Diego Fusaro - Filosofia e Speranza. Ernst Bloch e Karl Löwith Interpreti Di Marx (2012)

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  • Il libro

    Uno dei maggiori problemi irrisolti che Karl Marx ha lasciato in eredit aisuoi interpreti riguarda la legittimit della speranza in sede pratica e teoretica,tanto nella cornice del suo pensiero quanto nel pi ampio orizzonte dellafilosofia. L'intera opera marxiana sembra enigmaticamente in bilico tra leopposte dimensioni della scienza e della speranza. La linea interpretativaadottata da Ernst Bloch e da Karl Lwith scorge in Marx il filosofo dellasperanza pi che della scienza, riconoscendo nella sua riflessioneun'ineludibile tensione utopica rispetto alla quale la scienza sarebbe unfenomeno secondario e funzionale.

  • DIEGO FUSARO

    FILOSOFIA E SPERANZA

    Ernst Bloch e Karl Lwithinterpreti di Marx

  • 2012 il prato

    www.ilprato.com [email protected]

    Isbn: 978-88-6336-154-4

    Illustrazioni di Nicoletta SilvestrinRealizzazione ebook: Sergio Covelli - Pecorenerecords

  • Mi chiedo se un marxista abbia mai il diritto di sognare, qualoranon dimentichi che, secondo Marx, lumanit si pone sempre i soli

    compiti che pu assolvere.

    (V. I. Lenin, Che fare?)

    Solo per chi non ha pi speranza ci data la speranza.

    (W. Benjamin, Angelus Novus)

  • A Giuseppe Girgenti,con linfinita stima e lamicizia di sempre.

    Ringraziamenti

    Questo lavoro nasce dallo sviluppo e dallampliamento della tesi con cui hoconseguito, nel giugno 2005, la laurea triennale in Filosofia della Storiapresso lUniversit di Torino. Desidero qui ringraziare di cuore il professorEnrico Donaggio e il professor Enrico Pasini per avermi pazientementeseguito nel mio percorso, per i preziosissimi consigli che mi hanno fornito eper lattenta lettura del mio lavoro. Senza di loro esso non avrebbe mai vistola luce. Un ringraziamento speciale va anche a Emiliano Brancaccio, adAlessandra Diacono, a Jonathan Fanesi, a Davide Guerra, a Salvatore Obinu,a Lorenzo Sieve: con tutti loro ho avuto modo di confrontarmi e di discuteresul tema della speranza e del rapporto che la lega alla filosofia e, inparticolare, al marxismo.

  • Indice

    1. Introduzione

    2. Marx ed Engels tra scienza e speranza

    3. Karl Lwith: filosofia o speranza

    4. Ernst Bloch: filosofia e speranza

    5. Bloch e Lwith di fronte a Marx

    5.1 Storia di un incontro

    5.2 Due percorsi inversi

    5.3 Con Marx, contro Marx

    5.4 Il socialismo reale

    ConclusioneTramonto del marxismo, eclisse della speranza?

    Bibliografia

  • 1. Introduzione

    Apparir chiaro come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosadella quale non ha che da possedere la coscienza per possederlarealmente. (K. Marx)1

    Accanto alla vexata quaestio del rapporto tra struttura e sovrastruttura,quello della legittimit della speranza uno dei maggiori problemi irrisolti cheKarl Marx ha lasciato in eredit ai suoi successori. Il dilemma sorge nelmomento in cui egli diagnostica, col rigore degno di uno scienziato,limminente crollo del sistema capitalistico per via delle molteplicicontraddizioni che vi si nascondono, e al tempo stesso invita gli operai adadoperarsi per abbatterlo, senza mai perdere la speranza in un futuro regnodella libert2. In Marx vi dunque una problematica sovrapposizione delledimensioni eterogenee della speranza e della scienza; quasi come se, per quelche riguarda il tramonto del capitalismo e linstaurazione della societcomunista, sussistesse unidentit tra il dovere in senso morale (sollen) e ildovere in senso fisico (mssen), con la conseguente aporia per cui, aseconda della prospettiva adottata, ci si trova a sperare in qualcosa che dovrnecessariamente accadere, o a dare una veste scientifica alla speranza3.

    Questa tensione concettuale che percorre il pensiero marxiano risultalampante se si confronta unopera come il Manifesto del partito comunista,che trabocca di speranza e afflato morale, con il Capitale, in cui si attua civettando col titolo di uno scritto di Engels unevoluzione del socialismodallutopia alla scienza4, che rende assurda e vana ogni speranza. Ma questatensione innerva anche molti altri luoghi delle opere marxiane:particolarmente evidente , a tal proposito, il caso del gi citato Manifesto,che, dopo la diagnosi del necessario tramonto del capitalismo simile a unostregone che non riesce pi a tenere a bada le forze da lui stesso evocate5 sichiude in un crescendo di esortazioni incentrate sulla categoria dellasperanza, fino a culminare nellentusiastico invito rivolto ai proletari di tutti ipaesi a unirsi6. In maniera non meno problematica, in una lettera ad ArnoldRuge del 1843 Marx, in riferimento al proletariato, sostiene che la coscienzadi classe una cosa che esso deve far propria, anche se non lo vuole, e,qualche riga pi in gi, menziona un misterioso sogno di una cosa7 in vistadel quale luomo deve spontaneamente orientare il suo agire. Molti altri sono

  • i luoghi degli scritti di Marx che testimoniano di questa dicotomia allinternodel suo pensiero. La conciliazione della previsione scientifica con lattesapiena di speranza un problema di difficile soluzione: in che modo possonocoesistere in Marx unanima darwiniana, che ha decifrato la legge dellosviluppo della storia umana8 e il necessario tramontare9 di ogni realt, eunanima mntzeriana, che predica con speranza la lotta contro la realtpresente? Come si possono coniugare le istanze scientifiche con quellemorali? E, soprattutto, che senso ha sperare in qualcosa che dovr accaderecon ineluttabile necessit?

    Queste due componenti autoelidentisi, che in Marx troviamoenigmaticamente presenti nella loro aporeticit, non potevano non esserescisse dai suoi successori, che ora privilegiano in Marx listanza della scienzarigettando quella della speranza, ora si appoggiano alla speranza senza troppoconcedere alla scienza. Essi separano e radicalizzano ci che in Marx, purproblematicamente, stava insieme. Ma in tal modo, sciolto il nodo dellaconvivenza della scienza e della speranza, si inaugura un nuovo e pi ampiodilemma, quello della legittimit in sede filosofica della speranza in quantotale.

    Tanto Ernst Bloch quanto Karl Lwith leggono Marx alla luce di questoparadigma interpretativo che si pone come una vera e propria ermeneuticadella speranza: ma diametralmente opposte sono le conclusioni che essi netraggono. Per Bloch, il marxismo lerede legittimo delle speranze che dasempre animano luomo; al contrario, per Lwith esso non che unindebitadeviazione dalla filosofia proprio perch il suo nucleo pi autentico lasperanza esula dai sentieri filosofici. Detto altrimenti, tanto per Blochquanto per Lwith la vera anima del marxismo la speranza: unanima cheper letta dal primo come il punto di forza della teoria di Marx, dal secondocome il suo tallone dAchille.

    Le conclusioni antitetiche a cui addivengono i due autori debbono dunqueessere messe in relazione con il loro particolare rapporto con la speranza, che a sua volta inscindibilmente legata alla dimensione del futuro:considerandola come il motore dellagire umano in tutti i tempi oltre checome il fondamento della realt stessa, Bloch non pu che concepire ilmarxismo come la filosofia pi alta, lunica che, interamente proiettata nelfuturo, ha fatto della speranza il principio non solo della teoria, ma anche e

  • soprattutto della prassi.

    Sul versante opposto, Lwith liquida la speranza come il meno filosoficodegli atteggiamenti, poich legata alla fede anzich alla ragione, e dunqueripudia il marxismo come un erroneo tentativo di contrabbandare nel regnodella filosofia ci che per sua natura non pu accedervi. La domandakantiana che cosa posso sperare?10 torna dunque a risuonare nellepagine dei due filosofi, che ad essa forniscono risposte antitetiche: se perLwith, disincantato fino in fondo, non lecito sperare alcunch, per il menoprosaico Bloch si pu sperare tutto, proprio perch la realt stessa , nellasua intima essenza, nientaltro che speranza.

    Da tale considerazione scaturisce lopposta valutazione del marxismo,proprio in virt del fatto che entrambi lo considerano la filosofia dellasperanza par excellence. Da ci discende unimportante conseguenza: non possibile condurre unanalisi delle interpretazioni del marxismo elaborate daBloch e da Lwith senza fare costante riferimento alla loro concezione dellasperanza e, congiuntamente, della storia. La filosofia delluno il pi potenteantidoto contro quella dellaltro: alla sobria inquietudine11 lwithiana di unvivere disincantato e privo di illusioni, il cui baricentro tutto nel presente, sicontrappone lesistenza trionfalmente intessuta di speranza e interamenteaffacciata sullavvenire prospettata da Bloch. Lo stesso stile con cui scrivonoi due autori rispecchia fedelmente il modo in cui essi concepiscono la realt:stringato e senza una parola di troppo quello di Lwith, enfatico e passionalequello di Bloch. E non stupisce se i rapporti tra loro, sideralmente distanti sulpiano teoretico, siano per lo pi stati allinsegna del reciproco ignorarsi, salvopoi esplodere in aspri diverbi nelle rare occasioni in cui si sono incontratifaccia a faccia12.

    Si potrebbe dunque compendiare latteggiamento teoretico di Lwithnellespressione filosofia o speranza, a sottolineare come per lui la sceltadelluna comporti con ci stesso labbandono dellaltra; sullaltro versante, laconcezione di Bloch potrebbe essere sintetizzata nellopposta locuzionefilosofia e speranza, per adombrare lidea secondo cui, solo dove csperanza, c filosofia in senso autentico.

    Per tutti e due, poi, Marx non solo il filosofo che ha pi sperato, ma anchequello che pi ha fatto sperare quanti lhanno seguito, offrendo un vero e

  • proprio orizzonte comune alla speranza (una speranza sociale) di milioni dipersone che, fino al 1989, si sono trovate a nutrire un unico sogno: questaforma di speranza, che si potrebbe forse chiamare speranza socializzata inforza del suo ineludibile riferimento agli altri e alla mobilitazione politica,rende necessario, in una prospettiva di filosofia della storia, un confronto colNovecento e con la problematica concretizzazione di quella speranza nelsocialismo reale.

    Si tratter dunque, ora che abbiamo sommariamente esposto i problemi difondo, di addentrarci in essi, intraprendendo quello che Georg WilhelmFriedrich Hegel ha efficacemente definito il lavoro del concetto13.

  • 2. Marx ed Engels tra scienza e speranza

    Limportanza del socialismo e del comunismo sta in rapporto inversocon lo sviluppo storico. Nella misura in cui si sviluppa e prende forma lalotta di classe, ecco che questo immaginario elevarsi al di sopra di esse,questa lotta immaginaria contro di essa perde ogni valore pratico, ognigiustificazione teorica. (Marx Engels)14

    Louis Althusser sosteneva che ci che si verifica in Marx , nel linguaggiointrodotto da Gaston Bachelard15, una vera e propria rotturaepistemologica in forza della quale, a partire dalle Tesi su Feuerbach edallIdeologia tedesca, il pensiero marxiano trapasserebbe dallideologiacolma di speranza e imbevuta di umanismo e di hegelismo al rigoredisincantato della scienza16:

    Creando la teoria della storia (materialismo storico) Marx, con un unico emedesimo gesto, aveva rotto con la sua coscienza filosofica ideologicaanteriore e gettato le basi di una nuova filosofia (materialismo dialettico)17.

    Secondo questinterpretazione, esisterebbero dunque due Marx diversi econtrapposti: uno filosofo e utopista mosso dalla speranza, laltro scienziatodisilluso. Il secondo Marx verrebbe cos ad essere il superamento e,insieme, la negazione del primo, col quale non avrebbe pi nulla a chevedere: tale tesi, nella prospettiva althusseriana, troverebbe un riscontro neglistessi testi marxiani e, in particolare, ne Lideologia tedesca del 1846 (cheAlthusser assume come punto decisivo della cesura tra il primo e ilsecondo Marx), opera in cui Marx ed Engels scrivono esplicitamente divoler fare i conti con la loro anteriore coscienza filosofica; ancora, nellaprefazione a Per la critica delleconomia politica del 1859, Marx,ripercorrendo il suo cammino, accenna solo di sfuggita al proprio passato difilosofo, quasi come se si trattasse di un episodio marginale che appartiene aun passato ormai caduto nelloblio e assolutamente trascurabile, e si soffermainaspettatamente per ben pi pagine sulla propria attivit di giornalista. Lafilosofia sembrava dunque essere completamente uscita di scena. In questomodo, Althusser sembra risolvere il problema della convivenza tra scienza esperanza in Marx immaginandosi due diversi Marx, nel primo dei quali ilcomunismo inteso come unesigenza morale (sollen), nel secondo come

  • una necessit fisica (mssen): in questo modo egli taglia il nodo gordianodel problema ma non lo affronta come andrebbe affrontato, vale a direconsiderandolo nellintera produzione marxiana, senza semplificazioni dicomodo.

    A me pare infatti evidente, come tenter di dimostrare nel corso dellatrattazione, che lo spirito utopico sopravviva anche e non meno nellesuccessive opere marxiane, quelle della maturit. Ed esattamente ci che loschema interpretativo di Althusser lascia irrisolto: come spiegare il problemadella convivenza tra scienza e speranza che si verifica in molti luoghi dellestesse opere marxiane, sia giovanili sia mature? Se veramente in Marx sifosse verificata la rottura epistemologica tematizzata da Althusser, perchmai il filosofo tedesco, ancora nel Capitale, civetterebbe qua e l con Hegel?Perch ed questo laspetto pi rilevante per la nostra indagine continuerebbe a lasciar filtrare in pi punti sprazzi di speranza chedifficilmente possono essere ricondotti alla scienza economica? Dettoaltrimenti, prima e dopo la rottura epistemologica, Marx continua asperare, cosicch il concetto stesso di rottura epistemologica devesseremesso in questione. Al centro della nostra ricerca sta la convinzione chequesta tensione tra scienza e speranza, tra libert di scelta e determinismonecessitante, accompagni Marx in modo ora evidente, ora sotterraneo dalla culla alla tomba.

    Ancora, nel Capitale (e dunque a rottura epistemologica gi pienamenteconsumata) si dice che lobiettivo dellopera non quello di prescriverericette per losteria dellavvenire e, successivamente, trasgredendopalesemente tale ammonizione, si abbozza un quadro di quella che sar lafutura societ comunistica, il vero regno della libert contrapposto a quellodella necessit in cui ancora ci troviamo ingabbiati. E sempre nel Capitalesembra essere azzerata ogni speranza nella misura in cui si diceespressamente che unepoca non tramonta finch non ha realizzato tutte lesue possibilit, che il Paese pi sviluppato mostra a quello meno sviluppato labronzea necessit del suo avvenire, alla luce del presupposto secondo cui lanatomia delluomo a spiegare quella della scimmia; e, ancora, che il crollodel capitalismo una legge di natura simile alla legge di gravit, che lepersone debbono essere intese esclusivamente come personificazioni dicategorie economiche, senza fantasticare ipotetiche libert dazione;unidea che era peraltro gi sullo sfondo quando, nel 1842, scriveva sullaGazzetta Renana che sul teatro sociale si vedono agire situazioni anzich

  • singoli individui. Ma poi, quasi vittima di una doppia personalit, Marxdismette il camice da scienziato per indossare la veste del profeta, scrivendouna nutrita serie di pamphlets politici e tenendo conferenze nei circoli operaiper esortarli allazione, invitandoli a unirsi, ad adoperarsi per abbattere uncapitalismo che, sembra quasi di capire, da solo non cadrebbe mai.

    I luoghi degli scritti di Marx che testimoniano di questa dicotomia allinternodel suo pensiero sono innumerevoli e presenti in ogni sua opera: e questoaspetto non pu che indurci a rimettere in discussione lo schemainterpretativo althusseriano, che non riesce a render conto di questaproblematica convivenza tra scienza e speranza che ritorna con frequenzaossessiva in quasi tutti gli scritti marxiani e che stata messa in luce conimpareggiabile chiarezza e lucidit tanto da Bloch quanto da Lwith. Ci nontoglie che, almeno nelle intenzioni, Marx ed Engels fossero convinti che conla loro elaborazione del materialismo storico il socialismo approdassefinalmente dallutopismo, che fino ad allora laveva contraddistinto, allascienza, abbandonando i cieli dellastratta teoria per poggiare definitivamentecoi piedi per terra. Detto altrimenti, il comunismo cessava di essere unideanella cui attuazione sperare e aver fede per diventare il necessario punto diarrivo scientificamente prevedibile di una storia ritmata dalla dialetticatra forze produttive e rapporti di produzione. Secondo la puntualediagnosi di Antonio Labriola, il comunismo, cessando dallessere speranza[] trovava per la prima volta la sua adeguata espressione nella coscienzadella sua propria necessit; cio nella coscienza di esser lesito e la soluzionedelle attuali lotte di classe18. Da quanto detto, sembrerebbe che con laformulazione del materialismo storico la speranza ceda definitivamente ilpasso alla scienza, e che dunque, ancora una volta, abbia ragione Althusser.Numerosissimi sono i passi di Marx ed Engels che si potrebbero menzionare atestimonianza di questo assunto. Nel Manifesto, i due autori si esprimonocos circa il socialismo utopistico che pretenderebbero di essersi lasciati allespalle:

    In un periodo in cui il proletariato ancora assai poco sviluppato ecomprende la propria posizione ancora solo in termini fantastici, taledescrizione fantastica della societ futura corrisponde al suo primo impulso,carico di presentimenti, verso una trasformazione generale della societ. Gliscrittori socialisti e comunisti contengono per anche elementi di critica. Essiattaccano tutte le fondamenta della societ esistente19.

  • Al socialismo utopistico dunque, da un lato, spetta il merito di aversottoposto a dura critica la societ, denunciandone le storture e lecontraddizioni; ma, dallaltro, devessergli imputata unincapacit di far presasulle masse e di puntare su di esse per concretizzare la societ ideale;incapacit che saccompagna del resto allassurdo e goffo tentativo che isocialisti utopisti (il caso pi eclatante quello di Richard Owen) hannocompiuto di convincere gli imprenditori ad attuare le societ da lorovagheggiate, facendo appello alla filantropia dei cuori e dei borselliniborghesi20 e non al movimento rivoluzionario operaio. Il loro limiteprincipale consisterebbe allora nellaver cercato di persuadere a trasformarela societ proprio quella classe (la borghesia) che dalla realt esistente traevai maggiori vantaggi. E tuttavia, Marx ed Engels, subito dopo averridicolizzato questo atteggiamento infantile e immaturo, giustificano ilcomportamento degli utopisti ponendolo in relazione al loro tempo: se essicercarono lappoggio della borghesia anzich del proletariato, ci accaddeproprio in virt del fatto che, a quei tempi, il proletariato non era ancoradiventato una classe in senso autentico (una classe in s e per s, comedir Marx). Questo aspetto sar chiarito da Engels con estrema precisione:

    Allimmaturit della produzione capitalistica, allimmaturit della posizionedelle classi, corrispondevano teorie immature. La soluzione delle questionisociali, che restava ancora celata nelle condizioni economiche pocosviluppate, doveva uscire dal cervello umano. La societ non offriva cheinconvenienti: eliminarli era compito della ragione pensante. Si trattava diinventare un nuovo e pi perfetto sistema di ordinamento sociale e dielargirlo alla societ dallesterno, con la propaganda e, dove fosse possibile,con lesempio di esperimenti modello. Questi nuovi sistemi sociali erano, sindal principio, condannati ad essere utopie: quanto pi erano elaborati nei loroparticolari, tanto pi dovevano andare a finire nella pura fantasia [] Gliutopisti, abbiamo visto, furono utopisti perch non potevano essere altro inunepoca in cui la produzione capitalistica era ancora cos poco sviluppata.Essi furono obbligati a costruire gli elementi di una nuova societ traendolidal proprio cervello, perch nella vecchia societ questi elementigeneralmente non erano ancora chiaramente visibili; per i tratti fondamentalidel loro nuovo edificio essi furono ridotti a fare appello alla ragione,precisamente perch non potevano ancora fare appello alla storia del lorotempo21.

  • Il problema era gi stato affrontato in questi termini fin dai tempi delManifesto, in cui si diceva che limportanza del socialismo e comunismocritico-utopistici inversamente proporzionale allo sviluppo storico. Laconseguenza inevitabile che per Marx ed Engels il socialismo utopistico, se giustificato nei tempi passati, in cui il proletariato non era ancora una classein senso pieno, diventa assurdo nel presente: a tal punto che scrive Engels chi prospettasse al giorno doggi un nuovo socialismo utopista agirebbe nondiversamente da chi tornasse allalchimia dopo che stata scoperta lachimica moderna. Questo , nella lettera, quel che Marx ed Engels ci diconoe che Althusser assume come prova della rottura epistemologica: ma seguardiamo alle opere marxiane, in particolare al loro spirito, non difficileaccorgersi di come la prospettiva filosofica e carica di tensione verso il futuronon si affievolisca affatto nelle opere della maturit. A tal proposito, Bloch eLwith sono convinti che la riflessione marxiana, in cui pure innegabilmente presente la dimensione della scienza, sia fondamentalmente(e ci vale per tutte le opere marxiane) unutopia costruita sulla speranza diun mondo diverso: una speranza che deve essere intesa come lasecolarizzazione di quel messianismo ebraico-cristiano incentrato sulla fedenella salvezza finale e sullidea di un popolo eletto. E ci vale non solo inriferimento al giovane Marx, ancora assiduo frequentatore dei circoli dellaSinistra hegeliana; ma anche in riferimento al Marx maturo, che colCapitale non avrebbe fatto, secondo Bloch e Lwith, altro che rinvenire sulterreno economico le contraddizioni che avrebbero ineluttabilmente portatoalla realizzazione delle sue speranze. La scienza domina, s, nel Capitale, masotto di essa si nasconde la stessa speranza che aveva animato la riflessionedel giovane Marx. Il gi citato passo in cui egli parlava del sogno di unacosa proseguiva mettendo in chiaro come quelli che egli e lamico Rugedovevano portare a compimento erano i sogni che lumanit nutriva dasempre:

    Apparir chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato efuturo, bens di realizzare i pensieri del passato. Si mostrer infine comelumanit non incominci un lavoro nuovo, ma porti a compimentoconsapevolmente il suo vecchio lavoro.

    Un lavoro vecchio a cui Marx mai avrebbe rinunciato. Nel 1902, atestimonianza di quanto fosse sentito il problema della speranza allinternodei partiti e delle associazioni di ispirazione marxista, cos scriveva Leninstesso:

  • Ecco che cosa bisogna sognare! Bisogna sognare!. Scrivendo questeparole sono stato preso dalla paura. Mi sembrato di trovarmi al Congressodi unificazione e di avere in faccia a me i redattori ed i collaboratori delRaboceie Dielo. Ed ecco il compagno Martynov alzarsi ed esclamareminacciosamente: Scusate! Una redazione autonoma ha il diritto disognare senza lautorizzazione preventiva dei comitati del partito?. Poi sialza il compagno Kricevski, il quale (approfondendo filosoficamente ilcompagno Martynov che ha da molto tempo approfondito il compagnoPlekhanov) continua ancora pi minaccioso: Dir di pi. Vi domando: ha unmarxista il diritto di sognare se non ha dimenticato che, secondo Marx,lumanit si pone sempre degli obiettivi realizzabili e che la tattica ilprocesso di sviluppo degli obiettivi che si sviluppano insieme con il partitostesso?. La sola idea di queste domande minacciose mi fa venire la pelledoca, e non penso che a trovare un nascondiglio. Cerchiamo di nascondercidietro Pisariev. C contrasto e contrasto scriveva Pisariev a proposito delcontrasto fra il sogno e la realt. Il mio sogno pu precorrere il corsonaturale degli avvenimenti, ma anche deviare in una direzione verso la qualeil corso naturale degli avvenimenti non pu mai condurre. Nella primaipotesi, non reca alcun danno; anzi, pu incoraggiare e rafforzare lenergiadel lavoratore In quei sogni non c nulla che possa pervertire o paralizzarela forza operaia; tuttal contrario. Se luomo fosse completamente sprovvistodella facolt di sognare in tal maniera, se non sapesse ogni tanto andare oltreil presente e contemplare con limmaginazione il quadro compiuto delloperache abbozzata dalle sue mani, quale impulso, mi domando, lindurrebbe acominciare e a condurre a termine grandi e faticosi lavori nellarte, nellascienza e nella vita pratica? Il contrasto tra il sogno e la realt non affattodannoso se chi sogna crede sul serio al suo sogno, se osserva attentamente larealt, se confronta le sue osservazioni con le sue fantasticherie, se, in unaparola, lavora coscienziosamente per attuare il suo sogno. Quando vi uncontatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio. Di sogni di questogenere ve ne sono disgraziatamente troppo pochi nel nostro movimento. E nehanno colpa soprattutto i rappresentanti della critica legale e del codismoillegale, che fanno pompa della loro ponderatezza, del loro senso delconcreto22.

    Questo passo lascia trapelare una curiosa contraddizione, nella misura in cuisi dice che il sogno e la speranza debbono essere accettati nella misura in cuiprecorrono il corso naturale degli avvenimenti: precorrere il corso naturaledegli eventi esattamente il compito della scienza. Al contrario, la speranza

  • implica come sua condizione desistenza un margine di incertezza circalavvenire. Ancora una volta, appariva chiaro come scienza e speranza, chein Marx comparivano legate a filo doppio, non potessero stare coerentementeinsieme, ma fosse opportuno optare per una delle due abbandonando laltra.

  • 3. Karl Lwith: filosofia o speranza

    Abbiamo imparato ad attendere senza sperare, poich la speranzasarebbe una speranza assurda23.

    La drammatica esperienza del nazismo, che lo costrinse a peregrinare esuleper il mondo (prima in Italia, poi in Giappone, infine negli Stati Uniti), segnauninsanabile frattura nel pensiero di Lwith e nella sua concezione dellafilosofia: nella prima fase della sua attivit, egli, intendendola hegelianamentecome il proprio tempo colto in pensieri24, le aveva assegnato lambiziosoufficio di distogliere lo sguardo dai problemi gnoseologici per volgerloesclusivamente a quelli pratici, mutando il corso degli eventi verso nuove epi alte direzioni. Ma, dopo il 1933, Lwith comincia a maturare lidea cheuna filosofia cos intesa non possa considerarsi esente da responsabilit perquanto accaduto: se vuole continuare ad esistere, la filosofia dovr rinunciaredefinitivamente alle sue pretese di azione nel mondo, limitandosi al difficilecompito di una critica che sia radicale, ma non estremistica, tale cio danon varcare il limite che la tutela da indebiti e imprevisti coinvolgimenti nellaprassi; come se egli si rendesse conto che lesercizio della critica estrema,allinsegna del cosiddetto pensare fino alla fine25, fosse assolutamenteambigua e pericolosa. Ma ogni tentativo di questo genere destinato alloscacco qualora la filosofia abbia eletto la storia e la politica a propri ambiti diindagine: in questo caso, infatti, i limiti che essa si posta vengonoirrimediabilmente superati, con la conseguenza che ogni filosofia che siorienti sul tempo, sulla politica e sulla storia finisce col legittimare ci che inprincipio si proponeva di combattere: la violenza, i soprusi e larbitrio.Proprio perch strutturalmente troppo fragile per imporsi sulla realt emodellarla secondo i suoi princpi, la filosofia soccombe alla potenza dellapolitica, capovolgendosi, con esito perverso, in ideologia e giustificazione delpotere costituito. Lacquiescenza di Hegel verso la monarchia prussiana eladesione di Martin Heidegger al nazismo sono solo due tra i tanti esempi diquesto tragico destino del pensiero tradizionalmente inteso, di quella chepotremmo qualificare, rifacendoci alla fallimentare esperienza di Platone coltiranno siciliano, come sindrome di Siracusa.

    Acquisita la consapevolezza di questa connaturata fragilit della filosofia,Lwith si converte a una scepsi26 critica e antidogmatica che attraversa

  • una dopo laltra le posizioni dei pi grandi filosofi, smascherandone i vizi,denunciandone i dogmi e demolendone le contraddizioni dallinterno,secondo quella che Eugen Fink ha brillantemente etichettato come tecnicadel cavallo di Troia27: la singolare strategia adottata da Lwith infattiquella di attaccare tali posizioni dal loro interno, quasi immedesimandosi inesse, per metterne in luce la contraddittoriet intrinseca. Proprio per poterserbare intatta la sua carica critica, la filosofia deve per immunizzarsi daogni ricaduta politica, ponendosi a una distanza di sicurezza dalla realt:detto altrimenti, deve mutare il suo oggetto, occupandosi non gi di storia e dipolitica, bens dellordine eterno della natura (che quanto di pi astorico eapolitico vi sia), per cogliere nelle giuste proporzioni il nostro rapporto colmondo.

    Al tempo stesso egli non rinuncia a una ricostruzione genealogica esmascherante del processo che ha indotto la filosofia a imboccare il binariounico della storia e della politica. A questo progetto egli lavora soprattutto inSignificato e fine della storia, del 1949: il punto di approdo della riflessionelwithiana consiste in una demolizione senza precedenti della speranza edella filosofia della storia legate a filo doppio , dei cui presupposti eglimette in luce linfondatezza o, meglio, lincompatibilit.

    Sorta nel 1756 con la pubblicazione del Saggio sui costumi e lo spirito dellenazioni28 di Voltaire, la filosofia della storia intendeva fornireuninterpretazione sistematica, onnicomprensiva e senza riferimenti allaldil,del corso storico, alla luce di un principio tale per cui gli eventi potesseroessere letti in riferimento a un fine ultimo che conferisse un senso allinteroprocesso e ai singoli accadimenti che lo costellano. E, nel perseguire questoobiettivo, la filosofia della storia si configura come la figlia legittima dellamodernit, di quella conversione29 dai cieli della metafisica e della teologiaalle regioni terrestri proprie di una ragione tutta votata allaldiqua. Ma,nonostante il suo dichiarato distacco dalla teologia, alla quale intendecontrapporsi, la filosofia della storia resta, secondo Lwith, intrappolata neisuoi canoni e in ci si annida la contraddizione che ne rende fragili lefondamenta: infatti ogni filosofia della storia, nella misura in cui avanza lapretesa di conferire un senso al corso storico leggendolo comeuninarrestabile tensione verso un fine ultimo, poggia su quei presuppostiteologici a cui vorrebbe sfuggire. infatti con la prospettiva teologicaebraica e cristiana che, per Lwith30, stata per la prima volta introdotta una

  • visione escatologica e futuro-centrica che ha comportato un radicalemutamento nella concezione della temporalit, che da quel momento stataconcepita come une linea retta che procede in direzione della salvezza:limmagine che meglio compendia questa maniera di intendere il corsostorico quella agostiniana del procursus civitatis Dei31. Nella misura incui si propone di guardare agli accadimenti storici conferendo ad essiununit e un significato in vista di un evento che ha ancora da verificarsi, lafilosofia della storia non fa che riproporre la prospettiva teologica, ma informa secolarizzata, senza alcun riferimento a presunti aldil: in questo senso,la filosofia della storia cristiana nelle sue origini e anti-cristiana nel suorisultato, con la conseguenza che ci contro cui essa combatte sono le suestesse origini32. Questa scissione interna ad ogni filosofia della storia risultaevidente, pi che in ogni altra, in quella di Hegel e nel suo trasferimentocristiano dellattesa di un compimento finale allinterno del processo storicostesso, nella misura in cui egli sostenne che die Weltgeschichte ist dasWeltgericht, ossia che la storia del mondo il tribunale del mondo33:espressione che mette in chiaro, agli occhi di Lwith, come la filosofia dellastoria sia costitutivamente religiosa (il mondo, alla fine della storia, si trovadinanzi a un tribunale) e irreligiosa (il tribunale immanente alla storiastessa, il suo giudizio si compie allinterno del processo storico)34.

    Leggendo il processo storico come unincessante corsa verso un futuro taleda conferire senso anche al presente e al passato, la filosofia della storiarinuncia s allidea religio sa di Provvidenza, ma la tiene tuttavia salda nellasua veste secolarizzata di progresso, come risulta evidente in autori qualiKant, Hegel, Comte e, pi di ogni altro, Marx.

    Infatti, con lavvento della modernit, il procursus agostiniano nonscompare, ma piuttosto smarrisce il suo valore ultraterreno per acquisirneuno esclusivamente mondano, declinandosi ora come progresso, ora cometensione verso un futuro migliore. Non diversamente da Eusebio, cheinterpretava lintero corso storico come una lunga praeparatio evangelica,anche i filosofi della storia leggono il flusso del tempo come una preparazionea un evento indefinitamente futuro in cui risieda il tlos35 (nel duplicesignificato, teleologico e cronologico) dellintera storia.

    La domanda che Lwith aveva formulato nella prefazione a Da Hegel aNietzsche del 1941 lessere e il senso della storia sono, in genere,

  • determinati da lei stessa, e se questo non vero, da che cosa allora?36 trova una sua risposta nelle pagine di Significato e fine della storia: il sensodella storia determinato da un futuro verso il quale, nella misura in cui laragione pu hegelianamente intervenire solo a cose fatte37, lunicoatteggiamento da assumere quello radicalmente anti-filosofico dellasperanza e della fede.

    Ogni filosofia della storia condannata per via dellindebito tentativo disecolarizzare una visione valida esclusivamente allinterno di una cornice disperanza. Infatti, proprio perch tanto la ricerca del senso ultimo della storiaquanto lindagine rivolta allavvenire sfuggono di necessit alla presa dellaragione (il futuro per noi attuale soltanto nellattesa e nella speranza)38,la quale trova il suo campo dapplicabilit esclusivamente nelle dimensionidel passato e del presente, il filosofo della storia precipita in un vuoto chesoltanto la speranza e la fede sono in grado di colmare39. E in virt del fattoche della fede e della speranza, in quanto il loro oggetto trascende il presente,non si d scienza, se ne dovr ancora una volta evincere che quelli su cuipoggia la filosofia della storia sono presupposti teologici, ancorch mediatidal processo di secolarizzazione.

    La filosofia della storia dipende interamente dalla teologia, ciodallinterpretazione teologica della storia come storia della salvezza. Maallora la filosofia della storia non pu pi essere una scienza. Infatti, comesi potrebbe fondare scientificamente la fede nella salvezza?40

    Irraggiungibili dalla ragione e dal suo strumentario concettuale, il futuro e laricerca del senso della storia vengono dunque ad essere oggetto non gi diconoscenza filosofica, bens di quella speranza che come Lwith non sistanca mai di ripetere il meno filosofico degli atteggiamenti. Infatti,allorch si metta alla ricerca del senso della storia, il filosofo non pu cherinvenirlo in un fine futuro di cui si sa soltanto al modo dello sperare delcredente41 che rinuncia alla ragione per far spazio a una fede colma disperanza e tale da varcare sempre di nuovo i confini del presente. Ma questo,che se riferito al credente un contegno giustificato e legittimo, per ilfilosofo, che ha innalzato la ragione a stella polare della sua ricerca, unatteggiamento inaccettabile: infatti la speranza, secondo la puntualedefinizione spinoziana che ben riflette la posizione di Lwith, non che undifetto di conoscenza e unimpotenza della Mente42, un accantonare la

  • ragione per far spazio a uno stato danimo che non pu in alcun casoconciliarsi con la scepsi, ma che anzi un potente farmaco contro di essa,nella misura in cui la fede il fondamento delle cose che si sperano43. Mase il credente rivolge le sue speranze e la sua fede ad avvenimenti situati al dil del corso storico, tenendo ferma la distinzione tra il regno di Dio e ilmondo delluomo, il filosofo della storia avanza lassurda pretesa di fare dellecose umane un oggetto di speranza: cerca cos di interpretare la storia mentresi trova nel bel mezzo di essa, non diversamente da quel naufrago checercasse un appoggio sulle onde44. Per questa ragione, luomo moderno,figlio del cristianesimo (che di essa ha fatto una virt teologale), vive nella edella speranza, sempre rivolto a un futuro in cui risiede il senso ultimo dellastoria: ma se la speranza fosse un sentimento congenito alluomo, e dunqueineliminabile dalla sua natura, crollerebbe definitivamente il senso di una suacritica filosofica. Per scongiurare questo rischio, Lwith compieunoperazione teoreticamente rischiosa: si propone di mostrare come lasperanza, lungi dallessere da sempre e per sempre insita nella naturadelluomo, abbia una precisa origine storica, prima della quale essa era, senon sconosciuta, certamente tenuta in minor conto. Come abbiamo visto, losperare latteggiamento tipico del credente ebraico prima, cristiano poi che ha fede in una salvezza situata nel futuro, che lo induce ad abbandonarela via della ragione filosofica.

    Gli antichi Greci fornirono al problema del tempo una soluzionediametralmente opposta a quella ebraico-cristiana, concependolo come uncircolo che eternamente ritorna sempre uguale, con la conseguenza che ilrisultato finale si riconnette al suo principio45 senza possibilit alcunadellemergenza del nuovo. Nelleterno ritorno delluguale non v spazio peril progresso n, secondo Lwith, per la speranza, in virt del fatto che essi,per sussistere, necessitano di un futuro imperscrutabile e contraddistinto dauna totale alterit rispetto al presente: proprio perch convinti che qualsiasicosa accadesse nel futuro, si sarebbe attuata secondo un identico lgos eavrebbe avuto una struttura conforme al divenire passato e presente46, iGreci ignorarono tanto il progresso quanto la speranza. Concezioni del genereaffiorerebbero dalle teorie di Empedocle, di Anassagora, degli Stoici e,almeno in parte, di Platone, nella misura in cui questi definisce il tempo comeunimmagine mobile delleternit47. I Greci, inoltre, che erano pimodesti48 rispetto a noi, si guardarono bene dal sottoporre la storia ainterpretazioni filosofiche: ritenendo degno dindagine razionale soltanto ci

  • che in s racchiudeva un ordine eterno e dunque afferrabile una volta pertutte dalla ragione (intesa essa stessa come una scheggia di quellordineeterno), nella storia non videro che una sequela rapsodica di accadimenti,frutto ora dellinsondabile volere di singoli individui ora degli imperscrutabilidecreti di una sorte capricciosa e mutevole. La storia, nel suo eterno ripetersiimmutato che nulla concede al nuovo, non presenta alcun ordine, ma anzi ilbabelico regno del caos, dellaccidentalit e del non-senso, sicch la filosofiagreca ha lasciato la storia agli storici49 senza mai tentare di interpretarlaalla luce delle sue categorie: chi scorgesse un senso nei singoli accadimentistorici, agirebbe per i Greci non diversamente da chi, guardando le nuvoletransitare per il cielo, vi ravvisasse altrettante figure di uomini, di leoni, dicani; chi poi pretendesse di concepire lintero corso storico come tendentealla realizzazione di un fine, sarebbe un folle che ha smarrito il senno. Perquesto motivo, quello degli storici , agli occhi dei filosofi greci, un saperecronachistico che, abbagliato dallindividualit fuorviante dei prgmata, nonsi cura delluniversale a cui mira la filosofia.

    Lwith scorge la pi efficace teorizzazione della svalutazione greca dellastoria in Aristotele50, che ad essa aveva preferito la poesia, pi filosoficadella storia51 nel suo fare dellindividuale solo un gradino per innalzarsialluniversale. Tanto pi che lo Stagirita, nella sua concezione enciclopedicae onnicomprensiva della realt, si era interessato delle discipline pidisparate, dalla biologia alla fisica, dalla politica alla logica, lasciando per daparte la storia, e non aveva certo riconosciuto in Alessandro Magno lo Spiritodel mondo della storia universale, come invece far Hegel con Napoleone52.Dallagire interessato e razionale dei singoli individui che di volta in voltafanno irruzione sullo scenario storico, non deriva, nellottica greca, quellarazionalit immanente voluta dalla hegeliana astuzia della ragione53, mapiuttosto un caos inaccessibile alla ragione.

    Emarginata dalla filosofia, che ha preferito concentrare la sua riflessionesulleterno ordine di una natura disciplinata da leggi immutabili, la storia per iGreci rimasta appannaggio degli storici in senso stretto, i quali concordando in ci coi filosofi non hanno mai preteso di interpretarla inmaniera unitaria, come se il suo sviluppo fosse scandito in maniera razionaleed evolvesse in vista di un fine: ne prova il fatto che i tre pi grandi storicigreci Erodoto, Tucidide e Polibio hanno significativamente intitolato laloro opera Storie, preferendo il plurale per sottolineare ancora una volta

  • limpossibilit di rintracciare nel flusso storico una razionalit compiuta eunitaria. Cos per Erodoto54 la storia non che un movimento ciclico ritmatoda un fragile equilibrio tra la tracotanza umana e la vendetta divina; perTucidide non che limmutabile riverberarsi, sullo scenario dellagire, di unanatura umana che non cambia mai, con la conseguenza che al lettoredellopera lo scrittore propone lallettante guadagno di un possesso perleternit55. Infine, Polibio, ricorrendo allo stratagemma del ciclo dellecostituzioni56, secondo cui la storia sarebbe scandita dal ritorno periodicodelle medesime costituzioni, si spinge ad asserire che, sulla base di quanto gi accaduto, si possono effettuare indubitabili previsioni sul futuro57. Nonpotrebbe esserci posizione pi distante di quella greca dalla concezioneteologica e teleologica invalsa col giudaismo, passata per il cristianesimo edereditata, nella sua forma secolarizzata, dalla filosofia della storia, che,aprendo il circolo dei greci e trasformandolo in una retta, induce a vivere inun continuo stato di attesa e di speranza verso un futuro, diverso e migliore,sconosciuto alla ragione ma certo per la fede. La domanda dello storicoantico come si arrivati a ci? stata soppiantata da quella dellostorico moderno: come andr a finire?58. La verit, che per i Greci erainteramente presente nella sua eternit e poteva essere rinvenuta indagandola natura e le sue leggi, per i moderni viene dunque a configurarsiessenzialmente come verit storica e per di pi situata nella dimensione delfuturo.

    Dal canto loro, i Greci, in un mondo sempre uguale in cui messa al bandoogni novit e, con essa, ogni speranza e possibilit di spezzare lincantesimodella circolarit, si muovono, come recita un antico adagio latino, nec spenec metu, proprio perch hanno piena coscienza che quel che stato, sarin eterno infinite altre volte. E se eleggono la storia a magistra vitae59, lofanno perch convinti che essa ci ammaestri non ad attendere con speranza ilfuturo, ma piuttosto a non aspettarci nulla di nuovo per leternit. La scarsaattenzione riservata alla storia e alla speranza risulterebbe peraltro enfatizzatadal lessico ipernaturalistico dei Greci, per cui le rivoluzioni andrebbero intesecome fattori astronomici anzich storici, le catastrofi sarebberoesclusivamente quelle naturali e il sorgere e il tramontare andrebbero riferitial sole anzich alle civilt60. In una simile cornice, la speranza latteggiamento degno dei folli, che si illudono che le cose possano seguire uncorso diverso da quello colto dalla ragione: il vero saggio, che ha decifratocon lungimiranza le leggi della natura e la mancanza di senso delle vicende

  • storiche, non pu in alcun caso vivere sperando che qualcosa muti, maaccetta il cosmo cos com, contemplandolo nella sua immutabileperfezione. Si potrebbe dunque sostenere, con Lwith, che dalla concezioneche si ha della storia, deriva quella che si ha della speranza: se letta come uncammino inarrestabile verso una mta, la storia non solo legittima, ma anzirende necessaria la speranza, che pu svilupparsi solo l dove non si conoscequel che sar61; se invece la si intende come un cerchio eternamenteritornante, non c spazio per il nuovo n per la speranza, che viene cos adessere congedata come latteggiamento dei folli che ignorano leternoripetersi delluguale. E, non diversamente dai Greci, anche i Cristiani e imoderni non avrebbero mai potuto scorgere un senso in quel mattatoio62che la storia se non avessero guardato al di l di essa e dei suoi singoliepisodi, a un evento situato in un lontano futuro e tale da restituire unsignificato anche ai singoli accadimenti presenti e passati. La conseguenza diquesto atteggiamento stata quellimmagine delluomo diagnosticata daLwith in Critica dellesistenza storica63 e culminante nella formulazionemarxiana secondo cui lessenza delluomo innanzitutto storica;formulazione che si affermata soprattutto a partire dallidentit tra ci chesi fa e ci che si sa fatta valere da Giambattista Vico64 (verum ipsumfactum)65 e che ci ha indotti a dimenticare che luomo ha gi sostenuto esorpassato molti trapassi, senza mai cessare di essere quel che gi sempreera66, come del resto suffragato dal fatto che ancora oggi, nonostante ilmutato contesto storico, ci commuoviamo di fronte alle realizzazioniartistiche degli antichi67 (problema che resta irrisolto in una prospettivastoricizzata quale quella marxiana). Ma, nota Lwith68, il fatto che luomoabbia una storia non significa che egli sia soltanto storia, cosicch la terapiapi efficace contro la storicizzazione delluomo e la speranza che ne derivadevessere per Lwith ravvisata non in un anacronistico quanto nostalgicoritorno ai Greci a cui pure molti critici della modernit si abbandonano69 ,ma piuttosto in una rinnovata attenzione per la natura e per le sue leggieterne, secondo quel progetto che giunger a compimento col testamentofilosofico dedicato al pensiero di Paul Valry. Alla storicizzazionedellesistenza umana, nota Lwith, segue sempre lantropocentrismo, nellamisura in cui il soggetto di quella storia che viene elevata a verit suprema immancabilmente luomo col suo agire: e lantropocentrismo, non meno dellateleologia che anima ogni filosofia della storia, a sua volta testimone dicome la modernit sia figlia legittima del cristianesimo e della sua concezionesecondo la quale il cielo e la terra sono stati creati in funzione delluomo70.

  • Lapice di questo atteggiamento stato raggiunto da Marx, il quale non soloha liquidato la natura come qualcosa di secondario rispetto alla storia, ma si addirittura spinto a concepirla come un oggetto di cui luomo deveappropriarsi71. Suggestionato dal contatto con quella cultura giapponese chenon distingue tra catastrofi naturali e catastrofi della storia (con laconseguenza, inconcepibile per il modo di pensare occidentale, che unterremoto e la bomba atomica sono assolutamente equiparabili), Lwithpropone una visione eccentrica della realt come antidoto alla concezionestoricizzata e antropocentrica dellesistenza: una concezione che, in verit,pone il difficile problema della conciliazione della possibilit di essere uominisenza essere antropocentrici, ossia della relativizzazione, del decentramento edella destoricizzazione della propria prospettiva72. In questo pu essercidaiuto la consapevolezza che il mondo della natura pu essere pensatosenza un rapporto ad esso necessario con lesistenza delluomo, ma non sipu immaginare alcun uomo senza il mondo73. In questo suo progetto, ilpensatore tedesco assume Baruch Spinoza come modello, nella misura in cuiquesti ha colto lesistenza di una natura situata al di l della storia e al di fuoridelluomo74. Per descrivere la propria concezione della natura, astorica esenza speranze, Lwith parler significativamente di una cornice senzaquadro, contrapposta a quel quadro senza cornice che la storia: questaprospettiva pogger sul teorema secondo cui allinizio della storia luomonon era meno uomo che alla fine, come attestato da quella vasta gamma diinvarianti antropologiche che permettono alluomo di restare ci che dasempre ; i mutamenti subiti nel corso storico, assunti dai filosofi della storiacome prove inconfutabili della storicit delluomo, dovranno allora essereconsiderati come fenomeni secondari o, secondo la magnifica immagine diValry, come la schiuma delle onde su un mare che non cambia mai.

    Anche per Lwith, non meno che per i Greci, gli avvenimenti storici noncontengono il minimo riferimento a un senso ultimo75, n tendono verso unfine determinabile a priori: anzi possibile riconoscere nella storia, conJacob Burckhardt, unesperienza di continui fallimenti76, di catastrofi, disofferenze e di soprusi dinanzi ai quali ogni filosofia non pu che trovarsicostretta ad ammettere che il mondo di oggi in fondo non diverso da quellodei tempi di Alarico. Di fronte alle sempre nuove rovine che la storia lasciadietro di s nel suo penoso avanzare, la speranza, in quanto attesa gioiosa diqualcosa di assolutamente nuovo che verr, latteggiamento folle di chi siillude che la natura possa mutare le proprie leggi e che la storia tenda a un

  • fine ultimo. In questo senso, la speranza di natura proteiforme, ci illude e ciinganna sempre anche dopo che ci ha delusi: come narra lantico mito diPandora, essa lultimo male rimasto nel vaso e, per ci, ha la particolarit dipresentarsi sotto le sembianze di un bene, in quanto induce sempre adattendere un futuro migliore del presente; ma essa torna a rivelarsi nella suaessenza di male ogni qualvolta le nostre attese vengano tradite, perchdifficilmente si d un futuro che, quando diviene attuale, non deluda le nostresperanze77. Ogni qual volta speriamo, compiamo un atto che insiemecognitivo e volitivo, nella misura in cui, come scrive Cartesio, la Speranza una disposizione dellanima a persuadersi che ci che essa desideraaccadr78. Con la nostra immaginazione, possiamo vagheggiare tutte lefantasticherie possibili e sperare in esse: ma, al confronto con la realt,cadranno una dopo laltra, proprio perch il reale radicalmente altrorispetto ad esse, che non sono nate se non come evasioni dalla realt stessa.Ne erano ben coscienti i Padri della Chiesa, che rivolsero le loro speranzeallaldil, mettendole al riparo dal confronto con una realt mondanadestinata ad uscirne sempre vincitrice.

    Il mito di Pandora indica, come racconta Esiodo, che la speranza un male,anche se di tipo particolare, distinto dagli altri mali che sono racchiusi nelvaso di Pandora. Essa un male che sembra tuttavia buono, perch lasperanza induce sempre ad attendere qualcosa di meglio. Eppure sembravano aspettarsi un futuro migliore, perch difficilmente si d un futuro che,quando diviene attuale, non deluda le nostre speranze. Le speranzedelluomo sono cieche, cio irrazionali ed erronee, ingannevoli e illusorie.Tuttavia luomo mortale non pu vivere senza questo precario dono di Giove,cos come non pu vivere senza il fuoco, il dono rubato da Prometeo. Serimanesse senza speranze, de-sperans, egli si dispererebbe nella sua disperatasituazione. Lopinione pi diffusa nellantichit era che la speranza unillusione che aiuta luomo a sopportare la vita, ma in sostanza un ignisfatuus. Se daltro lato Paolo condannava la societ pagana proprio perchnon possedeva la speranza, egli intendeva evidentemente una speranza il cuivalore e la cui garanzia sono dati dalla fede cristiana, e non da unillusionemondana79.

    La speranza dunque unillusione che permette di sopravvivere in unasituazione disperata distogliendo lo sguardo e volgendolo a un futuro diversoche non sar mai, ma la cui attesa rincuora e permette di accettare il presente

  • come una valle di lacrime provvisoria. E se la speranza del credente nonpu mai essere invalidata dai fatti n scossa da una concreta esperienza,giacch rivolta a una trascendenza che si pone al di l della storia, quelladel filosofo, nella misura in cui proiettata nellaldiqua, e precisamente nelcorso storico, una mostruosit che ripugna alla ragione; e deve perciessere buttata a mare per far spazio a una prospettiva disincantata che sia ingrado di guardare in faccia una realt refrattaria ad essere resa oggetto disperanza e di aspettativa. Poich per Lwith il futuro non custodisce il sensosegreto della storia n, in definitiva, diverso dal presente, ogni speranza nonpu che far naufragio di fronte alla dura replica della realt80.

    Si tratta dunque di capire che il senso della nostra esistenza riposa tutto nelpresente e devessere cercato nella natura pi che nella storia, la quale vaintesa, sulla scia di Burckhardt, nella sua continuit rinviante allimmagineclassica del movimento circolare: la grandezza dello storico svizzero risiedenel sapere coniugare armoniosamente la posizione classica e quella cristiana,senza aderire a nessuna delle due81 e, soprattutto, nellaver inteso lesperanze umane come cieche aspirazioni, i nemici mortali della veraconoscenza82.

    La dicotomia lwithiana tra il cerchio greco e la croce cristiana, con lediverse valutazioni della speranza che ne scaturiscono, pu forse risultaresemplicistica e superficiale83, soprattutto qualora si guardi pi a fondo almondo dei Greci, che quasi certamente Lwith conosceva, pi che daunattenta lettura diretta, attraverso unidealizzazione veicolata daHeidegger, di cui fu il primo allievo. In particolare, la falla che si annidanellinterpretazione lwithiana risiede nellaver escluso che i Greciriconoscessero alla speranza ogni dignit, liquidandola come la quintessenzadella follia: ora, se questo sicuramente vero per certa filosofia greca (inprimis per gli Stoici), ci non toglie che un altro filone del pensiero grecoabbia concesso alla speranza piena cittadinanza filosofica, come provato dauna nutrita serie di passi rinvenibili nelle grandi opere di taluni autori. CosEraclito pot asserire che se uno non spera linsperabile, non lo trover84;e gi Pindaro, nei suoi versi, aveva eternato il valore della speranza,qualificandola come nutrice di vecchiaia, che la volubile mente dei mortalisovranamente regge85. Mentre Epicuro aveva preferito la speranza in unfuturo diverso rispetto alla necessit inesorabile propugnata dai fisici 86.

  • tuttavia Platone, pi di ogni altro, il filosofo greco della speranza: nei suoidialoghi, ci si imbatte di continuo in questa forza tutta proiettatanellavvenire. A suo avviso, ogni uomo incessantemente animato dasperanze, le quali si configurano come ragionamenti interni a ciascuno dinoi87 mediante i quali tentiamo di anticipare nella nostra coscienza un futurodi cui non abbiamo certezze. Nelle Leggi, Platone etichetta le speranze comegiudizi opinabili su ci che sar88, rinviando con ci a un ambitocongetturale, a segnalare come del futuro non possa mai esserci unaconoscenza epistemica e tale da rendere vana laspettativa. E se vero chen e l Timeo si afferma che la speranza si lascia facilmente sedurre89,portando a perdere il controllo della realt e delle sue effettive possibilit, nelFedone90 Platone costruisce, non senza forti richiami alla dottrina orfica epitagorica, una vera e propria apologia della e elps, della buona speranzain una vita ultraterrena: essa non ha a che fare con verit indubitabili, mapiuttosto con certezze acquisite per fede e intangibili dalla scienza, che difronte a ci non pu che arretrare. Risulta dunque evidente come, dinanzi almistero della morte, Platone, non meno dei Cristiani, giochi la carta dellasperanza, ravvisando in essa latteggiamento del vero filosofo che sa aprirsi alfuturo e che, in definitiva, fa suo il motto dum anima est, spes est91: lastessa esperienza di Platone a Siracusa, con la speranza di realizzare la suacitt ideale, testimonia di come anche i Greci conoscessero la speranzamondana, rivolta a un futuro terreno; e se Lwith avesse guardato con piattenzione agli storici greci, avrebbe scorto in essi altrettanti abbozzi difilosofia della storia: infatti, il modello circolare polibiano non presupponeforse Roma come sintesi suprema e come punto dapprodo dellintera storia?E lo schema delineato da Plutarco non lascia forse intendere che linterocorso storico debba essere concepito come un grandioso tentativo diconcretizzare quegli obiettivi colti per primi dai Greci ed ereditati in seguitodai Romani?

    Inoltre, davvero possibile sostenere che i Greci non conobberolantropocentrismo e che esso fece la sua comparsa sulla terra solo a partiredallavvento del cristianesimo? In una tale prospettiva, non riusciremmo acapire perch i Greci concepissero i loro di come uomini allennesimapotenza e perch lantico Senofane avesse attaccato una cultura chericonduceva ogni cosa perfino il divino allumano. Lo stesso Platone,quando parla nel Timeo della reincarnazione dei viventi, non ha alcun dubbionel sostenere che luomo (adulto e maschio) la miglior forma di esistenza

  • che possa toccare in sorte ad un ani male.

    La dicotomia lwithiana, se non crolla, sicuramente scricchiola e risultadecisamente indebolita, alla luce del fatto che non sembra possibile negaretout court che i Greci abbiano sperato ed elaborato una filosofia della storia.Ci implica che, a prescindere dalla concezione che si ha del processo storicoe della sua evoluzione, non si possa non riconoscere alla speranza uno statutoontologico connaturato allessenza umana e i cui presupposti, forse, devonoessere ricercati nella struttura stessa del reale.

  • 4. Ernst Bloch: filosofia e speranza

    In questo libro stato fatto con particolare estensione il tentativo diportare la filosofia alla speranza, considerata un luogo del mondo,abitato quanto il paese pi civilizzato e inesplorato quanto lAntartide92.

    Diversamente da Lwith, Bloch intende mostrare come la speranza non siaun particolare stato danimo invalso in un dato momento storico, ma piuttostola condizione dattesa che accompagna ogni uomo in qualsiasi momento dellasua vita e in ogni epoca storica. Fin da Spirito dellutopia, compostosignificativamente a ridosso del primo conflitto mondiale, il presupposto diBloch che la realt presente, nella sua datit, non ci appaga mai: ma questoassioma, anzich in direzione del desolato nichilismo dellepocamoderna93, viene sviluppato come apertura al futuro e alle sue possibilit.Infatti, proprio perch non ci sentiamo mai a casa nel presente, ci spingiamosempre al di l di esso, in un trascendimento continuo dei suoi confini. Anzi,a rigore, proprio nei momenti in cui il presente si fa pi opaco e desolante,come nei periodi di guerra, che si fa sentire con maggior forzaquellirresistibile spinta verso il futuro che sempre viva in noi: Blochcompendia questo atteggiamento nella massima secondo cui luomo non vivedi solo pane, specialmente quando non ne ha94; in questo senso, il mondopresente che di volta in volta ci troviamo dinanzi inautentico, falso e morto il mondo non vero, ma vuol tornare a casa95 rispetto al futuromigliore che immancabilmente anticipiamo nella nostra coscienza sotto formadi utopia. Ogni presente che ci troviamo di fronte non fa che risvegliare in noila coscienza che potremmo essere pi felici e che dunque non lo siamoancora del tutto, aprendo la strada verso nuovi territori da conquistarenellavvenire. questo lo spirito dellutopia a cui Bloch resta fedele intutte le sue opere: loggetto dellutopia si rivela innanzitutto come unassenzache ci mostra che nella nostra vita qualcosa rimasto per cos dire cavo96,irrealizzato, ma non eliminato; ed a questo vuoto che la speranza si proponedi trovare un riempimento. Essa si configura innanzitutto comeuninesauribile miniera in cui dobbiamo imparare ad addentrarci perattingerne le ricchezze: questo continente che noi tutti abitiamo da sempre, rimasto unAntartide inesplorata dal pensiero, che ha sempre preferitorivolgersi alle dimensioni del presente e del passato; la dimenticanzadellantico Varrone 97, che nella sua grammatica latina sera fatalmente

  • scordato del futuro, solo lesempio pi eclatante di questa universalerimozione della speranza; tale rimozione stata del resto, in sede filosofica, ilnecessario esito di quel primato teoretico che da Aristotele giunge fino aHeidegger e allo stesso Lwith e che, per sua natura, non pu che assumerela forma di un rispecchiamento meramente passivo del gi-stato, irrigiditoin un eterno presente. In forza di tale primato, la filosofia ha assunto comeoggetti privilegiati della propria riflessione il passato e il ricordo, tralasciandofatalmente il futuro e, con esso, la speranza nel nuovo. Vittima di questamalia dellanamnesi98 che ha toccato con Platone e Hegel i suoi momenticulminanti, il pensiero occidentale ha tendenzialmente fatto del conoscere unricordare99 o un contemplare la realt gi fatta100, senza aprire spiragli versoil futuro. La stessa identificazione aristotelica dellessenza con ci chelessere era101 la quintessenza di questa contemplazione antiquaria102che non considera lorizzonte del futuro; questultimo si configura, agli occhidi Bloch, come il grande rimosso della tradizione filosofica.

    Assumendo come oggetti della sua attivit contemplativa il presente e ilpassato, il pensiero che vive nellillusione di poter essere asettico eapartitico li giustifica, capovolgendosi in accettazione passiva della realtesistente in ogni sua piega, nella certezza hegeliana che ci che reale razionale103. Tanto pi che ogni societ finora esistita ha rispecchiato ilproprio modo di produzione nel modo in cui concepiva il processoconoscitivo: se allantica societ schiavistica dei Greci che disprezzava illavoro corrispondeva una teoria del sapere come contemplazione,allindustriosa societ borghese che fa della produzione il suo credo,corrisponde quella teoria della conoscenza come produzione che trova inKant il suo eroe; in tal maniera, la filosofia non ha mai assunto come propriooggetto il futuro.

    Contro questa concezione conservatrice e contemplativa del pensiero, Blochfa valere il motto progressista secondo cui pensare significa oltrepassare104,superare la realt di fatto per guardare con speranza a un avvenire precorsodalla nostra coscienza anticipante105. Anticipando il futuro, la speranzamette in tensione anche gli altri tempi, ridestando gli uomini e i loro pensieridal passato in cui sono sepolti e concependoli come altrettanti momentifunzionali alla realizzazione del futuro sperato: in questo modo, si d lapossibilit di costruire unenciclopedia delle speranze che da semprealbergano nellanimo umano per mettere in luce come luomo sia

  • essenzialmente un animale utopico, che vive in primo luogo nel futuro106,che ribolle di utopia107, che allunga la sua strada108 e che non putrattenersi dal sorpassare il mero dato di fatto per guardare in avanti. Inciascuno di noi risiedono una molteplicit di sogni di una vita migliore diquella che finora gli toccata109, in riferimento ai quali trova la forza percontinuare a vivere con la speranza di una diversa e pi alta destinazionefutura. Bloch rivendica a s, con unassidua reiterazione dei versi danteschi lacqua chio prendo gi mai non si corse110 , il merito di aver per primoesplorato le terre della speranza, facendone per la prima volta loggettoprivilegiato della filosofia.

    Si tratta allora di abbozzare una mappa di tutti i territori della speranza,guardando anche al passato e alla quotidianit per scorgervi le tracce111 diquelle aspettative che, secondo Bloch, ci spingono sempre in avanti: ci cosrestituito un quadro sorprendente, dal quale affiora come non esista n siaesistita attivit umana che non abbia conosciuto la speranza e non ne abbiafatto la sua musa ispiratrice. Se Oscar Wilde osservava che una cartageografica che non registri il paese di Utopia non merita uno sguardo112,Bloch, dal canto suo, traccia una mappa cos densa di luoghi utopici dasovrapporsi a quelli realmente esistenti e, probabilmente, da superarli inquantit. E luniversalit della speranza riguarda anche e non di meno iGreci, con buona pace di Karl Lwith; e se pure vero che quanto pipassava il tempo, tanto meno gli antichi cercavano di liberarsi dellasperanza113, com provato dal fatto che in et ellenistica il mito di Pandoramut di segno e la speranza cominci ad essere vista come un bene, ci nontoglie che i Greci hanno sperato quanto noi.

    I dialoghi di Platone, la cattedrale di Strasburgo, la Divina commedia e lamusica dattesa di Beethoven sono alcuni degli infiniti luoghi in cui aleggia lospirito dellutopia: in ciascuno di questi capolavori, lutopia, lo slancio versoil futuro e il superamento del presente sussistono a un tempo cometendenza e come latenza, nel senso che la speranza anima queste operema, per essere colta, richiede un notevole sforzo concettuale che si spingaesso stesso al di l del puro dato di fatto. E questo in forza dellassunto che,nellattimo in cui ci troviamo, non riusciamo a vedere nulla: in ci risiedequella che Bloch definisce la tenebra dellattimo appena vissuto114, delquale abbiamo un presentimento solo quando gi passato o ancora loattendiamo. Listante nel quale di volta in volta ci troviamo sospesi

  • paragonabile al punto cieco del nostro occhio, dove il nervo ottico entra nellaretina115 precludendoci la possibilit di vedere: lora, lunica realt in cuisiamo, come un fantasma che si aggira rumorosamente. Resta sempreavvolta da un alone di opacit finch non connessa col passato che ci siamolasciati alle spalle o col futuro che attendiamo con trepidazione: in questosenso, hanno colto la verit i proverbi pi dei filosofi116. Infatti, antichi adagicome ai piedi del faro non c luce o quel che tesse non lo sa alcuntessitore adombrano perfettamente lidea che gli attimi che si susseguononella nostra vita hanno senso solo se riferiti a un remoto futuro che ha daarrivare e di cui nel presente presagiamo le avvisaglie. Proprio perch oscuro,lattimo ci spinge in avanti, verso un futuro relativamente ignoto alla stessascienza della tendenza117. Sentiamo solo che non abbiamo quel chevogliamo e che siamo arsi da una sete che si fa sempre sentire e non dice ilsuo nome118, costringendoci a vivere al di l di noi stessi in un continuooltrepassamento degli attimi che si succedono. Non siamo mai del tutto in noistessi e, allo stesso tempo, non sappiamo verso dove tendiamo, alla luce delfatto che il futuro non meno oscuro dellattimo: sappiamo di non essere acasa nel presente e, insieme, ignoriamo quale effettivamente sia la casa a cuisiamo destinati, poich dalloscura posizione in cui ci troviamo riusciamo avedere soltanto la schiena delle cose invece che i volti degli dei119. Ilpresente, a cui la tradizione filosofica da Aristotele e da Agostino in poiaveva accordato il primato, non pu mai essere colto del tutto, ma unazona dombra, che non siamo in grado di esperire sul momento, ma soloprima o dopo, nellattesa o nel ricordo120. E se il cannocchiale pipotente121, quello della coscienza utopica, spinge lo sguardo tanto in l, lo faal solo fine di render chiara e decifrabile la prossimit pi vicina, ossialoscurit dellattimo vissuto.

    La sola luce in grado di rischiarare tale oscurit che avvolge il presente e ilfuturo, lunica realt in cui si illumina la tenebra122, la speranza: essa,costitutivamente esposta allincertezza e alla delusione, si caratterizza comericerca incessante di nuovi spazi nei quali espandere il nostro essere, di nuovevie duscita dalle difficolt presenti, di mte superiori a cui tendere senzaposa. A tutta prima, lunica fragile garanzia a cui la speranza pu far appello offerta dal suo stesso movimento di tensione, sicch ogni critica alla realtpresente e alla sua imperfezione presuppone indubbiamente larappresentazione e la nostalgia di una perfezione possibile123. E non appenaci si rappresenta un meglio o, magari, un perfetto, l scaturisce

  • immediatamente il desiderio di quella rappresentazione, la quale diventacos una immagine di desiderio, essa reca per timbro: cos dovrebbeessere124, e anche: cos potrebbe essere.

    Se infatti non si desse la possibilit della perfezione, o se tutto fosse perfettocos com nello stato attuale, allora la speranza non avrebbe alcun senso esarebbe, per dirla con le parole di Lwith, un mero ignis fatuus125.

    Secondo la magnifica raffigurazione di Andrea Pisano sulla porta delbattistero di Firenze126, la speranza una donna alata che, con le bracciarivolte verso lalto come Tantalo, tende a qualcosa che ancora non c e dicui non pu avere alcuna certezza. Ma proprio alla luce del fatto cheloggetto sperato possibile e dunque non destinato a concretizzarsiinfallibilmente n a restare una mera congettura legittimo latteggiamentodi chi spera ed possibile distinguere speranze infondate e fondate, aseconda della loro connessione con le condizioni reali: cos, qualora io nutrala speranza di poter spiccare il volo come gli uccelli, sto sperando in manierainfondata perch incompatibile con le possibilit reali; la mia unafantasticheria, perch ho gi in partenza la certezza che il mio sogno non siavverer: e dove c certezza non c speranza. Se invece spero in unasociet pi equa, come ad esempio quella tratteggiata da Marx, la mia unasperanza fondata, poich mediata con ci che realmente possibile127. Nesegue allora che, nella misura in cui non sufficiente nutrirsi indistintamentedella speranza in quanto tale, ma bisogna anche trovare in essa qualcosa dacucinare128, non ogni speranza legittima: per questa ragione, la polemicalwithiana contro le speranze accettabile se riferita a quelle infondate, mada rigettarsi qualora si considerino quelle fondate, le quali non sono ecuriosamente Bloch recupera invariata lespressione lwithiana un fuocofatuo, ma piuttosto una porta almeno semiaperta129 che forse un giorno siaprir del tutto. Detto altrimenti, per Lwith esistono esclusivamentesperanze infondate, che naufragano di fronte a una realt segnata dalleternoritornare del presente che speriamo vanamente di lasciarci alle spalle; proprioperch immancabilmente infondata, egli rigetta tout court la speranza inquanto tale. Viceversa, Bloch mette al bando le speranze ineluttabilmentedestinate ad essere disattese, ma salva quelle la cui attuazione possibile.Potr meravigliare il lettore (e sicuramente avrebbe meravigliato Lwith,ponendolo nellimbarazzante situazione di veder confutata la suateorizzazione) il fatto che la distinzione tra le speranze fondate e quelle

  • infondate fosse gi stata formulata da un filosofo greco, Democrito diAbdera, il quale scrive:

    Le speranze di chi compie con saggezza azioni rette sono realizzabili,mentre impossibile che ci avvenga per le speranze degli stolti130.

    alle speranze fondate che la filosofia deve rivolgersi, se non vuole arenarsinelle secche della paura (che il pi potente antidoto contro la speranza)131,del nichilismo e dellangoscia heideggeriana, che ben riflettono lacondizione del piccolo borghese che non ha pi n posizione nprospettive132. Proprio con la dicotomia speranza/paura si apre la prefazionede Il principio speranza:

    Chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa ci aspettiamo? E che cosa ciaspetta? Molti si sentono soltanto confusi. Il terreno vacilla, e non sannoperch e per che cosa. Una condizione dangoscia, la loro, che diviene paurase assume pi precisi contorni.

    Una volta si facevano viaggi verso mte lontane per imparare la paura.Nellepoca appena trascorsa ci si riusciva con maggior facilit e senza andaretanto lontano, era unarte che veniva praticata con una maestria spaventosa.Ma ora, messi da parte gli artefici di paura, tempo dun sentimento pidegno. Limportante imparare a sperare. Il lavoro della speranza non rinunciatario perch di per s desidera aver successo invece che fallire. Losperare, superiore allaver paura, non n passivo come questo sentimenton, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. Laffetto dello sperare si espande,allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosainternamente li fa tendere a uno scopo e che cosa allesterno pu essere loroalleato133.

    Il mondo borghese, che non ha interesse a guardare al domani, appiattitosulla disperazione e sullangoscia, mistifica ideologicamente la realt facendodi esse le componenti ineliminabili di ogni esistenza e azzerandoconseguentemente ogni speranza. In termini blochiani, la borghesia fasembrare fondamentale, ontologica, la propria agonia. Lassenza diprospettive dellesistenza borghese viene dilatata ad assenza di prospettivedella situazione umana in generale, dellessere puro e semplice134.

  • esattamente per questa ragione ideologica che la borghesia trova nella Chiesala sua principale alleata, nella misura in cui questa continua a predicare lasperanza, ma accuratamente rinchiusa nella pura interiorit o legataconsolatoriamente allaldil135, senza alcuna possibilit di proiettarla suquesto mondo. La prospettiva lwithiana, che vedeva nello sperareultramondano del credente un atteggiamento legittimo, in antitesi con quellodel filosofo della storia, specularmente capovolta da Bloch.

    Se poi per Lwith sperare un atteggiamento tutto soggettivo, che nasce dauna scarsa conoscenza della realt, per Bloch invece la speranza unprincipio soggettivo ma al tempo stesso oggettivo. Se noi speriamo, perchla realt stessa si presta a ci: in antitesi col materialismo meccanicistico136che, nato con Democrito, animava la filosofia della natura di Friedrich Engelse finiva per imprigionare il mondo legandolo alla catena di una necessitsempre uguale, Bloch elabora un materialismo speculativo137 che recuperalantica lezione di Avicenna e della sinistra aristotelica 138: questo filoneminoritario della tradizione filosofica che da Avicenna giunge fino a Davidedi Dinant, a Jacob Bhme, a Giordano Bruno e a Baruch Spinoza avevainsegnato che la materia essente-secondo-possibilit, realt emergente,non ancora giunta a compimento, il cui orizzonte un futuro che d spazio alnovum storico e a sempre nuove possibilit. La materia, nella sua assolutapotenzialit dinamica, sempre in fermento, attivit che conferisce a sestessa le forme, traendole dal proprio interno, ed dunque contrassegnata dauninarrestabile spinta in avanti: e il mondo che ne risulta un immensolaboratorio in cui la materia compie esperimenti portentosi139; questaconcezione dinamica e quasi spirituale della materia, che fa di Bloch unoSchelling marxista140, implica che, proprio perch essa possibilit ed volta in avanti141, la realt sia parafrasando William Shakespeare142 della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni e, per ci stesso, renda legittima lasperanza (quella che resta fedele alle possibilit inscritte nella materia),facendo di essa la pi umana di tutte le emozioni143. Cos intesa, la naturacessa di essere quella colonia umana, secondo la teorizzazione di FrancisBacon, e diventa alleata delluomo nella realizzazione delle sue speranze:nella misura in cui potenzialit assoluta ed emergente, essa custodisce ilvolto delluomo o, meglio, la possibilit di estrarre dal mondo il voltodelluomo che in esso dorme e che vi ha una cos difficile esistenza144.

    La conseguenza inaggirabile che discende da questa prospettiva che assume

  • la possibilit e la speranza come ossatura delluniverso duplice: in primoluogo, non si pu vivere n far filosofia senza sperare, ma la filosofia stessadeve prendere la forma di unermeneutica della speranza; in secondo luogo,una vita priva di speranze, quale quella prospettata da Lwith, non solo lacosa pi insopportabile, assolutamente intollerabile per i bisogni umani145,ma paradossalmente anche quella pi illusoria e artificiale, perchcontrappone il suo vivere disincantato a una realt che per sua naturaintrisa di speranza. Il pi agguerrito nemico del principio speranza devesseredunque ravvisato in Lwith pi che in Hans Jonas146, che pure critica laprospettiva troppo ottimistica di Bloch, ma non per questo rigetta la speranzain tutte le sue manifestazioni.

    Lo spirito dellutopia e il principio speranza sono per Bloch due princpiche rinveniamo in noi non a prescindere dalla realt esterna, ma proprio invirt del fatto che tale realt ne pervasa e che di essa noi stessi siamo parte.Dunque, alla luce del fatto che la volont di utopia assolutamentecollegabile con una tendenza oggettuale147, bisogna intendere lespressionespirito sia nel pi ovvio significato di disposizione soggettiva sia in quello,meno scontato e gi impiegato da Hegel, di tendenza oggettiva e immanentealla realt stessa; e, su questa scia, occorre intendere lutopia, secondo il suoetimo greco, non nel senso di una realt desiderata che non avr mai luogo,ma in quello pi fiducioso di un mondo migliore che non ha ancora avutoluogo.

    In questa maniera, la speranza acquista il suo statuto ontologico, rendendopossibile unontologia del non-essereancora148 per la quale la vera essenzadel reale non il gi-stato, ma il non-ancora-divenuto che albeggia nellacoscienza anticipante: la dimensione caratterizzante dellessere dunque ilfuturo a cui esso tende e che gi reale come possibilit oggettiva. Le radiciontologiche della speranza sono la pi inoppugnabile prova della legittimitdellatteggiamento del soggetto sperante: per questa via, risolto il problemadel quid juris della speranza, che era stata rigettata da Lwith proprio perchritenuta radicalmente incompatibile con la struttura del reale. Noi stessi, checol nostro corpo rientriamo a pieno titolo nella realt materiale, siamopercorsi da questo slancio in avanti che si manifesta compiutamente sottoforma di speranza: luomo un coacervo di impulsi, un cumulo di desiderimutevoli e per lo pi male ordinati149, da cui meglio che altrove traspare latensione della materia verso il non-ancora-divenuto. Nellottica blochiana,

  • per cui come se non fosse il corpo ad avere un impulso bens limpulso adavere il corpo150, quello pi immediato e incontenibile limpulsoallautoconservazione, che si esterna a livello sensibile come fame. Possiamotemporaneamente mettere a tacere i molteplici impulsi che avvertiamo in noi,ma non possiamo mai reprimere il pungolo della fame, aspettandoci che essarevochi le sue richieste di soddisfazione.

    Accanto alla fame, siamo attraversati da molti altri affetti e desideri cherivelano come aspiriamo sempre a qualcosa di cui al momento siamo privi:catalogandoli in una sorta di fenomenologia dei desideri e degli affetti,Bloch opera unattenta distinzione151 tra gli affetti adempiuti e quellidattesa: mentre i primi (invidia, ingordigia, venerazione), la cuidimensione il presente, sono rivolti a un oggetto istintuale gi pronto edisponibile nel mondo, i secondi (paura, timore, fede e speranza), in quantoindirizzati al non-ancora, presentano unintenzionali-t istintuale di ampioraggio intellettivo, giacch mirano a qualcosa che manca, che non cancora e di cui non si d garanzia: essi dunque fluttuano nel dubbio enellincertezza. Ed esattamente da questo secondo tipo di affetti, inparticolare dalla speranza, che rampollano i desideri di cui siamo carichi: cene sono uninfinit e di ogni tipo, dalle utopie filosofiche (da Platone fino almarxismo) ai sogni di una vita migliore, dai viaggi di avventura ai paesifantastici delle fiabe, fino a quelli che Bloch definisce paradisi a prezzoscontato152 (il supermercato, il desiderio di essere corteggiati, di avere dentibianchi e vita snella), ossia tutti quei desideri quotidiani alimentati dallapubblicit e liquidati indistintamente da Theodor Wiesengrund Adorno comemere prestazioni dellindustria culturale153. Tutti questi desideri,dipingendo e conservando ci che dovrebbe essere fatto, permettono a chispera di sopportare la condizione in cui si trova, accettandola come una sortadi involucro momentaneo e di corteccia provvisoria154 in vista dellhappyend finale. Ci non vuol dire che tale corteccia si sgretoli nella misura in cuisi desidera e si spera che i desideri si avverino: al contrario, i desideri anchequelli pi infimi, come lavere i denti bianchi tengono desta la speranza esuggeriscono che nella realt presente qualcosa non come dovrebbe essere.

    Gi in Spirito dellutopia e in Tracce, Bloch mette in chiaro con particolareinsistenza come quella della speranza sia una tensione verso un oscuroqualcosa di cui non si distinguono chiaramente i contorni; i desideri stessirinviano a una realt che sta davanti a noi ma che non percepiamo ancora

  • distintamente proprio perch, nella sua potenzialit, ha ancora da farsi. Ilnovum non presenta mai tratti ben definiti ma, sempre avviluppatodalloscurit, viene a costituire una dimensione inconscia allinternodelluomo, che la avverte sotto la forma di un non-ancora-conscio rimastosconosciuto alla psicanalisi di marca freudiana. Questultima ha analizzatosoltanto un inconscio consistente in regressioni e che, affiorando allacoscienza, rende conoscibile solo il gi-stato, con la conseguenza chenellinconscio freudiano non c niente di nuovo155. Cos si esprime Bloch:

    Linconscio della psicoanalisi dunque, come si pu vedere, non mai unnon-ancora-conscio, un elemento di progressioni; esso, piuttosto, consiste diregressioni. Analogamente anche il divenir conscio di questo inconscio rendericonoscibile solo il gi stato; cio: nellinconscio freudiano non c nientedi nuovo156.

    Circoscrivendo le loro analisi al non-pi-conscio, Sigmund Freud e CarlGustav Jung, il fascista psicoanalitico157, sono rimasti vittime della maliadellanamnesi e non si sono accorti che quella umana una coscienzaanticipante che, sospinta dalla speranza e dai desideri, sorpassa uno dopolaltro gli stati presenti e presagisce il futuro in maniera sfuocata e vaga. Ilnon-ancora-conscio si manifesta soprattutto in quel caleidoscopio di sogniad occhi aperti158 che intessono la vita di tutti noi spingendola in avanti. Essinon costituiscono freudianamente un semplice momento preliminare delsogno notturno, ma sono piuttosto dotati di una loro specificit: a differenzadel sogno notturno, che nella sua passivit ha a che fare con qualcosa disprofondato in cantina e presente solo l159, quello ad occhi aperti poggiaattivamente sulla forza immaginativa della speranza e guarda, anticipandolo,al non-ancora-divenuto; tanto Alessandro Magno che conduce la suaspedizione contro la Persia160, quanto la ragazza che sogna di diventare unastar inseguono i loro sogni ad occhi aperti, cavalcando londa del non-ancora-conscio che li spinge in avanti e conferendo un senso pieno ad ogniistante della loro esistenza.

    Inoltre, nel sogno notturno, ciascuno di noi solipsisticamente rinchiuso inun suo mondo che, come gi rilevava lantico Eraclito161, non offre punti dicontatto con quelli altrui; nei sogni ad occhi aperti, invece, opera un realecoinvolgimento degli altri, coi quali interagiamo e cerchiamo di concretizzaregli oggetti sognati, facendo della speranza una speranza sociale. La

  • dimensione non ancora conscia che ci sovrasta ci impedisce continuamentedi raggiungere un vero incontro con il S162, ci spinge tra sogni e desideri,tra immagini oscure e messaggi confusi, impedendoci di incontrare noi stessie ci che realmente siamo: ma la dimensione inconscia del non-ancora-divenuto, avvertita come non ancora cosciente, pu diventare illuminabilesolo in un futuro sperato, verso il quale in tensione: diventa in questo modopossibile incontrare se stessi e vivere listante nella sua eternit, cogliendolonel senso del futuro anticipato e permettendogli di uscire dalla tenebradellattimo vissuto. La conseguenza che, grazie alla conoscenza dellasperanza, si illumina il presente, che il centro della nostra esistenza, e diogni attimo diventa possibile dire quel che diceva Faust: fermati dunque! Seicos bello!163.

    Tuttavia, almeno su un punto Bloch e Lwith si trovano daccordo: eprecisamente nel sostenere che dove c speranza, ivi anche religione164,anche se Bloch precisa subito che non vale il rapporto inverso dove creligione, ivi anche speranza , come risulta evidente non appena siconsiderino le religioni dettate dal Cielo e dallautorit. Con questa tesi,Bloch non intende sostenere, lwithianamente, che la speranza affondi le sueradici in un particolare tipo di religione e che, senza di essa, sarebbeimpossibile; una prospettiva di questo tipo sarebbe infatti incompatibile conIl principio speranza, in cui la speranza letta come lo stato danimo che dasempre sospinge luomo. Si pu dunque sostenere che per Lwith lareligione a rendere possibile la speranza, mentre per Bloch vale lesattoopposto. Egli intende mettere in chiaro come la religione, volgendo losguardo a una totalit non ancora data e configurantesi come mta ultima, sianecessariamente escatologica e trascendente, insoddisfatta della realtpresente e per ci affacciata sul futuro, in un nesso inscindibile con lareligione. Si tratta dunque di mantenere vivo lo spirito di tensione verso ilnovum tipico di questultima, ma di rigettarne la trascendenza ultramondana:in termini blochiani, occorre restare fedeli a un trascendere senzatrascendenza165, o, se si preferisce, a un regno di Dio senza Dio, o,ancora, a un messianismo senza religione166, ossia a un superamentoincessante della realt presente privo di riferimenti a un Dio che, in quantoassunto come entit gi-data, verrebbe a costituire la pi potentenegazione di ogni tensione utopica verso un futuro aperto. a questo rifiutodellalterit (e dellinvalicabile superiorit) di Dio che devessere ricondottala polemica di Bloch contro Karl Barth: questi, intendendo Dio come il

  • totalmente Altro, ha aperto una voragine tra lumano e il divino, a talpunto da far scomparire il volto proprio, certamente umano, del figliodelluomo167, da azzerare ogni spinta utopica e da fare di Dio un recipienteirrazionale che pu essere riempito con tutti i contenuti reazionari168. Inquesta prospettiva, in cui il lass cede il passo allavanti, solo un ateopu essere un buon cristiano169, proprio perch pu abbandonare lidea diun Dio gi-dato senza per questo rinunciare alla tensione escatologicaverso il futuro. Ma allo stesso tempo solo un cristiano pu essere un buonateo170, perch soltanto le speranze cristiane possono scongiurare il rischioche il sale ateo diventi sciocco171 e senza prospettive in positivo. Dettoaltrimenti, secondo lespressione de Il principio speranza, lintenzionereligiosa del regno implica lateismo, finalmente compreso. Esso,permettendo alle speranze ebraico-cristiane di camminare su piedi umani, per Bloch non meno che per Lwith latteggiamento pi onesto; ma quellolwithiano per lappunto lateismo senza prospettive e speranze che Blochnon esita a condannare come sciocco perch privo di sbocchi e di tensioneverso il futuro. Nella visione escatologica dellavvenire dellumanit fattavalere da Bloch, Arno Mnster ha significativamente visto intrecciarsi ilmotivo dellattesa del messianismo ebraico col motivo della redenzione finaledella cristologia e la speranza secolarizzata del marxismo dellavvento delRegno delluguaglianza, della giustizia e della fine dellalienazione172.Questa apertura blochiana al cristianesimo ha destato linteresse di certateologia, in particolare di Jrgen Moltmann173: di fronte a questo inaspettatointeressamento cristiano, Bloch si rivela piuttosto diffidente e quando inunintervista rilasciata nel 1967 gli chiesero che cosa ne pensasse, risposecausticamente con laneddoto di Socrate che, elogiato da un sofista chelaveva udito parlare, chiese meravigliato ad Alcibiade: costui mi ha lodato.Che cosa avr mai detto di sbagliato?.

  • 5. Bloch e Lwith di fronte a Marx

    La ragione non pu fiorire senza speranza, la speranza non pu parlaresenza ragione; luna e laltra in unit marxista altra scienza non hafuturo, altro futuro non ha scienza. (E. Bloch)174Il messianesimo marxistico trascende la realt esistente in modo cosradicale da conservare intatta, malgrado il suo materialismo, latensione escatologica e con ci il carattere religioso della sua intuizionedella storia. (K. Lwith)175

    5.1 Storia di un incontro

    Per me Marx importante solo come esponente del crollo della filosofiahegeliana lultima che credeva ancora in se stessa, alla filosofia comefilosofia. (K. Lwith)176La repubblica marxista russa rimane indomita; non meno indomito, nonmeno irrisolto nella sua esigenza assoluta lardore degli eterniproblemi del nostro anelito e della nostra coscienza religiosa. (E.Bloch)177

    Le riflessioni di Bloch e di Lwith sulla speranza culminano, anche se per viediversissime, nella lettura del pensiero di Marx. Per entrambi, esso ilsistema in cui la speranza si meglio manifestata ed dunque il migliorbanco di prova per sondarne la validit in sede filosofica.

    I due autori si avvicinano a Marx in modi distinti: quello di Lwith unincontro teoretico, che nasce dalla lettura dei testi del filosofo di Treviri e chesolo in seconda battuta si spinge ad approfondirne i concreti sviluppi storici;Bloch invece conosce Marx dapprima nella realizzazione storica del suopensiero nella Rivoluzione dOttobre, e solo successivamente neapprofondisce le origini teoriche.

    Secondo uno stereotipo inveterato, Bloch sarebbe il filosofo tedesco dellaRivoluzione dOttobre178, colui che ha ravvisato nel leninismo le possibilitdi redenzione per lumanit: stereotipo che sarebbe peraltro con