Riflessioni sul populismo - Sipotra · 2019. 7. 19. · Il rapporto con la crisi della democrazia...

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di Tullio Fenucci Ricercatore di Diritto pubblico comparato Università degli Studi di Salerno Riflessioni sul populismo 17 LUGLIO 2019 ISSN 1826-3534

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di Tullio Fenucci

Ricercatore di Diritto pubblico comparato Università degli Studi di Salerno

Riflessioni sul populismo

1 7 L U G L I O 2 0 1 9

ISSN 1826-3534

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Riflessioni sul populismo *

di Tullio Fenucci Ricercatore di Diritto pubblico comparato

Università degli Studi di Salerno

Sommario: 1. Introduzione. 2. La relazione diretta tra leader e masse. 3. Le origini storiche. 4. Il rapporto con la crisi della democrazia rappresentativa e il diffondersi di istituti di democrazia diretta. 5. Populismo “digitale” e democrazia diretta. 6. Alla ricerca di una definizione di populismo. 7. Perplessità sulla sua qualificazione come ideologia. 8. Plebiscitarismo e populismo: il caso De Gaulle. 9. Populismo, totalitarismo e autoritarismo. 10. Conclusioni.

1. Introduzione

L’ordine politico-costituzionale delle moderne democrazie, fondato sulla rappresentanza politica, è

percorso oggi da crisi di natura politica, economica e sociale di vasta portata.

A monte delle varie forme di crisi un famoso sociologo e filosofo ha colto l’esistenza di una sorta di

“meta-crisi”, relativa al “nostro modo di essere nel mondo”, dovuta al venir meno della “speranza di un

futuro migliore del presente” in un’epoca in cui il progresso “evoca più paura che speranza”1.

In tale contesto viene in evidenza anche la crisi della rappresentanza, che si presenta come “permanente”2.

Infatti un po’ dovunque si può cogliere la disaffezione delle masse nei confronti dei meccanismi della

democrazia rappresentativa e la crescente delegittimazione delle istituzioni democratiche quale

conseguenza della diffusa corruzione delle classi dirigenti e del discredito dei partiti politici tradizionali3.

Questi ultimi, in particolare, percepiti come autoreferenziali e lontani dai bisogni della gente, sembrano

ormai privi di una identità definita ed incapaci di continuare a rappresentare il collante tra società civile e

istituzioni, che in fondo dovrebbe essere la giustificazione principale della loro esistenza.

Peraltro tale situazione non ha origini recenti e anzi da tempo, nei paesi democratici più avanzati, è in

atto una tendenza a una sostanziale riduzione della partecipazione politica popolare, con un drastico calo

* Articolo sottoposto a referaggio. 1 Le frasi tra virgolette sono tratte dall’intervista a Zygmunt Bauman di W. GOLDKORN, La fine delle élite. Perché i demagoghi hanno successo, in L’Espresso, 4 luglio 2016, reperibile nel sito web http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2016/06/29/news/perche-i-demagoghi-hanno-successo-1.275398 – ultimo accesso 24 maggio 2019. 2 In tal senso v. S. STAIANO, La rappresentanza, 2 agosto 2017, in Rivista AIC, n. 3/2017, p. 40. 3 V. in proposito L. FERRAJOLI, Democrazia e populismo, 30 luglio 2018, in Rivista AIC, n. 3/2018, p. 3, che fa riferimento anche al duro giudizio sulla Camera dei Comuni inglese, sul Senato statunitense e sull’Assemblea nazionale francese formulato da T. JUDT, Guasto è il mondo (2010), tr. it. di F. GALIMBERTI, Roma-Bari, 2012, p. 119.

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degli iscritti ai partiti e il preoccupante fenomeno della crescente astensione dei cittadini dal voto, al punto

che il suffragio universale, formalmente esistente, risulta essere sempre meno effettivo.

Inoltre il rapporto tra politica ed economia ha subito un rovesciamento, con la seconda che sembra essersi

imposta sulla prima e che quindi, al contrario del passato, impone ormai la sua agenda4.

Si poi è assistito anche alla crescita del ruolo del potere giudiziario e al proliferare di istituzioni tecniche

non rappresentative.

Bisogna osservare che, a partire dalla rivoluzione francese, quanto meno nell’Europa continentale, si

riteneva che i giudici dovessero essere relegati a meri servitori della legge, a causa della diffidenza nei

confronti delle corti dell’antico regime e per il ruolo centrale assunto nel sistema dalla legge stessa, in

quanto espressione della volontà generale e a cui era affidato il compito di assicurare la migliore

protezione dei diritti dei cittadini5. Tuttavia il discredito dei regimi parlamentari europei, che nella prima

metà del XX secolo non riuscirono a sbarrare la strada ai regimi totalitari, fece venir meno tale assunto,

con la conseguenza che i Parlamenti, dopo la generalizzata introduzione di forme di controllo di

costituzionalità delle leggi, cedettero al potere giudiziario il ruolo di garanzia ultima dei diritti6.

Come è noto, nella moderna forma di democrazia il popolo non si governa autonomamente ma solo

tramite rappresentanti; tuttavia le decisioni assunte e le politiche perseguite sono sottoposte al suo

giudizio, nel momento in cui, con le elezioni, esso sceglie se confermare o negare la fiducia concessa ai

medesimi rappresentanti. Invece nella democrazia diretta, nella sua forma pura adatta solo a una comunità

composta da un numero ridotto di persone, il popolo si governa da sé, senza intermediari.

Una simile alternativa potrebbe far ritenere non democratico un sistema in cui il potere giudiziario, non

espressione del popolo né sottoposto al suo controllo, abbia un ruolo preponderante, al punto da

assurgere a una sorta di “potere costituente permanente” anche a causa delle mancanze del potere

legislativo7.

4 V. L. FERRAJOLI, Democrazia e populismo, cit., p. 7: “Non sono più i governi e i parlamenti che dettano regole ai poteri economici e finanziari, ma sono quei nuovi sovrani assoluti, invisibili e irresponsabili che sono diventati i mercati che dettano regole ai poteri politici e ai quali essi, ben più che ai parlamenti o all’elettorato, ritengono di dover rispondere. Non sono più gli Stati che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono le grandi imprese che mettono in concorrenza gli Stati, privilegiando per i loro investimenti i paesi nei quali massima è la possibilità di sfruttare il lavoro, di inquinare l’ambiente e di corrompere i governi. Di qui il vuoto programmatico e la percezione della politica come una funzione parassitaria: tanto impotente nei confronti dei poteri economici quanto onnipotente, per poter attuare le direttive dei mercati, nei confronti della società e dei diritti delle persone”. 5 V. C. PINELLI, The Populist Challenge to Constitutional Democracy, in European Constitutional Law Review, 7/2011, p. 12. 6 V. C. PINELLI, The Populist Challenge, cit., p. 13. 7 V. A. RUGGERI, Crisi della rappresentanza politica e Stato giurisdizionale (nota minima su un’annosa e irrisolta questione), in federalismi.it, n. 23, 5 dicembre 2018, p. 11.

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In verità si è rilevato che lo stesso potere giudiziario non si sottrae alla crisi dello Stato nel suo complesso8

e il frequente cortocircuito esecutivo-giudiziario, fenomeno non circoscritto al nostro paese, si traduce in

una crisi di legittimazione dell’autorità dello Stato che si manifesta attraverso il discredito delle sue

istituzioni nella loro totalità. Peraltro una simile situazione non è causa ma conseguenza della crisi dei

regimi liberaldemocratici.

Lo scenario illustrato sembra sia sfociato in una crisi della stessa sovranità dello Stato; ciò sembra vero a

maggior ragione per l’Europa, dove organismi sovranazionali dotati di scarsa legittimazione democratica

hanno visto espandere i propri poteri in modo amplissimo.

D’altronde la soluzione dei complessi problemi che gli Stati contemporanei sono chiamati ad affrontare

non può oggi essere lasciata alle sole istituzioni rappresentative e al potere giudiziario, ma necessita la

presenza di appositi organismi i cui membri sembrano legittimati esclusivamente dall’alto tasso di

conoscenze tecniche. In tal modo si assiste al proliferare di istituzioni non rappresentative di natura

prettamente tecnica, di livello nazionale e sovranazionale, che, percepite come distanti dal comune

cittadino, sembra abbiano fornito un apporto significativo all’esplosione della protesta nei confronti del

regime rappresentativo e allo sviluppo del populismo.

Quest’ultimo è un fenomeno complesso, su cui negli ultimi decenni sono fioriti numerosissimi studi che

hanno prodotto una bibliografia praticamente sconfinata9. In via di prima approssimazione esso può

essere identificato con tutte quelle formule politiche che, contrapponendo al regime rappresentativo delle

élite corrotte il popolo inteso come gruppo sociale omogeneo, ne esaltano oltre misura il ruolo,

idealizzandolo come “depositario esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti”10.

8 Con specifico riferimento all’Italia esprime considerazioni in tal senso E. CUCCODORO, Il diritto pubblico della transizione costituzionale italiana, Bologna, 2011, III ed., pp. 21 ss. 9 Tra i moltissimi: M. CANOVAN, Trust the People! Populism and Two Faces of Democracy, in Political Studies, XLVII, 1999, pp. 2 ss.; L. INCISA DI CAMERANA, Voce Populismo, in N. BOBBIO, N. MATTEUCCI e G. PASQUINO (diretto da), Dizionario di politica, III ed., Torino, 2004, pp. 823 ss.; D. LANDAU, Populist Constitutions, in The University of Chicago Law Review, 85, 2018, pp. 521 ss.; Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, Bologna, 2001 (titolo originale Par le peuple, pour le peuple. Le populisme et les démocraties, Parigi, 2000); C. MUDDE, The Populist Zeitgeist, in Government and Opposition, vol. 39, n. 4, autunno 2004, pp. 541 ss.; C. PINELLI, Populismo e democrazia rappresentativa, in Democrazia e diritto, n. 3-4/2010 (dal titolo: Il populismo. Soggetti, culture, istituzioni), pp. 29 ss. e gli altri contributi del medesimo volume; i contributi sul tema populismo pubblicati sulla rivista German Law Journal, vol. 2 e 3, Aprile 2019; P. TAGGART, Il populismo, Troina (En), 2002 (titolo originale Populism, 2000); N. URBINATI, Democracy and Populism, in Constellations, vol. 5, no. 1, 1998, pp. 110 ss. 10 V. L. INCISA DI CAMERANA, Voce Populismo, cit., p. 823.

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L’avanzata di formazioni politiche radicali di varia natura accomunate dall’etichetta di populismo sembra

essere caratterizzata dalla comune contestazione della democrazia rappresentativa11 in nome dell’antico

mito della democrazia diretta12.

I movimenti populisti sembrano costituire una grave minaccia per la democrazia, visto che, talvolta

persino nel cuore dell’Unione Europea13, quando hanno conquistato il potere politico hanno sovvertito

di fatto il regime costituzionale, ledendo il ruolo delle minoranze e asservendo lo stesso potere giudiziario

alla volontà dispotica della maggioranza.

2. La relazione diretta tra leader e masse

A questo punto appare opportuno cominciare più specificamente ad interrogarsi sulle caratteristiche del

populismo, nei limiti in cui tale sfuggente concetto lo consenta14.

Il fenomeno in questione, in tutte le sue varianti, oltre ad esaltare il ruolo del popolo rendendolo costante

termine di riferimento in contrapposizione alle corrotte élite del regime rappresentativo, nella sua essenza

prevede l’esistenza di un rapporto senza intermediari tra un leader e una massa di seguaci a lui fedeli15,

che si sostituisce al complesso sistema di relazioni e mediazioni di natura politica, sociale, istituzionale e

culturale normalmente caratteristiche di un regime democratico-rappresentativo. Infatti partiti e

movimenti populisti giustificano la propria legittimazione in quanto presunti interpreti dell’autentica

volontà popolare, che li autorizza alla contestazione della classe dirigente16.

11 V. P. TAGGART, Populism and the Pathology of Representative Politics, in Y. MÉNY e Y. SUREL (a cura di), Democracy and the Populist Challenge, Basingstoke, Gran Bretagna, 2002, specie pp. 71 ss. 12 V. in proposito O. MASSARI, Partiti e Parlamento negli ordinamenti di democrazia pluralista, in Astrid, Rassegna n. 15/2017, pp. 6-7, secondo cui dappertutto, e non solo in Europa, si assiste alla formazione e affermazione di partiti “anti-globalizzazione, anti-establishment, anti-europei (nel senso di anti-integrazione europea), anti-immigrazione, separatisti. Non tutti – di solito etichettati come partiti populisti – e non sempre sono necessariamente antidemocratici, razzisti, xenofobi … Non c’è dubbio, tuttavia, che molti di questi partiti – come il nostro M5S – contestano frontalmente la cultura, le norme anche comportamentali, le procedure, le regole della democrazia rappresentativa, alla quale si contrappone ancora una volta – la storia si ripete! – il mito della democrazia diretta”. 13 A proposito dell’Ungheria v. A. DI GREGORIO, L’Ungheria e i valori europei. Un matrimonio difficile, 17 settembre 2018, reperibile nel sito web http://www.dpce.it/l-ungheria-e-i-valori-europei-un-matrimonio-difficile.html – ultimo accesso 24 maggio 2019; T. FOURNIER, From Rhetoric to Action: A Constitutional Analysis of Populism, European University Institute, Deparment of Law, Research Paper No. 2018/8; G. HALMAI, Populism, authoritarianism and constitutionalism, in German Law Journal, vol. 20, Aprile 2019, pp. 296 ss.; K. L. SCHEPPELE, The opportunism of populists and the defense of constitutional liberalism, in German Law Journal, vol. 20, Aprile 2019, pp. 314 ss. Sulla Polonia v. W. SADURSKI, How Democracy Dies (in Poland): A Case Study of Anti-Constitutional Populist Backsliding, January 17, 2018, in Sydney Law School, Legal Studies Research Paper No. 18/01. 14 In merito v. D. LANDAU, Populist Constitutions, cit., p. 523, che osserva che il concetto di populismo è violentemente dibattuto. 15 In tal senso v. P. MAIR, Populist Democracy vs Party Democracy, in Y. MÉNY e Y. SUREL (a cura di), Democracy and the Populist Challenge, cit., pp. 88-89. 16 V. C. PINELLI, Populismo e democrazia rappresentativa, cit., p. 29.

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Il rapporto diretto tra leader e popolo, che caratterizza il populismo accomunandone le differenti forme,

è favorito dai mezzi di comunicazione.

Peraltro, se attualmente si discute del ruolo dei social networks e di internet in generale, non bisogna

dimenticare il ruolo importante ricoperto nel corso degli anni e tuttora svolto dalla televisione e ancora

prima dalla radio. A tal proposito bisogna osservare che i mass-media sono strumenti attraverso i quali il

messaggio che si intende veicolare giunge direttamente ai cittadini senza alcun intermediario, un po’ come

accade agli oratori di un comizio o di un’assemblea, sebbene, naturalmente, tali mezzi di comunicazione,

non a caso definiti di massa, amplino notevolmente la platea dei destinatari.

Una differenza importante fra i tradizionali mass-media quali radio e televisione e quelli appartenenti

all’ultima frontiera dello sviluppo tecnologico è data dall’illusione che in questi ultimi la comunicazione

possa seguire anche il percorso inverso, cioè da cittadino-elettore direttamente al leader politico; ciò

conduce alla convinzione che social networks e siti web possano rappresentare un mezzo per realizzare

finalmente una più piena forma di democrazia, ovviamente di natura diretta.

In realtà, simili relazioni tra leader e masse, dietro la facciata delle tecnologiche nuove forme di

democrazia diretta, nascondono involuzioni autoritarie e l’influenza dei singoli cittadini, in una

comunicazione mediata dagli strumenti tecnologici oggi imperanti, è pressocché nulla.

Diversa questione è la presenza nei vari ordinamenti anche di istituti di democrazia diretta, che sono,

però, strumenti integrativi e non certo sostitutivi della democrazia rappresentativa. Infatti

tradizionalmente il moderno concetto di democrazia è caratterizzato dall’esistenza del principio di

rappresentanza, sulla scorta del quale il popolo è sovrano, ma l’esercizio effettivo della sovranità avviene

tramite i suoi rappresentanti: siccome nelle moderne comunità statali l’esercizio della democrazia diretta

da parte dell’intero popolo risulta impossibile, la rappresentanza parlamentare è l’unico strumento per

realizzare un governo che possa essere davvero qualificato come democratico17.

La rappresentanza nella democrazia poi evoca la presenza dei partiti politici, che si pongono quali

intermediari tra le istituzioni e il popolo e che invece il populismo tende a criminalizzare come fonte di

corruzione. Da questo punto di vista, il populismo sembrerebbe un fenomeno essenzialmente

antidemocratico, una minaccia per la democrazia a causa della delegittimazione dei partiti politici e delle

istituzioni rappresentative e per via della riduzione delle dinamiche istituzionali al solo rapporto leader –

popolo.

Si tratterebbe, così, di una forma patologica della democrazia.

17 V. a tal proposito H. KELSEN, Vom Wesen und Wert der Demokratie, Tübingen (Germania), 1920, II ed. ampliata e rivista 1929, tr. it. Essenza e valore della democrazia, in IDEM, La democrazia, Bologna, 1998, p. 72.

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Tuttavia, a dimostrazione della complessità della questione, bisogna osservare che l’identificazione dello

stesso concetto di democrazia appare problematico, visto che esso consta di un sistema di valori

fondamentali e di un insieme di meccanismi procedurali che variano a seconda delle epoche e dei luoghi18.

Da ciò è scaturito il suggerimento di analizzare il populismo quale elemento che si contrappone alla più

tradizionale e dominante forma assunta dalla democrazia, cioè quella rappresentativa, piuttosto che come

patologia della democrazia in sé19.

Ovviamente, se si identifica la democrazia con quella rappresentativa, ogni deviazione da quest’ultima

può essere considerata una degenerazione da condannare. In tale prospettiva il populismo potrebbe

costituire sicuramente una forma patologica della democrazia.

Un ulteriore elemento di complicazione è poi costituito dalla centralità del ruolo riservato al popolo. Ciò

non deve trarre in inganno: i populisti evocano il popolo per lo più quale astratta fonte di legittimazione,

ma tale richiamo non ha in sé alcun significato. Infatti un’astratta forma di legittimazione popolare è

ormai ricercata non solo dai regimi liberaldemocratici ma per lo più anche da quelli autoritari: ovviamente

in quest’ultimo caso si tratta di un’operazione opportunistica e meramente fittizia.

3. Le origini storiche

La complessità di inquadramento del fenomeno populista, tuttavia, non esclude l’utilità, se non addirittura

la necessità, di una ricostruzione delle origini e degli sviluppi del concetto.

Innanzitutto bisogna notare che il termine populismo affonda le sue radici in alcuni movimenti politici

sviluppatisi alla fine del XIX secolo in Russia e negli Stati Uniti.

In particolare, in Russia il populismo si identificò nel movimento antiautoritario che verso la fine

dell’ottocento si opponeva al regime zarista20, mentre negli Stati Uniti esso trovò la sua prima

18 V. Y. MÉNY e Y. SUREL, The Constitutive Ambiguity of Populism, in IDEM (a cura di), Democracy and the Populist Challenge, cit., p. 3. 19 V. Y. MÉNY e Y. SUREL, The Constitutive Ambiguity of Populism, cit., p. 5. 20 A tal proposito v. P. TAGGART, Il populismo, cit., pp. 80 ss.

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manifestazione nel People’s Party21, partito politico nato nel 1892, di sinistra radicale e agrario, con una

rilevante presenza in alcuni Stati della federazione e supportato dalle classi più povere22.

Poi, a partire dal XX secolo, con la parola populismo si è fatto riferimento a partiti o movimenti di

opinione di destra e di sinistra in varie parti del mondo. A tal proposito si è osservato che bisognerebbe

operare una distinzione tra populismi di sinistra e di destra, i primi caratterizzati dall’avversione al

dominio del mercato globale e dalla richiesta di protezionismo a favore delle imprese nazionali e i secondi

dalla protezione dei valori religiosi tradizionali specifici della nazione e dalla conseguente ostilità nei

confronti dell’immigrazione nonché della contaminazione con altre culture in genere23.

Oggi, in particolare, il populismo sembra essere una delle caratteristiche principali della politica in

America Latina24 e in Europa orientale25, anche se forse la novità più sorprendente è la costante crescita

di partiti o movimenti etichettati in tal modo nei paesi di consolidata tradizione democratica dell’Europa

occidentale, dove in qualche caso sono giunti al governo o sono prossimi a farlo26.

Tuttavia, se l’origine del termine è relativamente recente, nondimeno esso richiama fenomeni di epoche

molto più lontane. Infatti si potrebbe sostenere che da un punto di vista politico-costituzionale l’essenza

del fenomeno sia connaturata alla stessa idea di democrazia, visto che già ai tempi dell’antica Grecia

Aristotele sentiva la necessità di mettere in guardia dalla demagogia, intesa come la tipica degenerazione

21 Il People’s Party raggiunse un risultato superiore al 10 % dei voti alle elezioni del 1894 alla Camera dei Rappresentanti e partecipò alle presidenziali del 1896, in appoggio al poi perdente candidato democratico, fino a sparire del tutto dal panorama politico statunitense dopo le elezioni presidenziali del 1908. Sulla genesi del populismo negli Stati Uniti v. P. TAGGART, Il populismo, cit., specie pp. 50 ss. Sulle origini e sull’evoluzione dell’idea di populismo nella storia e nel dibattito dottrinale negli Stati Uniti v. anche R. YOKOYAMA, “Populism” and “populism”: Aporia of the Historiography of the American Populism, in Nanzan Review of American Studies, n. 39/2017, pp. 101 ss., che giunge alla conclusione che l’elemento populista è parte integrante della democrazia rappresentativa statunitense, tanto che, anche se talvolta esso sembra minacciare di distruggere la democrazia, nondimeno non potrebbe sparire senza far morire la democrazia stessa. 22 V. A. MARTINELLI, Populism and the Crisis of Representative Democracy, in IDEM (a cura di), Populism on the Rise: Democracies Under Challenge? Milano, 2016, p. 14. 23 V. in tal senso M. MANETTI, Costituzione, partecipazione democratica, populismo, 11 luglio 2018, in Rivista AIC, n. 3/2018, p. 376. 24 V. A. SOMMA, Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 1/2018, p. 75. 25 Sul populismo-nazionalista che caratterizza i paesi ex-comunisti dell’Europa orientale v. P. BLOKKER, Populist Nationalism, Anti-Europeanism, Post-nationalism, and the East-West Distinction, in German Law Journal, 2005, pp. 371 ss. 26 Infatti non è una novità la presenza di partiti populisti nell’Europa occidentale, visto che già alla fine degli anni ottanta del XX secolo in tale area geografica si potevano annoverare molteplici movimenti inquadrabili in tale categoria (v. H.-G. BETZ, Exclusionary Populism in Western Europe in the 1990s and Beyond. A Threat to Democracy and Civil Rights?, in Identities, Conflict and Cohesion, Programme Paper Number 9, October 2004, United Nations Research Institute for Social Development), quanto il peso politico che essi hanno assunto oggi nei differenti paesi.

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della democrazia, che consisteva in una pratica politica volta ad ottenere il consenso delle masse

lusingandone le aspirazioni e aizzandone il risentimento nei confronti dei ricchi27.

In particolare Aristotele appare di straordinaria attualità quando afferma che la democrazia degenera in

una forma di dispotismo, allo stesso modo in cui la monarchia si trasforma in una tirannide, se il popolo

diventa sovrano non nelle sue componenti individuali ma nella sua totalità, con la conseguenza che

diventano molto potenti i demagoghi che operano per riservare la sovranità alle decisioni del popolo e

non alle leggi: infatti i demagoghi assumono in concreto il potere, poiché il popolo è il sovrano di tutto

ma essi, svolgendo una funzione analoga a quella degli adulatori presso i tiranni, dominano i sentimenti

e le opinioni del popolo sulla scorta della fiducia che la folla ripone in loro28.

Giova a questo punto osservare che l’influenza sulla massa indistinta del popolo da parte dei demagoghi,

che la lusingano con le loro promesse rendendola così docile ai propri desideri, sembra non solo

l’elemento che determinava la degenerazione della democrazia in dispotismo ai tempi di Aristotele ma

anche una caratteristica saliente del moderno populismo.

27 V. ARISTOTELE, Politica, Libro V, capo 5, 1304 b, tr. it. con testo greco a fronte a cura di R. RADICE e T. GARGIULO, vol. II, Cles (TN), 2015, pp. 23 e 25: “Le democrazie sono soggette a rivolgimenti soprattutto a motivo dell’impudenza dei demagoghi i quali, da un lato, in privato, perseguitano con calunnie i detentori di ricchezze inducendoli a coalizzarsi (la paura comune mette insieme anche i peggiori nemici), e dall’altro, in pubblico, sobillano la folla … Insomma, a ben considerare i mutamenti costituzionali, si vedrebbe che … essi seguono questo svolgimento: ad un certo momento i demagoghi, per guadagnarsi le simpatie popolari, sottopongono ad angherie i notabili e li spingono a coalizzarsi, o distribuendo le loro ricchezze o prosciugando le loro rendite con le liturgie, oppure calunniandoli in modo da poter confiscare ai ricchi le loro sostanze”. 28 V. ARISTOTELE, Politica, libro IV, capo 4, 1292 a, tr. it. con testo greco a fronte a cura di R. RADICE e T. GARGIULO, vol. I, Cles (TN), 2014, pp. 221 e 223: “C’è poi una democrazia nella quale, restando invariate le altre condizioni, vige la supremazia della massa e non della legge. Si ha tale forma di democrazia quando sono sovrani i decreti popolari e non la legge. Ma questa è opera dei demagoghi. Il demagogo certamente non si forma nei regimi democratici rispettosi della legalità, perché in essi ci sono i cittadini più degni ai posti di comando: piuttosto, è dove le leggi non sono sovrane, che si generano i demagoghi. Il popolo diventa un monarca, in quanto individuo costituito da molti esseri; e i molti sono sovrani non come individui, ma come totalità … un popolo di tal genere, essendo l’unico detentore del potere, va in cerca di un imperio monocratico perché non deve rispondere ad alcuna legge, diventa dispotico, e tiene in gran conto gli adulatori, e questa democrazia finisce con l’essere il corrispettivo di quella che tra le forme di monarchia è la tirannide. In verità, il carattere di entrambe è lo stesso, perché l’una e l’altra opprimono i migliori e i decreti del popolo valgono come gli editti del tiranno: demagogo e adulatore sono la stessa cosa e hanno analoga funzione. In particolar modo ciascuno esercita una grande influenza sul suo corrispondente, gli adulatori sui tiranni e i demagoghi sulla gente di quella risma. I responsabili del fatto che la sovranità sia affidata non alle leggi ma ai decreti popolari sono proprio costoro che conferiscono al popolo ogni decisione: a tali personaggi accade di diventare potenti per il fatto che il popolo dispone di ogni cosa, ed essi stessi dispongono dell’opinione del popolo, perché la massa si fida solo di loro”.

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4. Il rapporto con la crisi della democrazia rappresentativa e il diffondersi di istituti di

democrazia diretta

Ora, volendo operare delle riflessioni sul concetto di populismo da una prospettiva meramente politica,

si può riassumere quanto in parte già anticipato, cioè che in esso sono insite la contestazione dell’ordine

costituzionale esistente29, la delegittimazione del sistema rappresentativo e dei partiti tradizionali e

l’evocazione dell’introduzione o dello sviluppo di istituti di democrazia diretta.

Proprio l’espansione dell’operatività di istituti di democrazia diretta sembrerebbe essere uno degli

elementi che contribuisce alla crisi dei partiti politici, anche se non si può negare che il maggior ricorso a

strumenti di democrazia diretta è spesso effetto e non causa dell’indebolimento dei partiti stessi30.

In ogni modo, indipendentemente dall’identificazione della corretta sequenza di “causa” ed “effetto”,

pare di poter comunque cogliere una connessione tra l’espandersi degli istituti di democrazia diretta o del

loro impiego e la crisi dei partiti politici.

Tuttavia bisogna intendere sotto quale aspetto si può discutere di crisi dei partiti politici, visto che, anche

se il numero degli iscritti è ovunque in calo, essi controllano ancora la selezione delle candidature e la

scelta dei collegi in occasione delle varie elezioni; in effetti nelle società industriali avanzate è piuttosto

raro che un individuo possa conquistare una carica legislativa senza l’apporto determinante di un partito

o di una coalizione di partiti31. Pertanto il partito politico come macchina elettorale e come strumento di

amministrazione del potere è sempre efficiente; in crisi appare piuttosto il partito politico quale veicolo

di trasmissione delle istanze popolari alle istituzioni rappresentative32.

Bisogna poi notare che l’incapacità dei partiti di eseguire un simile compito, il cui svolgimento in ultima

analisi giustifica la loro esistenza, sembra tradursi nella crisi della rappresentanza politica tout court33.

Nondimeno ciò non comporta la sostituzione della democrazia rappresentativa con quella diretta né

un’autentica applicazione di quest’ultima, poiché ciò è sostanzialmente impossibile in organizzazioni

29 In merito v. D. LANDAU, Populist Constitutions, cit., p. 526. 30 V. A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, in forumcostituzionale.it, 29 luglio 2008, p. 4, secondo cui l’indebolimento dei partiti avrebbe consentito lo svolgimento del referendum del 1993 che segnò la svolta maggioritaria in Italia e non il contrario; per un diverso e ivi criticato punto di vista in proposito v. L. CARLASSARE, Maggioritario, 23 aprile 2008 in Costituzionalismo.it, n. 1/2008, e A. TORTORELLA, I partiti e la determinazione della politica nazionale, 21 aprile 2008, in Costituzionalismo.it, n. 2/2008. 31 V. B. MANIN, Principi del governo rappresentativo, cit., pp. 270 ss. 32 V. a tal proposito A. ALGOSTINO, Partiti, conflitto e potere: spunti di riflessione sulla trasformazione del partito politico, in Nomos, n. 3/2005, p. 9, secondo cui in crisi non è il partito come “meccanismo di gestione del potere” ma piuttosto come “strumento di organizzazione collettiva strutturata a partire da differenti visioni del mondo, in grado di rappresentare, politicamente e nelle istituzioni, il pluralismo e il conflitto sociale”. 33 V. sul punto A. GUSMAI, Note minime sul rapporto tra sistemi elettorali e rappresentanza politica, 23 febbraio 2018, in Dirittifondamentali.it, n. 1/2018, p. 8, secondo cui la crisi dei partiti politici e la loro incapacità di trasfondere nelle leggi le istanze sociali diventa crisi della “rappresentanza/rappresentatività”.

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statali di grandi dimensioni come quelle delle moderne democrazie34, ma piuttosto l’esercizio senza

controlli del potere reale da parte di chi sottopone al corpo elettorale le questioni su cui si devono

assumere di volta in volta le decisioni.

In verità si era parlato di crisi della rappresentanza politica anche alla fine del XIX, quando, con l’avvento

dei partiti di massa, molti commentatori si accorsero del controllo introdotto dai partiti sui propri iscritti

e sui rappresentanti del gruppo parlamentare corrispondente, ai quali, infatti, si imponeva la disciplina di

partito. Tuttavia, poi, ci si rese conto che non si trattava di crisi del governo rappresentativo ma piuttosto

di quella del parlamentarismo liberale, con il quale il primo era stato identificato; da ciò non solo si

dedusse che era possibile una diversa forma di rappresentanza, con la conservazione dei suoi principi

costitutivi, compresa un’autonomia parziale dei rappresentanti stessi, ma, anzi, si ritenne che la fine del

parlamentarismo liberale avesse reso il sistema nel suo complesso più democratico35.

Ora parrebbe che l’asserita crisi odierna della rappresentanza sia dovuta piuttosto all’entrata in crisi delle

caratteristiche della democrazia dei partiti, cioè l’identificazione dei votanti con determinati partiti e i

relativi rappresentanti in Parlamento scelti sulla base dei programmi presentati agli elettori36, sicché c’è da

chiedersi se sia davvero appropriato affermare che alla crisi dei partiti politici si accompagna quella del

governo rappresentativo o invece non sia più corretto ritenere che in crisi sia andato un certo assetto che

tale regime aveva assunto con l’avvento dei partiti di massa.

In un simile contesto, il populismo rappresenta un’alternativa semplicistica ai problemi complessi che le

moderne democrazie si trovano quotidianamente ad affrontare, fondata spesso su slogan che fanno presa

sull’immaginario collettivo della gente.

Nondimeno si è osservato che la sola presenza dei movimenti populisti all’interno di un regime

rappresentativo modifica il rapporto popolo-politica, ridefinisce il vocabolario della seconda e ne

persegue la semplificazione, con l’effetto, così, di delegittimare atti politici complessi, che, in quanto tali,

sfuggono all’immediata comprensione delle masse37.

Peraltro il richiamo alla democrazia diretta nei movimenti populisti sembra una sorta di forzatura,

soprattutto quando si tende a dare a una minoranza del voto popolare un valore predominante, senza

34 V. in merito H. KELSEN, Das Problem des Parlamentarismus (Soziologie und Sozialphilosophie. Schriften der Soziologischen Gesellschaft Wien), Vienna e Lipsia, 1925, tr. it. Il problema del parlamentarismo, in IDEM, La democrazia, cit., p. 156, secondo cui una democrazia senza parlamentarismo, cioè la cd. democrazia diretta, è concepibile, ma negli Stati moderni questo tipo di democrazia, che implica la formazione della volontà statale nell’ambito di un’assemblea che raccolga tutto il popolo, non è praticabile; da ciò egli deduce che l’unica forma possibile di democrazia è legata al parlamentarismo, dalla cui sorte dipende, perciò, la sorte della prima. 35 V. B. MANIN, Principi del governo rappresentativo, cit., pp. 217-218. 36 V. B. MANIN, Principi del governo rappresentativo, cit., p. 219. 37 V. P. TAGGART, Il populismo, cit., pp. 184 e 185.

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tener conto che, per dare un senso a un qualunque voto, è di solito ritenuta necessaria la partecipazione

di un numero minimo di votanti, al di sotto del quale il voto è privo di significato38.

5. Populismo “digitale” e democrazia diretta

Il rilancio della democrazia diretta trova, in realtà, fondamento nelle possibilità offerte dallo sviluppo

tecnologico, tanto che, nella falsa convinzione di rinvigorire i regimi democratici, rischia di essere

realizzata una nuova forma di “democrazia elettronica”, da intendersi nel senso di democrazia in “tempo

reale”, caratterizzata da pressanti questioni sottoposte di continuo a una frettolosa approvazione dei

cittadini, la cui realizzazione metterebbe definitivamente in crisi il principio di rappresentanza39.

Peraltro, attraverso il dibattito senza vero contraddittorio, i social networks sono suscettibili di

trasformarsi in indebito strumento di controllo sugli eletti, in violazione del principio costituzionale della

libertà del mandato parlamentare, caratteristico della maggior parte delle costituzioni liberaldemocratiche;

un simile modo di procedere impatta fortemente anche sulla democraticità della comunicazione politica,

tenendo conto che, dando credito a un articolo apparso sull’Espresso, la metà degli italiani adulti

apprende le notizie da Facebook e un terzo di loro non darebbe peso alla provenienza della notizia,

mentre in Germania il numero di adulti che riceve le notizie da Facebook è di molto inferiore40.

Il problema, perciò, non è l’uso in sé del social network ai fini della comunicazione politica, quanto il

livello di maturità raggiunto dal popolo degli elettori/utenti per distinguere una notizia affidabile dalla

38 V. E. DE MARCO, Democrazia rappresentativa e democrazia diretta nei progetti di riforma del “Governo del cambiamento”, 10 dicembre 2018, in Osservatorio costituzionale, n. 3/2018, p. 9: “… ci si potrebbe anche domandare, se nell’ottica di un raffronto comparativo tra ruolo delle istituzioni rappresentative e ruolo delle istituzioni di democrazia diretta, l’incontestabile oscillazione del “pendolo” … verso la democrazia diretta non nasconda pulsioni populistiche: intese, peraltro, nel senso di una forzatura della stessa democrazia diretta, attribuendo al voto popolare – quali che siano le sue dimensioni – un valore preminente, nel senso che la “voce” di una pur piccola minoranza, in quanto reputata vox populi, può finire per affermarsi a scapito di quelle che sono le classiche regole delle pronunzie di un corpo deliberante che richiedono la partecipazione quanto meno di un quorum significativo di votanti per la validità di una votazione.”. 39 Sul concetto di “democrazia elettronica” v. le riflessioni svolte già qualche tempo fa da A. DI GIOVINE, Democrazia elettronica: alcune riflessioni, originariamente pubblicato in Dir. e soc., 1995, successivamente in IDEM, Democrazia diretta e sistema politico, Padova, 2001, pp. 55 ss. In particolare v. quest’ultimo articolo a p. 69, dove l’autore citato evidenzia l’esistenza di due significati dell’espressione “democrazia elettronica”: il primo, costituito dalla sostituzione del computer alle tradizionali schede cartacee per le votazioni, che è giudicata accettabile come parte dell’evoluzione tecnologica, il secondo, su cui invece vengono espresse forti e comprensibili riserve, dato dal

passaggio dalla “democrazia rappresentativa e referendaria tradizionale a quella ˂˂live˃˃ o in tempo reale, che, bombardando il cittadino … con una serie di domande ad immediata risposta, può costituire una caricatura pericolosa del principio della sovranità popolare … ed uno stravolgimento dei principi, da ritenere tuttora validi, della rappresentanza … creando una sorta di contratto sociale continuo … e di rappresentanza con vincolo di mandato”. 40 V. M. MUNAFÒ, Movimento 5 Stelle, ecco come funziona la propaganda su Facebook, in L’Espresso, 20 novembre 2018, reperibile nel sito web http://espresso.repubblica.it/palazzo/2018/11/20/news/movimento-5-stelle-ecco-come-funziona-la-propaganda-su-facebook-1.328786 – ultimo accesso 24 maggio 2019.

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disinformazione mirante ad influenzare l’opinione pubblica ed eventualmente condizionare

l’orientamento politico del corpo elettorale in sede di votazioni.

Parrebbe che la rinnovata esaltazione del mito della democrazia diretta, declinata oggi spesso in senso

“tecnologico” e comunque sempre a danno di quella rappresentativa, da parte di movimenti o partiti

etichettabili come populisti non sia una caratteristica esclusiva del sistema politico italiano ma piuttosto

una tendenza diffusa del mondo contemporaneo.

In realtà un simile richiamo rischia di evocare qualcosa che con la democrazia non ha nulla a che fare: a

tal proposito già diversi anni fa si osservava acutamente che dietro lo slogan della democrazia diretta e il

ripudio di quella rappresentativa fondata sui partiti politici si nasconde “l’ideologia di una democrazia

automatica”41, con la sconvolgente conseguenza che il potere che si ritiene di sottrarre ai partiti non si

restituisce al popolo, ma piuttosto si trasmette alle macchine e a coloro che le programmano42.

Pertanto, più che in direzione del rilancio della democrazia diretta o della nascita di una nuova e più

avanzata forma di democrazia, sembra che la situazione sia suscettibile di evolvere verso il controllo e il

condizionamento mentale caratteristici delle società tratteggiate in famosi classici di fantascienza distopica

come 1984 di George Orwell o Brave New World di Aldous Huxley. In altre parole, l’asserita superiorità

della democrazia digitale o della rete su quella rappresentativa, fondata su concezioni semplicistiche

elaborate sulla scorta di istanze populiste, rischia di rivelarsi, in ultima analisi, come la proiezione di una

concezione antidemocratica43.

L’innovazione tecnologica globale, naturalmente insieme ad altri fattori, sembra abbia favorito la nascita

di nuove forme di populismo, con i leader che cercano il proprio consenso nel contatto diretto con il

popolo della rete e non più con le masse nelle piazze.

41 V. P. VIRILIO, La bomba informatica, Milano, 2000 (titolo originale La bombe informatique, 1998), p. 103: “dietro la propaganda libertaria per una democrazia diretta (live), in grado di rinnovare la democrazia rappresentativa dei partiti politici, s’installa quindi l’ideologia di una democrazia automatica in cui l’assenza di deliberazione sarebbe compensata da un automatismo sociale simile a quello del sondaggio d’opinione o alla misura dell’audience della televisione”. 42 V. P. VIRILIO, La bomba informatica, cit., p. 115. 43 A tal proposito v. l’analisi contenuta in S. CURRERI e G. STEGHER, I partiti politici in Italia, in federalismi.it, n.

23, 5 dicembre 2018, p. 11, secondo cui si tratterebbe di ˂ ˂… introdurre, al posto della democrazia rappresentativa parlamentare, fondata sui partiti, ritenuta ormai obsoleta, una permanente democrazia diretta, un tempo utopica ma oggi resa possibile dalla rete, in cui i “cittadini digitali”, riuniti analogamente agli antichi ateniesi in una “piazza virtuale”, prenderebbero “in tempo reale” ogni decisione comune, di cui gli eletti con vincolo di mandato sarebbero meri portavoce. Una democrazia elettronica, quindi, intesa come plebiscito quotidiano, senza più quelle organizzazioni politiche e sociali, partiti in primis, che oggi, anziché avvicinare, separano i cittadini dalle istituzioni. Questa forma di democrazia sarebbe, però, solo apparente. … vi sarebbe il serio pericolo che, dietro l’apparente trionfo della volontà del popolo sovrano, si nascondesse una subdola democrazia plebiscitaria, basata sul potere personale e autoritario di un capo carismatico in rapporto di retto con la pretesa volontà infallibile del popolo. In definitiva, la democrazia diretta rischia di essere comunque “diretta” da qualcuno, dando vita ad una sorta di

“populismo digitale” ...˃˃”.

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Pertanto resta da valutare il peso dei possibili condizionamenti che la tecnologia digitale può produrre sul

piano elettorale, come, ad esempio, parrebbe sia accaduto a proposito della presunta ingerenza russa

attraverso i social networks nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi vinte da Donald Trump44.

In verità, poi, appare fallace l’idea stessa di richiamarsi a una forma pura e idealizzata di democrazia, da

contrapporre a quella rappresentativa: a questo proposito ampiamente condivisibile è la riflessione di chi

osserva che “il mero regime democratico rischia di essere una forma di dittatura, per certi aspetti forse

persino peggiore delle altre”45.

Sull’argomento vale anche richiamare il ragionamento più articolato di un autorevole studioso tedesco,

secondo cui la concezione della democrazia diretta come autentica forma della democrazia è irreale, sia

sul piano pratico che su quello delle premesse teoriche46. L’autore in questione fa notare che la volontà

popolare diretta può manifestarsi solo come una risposta secca, positiva o negativa, a una domanda che

la precede, cosa che accade in modo evidente nel plebiscito, in cui la decisione popolare non influisce sul

contenuto e sulla formulazione della domanda, nella proposta di legge di iniziativa popolare, che dipende

dalla volontà delle poche persone o gruppi che le danno vita, nonché nel referendum in genere47.

A questo punto si potrebbe chiosare, cercando di interpretare la situazione odierna con l’ausilio di tali

riflessioni, che un meccanismo non molto dissimile interviene nel caso delle condivisioni sui social

networks, sebbene in questo caso vi sia certamente qualcosa in più, costituito dallo straordinario

abbattimento dei tempi che intercorrono tra il quesito o l’opinione proposta e il feedback richiesto, dalla

estrema semplificazione e unidirezionalità delle discussioni che rendono la risposta immediata, quasi

frutto di un riflesso condizionato o di un automatismo, ancor più “passiva” di quella di chi è chiamato a

votare in un plebiscito.

Ritornando all’analisi dell’autore poc’anzi preso in considerazione48, si rileva l’intento di smascherare quali

falsi miti i tradizionali fondamenti della democrazia diretta, cioè la democrazia ateniese, la teoria della

sovranità popolare di Rousseau, la Comune di Parigi del 1871: innanzitutto il regime politico di Atene

antica, presunto riferimento originario della democrazia diretta in Europa, contemplava in realtà la diretta

partecipazione alla vita politica della polis solo di una minoranza della popolazione maggiorenne mentre,

evidentemente, la restante parte era da tale minoranza solo fittiziamente rappresentata; poi il principio

dell’inalienabilità della sovranità elaborato da Rousseau si riferiva esclusivamente all’attività legislativa ma

44 In merito v. M. MEZZA, Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, Roma, 2018. 45 V. A. SPADARO, Su alcuni rischi, forse mortali, della democrazia costituzionale contemporanea. Prime considerazioni, in Rivista AIC, 26 gennaio 2017, n. 1/2017, p. 4. 46 V. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, in Quad. cost., 1985, p. 234. 47 V. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, cit., pp. 235 ss. 48 V. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, cit., pp. 241-242.

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non a quella di governo, come è dimostrato dalla sua contrarietà all’autogoverno del popolo49 e dal suo

favore nei confronti di un’aristocrazia elettiva50; infine la Comune di Parigi, data la brevità dell’esperienza

rivoluzionaria, si concretizzò nella mera proclamazione di un programma che non fu mai davvero attuato.

Pertanto, proseguendo nel suo discorso, l’illustre pensatore tedesco asserisce che la democrazia come

forma di Stato non può essere quella diretta, essendo impossibile da realizzare, a pena di rendere la

democrazia stessa una perenne incompiuta51; da ciò consegue che l’unico regime democratico

concretamente attuabile, pur potendo essere affiancato da istituti di democrazia diretta in funzione di

riequilibrio del sistema, deve prevedere il carattere rappresentativo degli organi di comando52.

Tuttavia, se quella diretta integrale è un’utopia irrealizzabile e quindi va rifiutata, questo non significa

affatto che poi, in concreto, la democrazia rappresentativa effettivamente funzioni in modo adeguato.

I movimenti populisti si insinuano proprio in una simile contraddizione.

6. Alla ricerca di una definizione di populismo

Tuttavia resta il problema di dare al concetto di populismo un contenuto più definito. La cosa non è

agevole perché il populismo sembra essere diventato quasi un concetto residuale, visto che ormai si tende

ad etichettare come populisti tutti quei movimenti che non possono essere facilmente ricondotti

nell’alveo degli schemi della politica tradizionale, sicché si parla, ad esempio, di movimenti nazional-

populisti ed etnico-populisti, di tele-populismo e tecno-populismo53.

Non a torto, perciò, da più parti si è osservato che la nozione di populismo non è facile da identificare54

poiché caratterizzata da un alto grado di genericità, sicché sarebbero destinati a fallire i tentativi di

49 V. J. J. ROUSSEAU, Il Contratto Sociale, www.liberliber.it, e-book, edizione elettronica del 17 ottobre 2018 (traduzione italiana tratta da un’edizione pubblicata a Venezia nel 1862), libro III, capitolo IV (“Della democrazia”), pp. 83-84: “Non è buono che chi fa le leggi le eseguisca, né che il corpo del popolo distolga la sua attenzione dalle viste generali, per applicarla agli oggetti particolari … Se si prenda il termine nel suo rigoroso significato, non esistette mai vera democrazia, né mai esisterà. Gli è contro l’ordine naturale, che il maggior numero governi, ed il minore sia governato”. 50 V. J. J. ROUSSEAU, Il Contratto Sociale, cit., libro III, capitolo V (“Dell’aristocrazia”), pp. 85 ss.: “Qui abbiamo due persone morali distintissime, cioè il governo ed il sovrano, e per conseguenza due volontà generali, l’una che risguarda tutti i cittadini, l’altra solamente ai membri dell’amministrazione … è l’ordine migliore e più naturale, che i saggi governino la moltitudine, quando si è certi che la governeranno a suo vantaggio e non pel proprio”. 51 V. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, cit., p. 245. 52 V. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, cit., p. 247. 53 V. D. ILARI, La deriva populista delle democrazie occidentali, ed. youcanprint, 2014, e-book, capitolo 1. 54 V. in merito, tra gli altri, B. BONIKOWSKI e N. GIDRON, Varieties of Populism: Literature Review and Research Agenda, in Weatherhead Working Paper Series, N. 13-0004, Harvard University, Cambridge, Massachusetts, U.S., 2013, pp. 3 ss.; G. FERRAIUOLO, Rappresentanza e populismo, 29 luglio 2017, in Rivista AIC, n. 3/2017, p. 1; A. MARTINELLI, Populism and the Crisis of Representative Democracy, cit., p. 14; M. MAZZA, L’onda populista: dalla Brexit a Trump fino al cuore dell’Europa, in DPCE online, n. 2/2017, p. 221.

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coglierne gli elementi essenziali55. Di conseguenza in dottrina non solo regna una certa disparità di vedute

sulle caratteristiche peculiari del populismo, ma non è neppure chiara quale possa essere la chiave di

lettura più adatta alla comprensione del fenomeno, se cioè esso debba essere definito in termini politici,

economici o sociali56.

Probabilmente ognuno di questi elementi contribuisce a fornire elementi utili alla ricostruzione del

fenomeno.

Tendenzialmente i movimenti populisti si avvalgono di alcuni argomenti comuni, come l’esaltazione della

centralità del ruolo del popolo nell’ambito del sistema politico, idealizzato come dotato di bontà,

saggezza, semplicità etc., la retorica del tradimento da parte delle istituzioni rappresentative, la necessità

di restaurare la perduta supremazia popolare57. Il populismo, infatti, mette in evidenza i limiti del governo

rappresentativo, considerato fonte di costante corruzione, rimarca l’impossibilità per gli eletti di

rappresentare fedelmente la massa dei cittadini, a cui si accompagna il timore di un possibile tradimento

della volontà espressa dal popolo da parte dei suoi rappresentanti, tende a valorizzare e privilegiare la

democrazia diretta a scapito di quella rappresentativa58.

Simili temi sembrano trovare radici storiche e culturali anche in quei pensatori che hanno ricostruito il

regime rappresentativo come elitario e quindi il governo rappresentativo come costante appannaggio di

élite, sia in epoca liberale, quando la classe borghese aveva monopolizzato le istituzioni e negato alla

maggior parte della popolazione la possibilità di partecipazione politica, sia con l’avvento dei partiti di

massa; infatti, secondo tale ricostruzione, a partire dalla fine del XIX secolo questi ultimi non sarebbero

stati apportatori di una vera democratizzazione, ma avrebbero determinato solo un mutamento delle

caratteristiche dei rappresentanti, costituite non più dall’importanza ricoperta in società ma da attivismo

e abilità di organizzazione, sicché la democrazia dei partiti sarebbe in realtà il governo dei burocrati di

partito e non certo del popolo59.

55 V. E. LACLAU, On Populist Reason, London, 2005, trad. it. La ragione populista, a cura di D. TARIZZO, Roma-Bari, 2008, p. 111, secondo cui i possibili elementi essenziali del concetto (base sociale di contadini o piccoli proprietari, resistenza alla modernizzazione economica, manipolazione da parte di élite) si prestano tutti a un gran numero di obiezioni. V. anche E. LACLAU, Populism: What’s in a Name?, in F. Panizza (a cura di), Populism and the Mirror of Democracy, Londra – New York, 2005, p. 32, secondo cui sarebbe vano cercare di identificare un movimento o un’ideologia come “puro” populismo, distinguendo quest’ultimo dal fascismo, comunismo, liberalismo etc., perché il tentativo di dare al concetto uno specifico contenuto ideologico o sociale si scontrerebbe con una valanga di eccezioni. 56 V. K. WEYLAND, Clarifying a Contested Concept: Populism in the Study of Latin American Politics’, in Comparative Politics, 2001, n. 34, p. 1. 57 V. Y. MÉNY e Y. SUREL, The Constitutive Ambiguity of Populism, cit., pp. 11 ss. 58 V. in proposito anche Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., pp. 41 e 280. 59 V. R. MICHELS, Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie. Untersuchungen über die oligarchischen Tendenzen des Gruppenlebens, Leipzig, 1911, (II ed. 1925), tr. it. La sociologia del partito politico nella democrazia moderna.

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Sembra che in questo solco vadano inquadrate le critiche che i movimenti populisti muovono al governo

rappresentativo, da liquidare perché dominato dalle élite corrotte degli apparati organizzativi dei partiti

tradizionali.

Molteplici sono i significati che il populismo può assumere, dato che con esso si può indicare un’ideologia,

una strategia, uno stile o una pratica politica basata sulla contrapposizione tra popolo, di cui il leader

populista si fa portavoce, e classe dirigente corrotta60.

Per esempio, si è ipotizzato che il populismo sia un’ideologia che tende a dividere la società in due settori

contrapposti e antagonisti61: i populisti da una parte, a battersi in nome del popolo “virtuoso” costituito

da un insieme omogeneo di cittadini, contro la classe dirigente dall’altra, contestata non solo perché

detentrice del potere ma anche per le idee e i valori di cui essa si fa portatrice62.

Da ciò discende la circostanza che i movimenti populisti ritengono di rappresentare il popolo nella sua

totalità e non accettano la legittimazione di altri attori sulla scena politica63.

Pertanto con il populismo si assiste a una divisione tra sostenitori-amici e avversari-nemici: questi ultimi

non sono solo portatori di diversi valori, ma diventano sic et simpliciter “il male” con cui non è possibile

discutere e scendere a compromessi64. L’identità di questi “nemici” è piuttosto facile da stabilire: nei

sistemi rappresentativi liberaldemocratici, dove i partiti occupano la parte principale della scena politica,

un ruolo predominante della propaganda populista è costituita dall’avversione contro i partiti politici

tradizionali visti come veicolo di corruzione e divisione di un popolo concepito come un insieme

omogeneo e unitario65.

In questo quadro fa agevolmente presa sulla massa popolare l’idea che le disuguaglianze sociali e il loro

acuirsi derivano dall’azione dei detentori del potere economico che influenzano le istituzioni

democratiche; in tal modo i populisti fomentano il popolo nella ribellione contro la classe dominante

rappresentativa ritenuta collusa con il corrotto potere economico.

Peraltro si deve porre in evidenza la circostanza che i costi sociali della corruzione sono più alti e pertanto

essa è peggio tollerata in periodi di crisi economica; infatti, tenendo conto che un certo grado di

corruzione è connaturata alla storia dell’uomo, essa, in un certo senso, è più facilmente sopportata in

periodi di prosperità economica e di benessere diffuso. In un contesto di crisi economica, laddove le

Studi sulle tendenze oligarchiche degli aggregati politici, Bologna, 1966, richiamato anche da B. MANIN, Principi del governo rappresentativo, Bologna, 2010 (titolo originale The Principles of Representative Government, New York, 1997), pp. 230 ss. 60 In merito v. D. LANDAU, Populist Constitutions, cit., p. 524. 61 In tal senso v. C. MUDDE, The Populist Zeitgeist, cit., p. 543. 62 V. a tal proposito M. CANOVAN, Trust the People!, cit., pp. 3 ss. 63 V. J. W. MÜLLER, What is populism?, Philadelphia (Pennsylvania), U.S., 2016, pp. 16 ss. 64 V. C. MUDDE, The Populist Zeitgeist, cit., p. 544. 65 V. C. MUDDE, The Populist Zeitgeist, cit., p. 546.

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risorse si riducono, il peso dell’ingiustizia, dell’inefficienza e della corruzione diviene invece assolutamente

intollerabile: proprio tale situazione è terreno fertile per gli attacchi alle istituzioni da parte dei movimenti

populisti.

C’è chi si è spinto anche oltre, sostenendo che il populismo più che una dottrina è una fede, basata sulla

premessa che la virtù è radicata negli ordinari cittadini e nelle loro tradizioni: da qui la conseguenza che i

capi dei movimenti populisti tendono ad entrare in contatto “mistico” con le masse66.

7. Perplessità sulla sua qualificazione come ideologia

In realtà sulla circostanza che il populismo possa essere ricondotto a un’ideologia non vi sono opinioni

concordi. Anzi, da una parte, c’è stato chi ha sostenuto che non è affatto un’ideologia67, vista la sua natura

dai contenuti indefiniti68 e quindi sostanzialmente camaleontica69; dall’altra si è precisato che non potrebbe

essere considerato come un’ideologia in riferimento al significato che tale termine assume nel pensiero

marxista, cioè quale insieme di giustificazioni teoriche volte a legittimare un determinato gruppo di

interessi e poteri che coincide sostanzialmente con l’ordine sociale vigente, mentre non dovrebbe

escludersi che al concetto populismo possa adattarsi un uso della parola ideologia in un senso più

“neutro”70, ad esempio come mappa o sistema concettuale e di interpretazione del mondo politico o, più

precisamente, della piattaforma politica ideale dei soggetti appartenenti a tale mondo71.

In realtà appare poco convincente concepire il populismo come un’ideologia, considerando che esso non

presenta caratteristiche definite e univoche, al contrario del liberalismo, del socialismo o persino del

nazismo; in particolare l’assenza di una coerente elaborazione dottrinale è una importante differenza con

le ideologie citate, visto che il fondamento del populismo (o meglio, dei populismi, come pare più corretto

66 In tal senso v. P. WILES, A Syndrome, not a Doctrine: Some Elementary Thesis on Populism, in G. IONESCU e E. GELLNER (a cura di), Populism: Its Meanings and National Characteristics, Londra, 1969, pp. 166 ss. 67 V. R. YOKOYAMA, “Populism” and “populism”, cit., pp. 101 e 115 ss., secondo cui il tema populismo fu introdotto nel dibattito dottrinale a livello internazionale per la prima volta in una raccolta di saggi pubblicata alla fine degli anni sessanta, cioè nel testo a cura di G. Ionescu e E. Gellner citato nella nota precedente. V. poi in particolare P. WILES, A Syndrome, Not a Doctrine, cit., p. 110, secondo cui il populismo è una sorta di contenitore, che non costituisce una visione del mondo o un’ideologia ma piuttosto una vera e propria sindrome. 68 V. P. TAGGART, Il populismo, cit., p. 9, che attribuisce al populismo una natura essenzialmente impalpabile. 69 V. B. BUGARIC, The two faces of populism: Between authoritarian and democratic populism, in German Law Journal, vol. 20, Aprile 2019, p. 392. 70 In proposito v. M. CANOVAN, Taking Politics to the People: Populism as the Ideology of Democracy, in Y. MÉNY e Y. SUREL (a cura di), Democracy and the Populist Challenge, cit., pp. 30 ss. 71 V. G. DEVOTO e G. C. OLI, Il dizionario della lingua italiana, Firenze, 1990, p. 879, che sotto il vocabolo “ideologia” riporta definizioni riconducibili sia al primo che al secondo dei significati considerati. In particolare, per quanto concerne il significato riconducibile alla concezione marxista, l’ideologia è “il complesso delle motivazioni ideali usate da un individuo o da una classe sociale per legittimare interessi e poteri reali, o per giustificare un certo atteggiamento politico”, mentre, in altra accezione, l’ideologia è “il sistema concettuale e interpretativo che costituisce la base politica di un movimento, di un partito o di uno Stato”.

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esprimersi sulla scorta della difficile convergenza di fenomeni talvolta molto diversi tra loro a seconda

delle epoche storiche e dei paesi72) sembra dato, più che da una trattazione teorica, piuttosto dal costante

appello, fondato su asserzioni non scientifiche, a una sorta di buon senso del popolo73.

Bisogna notare poi che il populismo, inteso come atteggiamento politico opportunistico di lusinga degli

umori popolari allo scopo di guadagnarne il consenso, può abbracciare non solo movimenti o partiti ma

anche dichiarazioni o espressioni di personaggi politici di grande rilievo, come Margaret Thatcher, Tony

Blair o Jacques Chirac, sulla cui fedeltà ai valori democratici non sembra possano essere espressi dubbi74.

Tale atteggiamento è una caratteristica del populismo che richiama alla memoria la demagogia aristotelica

sopra ricordata.

Peraltro al rapporto senza intermediari stabilito dal leader con le masse si abbina spesso un permanente

plebiscitarismo, per ottenere la continua conferma della fiducia popolare, che rischia di tradursi in

autoritarismo, come la storia ha più volte insegnato75.

8. Plebiscitarismo e populismo: il caso De Gaulle

A proposito del legame tra plebiscitarismo e populismo, sembra utile ricordare il discusso modo con il

quale Charles de Gaulle interpretò il ruolo di Presidente della Repubblica francese ed in particolare uno

dei momenti più controversi della sua Presidenza, cioè la revisione della Costituzione francese del 1962.

In quella circostanza, allo scopo di aggirare le assemblee parlamentari e chiamare in causa esclusivamente

il popolo, la revisione costituzionale promossa per rendere elettiva la carica di Capo dello Stato a suffragio

popolare fu portata a termine utilizzando l’articolo 11 della Costituzione francese, sulla scorta del quale

il Capo dello Stato può sottoporre direttamente a referendum popolare i progetti di legge riguardanti

l’organizzazione dei pubblici poteri76.

72 V. Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., pp. 209 e 275. 73 V. in proposito Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., pp. 167-168. 74 V. in merito Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., p. 17. 75 V. anche P. TAGGART, Il populismo, cit., p. 187, secondo cui il populismo, nelle sue forme più estreme, rischia di degenerare in autoritarismo. 76 La Costituzione della V Repubblica francese disciplina la procedura di revisione della Costituzione esplicitamente all’articolo 89 e tale procedura prevede la partecipazione delle assemblee parlamentari e solo in certi casi del corpo elettorale. Tuttavia nel 1962 de Gaulle, all’epoca Capo dello Stato francese, decise di modificare gli articoli 6 e 7 della Costituzione relativi all’elezione del Presidente della Repubblica utilizzando una diversa procedura, fissata nell’articolo 11 della Costituzione, che prevede la possibilità di sottoporre direttamente a referendum popolare ogni progetto di legge riguardante l’organizzazione dei pubblici poteri. Quest’ultima disposizione, secondo la tesi che fu prospettata e concretamente messa in pratica in quella circostanza, disciplinerebbe un altro procedimento di revisione costituzionale, parallelo e distinto da quello ordinario previsto dall’articolo 89, con il concorso delle volontà del Presidente e del popolo senza l’intervento delle assemblee parlamentari. L’utilizzazione dell’articolo 11 allo scopo di revisionare la Costituzione, sostenuta anche dal Governo sostanzialmente dipendente da de Gaulle, incontrò resistenze in Assemblea nazionale e in Consiglio di Stato nonché nella quasi totalità della dottrina francese

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Gli esiti positivi della consultazione referendaria e poi delle elezioni, seguite alle resistenze dell’Assemblea

nazionale nei confronti del risultato del referendum, legittimarono l’esistenza di un’altra procedura di

revisione costituzionale contrastante con quella prevista dall’articolo 89 della Costituzione, tanto che nel

1969 de Gaulle utilizzò nuovamente l’articolo 11 per tentare di modificare ancora una volta la

Costituzione senza però riuscirci77. Successivamente, però, una simile procedura non è stata più utilizzata

ai fini della revisione costituzionale.

Bisogna notare che, nell’ambito della concezione “presidenziale” del sistema costituzionale francese

sostenuta da de Gaulle agli albori della V Repubblica, il referendum veniva concepito come uno

strumento il cui scopo principale non era quello di ottenere l’avallo popolare sul quesito oggetto della

consultazione ma piuttosto di verificare l’esistenza della fiducia popolare nei confronti della propria

persona e della propria politica.

A riprova di ciò si può osservare che l’esito negativo del referendum del 1969 spinse de Gaulle alle

dimissioni e al conseguente ritiro dalla vita politica, nella convinzione che fosse venuta meno la

consonanza politica del popolo francese nei suoi confronti.

Dall’intera vicenda traspare la propensione a instaurare una relazione diretta con il popolo, chiamato a

rappresentare la fonte suprema di legittimazione delle decisioni politiche, lasciando in disparte le

assemblee parlamentari. Oggi probabilmente un simile atteggiamento antiparlamentare verrebbe

etichettato come “populista”, visto che è molto di moda utilizzare un simile termine78.

In verità l’appello diretto al popolo e l’antiparlamentarismo hanno una loro tradizione peculiare nella

Francia dell’epoca moderna, che è quella napoleonica o bonapartista: il capo carismatico scavalca le

assemblee rappresentative e servendosi di plebisciti ottiene una strumentale e artificiosa legittimazione

popolare alla sua solitaria e sostanzialmente autocratica gestione della cosa pubblica79.

dell’epoca (a tal proposito v. G. BERLIA, Le problème de la constitutionnalité du référendum du 28 octobre 1962, in Revue du droit public et de la science politique en France et à l’étranger, 1962, pp. 936 ss.). 77 V. in proposito A. CANEPA, Il sistema semipresidenziale. Aspetti teorici e di diritto positivo, Torino, 2000, p. 88, nota 66. 78 Sul riferimento al populismo come idea di moda, v. N. W. BARBER, Populist leader and political parties, in German Law Journal, vol. 20, Aprile 2019, p. 129. 79 A tal proposito v. M. CALAMO SPECCHIA, Les trois ages del settennato, Torino, 2002, pp. 155 ss., che ha evidenziato che il gollismo sarebbe una sorta di riedizione del XX secolo della tradizione bonapartista, dato che in entrambi i casi si tratta di un regime fondato su un capo carismatico, che incarna la personificazione dell’autorità (sulle caratteristiche di un regime bonapartista v. anche M. VOLPI, La democrazia autoritaria, Bologna, 1979, pp. 12-13 ss.). Un regime politico di tipo bonapartista, caratterizzato dal predominio del potere esecutivo sul legislativo, utilizza in via strumentale il principio della sovranità popolare, che viene sostanzialmente svuotata dei suoi contenuti attraverso l’uso frequente di veri e propri plebisciti volti a confermare la volontà del capo carismatico (v. M. VOLPI, La democrazia autoritaria, cit., pp. 32-33 ss.).

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9. Populismo, totalitarismo e autoritarismo

Il termine populismo, associato all’esperienza latino-americana, è stato anche concepito come una

strategia politica che consente a leader carismatici di conquistare il potere80.

Nonostante la nascita di movimenti populisti in situazioni di squilibri politico-istituzionali o socio-

economici sembra essere piuttosto frequente (anche se una simile constatazione non rende più agevole

la ricerca di una definizione univoca), è comunque arduo stabilire una effettiva relazione di causa-effetto

tra le gravi crisi economiche e l’emergere di movimenti populisti; infatti, per fare un esempio, alla Grande

Depressione del 1929 seguì la presa del potere da parte del nazismo in Germania mentre negli Stati Uniti,

da cui quella crisi era scaturita, la reazione condusse piuttosto alla creazione dello Stato sociale, che non

sradicò i principi cardine dello Stato liberale, ma li inglobò in una nuova visione democratica-sociale.

Per altro verso, se accostato al totalitarismo, il termine populismo parrebbe evocare le ombre del

crepuscolo della democrazia; eppure una simile equiparazione non pare corretta, anche se il populismo

può talvolta effettivamente sfociare nel totalitarismo81.

Analogamente, populismo può essere equivalente a autoritarismo, ma non lo è necessariamente.

Ad esempio, al rafforzamento dell’identità nazionale, che sembra essere caratteristica frequente di alcuni

tipi di movimenti populisti, talvolta si associa l’avversione contro l’immigrazione e una simile

combinazione è propria delle forme di populismo che potrebbero essere definite di destra estrema: in

quest’ultimo caso gli stranieri sono presentati non solo come pericolo per l’identità nazionale ma anche

come minaccia per l’economia del paese, perché, ad esempio, costituirebbero la causa dell’aumento della

disoccupazione82. In tal caso è palese la spinta antidemocratica insita in un populismo di tal genere.

Talvolta si prospetta anche l’equazione immigrazione uguale criminalità: la distinzione tra stranieri di cui

talvolta effettivamente la criminalità locale si avvale come manovalanza o che comunque delinquono e la

maggioranza di povera gente in fuga da paesi funestati dalla guerra o comunque di persone oneste

sostanzialmente importa poco ai populisti che cavalcano e amplificano le ansie dei cittadini. Per

movimenti populisti che operano in tal modo è fin troppo facile evocare lo spettro dell’immigrazione

quale allarme sociale e causa di tutti i mali che affliggono la nazione, fornendo nel contempo soluzioni

semplicistiche al solo scopo di guadagnare il favore popolare e conquistare o rafforzare il proprio potere.

80 V. K. WEYLAND, Clarifying a Contested Concept, cit., pp. 1 ss., specie le conclusioni di pp. 18-19. 81 V. E. LACLAU, La ragione populista, cit., pp. 157 ss., che a tal proposito, pur precisando di condividerne solo in parte l’analisi, cita C. LEFORT, The Question of Democracy, in IDEM, Democracy and Political Theory, traduzione inglese di D. MACEY, Minneapolis, Minnesota, US, 1988, pp. 19-20, il quale sostiene che, a certe condizioni, come ad esempio, in conseguenza di una crisi economica o delle devastazioni di una guerra e quando, insieme al concorrere di altre circostanze, la società appare frammentata, si sviluppa la fantasia del Popolo-Uno e, tra l’altro, l’inizio della ricerca di uno Stato senza divisioni. 82 V. in proposito anche Y. MÉNY e Y. SUREL, The Constitutive Ambiguity of Populism, cit., p. 7.

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10. Conclusioni

Si è peraltro sostenuto che il populismo, frequentemente contrapposto al liberalismo nell’ambito della

scienza politica83, sulla scorta della sua connessione con i concetti “positivi” di popolo e sovranità

popolare84, non può essere liquidato puramente e semplicemente come una sorta di “patologia” del

sistema politico, sebbene il termine sembra essere ancora connotato prevalentemente da un’accezione

spregiativa85.

Il problema della difficoltà di definizione nasce forse proprio da questo: populismo deriva da popolo e

concentra su di sé le ambiguità della parola da cui deriva86.

In ogni modo un siffatto concetto non è caratteristico di una determinata area politica e quindi non risulta

riconducibile in particolare a quella dell’estrema destra87.

D’altronde è utile mettere in evidenza la circostanza che tutte le democrazie moderne sono fondate su

un compromesso tra componenti democratiche e non; anzi, proprio i tanto apprezzati checks and balances

delle moderne liberaldemocrazie costituiscono al tempo stesso la garanzia e il limite della volontà

popolare88.

Nondimeno solo un’analisi superficiale potrebbe liquidare il populismo come un fenomeno

esclusivamente negativo ed etichettarlo sic et simpliciter come la negazione della democrazia89.

83 V. W. H. RIKER, Liberalism Against Populism: A Confrontation Between the Theory of Democracy and the Theory of Social Choice, San Francisco, 1982, trad. it. Liberalismo contro populismo: confronto tra teoria della democrazia e teoria della scelta sociale, Milano, 1996. In merito v. anche G. BALDINI, Populismo e democrazia rappresentativa in Europa, in Quaderni di Sociologia, 2014, n. 65, pp. 11 ss. 84 V. in proposito Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., p. 24, secondo cui il populismo in sé non è una patologia perché altrimenti andrebbero bollate come populiste le procedure di democrazia diretta negli Stati Uniti e in Svizzera nonché tutte le forme di contestazione del particolare assetto ordinamentale democratico esistente. 85 V. K. DEEGAN-KRAUSE e T. HAUGHTON, Toward a More Useful Conceptualization of Populism: Types and Degrees of Populist Appeals in the Case of Slovakia, in Politics & Policy, 2009, vol. 37, n. 4, p. 822. 86 V. in proposito Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., pp. 170 ss., secondo cui esistono tre concetti di popolo: popolo-sovrano, popolo-classe e popolo nazione. Riassuntivamente poi si fa notare (p. 198) che il concetto di populismo può definirsi: in relazione al popolo-sovrano, quale fonte della legittimità e titolare del potere decisionale, ponendo così il problema della rappresentanza politica e della distribuzione del potere; in rapporto al popolo-classe, evidenziando la questione della distribuzione delle ricchezze con la tutela degli individui indifesi contro l’alta finanza e la globalizzazione dell’economia; infine con riferimento al popolo-nazione, dove viene spesso scambiato per nazionalismo, con il rifiuto delle minoranze straniere percepite come corpi estranei suscettibili di contaminare l’essenza pura del popolo e minacciarne la sottrazione dei beni. 87 V. E. LACLAU, La ragione populista, cit., p. 168; Y. MÉNY e Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., pp. 18 ss. e 282. 88 V. sul punto F. PANIZZA (a cura di), Populism and the Mirror of Democracy, Londra-New York, 2005, p. 30. 89 V. in tal senso anche Y. MÉNY e Y. SUREL, The Constitutive Ambiguity of Populism, cit., p. 5.

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Infatti, in relazione alla contemporanea onda populista o neo-populista, accanto alla radicata visione

negativa di fenomeno degenerativo della democrazia90, peraltro insita nell’uso del suffisso “ismo” posto

accanto alla radice della parola “popolo”, si potrebbe cogliere anche l’istanza di una complessa e profonda

serie di trasformazioni della democrazia91.

In una situazione di sclerotizzazione delle istituzioni rappresentative la spinta proveniente dai movimenti

populisti potrebbe costituire uno stimolo al rinnovamento delle medesime istituzioni anche per le forze

politiche tradizionali che nei diversi paesi si alternano nella gestione del potere. Esse potrebbero così

cogliere le istanze popolari veicolate dai movimenti populisti, trasformandole in un momento di crescita

e rivitalizzazione del sistema democratico-rappresentativo. Inteso in tal senso, il populismo, da minaccia

alla stabilità dei regimi democratici potrebbe diventare indirettamente elemento positivo di cambiamento,

svolgere una funzione di stimolo alla crescita culturale, sociale e politica di una nazione e rappresentare

un’opportunità di rilancio per gli stessi regimi democratici rappresentativi.

90 V. ad esempio D. LANDAU, Populist Constitutions, cit., p. 525, secondo cui in molti contesti il populismo si configura come una minaccia per la democrazia. 91 V. P. BLOKKER, Response to “Public law and populism”, in German Law Journal, vol. 20, Aprile 2019, p. 285.