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T. MARTINES A. RUGGERI C. SALAZAR LINEAMENTI DI DIRITTO REGIONALE APPENDICE DI AGGIORNAMENTO Il federalismo fiscale, secondo la legge n. 42 del 2009 2990-55 9 788814 152344 ISBN 88-14-15234-9

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T. MARTINES A. RUGGERI C. SALAZAR

LINEAMENTIDI

DIRITTO REGIONALE

APPENDICE DI AGGIORNAMENTO

Il federalismo fiscale, secondo la legge n. 42 del 2009

2990-55 9 788814 152344

ISBN 88-14-15234-9

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INDICE SOMMARIO

1. Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12. L’iter di formazione dei decreti legislativi e i nuovi organi istituiti dalla l.

n. 42 del 2009. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23. I princı̀pi e criteri direttivi contenuti nell’art. 2, l. n. 42: in particolare, il

principio di territorialità, il passaggio dal criterio della spesa storica aquello del costo standard, la previsione di “premi” e sanzioni e il riferi-mento al “patto di convergenza” di cui all’art. 18 . . . . . . . . . . . . . . . » 5

4. La finanza regionale: i tributi regionali e la distinzione tra “spese LEP” e“spese non-LEP”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11

5. Il fondo perequativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 166. La finanza degli enti locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207. La disciplina transitoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 228. Gli interventi speciali e la perequazione infrastrutturale . . . . . . . . . . . » 249. Le norme sulle Città metropolitane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 26

10. L’ordinamento di Roma capitale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 2911. La lotta all’evasione fiscale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3112. Federalismo fiscale, Regioni speciali e Regioni “specializzate” ex art. 116,

III c., Cost. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31

Nota bibliografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 33

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1. Premessa. — Con la l. n. 42 del 2009, intitolata “Delega al Governoin materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 dellaCostituzione”, il Parlamento ha varato il primo intervento volto a dareconcretezza alla struttura del sistema di finanza locale tratteggiato dallanorma costituzionale ora richiamata (per incidens: se non si va errati, sitratta anche della prima volta che una legge italiana immette nellapropria intitolazione il termine “federalismo”). A otto anni dalla riformadel Titolo V, sono stati perciò accolti i “moniti” inviati al legislatoretanto dalla Corte costituzionale quanto dal Presidente della Repubblica,nei quali si segnalava l’intollerabilità di una lacuna tanto evidente nellagià di per sé parziale e frammentaria attuazione legislativa della l. cost.n. 3 del 2001.

L’art. 1 individua i fini cui mira la nuova disciplina. Essi sonoidentificati — con una formula non particolarmente felice — nellaassicurazione dell’autonomia di entrata e di spese di tutti gli enti localie nella garanzia dei princìpi di solidarietà e di coesione sociale, inmaniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, ilcriterio della spesa storica e realizzare la massima responsabilizzazionedegli enti locali nonché la trasparenza ed effettività del controllo demo-cratico da parte degli eletti. Per il raggiungimento di tali scopi, secondola norma ora citata, la legge n. 42 stabilisce: a) i princìpi fondamentalidel coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; b) ladisciplina del fondo perequativo per i territori con minore capacitàfiscale per abitante; c) l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e l’effet-tuazione degli interventi speciali ex art. 119, V c., Cost., onde assicurarelo sviluppo delle aree sottoutilizzate, nella prospettiva del superamentodel dualismo economico del Paese (il riferimento, deve intendersi, è algap tra il Nord e il Sud dell’Italia); d) i princìpi generali per l’attribu-zione di un proprio patrimonio a Comuni, Province, Città metropolitanee Regioni; e) la disciplina transitoria sull’ordinamento, anche finanzia-rio, di Roma capitale.

Per la verità, la riforma contiene anche norme su ambiti ulteriori: inparticolare, sulle Città metropolitane nonché, sia pure in modo appenaaccennato, sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, allon-tanandosi così da quello che dovrebbe essere il proprio fine specifico:l’identificazione della “tipologia” di federalismo fiscale accolta nel no-

i fini dellanuovadisciplina

i contenutiulteriori

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stro Paese, tre le varie riscontrabili nell’esperienza (ad es., quella “soli-daristica” tedesca, quella “competitiva” canadese e quella “asimme-trica” spagnola). Per i profili ora visti, la nuova disciplina si spinge sinoa lambire i campi di spettanza della legislazione di attuazione dell’art.117, II c., lett. m) e p): anch’essa, sin qui, episodica o del tuttoinesistente. È noto, infatti, che la definizione dei livelli essenziali delleprestazioni si riconduce prevalentemente ad atti non legislativi (con rareeccezioni: v., ad es., l. n. 53 del 2003) e che la legge di individuazionedelle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitanenon riesce a vedere la luce, nonostante la messa a punto, nella scorsalegislatura, di un disegno governativo ad ampio raggio, comunementedenominato “Codice delle autonomie”.

Come può comprendersi anche solo da queste prime battute, la l. n.42 si presenta come un testo particolarmente complesso, intorno al quale— sin dalla prima formulazione del relativo disegno di legge — è fioritoun acceso dibattito dottrinale. Nelle rapide notazioni che seguono, siprocederà ad esaminarne gli aspetti salienti.

2. L’iter di formazione dei decreti legislativi e i nuovi organi istituitidalla l. n. 42 del 2009. — L’art. 2 conferisce al Governo la delega adadottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dellalegge, uno o più decreti legislativi attuativi dell’art. 119 Cost. Questidovranno attenersi ai princìpi e criteri direttivi di ordine generale,esplicitati nel lungo elenco inserito nella stessa disposizione, cui siaggiungono quelli per così dire speciali, dettati dalle norme successive inrelazione a singoli aspetti del nuovo assetto della finanza locale (ad es.,l’art. 7 elenca i princìpi e i criteri direttivi relativi ai tributi della Regionie delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali; l’art. 8 quelli sullemodalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finan-ziamento; l’art. 9 quelli in ordine alle determinazione dell’entità e delriparto del fondo perequativo, etc.). L’art. 2, VI c., precisa che almenouno dei decreti legislativi, contenente la definizione dei princìpi fonda-mentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, deve essereadottato entro il più breve termine di dodici mesi dalla data di entratain vigore della legge; e che, nello stesso arco temporale, dovrà vedere laluce un ulteriore decreto, contenente la determinazione dei costi e deifabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni.

In base all’art. 2, III e IV c., i decreti legislativi attuativi della l. n.42 sono adottati su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze,del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per lasemplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le Regioni e

il procedi-mento di for-mazione dei

decreti delegati

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del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell’in-terno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione econ gli altri Ministri di volta in volta competenti nelle materie interes-sate.

Gli schemi dei decreti, previa intesa da sancire in sede di Conferenzaunificata (in mancanza della quale, il Consiglio dei ministri può comun-que deliberare, approvando una relazione che viene trasmessa alleCamere), sono inviati alle aule parlamentari perché su di essi sia espressoil parere della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscaleistituita dalla stessa legge (v. infra) e delle Commissioni competenti perle conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni. Decorsotale termine, i decreti possono essere comunque approvati, mentrequalora i pareri siano espressi e il Governo non intenda conformarsi adessi, quest’ultimo è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere con le sueosservazioni e le eventuali modificazioni ed a rendere comunicazionidinanzi a ciascuna Assemblea. Trascorsi trenta giorni dalla nuova tra-smissione, i decreti possono essere adottati in via definitiva.

Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti, il Governopotrà vararne altri, integrativi e correttivi, nel rispetto degli stessiprincìpi e criteri direttivi e della procedura ora illustrata.

La legge, come si è accennato, istituisce la Commissione parlamen-tare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3). Essa è composta daquindici senatori e da quindici deputati, nominati rispettivamente dalPresidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Cameradei deputati, su designazione dei gruppi parlamentari, in modo darispecchiarne la proporzione. Il Presidente della Commissione è nomi-nato tra i componenti della stessa dai Presidenti delle Camere d’intesafra loro (norma quantomeno insolita, visto che ordinariamente il Presi-dente è eletto dagli stessi componenti), mentre l’attività e il funziona-mento sono disciplinati da un regolamento interno, che sarà approvatodalla Commissione all’inizio dei propri lavori. Al fine di assicurare ilraccordo di tale organo con le Regioni, le Città metropolitane, le Pro-vince e i Comuni, il IV c. dell’art. 3 prevede l’istituzione di un Comitatodi rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla compo-nente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali nell’ambito dellaConferenza unificata. Esso, composto da dodici membri, dei quali sei inrappresentanza delle Regioni, due in rappresentanza delle Province equattro in rappresentanza dei Comuni, si riunisce presso le sedi dellaCamera o del Senato previo assenso dei rispettivi Presidenti.

Tra le funzioni della Commissione parlamentare, rientra l’espres-sione dei pareri sugli schemi dei decreti attuativi della l. n. 42, la

la Commis-sione parla-mentare perl’attuazione delfederalismofiscale

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formulazione di osservazioni e di elementi di valutazione utili allapredisposizione dei decreti legislativi e la verifica dello stato di attua-zione del federalismo fiscale, in ordine alla quale essa riferisce ogni seimesi al Parlamento sino alla fine della fase transitoria di cui si parleràinfra. A tale ultimo fine, essa può ottenere tutte le informazioni neces-sarie dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismofiscale, anch’essa istituita dalla legge (art. 4). Quest’ultima, che operanell’ambito della Conferenza unificata, è formata da trenta componenti,per metà rappresentanti tecnici dello Stato e per metà rappresentantitecnici degli enti di cui all’art. 114, II c., Cost. Secondo la definizionedata dal legislatore (art. 4, II c.), essa è « sede di condivisione delle basiinformative finanziarie, economiche e tributarie ». Tra i suoi compiti, larealizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare ifabbisogni informativi e lo svolgimento di attività consultiva per ilriordino dell’ordinamento finanziario degli enti locali e delle relazionifinanziarie intergovernative.

Agli organi ora visti se ne aggiunge uno ulteriore: l’art. 5, I c., l. n.42, prevede, infatti, che i decreti legislativi deliberino l’istituzione,nell’ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente peril coordinamento della finanza pubblica, di cui sono chiamati a far partei rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo. Tra i princìpie i criteri direttivi indirizzati al Governo per la concreta definizione delleattribuzioni di tale struttura, rientrano quelli relativi all’attribuzione dicompiti di proposta (ad es., relativamente alla determinazione degliindici di virtuosità e dei relativi incentivi); di vigilanza (ad es., sull’ap-plicazione dei meccanismi di premialità e di quelli sanzionatori e sul lorofunzionamento; sull’utilizzo dei fondi per gli interventi speciali di cuiall’art. 16 della legge; sulla realizzazione del percorso di convergenza aicosti e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio); arbitrali,in quanto le sono assegnati compiti di conciliazione degli interessi fra idiversi livelli di governo in ordine all’applicazione delle norme sulfederalismo fiscale, previo confronto in sede di Conferenza unificata.Inoltre, la legge prevede che essa si avvalga della Commissione parite-tica sopra vista quale segreteria tecnica per le attività istruttive e disupporto: a tali fini, è istituita una banca dati comprendente gli indica-tori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definirei costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio, nonché pervalutare il grado di raggiungimento di tali obiettivi. Le determinazionidella Conferenza sono trasmesse alle Camere, ma stranamente non èprevisto che siano inviate anche ai Consigli regionali (art. 5, II c.).

Appare evidente che sarà quest’ultimo organo, e non certo la Com-

la Commis-sione tecnicaparitetica per

l’attuazione delfed. fisc.

la Conferenzapermanente

per il coordi-namento dellafinanza pubbl.

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missione bicamerale, il vero “motore” del nuovo federalismo fiscale:molti sono stati, del resto, i commenti che hanno sottolineato la “mar-ginalizzazione” del Parlamento nel quadro complessivo delineato dalla l.n. 42. Peraltro, non appare superfluo rilevare che l’approvazione dellariforma offriva un’occasione ideale per dare attuazione all’art. 11, I c., l.cost. n. 3 del 2001, che — sino alla revisione del Titolo I della Parte IIdella Costituzione — consente ai regolamenti delle Camere di prevederela partecipazione delle Regioni, delle Province autonome e degli entilocali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Ma,come si è appena visto, la disposizione ora citata non è neppure men-zionata. La ragione si può trovare, probabilmente, nella precisazionecontenuta al II c. della disposizione ora ricordata, secondo cui quandoun progetto di legge riguardante le materie di potestà concorrente el’art. 119 Cost. contenga disposizioni sulle quali la Commissione inte-grata abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionatoall’introduzione di modifiche specifiche, e la Commissione referente nonsi sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto l’Assemblea ètenuta a deliberare a maggioranza assoluta.

3. I princı̀pi e criteri direttivi contenuti nell’art. 2, l. n. 42: inparticolare, il principio di territorialità, il passaggio dal criterio della spesastorica a quello del costo standard, la previsione di “premi” e sanzioni e ilriferimento al “patto di convergenza” di cui all’art. 18. — Tra i moltiprincìpi e criteri direttivi formulati nel lungo elenco contenuto all’art. 2,II c., in questa sede appare opportuno soffermarsi sul principio diterritorialità, sul passaggio dal criterio della spesa storica a quello delcosto standard e sulla previsione di meccanismi premiali e sanzionatori.

Per quel che concerne la territorialità dei tributi, l’originario disegnodi legge appariva in larga misura debitore nei confronti di una propostaelaborata dalla Regione Lombardia nel 2007, nella quale tale principioè inteso nel senso che il gettito dei tributi “originato” da un territorio,anche quello relativo a tributi erariali, va considerato come “apparte-nente” a quel territorio e a questo deve, perciò, essere “restituito”.Evidentemente, si tratta di una prospettiva che favorisce gli enti piùricchi, il cui gettito fiscale è più elevato.

La discussione parlamentare ha, in apparenza, ridimensionato l’en-fasi iniziale posta sul principio di territorialità inteso nel senso ora visto:l’art. 2, II c., lett. hh) discorre di territorialità dei (soli) tributi regionalie locali e di riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito deitributi erariali, riprendendo, in quest’ultimo caso, la formula che apparenell’art. 119, II c., Cost.

la territorialitàdei tributi

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Tuttavia, come si vedrà meglio infra, nel quadro della legge didelega ai tributi locali veri e propri è assegnato un rilievo minimo,mentre un ruolo di primo piano nel sistema della finanza locale è giocatoproprio dalle compartecipazioni e dai tributi erariali il cui gettito siaassegnato alle Regioni. Ciò significa che anche nel nuovo impianto granparte delle risorse non proverrà da imposte che le Regioni e gli enti localiavranno, in senso proprio, “stabilite ed applicate”, per riprendere laterminologia dell’art. 119, II c., Cost., bensì da meccanismi tipici dellafinanza derivata, non dissimili da quelli sin qui sperimentati. La terri-torialità dei tributi locali stricto sensu, insomma, costituirà un connotatosecondario del nuovo federalismo fiscale, proprio perché questi ultimioccuperanno uno spazio marginale.

Appunto per questo, va evidenziato che, nel tradurre in terminimeno fumosi la territorialità dei tributi regionali “derivati” e la riferi-bilità al territorio delle compartecipazioni, la legge prescrive al Governo,con riguardo alla definizione delle modalità di attribuzione del gettitodei primi e delle seconde, di “tenere conto” del luogo di consumo per itributi aventi quale presupposto i consumi, della localizzazione dei cespitiper quelli basati sul patrimonio e della residenza del percettore o delluogo di produzione del reddito per quelli riferiti al reddito [(art. 7, I c.,lett. d)]. Per quanto tali indicazioni debbano trovare ulteriore esplici-tazione nelle norme poste dai decreti, appare chiaro che esse finirannoper favorire le Regioni dove il reddito è più alto, dove la ricchezza siproduce in misura maggiore e dove si consuma di più: ed essendo questetutte concentrate nel Nord-Est, il risultato prevedibile appare in con-traddizione con il fine del superamento del dualismo economico delPaese enunciato all’art. 1.

Inoltre, è stato fatto notare come gli enti che acquisiranno maggioridisponibilità grazie al meccanismo ora illustrato non subiranno alcunadelle tipiche “esternalità negative” correlate all’esercizio della funzioneimpositiva, come sono quelle nascenti dai problemi pratici di gestionedei tributi, per non parlare della perdita di consenso che sempre segueall’adozione di manovre fiscali. Poiché nella maggior parte dei casi icittadini non hanno contezza del funzionamento del sistema fiscale, essiignoreranno che, in questi territori, una gran parte delle imposte da essiversate allo Stato affluirà nelle casse regionali: anche questo quadroentra in contraddizione con la garanzia della massima responsabilizza-zione degli enti locali e con la trasparenza del controllo democratico daparte degli eletti di cui discorre l’art. 1.

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Tra i princìpi e i criteri direttivi di ordine generale spicca, poi,l’inclusione del superamento graduale del criterio della spesa storica —uno dei fini della legge indicati nell’art. 1 — a favore dell’adozione delcriterio del costo e del fabbisogno standard quali « costo e fabbisognoche, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore ri-spetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica » [art. 2, II c.,lett. f)].

Da più parti, in dottrina, si è salutato con favore l’abbandono delcriterio della spesa storica, in base al quale l’assegnazione delle risorseagli enti locali avviene in misura corrispondente al livello di spesa da essigià sostenuta in precedenza, senza tenere conto della maggiore o minoreoculatezza esibita dalle diverse amministrazioni sul piano finanziario. Inassenza di sanzioni per gli enti afflitti da squilibri finanziari persistentie/o di “premi” per quelli più attenti a mantenere in ordine la contabilitàpubblica — ed anzi, in presenza di ricorrenti interventi straordinari, daparte dello Stato, al fine specifico di ripianare gli squilibri nei bilancilocali — il meccanismo della spesa storica finisce con il perpetuare, senon con l’aggravare, le situazioni di dissesto già esistenti. Il criterio delcosto e del fabbisogno standard, invece, presuppone l’individuazione delfabbisogno di spesa che l’esercizio delle funzioni comporta quando essesiano svolte in condizioni di efficienza ed esige che il sistema di finan-ziamento “ordinario” proveniente dai diversi canali sia costruito inmaniera tale da assicurarne la copertura.

In astratto, se gli enti locali non possono fare affidamento sull’atti-vazione di finanziamenti straordinari per il reperimento delle risorse(salvo che non si determinino condizioni particolari come quelle cuiallude l’art. 119, V c., Cost.), ai livelli di governo che dovessero trovarsiin situazioni critiche per non aver saputo gestire le risorse assegnate inmodo da coprire il fabbisogno di spesa, non resta altro che ridurre lespese e/o aumentare la pressione fiscale, nei limiti in cui quest’ultimapossibilità è consentita. Poiché manovre siffatte determinano un fortecalo del consenso, con inevitabile perdita di voti, comunemente sisostiene che l’introduzione del criterio del costo standard spinga di persé i diversi enti locali verso una gestione attenta delle risorse.

Sennonché, quando si passa dalla teoria ai concreti meccanismiintrodotti dalla l. n. 42, si scopre che il volto del federalismo fiscale è ingran parte ancora indefinito, in quanto il Parlamento ha lasciato ampimargini di discrezionalità al Governo: ciò anche con riferimento alleindicazioni sul funzionamento del criterio del costo e del fabbisognostandard. Come mette in luce il dossier redatto dal Servizio bilancio delSenato e dal Servizio studi della Camera dei deputati dal titolo L’attua-

dal criteriodella spesastorica a quellodel costo e delfabbisognostandard

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zione dell’art. 119 della Costituzione: il federalismo fiscale, « un valorestandard è un valore oggettivo, confrontabile e che incorpora al tempostesso un criterio di efficienza. Il criterio del fabbisogno standard pre-senta tuttavia numerosi aspetti che sono ancora oggetto di dibattito.Uno dei punti cruciali consiste nell’approfondire come debba avvenire lacostruzione di tali standard, ovvero come pervenire a un’accuratavalutazione dei fabbisogni di spesa ». Anche la SVIMEZ, in un recentestudio dedicato al federalismo fiscale, ha sottolineato come un conto siadefinire in astratto il “fabbisogno di spesa” quale « importo di spesa al disotto del quale non si può scendere senza che ne conseguano graviconseguenze sul piano amministrativo (ad esempio, spirale del disa-vanzo), o sociale (ad esempio, livello intollerabilmente basso dei servizilocali), o economico (ad esempio, distruzioni di ricchezza causate damancata manutenzione, o attivazione, di opere) », un altro sia la costru-zione di un sistema fiscale imperniato su tale criterio, che coniughi icriteri di efficienza con le esigenze della solidarietà. Tanto più che moltielementi possono incidere sul “costo di produzione” dei servizi: ladensità demografica, la percentuale di anziani residenti, le caratteristi-che morfologiche dei territori e, può aggiungersi, la presenza di unacriminalità organizzata radicata in alcune aree del Paese, delle qualicondiziona fortemente l’economia e, in generale, lo sviluppo.

Ma quali siano i fattori di cui debba o meno tenere conto il Governo,come si diceva, non è dato ricavare dalla legge. Peraltro, tra i princìpi diordine generale, l’art. 2, II c., lett. m), inserisce quello per cui il transitodovrà avvenire a favore del fabbisogno di spesa standard solo per quelche riguarda il finanziamento delle funzioni relative ai livelli essenzialidelle prestazioni e delle funzioni fondamentali degli enti locali. Con ri-guardo alle funzioni diverse da queste, sempre secondo la disposizione dequa, l’abbandono del “vecchio” funzionamento dovrà invece avvenire infavore della perequazione della capacità fiscale per abitante.

In tal modo, la legge recepisce una distinzione già praticata neldisegno di legge attuativo dell’art. 119 Cost. messo a punto dal GovernoProdi nel 2007, che tuttavia non trova un diretto fondamento nellaCostituzione. Come chiarisce la Relazione al disegno di legge A.S. 1117redatta delle Commissioni permanenti IV e VI del Senato con riguardoall’impianto di fondo della riforma, rimasto immutato nell’iter parla-mentare, le spese che investono i diritti fondamentali sono state consi-derate destinatarie di una considerazione particolare, diversa rispetto aquella riservata alle altre « che, invece, per il loro minore significatoequitativo, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con glistrumenti propri della autonomia tributaria […], pur con il sussidio

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anche in questo caso del fondo perequativo ». Con riguardo a queste, « ilconcetto di fabbisogno standard è sostanzialmente inapplicabile equindi sconsigliato, anche perché, per esse, non esistono le preoccupa-zioni di ordine politico e sociale che possono suggerire la scelta dellaperequazione integrale », tanto che è apparsa appropriata « una pere-quazione alla capacità fiscale, tale da assicurare che le dotazioni dirisorse non varino in modo eccessivo da territorio a territorio ».

In merito a questa distinzione e alle conseguenze che la legge ne fadiscendere nella costruzione della struttura della finanza locale, neldibattito scientifico sono state affacciate perplessità di varia natura, siasul piano dell’efficienza complessiva del sistema sia sul fronte dellacompatibilità con la Costituzione. Se, infatti, la scelta della previadefinizione degli standard delle prestazioni e dei costi standard direalizzazione dei servizi è stata percorsa in quanto si ritiene che siaquesta la via primaria per riuscire a finanziare i fabbisogni “reali” diogni livello di governo al netto delle inefficienze, allora essa avrebbedovuto essere generalizzata per tutte le funzioni. All’obiezione (più chealtro di carattere pratico) per cui le funzioni diverse da quelle concer-nenti i livelli essenziali e dalle funzioni fondamentali degli enti localiriguarderebbero tutto sommato attività marginali nel panorama diquelle svolte dagli enti locali, stimabili intorno al 20-25% del complessodelle stesse, può rispondersi che tra di esse possono annoverarsi quelledirette allo sviluppo e alla crescita delle economie esterne: in particolare,la formazione, l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica. Si tratta,comunque, di attività di grande rilievo per le Regioni deboli del Mez-zogiorno, che implicano per esse sforzi e costi maggiori che per le altrearee del Paese.

Sul punto si tornerà ancora nel corso della trattazione, in occasionedell’esame dei princìpi “speciali” sulla finanza delle Regioni e degli entilocali. Proseguendo ora con l’esame dei princìpi e ciriteri direttivi“generali”, quel che è certo è che l’abbandono del criterio della spesastorica trova coronamento nella fissazione di princìpi e criteri relativialla predisposizione di specifici meccanismi premiali per gli enti “vir-tuosi”, come pure di misure sanzionatorie per quelli che si ritrovino agestire bilanci con disavanzi ragguardevoli: in tal senso dispongono gliartt. 2, I c., lett. z) e 17, I, c., lett. e), l. n. 42.

Per la verità, con riguardo ai “premi” ancora una volta la legge nonsi diffonde in indicazioni [anche se si può presumere che il Governodebba tenere conto degli indicatori di efficienza e di adeguatezza atti agarantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di Regionied enti locali, che esso stesso fisserà nei decreti: art. 17, I c., lett. d)].

meccanismipremiali emisuresanzionatorie

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L’art. 117, I c., lett. e), delinea però l’identikit degli enti “virtuosi”:rientrano in tale novero quelli che assicurano elevata qualità dei servizimantenendo il livello della pressione fiscale inferiore alla media deglialtri enti del proprio livello di governo che eroghino analoghe presta-zioni; ovvero quelli che garantiscono il rispetto di quanto previsto dallastessa legge di delega e partecipano a progetti strategici mediantel’assunzione di oneri e di impegni nell’interesse della collettività, com-presi quelli di carattere ambientale; o ancora quelli che incentivanol’occupazione e l’imprenditorialità femminile (connotato spurio rispettoagli altri, in quanto ognun vede come tale pur meritoria attività non siadi per sé garanzia di una corretta gestione delle finanze).

Con riferimento ai meccanismi “punitivi”, invece, la legge circo-scrive in misura maggiore la discrezionalità del Governo, individuandosia la “tipologia” delle sanzioni sia i casi in cui esse vanno applicate.Questi ultimi sono indicati dall’art. 2, I c, lett. z): la violazione degliequilibri economico-finanziari, il deficit nell’assicurazione dei livelli es-senziali delle prestazioni ex art. 117, II c., lett. m), Cost. ed il carente omancato esercizio delle funzioni fondamentali ex art. 117, II c., lett. p),Cost., nonché gli scostamenti a carattere permanente e sistematico dal“patto di convergenza” di cui all’art. 18 della legge, su cui si torneràsubito infra. La stessa disposizione della legge di delega ora in esameprevede inoltre che, nei casi più gravi, il Governo possa esercitare ilpotere sostitutivo ex art. 120, II c., Cost.: si intende, laddove la gravitàsia tale da spingere a tale soluzione senza neppure sperimentare lesanzioni “ordinarie” disciplinate all’art. 17, I c., lett. e), l. n. 42 ovveroladdove esse siano state applicate ma non abbiano sortito effetti.

Con riferimento a queste ultime, a mente della disposizione oracitata i decreti dovranno prevedere il divieto di assunzioni a tempoindeterminato e il divieto di iscrizione in bilancio di spese per attivitàdiscrezionali, da imporre sino alla dimostrazione della messa in atto diprovvedimenti “riparatori”, fra i quali è inclusa l’alienazione di benimobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell’entenonché l’attivazione nella misura massima dell’autonomia impositiva.Ma la novità più significativa, sotto il profilo ora esaminato, è costituitadall’espresso riferimento alla istituzione, sempre da parte dei decreti, dimeccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e ammini-strativi — si intende: dei quali si siano accertate le responsabilità — nelcaso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla Regione e agli enti locali, con individuazione deicasi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili deglienti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario

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di cui all’art. 244 del d.lgs. n. 267 del 2000. L’ultimo comma di taledisposizione, infine, si pone come norma attuativa dell’art. 126, I c.,Cost., chiarendo che le attività da cui discenda un grave dissesto nellefinanze regionali integrano i casi di grave violazione di legge idonei adeterminare lo scioglimento del Consiglio regionale. Le sanzioni ora vistesono estese anche agli enti che non rispettino i criteri uniformi diredazione dei bilanci, definiti dal Governo in forza dell’art. 2, I c., lett.h), e a quelli che non rispettino gli obblighi di comunicazione dei dati aifini del coordinamento delle finanza pubblica [art. 2, I c., lett. aa)].

Per quanto riguarda il menzionato “patto di convergenza”, l’art. 18impone al Governo un « confronto e una valutazione congiunta » in sededi Conferenza unificata per l’elaborazione di norme, da proporre in senoalla legge finanziaria, di coordinamento dinamico della finanza pubblica.Esse sono volte: a) a realizzare l’obiettivo della convergenza dei costi edei fabbisogni standard ai varı̂ livelli di governo nonché un percorso diconvergenza degli obiettivi dei servizi relativi ai livelli essenziali delleprestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali; b) a stabilire,per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato deisaldi da rispettare, le modalità di ricorso al debito nonché l’obiettivoprogrammato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell’auto-nomia tributaria delle Regioni degli enti locali. Nel caso in cui ilmonitoraggio eseguito in sede di Conferenza permanente per il coordi-namento della finanza pubblica rilevi che uno o più enti non hannoraggiunto gli obiettivi, lo Stato attiva, previa intesa in sede di Confe-renza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggioriscostamenti nei costi per abitante, un procedimento denominato “Pianoper il conseguimento degli obiettivi di convergenza”, volto ad accertarele cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intrapren-dere, anche fornendo la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ovepossibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli entidello stesso livello. In caso di scostamenti sistematici e persistenti dalpatto, scatteranno invece le sanzioni sopra viste.

4. La finanza regionale: i tributi regionali e la distinzione tra “speseLEP” e “spese non-LEP”. — L’art. 7 della legge detta i princìpi e i criteridirettivi “speciali” relativi alla finanza regionale. Il I c., lett. a), affermache le Regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito deitributi erariali (tra questi ultimi viene espressamente indicata, in viaprioritaria, l’imposta sul valore aggiunto), idonei a finanziare le speserelative all’esercizio delle materie che la Costituzione affida alla lorocompetenza legislativa residuale o concorrente e quelle relative a mate-

il “patto diconvergenza”

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rie di competenza esclusiva statale con riguardo alle quali le Regioniesercitino funzioni amministrative.

La lett. b) individua i tributi regionali. In tale categoria rientrano: 1)i tributi propri derivati, una formula che sembraun ossimoro (se un tributoè proprio non potrebbe essere al tempo stesso derivato, e viceversa) macheè riferibile, secondo laprecisazionecontenutanella stessadisposizione,ai tributi istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito sia attribuito alleRegioni. Queste ultime, secondo quanto chiarito dalla successiva lett. c)della disposizione in esame, possonomodificare con legge le aliquote di talitributi e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, ma sempre nei limitifissati dalla legge statale: il raggio d’azione degli enti è dunque limitato,al punto che alcuni commentatori hanno sottolineato la difficoltà a di-stinguere tale categoria dalle compartecipazioni ai tributi erariali; 2) leaddizionali sulle basi imponibili di tributi erariali, con riguardo alle qualile Regioni possono introdurre variazioni percentuali delle aliquote e di-sporre detrazioni, ancora un volta entro i limiti posti dal Parlamento [cfr.lett. c)]; 3) i tributi propri istituiti dalle leggi regionali in relazione ad ambitinon coperti da tributi erariali. Quest’ultima precisazione nasce dall’in-tento di eliminare le ipotesi di c.d. doppia imposizione, ma al tempo stessoessa segnala come i tributi propri — i soli che possano dirsi veramenteregionali — si riferiscono ad ipotesi residuali, quali ad es. la tassa di con-cessione per la ricerca e la raccolta dei tartufi istituita qualche tempo fadalla Regione Veneto e successivamente abolita per l’inconsistenza delgettito da essa assicurato. Come si è già accennato in apertura, la possi-bilità delle leggi tributarie locali di decidere in ordine alla definizione con-creta del quantum da imporre risulta in gran parte circoscritta dalle de-cisioni assunte dal Parlamento statale, ragion per cui non sembra che ilnuovo federalismo fiscale si muova verso un deciso accantonamento deimeccanismi della finanza derivata.

I canali di finanziamento ora visti, insieme alle quote del fondoperequativo, dovrebbero finanziare integralmente l’esercizio normaledelle funzioni regionali, secondo quanto disposto dall’art. 119, IV c.,Cost. Ma l’art. 8 II c., l. n. 42 riprende la distinzione tra le spese regionalicui si è accennato, imponendo ai decreti di procedere a una summadivisio tra: a) le spese riconducibili al vincolo dell’art. 117, II c., lett. m),Cost. (definibili come “spese LEP”); b) le spese non riconducibili a talevincolo (definibili come “spese non-LEP”); c) le spese finanziate con icontributi speciali e con i cofinanziamenti nazionali disciplinati dallastessa legge delega all’art. 16 (“spese ulteriori”).

Le “spese LEP” sono espressamente ancorate al criterio del costo edel fabbisogno standard [art. 2, II c., lett. m); art. 8, I c., lett. b)]. Quali

i tributiregionali

le “speseLEP”

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esse siano è chiarito dall’art. 8, III c., che a tale novero riconduce quelleper « la sanità, l’assistenza e, per quanto riguarda l’istruzione, le speseper lo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle Regionidalle norme vigenti ». La norma ora vista vincola il Governo: dovrebbeperciò predicarsi l’incostituzionalità per violazione dell’art. 76 Cost. —secondo il meccanismo della fonte interposta — di un eventuale decretoattuativo che impoverisse tale elenco. La qual cosa, però non appareformalmente preclusa ad una legge successiva: sul punto, l’art. 20, II c.,si limita ad affermare che spetta alla legge statale (ad un’altra leggestatale), fissare i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delleprestazioni, chiarendo anche come, sino alla loro nuova determinazione,si debba tenere conto in entrambi i casi dei livelli essenziali già indivi-duati (il che, sin qui, è però avvenuto, come già rilevato, prevalente-mente attraverso atti non legislativi).

Per quanto riguarda l’identificazione dei settori cui si riferiscono le“spese non-LEP”, invece, la legge di delega tace, lasciando intendereche essi vadano individuati in via negativo-residuale, rispetto a quelliLEP, tra gli ambiti desumibili dall’art. 117, III e IV c., Cost. (mabisogna aggiungere: per come questi sono costantemente ridefiniti dallagiurisprudenza costituzionale). Con una sola eccezione, riguardante il“trasporto pubblico locale”. Si tratta di una materia con riferimento allaquale le spese, pur qualificabili come “non-LEP” in quanto non inclusenell’elenco sopra visto, sono state, evidentemente, considerate merite-voli di una disciplina specifica. L’art. 7, I c., lett. c), assegna al Governolegislatore il compito di definire le modalità per cui, « nella determina-zione dell’ammontare del finanziamento relativo alla spesa per il tra-sporto pubblico locale, si tiene conto della fornitura di un livello ade-guato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costistandard ».

La distinzione tra “spese LEP” e spese “non-LEP” assume unvalore pratico di grande rilievo: con riguardo alle prime, l’art. 8, I c.,lett. b) della l. n. 42 chiama i decreti a definire le modalità per cui essedevono essere determinate nel rispetto dei costi standard associati ailivelli essenziali delle prestazioni. Il modus procedendi del Governo ètratteggiato alla lett. g) della disposizione: esso dovrà fissare le aliquotedei tributi propri derivati, dall’addizione regionale all’imposta sul red-dito delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all’IVA,destinate al finanziamento delle “spese LEP” « al livello minimo asso-luto » sufficiente ad assicurare il « pieno » finanziamento del fabbisognocorrispondente ai livelli « essenziali » delle prestazioni negli ambiti sopraindicati: art. 8, I c., lett. g). Si noti, di sfuggita, l’apparente contraddit-

le “spese non-LEP”

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torietà tra gli aggettivi evidenziati: a meno che non si voglia intendereche il Parlamento abbia intenzionalmente suggerito che il termine « es-senziali » nell’art. 117, c. 2, lett. m) Cost., vada inteso come « minimi ».Ma, considerando che tale lettura è recessiva nel dibattito scientifico, èpreferibile ritenere che il legislatore si sia prodotto in una infeliceformulazione (o, al limite, in un lapsus freudiano).

In ogni caso, per la determinazione delle aliquote al livello minimoassoluto, l’esecutivo dovrà assumere a parametro il finanziamento deiservizi connessi ai LEP in una sola Regione: quella, come si è detto, daconsiderarsi come la più “virtuosa” tra tutte, la Regione c.d. benchmar-ket, in grado di finanziare tutte le spese fondamentali senza incorrere indissesti. Ma la diposizione ora richiamata tace del tutto sui criteri in baseai quali selezionare tale ente, rimettendo in sostanza alla piena discre-zionalità dell’esecutivo una scelta che condizionerà il quantum dellerisorse destinate all’assistenza, alla salute ed all’istruzione. Appareperciò di particolare importanza che la individuazione da parte delGoverno delle modalità di finanziamento delle “spese LEP” sulla basedel costi standard avvenga realmente « in piena collaborazione con leRegioni e con gli enti locali », come afferma la legge di delega [art. 8, IIc., lett. b)], peraltro senza addentrarsi in dettagli ulteriori.

Le “spese LEP” saranno inoltre finanziate, in quelle Regioni conminore capacità fiscale per abitante, dall’accesso a quote specifiche delfondo perequativo istituito all’art. 9, di cui si dirà infra [in via transi-toria, si prevede anche il gettito dell’imposta regionale sulle attivitàproduttive, l’IRAP, sino alla sua sostituzione con altri tributi: art. 8, Ic., lett. d)].

Al di là di queste risorse — cui si aggiungono, ma solo in casiparticolari, gli interventi previsti all’art. 16 della legge: anche su ciò, v.infra — non dovrebbe più essere possibile fare affidamento su interventistraordinari predisposti dal centro: in tal senso depone anche l’espressainclusione, tra i princìpi e i criteri direttivi “speciali” contemplatidall’art. 7, della soppressione dei trasferimenti statali diretti al finan-ziamento sia delle “spese LEP” sia delle “spese non-LEP”, ad eccezionedei contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento dei mutuicontratti dalle Regioni [art. 8, I c., lett. f)].

Le “spese-non LEP”, secondo l’art. 8, I c., lett. e), sono finanziatecon il gettito dei diversi tributi regionali sopra visti (tributi propriderivati, addizionali e tributi regionali in senso stretto) e con quote delfondo perequativo previsto all’art. 9: ma, secondo quanto già detto, conriguardo ad esse il criterio della spesa storica dovrà cedere il passo ad unmodello imperniato sulla perequazione delle capacità fiscali per abitante

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[art. 2, I c., lett. m): v. anche supra]. Ciò significa che per queste non siindividuerà un fabbisogno di spesa standard ricalcato su quello dellaRegione più “virtuosa”: la legge, in sostanza, interpreta l’art. 117, II c.,lett. m), Cost., come se esso privilegi le funzioni relative ai LEP,sancendo solo per esse l’imperativo categorico della omogeneità sulterritorio nazionale. Questa interpretazione, però, oltre a urtare con lalettura della disposizione affermatasi nel dibattito scientifico — e,ancora prima, con il principio di unità della Repubblica — sembrerebbesmentita proprio dall’art. 119, IV c., Cost., almeno se si segue la letturasecondo cui esso impone che le risorse provenienti dalle fonti previste neiprimi tre commi della disposizione devono finanziare integralmente lefunzioni pubbliche (tutte le funzioni pubbliche) loro attribuite. Puòaggiungersi: in modo da garantirne l’esercizio normale, dato che lerisorse aggiuntive e gli interventi speciali del V c. sono per espressastatuizione destinati a coprire attività che vadano oltre questo livello.

La legge, per la verità, sembra farsi carico di tale contraddizione,chiamando i decreti a predisporre un finanziamento “ordinario” idoneoa « finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbli-che » anche per le “spese non-LEP” [art. 2, II c., lett. e)]: ma leggendooltre, si scopre che questo risultato dovrebbe essere perseguito, oltre chemediante l’accesso al fondo perequativo, grazie alla « previsione di unaadeguata flessibilità fiscale tale da consentire a tutte le Regioni ed entilocali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare,attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile aiLEP ». [ex art. 2, I c., lett. cc)]. Ora, se ben si intende questa precisa-zione, il Parlamento ha ritenuto che la via primaria per assicurarel’esercizio normale delle funzioni relative agli ambiti “non-LEP” sial’attivazione della leva fiscale da parte delle Regioni, le quali, grazie allamenzionata flessibilità, potrebbero essere autorizzate non solo a gra-duare l’aliquota del prelievo o ad articolarlo in modo diverso fra i diversitributi su cui dispongono di margini di manovra, ma anche a differen-ziarlo fra contribuenti: ad es., agevolando fiscalmente certe categorie diimprese ovvero i soggetti cui affidare attività di interesse generale sullabase del principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, u.c., Cost. o,ancora, scegliendo una diversa articolazione degli aiuti fiscali alle fami-glie o ai soggetti più bisognosi. Sarebbe questa una delle vie per dareattuazione ad alcuni princìpi e criteri direttivi di ordine generale relativialla definizione di una disciplina dei tributi locali idonea a consentire lavalorizzazione della sussidiarietà orizzontale ed alla attuazione degliartt. 29, 30 e 31 con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia[art. 2, II c., lett ff) e gg)].

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Ma molti dubbi possono nutrirsi sul fatto che meccanismi del genere— ovviamente, del tutto condivisibili — possano essere sufficienti a ga-rantire che le funzioni “non-LEP” siano svolte in modo non troppo spe-requato sul territorio nazionale, dinanzi a una situazione come quellaitaliana, che contempla, ad es., un’oscillazione nel tasso di incidenza dellapovertà relativa dal 25% della Calabria al 3,9% dell’Emilia-Romagna, edun livello di disoccupazione che va dal 12,6% della Campania al 3,2%sempre dell’Emilia-Romagna (i dati sono ricavati dalRapporto Istat suLapovertà in Italia nel 2008). In ogni caso, anche se così fosse, i risultatisarebbero contraddittori rispetto ai fini enunciati dalla stessa legge. Se,infatti, le Regioni con basso gettito tributario innalzassero l’addizionaleIRPEF — e dovrebbero farlo in misura rilevante, come si capisce dai datiora esposti — ne deriverebbe una penalizzazione su redditi già consisten-temente più bassi di quelli medi nazionali, con l’effetto di ampliare ancoradi più il dualismo economico che affligge il Paese. Se si aumentassero itributi relativi alle imprese, non solo si ricaverebbe ben poco nelle areescarsamente industrializzate o nelle quali l’imprenditorialità è comunquebassa, ma di certo non si favorirebbero nuovi insediamenti produttivi.Anche in questo caso si finirebbe per andare contro un principio di ordinegenerale, quello che esige dai decreti l’individuazione, in conformità conil diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolareriguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottouti-lizzate [art. 2, II c., lett. mm)].

L’alternativa residua, per cui a parità di sforzo fiscale con gli altrienti, quelli in difficoltà dovrebbero rinunziare a garantire ai propricittadini i servizi più “costosi”, appare evidentemente iniqua. Eppure, ilnuovo sistema spinge verso l’una o l’altra strada, sotto pena di appli-cazione delle sanzioni sopra viste.

Vero è che, stando all’art. 119 III c., Cost., a favore degli enti conminore capacità fiscale deve essere istituito un fondo perequativo, cheinfatti la legge introduce: ma dinanzi ai meccanismi di funzionamentodello stesso le perplessità aumentano invece di diminuire, come si vedràsubito.

5. Il fondo perequativo. — A favore delle Regioni con minorecapacità fiscale per abitante, l’art. 9 della legge istituisce il fondo stataleperequativo. Nella prima stesura del disegno di legge, si ventilava l’ideadi un “fondo orizzontale” gestito dalle Regioni “ricche”: anche in talcaso, la discussione parlamentare sembra, apparentemente, aver ope-rato un’inversione di rotta — il fondo è espressamente definito « verti-cale » al I c. della disposizione in esame — a fronte delle varie critiche

il fondoperequativo

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levatesi sul punto, fondate sull’attribuzione della perequazione allacompetenza esclusiva statale, ex art. 117, II c., lett. e), Cost. Tuttavia,questo dato esclude che su tale ambito possano legiferare i Consigliregionali, ma non implica anche che al Parlamento sia preclusa l’opzioneper un fondo “orizzontale” o “misto”: in effetti, di quest’ultimo tiposembra essere quello in esame, almeno per quanto riguarda le “spesenon-LEP”, secondo quanto si vedrà subito.

Il fondo, le cui quote saranno comunque assegnate senza vincolo didestinazione [art. 9, I c., lett. a)], per quanto riguarda le “spese LEP” èalimentato dal gettito prodotto dalla compartecipazione all’IVA: lemodalità di partecipazione delle Regioni sono rimesse ai decreti, i quali[art. 9, I c., lett. d)] sono tenuti a determinare le spettanze di ciascunente tenendo conto del diverso livello di capacità fiscale e delle indica-zioni risultanti dalla legislazione in materia di livelli essenziali delleprestazioni, in modo da assicurare l’integrale copertura delle spese alfabbisogno standard.

Più complesso il riferimento alle “spese non-LEP”. Va premesso chel’importo complessivo dei trasferimenti statali volti a finanziare lefunzioni regionali cui esse si riferiscono — destinati, come si è detto, adessere soppressi — dovrà essere sostituito dal gettito derivante da unanuova addizionale regionale all’IRPEF: il valore dell’aliquota di questaaddizionale (aliquota d’equilibrio) deve essere fissato ad un livello che lalegge definisce sufficiente ad assicurare al complesso delle Regioni unammontare di risorse tali da compensarle esattamente per i trasferi-menti soppressi [art. 8, I c., lett. f)]. Una quota del gettito di questotributo prodotto nelle altre Regioni alimenterà il fondo (da qui la naturanon puramente verticale dello stesso) con riguardo alle “spese non-LEP”: ancora una volta, i dettagli saranno messi a fuoco dai decreti, mala legge impone al Governo di riservare l’accesso al fondo alle Regionicon minore capacità fiscale per abitante e di escludere le altre. In questocaso, le prime vengono identificate come quelle nelle quali il gettito perabitante della nuova addizionale regionale all’IRPEF sia inferiore algettito medio nazionale, di talché resteranno estromesse quelle in cui ilgettito per abitante sia superiore a tale soglia (per incidens: in realtà,anche tra quelle collocabili al di là di questo valore potrebbero regi-strarsi sensibili differenze). L’obiettivo è quello di ridurre le differenzeinterregionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale[art. 9, I c., lett. g), nn. 1) e 2)]. Nelle operazioni di definizione dellaripartizione del fondo, il Governo dovrà inoltre tenere conto delladimensione demografica degli enti: il meccanismo di riparto del fondoperequativo dovrà includere un elemento correttivo inversamente pro-

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porzionale alla dimensione demografica delle singole Regioni [art. 9, lett.g), n. 3)]: ciò, al fine di favorire le Regioni più piccole, che hanno costifissi più elevati.

Ma la disposizione più significativa è quella secondo cui, in ogni caso,la perequazione dovrà essere disciplinata in modo tale da consentire[art. 9, I c., lett. b)] l’adeguata riduzione delle differenze tra i territori condiverse capacità fiscali: non dunque, il loro azzeramento.

In dottrina, si è tentato di giustificare tale interpretazione “restrit-tiva” data dalla legge agli scopi della perequazione prevista all’art. 119,III c., Cost. Se infatti è vero che una scarsa capacità fiscale denuncia unbasso tasso di imposte pagate, quest’ultimo non consegue solo allaesistenza di larghe fasce di popolazione a reddito esiguo, ma puòderivare anche da un elevato grado di evasione: qualora la perequazionecolmasse in toto le differenze di capacità fiscale tra i diversi territori, glienti locali non sarebbero stimolati a contrastare l’evasione, come inveceesige la stessa l. n. 42 (v. infra). Questa considerazione non ha tuttaviaimpedito ad altri commentatori di sottolineare, in primo luogo, come lanorma lasci al Governo mano libera nella determinazione dell’adegua-tezza nella riduzione delle differenze tra i territori con diversa capacitàfiscale per abitante: constatazione preoccupante, specie se pensiamo cheil fondo si volge anche a coprire le “spese-LEP”. In sostanza, non solo lalegge non fornisce indicazioni chiare sulla traduzione in connotati con-creti del criterio del costo e del fabbisogno standard, ma non consentenemmeno di immaginare “entrate standard”: né con riguardo al finan-ziamento delle spese ancorate a tale criterio né, tanto meno, a tutte lealtre. Indicazioni più dettagliate sono fornite solo sul trasporto pub-blico: in coerenza con la natura “ibrida” delle spese relative a questamateria, l’art. 9, I c., lett. f), affida ai decreti la definizione dellemodalità con cui per le spese di parte corrente relative al trasportopubblico locale le quote del fondo perequativo sono assegnate in mododa ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capa-cità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo contodel fabbisogno standard di cui è assicurata l’integrale copertura.

In secondo luogo, le considerazioni critiche si sono appuntate sulfatto che una tale interpretazione riduttiva dei fini cui è rivolta laperequazione, in mancanza di indicazioni univoche in tal senso prove-nienti dal testo fondamentale, non può trovare ragionevole giustifica-zione solo nell’ingaggio degli enti locali nella lotta all’evasione, ancheperché l’apporto di questi ultimi su tale fronte, al di là delle dichiara-zioni rilasciate dalla maggioranza autrice della riforma, si presenta come

l’adeguata ri-duzione delle

differenze tra iterritori

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poco più che marginale, e comunque anch’esso, al momento, è in granparte indeterminato (v. infra).

Altri dubbi sulla compatibilità a Costituzione dell’art. 9 muovonodalla considerazione che, secondo l’art. 119, III e IV c., Cost. tutti glienti devono essere in grado di coprire l’esercizio normale delle funzioni,o perché essi riescono a trarre dal gettito dei tributi loro spettanti lerisorse a ciò bastevoli o perché, ove ciò non succeda, accedono al fondoperequativo per coprire la differenza. In questa visione, il quantum dellerisorse da destinare alla perequazione dovrebbe derivare da un’opera-zione algebrica: la somma necessaria ad assicurare la copertura integraledelle spese relative a tutte le funzioni attribuite, meno il gettito poten-ziale dei tributi propri e delle compartecipazioni spettanti a ogni singolaistituzione a parità di sforzo fiscale.

A tale argomentazione potrebbe opporsi che, quando alla perequa-zione viene assegnato l’obiettivo di integrare le entrate tributarie deglienti territoriali in modo che, a parità di pressione tributaria, tuttiabbiano le risorse necessarie ad assicurare l’esercizio delle funzioni di cuisono investiti, è forte il rischio di “comportamenti strategici” degli entilocali volti a massimizzare i trasferimenti ottenibili dallo Stato pur dinon rivolgersi ai propri elettori-contribuenti. Tuttavia, è stato eviden-ziato come sia possibile fronteggiare tale pericolo mediante l’introdu-zione della perequazione della capacità fiscale standard, vale a dire dellacapacità di autofinanziamento dei singoli enti calcolata non già sullabase delle entrate effettive, ma di quelle che si potrebbero teoricamenteottenere se ciascun tributo proprio venisse applicato con un’aliquotastandard, fissata dalla legge statale in funzione di varî fattori, tra i qualiil fabbisogno standard di spesa. Si tratta di una soluzione che richiedecalcoli complessi a partire da dati analitici sulle spese degli enti, artico-late per funzioni e servizi (sui quali non ci si può in questa sedesoffermare), che tuttavia sembra essere la strada migliore per arginare leinefficienze e rendere palesi le responsabilità nella gestione delle risorsepubbliche, perseguendo al tempo stesso l’obiettivo di realizzare l’unifor-mità nell’esercizio delle funzioni sul territorio nazionale.

L’insieme delle notazioni critiche ora rapidamente ripercorse spingea concludere che sarebbe stata auspicabile la “generalizzazione” delprincipio del superamento del criterio della spesa storica in favore diquello del costo e del fabbisogno standard (corredando quest’ultimo dimaggiori indicazioni), in favore di tutte le funzioni, onde consentirne ilfinanziamento integrale mediante la combinazione tra le entrate tribu-tarie e l’accesso al fondo perequativo, previa individuazione dei criteri in

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base ai quali identificare i “territori con minore capacità fiscale perabitante” e con l’introduzione della capacità fiscale standard.

A tal proposito, negli studi sopra citati la SVIMEZ ha rilevato comela singolare tesi secondo la quale le disparità e la competizione a livelloterritoriale sarebbero un incentivo alla crescita, più volte enunciatadalle forze politiche autrici della riforma, non tiene conto che la com-petizione tra i livelli di governo non è assimilabile alla competizione trale imprese. Se questa ipotesi fosse realistica, « si potrebbero risolvere, acosti esigui, non solo i problemi del dualismo economico italiano, mamolti altri casi di sottosviluppo, con la semplice costrizione, imposta aipoveri, di fare affidamento preponderante sulle loro proprie forze ».

Può infine aggiungersi che, per quanto improbabile, è pur semprepossibile l’eventualità in cui anche una sola Regione, pur azionando laleva fiscale al massimo del consentito e pur accedendo al fondo pere-quativo, non riesca a coprire le necessità di spesa. Ci si chiede, allora, sel’unica risposta dell’ordinamento a questa situazione consista nellesanzioni sopra viste, dato che gli interventi straordinari di cui discorrel’art. 16 della legge, in attuazione dell’art. 119, V c., Cost. per definizionenon possono essere destinati a coprire l’esercizio normale delle funzioni.

La risposta su quest’ultimo punto non potrà essere evitata daidecreti legislativi, che dovrebbero illuminare anche con riguardo a unulteriore aspetto controverso del concreto funzionamento del sistema.Come si è visto, per le “spese LEP”, la legge vincola alla fissazione di unfabbisogno di spesa da finanziare integralmente e individua una serie difonti di entrata fissandone le aliquote al livello sufficiente a coprire talefinanziamento: ma per quanto tempo? Poiché non è detto che il fabbi-sogno di spesa resti sempre lo stesso, se le aliquote standard dei tributie della compartecipazione all’IVA venissero fissate una volta per tuttein modo rigido, le Regioni potrebbero ritrovarsi, nel tempo, a ricevereun finanziamento insufficiente o, al contrario, eccessivo rispetto a talesoglia. Se però esse venissero modificate dallo Stato frequentemente (ades., ogni anno), la presenza di quest’ultimo nel federalismo fiscalesarebbe ancor più pervasiva di quanto già non sia. Per tale motivo,appare convincente la tesi che immagina un sistema soggetto a revisioniperiodiche non troppo ravvicinate (ad es., una volta ogni tre anni, salvoipotesi eccezionali), la cui cadenza dovrebbe essere fissata una volta pertutte in occasione dell’attuazione della legge di delega.

6. La finanza degli enti locali. — La continuità della riformarispetto alla mantenimento della natura eminentemente derivata dellafinanza locale si evidenzia viepiù nelle disposizioni relative a Comuni e

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Province (per le Città metropolitane sono previste regole particolari, suicui v. infra).

Secondo l’art. 12 l. n. 42, la legge statale individua i tributi propri ditali enti, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti eanche attraverso l’attribuzione agli stessi enti di tributi o parti di tributigià erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili;stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferi-mento valide per tutto il territorio nazionale. La stessa legge [art. 12, Ic., lett. b)] individua le fonti di finanziamento prioritarie per le spesecomunali relative alle funzioni fondamentali: il gettito derivante da unacompartecipazione all’IVA; il gettito derivante da una compartecipa-zione all’IRPEF; l’imposizione immobiliare, con esclusione delle tassa-zioni sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale. Con ri-guardo alle Province, invece, la lett. c) definisce quale fonte prioritariail gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasportosu gomma e dalla compartecipazione ad un tributo erariale.

Anche la legge regionale gioca un ruolo importante: le viene infatticonferito il potere di istituire nuovi tributi dei Comuni, delle Province edelle Città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti diautonomia riconosciuti agli enti locali [art. 12, I c., lett. g)]. A questiultimi resta la possibilità di modificare le aliquote dei tributi loroattribuiti e di introdurre agevolazioni [lett. h)]. I decreti sono chiamatiinoltre a prevedere che, nel rispetto delle normative di settore e delledelibere delle autorità di vigilanza, gli stessi enti dispongano di pienaautonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizio offertianche su richiesta di singoli cittadini [(lett. i)].

In base all’art. 11, similmente a quanto si è visto per la finanzaregionale (e perciò, mutatis mutandis, sollevando gli stessi dubbi sopraillustrati), i decreti dovranno classificare le spese relative alle funzioni diComuni, Province e Città metropolitane in spese riconducibili allefunzioni fondamentali (definibili come “spese f.f.”) per come individuatedalla legge statale cui rinvia l’art. 117, II c., lett. p), Cost. (ancora unavolta, quindi una fonte statale, diversa dai decreti attuativi della delega,influirà in modo determinante sul nuovo assetto della finanza locale);spese relative alle funzioni non fondamentali (definibili come “spesef.n.f”); spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamentidell’UE e con i cofinanziamenti regionali dell’art. 16 (“spese ulteriori”).

Sul calco di quanto visto per le Regioni, il Governo è delegato adefinire le modalità per cui il finanziamento delle “spese f.f.”, e dei livelliessenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate, avviene inmodo da garantire il finanziamento integrale in base al fabbisogno

i tributi deglienti locali

le “spese f.f.”

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standard. Queste spese saranno finanziate da tributi propri (v. infra), dacompartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e da addizio-nali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto delladimensione demografica dei Comuni, e dal fondo perequativo statale[art. 11, I c., lett. b)].

Le “spese f.n.f” sono invece finanziate con il gettito di tributi propri,con compartecipazioni al gettito di tributi e con il fondo perequativobasato sulla capacità fiscale per abitante [(art. 11, I c., lett. c).

L’art. 12, I c., rinvia inoltre ai decreti per l’attribuzione agli entilocali della facoltà di stabilire tributi propri c.d. di scopo — già istituitiper i Comuni dalla legge finanziaria per il 2007 — con riferimento aparticolari scopi istituzionali, quali la realizzazione di opere pubbliche edi investimenti pluriennali nei servizi sociali ovvero il finanziamentodegli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilitàurbana [lett. e) e d)]. L’esecutivo, inoltre, dovrà prevedere forme pre-miali per favorire unione e fusioni tra Comuni, anche attraverso l’incre-mento dell’autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipa-zioni ai tributi erariali [lett. f)].

Anche con riferimento alla finanza locale la legge impone la soppres-sione dei trasferimenti statali nonché di quelli regionali, con l’eccezione deicontributi regionali ed erariali in essere sulle rate di ammortamento deimutui contratti dagli enti locali [art. 11, I c., lett. e)] e dei fondi regionalidisciplinati all’art. 13. Quest’ultima disposizione, prescrive infatti alleRegioni di istituire nel proprio bilancio due fondi regionali — alimentatida un fondo perequativo dello Stato a sua volta alimentato dallafiscalità generale — uno a favore dei Comuni e l’altro a favore delleProvince, con indicazione separata degli stanziamenti per le diversetipologie di enti. La disposizione ora citata rinvia ai decreti per lanormativa di dettaglio sul funzionamento di tali fondi, dettando iprincìpi e i criteri direttivi relativi al finanziamento sia delle funzionifondamentali che di quelle non fondamentali. Le risorse che sarannoricevute dalle Regioni a titolo di fondo perequativo per gli enti localidovranno essere trasferite entro venti giorni dal loro ricevimento: nelcaso in cui ciò non avvenga, lo Stato eserciterà il potere sostitutivo di cuiall’art. 120, II c., Cost. [art. 13, I c., lett. h)].

7. La disciplina transitoria. — Il passaggio dall’attuale assetto aquello tratteggiato nella legge di delega non può che avvenire gradual-mente, come afferma l’art. 1, I c., l. n. 42: a tal proposito, gli artt. 20 e21 dettano i princìpi e i criteri direttivi cui si dovrà attenere il Governonella disciplina di tale fase di transizione, con riguardo rispettivamente,

le “spesef.n.f.”

i tributi discopo

le formepremiali

la soppres-sione dei

trasferimenti

i fondiregionali

la disciplinatransitoria per

le Regioni

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alle Regioni e agli enti locali. In estrema sintesi, la prima normaindividua in cinque anni l’arco temporale necessario al passaggio dal-l’attuale sistema a quello delineato dalla legge di delega: questi decor-reranno a partire da un dies a quo individuato dai decreti governativi: sinoti che anche su questo delicatissimo punto l’art. 20, I c., lett. e) nonimpone alcun vincolo o limite all’esecutivo. La disciplina transitoriadovrà dettare regole tali da consentire che, entro il temine ora visto, sicompia il processo di convergenza del criterio della spesa storica a quellodel fabbisogno standard con riguardo alle “spese LEP”, sì da consentirela determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delleprestazioni. Secondo l’art. 20, I c., lett. b), a partire dalla definizione diquest’ultimo potranno utilizzarsi i criteri definiti dall’art. 9 per l’accessodelle Regioni al fondo perequativo.

Lo stesso ambito temporale viene individuato, con identico mecca-nismo, anche per il transito dal criterio della spesa storica a quello dellecapacità fiscali per abitante, in riferimento alle materie diverse da quelledi cui all’art. 117, II c., lett. m), Cost. In questo secondo caso, tuttavia,la lett. c) della norma in esame prevede che, qualora si riscontrinosituazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità peralcune Regioni, lo Stato possa attivare, previa intesa in sede di Confe-renza Stato-Regioni, meccanismi correttivi di natura compensativa,secondo i criteri previsti dalla disposizione. Il che, implicitamente,segnala come lo stesso legislatore fosse consapevole che, con riguardoalle “spese-non LEP” i meccanismi introdotti possono dar luogo ascompensi e contraccolpi di notevole entità nelle Regioni già “deboli”.

Analogo meccanismo è previsto dall’art. 21 per la fase transitoria —sempre di cinque anni — relativa agli enti locali, con riguardo alla qualei decreti legislativi dovranno definire regole, tempi e modalità atte agarantire il superamento del criterio della spesa storica, rispettando icriteri dettati dalla norma in esame. In questa ipotesi, al contrario diquanto sopra visto, viene però in luce una precisazione stringente: il I c.,lett. e), stabilisce infatti che, fino alla data di entrata in vigore delledisposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentalidegli enti locali, il fabbisogno delle funzioni di Comuni e Province deveessere finanziato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il20% come non fondamentali, secondo le prescrizioni contenute neicommi successivi. Tra di esse, si trova l’indicazione delle funzioni diComuni e Province che i decreti legislativi dovranno considerare prov-visoriamente, « in sede di prima applicazione », come destinate ad esserefinanziate integralmente sulla base del fabbisogno standard (art. 21, II,III e IV c.). La provvisorietà di tale elenco va collegata al V c. della

… e quella pergli enti locali

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disposizione, secondo cui i decreti sono tenuti a disciplinare la possibilitàche, nell’arco dei cinque anni, l’elenco di dette funzioni sia “adeguato”— a cosa e sulla base di quali parametri non è chiarito — « attraversoaccordi tra Stato, Regioni e Province, da concludere in sede di Confe-renza unificata » (ma, probabilmente, il legislatore voleva dire: « sullabase di accordi », dovendo altrimenti riconoscersi a questi ultimi… forzadi legge).

8. Gli interventi speciali e la perequazione infrastrutturale. — L’art.16, secondo quanto si evince dall’intitolazione, dà attuazione all’art. 119,Vc.,Cost. che—comesi sa—prevede lo stanziamentodi risorse aggiuntivee l’effettuazionedi interventi speciali, da parte dello Stato, in favore di entilocali determinati, a fini di sviluppo e coesione. La legge riprende taliformule nell’art. 1, I c.: ma nel corpo della legge sono menzionati solo gliinterventi speciali, cui si rivolge l’intestazionedelCapoV.Tuttavia, si puòritenere che siano riconducibili alle risorse aggiuntive i contributi statalispeciali contemplati alla lett. a) dell’art. 16, I c., e che siano invece ri-collegabili agli interventi speciali quelli che la stessa disposizione, alla lett.d), rivolge « alla rimozione degli squilibri strutturali di natura economicae sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate ».

In base alla prima disposizione, i decreti legislativi dovranno defi-nire le modalità con cui, per la realizzazione dei fini indicati all’art. 119,V c., Cost., sono stanziati contributi speciali nel bilancio dello Stato (cuisi aggiungono i finanziamenti dell’Unione europea e i cofinanziamentinazionali, secondo il metodo della programmazione pluriennale). Nel-l’intervenire su tali risorse, il Governo è chiamato a tenere conto di unaserie di indicatori elencati alla lett. c) dell’art. 16, tra cui la situazionesocio-economica, il deficit infrastrutturale, i diritti della persona e lacollocazione geografica. I contributi speciali, mantenendo la propriafinalizzazione, confluiranno in appositi fondi a destinazione vincolata,da attribuirsi ai diversi livelli di governo.

In forza della seconda disposizione, l’esecutivo dovrà altresì indi-viduare gli interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, lacoesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, nellaprospettiva della rimozione degli squilibri cui si è già fatto cenno e dellapromozione dell’effettivo esercizio dei diritti della persona. Come sivede, la norma appare alquanto laconica, ribadendo essa, in buonasostanza, quanto già contenuto nell’art. 119, V c. Cost., senza peraltrosciogliere con nettezza il nodo relativo alla natura degli interventispeciali: in dottrina, infatti, commentando la disposizione costituzio-nale ora richiamata, si è discusso se includervi solo l’attribuzione di

risorse aggiun-tive e inter-

venti speciali

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risorse finanziarie o farvi rientrare anche lo svolgimento di attivitàmateriali.

Va poi segnalato che in nessuna parte dell’art. 16 viene ripresa laformula con cui l’art. 119, V c., Cost. vincola la finalizzazione dellerisorse aggiuntive e degli interventi speciali a scopi diversi dal normaleesercizio delle funzioni svolte dagli enti territoriali. Si può però ricavareun’indicazione in tal senso leggendo a contrario l’art. 2, I c., lett. e),secondo cui « le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri diRegioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito dei tributierariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmenteil normale esercizio delle funzioni attribuite ». In ogni caso, è questa lalettura offerta dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui risorseaggiuntive e interventi speciali devono manifestare una specifica finalitàqualificante, riferita agli scopi di perequazione e di garanzia enunciatinell’art. 119, V c., Cost., comunque diversa dal normale esercizio dellefunzioni (sentt. nn. 16/2004; 451/2006; 48/2005).

Su questo specifico punto, la discrezionalità del Governo nellaredazione dei decreti appare perciò limitata dal necessario rispetto delleindicazioni offerte dal giudice delle leggi. Inoltre, la lett. d) dell’art. 16prescrive che l’azione per la rimozione degli squilibri si attui attraversointerventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorsepluriennali, vincolate nella destinazione. Ma, per il resto, anche inquesto ambito spicca la mancanza di princìpi e criteri direttivi vera-mente serrati; basti dire che anche per quanto riguarda l’individuazionedelle aree sottoutilizzate la legge non detta alcuna indicazione: attual-mente, esse sono individuate dall’art. 61, I c., l. n. 289 del 2002, ma ilGoverno, stando all’art. 16, potrebbe ridisegnarne l’identità in toto.Persino nelle parti in cui la norma sembra limitare l’esecutivo, essa fissavincoli blandi: l’art. 16, lett. e), infatti, afferma che i criteri e gli obiettividi utilizzazione delle risorse “straordinarie” stanziate dallo Stato sonooggetto di intesa in sede di Conferenza unificata, ma non chiarisce inquale momento essa intervenga e cosa, in concreto, ne costituiscaoggetto: se, ad es., riguardi solo la definizione dei criteri generali per laripartizione delle risorse tra i diversi livelli di governo ovvero se abbraccianche quelli relativi alla distribuzione tra le diverse aree sottoutilizzate.

La disposizione si conclude affermando che i criteri e gli obiettivi diutilizzazione delle risorse cui essa si riferisce sono disciplinati con iprovvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria, ai qualispetta anche di quantificare di volta in volta l’entità delle risorsemedesime.

Si riferisce espressamente all’art. 119, V c., Cost. anche l’art. 22,

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volto a disciplinare la perequazione infrastrutturale. Tale disposizioneprevede che, in sede di prima applicazione della legge (formula chesembrerebbe alludere alla fase transitoria: v. subito infra), il Ministrodell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministro per le riforme peril federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministroper i rapporti con le Regioni e gli altri Ministri competenti per materia,predispone una ricognizione dei necessari interventi riguardanti le strut-ture sanitarie, assistenziali e scolastiche, nonché la rete stradale, auto-stradale e ferroviaria, la rete fognaria, idrica, elettrica e di trasporto edistribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. Sulla base ditale ricognizione, al fine del recupero del deficit infrastrutturale even-tualmente accertato, dovranno essere predisposti interventi finalizzatiagli obiettivi di sviluppo economico e di coesione indicati all’art. 119, Vc., Cost., da svolgersi nella fase transitoria di cinque anni: ma non sicomprende se, una volta trascorsa quest’ultima, il Governo sia ancoratenuto o meno alla realizzazione di tali interventi. La norma esige chequesti tengano conto della “virtuosità” degli enti nel processo di ade-guamento al nuovo assetto del federalismo fiscale: tuttavia, anche inquesto caso l’individuazione dei “premi” resta rimessa in toto ai decretilegislativi attuativi.

La perequazione infrastrutturale riguarda tutte le Regioni, com-prese quelle a statuto speciale, cui la disposizione è espressamenteestesa. In proposito, la SVIMEZ, nel menzionato studio sul federalismofiscale, ha fatto notare come « la questione vera, per il Paese consideratonel suo complesso, è quella di una amplissima parte di esso in cuipovertà e disoccupazione appaiono, per chi resta a risiedervi, un destinonon rimediabile. Nell’art. 16 della legge delega, sia pure con qualchecontraddizione, è indicato come criterio (del tutto ragionevole) di per-seguimento delle finalità dell’art. 119, comma 5, nel senso indicato,quello della programmazione pluriennale. Come ciò si concilı̂ con gliinterventi dell’art. 22, che appaiono disegnati a pioggia e riferiti a tuttoil territorio nazionale, è ora assai difficile comprendere ».

9. Le norme sulle Città metropolitane. — L’art. 23 della l. n. 42 recala disciplina relativa alla « prima istituzione » delle Città metropolitane.Si tratta, secondo il I c. della disposizione ora vista, di una normativatransitoria, destinata a restare in vigore sino al subentrare della disci-plina « ordinaria » riguardante le funzioni fondamentali, gli organi e ilsistema elettorale delle Città metropolitane, « che sarà determinata conapposita legge »: ovviamente, quella cui rinvia l’art. 117, II c., lett. p),Cost. Vi è tuttavia un terza fonte da tenere in considerazione: il VI c.

la perequa-zione

infrastrutturale

LINEAMENTI DI DIRITTO REGIONALE26

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della norma in esame, infatti, delega il Governo all’adozione di uno o piùdecreti legislativi « ai fini dell’istituzione di ciascuna Città metropoli-tana ».

L’art. 23, II c., afferma che le Città metropolitane possono essereistituite, nell’ambito di una Regione, nelle aree metropolitane in cuisono compresi i Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. La proposta di istituzionespetta: al Comune capoluogo congiuntamente alla Provincia; al Comunecapoluogo congiuntamente ad almeno il 20 per cento dei Comuni dellaProvincia interessata che rappresentino, unitamente al Comune capo-luogo, almeno il 60% della popolazione; alla Provincia, congiuntamentead almeno il 20% dei Comuni che rappresentino almeno il 60% dellapopolazione.

Dopo aver indicato il contenuto della proposta di istituzione (III c.),la norma de qua stabilisce che su di essa, previa acquisizione del pareredella Regione (da esprimersi entro 90 giorni), deve essere indetto unreferendum tra tutti i cittadini della Provincia. Esso è senza quorum divalidità se il parere della Regione è favorevole o in mancanza di parere,mentre se il parere è negativo esso è del 30% degli aventi diritto. Ilprocedimento referendario sarà disciplinato da un regolamento gover-nativo da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della l. n. 42, suproposta del Ministro dell’interno di concerto con i Ministri della giu-stizia, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativae per il rapporti con le Regioni.

La legge non si sofferma in modo specifico sui vincoli discendentidall’esito della consultazione: ad es., non chiarisce se un risultato nega-tivo precluda o meno, per un certo periodo di tempo, la ripresentazionedella proposta. Si tratta di aspetti sui quali al Governo, ancora unavolta, è stata lasciata ampia discrezionalità. Tuttavia, è espressamentestabilito che, laddove la popolazione si sia pronunciata in senso favore-vole, i decreti legislativi cui è affidata l’istituzione delle Città metropo-litane debbano contenere una disciplina conforme alla proposta appro-vata dal referendum [art. 23, VI c., lett. b)].

Per l’appunto, entro trentasei mesi dall’entrata in vigore della legge,il Governo dovrà emanare i decreti legislativi relativi all’istituzione delleCittà metropolitane cui si è accennato (art. 23, VI c.). Gli schemi deglistessi dovranno essere trasmessi al Consiglio di Stato e alla Conferenzaunificata, affinché essi esprimano il loro parere in trenta giorni. Succes-sivamente, essi sono inviati alle Camere per l’acquisizione del pareredelle competenti Commissioni nel medesimo termine, decorrente dall’as-segnazione a ciascuna di esse (art. 23, VII c).

la istituzionedelle Cittàmetropolitane

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L’opera del Governo dovrà conformarsi ai princìpi e criteri direttiviindicati nell’art. 23, VI c., tra i quali, oltre alla conformità alla propostaapprovata dal referendum, rientrano l’istituzione, in ciascuna Cittàmetropolitana, sino alla data di approvazione dell’apposita legge men-zionata al I c., di un’assemblea rappresentativa, denominata Consiglioprovvisorio della Città metropolitana, composta dai sindaci dei Comuniche fanno parte della Città metropolitana e dal Presidente della Pro-vincia, per i quali è esclusa la corresponsione di emolumenti in ragionedi tale incarico; la previsione della più ampia autonomia di entrata e dispesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da eser-citare, nel limite degli stanziamenti previsti; la previsione che, ai soli finidelle disposizioni relative alla spese e all’attribuzione delle risorse finan-ziarie, le funzioni fondamentali della Provincia sono considerate, in viaprovvisoria, funzioni fondamentali della Città metropolitana, con effi-cacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi. Il VI c. siconclude con l’identificazione delle funzioni fondamentali della Cittàmetropolitana: dunque, un’anticipazione sui contenuti che sarannoespressi dalla legge cui rinvia il I c. Esse sono così elencate: 1) lapianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; 2) lastrutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; 3) lapromozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.Anche in questo caso sembra trattarsi del “nucleo duro” delle funzionifondamentali di tali enti, che i decreti legislativi non potranno impove-rire senza esporsi alla dichiarazione di incostituzionalità per violazionedell’art. 76 Cost. Tuttavia, esse potranno essere ridisegnate dalla legge diattuazione dell’art. 117, II c., lett. p), Cost.

In forza dell’art. 23, VIII c., la Provincia di riferimento cesserà diesistere a decorrere dalla data di insediamento degli organi della Cittàmetropolitana, la cui individuazione spetta alla legge che identificherà lefunzioni fondamentali degli enti locali. Questa stessa, secondo il IX c.,detterà anche la disciplina relativa all’adozione dello statuto definitivodella Città metropolitana da parte degli organi della stessa, nel terminedi sei mesi dal loro insediamento, come pure la disciplina per l’eserciziodell’iniziativa da parte dei Comuni della Provincia non inclusi nellaperimetrazione del nuovo ente, in modo da assicurare la scelta da partedi ciascuno di essi circa l’inclusione all’interno di quest’ultima ovvero inaltra Provincia, nel rispetto della continuità territoriale. Tuttavia, taliindicazioni sul contenuto della legge di attuazione dell’art. 117, II c.,lett. p) Cost. possono considerarsi solo politicamente e non anche giuri-dicamente vincolanti, provenendo esse da una fonte dello stesso grado diquella cui si indirizzano.

il Consiglioprovvisoriodella Città

metropolitana

le funzionifondamentali

della Cittàmetropolitana

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L’art. 15 statuisce i princìpi e criteri direttivi relativi al finanziamentodelle Città metropolitane, cui il Governo dovrà destinare un apposito de-creto legislativo, mediante il quale ad esse sarà riconosciuta l’autonomiaimpositiva corrispondente alle funzioni esercitate dagli altri enti territo-riali, ma sarà anche possibile l’attribuzione di specifici tributi, in modo dagarantire una più ampia autonomia di entrata e di spesa, « in misura cor-rispondente alla complessità delle funzioni ». In particolare, il decretoassegnerà alle Città metropolitane tributi ed entrate propri, anche diversida quelli assegnati ai Comuni, e disciplinerà la facoltà delle stesse di ap-plicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili al-l’esercizio delle loro funzioni fondamentali, per come individuate dallalegge statale ex art. 117, II c., lett. p).

10. L’ordinamento di Roma capitale. — L’art 24, I c., l. n. 42, siautoqualifica come disposizione volta a dettare norme transitorie sul-l’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale. Quest’ultima vienedefinita come ente territoriale, i cui confini corrispondono a quelli diRoma, dotato di speciale autonomia statutaria, amministrativa e finan-ziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione: così l’art. 24, II c., secondocui l’ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il migliorassetto delle funzioni che essa è chiamata a svolgere quale sede degliorgani costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degliStati esteri presso la Repubblica italiana, presso lo Stato Città delVaticano e presso le istituzioni internazionali.

L’art. 114, III c., Cost. rinvia alla legge dello Stato per la concretadefinizione dei contenuti e dei limiti della speciale autonomia di Romacapitale: ma questi ultimi sono individuati solo in parte dall’art. 24.Esso, infatti, rimette ad un futuro « specifico decreto legislativo adottatoai sensi dell’art. 2, sentiti la Regione Lazio, la Provincia di Roma e ilComune di Roma », la disciplina dell’ordinamento provvisorio, anchefinanziario, di Roma capitale (V c.).

I connotati della “specialità” di Roma capitale individuati dall’art.24 riguardano: a) le funzioni amministrative attribuibili a tale ente inaggiunta a quelle attualmente spettanti al Comune di Roma; b) l’indi-viduazione di un nuova tipologia di regolamenti a competenza riservata,in quanto volti espressamente a disciplinare solo l’esercizio di talifunzioni: essi, in forza del IV c., sono adottati dal Consiglio comunale —che assume il nome di Assemblea capitolina — nel rispetto della Costi-tuzione, della legislazione statale e di quella regionale, dell’art. 117, VIc., Cost. (precisazione superflua, in quanto il limite è implicito in quelloenunciato per primo), nonché in conformità a un non meglio chiarito

il finanzia-mento delleCittàmetropolitane

la speciale au-tonomia diRoma capitale

l’Assembleacapitolina

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« principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni ». L’Assem-blea capitolina procede inoltre all’approvazione dello statuto di Romacapitale « con particolare riguardo al decentramento comunale », entrosei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo recantel’ordinamento transitorio dell’ente.

Tra le funzioni amministrative “speciali”, individuate al III c. (masuscettibili di ulteriore specificazione da parte del decreto legislativo dicui al V c.: v. infra), rientrano il concorso alla valorizzazione dei beniartistici, storici, ambientali e fluviali previo accordo con il Ministero peri beni e le attività culturali, l’edilizia pubblica e privata e la protezionecivile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e laRegione Lazio.

Tali funzioni amministrative saranno ulteriormente dettagliate daldecreto legislativo già menzionato. Esso dovrà, inoltre, contenere: ladefinizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale dellerisorse umane e materiali; l’assegnazione all’ente di ulteriori risorse,rispetto a quelle “ordinarie”, tenendo conto delle specifiche esigenzederivanti dal ruolo di capitale della Repubblica; l’assicurazione deiraccordi istituzionali, del coordinamento e della collaborazione con loStato, la Regione Lazio e la Provincia di Roma; i princìpi generali perl’attribuzione alla città di Roma di un proprio patrimonio, commisuratoalle funzioni e competenze ad essa attribuite; il trasferimento, a titologratuito, dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più fun-zionali alle esigenze dell’amministrazione centrale; lo status dei compo-nenti dell’Assemblea capitolina. Non è il caso di sottolineare comequest’ultimo punto — in contrasto con il fondamento costituzionaledell’autonomia di tutti gli enti locali sancita all’art. 114, II c., Cost. —consenta in pratica all’esecutivo di volta in volta in carica di “entrare”nell’organizzazione interna dell’organo deliberativo della Capitale, cui èstata sottratta la naturale possibilità di provvedere a definire, medianteil proprio regolamento interno, uno dei profili più tipicamente afferentiall’autorganizzazione dei Consigli degli enti locali. Tuttavia, conside-rando l’impossibilità di adire il giudice delle leggi da parte degli entidiversi dalle Regioni, sarà difficile che tale norma possa essere sottopo-sta allo scrutinio di costituzionalità, se non in occasione della proposi-zione di una questione in via incidentale, sempre che si concretizzi ilrequisito della rilevanza.

La disposizione dell’art. 24 e quelle contenute nel decreto legislativoadottato ai sensi del V c. possono essere modificate, derogate o abrogatesolo espressamente (VIII c.).

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11. La lotta all’evasione fiscale. — Molta risonanza ha avuto, neldibattito massmediatico sulla riforma, il coinvolgimento degli enti localinella lotta all’evasione. In realtà, non si tratta di una novità assoluta,poiché in tal senso già disponevano alcune norme del d.lgs. n. 56/2000 edel d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla l. n. 248 dello stesso anno.

Anche suquesto fronte il ruolo checoncretamentegiocherannogli entilocali è rimesso ai decreti: l’art. 26, l. n. 42 impone al Governo la previsionedi adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cuidispongono le Regioni, gli enti locali e lo Stato, per le attività di contrastodell’evasione, nonché di diretta collaborazione volta a fornire elementiutili ai fini dell’accertamento dei tributi rispetto ai quali si sia verificatal’evasione. Si tratta, come si vede, di un ruolo non certo di primo piano,né poteva essere altrimenti, considerando che l’architrave del sistema difinanza locale non è costituito da tributi locali in senso proprio, ma datributi “derivati” e compartecipazioni. Tale disposizione va collegata allaprecedente, secondo cui nell’attuazione della delega dovranno essere pre-viste forme di collaborazione delle Regioni e degli enti locali con il Mi-nistero dell’economia e delle finanze e con l’agenzia delle entrate, al finedi utilizzare le direzioni regionali delle entrate per la gestione organica deitributi erariali, regionali e degli enti locali. Si noti come non si menzioniquello che potrebbe essere un punto di forza nella lotta all’evasione, cioèla collaborazione diretta con la Guardia di Finanza, che pure sarebbe pos-sibile, ovviamente nei limiti fissati da leggi statali.

Inoltre, sempre secondo l’art. 25, i decreti dovranno disciplinareun’apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, lesingole Regioni e gli enti locali, volta a definire le modalità gestionali,operative e di ripartizione degli oneri relativamente alle attività direcupero dell’evasione. Essi, infine, dovranno disporre adeguate formepremiali per le Regioni che abbiano raggiunto risultati positivi intermini di maggior gettito derivante dall’azione di contrasto dell’eva-sione e dell’elusione fiscale. Ancora una volta, sulla definizione di tali“ricompense”, la legge non si pronuncia, lasciando al Governo la mas-sima discrezionalità.

12. Federalismo fiscale, Regioni speciali e Regioni “specializzate” exart. 116, III c., Cost. — In forza dell’art. 1, II c., alle Regioni speciali ealle Province autonome di Trento e Bolzano si applicano esclusivamentele disposizioni di cui agli art. 15 (relativo al finanziamento delle Cittàmetropolitane), 22 (relativo alla perequazione infrastrutturale) ed al-l’art. 27. Tale ultima disposizione afferma che (anche) questi enticoncorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solida-

la lotta all’eva-sione fiscale

federalismofiscale e Re-gioni speciali

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rietà nonché all’ossequio del patto di stabilità e all’assolvimento degliobblighi comunitari, stabilendo inoltre che anche per essi dovrà avviarsiil processo di superamento del criterio della spesa storica. Il passaggio,tuttavia, avverrà secondo criteri posti dalle norme di attuazione deglistatuti speciali, entro il termine di ventiquattro mesi stabilito perl’emanazione dei decreti legislativi.

Come si vede, si è optato per una soluzione che — peraltro, inmancanza dell’auspicato adeguamento degli statuti speciali di cui di-scorre l’art. 10, l. cost. n. 3 del 2001 — concilia l’esigenza di attrarreanche questi territori nel raggio di applicazione della riforma, senza peròinnescare le prevedibili reazioni degli stessi a fronte della possibileperdita immediata dei profili di “specialità” di cui essi godono sotto ilprofilo finanziario. Le norme di attuazione, in particolare, discipline-ranno le modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimentodegli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per leRegioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiorialla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno stan-dard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni.

Ai fini dettati dalla disposizione, la Commissione tecnica pariteticaistituita dall’art. 4 della legge svolge attività ricognitiva delle disposi-zioni vigenti concernenti l’ordinamento finanziario delle Regioni e delleProvince autonome: in tale funzione, essa è integrata da un rappresen-tante tecnico del singolo ente interessato. Il VII c. della disposizioneistituisce presso la Conferenza permanente un tavolo di confronto tra ilGoverno e ciascun ente, la cui organizzazione è assicurata con decretodel Presidente del Consiglio da adottare entro trenta giorni dalla data dientrata in vigore della legge, costituito dai Ministri per i trasporti con leRegioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione norma-tiva, dell’economia e delle finanze e per le politiche europee, nonché daiPresidenti delle Regioni speciali e delle Province autonome.

Infine, secondo la norma intitolata all’attuazione dell’art. 116, IIIc., Cost. (art. 14) la legge che attribuisce forme e condizioni particolaridi autonomia alle Regioni di diritto comune provvede altresì all’asse-gnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all’art. 119Cost. e ai princìpi della l. n. 42. In sostanza, si tratta di una disposizioneripetitiva di quella costituzionale, salvo che per quest’ultimo inciso:esso, evidentemente, mira ad escludere in partenza ogni possibile dubbiocirca l’impossibilità di un regime diverso da quello “comune” per ilfinanziamento dell’assetto peculiare in cui si sostanzierà la “specializza-zione” delle Regioni ordinarie, laddove essa sia riconosciuta ai sensidella disposizione costituzionale ora richiamata.

federalismofiscale e Re-

gioni “specia-lizzate”

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Nel testo sono inoltre citati il Quaderno SVIMEZ 12/2007, Il disegno dilegge delega in materia di federalismo fiscale e le Regioni del Mezzogiorno, e ilQuaderno SVIMEZ 21/2008, Il federalismo fiscale. Schede tecniche e parole chiave,a cura di F. Pica, entrambi in www.svimez.it.

Il Rapporto Istat 2008 sulla povertà in Italia è consultabile all’indirizzowww.istat.it.

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