DI REPUBBLICA DOMENICA GENNAIO NUMERO 462 di morti tra il ... · e l unica grande repubblica del...

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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 GENNAIO 2014 NUMERO 462 CULT La copertina MOHSIN HAMID e VALERIO MAGRELLI La solitudine del lettore nella Babele dell’editoria Il libro LEONETTA BENTIVOGLIO Andrew S. Greer racconta le vite impossibili delle donne All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Luciana Castellina “Così ho visto la classe operaia andare all’inferno” Il teatro ANNA BANDETTINI Giovani inquieti in uno zoo di vetro Cirillo rivisita Williams La serie WALTER SITI La Poesia del mondo Emily Dickinson fuggitiva DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Guerra Dalla prima carneficina mondiale alla Siria di oggi Tutti i conflitti che hanno segnato il secolo 1914 - 1918 Prima guerra mondiale 1 SOLDATO = 15MILA MORTI CONTINUA 15 milioni 1917 - 1922 Guerra civile russa 4,5 milioni 1937 - 1945 Seconda guerra sino-giapponese 10 milioni 1939 - 1945 Seconda guerra mondiale 1936 - 1939 Guerra civile spagnola 450 mila La dei cent’anni 130 MILIONI di morti tra il 1914 e il 2014 LUCIO CARACCIOLO e VITTORIO ZUCCONI 60 milioni

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 12 GENNAIO 2014

NUMERO 462

CULT

La copertina

MOHSIN HAMID e VALERIO MAGRELLI

La solitudinedel lettorenella Babeledell’editoria

Il libro

LEONETTA BENTIVOGLIO

Andrew S. Greerraccontale vite impossibilidelle donne

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Luciana Castellina“Così ho vistola classe operaiaandare all’inferno”

Il teatro

ANNA BANDETTINI

Giovani inquietiin uno zoo di vetroCirillo rivisitaWilliams

La serie

WALTER SITI

La Poesiadel mondoEmily Dickinsonfuggitiva

DIS

EG

NO

DI M

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SIM

O J

ATO

STI

Guerra Dalla primacarneficina mondialealla Siria di oggiTutti i conflittiche hannosegnato il secolo

1914 - 1918Prima guerra mondiale

1 SOLDATO = 15MILA MORTI

CONTINUA

15milioni

1917 - 1922Guerra civile russa

4,5milioni

1937 - 1945Seconda guerra sino-giapponese

10milioni

1939 - 1945Seconda guerra mondiale

1936 - 1939Guerra civile spagnola

450mila

La

dei cent’anni

130 MILIONIdi morti tra il 1914 e il 2014

LUCIO CARACCIOLO e VITTORIO ZUCCONI

60milioni

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 12 GENNAIO 2014

la Repubblica

Si cominciò nell’agosto del 1914 con un colpo di rivoltella a SarajevoLa copertina1914-2014

6,2milioni

1945 - 1959Guerra civile greca

1946 - 1950Guerra civile cinese

150mila

400mila

1946 - 1960Guerra Colombia

Gli ultimigiorni

dell’EuropaVITTORIO ZUCCONI

all’altodella propria torre orgogliosa la Morte guardòil suicidio dell’isola nel mare ai suoi piedi». Fu questoverso di Poe che la storica Barbara Tuchman scelseper narrare il secolo del suicidio europeo cominciatonel 1914, l’anno fatale nel quale il continente più pro-spero, colto, sviluppato, civile, più egemone che il

mondo avesse mai conosciuto, decise, per ragioni ancora inspiegabili, di auto-distruggersi. L’Europa fu il Cavallo di Troia di se stessa. Implose — senza inva-sioni né attacchi, né orde di barbari — spalancando le porte della storia al Se-colo Americano.

È difficile, per noi che abbiamo conosciuto soltanto l’Europa della miraco-losa, e ora claudicante rinascita un secolo dopo quel 1914, comprendere quan-to assoluta fosse la supremazia del nostro continente sul pianeta. E quanto im-probabile apparisse in quell’anno la «marcia dei sonnambuli» — secondo la de-finizione di Christopher Clark a Cambridge — verso l’abisso. Chi lamenta la glo-balizzazione di oggi, non sa quanto già globale fosse il mondo della Belle Épo-que e profonda l’interdipendenza fra le nazioni del Vecchio Continente. Ba-steranno due cifre per dare la misura dello strapotere europeo: il 67 per centodella produzione industriale mondiale veniva da qui; l’80 per cento delle flottemilitari e commerciali batteva bandiere europee.

Una guerra fra le corone, tutte posate sulla testa di parenti, cugini e cognati,e l’unica grande repubblica del tempo, la Francia, appariva anche più assurdadi quanto possa sembrare oggi alle legioni di ragazzi che sciamano da un’uni-versità all’altra sotto il segno di Erasmo, ai turisti che salgono e scendono da vo-li low cost e treni superveloci, che passeggiano lungo le rive del Reno, della Mo-sa, della Vistola dopo avere attraversato frontiere di garitte vuote o bunker or-mai coperti di edera. In un best seller del tempo, il Nobel per la pace sir NormanAngell poteva scrivere nel 1910 che la devastazione del credito e della finanzaavrebbero impedito lo scoppio di una guerra o ne avrebbe reso brevissima ladurata, nella solita fiaba del “tutti a casa per Natale”. Ironicamente, il titolo delsuo saggio, La grande illusione, sarebbe divenuto un indimenticabile film con-tro la guerra. Ma Angell non avrebbe potuto immaginare che la rivoltella di unallucinato nazionalista serbo-bosniaco, Gavrilo Princip, contro l’erede al tro-no degli Asburgo Francesco Ferdinando a Sarajevo avrebbe messo in moto «lamarcia dei sonnambuli» destinata a durare per l’intero «secolo breve», come lochiamò Eric Hobsbawm. La stampa Usa, di fronte al clamore suscitato da quel-l’assassinio, si concesse addirittura qualche ironia. L’Heralddi New York scris-se che «con tutti i duchi e gli arciduchi che hanno in Europa, uno in meno nonpuò fare grande differenza». Cento anni dopo, e ben più di cento milioni di mor-ti direttamente o indirettamente attribuibili a quell’«arciduca in meno», stori-ci della guerra come John Keegan si chiedono addirittura se non sia stata la far-raginosità e la lentezza delle comunicazioni fra Cancellerie, non ancora ade-guata alla velocità del telegrafo, dei telefoni già esistenti in cavi sottomarini, del-la neonata radio, a scatenare la reazione a catena.

Ma ciò su cui nessuno ha dubbi è il meccanismo di azioni e reazioni, cata-strofi e vendette, conti di sangue lasciati in sospeso, che avrebbe prodotto laGuerra dei Trent’anni europea, chiusa soltanto nel maggio di trentun anni do-po per poi congelare il continente nella glaciazione del conflitto ideologico fraEst e Ovest. Tutto quello che sarebbe accaduto nella Seconda guerra, e nel lun-go Dopoguerra che ancora tocca con le proprie dita gelide i rapporti fra Russiae Occidente, ha le proprie radici in quelle giornate di agosto 1914. Le mostruo-se tecnologie di morte usate nella Seconda guerra hanno il Dna nella Prima, ibombardamenti aerei, i tentativi di estendere la sofferenza alle popolazioni ci-vili colpendo Parigi con supercannoni dalla gittata di 130 chilometri, i panzer,i primi rudimentali missili usati per abbattere palloni aerostatici e dirigibili. E igas letali che dalle trincee sarebbero passati direttamente alle camere dellosterminio nazista e, ancora oggi, sostanzialmente identici, ai massacri in Siria.

Molti, se non tutti, i protagonisti, della Seconda guerra, erano figli della Pri-ma. Churchill, Lord dell’Ammiragliato fino al 1915; Gamelin, vincitore della pri-ma battaglia della Marna nel 1914 e poi disastroso comandante supremo del-l’Armée francese nel 1940; Hitler, reduce rancoroso e ferito nelle trincee delfronte occidentale; Zhukov, il conquistatore di Berlino, decorato sui campi del1915 contro le armate del Kaiser; Badoglio, vincitore del Sabotino e poi Capo diStato Maggiore per la sciagurata offensiva contro la Grecia del 1940. E natural-mente Mussolini, ferito sul Carso da una bomba durante un’esercitazione.

Insieme con il cumulo di macerie, cadaveri, di immensi danni economici chedimezzarono le capacità industriali di nazioni come la Germania e divoraronouna generazione di giovani uomini che in Francia lasciarono, nel 1918, una pro-porzione di sei donne per quattro maschi e centinaia di migliaia di invalides,l’eredità più sottilmente velenosa di quel 1914 fu quella che John Keegan definì«la militarizzazione della politica». Nei totalitarismi prodotti dalla guerra, do-ve le ideologie e i partiti erano stati messi in divisa restò, e ancora sotto pelle so-pravvive, «il morso dell’odio per il nemico e quel risentimento — scrive sempreKeegan — che è sempre veloce nell’azzannare e lentissimo nel lasciare la pre-da». Dovette essere l’America, due volte strappata al sonno del suo isolazioni-smo, a impedire alla Terra Madre di precipitare in un abisso senza ritorno.

Oggi quel campo della morte che fu l’Europa è silenzioso. Ma la Signora diEdgar Allan Poe, alta sulla propria gigantesca torre, osserva l’isola nel mare aisuoi piedi e aspetta paziente.

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1914Granatiere (GB)

1936Miliziano (Spagna) © RIPRODUZIONE RISERVATA

1937Ufficiale SS (Ger)

1940Carabiniere (Italia)

1944Fante (Usa)

1930Sciumbasci (Italia)

FON

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■ 37DOMENICA 12 GENNAIO 2014

la Repubblica

Da allora tutto è cambiato. I continenti coinvolti nei conflitti. Le armi. I modi di combattere. E di smettere

1milione

1954 - 1962Guerra d’indipendenza Algeria

16mila

1956Guerra del Sinai

2,4milioni

1milione

1962 - 1989Guerra Etiopia - Eritrea

2milioni

1967- 1970Guerra civile nigeriana

1,7milioni

1967- 1978Guerra civile cambogiana

4,5milioni

1950 - 1953 Guerra di Corea

1milione

1947 - 1948Prima guerra indo-pakistana

600mila

1946 - 1954Guerra d’Indocina

15mila

1948 Guerra arabo-israeliana

200mila

1969- 1996Guerra Guatemala

1,5milioni

1971Seconda guerra indo-pakistana

1975 -2002Guerre d’Angola

1,1milioni

1975 -1990Guerra civile libanese

150mila

250mila

1971- 1978Guerra civile ugandese

1977 -1982Guerra civile Mozambico

1milione

1978-1989Invasione sovietica in Afghanistan

1,5milioni

1983 -2005Guerra civile Sudan

1,5milioni

150mila

1991 - 2002Guerra Sierra Leone

150mila

1991 - 2002Guerra civile algerina

100mila

1milione

1980 -1988Guerra Iran-Iraq

300mila

1991 - 2001Guerra nell’ex Jugoslavia

200mila

1991 - 2009Guerra civile somala

800mila

1993 - 2000Guerra civile in Burundi

1998 - 2003Seconda guerra del Congo

200mila

1994 - 2009Prima e seconda guerra cecena

6milioni

2milioni

150mila

1978-1990Guerra civile Nicaragua

1989 -1997Guerra in Liberia

1990 -1991Guerra Golfo

2003Invasione dell’Iraq

150mila

1973Guerra del Kippur

21mila

Senzaguerrané pace

LUCIO CARACCIOLO

2001 - IN CORSOInvasione dell’Afghanistan

30mila

30mila

2011Guerra civile in Libia

2011 - IN CORSOGuerra civile siriana

1990 -1995Guerra civile Ruanda

1960 - 1975Guerra del Vietnam

ento anni fa scoppiava la «guerra per finire tutte le guerre»,come la definì già nell’agosto 1914, in una fortunata serie diarticoli poi raccolti in libello, lo scrittore britannico HerbertGeorge Wells. Sentenza degna del padre fondatore dellafantascienza, resa poi celebre da un leader politico moltoimmaginifico, il presidente americano Woodrow Wilson.

Da allora il mondo ha conosciuto centinaia di conflitti, di cui almenouna cinquantina ad alta o media intensità, che hanno falciato almeno cen-totrenta milioni di vite umane, oltre la metà delle quali nelle due guerremondiali (quindici nella Prima, sessanta nella Seconda). Attualmente so-no in corso una decina di conflitti che producono più di un migliaio dimorti all’anno. Il più tragico è quello di Siria: oltre centotrentamila morti.La tendenza umana ad annientarsi reciprocamente per quote di potere,territorio e ricchezza — e per qualcosa che usiamo chiamare “onore” —visibile fin dall’alba della storia, ha avuto ragione dell’ottimismo di Wells.

Ma come è cambiata la guerra, dalla Grande Guerra a oggi? Molto, an-che se meno di quanto correntemente si pensi. I principali mutamenti so-no di tre ordini: riguardano gli attori, e quindi le vittime; le tecnologie bel-liche; la relazione con la politica.

Fino alla Prima guerra mondiale (inclusa), i conflitti moderni eranocondotti essenzialmente da e fra soldati, in spazi limitati. Militare era perconseguenza la maggior parte dei caduti. Già nella Seconda guerra mon-diale il numero dei morti civili eccede quello dei militari. Non solo perchéi combattimenti escono dalle trincee e dai campi di battaglia per dilatarsispesso nel cuore dei centri abitati, ma anche per le nuove tecnologie, a co-minciare da esplosivi sempre più potenti e impiegabili a vasto raggio. Laguerra area, in particolare i bombardamenti terroristici contro la popola-zione civile — che i britannici identificano con Coventry (e Londra), i te-deschi con Dresda, i giapponesi con le bombe convenzionali su Tokyo e leatomiche su Hiroshima e Nagasaki — segna una svolta sia nelle dottrinemilitari (ricordiamo il nostro Giulio Douhet, che nel 1921 pubblica il suoDominio dell’aria) che nella percezione delle opinioni pubbliche. Al pun-to che “solo” tremila morti civili — non le centinaia di migliaia dei bom-bardamenti a tappeto della Seconda guerra mondiale — in un attacco ae-reo non convenzionale contro le Torri Gemelle di New York, l’11 settem-bre 2001, marcano un tornante storico.

Una nuova frontiera tecnologica è offerta dalla guerra cibernetica (cy-berwarfare), che viene incontro a una necessità assai sentita nelle societàoccidentali o comunque benestanti: ridurre la visibilità del conflitto e li-mitare al massimo le perdite. Almeno le proprie, specie se civili. Ma pro-prio tali caratteristiche ci rendono più vulnerabili al terrorismo, agli at-tacchi “asimmetrici”, in cui il duellante più debole sfrutta a proprio van-taggio la strapotenza del più forte.

La scarsa disponibilità occidentale a morire per la patria e a impegnar-si in guerre massicce e prolungate, accentuata dall’«inutile strage» del1914-18, ha indotto alcuni studiosi a dichiarare la morte della guerra, al-meno nel senso tradizionale del termine. I conflitti nei quali sono impe-gnate le Forze armate dei paesi Nato (esemplare il caso afgano) non ven-gono ufficialmente definiti tali, ma declassati a “operazioni di pace” pernon turbare le troppo sensibili opinioni pubbliche e forse anche le co-scienze di alcuni decisori che hanno bisogno di credere alla propria pro-paganda.

Se fino a metà del secolo scorso le guerre potevano essere rappresenta-te come esplosioni di violenza delimitate nello spazio e nel tempo, i con-flitti attuali sarebbero leggibili come un continuum: una costante tensio-ne latente che ha i suoi picchi e le sue pause, non più un inizio e una fine(si pensi ai Balcani, da Sarajevo a Sarajevo, e oltre). Così a morire non è tan-to la guerra quanto la pace.

Di sicuro è in crisi, se non defunto, il paradigma classico che vuole laguerra continuazione della politica con altri mezzi. L’impiego della forzaè spesso astrategico, nel senso che non persegue un fine politico determi-nato. O quanto meno, gli obiettivi sono alquanto fungibili e mutevoli, so-prattutto in conseguenza degli umori delle opinioni pubbliche domesti-che e internazionali.

Lasciamo stare i Balcani o l’Afghanistan: qualcuno è in grado di spiega-re in una frase l’obiettivo della guerra americana al terrorismo, dopo l’11settembre? Certamente non seppe farlo George W. Bush — si contano unatrentina di sue spiegazioni, spesso contraddittorie — mentre l’attuale pre-sidente Barack Obama ha preferito rinunciare a chiamarla per nome, perproseguirla in modo meno visibile (cibernetica, droni, operazioni coper-te) ma non meno letale.

In ogni guerra, specie in quelle a noi contemporanee, riposa dunqueuna componente irrazionale, che spin doctor, accademici e strateghi mi-litari — talvolta la stessa persona con tre cappelli — cercano di ridurre adalgoritmo. A questa costante non si può sfuggire. La guerra è anzitutto esempre avventura, sanguinosa e paradossalmente fascinosa. Poiché lospirito d’avventura appare troppo umano per essere debellato, la profe-zia di Wells dovrà sopportare, per il tempo prevedibile, le dure replichedella Storia.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

1960Marine (Usa)

1981Mujaheddin (Afgh)

1990-91Marine (Usa)

1995-96Casco blu (Nato)

2002Cavalleggere (Usa)

2003Paracadutista (Usa)

70mila

130mila

TOTALE129.858.100