

Bologna

Zaragoza

Frankfurt am Main

Copenhagen

Bratislava

Milano

Regensburg

Liège

Barcelona

Firenze

Lisboa

Valencia

Belfast

GenovaBucuresti

Freiburg im Breisgau

Porto

Amsterdam

Groningen

Napoli

Rotterdam

Acores

Guyane

Madeira

Réunion

Canarias

MartiniqueGuadeloupeCampione di LUZ per le analisi empiriche

Fonte: EUROSTAT.

9 “Le LUZ approssimano quanto più possibile la regione urbana funzionale tenendo conto dei flussi di pendolari verso le aree urbane centrali. Le LUZ sono costruite nel seguente modo:

1. I “mattoni” usati per costruire le LUZ sono le unità amministrative più piccole (LAU, ad esempio i comuni). Tuttavia, non sempre sono disponibili i dati per la LAU e in alcuni casi il livello NUTS 3 è stato usato come unità di base.

2. Il tasso di pendolarismo è calcolato come la quota dei pendolari sulla popolazione attiva. La soglia del tasso di pendolarismo al fine di includere o escludere le zone dell'entroterra all’interno della LUZ corrispondente viene fissato tra il 10% e il 20%.

3. Criteri di contiguità spaziale contribuiscono a regolare la definizione della LUZ, anche se si è effettuata qualche eccezione.

La definizione delle LUZ è stata successivamente rettificata tenendo conto del requisito della contiguità spaziale. Inoltre, va sottolineato che i confini di tutte le LUZ sono stati sviluppati in stretta collaborazione con gli esperti nazionali dei paesi interessati. Questo approccio assicura la realizzazione di scelte realistiche, facendo attenzione al parere degli esperti che conoscono da vicino la città in questione” (EUROSTAT, 2010). 10 Le capitali da Paesi dell'UE27 sono 22; Bruxelles, Dublino, Valletta, Nicosia, e Lussemburgo sono escluse dal campione perché mancano alcuni valori delle variabili usate per la stima del modello.

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12

La Tabella 1 presenta una sintesi del dataset costruito per l’analisi empirica. I benefici e i costi della città sono classificati in base alla loro natura più o meno convenzionale nella letteratura, come spiegato nel par. 3. Per quanto riguarda i benefici tradizionali urbani, tra i molteplici fattori urbani considerati in letteratura, il presente lavoro si concentra su:

• Le amenities urbane, misurate dai flussi di turisti nell’area metropolitana, che rappresentano una misura di attrattività urbana;

• La fonte di esternalità à la Jacobs derivante da un mercato del lavoro diversificato, calcolato come il complemento ad uno della quota dei primi 5 settori (a 2 cifre NACE) sull’occupazione totale (Glaeser et al, 1992.);

• Infine, una misura di economie di agglomerazione, misurate come pura densità di popolazione, che tiene in considerazione lo sviluppo verticale dell’area metropolitana (e quindi la probabilità pura di “contagio” di nuove idee).

Per quanto riguarda i benefici non convenzionali urbani, tra gli elementi in precedenza solo raramente coperti da studi empirici sulle determinanti della performance urbana, in seguito sono considerati:

• Le reti di città, misurate con il numero di progetti Programma Quadro 5 all’interno dei quali le istituzioni delle aree metropolitane partecipano congiuntamente;

• Le funzioni urbane di alto livello, misurate come la percentuale della forza lavoro in professioni ISCO 1 e 2 (rispettivamente legislatori, alti funzionari, manager e professionisti).

Sulla stessa linea, i costi urbani possono essere classificati a seconda che il loro ruolo non sia correttamente e strutturalmente descritto in precedenti studi, e, di conseguenza, ben testato nelle verifiche empiriche, o se la loro inclusione presenta elementi di novità.

Tabella 1. Il dataset. Tipo di variabile Classe di variabili Variabili Indicatore Anni Fonte dei dati

Dipendente Dimensione fisica delle città Dimensione Popolazione nelle FUA Media 2004-2006 ESPON/Urban Audit

Benefici urbani tradizionali

Qualità della vita AmenitiesFlussi turistici sul totale degli

occupatiMedia 2001-2004 Urban Audit

Creatività urbana Diversità

Indice di diversità settoriale misurato come il

complemento ad 1 della somma dei primi 5 settori per

quota di occupati

1990 ESPON

Economie di agglomerazione Densità Densità di popolazione Media 1989-2003 Urban AuditCosti urbani tradizionali

Costo della città Rendita fondiariaCosto di un appartamento

medio al metro quadroMedia 1991-2004 Varie

Conflitto sociale MalaiseCrimini registrati per anno sul

totale degli occupatiMedia 1989-2003 Urban Audit

Benefici urbani non convenzionali

Reti urbane Reti urbanePartecipazioni di istituzioni della FUA a PQ5 sul totale

degli occupatiTotale 1998-2002 CORDIS

Funzioni urbane Funzioni urbane

Forza lavoro nelle professioni ISCO 1 e 2 (rispettivamente, legislatori, funzionari di alto livello e manager) sul totale

degli occupati

Media 2002-2004 ESPON

Costi urbani non convenzionali

Forma urbana non compatta SprawlPercentuale di suolo non

urbanizzato1990 ESPON

Indipendente

I costi tradizionali urbani comprendono:

• i costi localizzativi puri associati alla dimensione urbana, misurata con la rendita urbana (prezzi per metro quadro di appartamenti di qualità media nel centro delle aree metropolitane11);

11 Cfr. L’Appendice 2 per maggiori dettagli.

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13

• il disagio sociale legato alla vita urbana, catturata dal numero dei reati registrati per ogni FUA.

I costi urbani non convenzionali includono il concetto di sprawl, che è qui misurato con la percentuale di suolo non urbanizzato all’interno della FUA. Questo indicatore coglie il grado di frammentazione del territorio di una FUA, tipico di una forma urbana dispersa.

Tutte le variabili, seguendo il modello teorico sopra descritto, sono espresse in logaritmi naturali.

5. Le determinanti della dimensione urbana di equilibrio in

alcune FUA Europee

5.1 Risultati empirici

La Tabella 2 mostra i risultati delle stime dell’eq. 12 presentata nel par. 3. In tutte le regressioni sono stati impiegati errori standard robusti, al fine di correggere per la probabile eteroschedasticità nei dati, e vista la probabile rilevanza di effetti specifici per Paese. La maggior parte dei parametri stimati mostra una stabilità notevole in tutte le stime, suggerendo la sostanziale assenza di multicollinearità, e garantendo pertanto l’identificazione dei parametri. In realtà, l’unico parametro che cambia segno all’inclusione di regressori aggiuntivi è il parametro associato alla rendita fondiaria. Questo risultato è facilmente spiegabile dal fatto che questa variabile è simultaneamente legata sia ad elementi di beneficio che di costo, e che l’aggiunta di variabili di beneficio alla spiegazione della dimensione di equilibrio della città permette alla rendita urbana di catturare solo gli elementi di costo della città stessa (modelli 4-6, Tabella 2).

Tabella 2. Stime con minimi quadrati ordinari del modello teorico (eq. 12).

Modello (1) (2) (3) (4) (5) (6)

Costante 8.80*** 12.54*** 11.05*** 3.93*** 1.58 9.93***

(1.49) (1.57) (1.49) (2.70) (2.29) (2.01)

Rendita urbana 0.70*** 0.43** 0.36** -0.12 -0.15 -0.35**

(0.20) (0.18) (0.17) (0.15) (0.12) (0.14)

Conflitti sociali - -0.16* -0.16** -0.12* -0.11** -0.10*

(0.09) (0.08) (0.06) (0.05) (0.05)

Amenities - - - 0.47*** 0.43*** 0.32***

(0.07) (0.07) (0.07)

Diversità - - - 1.69** 2.05*** 0.83*

(0.68) (0.57) (0.46)

Densità - - 0.27***

- 0.26***

- (0.10) (0.07)

Reti di città - - - - - 0.12**

(0.05)

Funzioni urbane - - - - - 0.20**

(0.09)

Dummy piccolo Paese - - - - - -0.25*

(0.13)

Dummy capitale finanziaria - - - - - 0.60***

(0.17)

Sprawl - -0.37*** -0.20** -0.29*** -0.21*** -0.30***

(0.10) (0.09) (0.07) (0.08) (0.08)

R2 0.20 0.39 0.45 0.70 0.75 0.78

F-test congiunto 12.51*** 13.31*** 12.73*** 37.56*** 32.67*** 21.01***

Errori standard robusti Si Si Si Si Si Si

Numero di osservazioni 59 59 59 59 59 59

Note: Variabile dipendente: Dimensione di equilibrio della città (Log popolazione urbana 2004-2006). Errori standard fra parentesi. ***,**,* implicano significatività rispettivamente al 10, 5 e 1 per cento.

I risultati mostrano una notevole aderenza alle aspettative teoriche ex-ante. Se l’ipotesi di equilibrio spaziale è valida, e le persone sono, con alcune limitazioni, libere di muoversi e cercare migliori condizioni di vita,

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14

queste stime forniscono un’affidabile valutazione di massima delle determinanti della dimensione urbana nel sistema urbano europeo.

Il primo modello presenta una regressione semplice in cui la dimensione di equilibrio viene spiegata dalla sola rendita fondiaria, che cattura una sintesi di tutti i costi ed i vantaggi della dimensione della città. I risultati mostrano una relazione significativa e positiva tra rendita fondiaria e in dimensione di equilibrio; la rendita fondiaria è quindi in questo caso un indicatore di vantaggi urbani.

Quando i costi sia convenzionali che non convenzionali della dimensione urbana vengono aggiunti alla regressione, i risultati presentano il segno atteso, negativo, e elevata significatività (Modello 2), mentre la rendita urbana conserva ancora un segno positivo, anche se perde di significatività.

Al fine di catturare le determinanti della dimensione urbana, un primo indicatore sintetico di vantaggi urbani viene aggiunto alla regressione, ovvero la densità che dovrebbe concettualmente comprendere le economie di agglomerazione (Modello 3). I risultati indicano che una densità più alta è fonte di dimensioni di equilibrio superiori, come da sempre sostenuto nella letteratura.

Un ulteriore passo avanti prevede la migliore identificazione delle economie di agglomerazione, mediante diverse fonti di vantaggi urbani. I modelli 4 e 5 presentano i risultati delle stime dopo aver sostituito, o associato, la densità da diversità settoriale e dalle amenities; entrambe le variabili sono significative e correlate positivamente alla dimensione urbana di equilibrio. Il modello 5 mostra anche che la densità genericamente definita rimane significativa, suggerendo che altri elementi rimangono incorporati in una forma densa urbana, aumentando i vantaggi tipici di una città di grandi dimensioni.

Il modello 6 presenta la specificazione dell’eq. (12), con l’aggiunta alle stime delle due variabili non convenzionali, ovvero le reti di città e le funzioni elevate a livello urbano. Inoltre, il modello 6 controlla anche per la probabile distorsione introdotta ignorando nelle analisi eventuali caratteristiche straordinarie che variano a livello urbano e che possono ulteriormente migliorare, o peggiorare, la capacità delle città di raggiungere una maggiore dimensione di equilibrio. In primo luogo, viene introdotta una variabile dummy, che assume valore uno per le città dei piccoli Paesi (cioè tutti i paesi del campione, tranne Germania, Francia, Spagna, Italia, Polonia e Regno Unito); questa variabile consente di controllare per due modalità differenziate di sviluppo, laddove i piccoli Paesi sono caratterizzati da un sistema urbano con città mediamente più piccole. I risultati mostrano che in effetti i Paesi più piccoli presentano dimensioni di equilibrio inferiori della città, coeteris paribus.

In secondo luogo, nel modello 6 viene anche aggiunta una dummy per le capitali finanziarie (tra cui Londra, Parigi, Francoforte, Madrid e Milano). Anche in questo caso l’analisi empirica dimostra la validità della nostra intuizione ex-ante: le città che ospitano una borsa di rilievo internazionale godono di un beneficio extra in termini di dimensioni rispetto alle città con altre caratteristiche identiche. Il modello 6 comprende tutte le variabili del modello teorico (eq. 12.), assieme alle ultime due variabili dummy: le principali conclusioni su tutte le variabili vengono confermate, mentre le due variabili dummy utilizzate contemporaneamente migliorano ulteriormente la capacità interpretativa lineare del modello (il 78% della varianza totale del modello viene così spiegato). Pertanto, il modello 6 viene scelto quale stima più rappresentativa per il resto di questo lavoro.

In sintesi, i risultati dimostrano che (Tabella 2):

• le economie di agglomerazione, genericamente misurate dalla densità urbana, sono estremamente importanti;

• le interpretazioni tradizionali dei vantaggi urbani, legate alla diversità e alla disponibilità di amenities, aumentano il potere esplicativo del modello (R2) dal 45% al 70%;

• alcuni dei più recenti e non convenzionali punti di vista sulla crescita urbana, che sottolineano l’importanza di nuovi elementi come la presenza di funzioni economiche elevate e di potere e la partecipazione ad una rete di città, vengono qui verificate: questi elementi permettono alle città di raggiungere una dimensione di equilibrio maggiore, sopportando i maggiori costi urbani associati a grandi dimensioni urbane. Le conclusioni del modello SOUDYe della teoria delle reti di città sono confermate: il potere esplicativo del modello empirico viene in effetti migliorato dall’aggiunta di queste misure;

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• la rendita fondiaria, una volta che venga in essa scorporate le sue relazioni con altri benefici e con le variabili di costo risulta il singolo fattore di costo più elevato per la popolazione urbana, il che si riflette nella stima di un più elevato parametro all'interno del modello finale (6).

Al fine di approfondire l’analisi sul ruolo delle variabili non convenzionali, viene effettuato un controllo di come le dimensioni di equilibrio della città varino al crescere dei livelli delle funzioni e delle reti di città. I risultati di questi calcoli sono mostrati nelle Figure 5 e 6. Entrambe le figure mostrano che, coeteris paribus (cioè quando le città ipoteticamente condividono le medesime caratteristiche ad esclusione dalle reti e dalle funzioni di alto livello), entrambi gli elementi di equilibrio consentono dimensioni superiori, anche se a tassi decrescenti.

Figura 5. Popolazione di equilibrio predetta per differenti livelli di reti di città.

Rotterdam

ErfurtSzczecin

BordeauxLodzWroclawVilniusCopenhagenNapoliSevillaPortoRegensburgLyonFrankfurt am Main

ValenciaMagdeburgRigaLinzBelfastBolognaFreiburg im BreisgauWarszawaDresdenTallinnHannoverTorinoZaragozaMilanoFirenzeGlasgowBucuresti

SofiaBarcelonaLiègeEdinburghLjubljanaBudapestLondonHamburgParisMünchenToulouseAmsterdamHelsinkiGroningenLisboaBerlinGrazBratislavaPrahaUtrechtRomaMadridGenova

StockholmAthinaBremen

Wien

0

500000

1000000

1500000

2000000

2500000

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2

Popolazione di equilibrio predetta

Reti di città (numero di collaborazioni scientifiche per 1000 lavoratori)

Stuttgart

Fonte: Stime degli autori.

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Figura 6. Popolazione di equilibrio predetta per differenti livelli di funzioni urbane di alto livello.

Hannover

BucurestiGrazBremen

BratislavaGroningenRegensburgLjubljanaFrankfurt am MainSzczecinZaragozaLinzGenovaSofiaLiège

TallinnDresdenPrahaCopenhagenRiga

WroclawLodzBelfastWienFreiburg im BreisgauMagdeburgHamburgErfurtUtrechtToulouseFirenzeGlasgowBordeauxEdinburghStockholmPortoBolognaVilniusTorinoHelsinkiLisboaBudapestValenciaNapoliStuttgartWarszawaBerlin RomaAmsterdamAthina MünchenLyon

SevillaRotterdamMadridBarcelona

Milano

0

500000

1000000

1500000

2000000

2500000

3000000

0% 1% 2% 3% 4% 5% 6% 7%

Popolazione di equilibrio predetta

Funzioni urbane di alto livello (quota di professioni di alto livello)

London Paris

Fonte: Stime degli autori.

5.2 Identificazione delle relazioni di causalità

Poiché i risultati presentati in precedenza potrebbero essere influenzati dalla causalità inversa, ovvero, la popolazione potrebbe determinare un aumento dei costi e dei benefici urbani, il lavoro adotta alcune precauzioni per garantire che le stime non siano inficiate da causalità inversa. In primo luogo, all’interno delle regressioni con i minimi quadrati ordinari si sono inserite variabili indipendenti ritardate temporalmente rispetto alla variabile dipendente: la popolazione viene misurata come media 2004-2006, mentre tutte le variabili indipendenti sono stati calcolate per anni precedenti12.

In secondo luogo, viene adottato un solido approccio all’identificazione dei nessi di causalità, mediante l’impiego di variabili strumentali. Tra tutte le variabili indipendenti, ci aspettiamo che il rischio di causalità inversa colpisca maggiormente i conflitti sociali urbani (ovvero i tassi di criminalità) e la quota di funzioni urbane di alto livello. In effetti, i tassi di criminalità sono spesso più elevati nei grandi agglomerati urbani (Glaeser e Sacerdote, 1999) e le funzioni urbane di alto livello sono altresì tipiche delle grandi aree urbane (Clark, 1945).

Nella Tabella 3, viene dapprima replicato il modello 6 (colonna 1) nel quale le variabili di criminalità e di funzioni urbane vengono instrumentate in sequenza (colonne 2 e 3). Gli strumenti sono scelti per essere correlati con il regressore potenzialmente endogeno, ma non con la variabile dipendente. I livelli di criminalità vengono instrumentati con i ritardi temporali di indicatori di capitale sociale, il livello (temporalmente ritardato) del PIL pro capite come misura di ricchezza, e la struttura delle età della popolazione. Alcuni recenti studi dimostrano, infatti, sia teoricamente sia empiricamente, come alti livelli di capitale sociale siano correlati a livelli più bassi di criminalità (Akçomak e ter Weel, 2009). Il capitale sociale agisce come un vincolo non legale a comportamenti devianti, attraverso meccanismi di sanzionamento informale, alterando gli incentivi - costi e benefici - degli agenti a commettere reato (Becker, 1968); inoltre, le società più ricche e maggiormente costituite da anziani tendono ad avere tassi di criminalità più bassi. 12 Nelle stime sono stati anche utilizzati effetti fissi Paese, sebbene i risultati non vengono presentati in questo lavoro. Essi confermano il messaggio principale dell’articolo, senza però aggiungere granché alle relazioni tra variabili indipendenti e dipendente.

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Tabella 3. Stime con variabili strumentali

Modello (1) (2) (3)

Costante 9.93*** 12.95*** 12.76***

(2.01) (3.42) (3.23)

Rendita -0.35** -0.32** -0.42***

(0.14) (0.14) (0.17)

Conflitti sociali -0.10* -0.25* -0.09*

(0.05) (0.15) (0.05)

Amenities 0.32*** 0.28*** 0.23**

(0.07) (0.08) (0.12)

Diversità 0.83* 0.88* 0.81

(0.46) (0.50) (0.59)

Densità - - -

Reti di città 0.12** 0.09* 0.17**

(0.05) (0.05) (0.08)

Funzioni urbane 0.20** 0.12 0.47*

(0.09) (0.09) (0.28)

Dummy piccolo Paese -0.25* -0.22* -0.23

(0.13) (0.13) (0.15)

Dummy capitale finanziaria

0.60*** 0.45* 0.62**

(0.17) (0.26) (0.23)

Sprawl -0.30*** -0.27*** -0.21**

(0.08) (0.07) (0.10)

R2 0.78 0.82 0.78

F-test congiunto 21.01*** 23.03*** 18.97***

Numero di osservazioni 59 59 59

Variabile strumentata - Conflitti sociali Funzioni

Strumenti usati -

Indicatori di capitale sociale, PIL pro capite della FUA temporalmente ritardato, struttura dell’età della popolazione della FUA.

Indicatori di capitale sociale, indicatori di una società culturalmente avanzata, presenza nella FUA di almeno un’università nelle top 500 dello Shanghai ranking 2003.

Note: Variabile dipendente: Dimensione di equilibrio della città (Log popolazione urbana 2004-2006). Errori standard fra parentesi. ***,**,* implicano significatività rispettivamente al 10, 5 e 1 per cento.

Il capitale sociale è misurato da valori (a livello urbano) di fiducia generalizzata, percentuale di volontariato, interesse generale per la politica, percentuale di frode fiscale, disponibilità a firmare petizioni politiche e dall’atteggiamento verso il cambiamento. Al fine del presente test empirico, queste variabili sono state, per la prima volta a nostra conoscenza, calcolate aggregando a livello urbano le risposte individuali dell’European Values Survey del 1990 (EVS13).

Funzioni di alto livello sono presenti nelle società culturalmente avanzate e ricche, e non sono necessariamente limitate alle grandi città. Le funzioni urbane di alto livello sono quindi instrumentate con indicatori di ricchezza, ovvero con il valore temporalmente ritardato del PIL pro capite, con il grado di

13 L’EVS è un'indagine sui cittadini europei e le loro opinioni sulla vita per ampie categorie, tra cui fiducia, religione, politica e società. Ai cittadini è stato domandato, rispettivamente, “Saresti d'accordo che ci si può fidare della maggior parte della gente?”, “Trascorri del tempo libero prestando servizio in organizzazioni di volontariato?”, ”La politica è importante nella tua vita?”, “Si può giustificare chi evade le tasse?”, ”Hai mai firmato una petizione politica?”, e “Con che attitudine reagiresti ad un grande cambiamento nella vita?”. Per ulteriori informazioni sui metodi di raccolta dei dati dell’EVS si veda www.europeanvaluesstudy.eu.

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fiducia tra i cittadini di una società e con l’apertura di una società ai valori culturali moderni14. Infine, un ulteriore strumento è la presenza nella FUA di almeno un'università fra le top 500 dello Shanghai ranking 200315; mentre alcune istituzioni educative di alto livello si trovano al di fuori delle grandi aree metropolitane, essere certamente correlano con la percentuale di lavoratori occupati in professioni di alto livello.

I risultati delle regressioni con il metodo delle variabili strumentali confermano il messaggio principale della sezione precedente. Il modello teorico viene verificato anche dopo aver controllato per meccanismi di causalità inversa. Come mostra la Tabella 3, sia il conflitto sociale (la variabile di criminalità) che le funzioni urbane rimangono significative e con i segni corretti anche una volta strumentate.

L’uso di effetti fissi Paese, del valore temporalmente ritardato per la variabile dipendente, e di stimatori a variabili strumentali, permette di concludere in modo sicuro che la causalità inversa non rappresenta un problema importante nei nostri risultati. Anche se nel lungo periodo shock esogeni a ciascuna determinante della dimensione urbana può in effetti causare causalità circolare (ovvero, uno shock ai tassi di criminalità potrebbe ridurre la popolazione di equilibrio della città, riducendo di conseguenza i tassi di criminalità), i risultati di questo studio suggeriscono che i microfondamenti teorici del modello di dimensioni di equilibrio della città resiste efficientemente al test empirico.

6. La dimensione di equilibrio e la dimensione reale a confronto

I risultati del modello possono essere ulteriormente sfruttati confrontando la popolazione urbana prevista dal modello e la popolazione effettiva di ogni FUA; questo consente l’identificazione delle città al di sopra (o al di sotto) della dimensione di equilibrio teoricamente determinata. In questa sezione, tutte le Figure sono basate sui risultati ottenuti stimando il modello 6 in Tabella 2, che, come sopra accennato, è stato scelto come la stima lineare più convincente del modello teorico.

La Figura 7 mostra questi risultati, riportando la differenza percentuale tra la popolazione della città prevista dal modello e quella effettiva per ogni FUA. Diverse considerazioni emergono da questa figura. In primo luogo, la figura mostra una notevole capacità previsiva del modello: l’intervallo della differenza percentuale è compreso tra 6% e -6%. Inoltre, il coefficiente di correlazione di Pearson tra queste due variabili (non riportato in figura) è pari a 0,92, significativo a tutti i livelli convenzionali. Tutto ciò implica che il modello, in linea con gli R2 mostrati nelle Tabelle 2 e 3, è in grado di predire la maggior parte della varianza nei dati. Questa conclusione è ulteriormente rafforzata dal fatto che le nostre stime soddisfano la legge di Zipf per le città, come richiesto nella letteratura più recente sulla performance urbana (si veda ad esempio Gabaix, 1999) (Figura 8).

14 In particolare, per quest’ultima variabile, sono state utilizzate le risposte alle domande “Giustificheresti comportamenti sessuali liberi?”, “Pensi che una donna debba avere figli per essere soddisfatta o ciò non è necessario?”, e “Se un donna vuole avere un figlio come un genitore single, ma non vuole avere una relazione stabile con un uomo, approveresti o disapproveresti?”. Infine, la fiducia viene calcolata come percentuale di persone che rispondere di avere elevata fiducia nei propri concittadini. 15 I dati grezzi sono disponibile all’indirizzo http://www.arwu.org/ARWU2003.jsp.

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Figura 7. Popolazione di equilibrio predetta dal modello (in % sulla dimensione reale).

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Popolazione di equuilibrio predetta su popolazione reale (%)

Fonte: Calcoli degli autori.

Figura 8. Legge di Zipf per il modello teorico.

Paris

London

Madrid

MilanoLisboa BerlinAthina Barcelona

MünchenGlasgowAmsterdam Frankfurt am MainStuttgartBudapestHamburgWarszawaLyonRoma WienStockholmPortoValenciaSevilla PrahaFirenzeTorino Copenhagen EdinburghToulouse Helsinki BordeauxDresdenWroclaw

Bremen TallinnRigaNapoliZaragoza Lodz BelfastBolognaHannoverBucurestiGenova Vilnius Bratislava Rotterdam Freiburg im BreisgauGrazMagdeburg Linz SofiaLjubljana Erfurt Regensburg Groningen UtrechtLiège

Populazione urbana di equilibrio (in log)

Rango urbano (in log)

Fonte: Calcoli degli autori.

In secondo luogo, come per tutti i residui (proprio come per la misura di produttività totale dei fattori: Syverson, 2011), la distanza tra la popolazione prevista e la popolazione reale rappresenta una misura della

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nostra ignoranza. Per le città che registrano una popolazione prevista superiore rispetto alla popolazione reale (i valori positivi in Figura 7), esistono possibili margini di crescita, grazie ad un miglioramento in alcune caratteristiche di efficienza non catturate dal modello. Tali caratteristiche sono probabilmente di natura qualitativa, come ad esempio la qualità della governance urbana: le città con le migliori strategie di lungo periodo possono infatti permettersi, coeteris paribus, una maggiore dimensione di equilibrio – ovvero, una crescita demografica più elevata prevista come mostrato nella Figura 7.

7. Conclusioni

Fin dalla loro nascita, le città sono stati i luoghi dell’innovazione, in cui gli investimenti in capitale umano sono attratti da maggiori rendimenti e i luoghi “dove le persone sono veramente libere”16. Recenti sviluppi urbani, tuttavia, suggeriscono che esistono ulteriori ragioni per localizzarsi in aree urbane. Non solo paga accumulare capitale umano e localizzarsi nelle città in cui i rendimenti associati all’istruzione sono più elevati, ma diventa anche sempre più importante godere dell’atmosfera tollerante che caratterizza i moderni agglomerati urbani.

In questo lavoro viene descritto un modello microfondato, con l’obiettivo di valutare i fattori che determinano la dimensione della città, tenendo in considerazione sia i fattori precedentemente analizzati dall’approccio neoclassico che i più recenti e meno convenzionali approcci alla performance urbana. Questo modello teorico è poi testato su 59 aree urbane funzionali della UE27. Si verifica che non esiste una singola dimensione ottima per la città, ma al contrario che sono possibili molte dimensioni di equilibrio, in base alla presenza in ogni città di costi e vantaggi specifici.

L’evidenza suggerisce che in realtà i moderni paradigmi interpretativi spiegano molte delle attuali disparità di dimensioni urbane. Mentre la rendita, al netto dei vantaggi urbani che essa riflette, rappresenta il singolo costo più alto associato alla dimensione urbana, le città beneficiano non solo dell’attrarre professionisti altamente istruiti, e dell’ospitare un mercato ricco e diversificato, ma anche delle pure amenities, che la verifica empirica dimostra associate ad una maggiore dimensione urbana.

Inoltre, i risultati dimostrano chiaramente che essere inseriti in una rete di città - in questo caso misurata attraverso una rete di cooperazione scientifica - permette alle città di raggiungere una maggiore dimensione di equilibrio. Lo stesso ruolo è svolto dalla presenza di funzioni di ordine superiore, anche se la verifica empirica è su questo aspetto meno robusta.

I risultati empirici hanno permesso l’identificazione di condizioni specifiche delle singole città: alcune città mostrano una popolazione reale minore (maggiore) rispetto alla dimensione di equilibrio della città prevista dal modello. Le differenze possono essere spiegate da una buona o cattiva governance, suggerendo così le future strategie più efficienti di pianificazione urbana, nonché solide “visioni” economiche e sociali.

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16 Stadtluft macht frei, come sostiene un ditto medievale.

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Appendice 1

Tabella A1. Regioni amministrative usate nella costruzione delle LUZ.

Paese Numero di città con LUZ Unità di base

AT Tutte 3 unità NUTS3 (Gruppi di Bezirke ammnistrativi). La LUZ di Vienna ha 3 unità

BE Tutti i 6 Communes NUTS5 – delimitazione delle zone di pendolarismo basate sul censimento 1991. BG Tutte 7 NUTS4 CY 1 su 1 NUTS4 CZ Tutte 5 NUTS4 DE 28 su 35 (una LUZ per la Ruhr) Gruppi di NUTS3/Kreise DK Tutte 4 Amter (NUTS3). Copenhagen: diverse unità EE Tutte 2 NUTS4 ES Tutte Provincias / NUTS3 FI Tutte 4 unità NUTS5 che costituiscono un’area metropolitana

FR 27 su 31 Aires Urbaines, statisticamente definite. Non esistono LUZ nei dipartimenti

d’oltremare. GR Tutte 9 Nomoi (NUTS3) tranne le isole periferiche che appartengono all’Attica HU Tutte 4 NUTS4; l’agglomerazione di Budapest è basata su unità NUTS5. IE 3 su 4 2 unità NUTS3 per Dublino. Le NUTS5 vengono usate per Cork e Limerick. IT Tutte 27 Province NUTS3 LT Tutte 3 NUTS4 LU 1 su 1 Communes NUTS5 LV Tutte 2 NUTS4 MT 1 su 2 La NUTS3 è l’intera isola NL Tutte 10 regioni COROP (NUTS3), in alcuni casi 2 regioni formano laLUZ PL Tutte 22 NUTS4; per le città più piccole: NUTS5

PT 2 su 8 (le altre 6 città usano un

concelho ciascuna) Concelhos NUTS 4

RO Tutte 14 NUTS5

SE Tutte 5 NUTS3 per Stoccolma; unità NUTS5 che costituiscono un’area metropolitana

per 2 città; sistemi locali del lavoro per le altre 2 città

SI Tutte 2 NUTS3 SK Tutte 14 NUTS5

UK 20 su 24 (alcune città

condividono una LUZ) Districts/Unitary Areas (NUTS4), con un’eccezione che usa aree NUTS5

(Lincoln) Fonte: EUROSTAT (2004).

Appendice 2

Tabella A2. Fonti per la rendita urbana.

Paese Fonte dei dati sui prezzi delle case Anno

Austria Global Property Guide (www.globalpropertyguide.com) 2006

Belgio Institut National de Statistique 2006

Bulgaria National Statistical Institute 2006

Cipro Global Property Guide (www.globalpropertyguide.com) 2006

Repubblica Ceca European Property website (www.europeanproperty.com) 2006

Danimarca Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 48% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Estonia Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 61% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Page 25: Dimensione urbana ottima o di equilibrio - Servizio Ambiente · dovute ad una maggiore disponibilità a pagare per i servizi pubblici che a diseconomie di scala. Inoltre, la differenza

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Finlandia Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 157% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Francia Statistiche FNAIM sui prezzi delle case 2006

Germania Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 48% (variazione dei prezzi calcolata

con dati BulwienGesaAG) 2006

Grecia Varie agenzie immobiliari internazionali (per esempio

http://www.mondinion.com/Real_Estate/country/Greece/) 2006

Ungheria Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 20% (variazione dei prezzi calcolata

con dati del Departement du Logement) 2006

Italia Banca dati delle quotazioni immobiliari - Agenzia del territorio

(http://www.agenziaterritorio.it) 2006

Lettonia Ufficio statistico centrale della Lettonia 2006

Lituania Inreal quarterly report 2006

Malta Malta's property price index 2006

Paesi Bassi Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 66% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Polonia Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 66% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Portogallo http://www.portugalvirtual.pt/real-estate/prices-how-to-finance.php 2006

Romania Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 74% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Slovacchia Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 41% (variazione dei prezzi calcolata

con l’indice dei prezzi delle case della Banca Centrale di Slovacchia) 2006

Slovenia Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 57% (variazione dei prezzi calcolata

con dati dell’ufficio statistico sloveno) 2006

Spagna Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati del 35% (variazione dei prezzi calcolata

con dati GPG) 2006

Svezia Värderings Data SA 2006

Regno Unito Dati Urban Audit 2001-2004, inflazionati con indici dei prezzi regionali calcolati da

Nationwide Ltd. 2006