d'i nostri sensi ch'è del rimanente - ANAI · legislative e regolative. Inizialmente, mi sono...
Transcript of d'i nostri sensi ch'è del rimanente - ANAI · legislative e regolative. Inizialmente, mi sono...
1 1
N O V E M B R E
2 0 1 5
“O frati," dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”
Dante Alighieri La Comedìa
Inf. XXVI
I nostri contenuti
I nostri contenuti
L’editoriale del Presidente
Una battaglia che viene da lontano…
I cittadini hanno il diritto di…conoscere?
Il Diritto alla Conoscenza: dalle Nazioni Unite alla Governance Nazionale e Locale
Il Mondo Occidentale (solo questo per ora…) dove va?
Il diritto umano alla conoscenza come freno alle prerogative regie della contemporaneità “reale”
Ttip versus il diritto alla conoscenza
Le “confessioni” di Blair, la guerra in Iraq, il diritto umano alla conoscenza da conquistare
Vi invitiamo ad importanti eventi che vedranno il patrocinio o la partecipazione della Lidu
Tesseramento 2015
Saluti
● ● ●
Appuntamento con un
numero speciale della
Newsletter della Lega
Italiana dei Diritti dell’Uomo
dedicato al diritto alla
conoscenza, realizzato con la
partecipazione di Nessuno
Tocchi Caino.
A cura di
Caterina Navarro e Ilaria Nespoli, con la collaborazione
straordinaria di Domenico Letizia ● ● ●
Una battaglia che viene da lontano…
Era il 2003 quando l’Associazione Nessuno Tocchi, in collaborazione con il
Partito Radicale Transnazionale e le altre organizzazioni costituenti, intraprese
una lotta per scongiurare l’intervento militare in Iraq, il quale prese le mosse da
informazioni quanto meno dubbie circa la presenza di armi di distruzioni di
massa negli arsenali iracheni, poi rivelatesi false.
Tale battaglia, volta in primo luogo a rendere i governi nazionali responsabili
delle loro azioni, garantendo informazione, che sia disponibile, accessibile e
accurata secondo i principi dell'apertura e della trasparenza, è proseguita negli
anni successivi, fino ad arrivare al 27 luglio 2015, giorno in cui ha avuto luogo
presso il Senato della Repubblica, la Conferenza dal titolo “Universalità dei
Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del
Diritto alla Conoscenza.
L’Obiettivo principale dell’evento è stato l’avvio di una campagna internazionale
che conduca alla codificazione del diritto umano universale alla conoscenza in
sede delle Nazioni Unite, ossia il diritto di conoscere in che modo e perché i
governi a vari livelli prendano determinate decisioni che influiscono sui nostri
diritti umani e libertà civili, soprattutto per quanto riguarda questioni di
“sicurezza nazionale.”
La L.I.D.U. ha deciso di fornire il proprio contributo a questa battaglia
dedicando al diritto alla conoscenza una numero speciale della propria
Newsletter, arricchito di contributi esterni, al fine di incrementare la
consapevolezza dell’importanza di un simile diritto nell’attuale realtà
contemporanea.
I cittadini hanno il diritto di…conoscere? di Giulio Terzi
Ambasciatore, già Ministro degli Esteri italiano
Il “diritto alla conoscenza”, ovvero la responsabilità della
classe politica e il “dover rendere conto” alla cittadinanza,
sono disattesi in troppe nazioni del mondo, e per molti
versi anche in Italia. La questione non è per nulla
marginale, sia nelle “democrazie compiute” - e ben poche
lo sono! - sia a maggior ragione nei paesi più a rischio di
violazione dei diritti umani. Nonostante le risoluzioni
dell'ONU e i Trattati Europei siano molto precisi e
vincolanti su questi temi, c'è ancora molta strada da percorrere affinché si affermi
universalmente il principio della “responsabilità degli amministratori politici” nei confronti
dei cittadini. Ne ho parlato con Marco Pannella e Rita Bernardini al Congresso annuale dei
Radicali italiani a Chianciano, per rilanciare l'importante iniziativa su “Stato di Diritto e
legalità”. Ci sono gravi “criticità” sul piano internazionale, in paesi come l'Iran, la Turchia e la
Cina, ma anche sul piano interno, in Italia, per fenomeni come la corruzione, la
prevaricazione dei valori per priorità affaristiche, l'opacità e le derive autocratiche nell'azione
di Governo: questi sono mali che danneggiano enormemente gli interessi dei cittadini ma
anche il posizionamento del nostro Paese all'estero, riducendo fortemente i flussi di
investimenti verso l'Italia. “LA LUCE DEL SOLE E' IL MIGLIOR DISINFETTANTE”, diceva
un secolo fa Louis Brandeis, un grande giudice americano: “in Italia queste “malattie” si
annidano anche nella nebbia della disinformazione governativa e del silenzio dei mass-
media, troppo comodi per chi esercita un potere spesso incurante delle regole fondamentali
della democrazia”.
Il Diritto alla Conoscenza: dalle Nazioni
Unite alla Governance Nazionale e Locale
Claudio M. Radaelli Professore di Scienze Politiche
e direttore del Centre for EuropeanGovernance, University of Exeter (UK)
Un contributo ha maggior valore se riflette anche una maturazione personale, quindi, mi si
perdoni l’attacco auto-biografico, inizio con la storia di come sono ‘arrivato’ al diritto alla
conoscenza. Negli ultimi cinque anni ho diretto e condotto alcune ricerche su come governi e
pubbliche amministrazioni utilizzano l’evidenza empirica per motivare le loro scelte
legislative e regolative. Inizialmente, mi sono concentrato su uno strumento di politica
pubblica specifico - l’analisi d’impatto della regolazione - e ho guardato il suo sviluppo in
Nord-America e in Europa. Poi, con un finanziamento dell’European Research Council,
insieme alla mia collega di Exeter Claire Dunlop e Alessia Damonte, dell’Università degli
Studi di Milano, abbiamo ragionato sull’interazione fra diversi strumenti di politica pubblica.
Sostanzialmente non solo l’analisi d’impatto e costi-benefici, ma anche varie forme di accesso
agli atti, obblighi di notifica, il ciclo dei commenti e la consultazione sulle proposte di legge, le
regole del processo amministrativoe la revisione giurisdizionale delle regole. Abbiamo
raccolto dati su 17 paesi europei e analizzato gli effetti complessivi di questi strumenti,
studiando le loro concatenazioni o ecologie. L’idea – ci pare – è che ogni strumento attiva un
meccanismo sociale. Se una determinata ecologia attiva meccanismi sociali coerenti, l’effetto
è di dare un potere effettivo ai cittadini e a diversi tipi d’interessi legittimi. Se si attivano
meccanismi che si contraddicono fra loro, gli effetti delle ecologie sono limitati o lasciano il
controllo delle amministrazioni ai partiti o a un solo tipo di interesse.
Dove sta il problema?
Sappiamo dalle ricerche comparate che la pubblica amministrazione viene spesso catturata
da un solo tipo di interesse, per esempio quella specifica di un partito politico o di un singolo
politico a capo di una clientela (locale o nazionale): oppure, diventa auto-referenziale. Invece,
un’ecologia ben funzionante di strumenti coerenti rende l’amministrazione accountable a
tanti diversi tipi d’interessi: nessuno ha il totale controllo dei decisori, ma il sistema stesso è
sotto controllo,poiché ci sono diversi vettori di accountability. In fondo questo è un
argomentopluralista e liberale che abbiamo declinato nel nostro progetto. Le nostre ricerche,
è bene dirlo, sono empiriche: i dati ci dimostrano che queste ecologie di strumenti aprono il
processo decisionale, aiutano la crescita delle imprese e contrastano la corruzione. Se
mancano questi meccanismi, il sistema ha sempre una sua logica ma perversa, ovvero, si
tratta della logica del controllo politico e dell’uso privato di risorse pubbliche.
Negli stessi anni, mi sono entusiasmato alla campagna del Partito Radicale per il diritto alla
conoscenza, che ha la sua genesi nella forte domanda di verità chiesta da Marco Pannella nel
2003 per garantire una transizione democratica in Iraq e conoscere le vere motivazioni di un
ricorso alle armi.
Ricordo che Exeter fu la prima Università ad invitare Matteo
Angioli a parlare a un nostro seminario delle sue ricerche
documentali sul processo decisionale multi-livello (UK, USA,
Unione Europea e Lega Araba) che portò all’invasione in Iraq.
Troviamo la stessa filosofia del diritto alla conoscenza nelle
battaglie di Maurizio Turco (all’epoca deputato europeo
Radicale) per l’accesso alle motivazioni giuridiche delle
decisioni del Consiglio dei Ministri Europeo, per l’anagrafe
degli eletti e dei nominati, la lotta Radicale a Milano contro le firme false di Formigoni,
condotta da Marco Cappato e Lorenzo Lipparini, e le iniziative del Centro d’Ascolto di Gianni
Betto per dare ai cittadini conoscenza attraverso le televisioni e le radio pubbliche. Mi ha
colpito che nella campagna ‘Iraq libero’, lo strumento usato per cercare di attingere a qualche
elemento di conoscenza sia stato proprio il Freedom of Information Act inglese, che
come altrove trova delle limitazioni di utilizzo nel segreto di stato.
Ecco la differenza ma anche il modo di collegare le due cose. Mentre il Satyagraha Radicale si
articola negli anni intorno al tema della Ragion di Stato contro lo Stato di Diritto, le
nostre ricerche sono centrate sulla pubblica amministrazione. Da un lato i silenzi dei Primi
Ministri e dei governi, dall’altro il funzionamento della macchina amministrativa; politici
eletti e manager pubblici non sono la stessa cosa, anche se sono entrambi decisori. Ma il
Freedom of Information Act spiega bene il collegamento fra Stato e Amministrazione: si
tratta di uno strumento di diritto amministrativo che viene limitato appena si giunge sul
terreno del segreto di stato.
Questo collegamento ha ispirato la nostra università a sperimentare un nuovo tipo di borsa
per il dottorato di ricerca in scienza politica. Abbiamo assegnato una borsa sul diritto alla
conoscenza, in co-tutela con il Partito Radicale, per capire come diversi strumenti di politica
pubblica possano essere usati nella battaglia per il riconoscimento di un nuovo diritto civile
alla conoscenza delle Nazioni Unite. Il diritto alla conoscenza richiede una dichiarazione
universale, ma ‘cammina’ proprio con le gambe degli strumenti di politica pubblica che danno
potere ai cittadini, come il Freedom of Information Act combinato con una regolamentazione
liberale del segreto di stato.
In particolare, il diritto alla conoscenza riguarda tre fasi importanti. Nella fase che precede le
decisioni, il cittadino ha il diritto di conoscere le basi empiriche (legali ma anche di costi e
benefici) delle proposte fatte dai ministri e dalle amministrazioni. Basti pensare a quanto ha
prodotto negli anni recenti Matteo Angioli sulle ragioni per cui Blair decise con Bush di
invadere l’Iraq, contro ogni conoscenza empirica che era disponibile, non astrattamente,
masul suo tavolo a Downing Street, prima di decidere l’invasione dell’Iraq.
Nella fase decisionale vera e propria, il diritto alla conoscenza si avvale di strumenti come la
consultazione. Più che la consultazione generica, conta molto l’obbligo verso i decisori
pubblici nell’illustrare come abbiano valutato le evidenze prodotte dalla consultazione nelle
loro scelte finali. Anche il divieto di prendere scelte (legislative o regolative) quando il
decisore non ha pubblicato un’analisi economica degli effetti previsti della scelta in questione
contribuisce a dare potere al cittadino ‘che conosce’. Nessuna motivazione e giustificazione
empirica accessibile a tutti? Bene, allora non puoi prendere nessuna decisione. Infine, nella
fase post-decisionale il diritto alla conoscenza cammina con ‘gambe’ che si identificano come
possibilità di ricorso giurisdizionale con una durata limitata nel tempo del segreto di stato.
Ma in definitiva, a cosa serve questo diritto alla
conoscenza?
Dall’attacco alle Torri Gemelle di New York in poi, nel
nome della sicurezza i governi hanno ridotto
drasticamente l’utilizzo effettivo del “diritto alla
conoscenza”. Il risultato non è una società sicura, ma un
mondo dove i governanti sono sempre meno responsabili
e i cittadini sempre più terrorizzati. A Downing Street
come nell’Unione Europea le decisioni storiche sul futuro
dell’Euro vengono prese fuori dalle cornici istituzionali
deputate proprio per evitare accesso e conoscenza dei
cittadini, per chiamarsi fuori dal possibile controllo democratico. Il diritto alla conoscenza
serve a fornire alla Nazioni Unite e via via nel tempo alle corti un modo per reagire a questi
abusi, per aiutare le nostre democrazie malate a venir fuori dall’inverno della democrazia in
cui sono calate da diverso tempo,a ristabilire il principio dello Stato di Diritto nei paesi in
transizione e per rilanciare la mobilitazione sociale transnazionale. Una mobilitazione che si
rivolge alle Nazioni Unite in primo luogo, ma si declina ai diversi livelli di governance dove
manca conoscenza: dal Palazzo di Vetro ai palazzoni delle municipalizzate delle autorità
regolative il passo non è poi lungo. Basta capirlo, organizzarsi e mobilitarsi. Anche con
l’appello per il diritto alla conoscenza che in questi giorni diverse autorità italiane,
diplomatici, politici ed esperti internazionali stanno firmando.
Il Mondo Occidentale (solo questo per ora…)
dove va? Di Giovanni Grieco
docente di Medicina del lavoro presso l’Università Federico II di Napoli
Il dibattito sul TTIP (Trattato sul commercio USA-Europa)
sta diventando serrato, perché gli interessati tendono a
concluderlo, pur se un po’ temporeggiano, come si suol fare,
quando si deve far inghiottire un boccone amaro.
Che il TTIP, cioè l’omologazione dell’Europa al modello
produttivo- consumistico degli USA, sia ormai la meta del
capitale mercantile, si può dare per scontato.
C’è un po’ di tentennamento, sostenuto da debole cultura in
Europa che ancora resiste all’omologazione della società
umana agli interessi del mercantilismo che ha fatto
scomparire la persona, sotto la totalitaria dimensione di
consumista.
Non c’è già più e da tempo la personale sensazione di bisogno, a deciderne la sua
soddisfazione con la cosa naturalmente a ciò destinata, perché è la cosa che decide il bisogno
della persona.
Questa è la cifra del mercantilismo che s’è imposta da tempo immemorabile ed in modo
totalizzante con la società industriale.
Con l’espansione dei mezzi di informazione di massa che ci perseguitano ovunque ed in
qualunque ora della giornata, l’induzione del bisogno di qualcosa messa in piazza dal
mercante, ha completamente silenziato il rapporto bisogno-soddisfazione, perché ormai è la
cosa, qualunque cosa, purché dia profitto al mercante, a decidere il bisogno della persona che
ha del tutto perduta la sua consistenza ontologica, dispersa nella funzione di acquirente.
Ormai, soltanto nell’estrema condizione della povertà assoluta, la persona può decidere di
consumare in relazione ai suoi reali bisogni avvertiti, quando gli riesce possibile. Non avviene
quasi più nella condizione di povertà relativa.
Secoli fa la persona così ridotta, era soltanto lo schiavo e questi ne era consapevole e cercava
pure di eludere la sorveglianza del suo padrone e scappare via. Il consumista, al contrario, si
sente soddisfatto dopo l’acquisto di qualcosa e non si rende conto che il più delle volte il suo
bisogno l’ha generato la cosa che va ad acquistare, meglio il suo oppressivo battage
pubblicitario che ne fa il mercante.
Ogni tanto viene agitato il vessillo della libertà, si fanno scaramucce o guerre per una
fantomatica libertà politica, con grande strombazzamento di politologi e di retori che
debbono camuffare la vera illibertà dell’uomo che ha un solo nome, la schiavitù al sistema
capitalistico-mercantile.
E’ una schiavitù esistenziale, perché riguarda valori sociali più meno ideologici che il sistema
diffonde, per nascondere la quotidiana servitù al sistema mercantilista, despota
dell’elementare libertà privata e quotidiana della persona.
Non è, forse, un diritto naturale della persona, decidere in libertà e con le sue disponibilità, su
come soddisfare un suo bisogno? Che ne pensa la Lega dei Diritti dell’Uomo?
Non lo è più. Questo diritto è scomparso e la decisione è passata al mercante che decide quale
bisogno la persona deve avvertire e con che cosa deve soddisfarlo. Questo vale per i bisogni
naturali e per quelli sociali. Chi ha letto qualche mio saggio, in specie l’ultimo (Grieco G.
Parrella E., Dalla società dei consumi alla società dell’uso, ed Albatros 2014), è informato
sulla tracotanza del sistema mercantile.
Per indurre i bisogni sociali, il mercantilismo ha dovuto soggiogare la cultura e la politica.
Questa a sua volta è diventata tutt’altra cosa, da come l’immaginarono gli ateniesi di sei secoli
prima di Cristo; ma anche allora, ci provò per poco tempo Clistene, ma ci pensò subito a
demolirla Pericle. La sua etera Aspasia, bella, colta ed intelligente disse: in Atene c’è un
governo di aristocratici col voto del popolo.
Che il sistema sia democratico o monocratico, non fa differenza: la politica è stata ridotta a
strumento dell’economia, come lo è ed anche con agire propedeutico la cultura. E’la politica
l’anello operativo di congiunzione tra il mercante ed il popolo. E’ la politica che da tempo
immemorabile si carica del ruolo di strombazzatore della libertà e dei diritti e lo fa da quando
il primo agricoltore si appropriò della terra del suo vicino, riducendolo se sopravvissuto a suo
tributario e vendette ai suoi compaesani i beni sottratti ed anche allo sconfitto. Quel primo
agricoltore non potendo realizzare l’obbiettivo con la sua personale forza, avviò l’invenzione
di ideologie (l’ideologia è la mistificazione razionale dell’idea; di questi tempi, però, sembra
stiamo assistendo al funerale delle ideologie), la patria, il benessere, il futuro migliore, per
suggestionare le persone del suo territorio con fantasmi quali la libertà,il benessere, il
progresso vitale e sociale,eccetera.
Quelle persone andarono ad uccidere e morire per il mercante; i superstiti, vinti e vincitori,
divennero acquirenti delle cose rapinate dal mercante. Il resto che si racconta sono fantasie,
in genere indotte opportunamente dal mercante e da millenni, col supporto di ideologi e
retori (costano poco; ci si mettono anche i poeti, basti ricordare Omero, col ratto di Elena, per
mistificare sulla guerra tra greci e troiani) che costruiscono le ragionevoli ragioni delle sue
appropriazioni, soprattutto del lavoro umano, legittimando addirittura lo schiavismo, oggi
con altre forme. Karl Marx si concentrò sui rapporti di produzione, con i meccanismi del
profitto del capitale, non sulla questione morale che coinvolge non solo il lavoratore
produttore, ma ogni cittadino ridotto ad unica dimensione di consumatore e l’accetta, pur
sapendo che un suo simile è per oltre un terzo della giornata alienato nel fare qualcosa che
appartiene ad altro che ne ricava profitto e ciò per trenta- quarant’anni, dopo di che diventa
pensionato, in genere una condizione anomica nella società del fare. Certo, rilevò l’iniquità
nel profitto del mercante, sul valore che la cosa assumeva dal lavoro umano. Questo problema
rimane in gran parte insoluto, soprattutto per l’ancora ingiusto rapporto tempo/lavoro che dà
valore alla singola cosa (il singolo prodotto commerciabile) ed è coefficiente importante del
profitto mercantile. Rispetto agli sviluppi successivi delle società umane, fu più chiara ed
onesta la civiltà romana che si dichiarò dall’avvio fatta da mercanti e guerrieri, senza tante
mistificazioni ideologiche.
Ma questo non è bastato al mercante che per impadronirsi del tutto del sistema, ha
soggiogato anche la cultura che diffonde modelli, le mode ed è andato straripando a mano a
mano, con l’incremento della potenzialità diffusiva dei mezzi di comunicazione di massa. La
guerra è rimasta necessità per acquisire materia prima e mercati e si camuffa con paroloni dei
retori, con contorsioni logiche di intellettuali e con fanfare e bandiere.
Ci rendiamo ben conto che il TTIC intende ridurre ad uno, il sistema di controllo e di
comando dell’ economia,su d’una più estesa area di umanità, omologata ad un unico sistema
di produzione e commercio, con ampia libertà di stabilire i suoi profitti crescenti. Le voci
discordanti sono deboli, anche la mia: è velleitario sconfiggere il dollaro. Il resto cari amici,
eventuali lettori è silenzio, coperto dal frastuono del vociare del mercante e dei suoi corifei
sparpagliati tra quotidiani e riviste, anche con qualche saggio che si dichiara tecnico o pure
scientifico, fondando sull’artata confusione tra sapere e scienza che non a caso hanno etimi
diversi.
Il diritto umano alla conoscenza come freno alle
prerogative regie della contemporaneità “reale” di Domenico Letizia
Attivista di Nessuno tocchi Caino e membro della
Lega Italiana dei diritti dell’Uomo (LIDU)
La società contemporanea è una “società in rete” che si muove secondo le logiche del
“capitalismo informazionale” come ha ben analizzato il sociologo Manuel Castells.
Nell’attuale sviluppo della democrazia reale, il riferimento è al socialismo reale che tradì gli
ideale socialisti, ritornano ad essere visibili, non più velate, le prerogative regie dei poteri
oscuri alla realtà della liberal democrazia che (opacità dei sistemi democratici a causa di
quelle istituzioni legate all’industria militare e segreta) sono attualmente oggetto di dibattito
politico. L’utilizzo scellerato del segreto di stato (anche se in alcuni minimi termini risulta
essere essenziale per una libera democrazia allo stato attuale della nostra storia) è la più
grossa problematica dell’attualità politica occidentale e non, la prerogativa regia delle
democrazie reali occidentali e non, che non permette il progetto di “transizione dalla ragion
di stato allo stato di diritto”.
I risultati politici di tale fenomeno transnazionale sono
evidenti nei casi di Julian Assange, WikiLeaks, Edward
Snowden e le rivelazioni su come l’Nsa avrebbe spiato ben
tre presidenti francesi: François Hollande, Nicolas Sarkozy
e Jacques Chirac. Scandalosa è anche la presa di posizione
dell’ex Primo Ministro Britannico Tony Blair sulla guerra
del 2003 in Iraq.
“Posso dire che mi scuso per l’aver ricevuto delle
informazioni sbagliate dall’intelligence, anche se Saddam
usava armi chimiche di massa contro la sua popolazione”.
Questa è la dichiarazione dell’ex premier britannico
riguardo le informazioni errate ma in che modo si può
affermare che le cause dell’invasione, le armi di distruzione
di massa possedute da Saddam, fossero veritiere? Un problema globale che esige una risposta
globale riconducibile alla codificazione di un nuovo diritto umano: il “diritto umano alla
conoscenza” da istituzionalizzare in ambito di Nazioni Unite. I governi devono essere
responsabili delle loro azioni e devono garantire un’adeguata informazione, che sia
disponibile, accessibile e accurata secondo i principi dell’apertura e della trasparenza. Benché
alcuni Paesi forniscano ai cittadini gli strumenti per accedere alle informazioni, ad esempio
attraverso i Freedom of Information Acts (FOIA), questa normativa spesso non risponde alle
attese naturali e legittime dei cittadini, rivelandosi inadeguata e non disponibile in molti
Paesi. Il diritto a conoscere ciò che i membri del Governo fanno segretamente a nome dei
cittadini, potrebbe migliorare il rapporto tra candidati eletti ed elettori. Il perfezionamento –
e non certo la negazione – dei meccanismi di controllo democratico può contribuire al
progresso della democrazia e dello stesso diritto internazionale, aumentando così il rispetto
effettivo dei diritti umani. Negli ultimi due decenni, in molti Paesi abbiamo assistito
all’impiego di mezzi e strategie militariste e a un prolungato, pretestuoso e arbitrario Stato di
emergenza proclamato per la pretesa necessità di difendersi e difenderci in tal modo da
minacce derivanti da terrorismo, immigrazione, droga e altri “nemici”. Non dimentichiamo il
sistematico utilizzo dei droni durante i conflitti. Si è insediato così uno “Stato di Emergenza”
permanente, le cui radici spesso affondano in presupposti ingannevoli, se non vere e proprie
menzogne. Vittime della multiforme Ragion di Stato sono i diritti umani, la responsabilità, la
mancanza di supervisione nel processo decisionale e, in ultima analisi, la pace. Ormai, lo
Stato di Diritto rischia di esser sostituito e sepolto dallo Stato di Polizia. Ciò che i promotori e
gli attivisti dei diritti umani hanno il compito di affermare e diffondere è creare le condizioni
e le opportunità di aprire un dibattito pubblico, diplomatico e politico, volto a identificare gli
strumenti di diritto necessari per tracciare il percorso da intraprendere alle Nazioni Unite per
la promozione effettiva dell’universalità, indivisibilità, interdipendenza e interrelazione dei
Diritti Umani e per il rafforzamento del Diritto Internazionale e dei suoi meccanismi, a
partire dal Diritto alla Conoscenza.
Ttip versus il diritto alla conoscenza Di Ilaria Nespoli
membro della
Lega Italiana dei diritti dell’Uomo (LIDU)
La L.I.D.U. Onlus sostiene pienamente la battaglia portata avanti dal Partito Radicale Non
Violento e dalle associazioni Nessuno Tocchi Caino e Non c’è Pace senza Giustizia per
l’affermazione del diritto alla conoscenza in sede delle Nazioni Unite che ha visto quale punto
di partenza la Seconda Conferenza internazionale dal titolo “l’Universalità dei Diritti Umani
per la Transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza”,
tenutasi lo scorso 27 luglio a Roma, presso il Senato della Repubblica.
Un Diritto, quello alla conoscenza, che rappresenta il fondamento di qualsiasi Stato
democratico. Anzi democrazia e conoscenza costituiscono un’endiadi inscindibile: infatti,
poiché la democrazia si basa sul confronto fra opinioni diverse, è evidente che nessuna
opinione può formularsi senza prima maturare una reale conoscenza dei fatti.
Come evidenziato da uno studio di Non c'è Pace Senza Giustizia del giugno 2015 intitolato
“Norme sul Diritto alla Conoscenza e Segreto di Stato in otto paesi”, l’accezione più rilevante
per il diritto alla conoscenza è rappresentato dalla nozione di libertà di informazione o diritto
all’informazione, inteso come diritto dei cittadini di accedere alle informazioni disponibili.
Oggi, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, esistono una pluralità di mezzi attraverso
cui sviluppare una conoscenza su un determinato argomento. Tuttavia, nonostante siano
incrementati i canali di comunicazione, spesso le informazioni che si vogliono veicolare non
appaiono realmente libere ed indipendenti.
Emblema di questa forma di (dis)informazione è sicuramente il Partenariato transatlantico
per il commercio e gli investimenti in corso di negoziato dal 2013 tra l'Unione europea e
gli Stati Uniti d'America, meglio noto con l’acronimo TTIP, il cui obiettivo è quello di
integrare i due mercati, riducendo i dazi doganali e rimuovendo in una vasta gamma di settori
le barriere non tariffarie, ossia le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure
di omologazione, standard applicati ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie.
Nonostante l’importanza delle tematiche concernenti il TTIP, se ci recassimo nelle principali
piazze delle nostre città a chiedere cosa sia il TTIP in pochissimi saprebbero fornire una
risposta adeguata. Eppure soltanto un mese fa più di 250mila persone sono scese in strada e
in corteo a Belino per protestare contro il trattato. Nessun telegiornale italiano né alcun
organo della carta stampata ha accennato a tale evento.
Inoltre, va rilevato come i colloqui alla base dei
negoziati continuino a svolgersi in segreto,
senza accesso del pubblico ai documenti
negoziali chiave, in modo che quasi tutto ciò
che sappiamo del loro contenuto passa
attraverso fughe di notizie. Persino i
parlamentari dei paesi coinvolti possono
accedere alla documentazione, a patto di
rispettare limitazioni particolarmente stringenti.
Dunque, i cittadini al momento sono tenuti all’oscuro dai media e dai governi stessi,
nonostante le fortissime ripercussioni sociali e ambientali che tale trattato avrà sulle loro vite
a causa della brusca deregolamentazione. Il riferimento nient’affatto implicito è alle
differenze che tuttora intercorrono tra Ue ed Usa nelle regole in materia di protezione
sanitaria, alimentare, di diritto d’autore e del lavoro. È noto, infatti, come in molti ambiti
gli standard Ue, basati sul principio di precauzione, siano più stringenti di quelli Usa ed uno
scivolamento verso i livelli di deregolamentazione americani diverrebbe la conseguenza più
naturale del TTIP. L’esempio più eclatante riguarda le limitazioni che la Ue impone all’uso ed
all’importazione degli Ogm e delle carni trattate con ormoni o sterilizzate tramite l’uso di
cloro che sino ad oggi hanno impedito che prodotti di questo tipo fossero commercializzati
nei supermercati europei. Una particolare attenzione andrebbe poi riposta sui rischi che
gravano sul settore sanitario europeo che rischia di trasformarsi in terreno di conquista per le
grandi imprese americane. Così come le norme ambientali europee ci hanno sin qui tutelato
dagli Ogm e dalle carni trattate, il Reach (Regulation on Registration, Evaluation,
Authorisation and Restriction of Chemicals, entrato in vigore il 1° giugno 2007 con lo scopo
di regolamentare il mercato dei prodotti chimici nella Ue) ha consentito ai cittadini di
tutelarsi dall’invasione di prodotti chimici e farmaceutici che per le autorità europee sono
potenzialmente nocivi per la salute umana e animale.
Grazie al TTIP, nondimeno, nascerebbe la possibilità per gli investitori stranieri, qualora
volessero contestare una regolamentazione statale o comunitaria troppo stringente, di
costringere i governi nazionali ad accettare un arbitrato privato vincolante, dotandosi così di
un potente mezzo per il contrasto di politiche e leggi democraticamente adottate ma
divergenti dalle loro strategie aziendali. Appare, pertanto, evidente come questo accordo miri
a manipolare le relazioni commerciali e d’investimento dei suoi firmatari in nome e per conto
delle più potenti lobby dei singoli paesi; impedendo ai governi di svolgere le loro funzioni
essenziali di tutela della salute e delle sicurezza dei cittadini.
Infatti, come ci suggerisce il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz in un articolo
pubblicato sul settimanale “Internazionale”, proviamo ad
immaginare cosa sarebbe successo se queste norme fossero state in
vigore quando sono stati scoperti gli effetti letali dell’amianto.
Anziché chiudere le fabbriche e costringere i produttori a risarcire le
vittime, i governi avrebbero dovuto pagare i produttori per non
uccidere i cittadini. I contribuenti sarebbero stati penalizzati due
volte: prima pagando per i danni alla salute provocati dall’amianto,
poi dovendo risarcire i produttori per i mancati profitti dopo
l’intervento regolatorio del governo.
Alla luce del contesto appena descritto battaglie come quella per l’affermazione del diritto alla
conoscenza a livello internazionale acquistano un’importanza fondamentale anche solo
perché rappresentano un tentativo volto a risvegliare l’opinione pubblica dal proprio torpore
rassegnato. Infatti, siamo sicuri che se i cittadini europei conoscessero realmente i contenuti
del trattato, meditando sulle ragioni di chi lo accusa di servire solo gli interessi delle
multinazionali, non tenterebbero di impedire la fine di quel che rimane dei diritti civili e
sociali conquistati in Europa e già ampiamente smantellati dalle politiche di austerity di
questi anni, spingendo magari i governati a premere le istituzioni europei una rinegoziazione
dello stesso, pena la perdita totale di un consenso già flebile?
Le “confessioni” di Blair, la guerra in Iraq, il
diritto umano alla conoscenza da conquistare Di Matteo Angioli
membro del Consiglio Generale del Partito Radicale e
Claudio Radaelli professore di Scienze Politiche alla University of Exeter
Il 25 ottobre, dagli schermi della Cnn, Tony Blair ha chiesto scusa per gli errori commessi in
Iraq e ha riconosciuto una parte di responsabilità per l’avvento dell’Isis. Le scuse giungono
probabilmente in vista della consegna del rapporto Chilcot al Primo Ministro David Cameron.
Consegna, non ancora pubblicazione, per la quale dovremo attendere ancora mesi. Giungono
anche dopo che, dalle email rivelate dall’account di Hillary Clinton, il 18 ottobre scorso è
filtrato un memo redatto dall'allora Segretario di Stato Colin Powell, preparatorio ad un
incontro cruciale tra Bush e Blair a Crawford, in Texas, il 5-7 aprile 2002. La nota
confidenziale da Powell al Presidente, così illustrava la posizione del partner britannico:
“Blair continua a stare al fianco tuo e degli Stati Uniti rispetto alla guerra al terrorismo e
all'Iraq [...] ha prontamente messo a disposizione 1700 commandos”.
E ancora: “Sull’Iraq, Blair sarà con noi in caso
l'intervento militare si renda necessario [...]” perché
ritiene che “[...] il successo contro Saddam Hussein sarà
foriero di altri successi nella regione”. All'epoca, il
Partito Radicale si mobilitò tempestivamente, con
un’iniziativa che rimuoveva la ragione fondante
dell'azione militare e andava oltre gli sterili e faziosi
slogan pacifisti “no alla guerra” o “pace”. Il 19 febbraio
2003, un mese esatto prima dell'inizio dei
bombardamenti su Baghdad, la Camera dei Deputati approvò una risoluzione, presentata
dall’On. Volonté che raccolse la proposta di Marco Pannella, che impegnava il Governo
Berlusconi a promuovere in ogni sede istituzionale internazionale una iniziativa intesa
all'esilio di Saddam Hussein. Se accolta, la proposta avrebbe consentito di guadagnare tempo
rispetto all'agenda di Bush e Blair, a favore degli ispettori Unmovic guidati dallo svedese
Hans Blix e soprattutto a favore della comunità arabo-musulmana, che al suo interno già
dibatteva sull'ipotesi dell’esilio per il dittatore.
Perché parlare di eventi accaduti 12 anni fa? Perché nessuno Stato, a maggior ragione una
democrazia, dovrebbe prendere decisioni di tale gravità senza risponderne in termini di
trasparenza e accountability. Questa vicenda da ‘inverno della democrazia’ dovrebbe
stimolare la costruzione di un progetto di nuova ‘primavera’. Da anni i Radicali tentano di
tirare il filo di quella vicenda. Un filo che si snoda lungo le de-secretazioni di documenti
avvenute negli Stati Uniti e nel Regno Unito, lungo le memorie scritte da alcuni dei principali
attori coinvolti e lungo il lavoro – ancora incompleto – dell'inchiesta indipendente istituita
nel luglio 2009 da Gordon Brown e guidata da Sir John Chilcot per far luce sulle circostanze
in cui fu presa la decisione sull'intervento.
La lista degli scempi compiuti dalle democrazie negli ultimi 15-20 anni è insopportabilmente
lunga, lo Stato di Diritto sta cedendo sotto i colpi della Ragion di Stato. Per questo abbiamo
lanciato un’iniziativa che rovesci la deriva, rafforzando il diritto alla conoscenza sul come i
governi operano, formalmente in nome dei cittadini in realtà ignorandoli e calpestandoli.
L’obiettivo è quello di ottenere in sede di Nazioni Unite il riconoscimento di un nuovo diritto:
il diritto universale alla conoscenza. Un diritto che contrasti l’abuso del segreto di Stato, ma
che si applica anche a innumerevoli dimensioni di intervento pubblico, regolativo, anche
locale – come nel caso della trasparenza patrimoniale sui nominati e gli eletti nelle
municipalizzate e nei consigli comunali. Un diritto che è essenziale nel momento che precede
la decisione (vogliamo sapere le ragioni e l’evidenza empirica a supporto delle scelte
pubbliche), o durante l'iter decisionale (consultazione e commenti); ma vale anche per il dopo
(revisione giurisdizionale, notifiche e pubblicazione). Il Presidente Mattarella ci ha dato
coraggio con il suo messaggio alla conferenza del 27 luglio al Senato su “Universalità dei
Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e il Diritto alla Conoscenza”.
In Inghilterra, l’Università di Exeter ha assegnato una nuova borsa di dottorato in scienze
politiche su ‘Setting the Agenda for the Right to Know’ in co-tutela con il Partito Radicale.
Con questa borsa si approfondisce un filone di ricerche sugli strumenti di politica pubblica
che concretamente rendono esigibile il diritto alla conoscenza: accesso sistematico agli atti,
obblighi di motivazione, consultazione e notifica, una regolazione liberale delle clausole sul
segreto di Stato, la pubblicazione di analisi dei costi e dei benefici delle decisioni, e revisione
giurisdizionale delle scelte dei regolatori pubblici. Queste ricerche, condotte da Claire Dunlop
e Claudio Radaelli a Exeter e Alessia Damonte all’Università degli Studi di Milano, ci hanno
permesso di vedere empiricamente come gli effetti maggiori in termini di diritto alla
conoscenza e accountability non vengano creati dal singolo strumento ma dall’interazione fra
i diversi meccanismi attivati dagli strumenti. Serve un’ecologia coerente di strumenti di
politica pubblica, non la singola riforma o innovazione giuridica. Per rafforzare la Pubblica
Amministrazione bisogna farla rispondere a tanti diversi stakeholders (cittadini, gruppi di
interesse, esperti, parlamentari), altrimenti diventa auto-referenziale o, come nel caso Iraq,
preda di Presidenti e Primi Ministri che non rispondono a nessuno, protetti dal Segreto di
Stato e da apparati tecnologici intrusivi e opachi.
La borsa di studio di Exeter punta a trasformare questi saperi scientifici in conoscenze
utilizzabili – per questa dimensione di impatto viene finanziata dal South West Doctoral
Training Centre dell’Economic and Social ResearchCouncil inglese. Una goccia nell’oceano?
Possibile. Ma anche un richiamo al mondo delle università, della diplomazia e degli
intellettuali che questi saperi utilizzabili devono e possono essere incoraggiati con forme e
modi innovativi. Più in generale, il diritto alla conoscenza è oggi la leva per rilanciare la
mobilitazione transnazionale, per capire come rifondare il concetto di sicurezza sia nelle
nostre democrazie malate che nei paesi in transizione verso la democrazia, e per ri-stabilire
una rete di politiche pubbliche per l’accountability; così celebrando adeguatamente i 70 anni
di vita delle Nazioni Unite e i 60 anni del Partito Radicale.
Errata corrige: l’Evento su indicato non si terrà più presso il Centro Polifunzionale Casa
Nathan, sito in Piazzale delle Medaglie d’Oro 45, come anticipato nella precedente Newsletter
ma presso la sede del Gran d’Oriente d’Italia, in Via San Pancrazio 8.
Vi diamo appuntamento quotidiano per conoscere le
novità sul nostro sito web: www.liduonlus.org e sulla
pagina facebook/www.facebook.com/liduonlus"
https://www.facebook.com/liduonlus.
Per qualsiasi commento, proposta o iniziativa
scriveteci al nostro indirizzo mail
Tesseramento 2015
Socio Giovane quota minima € 10,00 (fino a 30 anni) Socio Ordinario quota minima € 50,00 Socio Sostenitore versamento minimo € 200,00 Socio Benemerito versamento minimo € 500,00 data ultima di versamento per il rinnovo 30 GIUGNO NOTA Poiché la L.I.D.U. è un'Associazione Onlus e la quota associativa è stata fissata ad euro 50,00- ogni versamento maggiore della quota suddetta, verrà considerata come versamento liberale e potrà essere dedotta, nei termini di legge, dalla dichiarazione dei redditi. La condizione necessaria è che il versamento debba essere effettuato direttamente alla L.I.D.U. nazionale, in qualsiasi forma, salvo che in contanti e che l'attestazione del versamento dovrà essere richiesta alla Tesoreria nazionale. si può effettuare il pagamento della quota dovuta a mezzo: contanti; assegno; bollettino di c/c/postale n° 64387004 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436 bonifico postale IBAN IT 34 N 07601 03200 000064387004 Intestati a: F.I.D.H. Fédération International des Droits de l’Homme - Lega Italiana onlus
5 x 1000 Come previsto dalla legge è possibile destinare il 5 x 1000 del reddito delle persone fisiche a fini sociali. La nostra Associazione è ONLUS e può beneficiare di tale norma. Per effettuare la scelta per la destinazione, occorre apporre la propria firma e indicare il Codice Fiscale
97019060587 nell'apposito riquadro previsto nei modelli dell'annuale denuncia dei redditi.
Saluti
Grazie per l’attenzione.
Ringraziando l’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” e
Domenico Letizia per la collaborazione nella realizzazione
di questo numero speciale della nostra Newsletter, vi
diamo appuntamento con cadenza quindicinale e ci
auguriamo di poter avere riscontro di vostre idee,
proposte, critiche e suggerimenti in modo da poter
migliorare la nostra offerta informativa.
Caterina e Ilaria