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IL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA PERSONA NEI SINISTRI STRADALI1
di Francesco Bilotta (*)
(*) L’Autore
Francesco Bilotta è docente di diritto privato presso l’Università di Udine ed Avvocato in Trieste. Autore di numerosi saggi in materia di diritti delle persone, diritti dei consumatori, responsabilità civile. Ha collaborato alla stesura della proposta di legge sul Patto civile di solidarietà e unioni di fatto presentata nella XIV Legislatura. È membro della redazione di “Responsabilità civile e previdenza”. Il presente saggio è stato gentilmente concesso dall’Autore al Tribunale di Varese.
Giuseppe Buffone
Sommario: 1. La nozione di danno biologico – 2. La nozione di danno biologico nella recente giurisprudenza di merito – 3. La nozione di danno biologico nella recente giurisprudenza di legittimità – 4. La personalizzazione del danno biologico: il c.d. danno biologico dinamico – 5. Le prime sentenze di merito dopo il Codice delle assicurazioni private – 6. La liquidazione del danno alla persona – 7. Conclusioni e prospettive.
1. La nozione di danno biologico
Gli articoli 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private hanno il merito – al di là delle opzioni
teoriche che hanno animato il dibattito dottrinario degli ultimi anni – di chiarire una delle questioni
più controverse in tema di danni non patrimoniali, ossia cosa debba intendersi con l’espressione
danno biologico2. E ciò senza dimenticare l’apporto esegetico delle Sezioni Unite della Cassazione
nn. 26972-26975/2008 con riferimento ai rapporti tra tale danno e i pregiudizi esistenziali.
1 Il presente saggio costituisce un contributo inedito che sarà pubblicato nel volume "La regolazione assicurativa. Dal Codice delle assicurazioni ai primi Regolamenti di attuazione" (a cura di) Pierpaolo Marano e Michele Siri, Collana "Quaderni del CESIFIN", Giappichelli, Torino, di prossima pubblicazione 2 Sul tema v. A. MAIETTA, Circolazione stradale e responsabilità civile: la casistica dell'accertamento e il danno risarcibile: patrimoniale, biologico, morale, genetico, esistenziale: aggiornato al D.P.R. 254 del 18.7.2006 sull'indennizzo diretto, CEDAM, Padova, 2007; M. BONA, Il danno alla persona nel codice delle assicurazioni e nel nuovo processo civile: commento a D.M. 31 maggio 2006 Quantum del danno biologico; L. n. 102/2006 Rito del lavoro per gli incidenti stradali; L. n. 80/2005, L. n. 271/2005, D. lgs. n. 40/2006 Nuovo processo civile; D. lgs. n. 209/2005 Codice delle assicurazioni; Corte europea dei diritti dell'uomo CEDU, IPSOA, Milanofiori, Assago, 2006; G. CIMAGLIA e P. ROSSI, Danno biologico: le tabelle di legge: le tabelle delle menomazioni INAIL, la tabella delle menomazioni R.C.A. 1-9%, la tabella delle menomazioni R.C.A. 10-100%, il commento delle voci, le tabelle con gli importi del valore punto (INAIL ed R.C.A. micropermanenti), Giuffrè, Milano, 2006; G. DE PAOLA e L. AVIGLIANO, La liquidazione del danno nell'infortunistica stradale: manuale pratico in materia di risarcimento del danno patrimoniale, morale e biologico derivante da incidente stradale, Il sole-24 ore, Milano, 2006; A.A. V.V., La valutazione medico-legale del danno biologico in responsabilità civile: guida-commento alle tabelle delle menomazioni alla integrità psico-fisica di cui al D.M. 3 luglio 2003 (1-9%) ed ai lavori della Commissione ex D.M. 26 maggio 2004 (10-100%),Giuffrè, Milano, 2006; S. ZAAMI e E. MARINELLI, La nozione di danno biologico per lesioni di lieve entità nel nuovo codice delle assicurazioni private - Definizioni e contenuti medico-legali, in Zacchia, 2006, 369; P. ZIVIZ, La valutazione del danno biologico nel nuovo codice delle assicurazioni, in Resp. civ. prev., 2006, 641; D.
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È noto come la categoria del danno biologico abbia conosciuto nel tempo una notevole evoluzione.
E ciò grazie alla convergenza di due circostanze: la mancanza di una definizione legislativa e la
sollecitazione sempre più ampia a decidere casi incentrati proprio sul concetto di salute. Per questo
motivo, dopo anni di sentenze in materia, possiamo schematizzare nel modo che segue le ultime fasi
di quello che evocativamente è stato chiamato il “percorso di un’idea”3.
Il diritto vivente, infatti, conosce una concezione di danno biologico “in senso stretto”, inteso quale
lesione dell’integrità psicofisica medicalmente accertabile. Di fronte a tale nozione, il danno
esistenziale è stata quasi una necessità, perché non vi erano altre vie per poter riscontrare sul piano
aquiliano le ricadute negative della lesione della salute in termini di compromissione della
quotidianità della vittima. In tale contesto, la nozione che accogliamo di danno esistenziale (o di
pregiudizi esistenziali per utilizzare l’espressione delle Sezioni unite del 2008) fa riferimento alla
totalità dei riflessi negativi che la lesione dell’interesse protetto (ossia la salute) provoca sulla vita
del danneggiato.
È noto, d’altro canto, che fin dagli albori della riflessione teorica sul tema, sia stata presente una
seconda concezione di danno biologico inteso “in senso ampio”4. È questa seconda prospettiva che
viene oggi accolta dal Codice delle assicurazioni e dalla Suprema Corte. In tale accezione, siffatto
pregiudizio assorbe ogni “incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-
relazionali della vita del danneggiato”. In tal guisa, la sostanza del danno esistenziale viene
assorbita dal danno biologico. E tanto ciò è vero che le recenti decisioni della magistratura di
legittimità, hanno ribadito che senza la considerazione dei pregiudizi esistenziali non si può
considerare integralmente risarcito il danno biologico. Ovviamente non di ogni pregiudizio
esistenziale stiamo parlando, ma solo di quello che discende da una lesione della salute e che non
consiste in un’alterazione eccezionale della quotidianità della vittima.
Vista in tali termini la questione, tanto ai sostenitori di una teoria ristretta del danno biologico, tanto
ai sostenitori di una nozione allargata dello stesso non sfugge che vi sia un’area di confine che porta
i due pregiudizi esistenziali e quelli biologici a sovrapporsi parzialmente qualora l’illecito di cui si
deve giudicare consista nella lesione della salute della vittima5.
Tanto è vero che il legislatore, pur sottolineando la necessità di un riscontro nosografico
dell’alterazione della salute, ha poi precisato che la cifra tabellare corrisposta alla vittima possa
VASAPOLLO, Guida pratica alla valutazione del danno biologico: Decreto ministeriale 3 luglio 2003; tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità, Bononia university press, Bologna, 2005. 3 G. ALPA, Il danno biologico - Percorso di un’idea, III ed., CEDAM, Padova, 2003. 4 P. PORRECA, La matrice esistenziale del danno biologico, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 709-716. 5 P. ZIVIZ, Le relazioni pericolose: i rapporti tra danno biologico e danno esistenziale, in Resp. civ. prev., 2007, 790-797.
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essere incrementata al fine di personalizzare il danno: un altro modo per far emergere le ricadute
idiosincratiche della lesione all’integrità fisio-psichica del danneggiato6.
Di fronte a tale prospettiva, prima delle sentenze delle Sezioni unite, si erano sviluppati due opposti
atteggiamenti. Da un canto, v’era chi riteneva che si dovesse parlare di un danno esistenziale di
carattere biologico, aderendo così ad un modello di danno biologico in senso stretto. È evidente
quale riflesso ciò avesse sul coinvolgimento della scienza medico-legale nel processo di
responsabilità7: al medico spettava solo la constatazione dell’alterazione della salute e delle sue
ricadute funzionali standard, avvalorando con il suo sapere la sussistenza della lesione piuttosto che
del danno non patrimoniale in senso proprio8.
D’altro canto, vi era chi faceva riferimento alla categoria del danno biologico “dinamico-
relazionale”, aderendo, quindi, ad una visione allargata di danno biologico9. In tal modo, la
competenza tecnica del medico si spingeva il più delle volte fino ad alterare quell’equilibrio tra le
parti del processo fondato sul principio della domanda.
Sia nell’uno sia nell’altro caso, dal punto di vista teorico e concettuale, l’autonomia delle due figure
di danno non veniva meno. Accanto alla compromissione derivante dalla lesione dell’integrità
6 P. ZIVIZ, Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in Resp. civ. prev., 2001, 417-422. 7 F.M. AVATO, Il ruolo del medico-legale nell’accertamento, nella valutazione e quantificazione del danno non patrimoniale (esistenziale?), in Ponzanelli G. (a cura di), Il risarcimento integrale senza il danno esistenziale, Cedam, Padova, 197-213. 8 Per un approfondimento sul ruolo del medico legale si consenta il rinvio a F. BILOTTA e A. BIANCHI, Il danno biologico dopo il Codice delle assicurazioni: prospettive giuridiche e medico-legali, in Resp. civ. prev., 2008, 469-479. 9 Tale visione era presente fin dall’origine in F. D. BUSNELLI, Il danno biologico dal «diritto vivente» al «diritto vigente», Giappichelli, Torino, 2001. In particolare, l’Autore afferma: «Fondamentale in questa prospettiva dovrebbe essere il criterio del (contribuire nella misura del possibile a) rimuovere mediante un’adeguata liquidazione del danno alla salute, gli impedimenti di ordine economico e sociale frapposti dal fatto dannoso al pieno sviluppo della persona umana (art. 3, 2° co., Cost.). Tale criterio, a sua volta, tenderà a specificarsi mediante una serie di principi costituzionali desumibili, a seconda dei casi, dall’art. 31, 1° co. (in riferimento a menomazioni che pregiudichino “ la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”); dall’art. 34, 3° co. (in riferimento a menomazioni che pregiudichino il diritto dei “capaci e meritevoli” di raggiungere, anche se privi di mezzi, “ i gradi più alti degli studi”); dall’art. 35, 1° co. (in riferimento a menomazioni che pregiudichino la possibilità di “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”); dall’art. 37, 1° co. (in riferimento a menomazioni che pregiudichino la “essenziale funzione famigliare” della madre e la “ speciale e adeguata protezione del bambino”) (…) Il risarcimento del danno alla salute (…) mira invece, a restaurare o conservare la dignità sociale (art. 3, 1° co. Cost.) del danneggiato, tutelando in questo senso il suo diritto alla salute; ne consegue che l’entità del risarcimento dovrebbe essere, in linea di tendenza, proporzionale alla gravità degli impedimenti economici e sociali causati dal fatto lesivo» (41-42). In queste parole, non solo c’è tutta la teoria del danno esistenziale, ma chi scrive vi scorge anche un abbozzo del diritto alla realizzazione personale. Andando oltre il dato nominalistico, sinceramente non si riesce a scorgere una distinzione tra la posizione degli esistenzialisti e quella di BUSNELLI, nell’opera citata, 40 e ss. Mi piace ricordare in particolare, il seguente passaggio del ragionamento più generale dell’autore in materia di personalizzazione del risarcimento del danno biologico tabellare: «L’amputazione di una gamba resasi necessaria in seguito ad un incidente stradale è sotto il profilo medico legale un evento tipico, identico come tale per tutti i soggetti lesi. Le conseguenze pregiudizievoli per la salute possono, per contro, comportare una diversa valutazione economica a seconda che, poniamo, il danneggiato abiti in una comoda villetta con un unico piano, ovvero all’ultimo piano di un edificio popolare senza ascensore. Non sembra perciò conforme ad equità rinunciare a priori ad una valutazione differenziata del danno alla persona, perfino quando le conseguenze della menomazione si prospettino spiccatamente diverse».
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psicofisica, infatti, si poteva delineare una vasta gamma di compromissioni esistenziali indipendenti
da tale lesione, ontologicamente irriducibili alla sfera biologica ed autonomamente risarcibili
(sarebbe bene far riferimento, per amore di chiarezza, in casi simili al danno esistenziale puro)10.
Eppure, anche qualora i pregiudizi esistenziali che sostanziano la richiesta di risarcimento del danno
non patrimoniale siano originati dalla lesione dell’integrità fisiopsichica, sarà utile – come vedremo
– distinguerli dal danno biologico. Tale utilità a quanto pare, non è stata colta appieno stando
all’opzione legislativa concretizzatasi nel Codice delle assicurazioni, che, beninteso, è solo una
delle possibili vie che si sarebbero potuto percorrere in un’ottica di razionalizzazione del sistema11.
Infatti, le più alte Corti italiane prima e il legislatore poi avrebbero ben potuto con un colpo di
spugna eliminare la categoria del danno biologico, facendola confluire nella più vasta categoria del
danno esistenziale. Se, infatti, il danno biologico non è altro che il peggioramento della quotidianità
di chi ha subito un’alterazione del proprio benessere fisio-psichico, basterebbe la categoria del
danno esistenziale a descrivere tale nocumento, avendo semmai cura di precisarne la fonte: ossia la
lesione del diritto alla salute. Rispetto ad un’opzione tanto radicale, vi sono ragioni che avrebbero
potuto portare i giudici e il legislatore ad adottarla ed altre di segno opposto che consentono di
condividere, tutto sommato, la scelta operata con le sentenze della Cassazione del 2003 e del 2008 e
poi dal Codice delle assicurazioni.
A favore dell’assorbimento totale della categoria del danno biologico in quella del danno
esistenziale vi è anzi tutto una ragione di economia delle categorie giuridiche. Pochi concetti e
chiari evitano senza dubbio confusioni, sovrapposizioni, duplicazioni, fraintendimenti di ogni sorta.
Inoltre, un’unica categoria sollecita un unico trattamento in ambito processuale, non solo con
riferimento alla fase della liquidazione del danno, ma anche (e forse soprattutto) alla fase
rilevantissima dell’assunzione delle prove. Se l’obiettivo è (sia nel giudizio per il risarcimento del
danno biologico sia nel giudizio per il risarcimento del danno esistenziale) capire se e quanto si è
modificata la vita della vittima, in un’ottica consequenzialista, allora non ci si accontenterà più della
perizia medico-legale, ma – è auspicabile che accada – si ascolteranno saperi diversi (psicologi,
psichiatri, sociologi, esperti dell’infanzia o della terza età, esperti di terapia del dolore, sessuologi, e
così via). Ci si periterà di ammettere prove testimoniali per apprendere quale fosse la vita della
vittima prima dell’illecito e come essa si è modificata in seguito al vulnus patito. Con il che si
10 D. CHINDEMI, Danno esistenziale quale autonoma voce di danno distinta dal danno biologico e dal danno morale, in Resp. civ. prev., 2007, 1281-1293; E. SERRAO, Il danno esistenziale come categoria autonoma rispetto al danno biologico, in Cendon P. (a cura di), Persona e danno, II, Giuffrè, Milano, 2004, 1813-1833. 11 Per una riflessione più approfondita del rapporto tra danno biologico e danno esistenziale v. F. BILOTTA e P. ZIVIZ, Il danno esistenziale: forma e sostanza, in Resp. civ. prev., 2004, 1299-1320.
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eviterà di demandare tale indagine al consulente tecnico, limitando il suo intervento
all’espletamento del ruolo che il codice di rito gli riconosce, ossia esprimersi sulle questioni
prettamente scientifiche della fattispecie, incrementando con ciò la conoscenza del giudice non
esperto di quel certo campo del sapere umano.
La scelta della Suprema Corte nelle recenti decisioni a Sezioni unite, invece, è stata di segno
diametralmente opposto, giacchè non è scomparsa la categoria del biologico, bensì – fermo il
richiamo al danno biologico – si è negata qualsiasi autonomia categoriale al danno esistenziale.
Si assiste in questo modo ad un ricompattamento tassonomico che vede come unica categoria quella
del danno non patrimoniale, rispetto alla quale le species del danno morale, del danno biologico e
del danno esistenziale, divengono espressioni descrittive a cui non è possibile riferirsi
autonomamente.
Ciò non toglie che al di là della scelta ermeneutica del Supremo Collegio, il richiamo al danno
esistenziale (di fonte biologica) ovvero ai pregiudizi esistenziali, continua a fungere da stimolo per
il giudice affinché non si appiattisca sulla liquidazione del pregiudizio in base a quanto previsto
dalle tabelle, in armonia con il principio di integrale riparazione del danno, cui pure le Sezioni unite
si richiamano ripetute volte12. La personalizzazione del risarcimento – pur con il tetto imposto dal
Codice delle assicurazioni – sarebbe garantita dalla rappresentazione completa, emersa in sede
istruttoria, delle conseguenze negative della lesione della salute nella vita del danneggiato.
A fronte di tali considerazioni, altre militano per una soluzione opposta: quella – per intenderci –
che sembra attualmente essere stata scelta dai giudici e dal Codice delle assicurazioni.
Innanzi tutto, la tradizione nell’uso del termine danno biologico. Una figura entrata da oltre un
ventennio nella prassi delle corti – che ha fatto sorgere professionalità specifiche come quella dei
medici-legali, che ha visto un intero sistema organizzarsi per provvedere al suo risarcimento con la
creazione di tabelle apposite, che ha spinto all’emanazione di provvedimenti legislativi i quali ne
hanno definitivamente consacrato l’esistenza autonoma nel sistema – non può essere eliminata con
un tratto di penna senza produrre conseguenze sul resto del sistema.
Né particolari ragioni di preoccupazione possono intravedersi nella possibile confusione da parte
dei pratici tra le due figure. I giudici ormai sono avvezzi a distinguere, nella fase di
personalizzazione del danno biologico, la componente c.d. dinamica dello stesso, la quale altro non
è che il danno esistenziale di fonte biologica di carattere idiosincratico. Per dirlo in altre parole,
mentre le tabelle incorporano e traducono in denaro (in base ad convenzione largamente accettata)
12 M. SELLA, La personalizzazione del danno, in Cendon P. (a cura di), La prova e il quantum del danno non patrimoniale. Danno biologico, esistenziale e morale, Utet, Torino, 2008, vol. I, 165-175.
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l’alterazione della vita della vittima che “normalmente” consegue a quella certa lesione
dell’integrità fisio-psichica, nel caso concreto – stante le peculiarità della vittima dell’illecito – a tali
conseguenze potrebbero accompagnarsi altre, che (ove allegate e puntualmente fatte oggetto di
prova) andranno risarcite con un aumento della somma calcolata in base alle tabelle. In questo
senso, la possibilità di personalizzazione del risarcimento del danno biologico offerta al giudice dal
Codice delle assicurazioni risponde alla stessa logica.
Prima delle recenti decisioni della Cassazione, la coesistenza della categoria del danno biologico e
della categoria del danno esistenziale nel sistema – al di là quindi del particolare ambito del Codice
delle assicurazioni – induceva spesso il giurista a pensare che si trattasse di due figure di danno
completamente diverse, senza nulla in comune. Assumendo in tal modo il più volte deprecato
atteggiamento di predilezione della forma sulla sostanza13. Andando, invece, al cuore di questi due
aspetti del danno non patrimoniale, ci si rende conto che la distinzione (nominale) tra le stesse trova
fondamento semplicemente su un preuso e in una diffusione del lemma “danno biologico”, piuttosto
che su una differenza contenutistica.
Rammentare il comune contenuto, sul piano della tipologia di compromissioni prese in
considerazione, del danno biologico e dei pregiudizi esistenziali offre la possibilità di esorcizzare
definitivamente lo spettro di duplicazioni nel risarcimento del danno non patrimoniale. Se nel danno
biologico tabellare c’è una quota dei pregiudizi esistenziali discendenti da una certa lesione della
salute, ossia la quota standard, che non tiene conto delle specificità del danneggiato, laddove – in
presenza di una lesione alla salute – si voglia risarcire ogni pregiudizio esistenziale (cioè il danno
biologico dinamico/idiosincratico), esso consisterà nelle sole alterazioni risentite dalla vittima per la
peculiarità della propria organizzazione di vita. Ove le stesse non fossero provate, il danno
biologico tabellare sarà idoneo a ristorare efficacemente il pregiudizio subito dalla vittima.
Per quanto, quindi, si cerchi di semplificare il sistema, non sarà mai possibile eclissare
completamente le particolarità soggettive della lesione alla salute (quelle per intenderci che rendono
necessaria la personalizzazione), giusto il principio di eguaglianza in forza del quale situazioni
diverse devono conoscere in un’aula di giustizia risposte diverse.
2. La nozione di danno biologico nella recente giurisprudenza di merito
Sul piano applicativo, tuttavia, prima delle decisioni a Sezioni unite del 2008 regnava ancora una
notevole confusione, come un’analisi anche solo sommaria della giurisprudenza poteva facilmente
dimostrare. Se si fosse trattato di una confusione solo terminologica o tassonomica, non ci sarebbe 13 Cfr. F. BILOTTA e P. ZIVIZ, Il danno esistenziale: forma e sostanza, op cit.
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stato da preoccuparsi eccessivamente. Il punto è che la poca consapevolezza delle relazioni
intercorrenti tra danno biologico e pregiudizi esistenziali, a causa della loro sovrapponibilità nella
fase della liquidazione, aveva effetti pratici di non poco momento: rischiava di creare duplicazioni
risarcitorie, difficoltà sul piano probatorio, sviamento nell’attività di valutazione da parte del
consulente tecnico, impedendo, in definitiva, un’equa riparazione del pregiudizio e un’effettiva
personalizzazione del risarcimento. Tali pericoli si ritrovavano tanto nelle sentenze che adottavano
una nozione allargata di danno biologico tanto nelle sentenze che distinguevano le due figure, ma
facevano largo uso delle presunzioni per la prova del danno esistenziale.
Nella giurisprudenza degli ultimi anni possiamo rintracciare due diversi orientamenti. Innanzi tutto,
vi sono Tribunali che si richiamano ad una nozione allargata di danno biologico, cara alla scuola
pisana e recepita dal Codice delle assicurazioni.
In un caso “classico” della responsabilità civile, il Tribunale di Venezia, solitamente favorevole ad
un risarcimento autonomo del danno esistenziale si esprime a favore del danno alla salute in senso
allargato, negando l’autonomo risarcimento del danno esistenziale14. Un uomo a seguito di un
incidente stradale riporta un’invalidità permanente che non solo gli impedisce di continuare a
svolgere il suo lavoro, ma lo ostacola anche nello svolgimento dell’attività sportiva. La motivazione
del giudice è piuttosto dettagliata nel sostenere la decisione di riportare nell’alveo del danno
biologico in senso dinamico il danno esistenziale. Ma – va notato – il giudice ha l’accortezza nella
fase della liquidazione di affermare che non si possa prescindere da una personalizzazione del
risarcimento nella valutazione tabellare del danno biologico. Dunque, per una strada diversa, la
decisione giunge alle stesse conclusioni di quanti sostengono la necessaria autonomia nel
risarcimento delle alterazioni esistenziali indotte dalla menomazione fisica.
In genere, però, i giudici non sono inclini ad affermare la necessità di una personalizzazione del
risarcimento. Ciò si traduce, sotto il profilo applicativo, nel rischio che non si prendano affatto in
considerazione i pregiudizi sulla quotidianità della vittima indotti dalla menomazione fisica. Infatti,
a causa della prassi invalsa presso gli avvocati di limitarsi ad allegare una perizia medico legale di
parte, così fornendo un principio di prova del danno (biologico) lamentato, il giudice, astretto dal
principio della domanda – a parte le indicazioni che può fornirgli il CTU – non potrà personalizzare
il danno biologico accertato e liquidato in base alle tabelle, per mancanza di allegazione dei profili
idiosincratici delle alterazioni esistenziali. Insomma, il difetto dell’estensore della sentenza
veneziana, appena ricordata, è confidare eccessivamente nella sensibilità e nella cultura degli
operatori del diritto italiani, riconoscendo ad altri le proprie qualità. Purtroppo, l’esperienza ci 14 Trib. Venezia, 11 luglio 2005, g.u. Simone, in Danno e resp., 2006, 1005, con nota di PEDRAZZI.
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insegna che non è sempre così.
Va però sottolineato che, dopo le Sezioni unite del 2008, non sarà più possibile per il giudice
sfuggire alla necessità di conteggiare le ricadute idiosincratiche della lesione fisica. Consideriamo a
tal riguardo la sentenza n. 26972/2008. Un uomo chiede il risarcimento dei danni patiti per
l’asportazione del testicolo sinistro, atrofizzatosi dopo un intervento chirurgico di ernia inguinale
non eseguito correttamente. L’espressione danno esistenziale – con riferimento ai pregiudizi di
natura relazionale conseguenti all’asportazione del testicolo – viene utilizzata per la prima volta in
appello e la domanda in quanto nuova viene ritenuta inammissibile. Si tratta di una
micropermanente (IP del 6%) con una forte componente esistenziale. La Corte riconosce che i
giudici d’appello non hanno considerato gli “aspetti dinamico-relazionali” che l’alterazione
biologica ha generato nella vita della vittima. E’ noto come gli aspetti dinamico-relazionali altro
non siano che il danno esistenziale idiosincratico discendente da una lesione fisica e come il giudice
da sempre sia stato sollecitato a valorizzarli nella fase della liquidazione del danno non
patrimoniale15. Il messaggio della Suprema Corte è chiaro: non si può considerare integralmente
risarcito il danno biologico risentito dalla vittima senza considerare dei pregiudizi esistenziali.
Nota è la posizione del Tribunale di Bologna in argomento, chiuso al riconoscimento del danno
esistenziale, conformemente a quell’indirizzo della terza Sezione della Suprema Corte fondato
sull’asserita tipicità del danno non patrimoniale e che ora inopinatamente le Sezioni unite hanno
fatto proprio seppure con l’accortezza (ingenerante una forte contraddizione) di richiamare l’art. 2
Cost. come possibile norma di riferimento per la selezione dei danni non patrimoniali risarcibili.
Articolo caratterizzato notoriamente dal richiamo ad una fattispecie aperta quali sono i “diritti
inviolabili dell’uomo”.
Tra le altre sentenze bolognesi si ricorda il caso di un uomo vittima di un incidente stradale, mentre
viaggiava sul suo motorino16. La CTU disposta in giudizio accerterà un’invalidità permanente del
23%. Va sottolineato, però, che l’incidente aveva provocato la slatentizzazione di una patologia alla
spina dorsale, con conseguente comparsa di un’algia insopportabile per la vittima, al punto da
consigliare un’operazione chirurgica. Verrà risarcito tanto il danno biologico quanto il danno
morale, ma interessante è il ragionamento seguito dal decidente per negare il risarcimento al danno
15 Tale posizione non è stata espressa solo dalla dottrina più favorevole al danno esistenziale, ma anche dalla giurisprudenza di legittimità soprattutto in casi di danni biologici incidenti sulla sfera sessuale. Ha ritenuto possibile risarcire, oltre al danno biologico, un pregiudizio esistenziale in corrispondenza alla peculiarità dei risvolti relazionali correlati all’invalidità Cass., 2 febbraio 2007, n. 2311, in Resp. civ. prev., 2007, 790, con nota di ZIVIZ, Le relazioni pericolose: i rapporti tra danno biologico e danno esistenziale; in Danno Resp., 2007, 685, con nota di PONZANELLI; in Giur. it., 2007, 2710; in Resp. civ., 2008, 25, con nota di ZAULI, L’impotenza è danno esistenziale: va risarcito chi, a causa di un incidente, ha perduto il suo vigore sessuale. 16 Trib. Bologna, 30 ottobre 2006, g.u. Candidi Tommasi, inedita.
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esistenziale. Il giudice ritiene “fuorviante” il risarcimento del danno esistenziale e per sostenere
questa affermazione si richiama alle sentenze della Cassazione che manifesterebbero, a suo dire,
una diffidenza nei confronti di tale pregiudizio, senza dimenticare – ovviamente – di menzionare la
giurisprudenza sulla tipicità del danno non patrimoniale. Probabilmente il giudice si rende conto
dell’inconsistenza di tali argomentazioni – tanto da essere costretta ad affermare una necessaria
valenza esistenziale della lesione degli interessi afferenti alla persona di rilievo costituzionale – e
non trova niente di meglio che riproporre la vecchia visione allargata del danno biologico, quale
danno alla salute, capace di ricomprendere tutte le alterazioni del fare areddituale della vittima.
Presso altri Tribunali, invece, il problema della distinguibilità del danno biologico dal danno
esistenziale era ormai questione assolutamente risolta anche prima delle sentenze recenti di
legittimità. Di tale orientamento è fautore in particolar modo il Tribunale di Genova. Le ragioni
teoriche di questa posizione sono state ribadite dalla sezione del Tribunale ligure, che si occupa di
responsabilità civile, in numerose sentenze. V’è da dire, però, che il beneficio maggiore di
quest’orientamento (ossia un rigoroso riscontro nella fase istruttoria della sussistenza del danno
esistenziale) nel tempo è stato vanificato dal ricorso al meccanismo presuntivo, che spesso rende
automatica la rilevanza aquiliana delle alterazioni della quotidianità della vittima. E ciò non è
particolarmente in linea con la visione consequenzialistica di tale pregiudizio, di cui pure i
magistrati genovesi sono pienamente consapevoli.
Un esempio che vale a dimostrare tale appunto è rappresentato da una sentenza che ha condannato
un condominio al risarcimento del danno perché una signora, abitante all’interno del condominio
stesso, mentre rincasa inciampa in una catenella (non posta all’interno della sua sede) posizionata in
un passaggio antistante all’immobile, al fine di impedire alle macchine di transitare o sostare in
quella zona17. Nella caduta, l’attrice riporta la frattura mediale del collo femorale sinistro, dalla
quale derivano postumi invalidanti permanenti, stimati dal CTU nell’ordine del 25%. A parte il
danno biologico e il danno morale, il giudice risarcisce anche il danno esistenziale, che francamente
non si capisce bene in cosa consista e perché non sia assorbito nel danno biologico permanente
liquidato.
Ora che la rottura del femore, soprattutto per una donna di una certa età, non sia evento da poter
archiviare con leggerezza è evidente. Ma non si capisce perché questo dovrebbe essere apprezzato
autonomamente sotto il profilo esistenziale, quando è facile immaginare che il CTU nel quantificare
la percentuale di danno permanente patito dalla signora avrà tenuto conto di tutte le “normali”
alterazioni della qualità della vita della vittima legate all’alterazione funzionale dell’arto. Quello in 17 Trib. Genova, 16 febbraio 2007, g.u. Braccialini, inedita.
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esame è uno di quei casi in cui il danno esistenziale standard dovrebbe essere totalmente assorbito
dal danno biologico permanente, anche perché non si evince dalla motivazione che la signora abbia
allegato e provato pregiudizi alla propria agenda quotidiana degni di essere riscontrati come danni
esistenziali.
Stesso automatismo in una diversa sentenza dello stesso giudice, nel caso di una donna rimasta
menomata dallo scontro con il capotreno, mentre si accingeva a salire sul vagone18. A causa
dell’urto la signora dalla corporatura minuta cade tra il binario e il marciapiede, fratturandosi
l’omero e riportando un’invalidità permanente del 25%. La motivazione circa il riconoscimento di
una somma a titolo di danno esistenziale riposa su un meccanismo presuntivo. Si tratta – come è
evidente – delle conseguenze standard della lesione biologica, che stante anche l’età della vittima
(68 anni), non giustificano da sole uno specifico riconoscimento del danno esistenziale. Non risulta,
peraltro, che l’attrice avesse allegato particolari alterazioni della propria quotidianità.
Siffatti rilievi non possono, però celare i vantaggi di una distinzione dei pregiudizi esistenziali dal
danno biologico in senso stretto, vantaggi che si spera non si perdano dopo la decisione della
Cassazione di non considerare il danno esistenziale un categoria autonoma di danno non
patrimoniale. La dimostrazione che operare tale differenziazione sia funzionale ad una maggiore
personalizzazione del risarcimento ci è fornita da una sentenza dello stesso Tribunale di Genova,
che di fronte ad un’invalidità permanente pari appena al 4% liquida separatamente tale voce di
pregiudizio apprezzando le specifiche ricadute sulla quotidianità della vittima19. In particolare, si
trattava di un danno estetico al volto di una ragazza, causato da un’operazione non corretta eseguita
a seguito di un incidente stradale. La giovane aveva riportato, infatti, sia una frattura alla mandibola
sia una frattura al viso. I sanitari erano intervenuti per ridurre solo la prima frattura e non la
seconda. Il giudice prende in considerazione non il danno estetico in sé, ma in relazione all’età della
vittima e lo risarcisce autonomamente come danno esistenziale, dopo aver liquidato il danno
biologico.
L’analisi della recente giurisprudenza del Tribunale di Genova (per lo più inedita) ci dimostra come
si sia attestato un orientamento ermeneutico ben preciso con riguardo al risarcimento del danno
esistenziale nel caso di micropermanenti, che ha decisamente eliminato ogni automatismo
risarcitorio attraverso un generalizzato ricorso alle presunzioni. Secondo il Tribunale, non si
potrebbe ricorrere a tale mezzo di prova per riscontrare un danno esistenziale in caso di lesioni lievi,
perché le stesse inducono a ritenere come altamente improbabile l’esistenza di un’alterazione della
18 Trib. Genova, 19 aprile 2007, g.u. Braccialini, inedita. 19 Trib. Genova, 13 settembre 2006, g.u. Silva, inedita.
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quotidianità della vittima20. Trattandosi di un’alterazione funzionale minima, infatti, difficilmente
essa impedirà lo svolgimento di attività esistenziali connesse a quella certa funzione corporea. Sarà
allora la vittima a dover provare un danno esistenziale idiosincratico, ossia determinatosi in
considerazione delle sue particolari condizioni personali. Tanto ciò è vero che non si può non
sottolineare come in taluni casi, nonostante fossero presenti danni biologici di lieve entità, è stato
risarcito il danno esistenziale (autonomamente rispetto al biologico) per la particolarità dei casi
sottoposti al giudizio del Tribunale. Si è ritenuto provato in via presuntiva il pregiudizio esistenziale
sulla base delle sole allegazioni di parte21.
3. La nozione di danno biologico nella recente giurisprudenza di legittimità
Nella presente disamina giurisprudenziale, non si può non prendere in considerazione quanto di
recente affermato dai giudici di legittimità. Emerge nettamente nelle sentenze della Cassazione,
successive al Codice delle assicurazioni, la consapevolezza di un rinnovamento della categoria del
danno biologico. Anche se l’espressione è sempre la stessa, è sotto gli occhi di tutti – e la Suprema
Corte non perde occasione per ribadirlo – che la definizione legislativa non si sia limitata ad una
positivizzazione della nozione elaborata in giurisprudenza, ma abbia introdotto del nuovo capace di
riflettersi sul meccanismo tabellare di quantificazione di quel pregiudizio.
Molto interessante in proposito la sentenza della Cassazione, 18 novembre 2005, n. 2445122, che
cassa una decisione della Corte d’Appello di Roma. I giudici del gravame non avevano
personalizzato il risarcimento riconosciuto alla vittima a titolo di danno biologico, limitandosi ad
una quantificazione automatica sulla base delle tabelle. Tra gli argomenti della motivazione volti a
sostenere la necessità di una personalizzazione del risarcimento, v’è proprio la nuova nozione di
danno biologico, introdotta dal Codice delle assicurazioni. Sono quattro le componenti che secondo
i giudici di legittimità d’ora in avanti dovranno essere tenute presenti per la quantificazione di tale
pregiudizio: la dimensione fisica, quella psichica (entrambe a prova scientifica, cioè rilevabili
20 Con una motivazione del tutto simile v. Trib. Genova, 29 gennaio 2008, g.u. Silva; Trib. Genova, 4 febbraio 2008, g.u. Bonino; Trib. Genova, 8 febbraio 2008, g.u. Silva; Trib. Genova, 13 febbraio 2008, g.u. Casale; Trib. Genova, 21 febbraio 2008, g.u. Silva; Trib. Genova, 22 febbraio 2008, g.u. Bonino; Trib. Genova, 22 febbraio 2008, g.u. D’Arrigo; Trib. Genova, 6 marzo 2008, g.u. Bozzo-Costa; due decisioni del Trib. Genova, 12 marzo 2008, g.u. Casale; Trib. Genova, 26 marzo 2008, g.u. Bozzo-Costa; due decisioni del Trib. Genova, 5 maggio 2008, g.u. Bozzo-Costa; due decisioni del Trib. Genova, 6 maggio 2008, g.u. Silva, inedite. L’orientamento del Tribunale di Genova che si può dire consolidato è condiviso anche da altre sedi giudiziarie: v. Trib. Salerno, 1 aprile 2008, g.u. Carleo. 21 v. due decisioni del Trib. Genova, 8 febbraio 2008, g.u. Casale e Trib. Genova, 19 febbraio 2008, g.u. Silva; Trib. Genova, 12 marzo 2008, g.u. Silva; due decisioni del Trib. Genova, 27 marzo 2008, g.u. Bonino; due decisioni del Trib. Genova, 27 marzo 2008, g.u. Silva. 22 Cass. civ., III sez., 18 novembre 2005, n. 24451, pres. Sabatini, rel. Petti, in Resp. civ., 2006, 641 con nota di P. ZIVIZ.
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medicalmente), l’incidenza negativa sulle attività quotidiane e la perdita degli aspetti dinamico
relazionali della vita del danneggiato (ossia il danno esistenziale). Coerente con tale ricostruzione è
il monito rivolto ai giudici da parte della Corte a non appiattirsi su una liquidazione tabellare
attraverso calcoli automatici, ma a valorizzare il momento della personalizzazione attraverso l’uso
dell’equità.
È bene ricordare, poi, una recente sentenza della Cassazione, che in un obiter si sofferma appunto
sulla distinguibilità tra danno biologico e danno esistenziale con riferimento al Codice delle
assicurazioni23. Anche in tale decisione si riconosce “la struttura complessa del danno biologico,
che ha una componente a prova scientifica medico legale e due componenti a prova libera
(l’incidenza negativa sulle attività quotidiane e l’incidenza negativa sugli aspetti dinamico
relazionali della vita del danneggiato)”.
Con il che è evidente che anche i giudici di legittimità sono consci del fatto che la nozione
normativa del danno biologico, offertaci dal Codice delle assicurazioni, rende palese ciò che prima
era implicito nel sistema, ossia che sotto l’etichetta danno biologico, riconduciamo tanto la
menomazione anatomo-funzionale, tanto l’alterazione standard della quotidianità della vittima che
normalmente consegue a quella invalidità medicalmente accertabile, ossia il danno biologico-
dinamico, che è un altro modo di chiamare il danno esistenziale da lesione della salute.
Se non vi fosse tale profilo ulteriore rispetto alle evidenze nosografiche, non si vede per quale
motivo il giudice avrebbe la possibilità di personalizzare il risarcimento, giacché a fronte della
stessa menomazione le vittime dovrebbero sempre ottenere la stessa somma. È evidente che fondare
sul Codice delle assicurazioni la «panbiologizzazione» del danno alla persona è una specie di
boomerang. In tal guisa, si tenta di occultare i profili esistenziali della lesione della salute evocando
norme che fanno esattamente il contrario.
Nelle sentenze a Sezioni unite del 2008 la Corte non può sfuggire da una riflessione sul danno
biologico alla luce del Codice delle assicurazioni. Tutto l’impianto della pronuncia si basa su un
assunto: esiste una sola categoria di danno non patrimoniale cui vanno ricondotte tutte le figure di
danno della stessa natura nel tempo create dal diritto vivente. Purtroppo, però, rispetto al danno
biologico, il Codice della assicurazioni introduce una nozione normativa molto precisa che non
consente di affermare per tale danno che si tratti solo di un lemma avente funzione descrittiva, come
pure fa la Cassazione. Nonostante tale palese incongruenza, per salvare la costruzione teorica che
sta dietro la decisione, anche il danno biologico viene considerata solo un’espressione descrittiva.
23 Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20987, pres. Vittoria, rel. Petti, in Resp. e risarcimento, 2007, fasc. 10, 36, con nota di RODOLFI.
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Al di là però di tale aspetto nominalistico, quello che conta è che assieme ad una nozione ampia di
danno biologico la Suprema Corte chiarisce che la dimensione esistenziale del danno va sempre e
comunque tenuta presente al momento della quantificazione di tale pregiudizio. Più precisamente la
Cassazione afferma che: «possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto
dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il ed. danno alla vita di relazione, i
pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni
dell'integrità psicofisica»; e ancora: «certamente incluso nel danno biologico, se derivante da
lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità». A
chiusura di tutti e due questi passaggi la Corte ribadisce che di tali pregiudizi esistenziali non è
possibile un separato indennizzo, a pena di incorrere in una duplicazione risarcitoria.
Ora, il punto è che v’è un pericolo maggiore di duplicazione nel non distinguere precisamente il
danno biologico e i pregiudizi esistenziali, proprio per l’incorporazione nelle tabelle in uso presso i
tribunali di una parte dei risvolti dinamico-relazionali della lesione psichica o somatica. Senza
considerare che la mancata distinzione dei piani nella fase della liquidazione può avere riflessi sulla
fase istruttoria, perché le parti – e in specie l’attore – rischia di sottovalutare l’importanza delle
allegazioni e delle prove concernenti i pregiudizi esistenziali, una volta acclarata la sussistenza della
lesione biologica. È bene, quindi, rammentare sul piano operativo che sarà sempre opportuno essere
molto precisi nell’allegazione e nella richiesta di prova dei pregiudizi esistenziali.
4. La personalizzazione del danno biologico: il c.d. danno biologico dinamico
Sia che si parta dalla lesione del diritto alla salute, sia che si parta dalla lesione di altri
diritti/interessi, è sempre e comunque all’esistenza che occorre arrivare, ed alla concreta
dimostrazione di un peggioramento della qualità della vita rispetto alla situazione antecedente.
Quando si accerta la natura, l’intensità, la durata e l’effettiva sussistenza delle compromissioni che
l’illecito ha prodotto sulle attività realizzatrici della persona, l’oggetto dell’indagine è sempre e solo
l’esistenza concreta del danneggiato, indipendentemente dalla natura del diritto leso. Si potrebbe
dire che il non poter più fare, o l’essere costretti a fare altrimenti, comunque lo si voglia
denominare, non conserva memoria delle proprie origini, e deve pertanto essere considerato solo
nella sua fenomenologia concreta, non nella sua genealogia24. A ben guardare, proprio la
confusione tra fenomenologia e genealogia rappresenta una costante della casistica relativa al danno
esistenziale.
24 Sul punto si consenta il rinvio a F. BILOTTA e A. BIANCHI, Il danno biologico dopo il Codice delle assicurazioni, cit., passim.
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A dimostrare tale assunto vi è un altro passaggio di una recente sentenza della Cassazione
richiamata poc’anzi25. Nell’argomentare la mancanza di autonomia del danno esistenziale, la Corte
ci offre una lettura riduttiva della sentenza a Sezioni Unite n. 6572/200626. Come è noto, tale
sentenza, pur essendo stata emanata per risolvere un conflitto in materia di prova del danno non
patrimoniale da demansionamento, di fatto rappresenta una pietra miliare nell’elaborazione della
categoria del danno esistenziale a livello giurisprudenziale. Una sorta di punto di non ritorno per
l’ampiezza e l’esaustività delle questioni affrontate.
Il danno esistenziale viene descritto in quella sentenza come un (i) danno conseguenza; (ii) ben
distinguibile dal danno morale; (iii) suscettibile di essere provato in tutti i modi consentiti
dall’ordinamento; (iv) capace di assorbire in sé tutti i pregiudizi di carattere non patrimoniale
conseguenti al demansionamento; (v) discendente dall’inadempimento datoriale e riconducibile
direttamente all’art. 1218 c.c.; (vi) non necessitante di un aggancio costituzionale tutte le volte in
cui già la legge ordinaria predica la risarcibilità della lesione di un interesse di carattere personale;
(vii) presumibile, alla luce delle allegazioni di parte; (viii) non risarcibile laddove non sia riscontrato
concretamente nella fase istruttoria; (ix) valutabile equitativamente; (x) funzionale alla protezione
del diritto alla realizzazione personale.
Tale pronuncia viene spesso sminuita come utile solo a ribadire la natura consequenzialistica del
danno da demansionamento, mentre altri tentano di giustificarne l’esistenza alla luce del contesto
particolare in cui è stata emanata: l’ambito lavoristico. Secondo costoro, vi sarebbero ragioni non
esportabili in altri ambiti dell’ordinamento, che hanno indotto le Sezioni Unite ad esprimersi nei
termini dianzi ricordati.
Una definizione “peculiare e pragmatica” legata ai valori solidaristici propri del diritto del lavoro,
così si esprime la Cassazione nella decisione n. 20987/200727. Eppure, l’art. 2 Cost. fa del principio
di solidarietà – ammesso che sia questo il punto della questione – un valore cardine dei rapporti
sociali, a prescindere dall’ambito lavoristico. Quindi, se è vero che è la solidarietà la ragione che ha
indotto le Sezioni Unite ad esprimersi in quel modo, non si vede perché negare la possibilità di
estendere quell’interpretazione ad altri tipi di relazioni tra privati. Tanto più che la stessa
Cassazione, prima di disconoscere la portata sistematica della sentenza n. 6572/2006, afferma:
“questa Corte, nella sentenza delle Sezioni unite citata (n. 6572/06) ha posto in evidenza la
possibilità che dal fatto lesivo (nella specie da inadempimento contrattuale per illegittimo
25 Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20987, cit. 26 Cass. civ., Sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, pres. Carbone, rel. La Terza, in Foro it., 2006, I, 1344 e I, 2334 (m), con note di CENDON e PONZANELLI. 27 Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20987, cit.
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demansionamento del lavoratore) derivi una pluralità di danni al lavoratore, da risarcire a titolo
biologico, esistenziale e morale; la stessa logica si verifica nella fattispecie di un illecito sanitario,
ascrivibile ai sanitari e a titolo solidale alla struttura sanitaria”. Insomma, in poche righe si afferma
e si nega la predicabilità del danno esistenziale nel nostro sistema a prescindere dalla tipologia
dell’interesse leso a monte.
Le recenti Sezioni unite ci hanno offerto una lettura autentica di tale decisione, precisando che non
si è trattato di una pronuncia isolata28. Per comprendere la diversa prospettiva da cui muove la Corte
Suprema rispetto alla teoria del danno esistenziale è significativo il seguente passaggio: «Le
menzionate sentenze individuano specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di obblighi
contrattuali nell'ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla violazione dell'obbligo
dell'imprenditore di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.).
Vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942,
sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32 Cost., quanto alla tutela dell'integrità fisica,
ed agli art. 1, 2, 4 e 35 Cost., quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti
inviolabili, la cui lesione dà luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo
esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di
danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista». Ciò secondo la Cassazione
non conferma l’autonomia del danno esistenziale, perché la risarcibilità del danno non patrimoniale
discenderebbe da un’ipotesi tipica. Ma il vero punto non è questo, ma cosa sono in concreto quelli
che la stessa Corte chiama “pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale”. La copertura
normativa dell’art. 2087 c.c. o dell’art. 2 Cost. non sposta di una virgola il problema: cosa si deve
provare (e quindi cosa si deve liquidare) a titolo di pregiudizio (o danno) esistenziale? È questo il
tallone di Achille delle recenti sentenze a Sezioni unite, il nodo che la visione olistica del danno non
patrimoniale rende insolubile.
Tra gli effetti positivi del Codice delle assicurazioni private v’è senza dubbio il definitivo
abbandono dell’iniziale concezione “eventista” del danno biologico. Il Codice rende chiaro che la
sola menomazione – senza le concrete conseguenze negative sulla vita – non soddisfa i criteri per il
danno biologico, come per tutti gli altri tipi di danno, sia non patrimoniale che patrimoniale.
Nel caso del danno biologico dinamico-relazionale, così come delineato dal Codice, la
compromissione esistenziale è per così dire “incorporata” (almeno in una certa misura standard)
nella stessa quantificazione tabellare dell’inabilità temporanea e/o dell’invalidità permanente,
28 La Corte richiama le sentenze nn. 4260/2007, 5221/2007, 11278/2007, 26561/2007.
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stabilite secondo le note metodologie di accertamento medico legale. In questo modo, lesione e
danno tendono a coincidere, salvo correttivi ulteriori (personalizzazione del danno).
Nel caso del danno esistenziale puro (ossia il pregiudizio esistenziale che non discende dalla lesione
della salute), invece, una volta acclarato quale interesse costituzionalmente tutelato è stato leso, il
pregiudizio dovrà essere analiticamente allegato e provato, anche in via presuntiva. E a questa
conclusione dopo tutto giungono anche le Sezioni unite.
È evidente che la definizione di danno biologico che ci fornisce il Codice delle assicurazioni non
possa non avere ricadute sistematiche di più ampio respiro. Se la categoria del danno biologico si
carica automaticamente di valenze esistenziali, differentemente dalla più asciutta definizione
dell’art. 13 d. lgs. n. 38/2000, si assiste ad un allargamento del concetto stesso di salute, rilevante
giuridicamente. Implicitamente il Codice fa propria una visione più comprensiva del concetto stesso
di salute, che non è più solo assenza di malattia, o di menomazione: perché si abbia salute,
suggerisce la definizione, occorre che sia integralmente preservata anche la sfera delle attività
realizzatrici della persona. In ciò ritrovando, dopo tanto pellegrinare, il cuore della sentenza della
Corte costituzionale n. 184/1986.
5. Le prime sentenze di merito dopo il Codice delle assicurazioni private
Le sentenze immediatamente successive all’entrata in vigore del Codice delle assicurazioni, sono la
dimostrazione più chiara di quanto abbiamo affermato fin’ora. Le nuove norme da un lato hanno
costretto la giurisprudenza ad interrogarsi sul contenuto del danno biologico. Dall’altro lato hanno
fornito quel parametro di riferimento invocato da molti per la quantificazione delle
micropermanenti, utilizzato spesso anche al di fuori dei casi di incidenti stradali.
Di fronte ad un dato normativo così chiaro i giudici non hanno più potuto utilizzare il danno
biologico come un’etichetta vuota, facendo luogo ad una liquidazione equitativa, sulla scorta di una
semplice consulenza medico legale quantificante una percentuale di invalidità. Ma per
personalizzare il danno richiesto o anche solo per rigettare la domanda di personalizzazione del
biologico, hanno finalmente dovuto riflettere sulle conseguenze della lesione, chiedendosi: a) se
v’era un’alterazione della sfera realizzatrice della vittima diversa e superiore rispetto a quella
corrispondente ad un’analoga compromissione funzionale; b) se sono state allegate e puntualmente
provate tali alterazioni idiosincratiche29.
29 Per questo, nonostante si sia affermato che l’entrata in vigore del Codice delle assicurazioni abbia definitivamente fatto venir meno la portata innovativa e l’utilità della teoria del danno esistenziale, si può anzi dire che le norme in vigore rappresentano per certi versi il coronamento del percorso teorico del danno esistenziale. Sul punto v. A. NEGRO e M. SELLA, Il danno esistenziale dopo la riforma del Codice delle assicurazioni, Maggioli, Rimini, 2007.
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La lettera del Codice è talmente chiara in tal senso che non c’è bisogno di alcun conforto sul piano
interpretativo. Eppure, vale la pena segnalare una sentenza di legittimità che incidentalmente ha
preso in considerazione proprio la questione della personalizzazione del risarcimento del danno
biologico30. Secondo la Cassazione, gli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni dettano un
principio dell’integrale risarcimento del biologico, fornendone una “definizione analitica” e
sottolineando la sua “natura complessa”, fatta di elementi biologici e di elementi sociali (ossia le
perdite o incidenze negative del fare del pensare e del partecipare, per usare le parole della
sentenza). In tal modo, la Corte suprema fa emergere la forte incidenza della definizione di
biologico sulle modalità della sua liquidazione: la personalizzazione, in altri termini, non è più un
vezzo dei giudici più accorti, ma un obbligo di legge a cui non si può sfuggire.
Totalmente in linea con tale interpretazione della Corte, una sentenza del Tribunale di Monza, in un
caso di incidente stradale in cui una giovane era rimasta coinvolta, riportando non solo un trauma
cranico molto lieve e una frattura costale, ma anche una frattura condilare trattata chirurgicamente,
che l’ha costretta per 40 giorni ad un blocco intermascellare, con postumi invalidanti lievi31.
Il Tribunale prende atto che la nozione di danno biologico in materia di r. c. auto è di ampiezza tale
da ricomprendere le ripercussioni delle menomazioni fisiche sugli aspetti dinamico-relazionali32,
ma da questa premessa non conclude che la cifra tabellare sia comunque compensativa del danno
patito dalla vittima. Anzi, proprio alla luce dell’art. 139 del Codice delle assicurazioni dichiara
subito la necessità di adattare la liquidazione del danno biologico al caso concreto, “tenuto conto
delle particolari condizioni soggettive del danneggiato”.
Nel corso dell’istruttoria era emerso dalle testimonianze che il blocco intermascellare aveva
costretto l’attrice ad assumere una dieta liquida, oltre a cagionarle una rilevante deflessione
dell'umore. Il giudice, piuttosto che enfatizzare le difficoltà incontrate nella vita quotidiana
dall’attrice per tutto il periodo in cui è stata costretta al blocco intermascellare, prende in
considerazione il lievissimo disturbo post traumatico da stress che l’ha colpita.
Al di là del mancato riscontro di un danno esistenziale a carattere temporaneo, quello che va accolto
positivamente in tale pronuncia è senza dubbio lo sforzo di comprendere cosa sia successo in
concreto alla vittima, senza fermarsi a constatare il grado di invalidità riscontrato dal medico legale.
L’aumento fino ad un quinto viene applicato non solo alla somma riconosciuta a titolo di invalidità
permanente, ma altresì alla somma riconosciuta a titolo di invalidità temporanea, poiché in tal modo
30 Cfr. Cass. civ., III sez., 15 marzo 2007, n. 5987, pres. Duva, rel. Petti, inedita. 31 Trib. Monza, 3 settembre 2007, g.u. Sommariva, inedita. 32 cfr. Trib. Camerino, 15 marzo 2006, in Corti marchigiane, 2006, 612.
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si dà specifico riscontro allo stato depressivo accusato durante il periodo delle cure. Viene, inoltre,
riconosciuto il danno morale, ma non il danno esistenziale, pure richiesto nella citazione. E invero,
pur precisando che il giudice ha focalizzato la sua attenzione più sul disturbo post traumatico da
stress che non sulle ripercussioni esistenziali (seppur a carattere temporaneo) della lesione, è
apprezzabile che non si sia scelta la strada di un apodittico rifiuto di risarcire tali pregiudizi. Il
danno biologico – ce lo dimostra proprio questa decisione – è non soltanto l’alterazione della
funzionalità fisica, ma anche tutte le ricadute negative conseguenti alla perdita di tale funzionalità,
ed incidenti sul vissuto della vittima. Il legislatore in altri termini, ci ha invitato a tener conto di
tutta la sfera non patrimoniale del danneggiato, affidando al giudice il riscontro fattuale di ogni
alterazione che vada oltre la mera invalidità psicofisica.
L’altro aspetto del processo di responsabilità influenzato dall’entrata in vigore del Codice delle
assicurazioni è senza dubbio la diffusione in ambito nazionale di una tabella per le micropermanenti
al fine di evitare sperequazioni nella liquidazione del danno non patrimoniale.
A questo riguardo, le questioni che sono emerse nella giurisprudenza sono: a) se le tabelle siano
applicabili a casi verificatisi precedentemente alla loro entrata in vigore; b) se le tabelle siano
applicabili al di fuori dell’ambito della circolazione stradale.
Sotto il primo profilo si ricorda una sentenza del Tribunale di Trani33, che, dopo aver accertato la
responsabilità dei convenuti per aver tamponato l’attore provocandogli un colpo di frusta, prende in
considerazione il nesso di causalità tra tale lesione e l’impossibilità per la vittima di continuare a
svolgere l’attività di paracadutista e di prendere parte ad una missione militare in Bosnia. Esclusa
l’esistenza di tale nesso e considerando accertato in base alla perizia medica il solo danno biologico,
il giudice si chiede se nonostante il sinistro sia avvenuto nel 1996, si possa applicare il Codice delle
assicurazioni private. Lo scopo della norma sopravvenuta, ossia evitare ingiustificate sperequazioni
nella quantificazione equitativa del danno, induce il giudicante a seguire le tabelle ministeriali
approvate sulla base dell’art. 139 del Codice delle assicurazioni.
Per quel che riguarda l’applicabilità delle tabelle al di fuori dell’ambito della circolazione stradale,
il principio di specialità dovrebbe indurre il giudice ad utilizzare la tabella ministeriale solo per
individuare un valore tendenziale a cui parametrare la quantificazione equitativa del danno alla
persona34. Invece, i giudici applicano la tabella in maniera automatica senza tener conto che la cifra
33 Trib. Trani, 15 gennaio 2008, g.u. Guaglione, inedita. 34 Si segnalano in questo senso, alcune decisioni del Tribunale di Monza, che hanno risarcito il danno biologico subito dall’attore, applicando le tabelle delle micropermanenti per i danni da sinistri stradali. In un caso, un bambino aveva subito un trauma cranio facciale per essere caduto mentre giocava in un’aerea attrezzata di un locale pubblico (Trib. Monza, 15 gennaio 2007, g.u. Fantin, inedita); in un altro caso, l’attore era stato operato di ernia inguinale senza essere
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tabellare è stata determinata considerando i danni da sinistri stradali come un fenomeno di massa,
tipico di un certo sistema socio-economico, capace di generare un “mercato” del risarcimento del
danno che va calmierato. È evidente che la stessa esigenza non si avverte in altri ambiti. Quindi, il
valore del punto per le micropermanenti in tali diversi contesti dovrebbe essere più elevato in
considerazione delle circostanze concrete.
Invece, secondo i magistrati seguire le tabelle risponde ad un criterio di equità. In tal modo, infatti,
si evita di seguire diversi parametri di liquidazione del danno a parità di conseguenze lesive.
Per completezza di analisi, si deve pur riconoscere che se applicare i criteri tabellari introdotti dal
Codice, potrebbe condurre tendenzialmente ad un’undercompensation, la necessità di
personalizzazione del danno annulla tale rischio.
6. La liquidazione del danno alla persona
La sensazione che si trae dalla lettura dei recenti arresti di merito è che seguire analogicamente il
sistema di quantificazione del danno biologico per le micropermanenti introdotto dal Codice delle
assicurazioni abbia una finalità ulteriore rispetto ad un’esigenza di equità. Infatti, procedere alla
personalizzazione del quantum debeatur, non sulla base di una scelta del decidente, ma in ossequio
alla lettera del Codice delle assicurazioni, mette al riparo il giudice dalla critica – da sempre
fortemente avversata dalla dottrina esistenzialistica – di aprire la strada al risarcimento di danni
(esistenziali) di carattere bagattellare.
I motivi dell’estensione del metodo di risarcimento del danno biologico introdotto dal Codice delle
assicurazioni ha dunque una duplice utilità: quella declamata nelle sentenze, ossia l’uniformità nella
determinazione del risarcimento del danno biologico e quella implicita, ossia il riferimento ad una
norma positiva che consenta di valorizzare gli aspetti idiosincratici del danno biologico, senza
temere appunti in ordine a presunte duplicazioni nel risarcimento del danno non patrimoniale.
stato preventivamente informato che l’operazione (non necessaria) avrebbe comportato una sintomatologia dolorosa costante, provocata da banali movimenti e capace di protrarsi per parecchie ore dopo la comparsa (Trib. Monza, 25 gennaio 2007, g.u. Arcellaschi, inedita); in un terzo, l’attore era scivolato sulle scale dopo aver assistito ad uno spettacolo in una sala cinematografica (Trib. Monza, 4 gennaio 2008, g.u. Giani, inedita); e infine, sempre in applicazione della tabella normativa di liquidazione del danno biologico di lieve entità c.d. "micropermanente" ai sensi dell'art. 139 D.lgs 209/2005, si è deciso il caso di una donna caduta inciampando in un gradino di accesso ad un bar (Trib. Monza, 3 maggio 2008, g.u. Fantin, inedita). Fa riferimento all’art. 139 Codice assicurazioni anche Trib. Pavia, 2 luglio 2008, g.u. Frangipani, inedita, per quantificare il danno biologico subito da un bambino all’interno di un centro ippico, infortunatosi mettendo il piede in una macchina per il trasporto del letame che era stata lasciata incustodita e senza protezioni mentre era in funzione. In senso contrario, sempre Trib. Monza, 12 settembre 2007, g.u. Sommariva. In un caso di malpractice chirurgica, dovuta all’imperizia nell’esecuzione di un intervento di emicolectomia, afferma che «pur vertendosi in ipotesi di lesioni micropermanenti, l'adozione dei criteri di cui alla legge n. 57/2001 (ora D.lgs. n. 209/2005) non è nella specie obbligatoria, in quanto nel caso di specie la lesione dell'integrità psicofisica non è conseguenza di un incidente stradale».
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Di particolare interesse, sotto il profilo dell’uso dei parametri di quantificazione delle
micropermanenti al di fuori dell’ambito dei sinistri stradali, sono senza dubbio due sentenze del
Tribunale di Reggio Calabria35, in materia di danno da demansionamento (un classico danno
esistenziale puro, ossia del tutto slegato dal danno biologico). Il decidente, richiamandosi ad alcuni
precedenti del Tribunale di Pinerolo36, e tenendo conto di alcune indicazioni emerse in dottrina
individua un interessante metodo di quantificazione.
In materia di danni connessi all’attività lavorativa spesso la determinazione del danno esistenziale è
legata alla retribuzione del lavoratore. Ciò – come è evidente – presenta l’inconveniente di giungere
ad un’ingiustificata disparità di trattamento, portando ad un risarcimento differenziato in ragione
della sola retribuzione. Il peggioramento esistenziale, invece, dovrebbe assumere una dimensione
oggettiva del tutto slegata dall’ammontare dello stipendio, ma parametrata solo su ciò che non si
può più fare a seguito dell’illecito patito. L’altro aspetto interessante della fattispecie del
demansionamento è la dimensione temporanea del danno esistenziale in casi simili. Ciò porta ad
escludere che il parametro da prescegliere per la quantificazione del danno possa essere il massimo
del danno biologico permanente tabellarmente previsto in base all’età del danneggiato, poiché
appare più adeguata la somma prevista per il danno biologico temporaneo da invalidità assoluta.
Il Tribunale di Reggio Calabria sta ben attento non solo a scorporare dalla cifra base la parte
riferibile alla sfera biologico sussistenziale, ma anche a ripartire la somma tra le altre aree
realizzatrici della persona, individuando per ciascuna la quota massima riferibile entro il valore
massimo di partenza.
Ma ciò che a noi più interessa è che la cifra alla base del calcolo è l’importo previsto per il danno
biologico temporaneo totale per ogni giorno di inabilità assoluta che si evince dall'art. 139, 1° co.,
lett. b), d.lg. n. 209/2005, comprensivo – sottolinea il magistrato – dell’incidenza negativa sulle
attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, come precisa l'art.
139, 2° co., d.lg. n. 209/2005.
Individuata la cifra riferibile al massimo della compromissione della sfera lavorativa, il Tribunale
integra questo parametro con un altro, ossia il grado di compromissione del patrimonio
professionale del lavoratore a causa dell’impossibilità di prestare la propria attività lavorativa. Tale
35 Ci si riferisce a Trib. Reggio Calabria, 16 novembre 2007, g.l. Sapone e Trib. Reggio Calabria, 9 gennaio 2008, g.l. Sapone, inedite. 36 Anche se il giudice non lo esplicita nella sentenza, è evidente che il modello di riferimento di tale metodo di liquidazione sono le decisioni del Trib. Pinerolo, 2 aprile 2004, g.u. Reynaud, in Resp. civ. prev., 2005, 224; Trib. Pinerolo, 6 febbraio 2003, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 513; in Resp. civ. Prev. 2003, 424; in Giur. it., 2003, 2295.
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compromissione da un lato viene ritenuta funzione del tempo trascorso inattivamente, dall’altro lato
funzione della più o meno alta obsolescenza che connota la prestazione lavorativa in questione.
Non sfugge a nessuno, inoltre, come la nozione accolta nel Codice delle assicurazioni abbia un
immediato riflesso sulla quantificazione del danno, perché passando da una visione eventistica ad
una consequenzialista del risarcimento del danno, non basta più la constatazione della lesione della
salute in sé, dovendosi considerare per una completa riparazione del pregiudizio, le ricadute della
perdita della funzionalità sulla sfera giuridica non patrimoniale della vittima.
Il pericolo maggiore da cui le Corti e i pratici dovranno guardarsi di qui in avanti sarà quello di non
essere tentati da una visione panbiologica del danno alla persona37. Infatti, la definizione del danno
biologico introdotta dal Codice può indurre ad una valutazione superficiale dei concreti riflessi
negativi patiti dalla vittima, attraverso un automatismo nella liquidazione del risarcimento che si
colloca al di fuori del principio dell’integrale risarcimento del danno più volte ribadito dalla Corte
di Cassazione38.
Il rischio – sia chiaro – non è solo quello di una sottocompensazione del danno, ma anche di una
eccessiva liquidazione del risarcimento. Quando si critica il danno esistenziale e si arriva al punto
come fa la Cassazione di negare ad esso qualsiasi autonomia sul piano tassonomico, spesso non ci si
37 In tal senso, è esplicita una pronuncia del Trib. Roma, 7 gennaio 2008, g.u. Paone, inedita, che in un passaggio così si esprime: «La nozione di danno biologico è stata elaborata da un percorso ormai trentennale di giurisprudenza, ed è stata di recente recepita in due diverse norme di legge: da un lato, l'art. 13 comma 1 d.l.vo 23/2/2000 n. 38 (ai fini della assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro) e, dall'altro, gli artt. 138 e 139 del d.l.vo 7/9/2005 n. 209 (ai fini della assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione stradale). Il danno biologico viene definito da queste fonti come "la lesione temporanea o permanente alla integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di produrre reddito". Questa definizione rende il danno biologico onnicomprensivo perché bareme predisposte dalla medicina legale, quando individuano il punto di invalidità, già tengono conto di tutte le possibili conseguenze nella vita di relazione dell'individuo, restando assorbiti in questa liquidazione tutti i pregiudizi che derivano dalla menomazione subita (c.d. danno esistenziale, danno alla vita di relazione, danno estetico, etc.) salvo personalizzare il danno, per meglio adeguarlo in concreto e giungere ad un risarcimento che sia completo ma senza duplicazioni secondo quanto previsto dall'art. 2056 cod. civ.». 38 Sul punto v. Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972: «Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre (…) E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione». Tra molte sentenze precedenti si veda Cass., 4 marzo 2008, n. 5795, Pres. Varrone, Rel. Petti: «Il principio del risarcimento del danno integrale della salute, come è noto, è costituzionalmente garantito (cfr. Corte Cost. 14 giugno 1986 n. 184, e direttamente, i precetti degli artt. 2, 3, 32 Cost. tra di loro coordinati) e la garanzia esige una attenta e logica valutazione da parte dei giudici del merito, che devono tendere, nella equità di cui all'art. 2056 e 1226 del codice civile, al ristoro del danno reale ai valori attuali al tempo della liquidazione, posto che la lite civile deriva dal mancato tempestivo adempimento dell'obbligo risarcitorio (fatta salva la verifica del fondamento delle pretese nel contraddittorio tra le parti) dei responsabili civili e della solidale assicurazione. Il fatto che l'impegno valutativo richiede la neutralità della scienza e l'onestà del calcolatore, esige una chiarezza ed una trasparenza valutativa che non può essere occultata con formule apodittiche o con automatismi che rendono veloci ma ingiuste le decisioni prese»
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rende conto che invece proprio il danno esistenziale è la miglior garanzia per una equa liquidazione
del danno non patrimoniale connesso alla perdita di una funzionalità fisiopsichica.
Prendiamo in considerazione un caso analizzato dal Tribunale di Marsala, riguardante una
fattispecie purtroppo frequente, ossia quella dell’ipossia del feto da ritardata effettuazione del taglio
cesareo, dovuta alla mancata presenza di personale medico nella struttura nosocomiale capace di
garantire una continuità nell’assistenza della partoriente39. Data una IP pari al 100%, verrà risarcito
al bambino il danno biologico, il danno morale e autonomamente il danno esistenziale. Dopo una
disamina della situazione giurisprudenziale in materia, il giudice affronta il vero problema della
liquidazione: il rischio di duplicazione in un caso di macrolesione. Il giudice inverte completamente
la relazione tra biologico ed esistenziale, rispetto a quella fornita dalla dottrina. Secondo
quest’ultima, infatti, al crescere della percentuale di invalidità, l’aumento più che proporzionale del
valore del punto finisce per inglobare progressivamente l’aspetto “dinamico/esistenziale” del danno
biologico. In altre parole, se il 100% di invalidità corrisponde all’azzeramento totale di ogni
funzionalità biologica, ossia la riduzione ad uno stato vegetativo, non è possibile immaginare che vi
possa essere un qualche individuo che si trovi in una situazione peggiore sul piano dinamico
rispetto ad un altro. Tanto più che nel caso di specie l’età della vittima comporta la liquidabilità del
massimo tabellare. Invece, il Tribunale, in applicazione analogica dell’art. 138, 3° co. Codice
assicurazioni, liquida il danno esistenziale patito dal bambino aumentando del 30% (€ 126.532,35)
la somma già liquidata a titolo di danno biologico.
La dimensione compensativa del risarcimento del danno esistenziale in tal modo sfuma
definitivamente essendo già soddisfatta dal risarcimento del danno biologico, lasciando un ampio,
inusuale e per certi versi comprensibile spazio alla dimensione punitiva del risarcimento del danno
non patrimoniale40.
7. Conclusioni.
Da tutto quanto precede è evidente che la definizione legislativa di danno biologico, introdotta dal
Codice delle assicurazioni, non abbia affatto raggiunto l’obiettivo di sterilizzare il sistema rispetto
alle poste non patrimoniali del danno diverse dal biologico in senso stretto. In verità, più che la
totale eliminazione del danno esistenziale, l’obiettivo perseguito era quello di un contenimento
dello stesso con l’individuazione di un tetto per la c.d. personalizzazione del biologico. La scelta
39 Trib. Marsala, 27 febbraio 2008, inedita. 40 Su quest’ultimo tema v. L. CIARONI, Il paradigma della responsabilità civile tra tradizione e prospettive di riforma (Nota a Cass., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183, Parrott c. Soc. Fimez), in Resp. civ. prev., 2007, 1892.
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normativa e i primi risultati della giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del Codice
dimostrano come sia del tutto impossibile ricacciare nell’ombra la dimensione esistenziale della
persona.
La grande (vera) novità delle sentenze gemelle della Cassazione del 2003 è stata che il rinvio all’art.
2 Cost. sostituisce ad un criterio di selezione degli interessi non patrimoniali meritevoli di tutela
risarcitoria di carattere normativo, un criterio di selezione di carattere sociale. In altri termini, non
v’è più bisogno di riferimenti normativi puntuali, che un tempo portarono la dottrina a discutere se
fosse più opportuno parlare di una pluralità di diritti della persona o di un unico diritto della persona
da declinare differentemente di volta in volta. Il rinvio all’art. 2 Cost. crea un’osmosi tra il
magistrato e la sensibilità sociale contemporanea in cui fortissimo è il desiderio ad una piena
realizzazione di sé, che deve essere riconosciuta dal diritto, e quindi risarcita ove se ne ravvisi la
lesione. Né può sottacersi il crescente investimento affettivo della sfera di realizzazione personale
dell’individuo contemporaneo, che coinvolge non solo il corpo, ma anche la proprietà, il tempo, lo
spazio domestico, gli oggetti e gli animali non a caso definiti “d’affezione”. Tutto ciò accrescerà le
domande per il risarcimento dei pregiudizi esistenziali, nonostante le strettoie in cui anche il Codice
delle assicurazioni (oltre alla Cassazione) cerca di costringerlo.
Tale conclusione non deve indurre a credere che vi sia il pericolo (unico vero argomento utilizzato
per delegittimare il danno esistenziale) dell’indiscriminato proliferare di poste risarcitorie. E ciò per
il semplice motivo che la dottrina prima e la giurisprudenza poi hanno saldamente unito alla varietà
delle epifanie dei pregiudizi esistenziali un serio riscontro dello stesso nella fase istruttoria del
processo di responsabilità.
I pratici (sia gli avvocati, sia i giudici) hanno perfettamente compreso come la realizzazione
personale non sia un auspicio del Costituente cristallizzato negli artt. 2 e 3 Cost. e affidato alla
buona volontà del Parlamento, bensì un interesse sostenuto dalla forza dello Stato, attributivo di
prerogative nelle relazioni tra privati, ovvero, volendo ricorrere ad un’espressione sintetica, un vero
e proprio diritto soggettivo. Ma se di questo stiamo parlando, allora è evidente che molte cose di qui
in avanti dovranno cambiare. Se non è solo la dimensione corporea e quella mentale in
un’accezione nosografica che si dovranno considerare nella liquidazione del danno alla persona, si
capisce bene come non possa in alcun modo essere esaustiva nell’attività di accertamento giudiziale
del danno alla persona l’opera del medico-legale41. È bene peraltro chiarire che, in una seria
riflessione sui saperi da coinvolgere nella valutazione del danno alla persona, andrà distinto il danno
41 A. BIANCHI (a cura di), La valutazione neuropsicologica del danno psichico ed esistenziale, CEDAM, Padova, 2005.
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somatico dal danno psichico, caratterizzato il primo da una forte connotazione oggettiva che non
appartiene al secondo, al punto che la stessa valutazione tabellare presenta, in conseguenza,
“forbici” abnormemente ampie.
È evidente che, anche alla luce del Codice delle assicurazioni, il risarcimento del danno alla persona
sarà percepito come totalmente esaustivo a condizione che si sappiano saggiamente utilizzare nel
processo di responsabilità tre strumenti da sempre a disposizione degli operatori del diritto42: (1) la
consulenza tecnica (medico-legale all’occorrenza integrata con saperi psico-sociali), (2) tutti i mezzi
di prova messi a disposizione dell’ordinamento (comprese le presunzioni) (3) e, infine, le tabelle
(purché unite al potere equitativo del giudice). A questa conclusione giungono anche le recenti
Sezioni unite. Del resto, è stata la Corte costituzionale a valorizzare per prima gli artt. 2 e 3 Cost. e
la stessa Cassazione oggi richiama l’attenzione sulla portata di quegli articoli con riferimento alla
dignità della persona (del resto di qualità della vita parla la stessa Corte nella recente sentenza n.
23846/2008). Perciò potrà anche convenirsi sul fatto che non sia rintracciabile l’espressione diritto
alla felicità in alcuna fonte normativa – come ha sottolineato la Cassazione – ma non si può certo
dire che nel sistema manchino norme a tutela dei presupposti di quella che chiamiamo felicità, ossia
il diritto all’autodeterminazione e alla realizzazione piena della persona. Non si può in astratto
predeterminare cos’è che qualifica la vita di ciascuno, dal momento che giustamente ognuno
organizza la sua vita come meglio crede. L’unico approccio corretto, dunque, non è quello che fa
ricorso a concetti astratti – come per l’ennesima volta fa la Corte Suprema – ma quello che induce
prima l’avvocato e poi il giudice a chiedersi cosa in concreto sia cambiato nella vita di una persona.
Un tale approccio riduce la portata del riferimento, contenuto nella motivazione delle Sezioni Unite
del 2008, alla “serietà” e alla “gravità” del pregiudizio, oltre che dei moniti a ricacciare nel vuoto
del non diritto pretese che, invece, se allegate e provate non posso non essere azionabili. Quello che
importa, invece, sul piano antropologico e culturale è non dimenticare mai che nessuno, nemmeno
un giudice, può pretendere di costruire la gerarchia dei valori, delle attività, degli interessi destinati
a qualificare la vita di una persona. E purtroppo è proprio questa la conclusione cui si giunge
percorrendo fino in fondo la strada tracciata dalle recenti sentenze di legittimità. Tutto ciò è a tal
punto lontano dalla prospettiva costituzionale della tutela della persona che non si tarderà molto ad
avvedersi che v’è una contraddizione insanabile tra l’esigenza sacrosanta di una tutela minima della
42 Spesso nel considerare le novità nella tecnica giuridica non si riescono a coniugare come si dovrebbe le riflessioni del passato con le prospettive che quelle novità fanno intravedere, perciò sono interessanti (oltre che condivisibili) le riflessioni di A. BIANCHI e L. MORELLO, Alla scoperta del danno con Melchiorre Gioia, in La Resp. civ., 2008, 558.