DI REPUBBLICA DOMENICA FEBBRAIO NUMERO 414...

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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013 NUMERO 414 CULT La copertina MARIO PERNIOLA e ELENA STANCANELLI Tendenza Lady Gaga oggi la star muta identità Il libro IRENE BIGNARDI Il fallimento ironico di Sherwood Anderson All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Ugo Gregoretti “Io, raccomandato ho rinnovato la televisione” L’opera GUIDO BARBIERI Luci e automi nel Macbeth di Verdi secondo Wilson L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo L’inganno di Raffaello Sei possibili modi per far finire una storia d’amore L’inedito Un poliziotto contro i criminali di Wall Street L’attualità FEDERICO RAMPINI ROMA U n vero teatro, una sala da barbiere, un’austera came- ra da letto. E poi crocifissi e madonne, quadri del ’600 e ’700, un De Chirico unica concessione alla moder- nità, quasi neppure la foto di un’attrice. La villa di via Druso all’Aventino, dove Alberto Sordi ha vissuto dalla fine degli an- ni ’50, era come una fortezza inviolabile, guardata dai romani con curiosità e rispetto. Pochi i privilegiati cui l’attore, scomparso dieci anni fa, dischiudeva il cancello del suo mondo segreto. La sua colla- boratrice Paola Comin racconta che dovette aspettare un paio d’an- ni prima che Sordi, anziché farla attendere davanti al cancello per re- carsi insieme agli appuntamenti di lavoro, la invitasse «su per un caf- fettino». Ora la signorina Aurelia, come tutti chiamano la sorella del- l’attore, classe 1917, per la prima volta ha aperto la porta di quella ca- sa perché Carlo e Luca Verdone vi girassero un documentario. (segue nelle pagine successive) U n tempo ridevamo delle disavventure del nostro vici- no, degli abitanti del nostro villaggio, delle città delle nostre province, della nazione in cui abitavamo. Og- gi, grazie alla grande diffusione dei mezzi di informa- zione, possiamo ridere di tutto il mondo. Come si ride? È molto sem- plice: premesso che il riso è una facoltà propria dell’uomo, è suffi- ciente modificare il ritmo respiratorio e la mimica del volto. Si ha dapprima dilatazione e contrazione dei muscoli delle labbra e delle guance, mentre l’espirazione viene sospesa; quindi le contrazioni si rafforzano e si estendono a tutti i muscoli della faccia, le scosse si ri- percuotono nella gola e le spalle cominciano ad agitarsi; infine tut- to il corpo vi partecipa convulsamente sino al punto da potersi veri- ficare lacrimazione, perdita di urine specialmente nelle donne, do- lor di ventre per gli urti del diaframma sulla massa intestinale. (segue nelle pagine successive) DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Casa Sordi Lo studio, i saloni, la barberia A dieci anni dalla morte le foto inedite che raccontano l’Albertone segreto MARGARET ATWOOD e NADIA FUSINI MARIA PIA FUSCO ALBERTO SORDI FOTO © CLAUDIO PORCARELLI/PHOTOMOVIE

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

NUMERO 414

CULT

La copertina

MARIO PERNIOLAe ELENA STANCANELLI

TendenzaLady Gagaoggi la starmuta identità

Il libro

IRENE BIGNARDI

Il fallimentoironicodi SherwoodAnderson

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Ugo Gregoretti“Io, raccomandatoho rinnovatola televisione”

L’opera

GUIDO BARBIERI

Luci e autominel Macbethdi Verdisecondo Wilson

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondoL’ingannodi Raffaello

Sei possibili modiper far finireuna storia d’amore

L’inedito

Un poliziottocontro i criminalidi Wall Street

L’attualità

FEDERICO RAMPINI

ROMA

Un vero teatro, una sala da barbiere, un’austera came-ra da letto. E poi crocifissi e madonne, quadri del ’600e ’700, un De Chirico unica concessione alla moder-nità, quasi neppure la foto di un’attrice. La villa di via

Druso all’Aventino, dove Alberto Sordi ha vissuto dalla fine degli an-ni ’50, era come una fortezza inviolabile, guardata dai romani concuriosità e rispetto. Pochi i privilegiati cui l’attore, scomparso diecianni fa, dischiudeva il cancello del suo mondo segreto. La sua colla-boratrice Paola Comin racconta che dovette aspettare un paio d’an-ni prima che Sordi, anziché farla attendere davanti al cancello per re-carsi insieme agli appuntamenti di lavoro, la invitasse «su per un caf-fettino». Ora la signorina Aurelia, come tutti chiamano la sorella del-l’attore, classe 1917, per la prima volta ha aperto la porta di quella ca-sa perché Carlo e Luca Verdone vi girassero un documentario.

(segue nelle pagine successive)

Un temporidevamo delle disavventure del nostro vici-no, degli abitanti del nostro villaggio, delle città dellenostre province, della nazione in cui abitavamo. Og-gi, grazie alla grande diffusione dei mezzi di informa-

zione, possiamo ridere di tutto il mondo. Come si ride? È molto sem-plice: premesso che il riso è una facoltà propria dell’uomo, è suffi-ciente modificare il ritmo respiratorio e la mimica del volto. Si hadapprima dilatazione e contrazione dei muscoli delle labbra e delleguance, mentre l’espirazione viene sospesa; quindi le contrazioni sirafforzano e si estendono a tutti i muscoli della faccia, le scosse si ri-percuotono nella gola e le spalle cominciano ad agitarsi; infine tut-to il corpo vi partecipa convulsamente sino al punto da potersi veri-ficare lacrimazione, perdita di urine specialmente nelle donne, do-lor di ventre per gli urti del diaframma sulla massa intestinale.

(segue nelle pagine successive)

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LA DOMENICA■ 26DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

Arturo Artadi era il suo autista. Pierina Parenti la governanteCarlo Verdone il figlio d’arte. Ettore Scola il grande amicoA dieci anni dalla morte il re della commedia all’italianaraccontato da chi lo conosceva bene.Attraverso le fotoinedite della sua tanto severa quanto inaccessibile villa romana

La copertinaCasa Sordi

(segue dalla copertina)

Alberto il Grande, questoil titolo del documenta-rio, verrà proiettato agiorni. Quanto a noi la-sciamo che le immaginiinedite di quelle stanze,

lo sfarzo degli arredi, la particolarità de-gli ambienti aiutino a restituire, insie-me al racconto di chi nella vita dell’at-tore è stato a lungo presente, la com-plessità del Sordi più privato: quello chepersiane quasi sempre abbassate la-sciavano intravedere a pochi.

Arturo, l’autistaAd accudire la signorina Aurelia e oc-cuparsi di problemi domestici è rima-sto Arturo Artadi. Aveva diciott’anniquando, appena arrivato dal Perù, en-trò in casa Sordi. «Me ne stavo intimi-dito davanti alla cucina. “Sei Arturo?

Sicuro che sei peruviano?”, mi chieseper via del fatto che sono alto. A queitempi portavo anche l’orecchino:“Che, sei recchione?”. Lo tolsi subito,lui apprezzò con un buffetto sullaguancia». Il lavoro era quello di autista:«Ma non sapevo guidare. “Ci pensoio”, e per tre mesi mi diede lui lezioni diguida. Mi sgridava se sbagliavo, pac-che affettuose se facevo giusto. Parla-vo ancora poco italiano, ma una voltalo mandai a quel paese. La signorinaAurelia intervenne preoccupata. “Cheè successo?”. “È successo che Arturoha imparato l’italiano”, disse Albertoridendo. Lo chiamavo Alberto, ma glidavo del lei». Si commuove Arturoquando pensa agli ultimi giorni tra-scorsi da Sordi nel letto di una clinica:«Mi prese la mano e mi guardò con af-fetto, come si fa con un figlio. Poi midisse: “So’ stato bambino, uomo, e oraanziano. Fra un po’ me ne vado su.Pensa tu a mia sorella”. Ed è quello cheho fatto».

Carlo, l’allievo La casa di Sordi ha vissuto due vite, rac-conta Carlo Verdone: «Prima del ’72era frequentata. Sergio Amidei, Sone-go, Piero Piccioni, Fellini, la Masina,Monica Vitti, Franca Valeri: c’eranocene, incontri, proiezioni, sono statiinvitati tutti i sindaci di Roma, tanticardinali. Anche Walter Matthau eJack Lemmon ci sono stati. Ma in quel-l’anno morì Savina, la sorella più gran-de, e da allora fine delle serate. La casaper Alberto diventò una rocca in cuirinchiudersi e isolarsi. Del resto, cometutti i grandi comici aveva un suo latomalinconico, e capisco anche il biso-gno di silenzio per uno che per lavoropassa il tempo in mezzo alle cagnare.Io la sua casa la conoscevo solo in par-te, il documentario è stata un’occasio-ne per scoperte continue. Il teatro, peresempio, non sapevo nemmeno che cifosse: una grande platea, un palco, labuca per il suggeritore, poltrone, luci,due proiettori. Ho scoperto la barbe-

ria: grande specchio, luci, poltrona dabarbiere. E poi il roseto, la cucina im-mensa come quella di un hotel. Lastanza in cui passava più tempo era lostudio. C’è la poltrona su cui, dopo lapennichella, leggeva i copioni. Mi haraccontato Arturo, l’autista, che si pre-cipitava nello studio ogni volta chesentiva un botto. Erano i copioni cheAlberto buttava a terra: “Prendili, dajefoco”, gli diceva. Serrande sempre ab-bassate e rigore: quella casa è il segnodi quanto Sordi privato fosse diversodall’immagine pubblica. Anche se, miha raccontato Pierina, la vecchia go-vernante, la penombra era dovuta aiconsigli dell’antiquario Apolloni, suoamico e insegnante d’arte. Gli avevavenduto molti degli arredi e dei quadrie diceva che per conservarli bene do-vevano avere poca luce. Grandi quadridel Seicento e del Settecento, l’unicomoderno è un De Chirico. Neppureuna foto con le attrici, una sola di So-raya, con dedica. E poi immagini reli-

LE STANZE SEGRETE DIALBERTO

MARIA PIA FUSCO

I PREMI Tanti, poggiati sopra il caminettoLE MADONNE Foto di Giovanni Paolo II, crocifissi e Madonne: la casa ne è piena

LA SALA Pochi gli ospiti dopo la morte della sorella Savina, nel ’72LO STUDIO Di tutta la casa, era questa la stanza più usata da Sordi

La poltronaDopo la pennichellaè lì che leggeva i copioniQuando si sentiva un bottovoleva dire che li avevabuttati a terra. “Prendili - diceva - e daje foco”

Le persianeErano quasi sempreabbassate. Seguivail consiglio dell’antiquario,gli aveva detto che mobilie quadri avevano bisognodella penombra

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■ 27DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

giose, Giovanni Paolo II, crocifissi etante Madonne. In giardino ce n’è unain una nicchia. Ogni mattina le porta-va una rosa, recitava una preghiera,poi andava a lavorare. La stanza da let-to è la più spartana: il letto, una vecchiaradio, niente televisore».

Ettore, l’amico«In quella stanza da letto tantissimianni fa Sordi portò una ballerina delleBlue Bells, bellissima. E mi raccontòche la mattina la sorella Savina giravaper casa ripetendo con intenzione“Lavarsi!”, “Lavarsi!”». È uno dei ricor-di di Ettore Scola, che il primo incon-tro con l’attore lo ebbe nella casa piùmodesta di via dei Pettinari. «Solo do-po tanti film e tanto successo si com-prò la grande villa con piscina di viaDruso. Era una casa che incuteva ri-spetto». La leggenda narra che alla do-manda “perché non ti sposi?” la rispo-sta di Sordi fosse “ma che, ti vuoi met-tere un’estranea per casa?”. «Era una

frase che ripeteva spesso, lo divertiva.Faceva parte della sua personalitàcomplessa, di una vita sempre in dop-pio gioco con se stessa. Tutto nascevadalla consapevolezza di aver raggiun-to successo e indipendenza economi-ca eccezionali. Lo divertiva anchepassare per avaro. Tutti, poi, abbiamosaputo della sua generosità e dei suoilasciti. Ma quando uscivamo da un ri-storante il suo gioco preferito eraquello di aspettare che il guardiamac-chine si stancasse di stargli davanti erinunciasse alla mancia. Del suo suc-cesso anche economico voleva veder-ne i segni. La sontuosità della casa neera una testimonianza. E così puretutti quei quadri, quei mobili. Non homai capito se gli piacessero veramen-te o se appagassero solo quel deside-rio di conferma».

Pierina, la governanteNel 1953 Pierina Parenti avevavent’anni e quando arrivò come go-

vernante a casa Sordi, ancora in viadei Pettinari, non sapeva in che modoavrebbe dovuto rivolgerglisi.

«Venivo dal paese, venivo da Piglio,nel Frusinate, e io il “lei” non l’avevomai sentito. Alla fine Alberto mi disse“Fa’ come te pare, chiamami come tiviene”. Sono cresciuta con lui, e l’hoseguito con la sua famiglia nella villadi via Druso. Per le cene, ché all’iniziole faceva, avevo chiamato una cuocadel paese, ma quando stava da soloSordi voleva soltanto gli spaghetti colsugo buono. Io gli tenevo in ordine ivestiti, le cravatte, le scarpette, gli sti-ravo le camicie. Era esigente, sì, macon me aveva poco da ridire, neppureuna grinza, e se mi faceva qualcherimprovero, offese mai, io comunqueme lo prendevo. Tutto mi ricordo dilui, come parlava, come rideva, comecerte volte gli piaceva di stare zitto. Etutto mi manca di lui, ma soprattuttoche non lo vediamo più».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Come si fa a far ridere la genteALBERTO SORDI

(segue dalla copertina)

Il riso, in conclusione, può essere pericolosissimo. Infatti, si dice: «Mo-rire dal ridere...», «Ho riso da morire...». Mentre non si dice: «Morire dalpiangere...», «Ho pianto da morire...».

Di chi o di che cosa si ride?Il comico è uno degli esempi tipici di sentimento misto di piacere e di

dolore. Comico è il personaggio che improvvisamente subisce una delu-sione circa le qualità e le possibilità di cui crede di disporre, senza nellostesso tempo apparire odioso e temibile; e il gusto che ne ha lo spettatoreè la soddisfazione di una celata invidia, che di questa ha insieme il dolce el’amaro. Il senso del comico, così, si risolve in sostanza nella percezionedella propria superiorità rispetto alla persona che appare tale. Per Aristo-tele, più semplicemente, la comicità di un personaggio è determinata dalpresentarsi di un suo difetto o errore, in quanto però esso non appareodioso e non suscita repulsione. L’origine del comico è comunque vistasempre nell’avvertimento di una sorta di contrasto, di dislivello: si mani-

festi esso tra la cosa e lo spettatore, o tra la cosa reale e l’idea che altrimentise ne possa avere.

La sensazione del comico è un’improvvisa soddisfazione dell’orgoglio.Bergson lo intende ponendolo in rapporto con la fondamentale sua con-trapposizione della vita e del meccanismo: comico è infatti il meccanicoin quanto imita il vivente o il vivente in quanto appare meccanico. Freud,invece, considera anche il senso del comico come derivante della reazio-ne di complessi psichici prima ricacciati nella sfera del subcosciente. Cro-ce lo considera indefinibile dal punto di vista dell’estetica, rimandando-lo per competenza alla psicologia empirica.

La maggior parte dei miei film sono delle commedie di costume. Hosempre cercato, attraverso i miei personaggi, di colpire, di condanna-re i difetti dei miei simili. L’arma del ridicolo ritengo sia l’arma più ef-ficace, perciò molti miei film sono comici in superficie, ma nel fondosono anche, talvolta, tragici.

(Discorso pronunciato in occasione di una premiazione)© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL DOCUMENTARIOAlberto il grande di Carlo e Luca Verdone verrà proiettato in anteprima a ingresso gratuito la sera del 19 febbraio in tresale, contemporaneamente, del cinema Adriano di RomaIl progetto, sostenutodall’assessorato alla cultura della Regione Lazio e realizzato da Arimvideo e dalla Fondazione AlbertoSordi, con la collaborazione di Medusa, celebrerà il grande attore a dieci annidalla sua scomparsa, avvenuta il 24 febbraio del 2003

LA BARBERIA Una delle stanze più originali della villa sull’Aventino

IL TEATRO La grande sala veniva usata anche per vedere i film in anteprima

Il teatroUn’ampia sala, la platea a semicerchio,un grande palco,due proiettoriE persino la bucaper il suggeritore

La barberiaPare un camerinocon quel grande specchiolungo la paretee tutte quelle lucisopra la sedia verdeda barbiere

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UnpoliziottoWall Streeta

LA DOMENICA■ 28DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

L’attualitàSegua quei soldi

Si chiamaGary Genslered è l’incubo

dei banditiin doppiopettoPer anni ha lavorato

al serviziodella finanza

criminalePoi si è pentito

E ora Obamal’ha messo a capo

dell’authorityche indagasui derivati

NEW YORK

Per gli scandali finanziari è stata una setti-mana di grandi regolamenti dei conti. Lamanipolazione del tasso d’interesse Li-bor (e del suo cugino di primo grado, Eu-

ribor) è diventata “la truffa dei tre continenti”. In unsolo giorno, mercoledì 6 febbraio, la Royal Bank ofScotland ha dovuto confessare reati criminali nel-l’aggiustare i tassi, e ha pagato 390 milioni di sterlinedi multa, dopo la pubblicazione di email dei suoi di-pendenti che il Financial Times ha definito «scabro-se». Si vendevano e si compravano, anche per poco:a volte bastavano un cena in un ristorante di lusso ouna bottiglia di champagne. Lo stesso giorno, laDeutsche Bank ha dovuto sospendere cinque diri-genti, mentre a Tokyo un trader ha accusato i colos-si della finanza nipponica di far parte della stessacongiura. Intanto a Washington l’amministrazioneObama trascinava in tribunale i Signori dei rating,cioè l’agenzia Standard & Poor’s, decisa a colpirlacon una stangata da cinque miliardi di dollari; pocodopo la procura generale di New York ha lanciatouna causa parallela sui conflitti d’interessi tra chi as-segnava i rating e gli emittenti di titoli “tossici” nellacrisi del 2007-2008. L’offensiva è così poderosa cheWall Street ora s’interroga su uno scenario quasiinaudito: la possibilità che Standard & Poor’s facciala fine (fallimentare) di Arthur Andersen, il leaderdella certificazione dei bilanci che fu distrutto dalloscandalo Enron un decennio fa. Un altro gigantemondiale della finanza, JP Morgan Chase, deve giu-stificare davanti alla corte federale di Manhattanuna valanga di email compromettenti. La bancafranco-belga Dexia si considera truffata per 1,6 mi-liardi, e quelle mail dimostrerebbero il dolo: lì c’è laprova che i dirigenti della JP Morgan spacciavano aiclienti grandi e piccoli dei titoli destinati a fare crac,e sapevano benissimo di vendere merce avariata. Suquesto sfondo, anche l’Italia ha fatto la sua parte peralimentare le cronache giudiziarie della malafinan-za, con la vicenda Montepaschi.

Se finalmente è arrivato il Giorno del Giudizio peri grandi banditi del nostro tempo, i banchieri, unaparte del merito spetta senza dubbio a Gary Gensler.Il poliziotto di Wall Street. E anche un personaggiocon una storia tormentata: forse il più importante li-berista pentito d’America che, dopo una coraggiosaautocritica, è diventato un castigatore implacabiledella finanza delinquenziale. Gensler è dal 2009 ilpresidente della U.S. Commodity Futures TradingCommission (Cftc). Cioè una delle authority più im-portanti per regolare i mercati, in particolare i titoliderivati che tanta parte hanno avuto nello scatenar-si della crisi del 2008. In realtà la finanza derivata hauna storia più antica. Molti la scoprirono grazie a unfilm di successo, Una poltrona per due di John Lan-dis, con Eddie Murphy e Dan Aykroyd. Correva l’an-no 1983 e il film divulgò in modo divertente il primoboom dei derivati: la speculazione sui future dellederrate agricole (succo d’arancia, nella trama delfilm). Era ancora un fenomeno di dimensioni relati-vamente ridotte, anche se di lì a poco una storia unpo’ simile ebbe per protagonista l’industriale italia-no Raul Gardini e una gigantesca speculazione suiderivati agricoli alla Borsa merci di Chicago. Ma il ve-ro boom della finanza derivata, che l’avrebbe porta-ta alle dimensioni attuali — il suo fatturato è un mul-tiplo decine di volte superiore al Pil mondiale — ri-sale a un’epoca più recente e reca le impronte digi-tali di Gensler. Prima di essere stato poliziotto, fu inqualche modo “complice” dei ladri…

La storia ha un inizio antico e delle curiose dira-mazioni familiari. Gensler, che oggi ha cinquantaseianni, si distingue fin dai banchi dell’università comeun genio della matematica applicata all’economia.Fa studi brillanti in una delle migliori BusinessSchool americane, la Wharton della University ofPennsylvania. Da lì spicca il volo per una brillantecarriera alla Goldman Sachs. Dove questo giovanegenio degli algoritmi e dei modelli quantitativi vienenotato da un grande capo della banca, Robert Rubin,che fa parte della cerchia dei “partner”. Rubin mettel’abilità matematica di Gensler al servizio del tra-ding, pura finanza speculativa, che tra la fine deglianni Ottanta e il decennio successivo registra unboom spettacolare. Nel frattempo il fratello gemellodi Gensler, Robert, segue un percorso di carrieramolto simile fino a diventare top manager di un fon-do d’investimento. Dopo diciott’anni alla GoldmanSachs, Gary Gensler viene chiamato sempre da Ru-bin a un altro incarico. Da New York a Washington.Dalla finanza al governo. Rubin è diventato segreta-rio al Tesoro di Bill Clinton, con Larry Summers co-

FEDERICO RAMPINI

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■ 29DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

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me vice. Insieme con il banchiere centrale AlanGreenspan, Rubin e Summers governano l’econo-mia americana nell’ultima Età dell’Oro. Negli anniNovanta, durante i due mandati presidenziali diClinton, la crescita genera 25 milioni di posti lavoro,gli Stati Uniti raggiungono la piena occupazione, laNew Economy consacra la prima rivoluzione di In-ternet, il Nasdaq sale alle stelle. Il trionfo viene cele-brato nel 1999 da una copertina di Time che ritraeGreenspan, Rubin e Summers come «il comitato persalvare il mondo». Ma in quello stesso periodo aureosi dipana una storia molto diversa, di cui Gensler èprotagonista. Rubin lo ha chiamato al Tesoro affi-dandogli la riforma dei mercati finanziari. Sotto unapresidenza democratica, il neoliberismo è tuttavia ilpensiero unico. Quella riforma completa e porta fi-no alle estreme conseguenze una deregulation cheera iniziata negli anni Settanta su proposta di MiltonFriedman, premio Nobel dell’economia e guru del-la destra liberista. Quando Summers succede a Ru-bin, conduce in porto l’approvazione al Congressodel Commodity Futures Modernization Act, al qua-le Gensler ha dato un contributo determinante. È ilvia libera per le operazioni speculative più selvagge.Molti scandali e crac successivi, dalla Enron fino aimutui subprime, hanno sullo sfondo la deregulationdi quell’epoca. Il merito di Gensler, è quello di am-metterlo. A differenza dei suoi due capi di allora, Ru-

bin e Summers, lui ha fatto una vera autocritica.«Quelli di noi che ebbero delle responsabilità neglianni Novanta — ha dichiarato a Time — avrebberodovuto agire diversamente, per regolare il mercatodei derivati». Il suo pentimento lo ha messo perfinoin rotta di collisione con il gemello Robert. Nel suo li-bro La grande trappola dei fondi comuni d’investi-mento, Gary attacca duramente proprio i gestori delrisparmio come suo fratello.

Il pentimento di Gensler è stato seguito da un’e-spiazione molto attiva. Al vertice della Cftc, ha avutoun ruolo cruciale proprio per smascherare il piùgrande scandalo del 2012, la manipolazione del Li-bor. Una vicenda di enorme importanza per le rica-dute su centinaia di milioni di risparmiatori e con-sumatori. Il Libor e i suoi consanguinei (Euribor, Ti-bor) sono dei tassi di riferimento, il cui andamentoguida tanti altri rendimenti: gli interessi applicatidalle banche sui mutui casa, il credito al consumo, ipagamenti rateali sulle automobili, in America il dif-fusissimo prestito d’onore per gli studenti universi-tari. Il Libor viene usato come riferimento per pre-stiti pari a diecimila miliardi di dollari, e contratti suiderivati che ne valgono 350 mila. Che ci fosse qual-cosa di strano nei movimenti del Libor lo s’intuì giànel 2008, perché in pieno panico sui mercati quel tas-so non rifletteva adeguatamente gli sbalzi di fiducia.Il governatore della Bank of England, Mervyn King,

accennò ai suoi sospetti cinque anni fa. Ma nessunaauthority osò andare a vedere. Finché Gensler miseal lavoro i segugi della Cftc, sequestrando migliaia diemail da cui vennero le prove di una congiura crimi-nale internazionale. Dalla Citigroup alla Ubs svizze-ra, i più grandi nomi della finanza sono finiti nella re-te di Gensler.

Barack Obama, che nella campagna elettorale del2008 aveva avuto dei consiglieri “divergenti” — Ru-bin da una parte e dall’altra l’integerrimo nemicodella finanza speculativa Paul Volcker — ha finitoper ascoltare molto Gensler nella riforma dei mer-cati. Le nuove regole (la legge Dodd-Frank) impon-gono a gruppi come Goldman Sachs di rimpiccioli-re i propri investimenti di rischio dal 37 al 3 per cen-to dei fondi. Ma le regole sono fatte per calpestarle.La finanza speculativa è tornata al lavoro. È di ieril’allarme della Federal Reserve di New York per unanuova “bolla” dei junk-bond, titoli-spazzatura ad al-to rendimento e alto rischio. Un personaggio di altoprofilo che aveva perso il posto per le indagini diGensler è l’ex capo della banca Barclays, Bob Dia-mond, coinvolto nello scandalo Libor. Ora Diamondsta inaugurando una sua nuova società finanziaria,nel cuore di Wall Street. Per Gensler una cosa è cer-ta: il lavoro di un poliziotto come lui è la fatica di Si-sifo, non avrà mai fine.

MONEY COPIl “poliziottodei soldi”,così è statosoprannominatoGary Gensler(nella fotoa colori)Cinquantaseianni, Genslerha lavoratoper quasiun ventennioalla GoldmanSachsNelle immaginiin bianco e nerola zonadi Wall Streeta Manhattan

GLI SCANDALIENRONNel 2001 la sestamultinazionaled’America, attivanel settore dell’energia,fallisce dopo la scopertadi miliardi di debitie buchi di bilancionascostinei paradisi fiscali

WORLDCOMIl colosso Usadelle telecomunicazionifinisce in bancarottanel 2002 quandoemerge come i suoiconti siano truccati,con la metodicasovrastimadelle entrate

LEHMAN BROTHERSLa madre di tuttigli scandali UsaLa banca d’affariè fallita nel settembredel 2008, travoltada miliardi di dollaridi perditelegate alla crisidei mutui subprime

BERNARD MADOFFArrestato nel 2008con l’accusadi aver creatouna sorta di catenadi Sant’Antonio(Ponzi scheme)Dopo l’arresto è statotrovato un bucoda 50 miliardi

EURIBORScoppia nel 2012e travolge diversebanche, accusatedi aver manipolatol’andamento dei tassidi riferimento per ottenereguadagni illeciticol loro portafogliod’investimento

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LA DOMENICA■ 30DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

John e Mary vissero più o meno felici e contenti. Questo è il finaleMa è sempre l’inizio la parte più interessante di ogni storia,con tutti i successivi intrecci: tradimenti, disgrazie, tragedieLa scrittrice canadese, nel testo ineditoche qui anticipiamo, si diverte a smontarnei pezzi suggerendo le possibili trame: A, B, C...

Il raccontoScene da un matrimonio

MARGARETATWOOD

IL LIBROIl racconto di Margaret Atwoodche anticipiamo in queste pagineè tratto dal libro E vissero felici e contentiRacconti di matrimonio a cura di Francesca Frigerio (Einaudi, 440 pagine, 16 euro) Sarà in libreria da martedì 12 febbraio

John e Mary si innamorano e si spo-

sano.Hanno entrambi un lavoro gra-

tificante e ben remunerato che trova-

no stimolante e interessante. Com-

prano una bella casa.

Il mercato immobiliare inizia a cre-

scere. Appena possono permettersi

un aiuto fisso hanno due figli, che

amano te-neramente. I bambini cre-

scono bene. John e Mary hanno una

vita sessuale stimolante e gratifican-

te e buoni amici. Fanno vacanze di-

vertenti. Vanno in pensione. Hanno

entrambi hobby che trovano stimo-

lanti e interessanti. A un certo punto

muoiono. Fine della storia.

Mary si innamora di John, ma John nonsi innamora di Mary. Usa il corpo di leiper puro piacere e come blanda gratifi-cazione del proprio ego. Va da lei due vol-te alla settimana e lei gli prepara la cena,notare che lui non la considera nemme-no degna di una cena fuori, e dopo avercenato la scopa e poi si addormenta, in-tanto lei lava i piatti in modo che lui nonpensi che è disordinata, con tutti queipiatti sporchi in giro, e si rimette il ros-setto per avere un bell’aspetto quandolui si sveglia, ma quando lui si sveglia nonse ne accorge nemmeno, si infila le calze,i boxer, i pantaloni, la camicia, la cravat-ta e le scarpe, nell’ordine inverso rispet-to a come se li era levati. Non toglie i ve-stiti a Mary, che si sveste da sola e si com-porta come se morisse dalla voglia di far-lo, non perché il sesso le piace, tutt’altro,ma vuole farlo credere a John perché, selo fanno abbastanza spesso, di sicuro luisi abituerà a lei, finirà per dipendere dalei e si sposeranno, ma John esce dallaporta dandole a malapena la buonanot-te e tre giorni dopo alle sei riappare, e ri-fanno tutto da capo.

A Mary viene un esaurimento. Piange-re non fa bene al viso, lo sanno tutti e lo saanche Mary, ma non può farne a meno. Allavoro se ne accorgono. Gli amici le dico-no che John è un verme, un maiale, unacarogna, che non vale abbastanza per lei,ma lei non li ascolta. Dentro John, pensa,c’è un altro John, migliore di questo.

Quest’altro John emergerà comeuna farfalla dal bozzolo, come il pu-pazzo a molla dalla scatola, come ilnocciolo dalla prugna secca, bastasolo spremere il primo John al puntogiusto.

Una sera John si lamenta del cibo.Non si era mai lamentato della cuci-na di Mary prima. Lei ci resta male.

Gli amici le dicono di averlo visto inun ristorante con un’altra, una certaMadge. Alla fine non è neanche Mad-ge a dare sui nervi a Mary: è il risto-rante. John non ha mai portato Mary

al ristorante. Mary raduna tutti isonniferi e le aspirine che riescea trovare, e li prende insieme amezza bottiglia di sherry. Sicapisce che genere di donnasia dal fatto che non è nemme-no whisky. Spera che lui la trovi e la portiall’ospedale in tempo e si penta e

possano sposarsi, ma non succedeniente di tutto questo e lei muore.John sposa Madge e tutto continuacome in A.

MARGARET ATWOOD

John e Mary si incontrano.Cosa succede dopo?Se vuoi un lieto fine,vai alla A.

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La distruzione di un amore

Page 7: DI REPUBBLICA DOMENICA FEBBRAIO NUMERO 414 CULTdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2013/10022013.pdf · raccontato Arturo, l autista, che si pre-cipitava nello studio ogni volta che

■ 31DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

Margaret Atwood è scrittrice versatile che pratica con eleganza i piùdiversi generi: romanzi, racconti, saggi. Ed è una donna riflessivae spiritosa. E in questa storia — se così si può chiamare; o, perché

no?, in questo apologo, scherzo, divertissement — si diverte a trascinarenoi lettori nel processo compositivo; ci invita a giocare con lei, nella con-sapevolezza che, da che mondo è mondo, scrivere è sempre stato ancheun gioco, con le sue regole.

Del resto, la materia di cui è fatto il racconto, e cioè la lingua, le regolele impone. E l’arte della scrittura, da sempre è stata anche un mestiere,con un sottofondo sperimentale, e l’artista della penna, oltre che uncreatore, un artigiano. Quando il romanzo moderno nacque — e, comesi sa, al suo inizio la lingua in cui si espresse era l’inglese — qualcuno parlòdi mongrel form: una forma informe, un monstrumsenza più leggi di lun-ghezza, con a protagonista gente comune, anonima, e una libertà, un’a-pertura democratica, che apparve al tempo quasi una licenza, di narra-re storie niente affatto eroiche, ma banali. Senonché, bastarono pochisecoli ed ecco un romanziere sublime come Henry James riconoscere,alla fine dell’Ottocento, che l’arte del romanzo ha le sue leggi indiscus-se. Il suo dispositivo.

Quanto a Margaret Atwood, istruita nella medesima cultura all’artedella fiction, ci invita a pensare il racconto non tanto come un organi-smo, ma come un meccanismo. Ovvero, come una macchina che si co-struisce pezzo a pezzo, e di questi pezzi parti essenziali sono l’inizio, lafine, l’intreccio e gli snodi della trama. Ecco allora i vari casi: in A il lietofine è assicurato, ma che noia! Dov’è il sale della vicenda? È chiaro chel’interesse del racconto nasce dalla complicazione. In B la complica-zione produce una storia crudele, ma banale. In C l’esito è drammatico,vagamente horror. E così via…

L’ironia è che, per quanto complesso possa risultare l’intreccio, la fic-tion non può che fingere la vita vera, simulare il suo andamento; e allorasì, certo, «l’unico finale autentico» è che John e Mary — come tutti gli uo-mini e le donne che nell’anonimato dei loro nomi rappresentano —muoiono. L’inizio e la fine di ogni storia si ripetono uguali: si nasce, simuore. E quello che conta — il senso — non sta né all’inizio né alla fine,ma nel mezzo. Per l’appunto, nel racconto.

Tutte le regole del giocosulle strade del lieto fine

NADIA FUSINI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ché un impegno è un impegno. Tornacontinuamente su questa cosa, più delnecessario, e Mary lo trova noioso, magli uomini di una certa età sono ripetiti-vi, e nel complesso Mary non se la passacosì male con lui.Un giorno James si presenta sulla suamoto con della roba californiana di pri-ma qualità, e James e Mary fumano al-l’inverosimile, e con qualche difficoltàarrivano al letto. Tutto si fa molto confu-so, ma sopraggiunge John, che ha lechiavi dell’appartamento di Mary. Litrova completamente fatti e avvinghia-ti. Non è esattamente nella condizionedi essere geloso, considerata Madge, maviene comunque travolto dalla dispera-zione. Alla fine è un uomo di mezza età,tra due anni avrà la testa liscia come unuovo e non può sopportarlo. Comprauna pistola, dicendo che ne ha bisognoper esercitarsi nel tiro al bersaglio —questa è la parte più debole della trama,ma ce ne possiamo occupare dopo — espara a quei due e poi a se stesso.Madge, dopo un adeguato periodo dilutto, si sposa con un uomo compren-sivo di nome Fred e tutto continua co-me in A, ma con nomi diversi.

Fred e Madge non hanno problemi.Vanno perfettamente d’accordo e sonobravi a superare quelle piccole difficoltàche possono sorgere in ogni rapporto.La loro bella casa però è in riva al mare eun giorno arriva un gigantesco mare-moto. Il mercato immobiliare crolla. Ilresto della storia racconta le cause delmaremoto, e in che modo i due riesconoa scappare. Fred e Madge ce la fanno, male vittime sono migliaia. Parte della sto-ria racconta come annegano le vittime,ma Fred e Madge sono persone perbenee fortunate. Finalmente al sicuro, sistringono l’uno all’altra, bagnati e goc-ciolanti e grati, e continuano come in A.

Sì, ma Fred ha problemi di cuore. Il re-

sto della storia racconta di come en-

trambi siano buoni e comprensivi fi-

no alla morte di Fred. A quel punto

Madge si dedica al volontariato fino

alla fine di A. Se vi piace, potete met-

terci «Madge», «cancro», «in colpa e

confusi», e «bird watching».

Se pensate che sia tutto troppo bor-

ghese, fate di John un rivoluzionario

e di Mary un’agente del controspio-

naggio, e vedete dove riuscite ad arri-

vare così. Ricordatevi, siamo in Ca-

nada. Vi ritroverete comunque in a,

anche se nel frattempo potreste met-

tere insieme una saga appassionante

tutta sesso e azione, una cronaca dei

nostri tempi, per così dire.

Dovete rassegnarvi, i finali sono gli

stessi in qualsiasi modo li giriate. Non

fatevi illusioni, sono tutti ingannevoli,

o perché lo sono deliberatamente, con

l’intenzione premeditata di trarvi in

inganno, o perché sono motivati da un

eccesso di ottimismo, quando non da

uno smaccato sentimentalismo.

L’unico finale autentico è questo:

John e Mary muoiono. John e Mary

muoiono. John e Mary muoiono. Que-

sto per quel che riguarda i finali. Gli ini-

zi sono sempre più divertenti. Tutta-

via, è noto che ai veri intenditori piace

la parte che sta in mezzo, perché è la

più difficile da gestire. Questo è più o

meno tutto quel che si può dire delle

trame, che poi sono soltanto un fatto

dietro l’altro, un Cosa e un Cosa e un

Cosa.Ora provate con Come e Perché.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

John, che è un uomo di mezza età, si in-

namora di Mary, e Mary, che ha solo

ventidue anni, è dispiaciuta per lui

perché è preoccupato per la caduta dei

capelli. Va a letto con lui anche se non

lo ama. L’ha conosciuto al lavoro. È in-

namorata di un tizio che si chiama Ja-

mes: anche lui ha ventidue anni e non

è ancora pronto per sistemarsi. John,

al contrario, si è sistemato molto tem-

po fa: è questo che gli dà fastidio. John

ha un lavoro fisso e rispettabile, e si sta

facendo strada nel suo campo, ma la

cosa non fa colpo su Mary; lei è colpita

da James, che ha una moto e una colle-

zione di dischi favolosa. Ma James va

spesso via in moto, è uno spirito libero.

La libertà non ha lo stesso valore per le

ragazze, così, nel frattempo, Mary pas-

sa tutti giovedì sera con John. Il giovedì

è l’unico giorno in cui John riesce a li-

berarsi.

John è sposato con una donna che si

chiama Madge: hanno due figli, una

bella casa comprata appena prima che

i prezzi del mercato immobiliare co-

minciassero a salire, e hobby che trova-

no stimolanti e interessanti, quando ne

hanno il tempo. John dice a Mary quan-

to lei sia importante per lui, ma ovvia-

mente non può lasciare la moglie per-

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LA DOMENICA■ 32DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

Negli anni Sessanta tradurre branistranieri per il mercato italiano era un’esigenza

Anche oggi riproporre le hit altrui è un filone di grande successo,ma gli artisti preferiscono ispirarsi

solo al gruppo del cuore. Aspettando di riceverne la benedizione ufficiale

NEVERMIND / NIRVANASound esplosivo e caricaadrenalinica: la tribute band italianadei Nirvana nasce a Roma nel 1992

Le canzoni degli altri

THE RUBBERSOUL /THE BEATLESIl nome rendeomaggioall’albumche segnail passaggioalla fase maturadei BeatlesLa band nascea Cosenzanel 2006

CANI ESCLUSI /RINO GAETANOLa band fiorentinaproponeuna rivisitazionein chiave modernae personaledi Rino Gaetano

ASILO REPUBLIC / VASCONascono nel 1997 per rendereomaggio a Vasco Rossi: dai primi successi ai più recenti

SpettacoliCorsi e ricorsi

«Quel che conta sono le canzoni, le cover diventano nobili quando ti sforzi nel riarran-giarle» dice Giuliano Palma, uno che da diciassette anni riempie i club italiani con i suoi BlueBeaters, proponendo un repertorio di brani altrui «ma interpretati in chiave ska e rocksteady, sul modello delle orchestre giamaicane degli anni Cinquanta». Quattro album emigliaia di concerti, riportando al successo pezzi come Wonderful Life del britannicoBlack (l’originale è del 1985) e soprattutto attraversando i classici italiani: da Che co-

sa c’è di Gino Paoli (1963) e Tutta mia la città dell’Equipe 84 che nel 1969 l’aveva a sua volta ricavata, con untesto di Mogol, da Blackberry Way dei Move.

Perché a parlare di “canzoni degli altri” si finisce per guardarsi indietro, fin dentro gli anni Sessanta eSettanta, quando i protagonisti del beat italiano attingevano a piene mani dal repertorio inglese e ame-

ricano traducendo e interpretando brani, spesso senza che il pubblico ne fosse nemmeno a conoscen-za. Molteplici gli esempi: da Scende la pioggia di Morandi (1968, l’originale era Elenore dei Turtles), So-

gnando California dei Dik Dik (cover del 1966 di California Dreamin dei Mamas & Papas) o Sono bu-giarda di Caterina Caselli (1967, da I’m a Believer scritta da Neil Diamond per i Monkees) fino al leggen-

dario repertorio dell’Equipe 84, di Maurizio Vandelli. Esempi nobili di un’epoca che ricostruiva suonie melodie adattandoli alla lingua e al pubblico, oltre che all’attualità del tempo, determinando così un’i-dea italiana del pop.

Ora invece Giuliano Palma e i Blue Beaters sono l’eccezione che conferma un’altra regola. Quella diun fenomeno, nato a metà degli anni Ottanta in Australia e diffusosi poi ovunque nel mondo, in cui simischiano cover band — che suonano pezzi di più gruppi e finanche generi — e tribute band, dedicatea un singolo artista. Come nel caso dei Merqury, band tributo ai Queen con tanto di scenografia («Ci vuo-le un giorno per montarla») e cura maniacale per i dettagli, dagli arrangiamenti ai costumi: «Sono appe-na riuscito a trovare una fibbia 6x4 uguale a quella della giacca gialla che Freddy indossò per il concerto diWembley», ci informa il cantante Ferdinando, somiglianza impressionante con Mercury. «La natura miha dato una grossa responsabilità», scherza. «Con i Merqury abbiamo iniziato un anno dopo la morte diFreddy, ma io ho conosciuto sua madre e sua sorella, oltre agli altri componenti dei Queen». Roba seria,quella della Merqury Band: «Cento concerti all’anno, più o meno. E ogni volta che saliamo sul palco ci sen-tiamo davvero i Queen».

Ma quante sono le tribute band in Italia? «Nessuno le conta, si parla però di migliaia», spiega Fulvio De Ro-sa, socio fondatore e direttore artistico del Live di Trezzo sull’Adda, dove almeno metà della programmazioneè dedicata alle canzoni degli altri. «Tra le nostre proposte ci sono i tributi a Vasco, Ligabue, U2 e Michael Jack-son. Di quest’ultimo i migliori nella riproduzione sono gli Smooth Criminal. Ma il gruppo che mi ha colpito di più

MARCO MATHIEU

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la Repubblica

TOP TEN1. Sognando California (Dik Dik ,1966)da California Dremin’ (Mamas & Papas)2. Ragazzo triste (Patty Pravo, 1966)da But You’re Mine (Sonny & Cher)3. Sono bugiarda (Caterina Caselli,1967) da I’m a Believer (Neil Diamond)4. L’ora dell’amore (Camaleonti, 1967)da Hamburg (Procol Harum)5. È la pioggia che va (Rokes, 1967)da Remember The Rains (Bob Lind)6. A chi (Fausto Leali, 1967) da Hurt (Timi Yuro)7. Scende la pioggia (Gianni Morandi,1968) da Elenore (Turtles)8. Tutta mia la città (Equipe 84, 1969)da Blackberry Way (Move)9. Pensiero d’amore (Mal e i Primitives,1969) da I Got To Get A Message To You (Bee Gees)10. Soli si muore (Patrick Samson,1969) da Crimson and Clover(Tommy James and the Shondells)

è la Spleen Orchestra, che si ispira a Tim Burton: cambi d’abito, proiezioni di spezzoni di film, le voci narrantidi due attori sul palco insieme ai musicisti. Il pubblico vive l’esperienza in modo speciale». Forse perché «piùche una cover band questo è un omaggio cinematografico», come rivendica il manager della Spleen Orchestra,Norberto Ambrosiano. «Il nostro pubblico è vario: tanti dark e gothic, ma ora suoniamo anche nei teatri e nei club».Altra eccezione, dunque, della regola di un fenomeno che raccoglie sempre più attenzione da un pubblico che DeRosa definisce «trasversale, da intrattenimento». Si va dalla nostalgia pura («Per le esibizioni tributo a Led Zeppeline Genesis mettiamo tavoli e sedie in sala, perché quelli che vengono a vederli erano ragazzi negli anni Sessanta e Set-tanta») alla ricerca della perfezione («La migliore band tributo ai Pink Floyd riproduce i loro dischi in maniera così fe-

dele da inserire anche gli errori...»), tra cantautori (Dalla e Rino Gaetano i più gettonati) e hard-rock: Guns’n’Roses,Metallica, AcDc soprattutto. E c’è anche la versione italiana degli Aerosmith. Ovvero, i romani Big Ones. «Abbiamo

sviluppato un nostro repertorio e siamo diventati la prima tribute band al mondo a ottenere un contratto con unamajor», racconta Renzo, cantante e sosia dell’originale (Steven Tyler) che nega il rischio di diventare monotoni nel

replicare all’infinito il repertorio di altri. «Non scimmiottiamo gli Aerosmith, li rispettiamo. E li abbiamo incon-trati un paio di volte, finché tre anni fa ci hanno riconosciuti ufficialmente».

Perché c’è anche questo nella vita e nelle storie delle tribute band. Il riconoscimento da parte degli originali.Che poi magari scelgono il gruppo a loro dedicato per attività promozionali, come nel caso degli U2 con gli ita-liani Achtung Babies. Talvolta invece il «titolo» resta vacante. Vasco Rossi, per esempio: «Sono almeno un centi-naio le band a lui dedicate», rivela Gabriele, tastierista e voce, dal 1997, degli Asilo Republic. «Vasco non ha maiufficializzato nessuno, ci ha premiato nel concorso del tour di Stupido Hotel e sappiamo di essere i migliori, il re-sto non conta». Bastano i concerti, «ma siamo passati da 150 date a 70 all’anno, per colpa della crisi». E allora me-no male che c’è un altro lavoro: incastonatore di pietre preziose, nel caso di Gabriele, mentre il chitarrista inse-gna a scuola. «Ci muove la passione per la musica e in Italia questa è l’unica maniera di suonare in giro, non c’èmercato, a meno che tu non passi da X Factor».

Eccolo, il talent show che ha fatto registrare il successo della musica in tv, trasformando la «coverizzazione» inmetodo di valutazione. In una delle puntate di maggior successo dell’ultima stagione si sono esibiti i Club Dogo,formazione hiphop che la scorsa estate ha conquistato le classifiche con il brano-tormentone, Pes, in realtà la ri-proposizione della canzone di una band greca, impreziosita dalla voce di Giuliano Palma. Lui ora è ospite fisso diZelig Circus in tv (ovviamente cantando cover, tra cui la sigla che è una versione rockabilly di Demasiado Corazon di

Willie De Ville), ma sta preparando un nuovo album da solista: «Tutti pezzi originali, ma non posso negare che le co-ver fatte in questi anni mi abbiano influenzato». E, a proposito di canzoni degli altri, e di soddisfazioni, ricorda i com-

plimenti di Paolo Conte per Messico e nuvole e quelli di Iva Zanicchi, per Testarda io. Ma soprattutto «quella volta cheè salito sul palco Peppino Gagliardi per cantare con me Come le violeche lui aveva presentato a Sanremo nel 1972». Cin-

quantuno anni fa, e sembra oggi.

ACHTUNG BABIES / U2Primi al mondo a creareun tributo agli U2, con migliaiadi concerti in Italia e all’estero

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’60

GIULIANO PALMA& THE BLUE BEATERS / EQUIPE 84Tra i loro successiTutta mia la città degli Equipe 84

MERQURY / THE QUEENDa oltre dieci anni sui palchid’Italia e d’Europa,la cover band dei Queen

SMOOTH CRIMINAL /MICHAEL JACKSONLa tribute band di Roy Paladinisosia fisico e vocaledi Michael Jackson

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Il problema più grande per un musici-sta è il bisogno continuo di ascoltaremusica e ancora musica. Quella è la

sua droga, cibo per il suo cervello. Proba-bilmente non sa risolvere divisioni, som-me o sottrazioni, ma è nato per decifrareun complicato intreccio matematico diarmonie e melodie che gli provocanosensazioni meravigliose che nemmenoriesce a descrivere a chi musicista non è.

Nutrirsi di musica negli anni Sessantaera facilissimo, era ovunque. Sgorgavadai jukebox, dalle radio veramente-liberecome Radio Luxemburg, Radio Carolina,Radio Veronica, con i primi deejay chetrasmettevano le canzoni che più amava-no, e non perché obbligati da sponsor. Isedici anni dei ragazzi di allora venivanofesteggiati con un fiammante giradischiportatile: la “fonovaligia” Lesa. I 45 giri, aun prezzo più che accessibile, comincia-vano a riempire i primi negozi di dischi.Nascevano i primi gruppi e io con loro. Re-gistravo di notte i successi che arrivavanoin onde medie direttamente dall’Inghil-terra e dall’America. Ascoltavo artisti sco-nosciuti che poi sarebbero diventati fa-mosi. Chi aveva composto quella musica?Chi lo sa! Poco importava. Sceglievo quel-la che mi colpiva di più, la imparavo con lachitarra, scrivevo un testo in italiano, laarrangiavo fino a farla mia, la eseguivocon il resto del gruppo in pubblico. Eradifficile sbagliare, era sempre un succes-so. Qui in Italia nessun compositore sa-rebbe stato ancora in grado di scrivere co-se come quelle. Ci provai io. I testi e le pri-me canzoni che tentai di comporre me lefirmò il “discografico” convincendomiche sarebbe stato impossibile per me pas-sare l’esame della Siae e che “eventual-mente” mi avrebbe girato gli introiti.Eventualmente? Soldi? Mai visto un cen-tesimo. E così, un po’ per trauma e un po’perché, da buon talent-scout, sapevo lo-calizzare nella mischia le canzoni cheavrebbero potuto avere successo in Italia,continuai a cercare i “miei” compositorinelle radio che trasmettevano da così lon-tano. Mi consolo al pensiero di Elvis Pre-sley che cantò centinaia di cover, oltre al-la maggior parte degli artisti tra i quali an-che gli stessi Beatles (Anna, A Taste of Ho-ney ecc). Barry McGuire addirittura, a cuitutti attribuiscono l’originale di Io ho inmente te (You Were on My Mind) mi con-fermò, quando lo conobbi che, anche nelsuo caso, quella canzone era una cover.Fu infatti incisa dall’autrice Sylvia Frickerinsieme al marito col nome di “Ian & Syl-via” nel 1964. Ancora qualcuno si chiede:perché le cover? Perché negli anni Ses-santa, in quel passaggio generazionale dimusica e costume, tra il bel canto di Clau-dio Villa e il Beat, a scrivere pezzi buoni pernoi non c’era anima viva. E tutto questodurò per molto tempo, fino a quando ungiorno incontrai un ragazzo che avevascritto talmente tante canzoni che nonfeci in tempo ad ascoltarle tutte e che, seben ricordo, si chiamava Lucio Battisti…

(leader degli Equipe 84)

Noi, incollati alla radioMAURIZIO VANDELLI

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LA DOMENICA■ 34DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

NextConnessi

La quarta generazione di comunicazione mobile consentirà ai nostri tablete smartphone di scaricare video, giornali o foto dieci volte più rapidamente di oggi. Ma la vera rivoluzione arriverà col 5G: prossima tappa, neanche troppo lontana

Siamo arrivati alla quartagenerazione delle comu-nicazioni mobili, delle tec-nologie senza fili che han-no contribuito in manieradeterminante a cambiare

la nostra vita. E che con l’avvento del4G la cambieranno ancora. Come?Con la velocità dei collegamenti che seoggi vanno dai 2Mbps ai 20 dell’Adsl edai 2 ai 14.4 Mbps del 3G (cioè la tec-nologia che funziona oggi nella mag-gioranza dei nostri smartphone), do-mani arriveranno ai 100 Mbps in mo-vimento e 1 Gbps da fermi del 4G. Tut-to quello che facciamo in casa o in uffi-cio con i nostri computer o devicemo-bili (guardare video facilmente,giocare online, usare i servizicloud...) sarà possibile anchementre siamo in strada. Saràpossibile ovunque. Scaricareun quotidiano o un librosarà immediato, vedereun filmato su YouTubeavverrà senza soste, iltrasferimento di fo-to o file di grandidimensioni ciporterà via po-chi secondi,navigare inRete saràu n ’ e -s p e -

Il futuro è già iniziato, non solo negliUsa o in Asia, ma anche in Italia, dove iquattro operatori mobili (Tim, Vo-dafone, Wind e 3) hanno già presenta-to le loro offerte ai consumatori, seb-bene la copertura del territorio sia so-lo all’inizio e sia concentrata soprat-tutto sulle grandi città, e solo su alcunefrequenze di trasmissione. Ma il pas-saggio al 4G è cominciato e chi ha unosmartphone o un tablet di ultima ge-nerazione può già utilizzare i servizibroadband disponibili, facendo l’ag-giornamento software necessario allaricezione dei nuovi segnali.

Gli standard leader del mercato so-

ERNESTO ASSANTE

Navigandoalla velocitàdel pensiero

rienza immediata e fluida, consenten-doci di essere connessi al web in ognimomento e dovunque, con la stessaqualità, anzi con maggiore velocità,del collegamento casalingo. Insom-ma, il mondo connesso dal 4G sarà di-verso da quello odierno, con terminaliche diventeranno sempre di più dellepostazioni connesse e sempre menodei telefoni cellulari. Perché il 4G nonsignifica soltanto velocità, ma anche lapossibilità di accedere da qualsiasi po-sto a un’immensa quantità di dati. E,siccome milioni di consumatori guar-deranno video, aggiorneranno socialnetwork, effettueranno transazioni fi-nanziarie, giocheranno, scaricheran-no film, vedranno programmi tv, leg-geranno giornali o libri, ascolterannomusica in movimento, il 4G finirà nonsolo per cambiare il modello di busi-ness degli operatori (che diventeran-no sempre più simili a Internet provi-der), ma porterà alla nascita di conte-nuti nuovi, pensati ad hoc per questotipo di collegamenti e per le macchinein grado di utilizzarli: applicazionimultimediali che oggi sono impensa-bili o strumenti di lavoro che attual-mente sono disponibili soltanto per icomputer più potenti da tavolo, spo-stando sulle “nuvole”, vale a dire sui si-stemi cloud, tutti i nostri archivi, sem-pre e immediatamente accessibili inmodo rapido.

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■ 35DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

un’altra mentre l’utente si spostava. I sistemi di prima generazione, 1G,

analogici, furono inaugurati nel 1981in Scandinavia e resistettero ben die-ci anni, fino all’avvento del 2G, che se-gnava il passaggio al digitale e al pri-mo ampliamento di servizi, dato cheil 2G, pur lentamente e limitatamen-te, consentiva la trasmissione e la ri-cezione dei dati. Iniziò il successo de-gli sms, ma i telefoni erano ancora te-lefoni e la loro funzione principale re-stava quella: le chiamate vocali deter-minavano il mercato. È con il 3G chele cose cambiano in maniera radicale:la velocità dei collegamenti cresce, ilsistema di trasmissione a pacchettiper i dati, accanto al tradizionale si-stema vocale per le chiamate, con-sente la nascita degli smartphone,che fanno molte altre cose e non sonopiù solo telefoni. Con il 4G le cosecambieranno anche per le chiamatevocali, che diventano completamen-te digitali: tutte le comunicazioni sa-ranno gestite come dati.

Inizia ora un percorso nuovo, che ciporterà vero il 5G, ovvero l’Imt-Advan-ced, la prossima tecnologia mobile ba-sata sul WiMax e l’Lte odierni ma ingrado di aumentare in maniera espo-nenziale la velocità di trasmissione, ol-tre il muro dei 100 megabit, offrendoinoltre meno congestione nelle reti esoprattutto la possibilità di creare ser-vizi oggi letteralmente inimmaginabi-li. Possibilità innovative, sia per le ap-plicazioni di “realtà aumentata”, co-me gli occhiali che permettono di ve-dere immagini e dati al tempo stesso,sia per l’interazione di comunicazionidifferenti sullo stesso terminale. Arri-vando agli estremi, tutto ciò potrà ac-cadere quasi alla velocità del pensiero,come immaginano i futurologi comeDerrick De Kerckhove. Impossibile?Mica tanto, se si pensa che il 4G arrivasolo quattro anni dopo il 3G...

È l’acronimodi Long Term Evolution:la più recente evoluzionedegli standard di telefoniamobile cellulare

LTE

Worldwide Interoperabilityfor Microwave Access:lo standard di trasmissioneper le telecomunicazionisenza fili a banda larga

WIMAX

Accesso senza fili a largabanda: ovvero le tecnologieche forniscono accessoa Internet ad alta velocitàsenza fili su grandi aree

BROADBAND WIRELESS CELLA MBPS

GLO

SSA

RIO

In telecomunicazioni una cellaradio è lo spazio più piccolocoperto da un segnaledi una rete radio usata perla telefonia mobile cellulare

Acronimo di Megabitper secondo: l’unità di misurache indica la capacità (quindila velocità) di trasmissionedei dati su una rete informatica

SupervelociSi può immaginare che un giornobasterà pensare una cosaper vederla materializzarsiimmediatamente sullo schermoDerrick De KerckhoveMassmediologo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

no due, il WiMax (Worldwide Intero-perability for Microwave Access) e l’L-te (Long Term Evolution), e per en-trambi l’Itu (International Telecom-munication Union), l’organizzazionedelle Nazioni Unite che si occupa diinformazione e comunicazioni, ha au-torizzato la definizione di 4G, ovvero ditecnologie mobili di quarta generazio-ne. L’Itu ha “battezzato” ogni nuovatecnologia nel corso degli anni, in unlungo percorso che è partito, ovvia-mente, dalle comunicazioni esclusi-vamente vocali. Nei primi anni Set-tanta furono i Bell Laboratories adaprire la strada alla telefonia mobile,creando una serie di celle, dotate ditrasmettitori e ricevitori, capaci ditrasferire le chiamate da una cella aIN

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

È democratica e popolare, apprezzata dai nutrizionistie tollerata dai dietologi. E poi è buona sia d’invernoche d’estate, appena fatta oppure avanzata.Resta solo da decidere se farla secondo tradizione (veneta o campana?) o sperimentazione (meglio “compressa” o con le cozze?)

I saporiForti

Pasta&

Fasoiofasuletutta l’Italiain un piatto

LICIA GRANELLO

Dicono sia il piatto geopoliticoper eccellenza, capace di uni-re nord e sud, Toscana rossa eVeneto leghista. Ma anche ilpiù trasversale per cultura cu-linaria e accessibilità econo-

mica: in fondo, un piatto di pasta e fagioli co-sta poco più di niente. E poi la stagionalità:nulla di meglio per scaldare mani e stomacoche una scodella fumante di pasta e fagioli. Alcontrario, la versione fredda abita i menùestivi senza imbarazzi, né forzature.

Del resto, i due ingredienti base si declina-no entrambi da freschi o da secchi, senza ce-dere una sola virgola alla qualità. Nutriente,confortante, democratica, apprezzata dainutrizionisti e non scomunicata dai dietolo-gi, ricetta taylor made che non si smarrisce aplasmarla sui gusti di vegani o carnivori, faci-le da preparare e buona per il giorno dopo(anzi, più buona), così da trasformare unavanzo in piatto di prima fila. Insomma, unpiccolo tesoro alimentare, amatissimo dagrandi e piccini.

Difficile trovare un piatto-simbolo più effi-cace per illustrare la cucina ai tempi della cri-si. Il tandem cereali-legumi è vecchio di mi-gliaia d’anni, anche se fino alla scoperta del-l’America la pasta e fagioli made in Italy era inrealtà una pasta e fagiolina (o fagioli con l’oc-chio, appartenenti alla famiglia dei piselli).

I fagioli così come li conosciamo oggi arri-varono a bordo dei galeoni spagnoli, e inva-sero benignamente l’Europa a partire dal se-dicesimo secolo, legandosi per l’eternità aicarboidrati, pasta in primis, ma anche a risoe patate. A metà Cinquecento, un porporato

bellunese, Pierio Valeriano Bolzanio, sfruttòfelicemente il regalo di Papa Clemente VII,curioso di scoprire se i semi importati dalNuovo mondo potessero diffondersi in zonepiù fredde rispetto all’ospitale campagnaromana. Il Phaseolus vulgaris fece il suo de-butto sulle tavole venete pochi mesi più tar-di, dando origine ai primi esperimenti di pa-sta e fasoi.

La magìa dell’unione tra pasta e fagioli èmultipla. Intanto, i legumi rallentano l’assor-bimento della pasta, riducendo il rischio dipicchi glicemici, che avvertiamo come sensa-zione di fame. In più, i fagioli completano laquota di amminoacidi degli amidi e vantanoun carico calorico così basso (1 kcal per gram-mo) da concedere il lusso di un pugno di pa-sta perfino ai dannati della dieta. Certo, lo sta-tus di piatto salubre vacilla all’arricchirsi del-la ricetta-base con il grasso di maiale — lardo,pancetta, cotica — che irrobustisce molte va-rianti regionali. Impatto più gentile per il piat-to rimpolpato con cicoria di campo spadella-ta, memoria della cucina contadina laziale.

Se siete amanti del genere, il giro d’Italiadella pasta&fagioli riuscirà entusiasmante,dalla pasta chiusa di Vittorio Fusari (La Di-spensa di Torbiato, Brescia) a quella conemulsione di cozze di Francesco Sposito(Taverna Estia di Brusciano, Napoli). In casodi esibizione casalinga, associate spollichini— mini-fagioli tenerissimi — e mesca fran-cesca — pasta mista di Gragnano — per lapiù suadente pasta e fagioli dell’anno. L’os-so del prosciutto è un optional trasgressivoma buonissimo.

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fagioli

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■ 37DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

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Gli indirizzi

DOVE DORMIREANTICA CASA LE RONDINIVia Pierucci 21BuggianoTel. 0572-33313Doppia da 75 euro, colazione inclusa

VILLA SAN BASTIANO Piazza Castello 8Monsummano TermeTel. 0572-520097Doppia da 110 euro, colazione inclusa

I SETTE BORGHIVia Guglielmo Marconi 43 Località Massa e Cozzile Tel. 0572-30642Doppia da 60 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARETAVERNA DEL VIN VINOPiazza Del Bestiame 30BuggianoTel. 0572-33340Chiuso martedì, menù da 25 euro

ATMANVia Roma 4 PesciaTel. 0572-1903678Chiuso martedí, menù da 30 euro

LA VERANDA Via Grotta Giusti 1411 Monsummano TermeTel. 0572-90771Senza chiusura, menù da 45 euro

DOVE COMPRAREAZIENDA AGRICOLA ANTICA ROCCA Via della Rocca 2 Sorana Tel. 0572-407104

COOPERATIVA IL CASTAGNOVia della Seta 4San Quirico Tel. 366-7098487

PASTIFICIO MA. MI.Via Borgo della Vittoria 26 Pescia Tel. 0572-490078

LE RICETTE

Ingredienti e preparazioneLa mia pasta e fagioli è la compressione della mia vita gastronomica, dai primi passicon Alain Ducasse – che rappresento con una royale di cotiche, fagioli, ristretto di cappone e foie gras – alle esperienze con Ferran Adrià, ovvero aria di rosmarinoHo fatto la royale frullando gli ingredienti, setacciando il composto, arricchito con untuorlo, e passando in forno nei bicchierini per tre quarti d’ora a 90º. La pasta è sostituita da croste di parmigiano sottili bollite con i fagioli. Aggiungo radicchio e parmigiano e copro con una crema di fagioli borlotti,insaporiti in una brounoise di cipolla, carota, sedano e pancettascottata, poi cotti nel brodo di cappone e sfumati con un poco di Malvasia. Chiudo il bicchierino con il rosmarino frullato in acqua ghiacciata e montato grazie alla lecitina di soia

Ingredienti e preparazione ...I fagioli restano molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimolidella fame; ma... anche qui c’è un ma, come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte,scegliete fagioli di buccia fine o passateli. Per rendere la zuppa più grata al gusto e più saporita, fatele un soffritto in questa proporzione: prendete un quarto di cipolla, uno spicchio d’aglio,un pizzico di prezzemolo e un bel pezzo di sedano biancoTritate finissimi questi odori colla lunetta e metteteli al fuoco con olio a buona misura; siate generosi a pepe. Quando il soffrittoavrà preso colore, unitevi due ramaioli della broda dei fagioli, aggiungete un poco di sugo di pomodoro o di conserva, fateli alzare il bollore e versatelo nella pentola de’ fagioli. Per chi aggradisce un poco d’erbaggio può mettere il cavolo nero, primalessato e fatto bollire alquanto nel liquido del soffritto suddettoOra non resta che bagnare il pane, già preparato avanti con fettearrostite, grosse un dito e poi tagliate a dadi

Massimo Bottura è uno dei migliori cuochi del mondoSospeso tra le radici forti della sua terra (Modena) e la voglia di scoprire la cucinadi domani, inventa piatti di rara cultura gastronomica,come la sua interpretazione della pasta e fagioli

Compressione di pasta e fagioli

Le varianti

CozzeSpazzolate, lavate e fattescaltrire a fuoco vivace, poi sgusciate e aggiunte a metà cottura della pasta, con la loro acqua filtrata

CicoriaLessata al dente, passata in acqua e ghiaccio per smaltirel’amaro, spadellata con aglioe peperoncino, aggiunta in finale di cottura della pasta

PomodoroAggiunto sotto forma di passata al soffritto, prima di versarlo nella pentola dei fagioli appena bolliti, o intero in cottura con i legumi

PancettaTagliata a dadini e spadellatain antiaderente per rifinire la minestra. In alternativa,lardo, speck o gambuccio del prosciutto San Daniele

ParmigianoLa crosta, ben ripulita e tagliata a tocchetti, a bollirecon i fagioli prima di buttare la pasta. Il cuore, grattugiato,aggiunto all’ultimo momento

I fondamentali

PastaFresca (maltagliati, fettucce)secondo la tradizione veneta,oppure secca (ziti, spaghettispezzati). A Napoli, d’obbligo la mesca (pasta mista)

FagioliMisti o scelti in base a gustointenso (borlotti), bucciasottile, polpa morbida (lamon),cremosità (cannellini),dolcezza (fagioli dall’occhio)

CipollaBianca o gialla (scalogno per la versione delicata), tritatacol gambo di sedano ripulitodei filamenti. In alternativa, uno spicchio d’aglio

BrodoAcqua di cottura dei fagioliarricchita con parte dei legumipassati per renderla cremosaVariante con brodo vegetale o cotica di maiale

OlioIn cottura, per soffriggere la cipolla (al posto del grassodi prosciutto o lardo) e a crudo per battezzare la minestra col pepe nero

La classica di Artusi

Tutto procede per aggiustamenti progressi-vi, spinte e controspinte: abbiamo appenaletto un complicato romanzo francese, ab-

biamo visto il film che ha vinto un festival asiati-co, roba d’autore, per palati fini, e abbiamo ancheconversato con il nostro amico più intellettuale,quello che cita, che ribalta, che ci invita nei suoilabirinti. Ecco, ora abbiamo veramente bisognodi pasta e fagioli. È il nostro organismo che lo pre-tende, quella parte ignorante e vitale, barbara efelice, infantile e affamata, dobbiamo assoluta-mente rimettere in pari i piatti della bilancia e co-sì sul piatto vuoto scarichiamo questa meravi-gliosa pietanza. Quando i soliti ignoti, dopo averabbattuto l’ultima parete, si ritrovano nel postosbagliato, in una semplice cucina, tutta la loro de-lusione viene immediatamente ripagata dal pen-tolone di pasta e fagioli, premio di consolazionema comunque sempre premio. E nei tanti filmwestern in cui la carovana, che presto o tardi sarà

attaccata dagli Apache, si ferma per un’ultima ce-na attorno al fuoco, c’è sempre un pentolone difagioli che bolle, una zuppona che somiglia allasola pace possibile.

Pasta e fagioli rimanda a un bisogno di sempli-ficazione, è un punto fermo dopo tanti progettiinutili. Se siamo fatti anche di quello che mangia-mo, la pasta e fagioli ci riporta a casa, ovunque sia-mo, ci restituisce alla nostra piccolezza: è la so-stanza contro la finzione, la verità contro la men-zogna, la realtà contro la recita. Da qualche partedella memoria risorge una nonna, un casale incampagna, un’aria fresca e un buon umore. Noneravamo niente ed eravamo felici, ancora nonerano apparse le complicazioni del sushi e dellanouvelle cousine, dei pensieri astratti, delle sera-te sofisticate e tristi. Avevamo corso tutto il gior-no e adesso c’era solo la fame, cioè voglia di vive-re, di crescere, di mangiare pasta e fagioli.

A tavola

MARCO LODOLI

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Quel grido barbaro e felice

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LA DOMENICA■ 38DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

Da bambina voleva fare la pittriceÈdiventata l’unica regista da OscarHa firmato cult come“Strange Days”e “Point Break”. Eppure c’è ancorachi l’accusa di essere solo bella

“L’equivoco è vedereil cinema d’azione comeuna cosa da maschi”replica lei. E ora cheil suo ultimo discusso filmè arrivato in Italia rivela:

“Thelma e Louise per me sonostate un mito, ma devo moltoanche a Giulietta Masina”

ROMA

Colori e parole. Figlia uni-ca, Kathryn Bigelow sidefinisce «la fortunatasintesi di due genitori

molto diversi». Il padre gestiva unafabbrica di pittura, la madre era una bi-bliotecaria: «Per lui contavano le im-magini, la composizione. Per lei, inse-gnante finita a lavorare tra i suoi amatilibri, la parola veniva prima di tutto».

Capelli lisci e lunghi, grandi occhicolor nocciola, fisico atletico, KathrynAnn Bigelow è brava e bella. A sessan-tadue anni compiuti pare sempre l’e-terna ragazza di San Carlos, Pasadena,ne dimostra almeno quindici di meno,ma davvero. Convive felicemente conil co-sceneggiatore quarantenneMark Boal. Insieme hanno firmato TheHurt Locker, pellicola Oscar sulla di-pendenza da guerra di uno sminatoredell’esercito americano in Iraq, e il di-scusso Zero Dark Thirty, sulla caccia esull’uccisione di Osama Bin Laden,appena arrivato nelle nostre sale e can-didato a cinque Academy Awards. «Unregista con le palle». Fu il commentodello scomparso Gillo Pontecorvo al-l’uscita dalla proiezione veneziana diStrange Days. Era il ’95, e quella defini-zione sintetizzava involontariamentelo stereotipo globale, che scambia perapproccio maschile alla macchina dapresa la precisione documentaristicae la potenza visionaria con cui Bigelowracconta la guerra moderna. L’altroluogo comune è legato appunto all’av-venenza: l’ultimo commento, via

Twitter, è arrivato da Bret Easton Ellisall’indomani del riconoscimento a Ze-ro Dark Thirty come “miglior film del-l’anno” da parte del prestigioso Natio-nal Board of Review: «È sopravvaluta-ta perché è una bella donna». «Hot», èla parola che ha usato l’autore di Ame-rican Psycho. L’apprezzamento urti-cante ha fatto il giro del mondo, poi na-turalmente sono arrivate le scuse. «Damolti anni ho smesso di commentarequesto tipo di considerazioni», sospi-ra la schiva Kathryn. «La speranza, nonsolo per me, è che arrivi un giorno in cuisia normale che una donna facciaquello che faccio io. Perché non c’èproprio niente di unico, in quello chefaccio io. Eppure ancora oggi sono po-che le donne che lavorano a Hol-lywood in posizioni importanti. Lapercentuale di registe occupate nel-l’industria di Los Angeles è invariatadal 1987, inchiodata all’otto per cento.E i miei Oscar possono fare poco persfondare il tetto di vetro». Ogni sua fra-se è preceduta da una pausa. Il tono ècalmo, nessuna polemica. L’understa-tement, per lei, è attitudine naturale.Nella campagna che l’avrebbe certifi-cata prima donna nella storia del cine-ma a vincere la statuetta da miglioreregista, i tabloid di tutto il mondol’hanno subito contrapposta all’exmarito James Cameron. Lei ha semprecercato di smorzare i toni. Poche paro-le in pubblico, solo quelle strettamen-te necessarie. Lui correva con Avatar,ma la corazzata fantascientifica tridi-mensionale si è infranta contro il pic-colo film di guerra che segnava il ritor-no di Kathryn sette anni dopo il disa-stro economico del bellico K-19 Thewidowmaker. «Sono felice per lei», hadetto l’ex coniuge e rivale quella notte.Sembrava sincero. Tra loro non è maimancata l’energia creativa: fu lui a pro-durre (e scrivere) Strange Days, nel-l’immediato un flop ma poi diventatoculto, al pari di Point Break (la cui sce-na di rapina con le maschere dei presi-denti americani guidati da Reagan ètra le più citate). Film che hanno se-gnato il cinema degli anni Novanta,pura adrenalina: «L’equivoco è consi-derare il cinema d’azione appannag-gio esclusivamente maschile. Quandoho fatto film come Point Break e BlueSteel mi interessava il confronto tra ipersonaggi. È da questo che nasce latensione» spiega la regista.

Mette in scena situazioni estreme,nelle quali emergono figure femminili

iconiche: come la poliziotta Jamie LeeCurtis di Blue Steel, l’autista guerrieraAngela Bassett di Strange Days, l’agen-te Cia a caccia di Bin Laden Jessica Cha-stain di Zero Dark Thirty. «Sono cre-sciuta con il mito di Thelma e Louise —racconta — amo le donne forti e prota-goniste. Senza compromessi». Comelei. È entrato nella storia del cinema ilsuo scontro con Luc Besson: dopo unprovino a Milla Jóvovich, modella e so-prattutto compagna del regista e pro-duttore francese, Bigelow disse che vo-leva un’altra attrice. Fu licenziata.

Forte ma mai aggressiva, voce di vel-luto, questa donna così brava a mette-re in scena la violenza più che al cine-ma di Pontecorvo (per quanto nonmanchino assonanze tra Zero DarkThirtye La battaglia di Algeri) s’ispira aquello di Federico Fellini. Non a casovenne scelta, in tempi lontani dal suc-cesso attuale, era il ’96, per il premio in-titolato al regista riminese. Si pre-

sentò, emozionata, a ritirarlo al GrandHotel di Rimini: «Il mio primo film, IlBuio si avvicina, deve molto a Le nottidi Cabiria. Giulietta Masina è una del-le interpreti che mi ha più emozionatonella vita. Ma ovviamente devo moltoanche a Antonioni, Rossellini, Leone».

Un talento immaginifico, quellodell’artista californiana, che si è mani-festato precocemente: «Ho iniziato adipingere da ragazzina. Da quello chericordo, è sempre stato ciò che volevofare nella vita. Ed ero pronta ad andareavanti, anche se non ero affatto sicuradi poter vivere del mio lavoro». Studiapittura a San Francisco, vince varieborse per l’università. «A vent’anni misono trasferita a New York per studia-re, vivevo a due passi dalle Torri Ge-melle. Sono seguiti momenti econo-micamente molto difficili». Insieme aPhilip Glass (che a quei tempi lavoravasaltuariamente come tassista) trova-vano loft scalcinati che ristrutturava-no per i clienti: «Intanto ci vivevamodentro. Con Philip condividevamo lespese e un futuro tremendamente in-certo. Mi capitava spesso di dormiredentro il sacco a pelo». Ha partecipatoattivamente alle avanguardie artisti-che. «Il mio mentore è stato LawrenceWeiner. Un artista concettualenewyorchese straordinariamenteonesto e pieno di talento. E poi ho la-vorato con un altro gruppo di artisti, ibritannici di Art & Language, ora stan-no a Londra. Le esperienze fatte con lo-ro mi hanno influenzato in modoprofondo. Hanno legato la mia visioneastratta e formale dell’immagine aqualcosa di concreto, a un contenuto.E questo concetto io l’ho trasformatonel mio cinema».

Il passaggio alla regia è stato casua-le. «Non l’ho cercato io, semmai il con-trario. Mi sono ritrovata a parteciparea cortometraggi collettivi: e mi si èaperto un mondo eccitante. Improv-visamente ho trovato la mia strada».Milos Forman vide uno dei suoi corti ele fece assegnare una borsa per la Co-lumbia University. Iniziò così unalunga marcia fatta di sperimentazio-ne, flop commerciali, critiche spessopreconcette. Una strada piena di pol-vere e sudore che l’ha portata lontano.Kathryn, cappellino da baseball e t-shirt, ama i sentieri impervi: «Le diffi-coltà mi motivano». Affronta la caluradel deserto, maneggia armi pesanti,parla la lingua dei soldati e sa raccon-tarli sul campo: nell’ultimo anno e

mezzo per preparare il film su Osamaha fatto la spola tra la Giordania, l’In-dia e Londra. È tra i pochi registi a go-vernare tutti i generi: ha raccontatostorie di vampiri, western, thriller, glistrani giorni di un mondo fantascien-tifico vicino all’Apocalisse. «Ai tempidi Strange Days ero decisamente pes-simista sul futuro dell’umanità». Di-ceva, allora, di «sognare un futuro dal-tonico, in cui l’occhio non percepissele differenze razziali». Oggi «il miosguardo è più roseo, anche per la pre-senza di un presidente come BarackObama». Si è sempre considerataun’intellettuale, di sinistra. «Tutti imiei film sono stati politici, ancheStrange Days». Ma il «messaggio» èsempre un passo indietro. Per questonon si aspettava le critiche piovute dadestra e da sinistra (culminate anchein interrogazioni parlamentari) a cau-sa delle scene di tortura di Zero DarkThirty: un prigioniero viene seviziato,sottoposto alla tecnica del waterboar-ding sotto lo sguardo distaccato del-l’indomita agente pronta a tutto pur dirintracciare il covo di Bin Laden:«Spielberg ha girato un film sull’Olo-causto, questo non significa che l’ap-poggiasse. Io ho messo in scena il de-cennio oscuro, la lunga caccia e ilprezzo pagato per il risultato. Non sol-tanto da parte di uomini e donne chevi hanno dedicato la propria vita, equalcuno l’ha persa, ma anche di unintero Paese. Il mio film è il ritratto diun fanatismo, di un’ossessione. Latortura esiste e volevo mostrarla cer-cando di lasciare al pubblico la possi-bilità di formulare il proprio giudizio».

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L’incontroWonder women

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La speranza,non solo per me,è che arriviun giorno in cuisia normaleche una donnafaccia quelloche faccio io

Kathryn Bigelow

ARIANNA FINOS

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