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IL BOLLETTINO dicembre 2016 DA UNA TORRE ALL’ALTRA « Fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce. » Quando nell’ormai lontano 2014 stavamo abbozzando le basi del nostro progetto, una delle prime fatidiche domande che ci siamo posti è stata “come si fa?”. Conseguirono delle versioni più convulse del tipo “come si cresce nello spazio urbano-calcistico meneghino?”, “come ci si comporta accanto ai colossi del Biscione e della Croce di San Giorgio cuciti sulle maglie?” e “come si sopravvive nei dedali del calcio moderno e dell’arte contemporanea?”. C’era chi ci ignorava, chi ci prendeva in giro, chi ci dava per nati morti e c’era chi, invece, condivideva idee e consigli. Piccoli ma buoni. Dall’Alcazar all’Alcione passando dalla Triestina…consigli che provenivano da società più o meno conosciute della Milano del pallone. Tassello dopo tassello, abbiamo trovato “casa”, creato una rosa, disegnato una squadra. Tassello dopo tas- sello, abbiamo dipinto e consolidato il contenente del progetto per poi svilupparne il contenuto sportivo e artistico, facendone tutt’uno. Dopo un primo anno pieno di nuove esperienze dentro e fuori dal campo, la stampa ha co- minciato a guardarci con un occhio interessato e critico. La stampa sportiva, certo, ma anche quella artistica e non solo. E se fosse vero? La vera natura del calcio è artistica? Forse ce lo eravamo scordato, pensarono in tanti. La nostra visione era condivisa da un complice che, per eccellenza, rappresenta calcisticamente una città d’arte di colore viola. Dopo un anno e mezzo di vita, cadevano i primi muri. Il Velasca, dal suo piccolo, era ascoltato e…cercato. Dopo essere stati avvicinati dal Brera, il nostro percorso si è incrociato con quello dell’Inter. Sarà perché siamo un progetto internazionale o perché Suning ha messo gli occhi sulla nostra torre, sta di fatto che l’Inter ci ha abbracciati come un nipote viene abbracciato dallo zio. E ci piace pensare che di zii ne abbiamo due : la terza squadra di Milano non potrà essere che accompagnata dalle prime due. Nel frattempo, come spesso accade in Italia, le cose si muovono più velocemente (d)all’estero. Prima il P.S.G., venuto in borghese nella nostra tana, poi il Galatasaray. Sarà sempre per via della torre? Entusiasti, il club turco ci ha dedicato un servizio di ben quattro pagine nella sua rivista ufficiale. A pensarci bene non c’è niente di strano, un po’ d’Italia c’è sempre stata sul quel bordo europeo del Bosforo. La torre Galata, uno dei simboli di Istanbul, è stata costruita proprio dai Genovesi. E come non ricordare la rocambolesca sconfitta del Milan in Champions nello stadio Ali Sami Yen (3-2) contro quella che sarebbe diventata poi l’unica società calcistica turca ad aver vinto un trofeo continentale: la coppa UEFA del 2000. Una squadra prestigiosa che tra le sue fila contava nel 1988 sul primo, e finora unico, giocatore turco a vincere la scar- pa d’oro, Tanju Çolak. Da una torre all’altra, il Velasca collega realtà diverse, ma non per questo lontane, dell’univer- so del calcio. K.K. / W.N.

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IL BOLLETTINOdicembre 2016

DA UNA TORRE ALL’ALTRA

« Fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce. »

Quando nell’ormai lontano 2014 stavamo abbozzando le basi del nostro progetto, una delle prime fatidiche domande che ci siamo posti è stata “come si fa?”. Conseguirono delle versioni più convulse del tipo “come si cresce nello spazio urbano-calcistico meneghino?”, “come ci si comporta accanto ai colossi del Biscione e della Croce di San Giorgio cuciti sulle maglie?” e “come si sopravvive nei dedali del calcio moderno e dell’arte contemporanea?”. C’era chi ci ignorava, chi ci prendeva in giro, chi ci dava per nati morti e c’era chi, invece, condivideva idee e consigli. Piccoli ma buoni. Dall’Alcazar all’Alcione passando dalla Triestina…consigli che provenivano da società più o meno conosciute della Milano del pallone. Tassello dopo tassello, abbiamo trovato “casa”, creato una rosa, disegnato una squadra. Tassello dopo tas-sello, abbiamo dipinto e consolidato il contenente del progetto per poi svilupparne il contenuto sportivo e artistico, facendone tutt’uno.

Dopo un primo anno pieno di nuove esperienze dentro e fuori dal campo, la stampa ha co-minciato a guardarci con un occhio interessato e critico. La stampa sportiva, certo, ma anche quella artistica e non solo. E se fosse vero? La vera natura del calcio è artistica? Forse ce lo eravamo scordato, pensarono in tanti. La nostra visione era condivisa da un complice che, per eccellenza, rappresenta calcisticamente una città d’arte di colore viola.

Dopo un anno e mezzo di vita, cadevano i primi muri. Il Velasca, dal suo piccolo, era ascoltato e…cercato. Dopo essere stati avvicinati dal Brera, il nostro percorso si è incrociato con quello dell’Inter. Sarà perché siamo un progetto internazionale o perché Suning ha messo gli occhi sulla nostra torre, sta di fatto che l’Inter ci ha abbracciati come un nipote viene abbracciato dallo zio. E ci piace pensare che di zii ne abbiamo due : la terza squadra di Milano non potrà essere che accompagnata dalle prime due.

Nel frattempo, come spesso accade in Italia, le cose si muovono più velocemente (d)all’estero. Prima il P.S.G., venuto in borghese nella nostra tana, poi il Galatasaray. Sarà sempre per via della torre? Entusiasti, il club turco ci ha dedicato un servizio di ben quattro pagine nella sua rivista ufficiale. A pensarci bene non c’è niente di strano, un po’ d’Italia c’è sempre stata sul quel bordo europeo del Bosforo. La torre Galata, uno dei simboli di Istanbul, è stata costruita proprio dai Genovesi. E come non ricordare la rocambolesca sconfitta del Milan in Champions nello stadio Ali Sami Yen (3-2) contro quella che sarebbe diventata poi l’unica società calcistica turca ad aver vinto un trofeo continentale: la coppa UEFA del 2000. Una squadra prestigiosa che tra le sue fila contava nel 1988 sul primo, e finora unico, giocatore turco a vincere la scar-pa d’oro, Tanju Çolak.

Da una torre all’altra, il Velasca collega realtà diverse, ma non per questo lontane, dell’univer-so del calcio.

K.K. / W.N.

VOLUTE D’ARTE

Il biscione di Milano non perde lo smalto.

A restituire vigore espressivo, carisma, allure secolare e misterioso, potenza evocativa, pensa la creatività di Nada Pivetta, donna faber, artista tra le e i più interessanti, pensosi e degni di nota del panorama italiano.Ogni suo lavoro racchiude una tensione percepibile tra l’antico - talvolta l’arcaico - e il moder-no, tra la citazione storica e l’inedito, tra il classico e il futuribile: sono ottimi modi per rientrare a pieno titolo nell’arte ‘contemporanea’, la quale appunto è contemporanea ad almeno due condizioni temporali. Come già riconosceva e sentenziava Leonardo, “la pittura fatta sopra rame grosso e ricoperta (…) con colori di smalto e rimesso nel foco e fatto cocere, questa per eternità avanza la scultura”.

Su una superficie rotonda di smalto brillante, lucido e intenso, una biscia (la leggendaria bissa meneghina) snoda elegante le sue volute. Un dettaglio da cesellatore esperto ne sagoma la testa trasformandola in un vettore. Viene da dove va: lontano.

Tre sono le leggende popolari che raccontano le origini dello stemma dei Visconti, Signori di Milano dalla metà del Duecento, il biscione dalle cui fauci emerge un fanciullo. Secondo la prima, Ottone Visconti, che guidava settemila milanesi alla conquista di Gerusalemme nella seconda crociata promossa da San Bernardo di Chiaravalle, si scontrò contro il saraceno - feroce, ça va sans dire - Voluce. Dopo estenuante combattimento Ottone ebbe la meglio sull’infedele, guadagnandosi le sue armi. Lo scudo del musulmano aveva in effigie un enorme serpente che tentava di divorare un uomo, a segno dell’invincibilità di quest’ultimo. Ottone, colpito dall’efficacia dell’immagine, ne avrebbe fatto il suo stemma e quello della città.

La seconda narra invece che in una caverna appena fuori le mura di Milano vivesse un’orrida bestia, un drago, che divorava ogni mercante e viandante che avesse come meta la nostra operosa città. Un altro prode Visconti, Uberto, si decise coraggiosamente a sconfiggere il

mostro. Avviatosi alla grotta durante un’alba gelida e nebbiosa (da copione) Uberto sorprese il rettilone nell’atto di divorare un povero bambino malcapitato. Liberato il piccolo dalle immonde fauci, trafisse a morte la bestia e tornò trionfante in Mediolanum con una buona idea per quello che oggi chiameremmo ‘logo’.La terza infine, più misteriosofica, racconta di Desiderio, ultimo e valente re dei Longobardi, che prostrato dopo una vittoriosa battaglia si distese a riposare sotto un albero. Un serpente allora, gli si sarebbe avviluppato al capo, come un turbante, e se ne sarebbe andato scioglien-do le pericolose spire senza nemmeno accennare a morderlo. Chi vide un simile avvenimento pensò a un prodigio degno di essere istoriato, dipinto, scolpito e inciso a futura memoria.Quando si arriverà alla feconda letteratura fantasy e al basilisco di Harry Potter, ricorderemo da dove siamo partiti.C’è però una quarta fonte, forse troppo a lungo sottovalutata, che starebbe all’origine di uno stemma tanto strano, respingente a prima vista, e inquietante. Non è il leggiadro giglio di Fi-

renze, non è la più materna degli animali, la lupa capitolina, né l’orgogliosa aquila svettante, e nemmeno le foglie stilose del rovere: trattasi di un rettile strisciante. Lo stesso a ben pensare, però, che compare nella Bibbia attorno all’albero della conoscenza del bene e del male, e soprattutto la stessa strana creatura, il pistrice, che già a partire dalle raffigurazioni pittoriche paleocristiane avrebbe inghiottito Jona dalla testa, inglobando per ultimi i piedi, per poi riget-tarlo dalla testa dopo tre giorni: emblema di rinascita, di resurrezioni dall’oscurità del ventre, del male, della perdizione, dell’angoscia e della sventura.

Nel castello visconteo di Angera, meraviglia possente di architettura medievale, le stanze sono riccamente decorate da affreschi in cui il pistrice è rappresentato come animale mitologico con la coda serpentiforme a spirale, pronto a risorgere come biscione nell’emblema dei futuri, potentissimi Signori di Milano.

Far rinascere, e rivivere duemilacinquecento anni in trentacinque millimetri di bagliore saturo, è arte.

Cristina Muccioli

IL PROBLEMA NON È LA CADUTA MA L’ATTERRAGGIO

Un rumore forte, un tonfo fragoroso come può farlo un oggetto pesante quando cade al suo-lo; anzi, quando sbatte al suolo. Così si può riassumere l’ultima partita del 2016 del nostro Velasca, una sconfitta 0-5 in casa del Locate. Una sconfitta netta nel punteggio quanto me-ritata nel contesto grigio di una serata fredda, umida e nebbiosa di un triste mercoledì (ben poco da leoni). Triste il meteo, triste il pubblico (un solo spettatore), triste il luogo e triste an-che il punteggio.

In realtà le avvisaglie c’erano già state nelle due partite precedenti, dove forse un accenno di calo di condizione fisica aveva provocato un’involuzione nel gioco della squadra che, nelle ultime uscite, non era spumeggiante, pur avendo una sua linearità e una connotazione tattica ben precisa. Inoltre il tutto si fondava su un’enorme solidità della fase difensiva che aveva portato la squadra a subire pochissime reti.

Invece dopo l’1-0 stentato contro il Rozzano

che, ricordiamolo, aveva giocato tutta la par-tita in 10 per mancanza di giocatori, sono ar-rivate due sconfitte con ben 8 gol al passivo.

Prima l’1-3 subito dai Wolves e successiva-mente la già citata trasferta di Locate.

Due sconfitte diverse : la prima giocata in for-mazione rimaneggiata contro una compagine avanti in classifica e ben organizzata, la se-conda crollando contro una squadra che oc-cupa i bassifondi e che finora non aveva certo brillato.

A questo punto ben venga la pausa invernale per ricaricare le pile sia fisicamente sia, so-prattutto, mentalmente. Infatti diversi giocatori sono apparsi “scarichi” da questo punto di vi-sta e alcune settimane di riposo possono far riaffiorare il fuoco della competizione, il cui spi-rito è necessario per rincorrere obiettivi sem-pre più ambiziosi.

Classifica a parte, ciò che davvero conta è la voglia di continuare a scrivere pagine impor-tanti di questa giovane società, lasciandosi alle spalle piccole incomprensioni (o grandi, ma questo dipende da ognuno di noi) che na-turalmente e fisiologicamente nascono all’in-terno di qualsiasi gruppo.

Senza fare inutili retoriche, il futuro di questa società è in costruzione ma, sul campo, tutto dipende dai piedi e dalla testa di calciatori.

M.D.G.

Direttore responsabile: Matteo Stagnoli. Testi di Marco De Girolamo, Karim Khideur, Cristina Muccioli. Soccer Removal di Alessandro Mercuri. Bollettino stampato in proprio.

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Si les cieux, dépouillés de son empreinte auguste,pouvaient cesser jamais de le manifester,si Dieu n’existait pas, il faudrait l’inventer.

Voltaire - Épîtres -À l’auteur du livre des trois imposteurs, 1769

L’œuvre n’existe pas. Du moins pas encore. Mais Tobias Hogarce, artiste et publiciste de sa propre œuvre, vient d’en faire la promotion. Notre histoire débute lors de l’ouverture de sa rétrospective au Museo de Arte Contemporáneo, MAC Panamá. Le musée organisa une conférence de presse. Le célèbre artiste panaméo-luxembourgeois naturalisé fran-çais y dévoila l’œuvre à venir intitulée “Soccer Removal”. « Une nouvelle supercherie ! », s’exclameront ses nombreux détracteurs. Car Tobias Hogarce est loin de faire l’unanimité dans le monde de l’art et ses expositions ne laissent de provoquer l’outrage.

Certes, sa série “Hommages” prêtait plus à sourire qu’à honnir. Rappelez-vous son “Hommage à Alphonse Allais”, installation à Genève pour eau et plastique. On pouvait alors admirer le jet d’eau du Lac Léman couronné d’un canard virevoltant en plastique géant I. Le canard de bain lévitait à cent quarante mètres de hauteur grâce à un complexe système d’induction aquillo-magnétique. Tobias Hogarce n’aura de cesse d’utiliser les technologies d’avant-garde de manière burlesque comme le rappelait Roberto Quevedo, conservateur du MAC Panamá qui continua à décrire le parcours artistique de l’enfant maudit du pays.

La situation s’envenima avec la proposition “Hommage à Jean Baudrillard” où Hogarce raillait vingt ans après, la fa-meuse éructation baudrillardienne parue en 1996 dans le quotidien Libération III, organe officiel de la bien-pensance ra-dicale. “Le complot de l’art”, tel était le titre de la tribune de Baudrillard où l’auteur de “Simulacre et simulation” affirmait : “Toute la duplicité de l’art contemporain est là : revendiquer la nullité, l’insignifiance, le non-sens, viser la nullité alors qu’on est déjà nul.” On passera ici sous silence l’obscénité de la proposition d’Hogarce à ce sujet.

Puis l’exaspération éclata avec le projet “Tobias Hogarce Versailles” situé dans le parc dudit château. La fiancée de Pierre-Henri-Charles-Emmanuel de Bourbon-Parme, prétendant au trône de France, Marie-Carlotta Immaculata, prin-cesse de Blurbchtenstein, transforma le scandale en tragédie. La princesse tira à bout portant sur l’artiste lors de l’inau-guration de l’événement. Tobias Hogarce se réveilla après trois mois de coma. Mademoiselle S.A.S de Blurbchtenstein fit feu pour, dit-elle, dans le quotidien “La France éternelle” : « laver l’affront que représentait cette indicible souillure à la mémoire du Roi exécutée par cet artiste dont je refuse même de prononcer le nom tant il est une injure à l’art. » L’objet du délit signé Tobias Hogarce avait pour titre : “Sade à Versailles”. L’œuvre pour marbre et végétaux était com-posée d’une mur de noir de golzinne de dix-sept mètres de long sur quatre de haut, installée sur le parterre de Latonne derrière un ensemble de topiaires d’un goût douteux IV. Sur le mur de marbre noir qui bloquait l’horizon était gravée au laser la phrase d’ouverture des “Cent Vingt Journées de Sodome” : « Les guerres considérables que Louis XIV eut à soutenir pendant le cours de son règne, en épuisant les finances de l’État et les facultés du peuple, trou-vèrent pourtant le secret d’enrichir une énorme quantité de ces sangsues toujours à l’affût des calamités publiques qu’ils font naître au lieu d’apaiser, et cela pour être à même d’en profiter avec plus d’avantages. »

Suite à la tentative d’assassinat d’Hogarce, les relations entre la France et l’artiste ne cessèrent de se compliquer. Michel Onfray et Alain Badiou tout en condamnant du bout des lèvres l’ire meurtrière de Marie-Carlotta Immaculata, ne s’en prirent pas moins violemment à la geste hogarcienne. Onfray dans l’hebdomadaire Le Point signa une tribune pleine de mora-line intitulée “De l’art contre-révolutionnaire”. Quant à Badiou, il pondit un énième essai “De quoi l’abjection hogarcienne est-elle le nom ?” sous titré “l’art contemporain des paradis fiscaux”. Le philosophe critiquait violem-ment l’identité panaméo-luxembourgeoise de l’artiste. Hogarce rétorqua laconiquement : “Si la conjuration des imbéciles est en marche, si les idiots utiles veulent la guerre, ils l’auront”.

Ainsi l’artiste publia et mit en scène une comédie en trois actes intitulée “Le Louvre des vendus”. Qualifiée par Hogarce de farce hyperréaliste, “Le Louvre des vendus” contait l’histoire véridique d’un incroyable scandale politico-financier-artistique. Ou comment Yoo Byung-eun un escroc coréen multimillionnaire, créateur du mouvement religieux “Salvation Sect”, de son nom d’artiste Ahae, finança le musée du Louvre en échange d’une expo-sition de ses photographies aux Tuileries. Hogarce n’hésita pas à mettre en scène l’ancien président du Louvre, Henri Loyrette, faisant l’apologie d’Ahae dans une scène au comble du ridicule V.

Pour certains “Le Louvre des vendus” fit l’effet d’une bombe, pour d’autres, la comédie fit pschitt. On frôla néanmoins le scandale diplomatique entre la République française, le Grand-Duché de Luxembourg et la république panaméenne. Tobias Hogarce déchaîna l’ire gouvernementale. Le premier ministre Manuel Valls éructa : « Il y a des forces moqueuses qui visent à salir la France. Non, la France, ce n’est pas “Le Louvre des vendus”, la France ce n’est pas Tobias Hogarce. Il ne devrait pas y avoir de natura-lisation française pour ceux qui déshonorent la France. » Fin du propos et début de la traversée du désert pour l’artiste panaméo-luxembourgeois naturalisé français, puis déchu de cette même nationalité.

Ainsi Roberto Quevedo, conservateur du MAC Panamá, résuma la carrière de Tobias Hogarce puis laissa la parole à l’enfant maudit du pays. L’artiste présenta alors à l’assemblée son nouveau projet baptisé “Soccer Removal” qu’il qualifia de “software-art”. Selon Hogarce, “Soccer Removal” est un hommage au fond vert qui constitue l’arrière plan footballistique. Par fond vert, on l’aura compris, Hogarce fait à la fois référence à la pelouse mais aussi au fond vert comme support des effets spéciaux d’incrustation. Ici la fonction du fond vert est inversée. Il ne s’agit plus de détourer une per-sonne sur ledit fond, de couleur vert, puis de remplacer ce même fond par une autre image, mais d’utiliser au contraire le fond vert de la pelouse footballistique afin d’en effacer les joueurs. Une rencontre entre deux clubs de Premier League (championnat d’Angleterre de football) sera spécialement filmée pour “Soccer Removal”. « Pourquoi le championnat d’Angleterre vous demandez-vous ? » — lança Tobias Hogarce au pu-blic. « Certes, l’Angleterre est la patrie du “soccer”, mais, tout naturellement, l’Angleterre est aussi le berceau du jardin anglais dont la pelouse est la clef de voute et l’illusionnisme le point cardinal. “Soccer Removal” a pour ambition d’être à l’art du football ce que le saut de loup était au jardin anglais. Le saut de loup, également connu sous l’expression onomatopéique de “ha-ha”. Ha ! Ha ! » — reprit-il pour faire mouche.

« Pour ceux qui ignoreraient le sens paysagiste de cette interjection, permettez-moi de citer l’article Wikipédia consacré au ha-ha. » Tobias Hogarce se racla la gorge et lut doctement la note explicative : « Un ha-ha est, dans le domaine de l’art des jardins, une clôture masquée sous la forme d’une tranchée. Elle permet dans le sens souhaité d’avoir un effet visuel qui masque cette clôture tout en gardant une esthétique plus naturelle du jardin. Cet artifice est un classique du jardin à l’anglaise, etc. etc. » Voilà pour le ha-ha. Fin de citation. “Soccer Removal” est une espèce de ha-ha. Là où les limites du jardin disparaissent dans la continuité d’une prairie grâce au ha-ha, “Soccer Removal” lui, fait disparaître les joueurs dans le vert de la pelouse. Pour revenir au Premier League et au dispositif technique de prises de vue du match, la rencontre sera exceptionnellement filmée avec 120 caméras multipliant les angles de prises de vue afin de procéder digitalement à l’effacement des joueurs. Que verra-t-on exactement ? Rien. Ou plutôt l’invisibilité de toute chose. L’effacement à l’état pur. Le spectacle du non être. Imaginez un instant, devant cinquante mille spectateurs, le ballon évoluant dans l’espace du terrain sans aucun joueur pour en animer les mouvements et accélérations. Imaginez ce ballon parcourant la pelouse déserte, rebondir comme par magie et s’élancer dans l’air, puis retomber et se figer à hauteur de tête d’homme, sans qu’aucun corps ne soit présent. Aucun joueur sur la pelouse disais-je, certes, mais l’ar-bitre, lui, nous le verrons en train de courir derrière le ballon, le poursuivant sans relâche, tenu à distance par son aura pleine de mystère. Est-ce, d’ailleurs, encore un ballon ou un solide géométrique autonome, un icosaèdre tronqué doté de superpouvoirs ? Un ballon auto-jonglant, se driblant dans son propre aérodynamisme ? Un ballon marquant d’im-probables buts vides ? Mais d’autres configurations sont possibles. Imaginez une pelouse vide exempte de joueurs, d’arbitre et de ballon. Seuls deux gardiens de but se font face à cent mètres de distance dans une attente et un étrange ballet dénué de sens. Quel magnifique plongeon dans le vide. Un geste gratuit, pour saisir le vide, le filet ondoyant dans le vent. Quoi de plus beau que le rien ? Je vous le demande » Ainsi Tobias Hogarce décrivit-il “Soccer Removal”.

Notons que l’œuvre sera dévoilée dans les prochaines foires d’art contemporain dans une galerie spécialement conçue pour l’occasion, autopromotion oblige, la “Art Removal Gallery”. Le match sera visible à l’Armory Show New York, Frieze New York, puis Frieze Londres, Art Basel, puis Basel Miami, Art Cologne, Dubai, Melbourne Art Fair… j’en passe (Fiac incluse) et des meilleures.

L’œuvre n’existe pas. Du moins pas encore, mais existera-t-elle vraiment ? La conférence de presse donnée au MAC Panamá ne serait-elle, en réalité, qu’une performance en vue de mystifier le milieu ? La présence de nombreux jour-nalistes sportifs parmi l’assistance laisserait, néanmoins, à penser le contraire, voire même le contraire du contraire. Comme le dit le proverbe panaméen : À l’imposture nul n’est tenu.

I Certains esprits mal inspirés virent, néanmoins, dans ce canard en plastique un canard vibrant. Cette vision du vibromasseur palmipède nous rappelle les malheurs de l’arbre de Noël de McCarthy fantasmé sous les traits d’un plug anal géant. II À cette époque, la hauteur moyenne du jet d’eau était de quatre-vingt-dix mètres au lieu des cent quarante de nos jours. « Cela ne fait aucun doute, c’est un signe. » — s’est exclamé Tobias Hogarce. Selon l’artiste, les cygnes flottant à la surface du lac et de la carte postale, lui inspirèrent l’installation “Hommage à Alphonse Allais”. III Hogarce n’hésita pas à qualifier de manière quelque peu méprisante Libération de journal collabo de la bonne conscience, organe officiel de la bien-pensance radicale. De manière biaisée, l’artiste ne manqua pas de rappeler que Laurent Joffrin, rédacteur en chef du journal avait en réalité pour nom Laurent Mouchard. IV Hogarce s’inspire ici d’un texte d’Alexander Pope paru dans le Guardian n°173 en date du 29 septembre 1713 où le célèbre poète et satiriste anglais raille l’art topiaire français, cet art de tailler architecturalement les arbres et arbustes des jardins. Pope y chante le ridicule d’un “Ours de laurier-thym en fleurs, avec un chasseur de genièvre maintenant en fruit” ou encore “Un Cochon en lavande avec la sauge qui croît dans son ventre.” V À ceux qui douteraient de l’existence de cette scène, on leur conseillera de regarder sur internet la vidéo “On AHAE: Henri Loyrette Director, Louvre Museum, Paris (2001 - 2013)”, encore à ce jour présente en 2016 sur le compte “Youtube AhaePhotography”.

Se i cieli, spogliati della sua augusta impronta, potessero cessare mai di manifestarlo,se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo.Voltaire - Épîtres -À l’auteur du livre des trois imposteurs, 1769

L’opera non esiste. Perlomeno, non ancora. Ma Tobias Hogarce, artista e relatore della propria opera, ne ha appena fatto la promozione. La nostra storia comincia con l’inaugurazione della sua retrospettiva al Museo de Arte Contem-poráneo, MAC Panamá. Il museo organizza una conferenza stampa. Il celebre artista panamo-lussemburghese nat-uralizzato francese rivela la sua futura opera intitolata “Soccer Removal”. « Di nuovo una presa in giro ! », inveiranno i suoi numerosi detrattori. Sì, perché Tobias Hogarce raramente fa l’unanimità nel mondo dell’arte e le sue mostre continuano a fare scandalo.

Certo, la sua serie “Hommages” si prestava più al sorriso che all’invettiva. Ricordatevi il suo “Hommage à Alphonse Allais”, installazione a Ginevra per acqua e plastica. Si poteva ammirare il getto d’acqua del Lago Lemano incoronato da un’anatra gigante di plastica gonfiabile I. L’anatra da bagno levitava a centoquaranta metri di altezza grazie ad un complesso sistema di induzione aquillo-magnetica. Tobias Hogarce continuerà ad utilizzare le tecnologie d’avanguar-dia in maniera scherzosa, come ricorda Roberto Quevedo, conservatore del MAC Panamá che continuò a descrivere il percorso artistico di questo figlio maledetto del paese.

La situazione si inasprisce con la proposizione “Hommage à Jean Baudrillard” in cui Hogarce fustigava, venti anni dopo, la famosa reprimenda di Baudrillard uscita nel 1996 sul quotidiano Libération III, organo ufficiale dei radicali ben-pensanti. “Il complotto dell’arte”, tale era il titolo dell’editoriale di Baudrillard in cui l’autore di “Simulacre et simulation” affermava: “Tutta la duplicità dell’arte contemporanea è qui : rivendicare la nullità, l’insignificanza, il non-senso, prende-re di mira la nullità quando si è già niente.” Non menzioneremo qui l’oscenità della proposta di Hogarce su questo tema.

Poi l’esasperazione scoppiò con il progetto “Tobias Hogarce Versailles” situato nel parco del Castello. La fidanzata di Pierre-Henri-Charles-Emmanuel de Bourbon-Parme, pretendente al trono di Francia, Marie-Carlotta Immaculata, principessa di Blurbchtenstein, trasformò lo scandalo in tragedia. La principessa tirò una fucilata sull’artista durante l’inaugurazione dell’evento. Tobias Hogarce si svegliò dopo tre mesi di coma. Mademoiselle S.A.S di Blurbchtenstein fece fuoco, come disse nelle colonne del quotidiano “La France éternelle” per « lavare l’affronto che rappresentava questa indicibile sconcezza per la memoria del Re, eseguita da questo artista di cui rifiuto addirittura di pronunciare il nome tanto è un’offesa per l’arte. » L’oggetto del delitto firmato Tobias Hogarce aveva per titolo “Sade a Versailles”. L’opera per marmo e vegetali era composta da un muro di roccia nera lungo diciassette metri per quattro, piazzato su un parterre de Latone dietro ad un insieme di piante di dubbio gusto IV. Sul muro di marmo nero che bloccava l’orizzonte

era stampata a laser la frase di apertura delle “Centoventi giornate di Sod-oma” : « Le considerabili guerre che Luigi XIV ebbe a sostenere nel corso del suo regno, esaurendo le finanze statali e le risorse del popolo, trovarono tuttavia il segreto di arricchire un’enorme quantità di queste sanguisughe avvinghiate alle calamità pubbliche che fanno nascere invece di sedare, e questo per essere in grado di approfittarne con più vantaggio ancora. »

A seguito del tentato assassinio di Hogarce, le relazioni tra la Francia e l’artista non smisero di complicarsi. Michel Onfray e Alain Badiou condann-arono appena l’ira assassina di Marie-Carlotta Immaculata, e si attaccarono violentemente al gesto dell’artista. Onfray nel settimanale Le Point firmò un editoriale pieno di moralismo intitolato “Sull’arte contro-rivoluzionaria”. Badiou pubblicò un ennesimo saggio “Di cosa l’abiezione di Hogarce è il nome?” sottotitolato “l’arte contemporanea dei paradisi fiscali”. Il filosofo criticava violentemente l’identità panamense-lussemburghese dell’artista. Hogarce replicò laconicamente: “se la congiura degli imbecilli è in marcia, se gli utili idioti vogliono la guerra, l’avranno”.

Così l’artista pubblicò e mise in scena una commedia in tre atti intitolata “Il Louvre dei venduti”. Qualificata da Hogarce come farsa iperrealista, “Il Louvre dei venduti” raccontava la veridica storia di un incredibile scandalo politico-finanziario-artistico. O come Yoo Byung-eun, un imbroglione core-ano multimilionario, fondatore del movimento religioso “Salvation Sect”, col nome d’artista Ahae, finanziò il museo del Louvre in cambio di una mostra delle sue fotografie alle Tuileries. Hogarce non esitò a mettere in scena l’ex presidente del Louvre, Henri Loyrette, mentre faceva l’apologia di Ahae in una scena al colmo del ridicolo V.

Secondo alcuni “Il Louvre dei venduti” fece l’effetto di una bomba, secondo altri la commedia fu un flop. Si arrivò tuttavia a sfiorare lo scandalo dip-lomatico tra la Repubblica francese, il Granducato del Lussemburgo e la Repubblica di Panama. Tobias Hogarce scatenò l’ira del governo. Il primo ministro Manuel Valls sbottò : « Ci sono delle forze sbeffeggianti che mirano a sporcare la Francia. No, la Francia non è “Il Louvre dei venduti”, la Fran-cia non è Tobias Hogarce. Non ci dovrebbe essere nazionalità francese per coloro che disonorano la Francia. » Fine della frase e inizio della traversata del deserto per l’artista panamo-lussemburghese naturalizzato francese, in seguito dichiarato decaduto di quest’ultima cittadinanza.

Così Roberto Quevedo, conservatore al MAC Panamá, riassunse la carri-era di Tobias Hogarce e poi lasciò la parola al figlio maledetto del paese. L’artista presentò allora all’assemblea il suo nuovo progetto dal nome “Soc-cer Removal” che qualificò di “software-art”. Secondo Hogarce, “Soccer Removal” è un omaggio al fondo verde che costituisce lo sfondo del calcio. Per fondo verde, si sarà capito, Hogarce fa riferimento sia al prato verde del campo da calcio sia al fondo verde come supporto degli effetti speciali di incrostazione. Qui la funzione del fondo verde è invertita. Non si tratta più di ritagliare una persona sul suddetto fondo, di colore verde, per poi sostituire questo stesso fondo con un’altra immagine, ma di utilizzare al contrario il

fondo verde del campo da calcio per cancellare i giocatori. Un incontro tra due club di Premier League (campionato inglese di calcio) sarà appositamente filmato per “Soccer Removal”. «Perché il campionato inglese, vi chiedete ? » — lanciò Tobias Hogarce al pubblico. «Certo, l’Inghilterra è la patria del “soccer”, ma naturalmente l’Inghilterra è anche la culla del giardino inglese di cui la distesa erbosa è la chiave di volta e l’illusionismo il punto cardinale. “Soccer Removal” ha per ambizione di essere per l’arte del calcio ciò che la tecnica paesaggistica del “saut du loup” era per il giardino inglese. Il “saut du loup”, anche conosciuto nella forma dell’espressione onomatopeica dell’ “ha-ha”. Ha ! Ha ! » — riprese per fare effetto.

«Per quelli che ignorassero il senso paesaggistico di questa interiezione, permettetemi di citare l’articolo Wikipedia dedicato all’ha-ha. » Tobias Hogarce si schiarì la voce e lesse in maniera dotta la nota esplicativa: « Un ha-ha è, nel campo dell’arte dei giardini, una chiusura mascherata sotto la forma di una barriera. Permette nel senso voluto di avere un effetto visivo che nasconde questa chiusura mantenendo un’estetica più naturale del giardino. Questo artificio è un classico del giardino all’inglese, etc. etc. » Ecco dunque per l’ ha-ha. Fine della citazione. “Soccer Removal” è una spe-cie di ha-ha. Laddove i limiti del giardino spariscono nella continuità di una prateria grazie all’ha-ha, “Soccer Removal” fa sparire i giocatori nel verde del campo da calcio. Per ritornare al Premier League e al dispositivo tecnico delle riprese della partita, l’incontro sarà eccezionalmente filmato con 120 videocamere che moltiplicano gli angoli di ripresa al fine di procedere in maniera digitale alla cancellazione dei giocatori. Cosa si vedrà esattamente? Niente. O piuttosto l’invis-ibilità di ogni cosa. La cancellazione allo stato puro. Lo spettacolo del non essere. Immaginate un momento, davanti a cinquantamila spettatori, il pallone che vaga nello spazio del terreno senza alcun giocatore per animarne i movimenti e le accelerazioni. Immaginate questo pallone che percorre il campo da calcio deserto, rimbalzare come per magia e lanciarsi nell’aria, poi ricadere e cristallizzarsi ad altezza d’uomo, senza che alcun corpo sia presente. Certo, dicevo, nessun giocatore sul campo, ma l’arbitro, lui, lo vedremo mentre corre dietro al pallone, seguendolo senza sosta, te-nuto a distanza dalla sua aura piena di mistero. Si tratta ancora di un pallone o di un solido geometrico autonomo, un icosaedro tronco dotato di superpoteri? Un pallone che palleggia su di sé, che si dribbla nel suo proprio aerodinamismo ? Un pallone che segna improbabili goal vuoti? Ma altre configurazioni sono possibili. Immaginate una distesa verde vuota senza giocatori, senza arbitro e senza pallone. Solo due portieri si trovano uno di fronte all’altro a cento metri di distanza in un’attesa e in uno strano balletto privo di senso. Che magnifica immersione nel vuoto. Un gesto gratuito, per afferrare il vuoto, il filo che ondeggia nel vuoto. Cosa c’è di più bello che il niente? Ve lo chiedo» Così Tobias Hogarce descrisse “Soccer Removal”.

Facciamo notare che l’opera sarà presentata nelle prossime fiere d’arte contemporanea in una galleria specialmente concepita per l’occasione, l’autopromozione è d’obbligo, la “Art Removal Gallery”. La partita sarà visibile all’Armory Show New York, alla Frieze di New York, poi alla Frieze di Londra, a Art Basel, a Art Basel Miami, Art Cologne, Dubai, Melbourne Art Fair… tutte (Fiac inclusa) e le migliori.

L’opera non esiste. O perlomeno non ancora, ma esisterà davvero? La conferenza stampa al MAC Panamá non sareb-be forse, in realtà, una performance per confondere il gli addetti ai lavori? La presenza di numerosi giornalisti sportivi nel pubblico lascerebbe tuttavia pensare il contrario, o addirittura il contrario del contrario. Come dice il proverbio pan-amense: À l’imposture nul n’est tenu / All’inganno non è tenuto nessuno.

I Certi spiriti in mancanza di ispirazione hanno interpretato tuttavia quest’anatra di plastica come un’anatra a vibrazione. Questa visione del vibratore palmipede ci ricorda lo sfortunato albero di Natale di McCarthy nella forma di un plug anale gigante. II A quest’epoca l’altezza media del getto d’acqua era di novanta metri, al posto di centoquaranta ai giorni nostri. «Non c’è dubbio, è un segno.» — ha esclamato Tobias Hogarce. Per l’artista, sono proprio i cigni che galleggiano sulla superficie dell’acqua e della cartolina ad ispirare l’installazione “Hommage à Alphonse Allais”. III Hogarce non esitò a definire in modo un po’ sprezzante Libération come un giornale collaborazionista della buona coscienza, organo ufficiale dei radicali benpensanti. In un gioco di parole, l’artista non mancò di ricordare che Laurent Joffrin, redattore capo del giornale, si chiamava in realtà Laurent Mouchard. IV Hogarce trova qui ispirazione in un testo di Alexander Pope pubblicato nel Guardian n°173 il 29 settembre 1713, dove il celebre poeta e satirico inglese critica l’arte topiaria francese, quest’arte di lavorare architettonicamente gli alberi e gli arbusti dei giardini. Pope vi narra il ridicolo di un “Orso di alloro e timo in fiore, con un cacciatore di ginepro” o ancora “Un maiale di lavanda con la salvia che cresce nella sua pancia.” V A chi dubitasse dell’esistenza di questa scena, consigliamo di guardare su Internet il video “On AHAE: Henri Loyrette Director, Louvre Museum, Paris (2001 - 2013)”, ancora oggi presente nel 2016 sul canale “Youtube AhaePhotography”.

ALESSANDROMERCURI

SOCCERREMOVAL

carte postale II datée de / cartolina II del 1938 - collection particulière de / collezione privata Tobias Hogarce