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Del Savio e Mameli Il populismo è democratico 1 Il populismo è democratico: Machiavelli e gli appetiti delle élite di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli L’anti-populismo può facilmente diventare un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a rischio la stessa convivenza democratica. Questo ci può insegnare Machiavelli attraverso un dibattito anglosassone sui rapporti tra i Discorsi e il neo-repubblicanesimo contemporaneo. L’accusa di populismo ricorre spesso nel lessico pubblico italiano. Interi movimenti politici sono spesso ricondotti a questa categoria. È il caso per esempio del Movimento 5 Stelle e, per alcuni aspetti, del cosiddetto berlusconismo, oltre che di vari soggetti dediti alla contestazione politica, inclusi i vari Occupy e le loro declinazioni locali. 1 A detta di quelli che lo criticano, il populismo consiste nella semplificazione eccessiva di questioni pubbliche complicate, ridotte a caricature adatte a soddisfare gli appetiti dei più e a suscitare in essi irrazionali e controproducenti istinti contestatori. Tale semplificazione agitatoria danneggerebbe non solo il perseguimento del bene collettivo ma anche quello degli interessi di coloro che si fanno attrarre da tale semplificazione. È implicita in questa concezione del populismo un’immagine negativa delle moltitudini: il “popolo” è spesso disinformato, distratto, disinteressato al bene comune, volatile nelle preferenze e nel giudizio politico, attratto dalle semplificazioni concettuali, estraneo alla razionalità e al senso civico richiesto dall’analisi dei problemi sociali ed economici più urgenti e complessi. Non solo: in tale accusa è implicita una valorizzazione paternalistica del ruolo delle élite tecnocratiche, considerate le più adatte a identificare e interpretare le vere esigenze e i veri interessi delle persone comuni. La maggioranza dei cittadini vivrebbe, secondo gli anti-populisti, in una sorta di falsa coscienza indotta da mancanza di competenze, da pigrizia cognitiva, e da un uso smodato della TV o dei social media, che non permetterebbero alle persone comuni di giudicare da sé del proprio destino politico. Questa interpretazione anti-populista del significato politico dei populismi, ancorché egemone, è inadeguata. Per chi ritiene che gli appetiti delle oligarchie per usare i termini di Machiavelli costituiscano un elemento di rischio importante per quanto riguarda il perseguimento del bene comune, non è difficile vedere come l’accusa di populismo possa diventare facilmente uno strumento per mantenere ed estendere il potere di quelle stesse oligarchie, oltre che la loro influenza sulla vita e le decisioni pubbliche, riducendo così ogni tentativo di contestazione che viene dal basso a irrazionalità o pigrizia intellettuale o morale. L’anti-populismo può dunque diventare un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a rischio la stessa convivenza democratica. E il

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Del Savio e Mameli – Il populismo è democratico 1

Il populismo è democratico: Machiavelli e gli appetiti delle élite

di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli

L’anti-populismo può facilmente diventare un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a

rischio la stessa convivenza democratica. Questo ci può insegnare Machiavelli attraverso un

dibattito anglosassone sui rapporti tra i Discorsi e il neo-repubblicanesimo contemporaneo.

L’accusa di populismo ricorre spesso nel lessico pubblico italiano. Interi movimenti politici sono

spesso ricondotti a questa categoria. È il caso per esempio del Movimento 5 Stelle e, per alcuni

aspetti, del cosiddetto berlusconismo, oltre che di vari soggetti dediti alla contestazione politica,

inclusi i vari Occupy e le loro declinazioni locali.1 A detta di quelli che lo criticano, il populismo

consiste nella semplificazione eccessiva di questioni pubbliche complicate, ridotte a caricature

adatte a soddisfare gli appetiti dei più e a suscitare in essi irrazionali e controproducenti istinti

contestatori. Tale semplificazione agitatoria danneggerebbe non solo il perseguimento del bene

collettivo ma anche quello degli interessi di coloro che si fanno attrarre da tale semplificazione. È

implicita in questa concezione del populismo un’immagine negativa delle moltitudini: il “popolo” è

spesso disinformato, distratto, disinteressato al bene comune, volatile nelle preferenze e nel giudizio

politico, attratto dalle semplificazioni concettuali, estraneo alla razionalità e al senso civico richiesto

dall’analisi dei problemi sociali ed economici più urgenti e complessi. Non solo: in tale accusa è

implicita una valorizzazione paternalistica del ruolo delle élite tecnocratiche, considerate le più

adatte a identificare e interpretare le vere esigenze e i veri interessi delle persone comuni. La

maggioranza dei cittadini vivrebbe, secondo gli anti-populisti, in una sorta di falsa coscienza indotta

da mancanza di competenze, da pigrizia cognitiva, e da un uso smodato della TV o dei social

media, che non permetterebbero alle persone comuni di giudicare da sé del proprio destino politico.

Questa interpretazione anti-populista del significato politico dei populismi, ancorché

egemone, è inadeguata. Per chi ritiene che gli appetiti delle oligarchie – per usare i termini di

Machiavelli – costituiscano un elemento di rischio importante per quanto riguarda il perseguimento

del bene comune, non è difficile vedere come l’accusa di populismo possa diventare facilmente uno

strumento per mantenere ed estendere il potere di quelle stesse oligarchie, oltre che la loro influenza

sulla vita e le decisioni pubbliche, riducendo così ogni tentativo di contestazione che viene dal

basso a irrazionalità o pigrizia intellettuale o morale. L’anti-populismo può dunque diventare

un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a rischio la stessa convivenza democratica. E il

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populismo, se propriamente articolato, può invece essere utile alla vita democratica. Questo ci

insegna Macchiavelli attraverso un recente dibattito anglosassone sulle tesi dei Discorsi sopra la

prima deca di Tito Livio.

L’anti-populismo e il dibattito neo-repubblicano su Machiavelli

In questo breve scritto, vogliamo spiegare la potenzialità contestatoria e anti-elitista del populismo,

esplorandone le potenzialità democratiche. Il nostro punto di partenza è la lettura che il politologo

John McCormick ha dato di ciò Machiavelli dice nei Discorsi a proposito delle istituzioni della

Repubblica romana, lettura contrapposta a quella cosiddetta neo-repubblicana, e ormai divenuta

ortodossa, di autori come lo storico Quentin Skinner e il filosofo Philip Pettit.2 McCormick pone in

risalto quegli aspetti che possono essere legittimamente – anche se anacronisticamente e

provocatoriamente – chiamati populisti delle teorie di Machiavelli. Per Machiavelli la Repubblica

romana offre un esempio, per quanto imperfetto, di un sistema istituzionale all’interno del quale

anche coloro che non appartengono alle élite possono contestare efficacemente, e per di più per via

istituzionale, il potere e le ambizioni delle oligarchie, la cui azione sarebbe altrimenti priva di limiti

e dannosa per gli interessi delle persone comuni, oltre che per la sopravvivenza stessa della

Repubblica, e quindi nel lungo termine per gli interessi di tutti, incluse le oligarchie stesse. Questo

aspetto contestatorio si riscontra nelle magistrature plebee della costituzione mista della Repubblica

romana, che garantiva ai semplici cittadini ampi poteri reattivi e propositivi tramite assemblee

dedicate e potenti ruoli politici, in primo luogo il tribunato, a cui le élite non avevano accesso.

Tramite una lettura attenta di Machiavelli, è possibile mostrare la continuità tra l’anti-

populismo e il pensiero conservatore e antidemocratico, ed è possibile contrapporre ai pericoli che

derivano dagli istinti popolari i pericoli altrettanto seri costituiti dagli abusi, talvolta persino

inconsapevoli e involontari, delle élite. Machiavelli cerca di elaborare principi e istituzioni anti-

elitarie, anti-oligarchiche, propriamente democratiche e partecipative. Per quanto i tempi siano

cambiati, le sue idee possono essere d’aiuto e d’ispirazione quando ci si accinge a progettare

istituzioni adatte ad arginare la disaffezione per la politica e a restituire il controllo autentico delle

decisioni pubbliche ai cittadini. Crediamo che il dibattito anglosassone su Machiavelli sia uno

sfondo teorico adeguato per queste riflessioni perché permette di ricostruire con precisione le varie

posizioni in campo.

Nel dibattito anglosassone, la rilettura di Machiavelli nell’ambito dell’analisi critica della

politica contemporanea ha una storia ormai pluridecennale. Il lavoro di recupero dell’ideologia delle

città italiane tra il tardo medioevo e il rinascimento, compiuto dagli storici di origine tedesca Felix

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Gilbert e Hans Baron, fu recepito nel contesto anglosassone come un salutare contrappeso

all’interpretazione liberale (e lockeana) del costituzionalismo americano. All’individualismo, basato

sulla proprietà privata, di questa interpretazione veniva contrapposta l’influenza che sui costituenti

americani aveva esercitato l’ideale italiano del repubblicanesimo civico e delle virtù del buon

cittadino, impegnato nel perseguimento del bene comune della Repubblica.3 Fu il libro di John

Pocock sul momento machiavelliano ad individuare in Machiavelli il perno cruciale di quella

tradizione, mostrando come le idee di Machiavelli fossero penetrate all’interno del puritanesimo

inglese e, quindi, delle colonie americane.4 Pocock presenta l’ideale repubblicano di Machiavelli

come centrato sulle virtù civiche e partecipative, viste come ultimo rimedio alla decadenza delle

istituzioni repubblicane. Questo era stato un tema già di Polibio. Machiavelli lo aveva percepito in

tutta la sua concreta drammaticità, da protagonista di quell’esperienza tarda di repubblicanesimo

italiano che fu la penultima Repubblica fiorentina, la cui crisi fu l’occasione principale delle sue

riflessioni. Il libro di Pocock contribuì a superare l’interpretazione allora corrente di Machiavelli

come teorico del potere e dell’emergente sovranità statale.

Fu però Quentin Skinner a elaborare quell’interpretazione neo-repubblicana di Machiavelli

che è oggi diventata ortodossa.5 Mentre Pocock aveva associato l’ideale repubblicano alle virtù

civiche, Skinner si concentra sull’ideale classico-romano di libertà personale. La costituzione

repubblicana si caratterizza non come modello istituzionale ideale dove l’animale politico

aristotelico può esercitare le sue virtù civiche, ma piuttosto come semplicemente uno strumento per

garantire a cittadini imperfetti uno stato nel quale non siano costantemente minacciati da

interferenze esterne. Questa è un’interpretazione di Machiavelli che trova riscontro in quei passaggi

dei Discorsi in cui si insiste sul desiderio dei più di vivere in sicurezza, sia per quanto riguarda la

propria persona che per quanto riguarda i propri averi, liberi da qualsiasi minaccia che potrebbe

derivare dai desideri di ricchezza, potere o prestigio di altri. Come in Pocock, ma per motivi diversi,

la teoria della libertà neo-romana è vista in Skinner come alternativa al liberalismo più ortodosso,

dato che la protezione della libertà richiede che si pongano dei limiti precisi alle ambizioni politiche

ed economiche dei singoli.

Queste svolte neo-romane negli studi su Machiavelli vengono recepite da McCormick, che

però porta l’attenzione sulla decisa formulazione anti-elitaria e anti-oligarchica dell’ideale romano

nei Discorsi. Nella lettura di McCormick, il valore che Machiavelli attribuisce a soluzioni romane è

un valore strumentale: esse servono ad arginare quello che per Machiavelli è il problema centrale

delle Repubblica, e cioè gli appetiti di dominazione delle élite politiche ed economiche. Secondo

McCormick, Machiavelli è infatti democratico in un senso esplicitamente classista.

L’etimologia del termine democrazia suggerisce un riferimento al popolo e al suo potere,

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dove il popolo è concepito non come unità astratta, etnica o nazionale che sia, ma semplicemente

come insieme multiplo e variegato di tutti quelli che non fanno parte dei ranghi dei potenti, come

moltitudine. Una rapida scorsa alla storia del pensiero politico mostra che, fino a tempi recenti, il

termine democrazia ha sempre avuto una valenza contestatoria e conflittuale. Il termine era

utilizzato principalmente dalle élite con connotazione negativa, allo stesso modo in cui oggi si tende

a invocare la parola populismo. Tale connotazione negativa si trova per esempio già nell’Etica

Nicomachea, dove Aristotele descrive la democrazia come una perversione della forma di governo

timocratica, nella quale invece il potere è attribuito ai soli possidenti.6 L’uso dispregiativo del

termine democrazia si ritrova inoltre nell’Italia rinascimentale, quando Guicciardini, proprio in

opposizione a Machiavelli, metteva in guardia dai governi popolari e dal popolo, perché a suo

avviso “è forse tanto più pestifera la sua tirannide [del popolo] quanto è pericolosa l’ignoranza,

perché non ha né peso né misura né legge che la malignità”.7 Si ritrova anche negli scritti dei

fondatori degli Stati Uniti d’America, ad esempio in Madison, che lamenta lo “spettacolo di tumulti

e rivalità” delle democrazie e l’intrinseca incompatibilità tra i governi popolari e la “sicurezza

personale o il diritto di proprietà”.8

McCormick mostra chiaramente che a questa tradizione anti-popolare, Machiavelli è

decisamente alternativo, dato che Machiavelli contrappone ai rischi posti dal governo popolare

quelli altrettanto gravi attribuibili alle élite economiche e politiche. Per questo motivo, quella di

McCormick è una rilettura importante dal punto di vista storico. Madison e gli altri padri fondatori

della costituzione statunitense considerati tra i principali eredi di Machiavelli nell’interpretazione di

Pocock e Skinner. McCormick mostra invece che Madison e gli altri padri fondatori sono gli eredi

dell’elitarismo di Guicciardini.

Gli argomenti politici del Machiavelli democratico

Il potenziale profondamente democratico del pensiero di Machiavelli potrebbe non essere evidente a

chi si limitasse a una lettura superficiale della sua opera più celebre, il Principe, con la sua

precettistica sulla conquista e sulla gestione del potere che può forse, come suggerito da Dario Fo in

un noto e bellissimo sketch, essere utilizzata a scopi difensivi dalle potenziali vittime. Sono invece i

Discorsi a costituire il principale oggetto della disputa interpretativa tra i neo-repubblicani e

McCormick. Per i neo-repubblicani i Discorsi sono il principale tramite tra il pensiero romano e la

modernità politica, alla quale trasmettono un ideale di libertà intesa come godimento passivo di una

condizione nella quale la sicurezza personale è garantita dalla legge, che ha la funzione primaria di

proteggere i cittadini dagli arbitrii di maggioranze facinorose e imprevedibili.9 Per McCormick, i

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Discorsi sono invece una lunga analisi delle virtù delle istituzioni popolari della Repubblica romana

quale miglior garanzia per la libertà dei più e per proteggere la Repubblica dagli appetiti oppressivi

delle élite politiche ed economiche.

Tra le altre cose, il contributo di Machiavelli permette di rilevare la potenziale insufficienza

dei meccanismi elettorali come strumento di controllo popolare sul potere detenuto dalle oligarchie,

in contrasto quindi con la teoria neo-repubblicana basata sulla rappresentanza e sulle elezioni intese

come atto di autorizzazione delle decisioni politiche. Questa contrapposizione teorica era già

evidente in epoca rinascimentale, dove la disputa sul destino della Repubblica fiorentina

contrapponeva da una parte i pensatori aristocratici ed elitisti – come Guicciardini, che a partire

dall’esplicita condanna degli umori e delle capacità del popolo preferiva governi “stretti” sul

modello della costituzione della Repubblica di Venezia – e dall’altra Machiavelli, che si rifaceva

invece alla Roma repubblicana per proporre correzioni contestatorie all’inevitabile deriva

oligarchica delle repubbliche. Machiavelli unisce dunque uno sguardo duramente realista

sull’inevitabilità sociologica delle oligarchie a un giudizio fortemente negativo sulle conseguenze

del loro potere quando questo potere rimanga incontrollato.

È questo Machiavelli che, a nostro avviso, può servire ad analizzare le istituzioni politiche

delle democrazie contemporanee. L’agnosticismo a proposito del conflitto di classe tra oligarchie e

popolo è implicito nelle istituzioni attuali. Questo spiega i limiti democratici di queste istituzioni

stesse, specialmente in situazioni in cui ricchezza e potere sono concentrati nelle mani di pochi

individui. Questo discorso assume quindi oggi una valenza particolare, visti i dati sulla forte crescita

negli ultimi trent’anni delle disuguaglianze economiche in molte nazioni, incluse le democrazie

occidentali come l’Italia.10

Vogliamo sottolineare quello che secondo noi è l’aspetto più sconcertante del Machiavelli

dei Discorsi, e cioè l’aperta ammirazione per la storia estremamente conflittuale della Repubblica

romana. È al conflitto, ad un certo tipo di conflitto, che Machiavelli attribuisce il successo della

Repubblica romana, successo che nel mondo classico si imputava al giusto equilibrio fra elemento

popolare, senatoriale e monarchico della complessa costituzione romana.11

La tesi di Machiavelli

era probabilmente sorprendente agli occhi dei suoi stessi contemporanei, i quali erano familiari con

la teoria politica comunale che indicava nella concordia civile il supremo valore repubblicano. In

realtà Machiavelli condivide con i suoi immediati predecessori la condanna dei “tumulti” civili, ma

distingue chiaramente la lotta partitica dovuta alla faziosità delle famiglie oligarchiche, in ogni caso

da condannare, dalla salutare “discordia” fra gli umori dei più e il desiderio di potere e prestigio dei

pochi.12

L’accumulo di ricchezze e di poteri è per Machiavelli una conseguenza inevitabile della

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libertà economica e personale concessa dalla costituzione repubblicana. Con altrettanta necessità, le

due classi sociali che vengono così a costituirsi – le oligarchie da una parte e il resto dei cittadini

dall’altra – sono caratterizzati da interessi e attitudini divergenti, che Machiavelli descrive con

dovizia di particolari e con chiara simpatia per il popolo. I ricchi tendono immancabilmente ad

aumentare il loro potere oppressivo, onde accrescere la propria fama e ricchezza, mentre le persone

comuni sono piuttosto interessate a difendere quella libertà e quei pochi averi, sempre minacciati

dai potenti, che il loro umile stato sociale può garantirgli (Discorsi I.7).13

A sostegno di questa tesi

Machiavelli cita la violenta e omicida reazione dell’aristocrazia romana a fronte del tentativo di

riforme e di redistribuzione delle terre agricole portato avanti dai Gracchi (Discorsi I.5 e Discorsi

I.37), a cui contrappone la pacifica secessione della plebe come reazione alle angherie dei patrizi e

all’esclusione dalla vita politica nei primi anni della repubblica (Discorsi I.4 e Discorsi I.40). È da

questa contrapposizione tra i diversi desideri delle moltitudini e delle oligarchie che Machiavelli

conclude che “i desideri de' popoli liberi, rade volte sono perniciosi alla libertà perché e' nascono,

o da essere oppressi, o da suspizione d'avere a essere oppressi” (Discorsi I.4).

Machiavelli insiste in modo particolare sulla bontà del giudizio politico del popolo, per

difenderne le prerogative dalle critiche che poi si ritrovano nella tradizione guicciardiniana e nel

timore anche neo-repubblicano delle maggioranze ignoranti, pigre, oppressive e talvolta violente.

Alcune delle idee che Machiavelli usa traggono ispirazione dal pensiero antico e vanno nella

direzione di istituzioni in cui il potere decisionale è affidato largamente al popolo sulla base della

varietà di prospettive e di approcci che l’inclusione delle classi popolari garantisce al governo

pubblico. L’argomento più originale si basa però sulla migliore conoscenza da parte popolare dei

pericoli generati dagli appetiti dei potenti e sull’interesse prioritario che i cittadini comuni hanno

per la libertà personale (Discorsi I.58). Machiavelli riconosce i limiti di virtù e competenze delle

persone comuni ma, in modo del tutto moderno, suggerisce che i problemi dovuti a tali limiti si

possono attutire all’interno di istituzioni deliberative pienamente e genuinamente partecipative,

portando ad esempio il caso in cui la plebe romana aveva combattuto duramente per ottenere il

diritto all’elezione ad una certa magistratura per poi scegliere per quella posizione un membro

dell’aristocrazia, dando dimostrazione di ragionevole imparzialità. La lezione metodologica di

Machiavelli è qui importantissima: quando anche si riconoscessero i pericoli del populismo – i quali

sono generalmente esagerati dai teorici di parte oligarchica – essi dovrebbero sempre essere

contrapposti non sì ad un sistema politico nel quale degli esperti illuminati gestiscono

virtuosamente il potere, ma alle oligarchie come le conosciamo dalla storia, composte cioè da

persone appartenenti ai potentati economici o da tecnici e tecnocrati organici a questi potentati. Per

quanto questi esperti possano dire – e anche credere – di voler perseguire il bene comune, i loro

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tentativi di perseguire questo bene comune sono inevitabilmente e talvolta involontariamente

ancorati ai loro interessi privati e al loro desiderio di prestigio e di riconoscimento politico.

Su queste basi va riconsiderata l’importanza e la possibile attualità delle istituzioni popolari

che Machiavelli discute. Guicciardini aveva osservato che le elezioni erano uno strumento elitista

quanto mai funzionale: garantivano la puntuale ratifica da parte popolare delle deliberazioni che i

“migliori” (cioè le élite) prendevano autonomamente. McCormick ravvisa nell’interpretazione

elettoralistica del controllo popolare tipica di Guicciardini quella che diventerà in seguito la teoria

rappresentativa della democrazia nelle mani dei costituenti americani o, più radicalmente, la teoria

della selezione delle élite in Schumpeter.14

Le risorse richieste dalla competizione elettorale

escludono di fatto la parte popolare dalla vita pubblica esecutiva, lasciando alle moltitudini un ruolo

del tutto passivo e di mera “autorizzazione” delle decisioni politiche prese da altri. Non per nulla

Machiavelli contrappone alle elezioni il sistema di selezione delle magistrature politiche per

sorteggio, diffuso nell’Atene classica e in modo più limitato nella Repubblica fiorentina. La

lottocrazia evita almeno alcuni dei meccanismi che consentono alle élite di avere mano libera nella

vita politica, come in particolare la superiore capacità degli appartenenti alle élite di mobilitare

risorse per ottenere il consenso pubblico. Il sorteggio di alcune cariche pubbliche rende concreta la

possibilità che cittadini estranei alle oligarchie riescano a ricoprire tali cariche, un’eventualità in

larga parte solo teorica anche nei sistemi nei quali le cariche sono formalmente contendibili da

ciascuno. Nelle repubbliche antiche, tale sistema aveva l’ulteriore vantaggio di indurre una condotta

cauta nei “potenti”, i quali potevano aspettarsi di trovarsi cittadini di parte popolare in posizioni

preminenti.15

Un’altra istituzione della Repubblica romana che Machiavelli giudica positivamente è il

tribunato: una carica politica riservata al popolo il cui scopo principale è la limitazione del potere

delle magistrature esecutive. Il tribunato ha caratteristiche del tutto estranee alle cariche delle

moderne repubbliche democratiche, in quanto è riservato al popolo ed è quindi una magistratura

esplicitamente “classista”. Questa soluzione non cristallizza lo stato subordinato della parte

popolare ma, riconoscendo l’inevitabilità del conflitto e del dominio delle élite, fornisce alla parte

popolare un importante strumento di contestazione. Inoltre, i poteri tipici del tribunato non si

limitavano al diritto di veto, soluzione che configurerebbe un sistema politico nel quale le élite

governano e la maggioranza dei cittadini ha un ruolo meramente passivo e reattivo, ma includevano

poteri propositivi. A Roma, il tribuno poteva convocare le assemblee popolari e imporre ordini del

giorno popolari alla discussione al Senato.16

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L’importanza contemporanea del Machiavelli democratico

La natura “classista” del tribunato incarna una descrizione della vita politica in termini di conflitto

fra gruppi caratterizzati socio-economicamente che sembra adeguata alle circostanze attuali. Il

popolo per Machiavelli include tutti coloro che non appartengono ai ranghi dei potenti e che non

hanno quindi risorse sufficienti per perseguire i propri interessi dirottando le istituzioni

repubblicane. Il popolo dunque, nelle repubbliche contemporanee come ai tempi di Machiavelli,

include la stragrande maggioranza dei cittadini. Questo permette di continuare a utilizzare l’utile

linguaggio del conflitto – utile perché identifica dei meccanismi di dominio che andrebbero

eliminati o almeno controllati – in un contesto come quello attuale che è estremamente plurale dal

punto di vista dei processi produttivi. Si tratta infatti di un contesto in cui molti dei meccanismi di

sopraffazione colpiscono anche lavoratori autonomi, piccoli e medi imprenditori, coloro che fanno

parte della cosiddetta knowledge economy, ecc. Ossia, per dirla più semplicemente, in questa

concezione, significativamente diversa da quella della vulgata marxista che a molti viene in mente

non appena si parli di classi, vi sono solo due classi: quel 99% a cui si riferiscono quelli di Occupy

Wall Street quando dicono “we are the 99%” e quel rimanente 1% costituito dalle oligarchie che

controllano in maniera diretta il potere economico, finanziario e politico. Che poi i numeri siano

effettivamente 99 contro 1 non ha particolare importanza. La valenza simbolica rimane.

Le soluzioni istituzionali che danno potere diretto alle moltitudini possono arginare, secondo

Machiavelli, lo strapotere delle oligarchie, e il fiorentino ne propone surrettiziamente l’istituzione ai

suoi amici aristocratici, a cui i Discorsi sono dedicati, insistendo pretestuosamente su presunti

vantaggi che le élite ne deriverebbero in termini di gloria anche militare. Ma lasciando da parte i

pretesti ed espungendo ovviamente qualsiasi motivazione militarista, auspichiamo che soluzioni

analoghe possano essere escogitate anche per le costituzioni contemporanee, che devono affrontare,

oggi come ai tempi di Machiavelli e della Repubblica romana, i problemi legati alla concentrazione

del potere. Anche in Italia, per quanto con caratteristiche proprie, il problema è grave. Basta

prestare attenzione alle revolving doors tra finanza, industria e politica, per cui alcuni dei Presidenti

del Consiglio dei Ministri più recenti hanno occupato importanti posizioni in agenzie di consulenza

finanziaria e banche d’investimento. Tale fenomeno è solo il caso più apparente dei molteplici

meccanismi che saldano il potere economico e finanziario alle leve delle decisioni politiche. La

sistematica devoluzione dei poteri degli stati a strutture sovranazionali e a banche centrali del tutto

slegate dal controllo democratico è forse l’aspetto più preoccupante di tale sistema d’influenze,

almeno se consideriamo l’impatto delle politiche monetarie, economiche e commerciali sulla

condizione e le prospettive della maggioranza delle persone.

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L’ampio potere di lobbying degli interessi industriali e finanziari, soprattutto a livello

comunitario, dove il controllo democratico è più indiretto e quindi meno trasparente e meno

limitabile, e più in generale l’influenza dei poteri economici sulla vita politica, anche quando

ritenuti inevitabili e – in alcuni limitati contesti – persino positivi, andrebbero a nostro avviso

affiancati a istituzioni populistiche che possano intralciare e infine bloccare il perseguimento di

politiche che minacciano la libertà e il benessere dei più. Alcune decisioni cruciali sono ormai del

tutto impermeabili alla contestazione e filtrano appena nel dibattito pubblico.17

Se si vuole

rimediare alla disaffezione verso la politica tradizionale, misurata da decrescenti affluenze elettorali

nella maggior parte dei paesi più ricchi, occorre porre rimedio alla subordinazione della politica agli

interessi pochi: la disaffezione non è necessariamente dovuta a pigrizia e può invece essere ben

spiegata dalla commistione preoccupante tra forze politiche e interessi economici. L’efficace

istituzionalizzazione del populismo, della contestazione e del conflitto, auspicata da Machiavelli per

Firenze, è auspicabile anche nel contesto attuale.

Questo è importante anche per una valutazione del neo-repubblicanesimo non solo dal punto

di vista storico ma anche dal punto di vista teorico e politico. Le tesi storiche di Skinner che

abbiamo riportato sopra hanno infatti trovato un’elaborazione molto influente nel lavoro del filosofo

Philip Pettit, che in varie pubblicazioni ha proposto di sostituire l’ideale liberale di libertà come

non-interferenza con l’idea repubblicana di non-dominazione quale valore cardine delle società

libere.18

Pettit deriva la sua teoria istituzionale dalla lezione repubblicana classica, e quindi gli

strumenti che dovrebbero garantire la non-dominazione all’interno della sua proposta sono la

certezza del diritto e i meccanismi elettorali. È indubbio che tali dispositivi siano importanti per

garantire le libertà civili, incluse quelle di minoranze potenzialmente oppresse dagli umori della

moltitudine. Pettit per esempio ha giustamente difeso esperienze di governo particolarmente attente

ai diritti delle minoranze, come quella spagnola di Zapatero.19

Questi strumenti sono però inefficaci

rispetto alla fonte di dominazione che deriva dal potere economico di una minoranza, quell’1%, che

domina sempre più il funzionamento delle istituzioni. Non a caso, la contestazione dei meccanismi

delle attuali democrazie elettorali-rappresentative è un tema caro ai movimenti “populisti”

contemporanei, ed è un tema che andrebbe piuttosto affrontato con serietà che tacciato con le

motivazioni tipiche dei pensatori di parte oligarchica.

Inoltre Pettit auspica che, nelle democrazie contemporanee, molte decisioni importanti

vengano delegate a comitati di esperti, in modo che gli interessi di parte non prevalgano e che la

discussione del bene comune non diventi ostaggio di agguerrite fazioni.20

Ma anche se è certamente

importante provare a superare i meccanismi perversi della lotta politica che paralizzano sistemi

politici attuali, Pettit non considera che gli esperti, soprattutto in alcuni campi del sapere, sono

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spesso contigui per interessi e ideologia ai ranghi dei potenti, e che anche quando tentino

onestamente di perseguire il bene comune, la mancanza di un forte e diretto input popolare pone a

rischio gli interessi dei cittadini comuni. È il caso ad esempio della politica economica, dove molto

spesso gli interessi dei potenti possono influenzare la scelta degli esperti e delle teorie economiche

di riferimento a scapito dell’interesse generale.21

L’anti-populismo come strumento delle oligarchie

Parlando di un Machiavelli “populista” non intendiamo assimilare le teorie di Machiavelli ai

movimenti populisti contemporanei. La provocazione ha piuttosto l’intento di indicare il valore

teorico e politico delle idee anti-elitarie e anti-oligarchiche di Machiavelli, soprattutto rispetto agli

argomenti dei vari osservatori critici dei populismi contemporanei, i quali sembrano mostrare

eccessivo ottimismo per quanto riguarda la dedizione al bene comune delle élite politiche ed

economiche.22

Le idee di Machiavelli possono servire a formulare o a riformulare in maniera più

precisa alcune delle preoccupazioni di quelli che vengono accusati di populismo.

L’accusa di populismo corre il rischio di distogliere l’attenzione dai problemi reali che

affliggono le democrazie contemporanee. Per Machiavelli il pericolo vero non sta tanto in un duro

conflitto tra popolo ed élite socio-economiche, quando il conflitto avvenga nell’ambito delle

istituzioni repubblicane, ma piuttosto il pericolo sta in istituzioni repubblicane elitiste, che non

permettono la contestazione e la partecipazione effettiva, e quindi inducono il popolo esasperato a

reazioni violente.23

È interessante che in Italia l’accusa di populismo sia spesso affiancata a una denuncia della

cosiddetta antipolitica.24

Anche questo termine è normalmente utilizzato in senso negativo, per

criticare coloro che si lamentano dell’attuale funzionamento del sistema politico ed economico

senza usare i canali istituzionali ortodossi previsti dal sistema stesso. A noi sembra che

l’antipolitica, che ormai sempre più spesso si associa a ciò che potremmo battezzare l’antifinanza,

sia almeno in parte il sintomo di un crescente rifiuto da parte del popolo della pretesa delle attuali

élite economiche e politiche di avere un controllo sempre più esteso delle istituzioni e delle

decisioni pubbliche. Tale rifiuto spesso non trova la possibilità di esprimersi tramite mezzi

istituzionali, visto che questi mezzi vengono percepiti, a torto o a ragione, come controllati dalle

élite stesse che l’antipolitica e l’antifinanza vogliono contestare. Questo rifiuto perciò cerca

espressione al di fuori delle istituzioni. La ricerca di canali extra-istituzionali e anti-istituzionali, per

quanto forse non sempre e non del tutto negativo, può portare sicuramente a delle distorsioni

pericolose che vanno evitate. Per questo bisogna istituzionalizzare il conflitto. Ma il conflitto può

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Del Savio e Mameli – Il populismo è democratico 11

essere propriamente istituzionalizzato solo se le istituzioni stesse diventano più populiste, cioè più

capaci di dare a quelli che non appartengono alle élite un potere contestatorio che sia efficace e che

sia percepito come tale da quelli che ne possono fare uso. In mancanza di cambiamenti in questa

direzione, la disaffezione nei confronti dei canali istituzionali è destinata a crescere e a raggiungere

forse livelli pericolosi per l’intero sistema di convivenza civile.

Ovviamente, l’elaborazione di strumenti istituzionali populistico-democratici deve tenere

conto delle differenze che esistono tra, da una parte, il contesto romano classico e il contesto

fiorentino rinascimentale e, dall’altra, il contesto attuale. Gli schemi cooperativi della

contemporaneità sono per certi versi molto più complessi e articolati di quello romano e fiorentino,

in parte semplicemente perché coinvolgono interazioni tra un numero maggiore d’individui,

interazioni mediate da complesse tecnologie e strutture che non erano presenti nella Roma antica o

nella Firenze rinascimentale. È ovvio quindi che non si possono prendere le istituzioni della

Repubblica romana, o quelle che Machiavelli avrebbe voluto implementare a Firenze, e

semplicemente innestarle nel presente, in Italia o altrove, senza cambiamenti. Nonostante ciò, ci

preme sottolineare che, per quanto riguarda l’asimmetria di potere tra le oligarchie e il resto della

popolazione, le somiglianze tra il contesto attuale e quelli discussi da Machiavelli sono per certi

versi molto più significative di quanto potrebbe sembrare ad un’analisi superficiale. Per questo

motivo potrebbe forse avere senso pensare alla possibilità di sperimentare con adattamenti ed

elaborazioni delle soluzioni che Machiavelli propone. Al di là di questo però è importante insistere

sul fatto che qualsiasi proposta di revisione e riforma delle attuali istituzioni politiche deve

focalizzarsi su questa asimmetria di potere, asimmetria che invece, sciaguratamente, è solo

raramente menzionata e presa in considerazione nei dibattiti sulle varie possibilità di riforme

istituzionali e costituzionali o nei dibattiti su come “curare” l’elettorato da tendenze populiste o

antipolitiche, soprattutto in Italia.

Questo errore ci sembra, almeno in parte, motivato dagli stessi errori che affliggono il neo-

repubblicanesimo laddove esso si concentra in maniera esclusiva sui pericoli che derivano dalle

folle e dalla loro tirannia. L’uso dispregiativo del termine populista appartiene a una tradizione

teorico-politica caratterizzata dal timore tocquevilliano della “tirannia della maggioranza”,

tradizione recentemente rivalutata dai neo-repubblicani. Nonostante i meriti di questo influente e

importante filone di riflessione politica, le tesi di Machiavelli possono essere utilizzate per

denunciare il potenziale elitista e antidemocratico del neo-repubblicanesimo e la sua incapacità di

affrontare non solo i problemi di perdita di legittimità delle istituzioni democratiche ma anche i

pericoli per i più che derivano dell’élite socio-economica che domina la vita e le decisioni

pubbliche a livello globale. L’eccessiva influenza nelle decisioni pubbliche di tale gruppo ristretto

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di persone è peraltro denunziata da alcuni economisti, come Joseph Stiglitz, il quale attribuisce al

potere dei super-ricchi alcune scelte di politica economico-finanziaria che si sono rivelate disastrose

per le persone comuni e che hanno invece amplificato il potere delle oligarchie stesse a causa della

recrudescenza delle diseguaglianze socioeconomiche che hanno generato.25

La critica al neo-

repubblicanesimo è importante perché questo filone teorico è senza alcun dubbio tra i più attenti ai

meccanismi con cui il potere politico può degenerare, facilmente e talvolta subdolamente, in un

dominio moralmente illegittimo sulla vita delle persone. La critica quindi si applica, a maggior

ragione e con maggior forza, a tutte quelle teorie e proposte istituzionali meno attente a queste

degenerazioni, come le varie versioni del liberalismo più o meno ortodosso.

Tutti coloro che vogliono appellarsi a valori democratici dovrebbero tener presente che la

contrapposizione su cui bisogna concentrarsi non è quella tra giudizio popolare, con tutti i suoi

limiti e le sue imperfezioni, ed élite illuminate, ma piuttosto quella tra giudizio popolare ed élite che

fanno parte di oligarchie i cui interessi sono molto spesso lontani da quelli della stragrande

maggioranza della popolazione. È per questo motivo che una rivalutazione del populismo è

importante per la soluzione dei problemi che le democrazie contemporanee si trovano ad affrontare.

Le fonti di tirannia non si limitano a quelle segnalate da Guicciardini e Madison – ossia le folle

incostanti, ignoranti e malevole – ma includono l’enorme potere politico che la ricchezza garantisce

a una piccola minoranza di individui. È per questo che la teoria di Pettit è per lo meno incompleta.

Un pericolo importante per il cittadino è certamente il rischio che una maggioranza scelga di

utilizzare i poteri pubblici per interferire con le sue scelte di vita, ma le interferenze dovute a quelle

minoranze costituite dalle élite socio-economiche sono talvolta molto più pericolose, oltre che

molto più subdole e quindi più difficili da identificare. Da una presa d’atto di questo fatto si

avvantaggerebbe un discorso pubblico che deve certamente essere attento ai pericoli che possono

correre le minoranze più deboli, ma deve anche affrontare in maniera schietta le asimmetrie di

potere politico causato dalla concentrazione di risorse economiche e finanziare nelle mani di pochi.

La direzione del dibattito attuale è purtroppo condizionata da pregiudizi anti-populistici e

tecnocratici e suggerisce soluzioni istituzionali del tutto opposte a quelle che Machiavelli

preferirebbe. Ciò non è sorprendente se si presta attenzione al fatto che anche il dibattito culturale –

soprattutto condotto attraverso i mezzi di comunicazione – è fortemente influenzato dalle oligarchie

stesse, le quali ovviamente traggono vantaggio da un’impostazione teorica che ne oscura la loro

natura potenzialmente pericolosa. Non è sorprendente se, in tali circostanze profondamente

asimmetriche anche quanto all’impatto sui media, l’unico difetto delle istituzioni democratiche di

cui si parla sembra essere l’inefficienza esecutiva. È per questo che, rinnovando la lunga tradizione

di discussione politica condotta tramite Machiavelli, è importante controbilanciare un approccio che

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per ormai troppi anni ha ignorato i conflitti fra le oligarchie economiche e i cittadini e che sembra

ormai insostenibile alla luce delle crescenti diseguaglianze socio-economiche e della palese

inadeguatezza democratica di alcune delle istituzioni che decidono della nostra vita.

In Italia, dove l’odioso snobismo elitista e antipopolare che caratterizza troppo spesso

l’analisi della vita politica è scambiato per progressismo e dove bollare come eversivi i movimenti

contestatori è considerato un segno di serietà democratica, tale discussione è ancora più

raccomandabile.

Autori:

Lorenzo Del Savio: Dottorando in “Ethics and Foundations of the Life Sciences” presso l’Università di Milano e la

SEMM.

Matteo Mameli: Reader in Philosophy, King’s College London; in passato è stato ricercatore presso la London

School of Economics e presso il King’s College dell’Università di Cambridge; si veda

http://www.kcl.ac.uk/artshums/depts/philosophy/people/staff/academic/mameli/

1 Un esempio tra tanti: Enrico Letta, da Presidente del Consiglio dei Ministri, ha recentemente parlato del pericolo posto

dai “populisti anti-europei” e dal “populismo rabbioso”.

2 Si veda: McCormick J, Machiavellian Democracy, Cambridge University Press, 2011; McCormick J, “Machiavelli

against Republicanism: On the Cambridge School’s ‘Guicciardinian Moments’” Political Theory, vol.31, n.5; Bock G,

Viroli M, Skinner Q (eds), Machiavelli and Republicanism, Cambridge University Press 1993; Pettit P, Republicanism:

A Theory of Freedom, Oxford University Press, 1999.

3 Baron H, The Crisis of the Early Italian Renaissance: Civic Humanism and Republican Liberty in an Age of

Classicism and Tyranny, Princeton University Press, 1955; Gilbert F, Machiavelli and Guicciardini: Politics and

History in Sixteenth Century Florence, Princeton University Press, 1965.

4 Pocock JGA, The Machiavellian Moment: Florentine Political Thought and the Atlantic Republican Tradition,

Princeton University Press, 1975.

5 Skinner, Quentin, 1978. The Foundations of Modern Political Thought (Volume 1: The Renaissance), Cambridge

University Press 1978. Skinner Q, Liberty Before Liberalism, Cambridge University Press 1998.

6 Aristotele, Etica Nicomachea, Libro VIII, cap.10, Laterza, 1999.

7 Guicciardini F, Storia d’Italia, cit. in Silvano G, “Florentine republicanism in the early sixteenth century” (pg. 68) in

Bock G, Viroli M, Skinner Q (ed.). Machiavelli and Republicanism, Cambridge University Press, 1990.

8 Hamilton A, Madison J, Goldman L, The Federalist Papers, n.10, Oxford University Press, 2008.

9 Vedi ad esempio Guarini E, “Machiavelli and the crisis of the Italian Republics” (pg. 28) in Bock G, Viroli M, Skinner

Q (op. cit.).

10 Si rimanda all’Almanacco di Economia di Micromega, “Il ritorno dell’eguaglianza”, del 03/2013.

11 Si veda il libro VI delle Storie di Polibio.

12 Si veda anche Bock G. “Civil discord in Machiavelli’s Istorie Fiorentine” in Bock G, Viroli M, Skinner Q (op. cit.).

13 Ci riferiremo ai passaggi rilevanti dei Discorsi indicando rispettivamente il numero del libro e del capitolo.

14 Schumpeter J, Capitalism, Socialism and Democracy, Harper and Brothers, 1947; in particolare il capitolo XXII.

15 Sulla lottocrazia si veda per esempio Guerriero A, “The lottocracy”, Aeon Magazine, 23 January 2014,

http://aeon.co/magazine/living-together/forget-elections-lets-pick-reps-by-lottery/

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16 Di tali poteri contestatori possiamo forse ravvisare le vestigia in alcuni strumenti della Costituzione della Repubblica

Italiana, in particolare il referendum abrogativo e l’iniziativa di legge popolare. Questi strumenti sono però limitati e

mancano inoltre, per come sono strutturati, di quell’elemento su cui insiste Machiavelli, cioè il fatto che debbano essere

strumenti istituzionali a cui le élite non hanno accesso diretto.

17 Un esempio recente è il caso della negoziazione sull’area di libero commercio trans-atlantico condotta dal governo

americano e dalla Commissione Europea in modo del tutto auto-referenziale e poco trasparente, nonostante i discutibili

vantaggi per la popolazione e a fronte delle evidenti pressioni del mondo economico a suo favore; si veda Monbiot G,

“This transatlantic trade deal is a full-frontal assault on democracy”, The Guardian, 4 November 2013,

http://www.theguardian.com/commentisfree/2013/nov/04/us-trade-deal-full-frontal-assault-on-democracy.

18 Oltre al citato Pettit (1999) si veda anche Pettit P, On the People’s Terms, Cambridge University Press, 2012.

19 Marti JL, Pettit P, A Political Philosophy in Public Life: Civic Republicanism in Zapatero’s Spain, Princeton

University Press, 2010.

20 Pettit P, “Depoliticizing democracy”, Ratio Juris, 17-1, 2004 (52–65).

21 Per una discussione centrata sulle politiche di austerità e sui cosiddetti Bocconi boys, si veda Krugman P, “How the

case for austerity has crumbled” The New York Review Books, 6 June 2013,

http://www.nybooks.com/articles/archives/2013/jun/06/how-case-austerity-has-crumbled/

22 Si vedano per esempio alcuni recenti editoriali di Eugenio Scalfari sul quotidiano La Repubblica.

23 È per questo motivo che Machiavelli, per esempio, promuove le procedure romane di impeachment popolare, le quali

a suo parere permetterebbero uno svolgimento ordinato delle procedure di ripudio di quei politici che si rendono

colpevoli di perseguire i propri interessi piuttosto che quelli della comunità (Discorsi I.7). Non è forse un caso se,

contrariamente a quanto suggerito da Machiavelli, le procedure di impeachment nelle costituzioni moderne sono

attribuite esclusivamente ad altri poteri.

24 Ma non solo in Italia. Si veda per esempio il recente dibattito nel Regno Unito sulle affermazioni anti-voto del

comico Russell Brand, recentemente invitato a essere ‘guest editor’ del settimanale politico New Statement. Bisogna

tener presente però che il termine antipolitics viene talvolta usato nel dibattito anglosassone con un significato diverso.

25 In particulare in: Stiglitz J, The Price of Inequality, Norton, 2012; specialmente capitolo 5.