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R. Basile – Economia e Statistica Regionale 221 12 LA TEORIA NEOCLASSICA DELLA CRESCITA E LA CONVERGENZA ECONOMICA REGIONALE 12.1 Introduzione Perché alcune regioni sono più ricche ed altre più povere? Quali fattori possono aiutare a comprendere l’esistenza e la persistenza di ampi differenziali di sviluppo regionale anche all’interno di un paese come l’Italia e di un’area integrata come l’Unione Europea? Nel lungo periodo, il reddito delle regioni povere tende a convergere verso quelle delle regioni ricche? Questi temi, ed altri ad essi connessi, vengono affrontati all’interno di un ampio filone della letteratura, attraverso l’utilizzo di complessi modelli di equilibrio economico generale, noti come modelli di crescita economica. In questo capitolo presentiamo diverse versioni del modello neoclassico di crescita economica di lungo periodo, ponendo l’accento sugli aspetti specifici regionali. Questo modello è basato sull’ipotesi di concorrenza perfetta nei mercati dei beni e dei fattori, rendimenti di scala constanti e decrescenti nei singoli fattori. Nel capitolo successivo presenteremo, invece, i modelli di crescita endogena, che tendono a superare le ipotesi neoclassiche di concorrenza perfetta e rendimenti constanti di scala. Discutiamo, in primo luogo, alcuni fatti stilizzati sui differenziali di sviluppo delle regioni europee (paragrafo 12.2). Dopo una breve sintesi dei modelli di crescita (paragrafo 12.3), presentiamo il modello neoclassico sviluppato da Robert Solow (1956) nell’ipotesi di un’economia chiusa agli scambi con le altre regioni, nelle sue due versioni con e senza progresso tecnico (paragrafi 12.4 e 12.5). Nel paragrafo 12.6 presentiamo il modello neoclassico di crescita sviluppato da Cass (1965) e Koopmans (1965) nell’ipotesi di risparmio endogeno, risultante da un processo di ottimizzazione intertemporale. Nel paragrafo 12.7 mostriamo un’estensione del modello di Solow, proposta da Mankiw, Romer e Weill (1992), che incorpora il capitale umano come fattore di produzione insieme al capitale fisico. Questo modello ha assunto un’importanza notevole nella letteratura empirica sulla crescita e la convergenza economica, perché fornisce una specificazione molto semplice della funzione di crescita.

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12 LA TEORIA NEOCLASSICA DELLA CRESCITA E LA CONVERGENZA ECONOMICA REGIONALE

12.1 Introduzione

Perché alcune regioni sono più ricche ed altre più povere? Quali fattori possono aiutare

a comprendere l’esistenza e la persistenza di ampi differenziali di sviluppo regionale anche

all’interno di un paese come l’Italia e di un’area integrata come l’Unione Europea? Nel

lungo periodo, il reddito delle regioni povere tende a convergere verso quelle delle regioni

ricche?

Questi temi, ed altri ad essi connessi, vengono affrontati all’interno di un ampio filone

della letteratura, attraverso l’utilizzo di complessi modelli di equilibrio economico generale,

noti come modelli di crescita economica. In questo capitolo presentiamo diverse versioni

del modello neoclassico di crescita economica di lungo periodo, ponendo l’accento sugli

aspetti specifici regionali. Questo modello è basato sull’ipotesi di concorrenza perfetta nei

mercati dei beni e dei fattori, rendimenti di scala constanti e decrescenti nei singoli fattori.

Nel capitolo successivo presenteremo, invece, i modelli di crescita endogena, che tendono

a superare le ipotesi neoclassiche di concorrenza perfetta e rendimenti constanti di scala.

Discutiamo, in primo luogo, alcuni fatti stilizzati sui differenziali di sviluppo delle

regioni europee (paragrafo 12.2). Dopo una breve sintesi dei modelli di crescita (paragrafo

12.3), presentiamo il modello neoclassico sviluppato da Robert Solow (1956) nell’ipotesi di

un’economia chiusa agli scambi con le altre regioni, nelle sue due versioni con e senza

progresso tecnico (paragrafi 12.4 e 12.5). Nel paragrafo 12.6 presentiamo il modello

neoclassico di crescita sviluppato da Cass (1965) e Koopmans (1965) nell’ipotesi di

risparmio endogeno, risultante da un processo di ottimizzazione intertemporale. Nel

paragrafo 12.7 mostriamo un’estensione del modello di Solow, proposta da Mankiw,

Romer e Weill (1992), che incorpora il capitale umano come fattore di produzione insieme

al capitale fisico. Questo modello ha assunto un’importanza notevole nella letteratura

empirica sulla crescita e la convergenza economica, perché fornisce una specificazione

molto semplice della funzione di crescita.

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L’ipotesi di assenza di scambi interregionali di fattori di produzione (lavoro e capitale) e

di conoscenza, alquanto irrealistica, viene successivamente rilassata nel paragrafo 12.8,

attraverso le versioni bi-regionali del modello neoclassico di crescita sviluppate da Borts

(1960), Borts e Stein (1964) e Borts e Stein (1968) e attraverso il modello di Rappaport

(1999). Infine, il ruolo degli spillover spaziali di conoscenza come motore della crescita

viene affrontato nel paragrafo 12.9 con la trattazione del modello di Ertur e Kock (2005).

12.2 Alcuni fatti stilizzati sui differenziali di sviluppo

regionale

Le regioni italiane ed europee sono caratterizzate da differenti livelli e tassi di crescita

del PIL pro capite e della produttività del lavoro. Secondo l’ISTAT, nel 2002 una tra le

regioni più ricche (la Lombardia) aveva un reddito pro capite pari a 23.223 euro (valutati a

prezzi del 1995), quella più povera (la Calabria) aveva un reddito pro capite pari a 11.532

euro (ovvero il 50% del reddito pro capite della Lombardia). Nel 1980 i differenziali di PIL

pro capite tra le due regioni erano già molto ampi (il reddito pro capite della Calabria, pari

a 7.257 euro, corrispondeva al 48% di quello della Lombardia, pari a 15.110 euro). Come si

può notare, in questo lungo periodo di tempo, non vi è stata alcuna convergenza nei livelli

di PIL pro capite tra le due regioni, anzi il divario di sviluppo è leggermente aumentato.

Considerando l’insieme delle regioni dell’Unione Europea a 15 paesi1, possiamo osservare

(figura 12.1) relativamente al periodo 1980-2002 un divario di sviluppo molto ampio e

persistente tra la regione più ricca (Bruxelles in Belgio) e quella più povera (Centro in

Portogallo). Il rapporto tra il PIL pro capite di Bruxelles e quello della regione portoghese

era pari ad appena il 17% nel 1980 ed al 18% nel 2002.

Anche i livelli di produttività del lavoro mostrano significative differenze regionali. In

Italia, nel 2002 il Trentino Alto Adige aveva un livello pari al 120% rispetto alla media delle

regioni europee, mentre la Puglia presentava il livello più basso pari all’88%, con un divario

che rimane sostanzialmente persistente nel tempo (la produttività del lavoro nella Puglia

era circa il 17% di quella del Trentino Alto Adige sia nel 1980 che nel 2002). Nel contesto

1 L’Unione Europea a 15 comprende la Germania, la Francia, il Regno Unito, l’Italia, l’Olanda, l’Irlanda, il Belgio, il Lussemburgo, la Danimarca, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, l’Austria, la Svezia e la Finlandia.

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europeo, le regioni con una più alto livello di produttività del lavoro nel 2002 sono quelle

dell’Europa centrale e quelle della penisola scandinava.

Figura 12.1 – Distribuzione quartilica dei livelli di PIL pro capite nel 2002 (46 regioni per quartile)

Figura 12.2 – Distribuzione quartilica dei tassi di crescita del PIL pro capite tra il 1980 e il 2002 (46 regioni per quartile)

Prendendo in considerazione il valore della produttività del lavoro rispetto alla media

europea, si può notare che, nel 2002, il numero delle regioni sopra il livello medio di

produttività (83) è inferiore al numero di regioni sotto la media (106) a fronte di un gruppo

di economie che, grazie alla loro maggiore produttività, pesano di più nella distribuzione

complessiva. Questo ulteriore indicatore di divario sembra mantenere un certo grado di

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persistenza e risulta leggermente aumentato se si considera la distribuzione del 1980 ( 87 e

102 regioni rispettivamente sopra e sotto la media europea).

In particolare, la regione belga del Lussemburgo presentava i valore più alto (163%),

mentre la regione Norte del Portogallo quello più basso (55%). Se consideriamo i livelli nel

1980 notiamo che il divario tra queste due regioni si è tuttavia ridotto. Infatti, nel 1980 la

produttività del lavoro nella regione portoghese rappresentava circa il 28% di quella belga,

mentre nel 2001 questa proporzione è aumentata al 33 per cento.

Figura 12.3 – Distribuzione quartilica dei livelli di produttività del lavoro nel 2002 (37 regioni per quartile)

Figura 12.4 – Distribuzione quartilica dei tassi di crescita della produttività del lavoro tra il 1980 e il 2002

(46 regioni per quartile)

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I livelli regionali di PIL pro capite e produttività del lavoro sono caratterizzati da

un’elevata auto-correlazione spaziale (Figura 12.5). La mappa degli indicatori di

autocorrelazione spaziale locale (LISA map) indicano che regioni con livelli elevati (bassi)

di PIL pro capite tendono ad essere circondati da altre regioni con livelli alti (bassi) di PIL

pro capite. Simili considerazioni valgono per la produttività del lavoro.

Figura 12.5 – LISA cluster map

PIL pro capite nel 2002

Produttività nel 2002

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 226

12.3 I modelli di crescita esogena ed endogena: una sintesi

E’ prassi comune classificare i modelli di crescita in due categorie:

- modelli di crescita esogena e

- modelli di crescita endogena.

Alla prima categoria appartengono tutti quei modelli in cui la fonte della crescita di

lungo periodo è esterna al sistema economico ed non è quindi spiegata; alla seconda

categoria appartengono, invece, quei modelli in cui il motore della crescita è endogeno al

sistema economico.

E’ tuttavia importante distinguere anche tra

- modelli in economia chiusa e

- modelli in economia aperta.

Nei primi si assume un sistema economico chiuso agli scambi di beni, di fattori e di

conoscenza. Quest’ipotesi, alquanto forte anche quando si affronta il problema della

crescita delle nazioni, appare totalmente irrealistica nel caso delle economie regionali, che

per loro natura sono estremamente aperte agli scambi con le altre regioni, soprattutto con

quelle più prossime ad esse. Nel trattare il problema della crescita regionale assumono

quindi un’importanza fondamentale i modelli della seconda categoria, in cui si rilassa

l’ipotesi d’autarchia e si analizzano gli effetti sulla crescita e sulla convergenza dei

movimenti dei fattori e della conoscenza.

Il modello neoclassico sviluppato da Solow (1956), Cass (1965) e Koopmans (1965)

rappresenta il primo esempio di teoria della crescita esogena nell’ipotesi di un’economia

chiusa agli scambi con le altre regioni. In questo modello le determinanti della crescita

economica persistente sono rappresentate dalla dinamica demografica e dal progresso

tecnico. Ambedue le fonti di crescita sono considerate esogene, cioè il modello non spiega

né la crescita della popolazione, né lo sviluppo della tecnologia. Non vi è quindi spazio per

l’intervento dell’operatore pubblico al fine di sostenere il processo di crescita di

un’economia. Anzi, un intervento pubblico realizzato attraverso l’introduzione o l’aumento

della spesa pubblica provoca una riduzione del benessere sociale. Il modello neoclassico,

inoltre, predice la convergenza nei livelli di reddito pro capite. Le regioni in ritardo di

sviluppo sono povere a causa della loro limitata disponibilità di capitale fisico in rapporto

alla dotazione di lavoro. Per convergere, esse devono risparmiare ed investire in modo da

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innalzare il rapporto capitale/lavoro verso i livelli delle regioni più ricche, ma questo

processo può richiedere anche molto tempo.

Il modello neoclassico è basato sull’ipotesi di concorrenza perfetta nei mercati dei beni

e dei fattori, rendimenti di scala constanti e decrescenti nei singoli fattori. I modelli di

crescita endogena tendono a superare le ipotesi neoclassiche di concorrenza perfetta e

rendimenti constanti di scala. Questi mettono in evidenza un meccanismo grazie al quale si

generano economie di scala nella produzione e si evita l’insorgere di rendimenti decrescenti

nei singoli fattori, consentendo tassi di crescita costanti di lungo periodo determinati

endogeneamente. In particolare, grazie all’esistenza di esternalità nel processo produttivo,

si garantisce uno sviluppo economico sostenuto. Le esternalità possono avere diverse

origini:

1) l’investimento cumulato in capitale fisico ed il conseguente aumento di capacità

tecnologiche cumulate nel tempo (Romer, 1986);

2) i beni ed i servizi pubblici produttivi (ad esempio, le infrastrutture) che entrano come

input nella funzione di produzione delle imprese private (Barro, 1990);

3) le infrastrutture dedicate allo sviluppo del sistema finanziario e volte al

miglioramento dell’efficienza allocativa dei fattori di produzione ed allo stimolo del

risparmio attraverso una maggiore accumulazione del capitale (King e Levine, 1993 e

Levine 2004).

4) l’investimento in capitale umano, che migliora la produttività fisica del lavoro. E’

importante a tale proposito riconoscere che l’accumulazione di capitale umano può

avvenire sia attraverso l’istruzione scolastica (Lucas, 1988), sia tramite l’esperienza sul

lavoro (Mauro e Carmeci, 2004). E’ quindi evidente, come mostra il caso delle

regioni europee in generale ed italiane in particolare, che tanto più elevato è il tasso di

disoccupazione (quindi minore è l’esperienza lavorativa) tanto più basso il tasso di

crescita;

5) l’investimento in ricerca e sviluppo (R&S) volto a favorire l’innovazione tecnologica

ed a migliorare la produttività fisica di tutti i fattori (Romer, 1990; Helpman e

Grossman, 1991).

La presenza di forti esternalità rende a sua volta il tasso di crescita competitivo inferiore

a quello socialmente ottimo. Al contrario del modello di Solow, nei modelli di crescita

endogena esiste quindi ampio spazio per un intervento delle autorità pubbliche finalizzato

al sostegno della crescita economica attraverso stimoli al settore privato (nella forma, ad

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esempio, di sussidi che riducano il costo unitario del capitale o di sussidi all’investimento in

formazione o alla R&S) affinché questo sia spinto ad investire in misura maggiore di

quanto non sarebbe intenzionato a fare in condizioni di concorrenza perfetta.

E’ importante inoltre riconoscere che le esternalità legate al processo di accumulazione

fattoriale non agiscono uniformemente nel tempo e nello spazio. I loro effetti possono,

infatti, essere caratterizzati dalla presenza di soglie, per cui le esternalità giocano un ruolo

importante per la crescita nei limiti di certi valori critici, mentre non hanno nessuna

rilevanza al di fuori di tali limiti (Azariadis e Drezen, 1990). Si generano quindi non

linearità nel comportamento di crescita, che possono dar luogo ad equilibri multipli.

Per l’analisi della crescita regionale è comunque necessario, come già accennato,

superare l’ipotesi di economia chiusa ed identificare i meccanismi attraverso cui i

movimenti dei fattori e la diffusione della conoscenza, insieme all’accumulazione interna

dei fattori (realizzata attraverso l’investimento privato, la spesa pubblica produttiva,

l’istruzione e la lotta alla disoccupazione) e della conoscenza (attraverso l’attività di R&S e

la tutela dei diritti di proprietà), possono guidare le regioni più povere a crescere più

rapidamente ed a convergere verso i livelli di reddito pro capite delle regioni più ricche.

L’ipotesi di assenza di scambi interregionali di fattori di produzione (lavoro e capitale),

alquanto irrealistica, viene rilassata in primis attraverso le versioni bi-regionali del modello

neoclassico di crescita sviluppate da Borts (1960) e Borts e Stein (1964). Questi modelli

suggeriscono che i movimenti dei fattori accelerano il processo di convergenza regionale.

Se i fattori sono perfettamente mobili, la convergenza può, infatti, essere raggiunta molto

più velocemente, anzi istantaneamente. Così, ad esempio, se il lavoro emigra dalle regioni

povere (a bassa dotazione di capitale) verso quelle ricche (ad alta dotazione di capitale) fino

all’equalizzazione dei salari reali, le economie regionali raggiungeranno velocemente il loro

livello di equilibrio di stato stazionario con livelli uguali di reddito e uguali rapporti

capitale/lavoro.

Modelli più recenti considerano l’esistenza di frizioni ed ostacoli al movimento dei

fattori (sotto forma di costi di installazione degli impianti per le imprese e di costi di

emigrazione per i lavoratori) tali da rendere il processo di convergenza non istantaneo

(Rappaport, 1999). Ad ogni modo, accurate evidenze empiriche e modelli di simulazione

hanno dimostrato che la velocità di convergenza dipende principalmente dalla mobilità del

capitale, mentre è relativamente poco sensibile al grado di mobilità del lavoro.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 229

A tale proposito, è importante osservare che il tentativo di sussidiare gli investimenti

delle imprese private come suggerito dai modelli di crescita endogena in economia chiusa,

attraverso programmi di intervento concertati con le autorità locali, può essere vanificato

in tutti quei casi in cui manca un substrato imprenditoriale (un distretto industriale o

comunque un cluster di imprese attive) disposto ad investire. L’assenza di un numero

sufficiente di investitori locali tali da innalzare le sorti di crescita di una piccola economia

regionale fa emergere l’opportunità di indirizzare i sussidi a favore non tanto di imprese

autoctone, ma di imprese esterne, preferibilmente di imprese straniere, disposte (in

presenza di una riduzione del costo unitario del capitale) ad investire all’interno dell’area.

I modelli di crescita e innovazione in economia aperta hanno dimostrato che anche la

diffusione del progresso tecnico può rappresentare un mezzo attraverso cui le regioni

meno innovative e meno sviluppate (follower) possono convergere verso i livelli di sviluppo

delle regioni più innovative (leader) (Grossman e Helpman, 1991). In particolare, se la

velocità di diffusione dell’innovazione e della conoscenza tecnologica è sufficientemente

elevata, allora il minor costo sostenuto dalle regioni follower per implementare i processi o i

prodotti innovativi generati dalle regioni leader consente loro di recuperare il gap in termini

di crescita favorendo un processo generale di convergenza. Tuttavia, se la diffusione della

conoscenza è limitata da fattori strutturali e geografici, allora la propensione innovativa

delle aree leader tende a far aumentare le disparità regionali, generando un complessivo

fenomeno di divergenza tra regioni.

Un’osservazione importante in merito alla relazione tra innovazione tecnologica e

crescita economica emerge allorché si studia il problema specifico dello sviluppo regionale.

Mentre la lotta alla disoccupazione, gli investimenti in istruzione e l’offerta di beni e servizi

pubblici produttivi dovrebbero essere spazialmente distribuiti in misura adeguata alle

esigenze di tutte le economie regionali sia del Centro che della Periferia, non è d’altro canto

pensabile che ciascuna piccola economia regionale individui il proprio motore della crescita

nella creazione locale di innovazioni orizzontali e/o verticali. Questa tesi può essere

corroborata dalle indicazioni fornite dalla recente letteratura teorica su crescita e

agglomerazione, secondo cui la concentrazione spaziale dei settori più innovativi favorisce

la crescita economica dell’intero sistema economico (Fujita e Thisse, 2002).

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 230

12.4 Il modello di Solow senza progresso tecnico

Solow (1956) considera un’economia chiusa (cioè un’economia che non effettua scambi

di beni, fattori di produzione e conoscenza) che, attraverso l’utilizzo di capitale e lavoro,

produce una quantità t

Y di un solo bene omogeneo (il pedice t indica il tempo). Questa

quantità prodotta rappresenta il PIL (e quindi il reddito) complessivo dell’economia e può

essere consumata o investita al fine di creare nuove unità di capitale (t t t

Y C I= + , dove t

C

indica il consumo e t

I l’investimento). Il modello di Solow è costruito attorno a due

equazioni: una funzione di produzione ed un’equazione di accumulazione del capitale.

LA TECNOLOGIA DI PRODUZIONE

La funzione di produzione descrive la combinazione di capitale (t

K ) e lavoro (t

L )

necessaria a produrre t

Y :

( ),t t tY F K L= (12.1)

Questa funzione è caratterizzata da rendimenti costanti di scala: se viene raddoppiata la

quantità di t

K ed t

L , raddoppia anche t

Y :

( ),t t tY F K Lλ λ λ= per qualsiasi valore di λ>0.

La produttività marginale del capitale e del lavoro è positiva e decrescente

0F

K

∂>

∂;

2

20

F

K

∂≤

∂; 0

F

L

∂>

∂;

2

20

F

L

∂≤

Si ipotizza inoltre che

- il prodotto marginale di Kt (Lt) tende ad infinito quando Kt (Lt) tende a zero

∞==→→

L0L

K0K

FlimFlim

- il prodotto marginale di Kt (Lt) tende a zero quando Kt (Lt) tende a infinito

0FlimFlim LL

KK

==∞→∞→

Questa condizioni (dette condizioni di Inada) implicano che ciascun fattore è essenziale

alla produzione del bene t

Y , ovvero che F(0,L)=F(K,0)=0.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 231

Siamo interessati a spiegare i differenziali di reddito pro capite. Data l’ipotesi di

rendimenti costanti di scala, possiamo scrivere la funzione di produzione in forma

intensiva:

( , ) ( / ,1)( )t t t t t t

t t

t t t

Y F K L L F K Ly f k

L L L= = = =

dove f(kt) è la funzione di produzione espressa in termini di capitale per unità di lavoro

(kt = Kt/Lt). Questa funzione è concava, cioè f’(kt)>0 e f’’(kt)<0 (Figura 12.6).

Figura 12.6 – La funzione di produzione

Con più capitale per unità di lavoro, le imprese producono più unità di prodotto per

unità di lavoro, ma ci sono rendimenti di scala decrescenti. Le condizioni di Inada possono

allora essere scritte nel modo seguente:

0lim ( )

t

tk

f k→

= ∞ lim ( ) 0t

tk

f k→∞

=

12.4.1 La funzione di accumulazione del capitale: l’equazione dinamica fondamentale del modello di crescita neoclassico

La seconda equazione chiave del modello di Solow è la funzione di accumulazione del

capitale:

( )t t t tK I K sF K= − δ = ⋅ − δ (12.2)

L’accumulazione del fattore capitale è determinata endogenamente e dipende dalle decisioni di consumo e risparmio delle

famiglie. In tale ottica, lo stock di capitale K comprende il capitale fisico, quello umano e la parte del progresso tecnologico

accumulabile. In assenza di rapporti con l’estero e considerato il fatto che nel modello non esiste un mercato finanziario dove

si possano accumulare attività, tutto ciò che viene risparmiato sarà poi investito in capitale.

f(k)

k

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 232

Questa equazione ci dice che in ciascun periodo, la crescita netta dello stock di capitale

fisico, t

dKK

dt= , uguaglia l’investimento lordo consentito dall’ammontare totale dei

risparmi, ( )⋅sF , al netto del deprezzamento che avviene durante il processo produttivo,

tKδ 2. Il termine s [ ]0,1∈ indica il tasso di risparmio, ovvero la frazione di reddito

risparmiata, fissata esogeneamente ed ipotizzata costante nel tempo. Anche il tasso di

deprezzamento del capitale [ ]0,1δ ∈ è constante e positivo: in ciascun periodo una

frazione costante dello stock di capitale si perde e non può più essere utilizzata nel

processo di produzione.

Per studiare l’evoluzione del reddito pro capite (yt = Yt/Lt) di questa economia,

riscriviamo l’equazione di accumulazione del capitale in termini pro capite (kt = Kt/Lt).

Calcolando i logaritmi, si ha: log kt = log Kt – log Lt. Considerando che la popolazione cresce

in ciascun periodo ad un tasso esogeno e costante pari ad n

Lt = L0ent t

t

Ln

L=

(12.3)

e derivando rispetto al tempo, avremo

t t t t

t t t t

k K L Kn

k K L K= − = −

,

ovvero

t t t tt t t t t

t t t

K K I Kk k k n k n k n

K L L

− δ= − = − = −

,

da cui si perviene all’equazione fondamentale del modello di Solow:

( ) ( )t t tk sf k n k= − + δ , (12.4)

dove ( )tsf k è l’investimento per unità di lavoro consentito dall’ammontare

complessivo dei risparmi; tkδ è l’investimento necessario a mantenere k t al suo livello

esistente dato il deprezzamento e tnk è l’investimento necessario a mantenere k t al suo

2 Osserviamo che l’ equilibrio tra domanda e offerta è definito da Y t =I t +C t =I t +cY t (c = frazione di

reddito consumata) e quindi che l’equilibrio tra risparmi e investimenti è dato da I t =sY t =sF(K t ,L t ) (s = 1 -

c).

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 233

livello esistente data la crescita della popolazione al tasso n3. Il termine )( δ+n viene

denominato tasso effettivo di deprezzamente del rapporto K t /L t . Se il tasso di risparmio

(e quindi il flusso di investimenti) fosse uguale a zero, il rapporto K t /L t si ridurrebbe in

parte per il deprezzamento ed in parte per la crescita della popolazione. La differenza tra il

risparmio e l’investimento necessario a mantenere k t costante è quindi tutta rivolta ad

incrementare il capitale pro capite. Se ( )( )t tsf k n k> + δ , si verifica un’accumulazione di

capitale; se, viceversa, ( )( )t tsf k n k< + δ , si verifica un decumulo di capitale (Figura 12.7).

12.4.2 La crescita bilanciata e l’equilibrio di stato stazionario

Per studiare la dinamica dell’economia dobbiamo definire il concetto di “crescita

bilanciata”. La crescita bilanciata rappresenta una collezione di sentieri temporali delle

variabili misurate in termini pro capite ( ty e tk ), tali che, data la condizione iniziale sul

rapporto capitale lavoro ( )0 0k > e sul rapporto output-lavoro ( )0 0y > , 0t

t

k

k=

e

3 In ciascun periodo, ci sono nL nuovi lavoratori. Se non ci fossero nuovi investimenti, il capitale per unità di lavoro ovviamente si ridurrebbe.

(n+δ )k

sf(k)

f(k)

k

Figura 12.7 L’equilibro economico

k*

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0t

t

y

y=

. Pertanto un’economia è in equilibrio di crescita bilanciata (o in equilibrio di stato

stazionario) quando reddito, capitale e lavoro crescono ad un tasso costante. Ciò implica

quindi che in equilibrio di stato stazionario: ( )* *( )t t

sf k k n= + δ , dove *k indica il livello

di k t corrispondente all’intersezione tra la curva ( )tsf k e la retta ( )tk n + δ .

Nello stato stazionario il rapporto K t /L t rimane costante nel tempo. Questo implica

che tutte le variabili espresse in termini pro capite rimangono costanti e che tutte le

variabili espresse in livello (K t , Y t e C t ) crescono al tasso di crescita della popolazione (in

assenza di progresso tecnico, la fonte della crescita nel modello di Solow è il tasso di

crescita della popolazione, n, determinato esogeneamente). Quando *

t tk k= , si ha

t

t

Ln

L=

,

t

t

Kn

K=

, t

t

Yn

Y=

, 0t

t

k

k=

e 0t

t

y

y=

.

Questo risultato non è tuttavia compatibile con l’evidenza empirica di una crescita di Yt

e Kt più veloce di L

t, ovvero di una crescita nel tempo del rapporto Y

t/L

t. Su questo

punto torneremo in seguito.

L’equazione 12.4 ci permette di compiere alcuni esercizi di statica comparata in quanto

ci consente di affermare che lo stock di capitale pro capite (e tutte le variabili che da questo

dipendono: yt, c

t) di stato stazionario è tanto maggiore quanto maggiore è la propensione

marginale al risparmio e l’efficienza con cui la combinazione dei fattori è trasformata in

produzione, mentre è influenzato negativamente dal tasso di deprezzamento effettivo, cioè

dalla somma del tasso di deprezzamento del capitale e del tasso di crescita della

popolazione. Queste situazioni vengono descritte dalle figure 12.8a e 12.8b.

Si ipotizzi che l’economia si trovi in una situazione di stato stazionario con una

propensione marginale al risparmio s. Se la propensione al risparmio del sistema aumenta4

da s a s’ il risparmio pro capite eccede il tasso di deprezzamento effettivo del capitale. Il

rapporto capitale/lavoro aumenta e l’economia si sposta verso un livello di stock di stato

4 Ciò potrebbe accadere, sia per un cambiamento del comportamento delle famiglie, sia per un intervento delle autorità di politica economica teso a far aumentare il risparmio tramite, per esempio, degli incentivi fiscali per incentivare il risparmio del settore privato, ovvero aumentando il risparmio del settore pubblico

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 235

stazionario più elevato. Graficamente abbiamo nella fig. 12.8a uno spostamento dal punto

di equilibrio A al nuovo equilibrio B con un aumento dello stock di capitale da ∗0k a ∗

1k .

Nel corso del processo di transizione il tasso di crescita delle variabili diventa positivo,

ma ritorna ad essere uguale a zero nel nuovo punto di equilibrio. Come effetto

complessivo, quindi, l’aumento della propensione marginale al risparmio porta ad un

aumento dello stock di capitale pro capite di stato stazionario, ma non influisce sul tasso di

crescita dell’economia nel lungo periodo che, infatti, continua ad essere uguale a zero.

Un aumento del tasso di crescita della popolazione n conduce, invece, a risultati diversi.

In primo luogo, tale aumento porta ad un aumento del tasso di crescita di lungo periodo di

tutte le variabili in termini assoluti (e non pro capite) in quanto queste grandezze crescono

seguendo il tasso esogeno n. In secondo luogo, tale aumento conduce anche ad un

incremento del tasso di deprezzamento effettivo del capitale (n+δ), che a parità di altre

condizioni riduce lo stock di capitale fisico. Tale situazione è illustrata chiaramente dalla

fig. 12.8b, dove l’aumento della popolazione fa crescere la pendenza della curva di

deprezzamento effettivo. Se aumenta il deprezzamento, ma non aumenta il risparmio degli

operatori l’unico modo per mantenere l’equilibrio è ridurre lo stock di capitale. L’economia

si sposta da C al nuovo equilibrio, corrispondente a livelli più bassi di capitale pro capite,

D. Tuttavia anche in questo caso il tasso di crescita delle variabili espresso i termini pro

capite è costante e uguale a zero.

A

B

(n+ δ)k

sf(k)

s’f(k)

∗1k∗

0k

C D

∗1k

∗0k

(n’+ δ)

k (n+ δ)k

Fig. 12.8a Aumento della propensione al risparmio Fig. 12.8b Aumento del tassi di crescita della popolazione

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 236

12.4.3 La dinamica di transizione: come fa un’economia a convergere verso l’equilibrio di stato stazionario?

Analizziamo adesso la dinamica di transizione. Dividiamo il lato destro e sinistro della

12.4 per t

k e otteniamo

( )( )t t

k

t t

k sf kn

k kγ = = − + δ

(12.5)

Mentre )( δ+n è indipendente da t

k , la funzione ( ) /t tsf k k è decresce all’aumentare

di kt, data l’ipotesi di rendimenti decrescenti in k

t nella funzione f(k

t). Quando ( ) /t tsf k k

è maggiore di )( δ+n , il tasso di crescita di kt è positivo. Quando ( ) /t tsf k k è minore di

)( δ+n , il tasso di crescita di kt è negativo. Nel punto *

tk si ha ( )

*

*

( )t

t

sf kn

k= + δ ,

ovvero il fabbisogno di investimento è esattamente pari al risparmio e, dunque, si

raggiunge lo stato stazionario in cui il tasso di crescita del capitale pro capite è pari a 0.

Supponiamo che t

k sia minore di *

tk , ad esempio 0t

k nella Figura 12.9 (con riferimento

alla regione povera). A tale livello di t

k il risparmio eccede l’investimento e l’economia

accumula una quantità di capitale pari a 0 0( ) ( )t t tk sf k n k= − + δ ; ma il tasso di crescita del

capitale (e del prodotto) diminuisce man mano che il capitale si avvicina al livello di stato

tasso di crescita>0

sf(k)/k

k

Figura. 12.9 La dinamica di transizione

tasso di crescita<0

Rk )0(Pk )0(

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 237

stazionario ( *

tk ). L’economia tende asintoticamente e automaticamente verso tale

equilibrio. Questo risultato dipende dall’ipotesi di rendimenti decrescenti del capitale.

L’equazione (12.5) e la figura 12.9 implicano anche che, a parità di altre condizioni

(tasso di risparmio e tasso di crescita della popolazione), le regioni con un valore iniziale

del rapporto t t

K L più basso (le regioni povere) hanno tassi di crescita del reddito pro

capite più elevati rispetto alle regioni con un rapporto t t

K L iniziale più elevato (le regioni

ricche). Si determina quindi un processo di convergenza regionale verso un unico livello di

reddito pro capite di stato stazionario.

12.4.4 Stabilità dell’equilibrio

Si può dimostrare che *

tk rappresenta un equilibrio stabile. Se *

t tk k< , l’investimento

(t t t

I L sy= ) è maggiore di quello richiesto, ovvero il capitale cresce più velocemente di

n+δ, facendo crescere t

k . Quando *

t tk k= , lo stock di capitale

tK è grande abbastanza da

prendere tutto l’investimento generato dal risparmio t

sy , per mantenerlo crescente ad un

tasso pari a n+δ. Se *

t tk k> , l’investimento generato da

tsY non è sufficiente a mantenere

la crescita di t

K pari a quella di t

L , cosicché t

k si riduce verso *

tk .

12.4.5 Il sentiero di crescita del reddito pro capite: convergenza assoluta e condizionata

Analizziamo il comportamento del reddito pro capite y=Y/L lungo il sentiero di

transizione verso l’equilibrio di stato stazionario. Il tasso di crescita del reddito pro capite è

'' ( )( )

( ) ( )t t t

y t t k

t t t

y k f kf k k

y f k f k

γ = = = γ

(12.6)

L’espressione in parentesi quadre nella parte destra dell’equazione (12.6) è la quota di

capitale, Sh(k), cioè la quota di reddito pro capite destinata a remunerare il capitale.

L’equazione (12.6) mostra che la relazione tra yγ e kγ dipende dalla quota di capitale

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 238

( ( )1 0Sh k< < ). Secondo il modello di Solow, quindi, regioni con valori più piccoli di k

hanno tassi di crescita, yγ , più elevati. Consideriamo, ad esempio, un gruppo di regioni

chiuse agli scambi di beni e servizi e con caratteristiche strutturali simili, cioè con valori dei

parametri s, n e δ e con la stessa funzione di produzione. Queste regioni hanno pertanto lo

stesso livello di *

tk e *

ty . Immaginiamo che la sola differenza tra queste regioni riguardi il

livello iniziale di capitale pro capite, k(o). In base alle predizioni del modello di Solow, le

regioni meno ricche (con bassi livelli di k(0) e y(o)) avranno tassi di crescita di t

k e t

y

maggiori (Figura 12.9). L’ipotesi che le regioni povere tendano a crescere più velocemente

in termini pro capite delle regioni ricche, senza condizionamento ai valori dei parametri, è

chiamata ipotesi di convergenza assoluta. Se, invece, si tiene conto dell’eterogeneità

regionale nei valori dei parametri del modello (s, n e δ) e quindi dell’esistenza di differenti

valori di equilibrio di stato stazionario, il concetto di convergenza da considerare è quello

della convergenza condizionata. In realtà, il modello neoclassico non predice convergenza

assoluta, ma convergenza condizionata, ovvero predice che ciascuna economia converge

verso il suo proprio livello di stato stazionario e che la velocità di questa convergenza è

correlata inversamente alla distanza dallo stato stazionario: un valore più basso di reddito

pro capite tende a generare un tasso di crescita più elevato, una volta controllate le

determinanti dei livelli di stato stazionario (s, n e δ).

12.4.6 Il sentiero di regola d’oro

Consideriamo infine il consumo pro capite lungo il sentiero di crescita equilibrata. Data

l’equazione = − = − − δt t t t t tC Y I Y K K , possiamo ricavare l’espressione per il consumo

pro capite:

( )t t t tc y k n k= − − + δ (12.7)

In equilibrio di stato stazionario, cioè quando = 0tk , avremo

( ) ( )= − + δt t tc f k n k (12.8)

Il luogo dei punti (k,c) che soddisfa la (12.8) è illustrato nella figura 12.10.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 239

Figura 12.10 – Il sentiero di regola d’oro

Si può notare che la funzione raffigurata è strettamente concava. Esiste quindi un unico

valore di k=kg che massimizza c globalmente. Questo valore determina il cosiddetto sentiero

di regola d’oro. Lungo tale sentiero la produttività marginale del capitale ( )'gf k è uguale al

tasso di crescita della popolazione più il tasso di deprezzamento del capitale n+δ. Si noti

che la regola d’oro vale solo in corrispondenza dell’equilibrio di stato stazionario, mentre

non c’è alcuna garanzia circa la soddisfazione della regola d’oro in corrispondenza della

condizione iniziale k0.

12.4.7 Il caso della funzione di produzione Cobb-Douglas

La funzione di produzione sin qui utilizzata ha una forma generica, ( ),t t tY F K L= . I

modelli di crescita generalmente specificano questa funzione attraverso la seguente

formulazione, detta Cobb-Douglas:

αα −= 1

ttt LKY 0<α<1 (12.9)

kt

ct

ct ( ) ( )t t t

c f k n k= − + δ

kg

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 240

In termini relativi (ovvero dividendo per L) possiamo scrivere

tt t

t

Yy k

L

α= =

dove tt

t

Yy

L= e t

t

t

Kk

L= . Pertanto, la crescita del reddito pro capite è proporzionale

alla crescita dello stock di capitale pro capite:

t t

t t

y k

y k= α

0)(' 1 >= −ααkkf

α−= α α − <2''( ) ( 1) 0f k k

L’espressione per la crescita della popolazione è quella standard

Lt = L0ent

La condizione di eguaglianza tra risparmio e investimento è espressa come

Yt = It + Ct = sYt + Ct.

L’accumulazione di capitale è descritta da

( )t t tk sk k nα= − + δ (12.10)

In stato stazionario 0tk = , pertanto

( )* *

t tsk k nα = + δ ,

ovvero

1

1*

t

sk

n

−α =

+ δ .

Sostituendo questo risultato nella funzione di produzione tt

t

Yk

L

α= , avremo

*1

*tt

t

Y sk

L n

α

−αα

= = + δ

.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 241

In termini logaritmici

*

log log( ) log( )1 1

t

t

Ys n

L

α α= − + δ

− α − α (12.11)

Possiamo notare che la variabile endogena *

ty è adesso scritta in termini dei parametri

del modello. Abbiamo quindi la soluzione di stato stazionario del modello. Questa

equazione rivela la risposta di Solow alla domanda “perché alcune regioni sono così ricche

e altre così povere?”

1. Le regioni con maggiore propensione al risparmio (investimento) avranno in

equilibrio livelli di reddito pro capite permanentemente maggiori rispetto a regioni

con propensioni al risparmio minori.

2. Le regioni che hanno elevati tassi di crescita della popolazione, invece, avranno in

equilibrio livelli di reddito pro capite permanentemente minori. Una frazione più

elevata di risparmi in queste economie deve essere destinata a mantenere invariato

il rapporto capitale/prodotto al crescere della popolazione.

12.4.8 L’equilibrio competitivo

L’economia è composta da famiglie consumatrici-risparmiatrici e imprese. Le prime

offrono inelasticamente sia lavoro che capitale e ricevono rispettivamente una

remunerazione pari a w (il saggio di salario) per i servizi del lavoro e pari a r (il tasso di

interesse) per i servizi del capitale. Le imprese organizzano la produzione assumendo

lavoratori e prendendo a prestito dalle famiglie il capitale.

Dati i rendimenti di scala costanti della funzione di produzione, la dimensione dei

produttori non influenza le condizioni di massimo per il profitto, così che si può assumere

l’esistenza di un’unica impresa che massimizza il profitto scegliendo la migliore

combinazione di capitale e lavoro t

k . L’impresa quindi massimizzerà il profitto, ossia

( )π = − − maxk

L f k w rK

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 242

Dalle condizioni di primo ordine otteniamo la curva di domanda di capitale

dell’impresa, ossia

( )∂π

= => =∂

'0 t

t

f k rk

La libera entrata nel mercato fa sì che in ogni periodo i profitti dell’impresa siano nulli,

da cui si determina il livello del salario:

( ) ( )= − '

t t tw f k k f k

Le imprese in questa economia quindi pagano a ciascuna unità di lavoro un salario

reale pari a w e remunerano ciascuna unità di capitale al tasso di interesse reale pari a r.

12.5 Il modello di Solow con progresso tecnico

Il modello di Solow discusso sin qui prevede che in stato stazionario il capitale ed il

reddito pro capite siano costanti. Questa versione del modello non prevede quindi

l’esistenza di un tasso di crescita positivo nel lungo periodo. Al fine di generare crescita

sostenuta del reddito pro capite, occorre modificare alcune ipotesi del modello base. In

particolare, bisogna introdurre l’ipotesi dell’esistenza di un progresso tecnologico esogeno

che ‘sostenga’ l’economia. Ciò significa aggiungere una variabile ‘tecnologia’, t

A , nella

funzione di produzione:

( ) ( )1

,t t t t t t

Y F K A L K AL−αα= = 0<α<1 (12.12)

Posizionata in questo modo all’interno della funzione di produzione, la variabile t

A è

chiamata tecnologia labour augmenting o Harrod Neutral, in quanto essa condiziona solo

l’efficienza del fattore lavoro. Il modello di crescita di Solow così modificato è chiamato

modello di crescita esogena, perché l’unico meccanismo endogeno al modello

(l’accumulazione del capitale) tende ad accompagnare piuttosto che a determinare il

processo di crescita economica, mentre il motore della crescita è rappresentato dal

progresso tecnologico, esogeno al modello. Il progresso tecnico rappresenta cioè una

manna dal cielo e non ci si chiede da cosa sia condizionato. L’unica ipotesi che si fa circa il

progresso tecnico è che esso si realizzi in misura costante nel tempo, al tasso dato =t

t

Ag

A,

ovvero 0

gt

tA A e= . Ovviamente questa ipotesi è irrealistica e ciò spiega in parte l’emergere

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 243

di quel filone di letteratura noto come “Teoria della crescita edndogena” (cfr. capitolo 13), che

tenta di rendere il progresso tecnologico endogeno al processo di crescita economica.

Le altre ipotesi del modello di Solow con progresso tecnico sono identiche a quelle del

modello senza progresso tecnico. In particolare, la popolazione cresce al tasso esogeno n

(ovvero 0

gt

tL L e= ), il risparmio e l’investimento sono sempre in equilibrio (

t t tY C I= + ),

l’investimento è funzione del reddito (t t

I sY= ) e l’accumulazione di capitale dipende da

investimenti ed ammortamenti t t

t t

K Ys

K K

= − δ

.

Possiamo analizzare il modello di Solow con progresso tecnico misurando le variabili

fondamentali in unità di lavoro espresse in termini di unità di efficienza:

≡ /t t t tk K A L /t t t ty Y A L≡

Si noti che tt t

t t

Yy k

A L

α= = . In termini logaritmici

= − +log log (log log )t t t tk K A L

Derivando rispetto al tempo

logt t t t t

t t tt

k k K A L

t K A Lk

∂= = − +

Combinando questa equazione con quella dell’accumulazione del capitale, avremo

( )t t t t tt t t t

t t t t t

K A L I Kk k k k g n

K A L A L

− δ= − + = − +

,

ovvero

( )( )

( )1( )

( )t t tt t t t t

t t t

sY sK ALk k g n sy k g n k g n

A L AL

α −α

= − + + δ = − + + δ = − + + δ ,

Quindi

( )t t tk sk k g nα= − + + δ , (12.13).

In stato stazionario tutte le variabili aggregate crescono allo stesso tasso il quale è dato

dalla somma del tasso di crescita della popolazione e del tasso di progresso tecnico:

= = = +

t t t

t t t

K C Yn g

K C Y. Le variabili espresse in termini di unità di lavoro cresceranno quindi

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 244

al tasso g: = = = t t t

t t t

k c yg

k c y. Infine, le variabili espresse in termini di unità di lavoro di

efficienza cresceranno al tasso pari a zero: = = =

0t t t

t t t

k c y

k c y. La condizione di equilibrio

del modello sarà quindi espressa dalla seguente espressione:

( )* *

t tsk k g nα = + + δ 5,

ovvero

1

1*

t

sk

g n

−α =

+ + δ

.

Sostituendo questa equazione nella funzione di produzione avremo

1* *

t t

sy k

g n

α

−αα

= = + + δ

.

Per comprendere cosa accade al prodotto pro capite possiamo scrivere

( )

αα

−α−αα

α

−α

= = =

+ + δ + + δ

11

* *

1

tt t t t

A ssy A k A

g n n g.

Infine, l’espressione in termini logaritmici del livello di stato stazionario del reddito pro

capite sarà:

*

log log (0) log( ) log( )1 1

t

t

YA gt s n g

L

α α= + + − + + δ

− α − α (12.14)

12.5.1 Una misura della velocità di convergenza

E’ possibile calcolare una misura quantitativa della velocità di convergenza nel caso in

cui la funzione di produzione sia specificata come una Cobb-Douglas. Dalla (12.13)

ricaviamo che il tasso di crescita del capitale per unità effettiva di lavoro è pari a

5 Si noti che la condizione di regola d’oro in questo caso diviene: ( ) = + δ +'

tf k n g .

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 245

( )(1 )ttkt

t

ksk g n

k

− −= = − + +

αγ δ (12.15)

L’approssimazione log-lineare dell’equazione (12.15) nell’intorno dell’equilibrio di stato

stazionario è esprimibile come:

( ) *log / log t

tkt

t

kd k dt

k

= ≅ −

γ β (12.16)

Il coefficiente β = (1-α)(g+n+δ) misura la velocità di convergenza di tk verso *

tk .

Possiamo inoltre ricavare l’equazione della crescita del reddito pro capite nel modo

seguente:

yt ktγ = αγ

( ) ( )* *log / log /t t t ty y k k= α

Sostituendo queste formule nell’equazione (12.16), otteniamo

( )( ) ( )*1 log /yt t tg n y y ≅ − − + +

γ α δ (12.17)

E’ evidente che il coefficiente β per ty è equivalente a quello ricavato per k~. Tale

coefficiente indica quanto velocemente il reddito per unità effettiva di lavoro di

un’economia converge verso il suo livello di stato stazionario. L’equazione (12.17) è

un’equazione differenziale che ammette soluzione nel punto

[ ] ( ) ( ) ( )*

0log 1 log logt t

t ty e y e y−β −β= − + (12.18)

In ogni periodo t, il termine [ ]log ty nell’equazione (12.18) appare come una media

ponderata del valore iniziale del reddito per unità di lavoro effettivo ( [ ]0log y ) e del valore

di stato stazionario (*log

ty ) con pesi rappresentati da

te

β− e da ( )t

eβ−−1 . Se

consideriamo l’intero arco temporale compreso tra il periodo iniziale 0 ed il periodo finale

T, otteniamo che il tasso di crescita di lungo periodo del reddito per unità di lavoro

effettivo è pari a:

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 246

( )( )

( )( )

( )( )( )*

1 11log log log 0

0

− −− − = −

T Te ey Ty y

T y T T

β β

(12.19)

Possiamo riparametrizzare questo modello, scrivendo

( )( )

( )( )0log0

log1

ybay

Ty

T−=

(12.20)

dove, ( )

( )*1

log

−−=

Tea y

T

β

e ( )1 Te

bT

−β−= . Quindi

( )1log

bT

−= − .

L’equazione (12.19) rappresenta il modello di riferimento per testare empiricamente

l’ipotesi di convergenza regionale.

Il processo di convergenza può essere valutato oltre che con il parametro β, anche

attraverso il cosiddetto half life time, ovvero il tempo necessario perché il livello di reddito

per unità di lavoro effettivo espresso in termini logaritmici, [ ]log ty , raggiunga il livello

intermedio tra il valore iniziale, [ ]0log y , ed il valore di stato stazionario, *logt

y . In altri

termini, esso corrisponde al tempo che occorre per eliminare metà del gap nel livello di

reddito pro capite. Questo valore soddisfa la condizione che 5,0=− te

β. Quindi il

parametro di hal life time può essere scritto come

( ) 169,0

5,0log −− == β

βlifehalft

12.5.2 Riepilogo del modello di Solow

• La teoria neoclassica spiega la crescita del prodotto (o del reddito) come funzione

della crescita dei fattori produttivi e della tecnologia. L’importanza relativa di

ciascun fattore è costituita dalla propria quota nella produzione.

• Il capitale è il fattore produttivo più importante perché può essere accumulato.

• La crescita di lungo periodo del PIL pro capite è causata da miglioramenti nella

tecnologia.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 247

• In assenza di sviluppo tecnologico, la produzione pro capite alla fine converge al

proprio valore di stato stazionario. Il valore di stato stazionario dipende in maniera

positiva dal tasso di risparmio ed in maniera negativa dal tasso di crescita della

popolazione.

12.5.3 Le implicazioni in termini di convergenza

• Regioni caratterizzate dalla stessa tecnologia, dallo stesso tasso di risparmio, dallo

stesso tasso di crescita della popolazione e dallo stesso tasso di deprezzamento del

capitale tendono a convergere al medesimo livello di reddito pro capite. In

particolare, le regioni con un reddito pro capite iniziale minore tendono a crescere

più velocemente di quelle con un livello di reddito pro capite iniziale maggiore

(ipotesi di convergenza assoluta).

• Regioni caratterizzate da parametri diversi tendono a convergere verso differenti

livelli di reddito pro capite di stato stazionario, ma il tasso di crescita è tanto

maggiore quanto più si è distanti da esso (ipotesi di convergenza condizionata).

12.6 Il modello di Cass e Koopmans

Il modello neoclassico di crescita è stato sviluppato da Cass (1965) e Koopmans (1965)

considerando il risparmio come variabile endogena risultante da un processo di

ottimizzazione intertemporale. La popolazione di consumatori (pari alla forze lavoro Lt), in

ogni istante di tempo, deve decidere quanta parte del reddito ( )= +t t tY wL rK destinare al

consumo e quanta al risparmio, contribuendo in tal modo al processo di accumulazione del

capitale.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 248

12.6.1 L’equilibrio competitivo

Si consideri un’economia popolata da un numero finito di consumatori omogenei che

offrono lavoro e capitale alle imprese ricevendo in cambio un salario, t

w , o un rendimento

del capitale, t

rk . Essi possono utilizzare il reddito o per consumo, C , o per risparmio

contribuendo, in tal modo, all’accumulazione del capitale. Ipotizzando che le imprese

accantonino già la quota di prodotto da destinare all’ammortamento del capitale, δ , e che

il numero di consumatori sia pari alla forza lavoro totale, il vincolo di bilancio del

consumatore rappresentativo è

t t tt

t t t

K K Cw r

L L L= + −

Possiamo quindi scrivere:

t t t t tk w rk nk c= + − − (12.21)

In ogni istante di tempo il consumatore con orizzonte di vita infinito massimizza la

funzione di utilità intertemporale derivante dal consumo

( ) ( )∞

−ρ= ∫0

t

t tU c e u c dt

(12.22)

con ρ il tasso di sconto intertemporale e u(ct) l’utilità istantanea del consumo, sotto il

vincolo di bilancio (12.21), dati la condizione iniziale 0 0k > , 0 1L = ed i vincoli di non

negatività 0tc ≥ , 0tk ≥ , t∀ . La condizione necessaria per l’ottimo è

( ) ( )− ρ −

=′′ ′−

t

t t t

r nc c

c u c u c (12.23)

dove ( ) ( )t t tc u c u c′′ ′− rappresenta l’elasticità dell’utilità marginale al consumo.

Le condizioni del primo ordine per la massimizzazione del profitto delle imprese sono

date, come già detto, da

( )′ − δ =t tf k r ,

(12.24)

( ) ( )t t t tf k k f k w′− = (12.25)

Sostituendo la (12.24) nella (12.23), otteniamo

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 249

( )( ) ( )

′ − ρ − − δ=

′′ ′−

t

t t t

f k nc c

c u c u c (12.26)

Sostituendo la (12.24) e la (12.25) nella (12.21), otteniamo

( ) ( )= − + δ −t t t tk f k n k c (12.27)

La (12.26) e la (12.27) formano un sistema di equazioni differenziali autonome che

descrivono le traiettorie ottimali del capitale e del consumo pro capite.

Prima di studiare le caratteristiche della crescita equilibrata e la dinamica di transizione

di questo modello, è importante osservare che, nell’ipotesi di un sistema di mercati

perfettamente competitivi, la funzione di utilità del consumatore (12.22) corrisponde anche

alla funzione del benessere sociale che un pianificatore sociale si proporrebbe di

massimizzare e che la (12.27) coinciderebbe con il vincolo di bilancio di questo ipotetico

pianificatore. Di conseguenza, la soluzione socialmente utile coinciderebbe con quella di

un’economia competitiva.

12.6.2 La crescita equilibrata

In stato stazionario, il consumo ed il capitale in termini pro capite sono costanti, ovvero

= / 0t tk k e = / 0t tc c . Dalla (12.26) e dalla (12.27) si ricava quindi

( )′ = ρ + + δtf k n

(12.28)

( ) ( )= − + δt t tc f k n k (12.29)

Si può verificare facilmente che esiste un’unica coppia di costanti ( )* *,t tk c che risolve il

sistema di equazioni (12.28) e (12.29).

Il livello kg che rende massimo il consumo pro capite di lungo periodo, ovvero la

cosiddetta ‘regola d’oro’ è ottenuto massimizzando la (12.29) rispetto a kt:

( )′ = + δgtf k n (12.30)

Si noti che anche in tal caso il rapporto capitale-lavoro di equilibrio non è

necessariamente uguale a quello della regola d’oro. Ma, dato che f ′ è strettamente

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 250

decrescente per ipotesi, allora si può anche osservare che <*

t gtk k e che il sentiero di

crescita equilibrate è dinamicamente efficiente.

12.6.3 La dinamica di transizione

Studiamo adesso la dinamica di transizione del sistema economico verso l’equilibrio di

stato stazionario per capire se è esso converge come nel modello di Solow. La figura 12.11

rappresenta i luoghi dei punti di k e di c che soddisfano le condizioni di equilibrio di stato

stazionario definite dalle equazioni (12.28) e (12.29).

Le due curve si intersecano in un solo punto che è anche l’equilibrio di lungo periodo

( )* *,t tk c . Tale punto di equilibrio rappresenta un punto di sella. Infatti, in corrispondenza

delle regioni II e IV, il sistema tende a divergere, cioè ad allontanarsi dall’equilibrio di

lungo periodo. In corrispondenza delle regioni I e III, il sistema tende invece a convergere

verso l’equilibrio.

Lo stato stazionario non è quindi un equilibrio stabile, raggiungibile cioè da qualsiasi

punto di partenza iniziale. La convergenza si realizza solo in corrispondenza di determinate

condizioni iniziali.

Figura 12.11 – La dinamica di transizione

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 251

12.6.4 Il ruolo dell’intervento pubblico

Abbiamo già detto che nel modello neoclassico di crescita economica sviluppato da

Cass e da Koopmans la soluzione socialmente utile adottata da un ipotetico pianificatore

sociale tenderebbe a coincidere con quella di un’economia competitiva. Ci chiediamo

adesso se esiste spazio nel modello neoclassico per un intervento pubblico dello Stato

rivolto ad innalzare le sorti di crescita di un’economia regionale attraverso una spesa

pubblica (Gt) finanziata tramite le imposte (Tt) prelevate dal reddito dei consumatori.

Nell’ipotesi in cui lo Stato intervenisse mantenendo il bilancio pubblico in pareggio (Gt =

Tt), il vincolo di bilancio del consumatore rappresentativo diventerebbe

( )= + − + δ − − τt t t t t tk w rk n k c (12.31)

dove τ ≡ /t t tT L . Nell’ipotesi di pareggio di bilancio, avremo anche

( )= + − + δ − −t t t t t tk w rk n k c g (12.32)

dove ≡ /t t tg G L . In stato stazionario, 0k = , quindi

( ) ( )= − + δ −t t tc f k n k g (12.33)

Confrontando la (12.33) con la (12.29) si può osservare che per ogni livello del capitale

pro capite lungo il sentiero di crescita equilibrata, il corrispondente livello del consumo pro

capite è più basso in presenza di spesa pubblica. L’intervento di politica economica non

sortisce invece nessun effetto sul livello di capitale pro capite. Se ne deduce che dal punto di

vista neoclassico, l’introduzione o l’aumento della spesa pubblica provoca una riduzione del benessere

sociale.

12.7 Il ruolo del capitale umano nel modello di Solow

In questo paragrafo presentiamo un’estensione del modello di Solow proposta da

Mankiw, Romer e Weill (1992) che incorpora il capitale umano. Ipotizziamo una funzione

di produzione del tipo Cobb-Douglas con tecnologia (t

A ) labour-augmenting, in cui l’output

(t

Y ) è funzione della combinazione di capitale fisico (t

K ), lavoro (t

L ) e capitale umano

(t

H ):

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 252

( )1

t t t tY K H AL

α βα β − −= α>0, β>0, α+β<1 (12.34)

La crescita della popolazione si realizza al tasso n, esogeno:

Lt = L0ent,

mentre il progresso tecnico si realizza al tasso g, anch’esso esogeno:

At = A0egt.

Mankiw, Romer e Weill (1992) immaginano un’economia in cui l’accumulazione di

capitale umano avvenga in maniera identica all’accumulazione di capitale fisico, ovvero

attraverso la rinuncia al consumo di una parte del reddito Y. Possiamo quindi scrivere:

t kt tK I Kδ= − =

k t ts Y Kδ−

t ht tH I Hδ= − =

h t ts Y Hδ− ,

dove sk è la frazione di reddito investita in capitale fisico e sh è la frazione di reddito

investita in capitale umano.

Definiamo adesso il capitale e il prodotto per unità di lavoro effettivo

( )/t t tk K AL≡ ( )/t t t

h H AL≡ ( )/t t ty Y AL≡ .

In termini logaritmici, possiamo scrivere

( )log log log logt t t tk K A L= − + .

Derivando rispetto al tempo, otteniamo

logt t t t t

t t tt

k k K A L

t K A Lk

∂= = − +

.

L’accumulazione di capitale fisico per unità di lavoro è:

( )( )

( )( )t t t t kt t

t t t t t

t t t t t

K A L K I Kk k k k g n k g n

K A L AL AL

−= − + = − + = − +

δ,

ovvero

( )( ) ( )

1( )( )

tk k t t t

t t t t tk

t

s Y s K H ALk k g n s y k g n k g n

AL AL

α β α β

δ δ δ− −

= − + + = − + + = − + +

,

Possiamo seguire lo stesso procedimento per ricavare la funzione di accumulazione di

capitale umano per unità di lavoro. Il sistema economico sarà quindi governato dalle

seguenti due equazioni dinamiche:

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 253

( )t t t tkk s k h k g nα β δ= − + +

( )α β= − + + δ

t t t thh s k h h g n

(12.35)

(12.36)

In stato stazionario 0t tk h= = . Possiamo quindi scrivere

( )* * *

t t tks k h k g nα β δ= + +

( )* * *

t t ths k h h g nα β δ= + +

Questo sistema può essere risolto attraverso semplici passaggi algebrici:

* * * *

* *

t t t tk h

t t

s k h s k h

k h

α β α β

=

=>

* *kt t

h

sk h

s=

( )* *kt t th

h

ss h h h g n

s

α

β

= + + δ

( )

( )

1

1* k ht

s sh

g n

α −α−α−β

=+ + δ

Il livelli di equilibrio di stato stazionario per h~ e k

~ saranno quindi:

11 1

* k ht

s sh

g n

α −α −α−β = + + δ

11 1

* k ht

s sk

g n

−β β −α−β = + + δ

Sostituendo queste due espressioni nella funzione di produzione, otteniamo

( ) ( )( )

( )( )

( )

( )

1

t t t t

t t

t tt t

Y K H ALAL AL

AL ALAL AL

−α−βα βα β

α β=

( )t

t t

t

Yk h

AL

α β=

1 11 1t k h k h

t t t t

t

s s s sYA k h A

L g n g n

α β−β β α −α−α−β −α−β

α β

= = + + δ + + δ

( ) ( )

( )

−β α+αβ −α β+αβ

−α−β −α−β

α+β

−α−β

=

+ + δ

1 1

1 1

1

1(0) gtt

k h

t

YA e s s

L g n

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 254

In termini logaritmici e fissando logAt = a + ε, si ha

log log( ) log( ) log( )1 1 1

ttk h

t

Ya s s n g

L

α β α + β= + + − + + δ + ε

− α −β − α −β − α −β

(12.37)

Quest’ultima equazione riassume la spiegazione del perché alcune regioni sono ricche e

altre sono povere. Le regioni ricche hanno un maggiore tasso di investimento in capitale

fisico ( )k

s~ , un maggiore tasso di investimento in capitale umano ( )h

s~ , un minore tasso di

crescita della popolazione, n, e un più alto livello di tecnologia, a.

La funzione della crescita è data da

( ) ( ) ( )*log

log logt

t t

d yy y

dt = λ −

dove ( )( )β−α−δ++=λ 1gn è il tasso di convergenza

( ) ( ) ( ) ( )*

0log 1 log logt t

t ty e y e y−λ −λ= − +

sottraendo ( )0log y (le ‘condizioni iniziali’) da ambo i membri, otteniamo

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )*

0 0log log 1 log 1 logt t

t ty y e y e y−λ −λ− = − − −

( ) ( ) ( )

( )

( )

( ) ( )

0

0

log log 1 log( )1

1 log( )1

1 log( )1

1 log

t

t k

t

h

t

t

y y e s

e s

e n g

e y

λ

λ

λ

λ

α

α β

β

α β

α βδ

α β

ε

− = −− −

+ −− −

+− − + +

− −

− − +

(12.38)

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 255

12.8 Mobilità dei fattori e convergenza/divergenza nel

modello neoclassico

I modelli neoclassici esposti nei paragrafi precedenti sono stati sviluppati nell’ipotesi di

un’economia chiusa agli scambi di beni e fattori produttivi con le altre economie. L’ipotesi

di economia chiusa è ovviamente irrealistica, soprattutto con riferimento alle regioni, date

le minori frizioni spaziali e sociali che caratterizzano la mobilità delle risorse produttive e

dei beni tra le regioni piuttosto che tra paesi. Se, infatti, tra i paesi esistono tuttora - e sono

sicuramente esistite in passato - barriere di tipo tariffario e non tariffario, che impediscono

o limitano gli scambi di beni e fattori di produzione, la mobilità fattoriale ed il commercio

di beni interregionale è totalmente privo di qualsiasi ostacolo di tipo istituzionale, cioè di

barriere imposte dalle autorità locali. Così, ad esempio, all’interno del territorio italiano, i

lavoratori sono liberi di spostarsi (emigrare) da una regione all’altra al fine di cercare un

lavoro più remunerativo; anche le imprese sono libere di spostare il capitale da una regione

all’altra al fine di massimizzare la loro funzione del profitto; il commercio interregionale di

beni è, inoltre, completamente privo di restrizioni istituzionali. Una notevole libertà di

movimento per beni e fattori di produzione oggi esiste tra i paesi appartenenti all’Unione

Europea, ma rappresenta una conquista relativamente recente per apprezzarne gli effetti

sulla crescita di lungo periodo.

Anche gli scambi interregionali, sebbene privi di barriere istituzionali, non sono privi di

costi economici e psicologici che possono limitare l’entità stessa degli scambi.

Considerando, ad esempio, la mobilità del lavoro, possiamo osservare che nessuna legge

impedisce ai lavoratori all’interno del territorio italiano di spostarsi da una regione all’altra

per raggiungere l’occupazione più remunerativa. Tuttavia, come già ampiamente discusso

nel Box 2.1 del capitolo 2, la mobilità del lavoro è fortemente limitata dalla presenza di

elevati costi di transazione.

In questo paragrafo e nel successivo presentiamo alcuni modelli di crescita neoclassica

che rilassano le ipotesi di economia chiusa, considerando la possibilità di mobilità dei

fattori di produzione.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 256

12.8.1 Un modello ad un settore con mobilità dei fattori

Gli effetti della mobilità fattoriale (del lavoro e del capitale) sulla crescita economica

regionale sono stati introdotti da Borts (1960) e Borts e Stein (1964) attraverso

un’estensione del modello neoclassico. Come nel modello di Solow, valgono le ipotesi di

perfetta concorrenza nei mercati dei beni e dei fattori produttivi. In ogni istante di tempo,

le imprese scelgono la quantità di K e di L che massimizzano il profitto e remunerano i

fattori produttivi al livello della loro produttività marginale:

Π = − −max t t t ty L w rK ∂=

∂t

t

Yw

L ∂

=∂

t

t

Yr

K

L’ipotesi di perfetta flessibilità nelle remunerazioni dei fattori garantisce, inoltre,

l’equilibrio di piena occupazione nel mercato del lavoro.

A differenza di Solow, Borts (1960) e Borts e Stein (1964) ipotizzano l’esistenza di due

regioni, con uguale funzione di produzione, ma differente dotazione di capitale e lavoro ed

assumono che vi sia perfetta mobilità interregionale dei fattori produttivi, ma totale

immobilità dei beni prodotti.

La funzione di produzione, uguale per le due regioni, è del tipo standard Cobb-Douglas

con rendimenti di scala costanti:

( )1

t t tY K AL

−αα= 0<α<1 (12.39)

La produttività marginale dei fattori K t e L t (e quindi la loro remunerazione) è

decrescente. Quindi le aree con una dotazione relativa (K t /L t ) maggiore avranno una

produttività relativa del capitale ( )

( )( ) ( )

−αα− α−

−α αα

α∂ ∂ α= =

∂ ∂ − α− α

11 1/

/ 11

tt t t t

t t tt t

K ALY K k

Y L kK AL e un

livello relativo di remunerazione del capitale ( )/r w più bassi.

Il modello consente di mettere in evidenza come, sotto le ipotesi sopra richiamate, la

crescita dipenda dall’allocazione delle risorse tra le due regioni. Una migliore allocazione

interregionale delle risorse in un’economia aperta con perfetta mobilità dei fattori richiede

che il capitale e il lavoro si spostino verso le regioni con la produttività più elevata, attratti

da maggiori remunerazioni (si ricorda che i fattori sono remunerati al livello della loro

produttività marginale). In ciascuna regione il tasso di crescita del capitale, nell’ipotesi di

assenza di deprezzamento, dipende dall’investimento (risparmio) e dal differenziale di

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 257

remunerazione del capitale nella regione i (ri) rispetto alla remunerazione dello stesso

fattore nel resto del mondo (rm), ovvero:

( )t ti m

t t

K Ys r r

K K= + µ −

(12.40)

Allo stesso modo, il lavoro cresce al crescere della popolazione (n) e del differenziale di

remunerazione tra la regione i e il resto del mondo:

( )ti m

t

Ln w w

L= + λ −

(12.41)

µ e λ rappresentano parametri che misurano la sensibilità con la quale il capitale ed il

lavoro, rispettivamente, si muovono in base ai differenziali di remunerazione.

Nell’ipotesi di un Sud (o una Periferia) povero, con un rapporto K/L basso, ed un Nord

(o un Centro) ricco, con un rapporto K/L alto, si assisterebbe ad una migrazione di

capitale dalla regione ricca verso quella povera e, viceversa, di lavoro dal Sud verso il Nord,

come conseguenza delle più elevate remunerazioni nelle aree dove minore è la presenza del

fattore, derivante da livelli di produttività fattoriale differenti.

L’emigrazione di lavoratori permette alla regione povera di aumentare la remunerazione

del lavoro; lo stesso effetto positivo accompagna il deflusso di capitale dal Nord. Il

processo di riallocazione delle risorse si arresta solo quando le due regioni raggiungono la

stessa dotazione fattoriale e, quindi, lo stesso livello di reddito in piena occupazione. In

questo modello semplificato, dunque, i divari interregionali delle crescita tenderanno a

sparire.

Il modello raggiunge un equilibrio stazionario quando Kt, L

t ed A

t crescono

esattamente nella stessa proporzione, cioè quando = 0tk :

( ) ( ) ( )

( )( ) ( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( )

−αα−α −αα− α

α− α− α

= − + = + µ − − + − λ −

= + µ α − − + − λ − α −

= + µ α − − + − λ − α − =

1

11

1 1

1

1 0

t t t t ti m r m

t t t t t

t tt m t mt t

t

t t m t m

k K L A Ys r r n g w w

k K L A K

K ALs K AL r n g K AL w

K

sk k r n g k w

(12.42)

E’ possibile dimostrare l’esistenza, l’unicità e la stabilità della soluzione di equilibrio di

questa equazione dinamica.

Trasformando in termini logaritmici e raggruppando i termini, otteniamo il livello di

equilibro del capitale per unità di lavoro di efficienza:

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 258

( )( ) ( )

α − − α= + + − + +

α − α − α − *

ln ln 1 1 1ln ln ln ln ln ln

2 2 2t m mk s w g r n

Sfruttando la relazione tecnica di produzione = α ln lnt ty k , si ottiene infine il livello di

equilibrio del reddito pro capite:

( )( ) (

α − − α α α = + + + − + + α − α − α −

*ln ln 1

ln ln ln ln ln ln ln2 2 2

tt m m

t

aYA s w g r n

L

.

12.8.2 Un modello bisettoriale con mobilità dei fattori

Il modello di Borts (1960) e Borts e Stein (1964) con un solo settore di produzione

sopra descritto ha un’importante implicazione: il deflusso di capitale si dovrebbe dirigere

verso le regioni a bassi livelli salariali. Le regioni caratterizzate da bassi salari dovrebbero

quindi mostrare tassi di crescita più elevati del rapporto K/L e di conseguenza del reddito

pro capite.

Queste predizioni del modello neoclassico con un solo settore di produzione e mobilità

fattoriale sembrano essere tuttavia smentite dall’evidenza empirica. I test statistici effettuati

dagli stessi Borts e Stein per il caso degli Stati Uniti hanno mostrato l’esistenza di una realtà

ben lontana da quella descritta dalle conclusioni del modello: nella realtà il capitale (così

come il lavoro) tende a spostarsi verso le aree con una dotazione relativa maggiore di

capitale, che sono anche quelle con una remunerazione del fattore lavoro più elevata.

A fronte di questa evidenza empirica contrastante con le predizioni del modello

originario, Borts e Stein (1968) formulano una teoria alternativa in grado di interpretare

meglio il reale movimento dei fattori e di predire la tendenza del capitale a spostarsi verso

le aree caratterizzate da salari più alti. Essi sviluppano, in particolare, un modello a due

settori che mette in evidenza il ruolo di un’inefficiente allocazione delle risorse all’interno

della stessa regione, come determinante dei movimenti di fattori produttivi intra e

interregionali.

Le ipotesi del modello di Borts e Stein (1968) sono le stesse del modello precedente

(Borts e Stein, 1964), ad eccezione del fatto che si assume l’esistenza in ciascuna regione di

due settori che producono due beni, uno per l’esportazione ed uno per uso domestico. Il

settore esportatore è ad elevata produttività del lavoro, il secondo è a bassa produttività. I

due settori sono spesso identificati rispettivamente con il settore manifatturiero ed il

settore agricolo. Per ipotesi, solo il primo fa uso del capitale come input di produzione.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 259

Consideriamo un equilibrio iniziale in cui il tasso di crescita è stabile ed uniforme tra le

regioni ed in cui Kt e L

t crescono ovunque ad un tasso costante pari a quello del reddito:

K L Yγ = γ = γ . Introduciamo uno shock esogeno all’interno di una delle due regioni.

Supponiamo, ad esempio, che la domanda del bene esportato da una delle due regioni

aumenti. Come conseguenza diretta di ciò, il prezzo del bene prodotto nella regione

aumenta e questo effetto incide a sua volta in termini positivi sul valore del prodotto

marginale dei fattori nella regione (per evidenziare questo effetto, non consideriamo in

questo caso l’ipotesi semplificatrice di un prezzo del prodotto normalizzato all’unità):

(.)

(.)

t t

t

t t

t

Fp p

L

Fp p

K

+ +

+ +

∂∆ ⇒ ∆

∂∆ ⇒ ∆

In seguito a tali variazioni, si avrà una riallocazione intra- ed interregionale delle risorse

produttive:

- lo stock di capitale nel settore che produce per l’esportazione aumenta, come

risultato dell’afflusso di capitali esterni, attratti da remunerazioni più elevate;

- la domanda di lavoro da parte delle imprese locali aumenta per effetto

dell’aumento del valore del prodotto marginale del lavoro;

- l’aumento della domanda di lavoro attrae lavoratori sia dal settore agricolo locale,

sia dall’altra regione, grazie a remunerazioni più elevate;

- infine, l’espansione della produzione e dell’occupazione nel settore manifatturiero

si ripercuote sul settore agricolo che registra un aumento della domanda del bene e,

quindi, della produzione e dell’occupazione.

La crescita della produzione in questo modello appare dunque il risultato di

un’allocazione delle risorse più efficiente verso il settore manifatturiero a maggiore

produttività. Partendo da uno shock iniziale generato dall’aumento della domanda del bene

esportato, nel settore manifatturiero aumenta la dotazione fattoriale, a seguito di

investimenti provenienti dall’esterno e di migrazioni di lavoratori da altre regioni e dal

settore agricolo.

Due sono le principali conclusioni che possiamo trarre da questo modello, differenti se

non opposte a quelle del modello ad un solo settore precedentemente analizzato. La prima

risiede nel fatto che la mobilità di entrambi i fattori produttivi avviene ora verso la stessa

regione caratterizzata da elevati salari; in tal senso il modello sembra coerente con i risultati

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 260

empirici evidenziati dai suoi stessi ideatori nel caso delle regioni americane. La seconda

conclusione è sotto certi aspetti ancora più interessante: il modello prevede una tendenza

alla divergenza nei tassi di crescita del reddito tra regioni. Infatti, nella regione produttrice

del bene esportato, il reddito prodotto si discosta da quello disponibile per un ammontare

pari alla remunerazione del capitale preso a prestito dall’esterno; il risparmio interno,

calcolato come quota del reddito disponibile, sarà pertanto costantemente e

permanentemente insufficiente a coprire le esigenze della produzione locale. La scarsità di

capitale terrà elevato il tasso di remunerazione e stimolerà un continuo afflusso di capitale

dall’esterno, con il risultato che il tasso di crescita della regione rimarrà più elevato di

quello delle altre regioni. Agendo sul rapporto K/L, il flusso di lavoro verso la regione

esportatrice attenua in parte la divergenza nei tassi di crescita.

A differenza di quanto spesso si è portati a credere, quindi, il modello neoclassico

contempla all’interno del suo schema concettuale anche la divergenza e non solo la

convergenza nei tassi di crescita e nei livelli di benessere economico. Questo risultato è

raggiunto, però, solo ipotizzando uno stato stazionario iniziale e, pertanto, abbandonando

l’ipotesi, assunta nel modello ad un settore, di uno squilibrio iniziale tra le due regioni.

12.8.3 Il modello di Rappaport

Rappaport (1999) propone un’estensione della teoria neoclassica nel contesto di

ottimizzazione intertemporale, attraverso cui mette in evidenza l’importanza delle

caratteristiche strutturali delle regioni in relazione alle scelte di investimento delle imprese e

alle scelte di migrazione della forza lavoro. In particolare, la scelta dei lavoratori di

emigrare dipende in maniera cruciale, oltre che dal salario, anche dagli attributi specifici di

ogni singola località, come ad esempio il costo della terra o dei servizi connessi con le

abitazioni o più in generale con la qualità della vita offerta dal territorio. Le imprese,

invece, sostengono dei costi a fronte della localizzazione di impianti nelle diverse località

che rappresentano sostanzialmente delle rigidità per il libero movimento dello stock di

capitale. Rappaport, introducendo queste frizioni al movimento dei fattori di produzione,

disattende parzialmente i risultati della teoria neoclassica, dimostrando che la dinamica di

transizione verso gli equilibri di stato stazionario ed i processi di convergenza rispondono

in maniera ambigua a shock esogeni di produttività o di qualità della vita, in relazione della

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 261

determinante importanza della dimensione ‘locale’ sui processi di crescita e sviluppo del

sistema economico.

Il modello prende in considerazione un sistema di piccole economie aperte

caratterizzato da un’elevata mobilità dei fattori. Esistono due classi di agenti: gli individui e

le imprese. I primi scelgono la località dove vivere e lavorare in base al principio di

massimizzazione dell’utilità; i secondi scelgono la località nella quale la loro attività di

impresa ottiene profitti massimi. L’incontro tra offerta e domanda di lavoro conduce

all’identificazione di un equilibrio spaziale nel quale si realizzano livelli di utilità e profitto

uguali per le diverse località.

Più specificatamente, il valore dell’utilità che eguaglia i livelli in ogni singola località può

essere espresso come:

nqcqq

nnn

ccc

n,c

uu;u

u;u

u;u

Uwpnc .t.s )q;n,c(umaxq);w,p(U

=>

<>

<>

=

≤+=

0

00

00 (12.43)

Dove U, utilità indiretta, è funzione del prezzo dei servizi della casa, p, del livello del

salario, w, e della qualità della vita, q. L’utilità diretta sottostante, u(.), è funzione crescente

sia del consumo di beni commerciabili, c, che del consumo dei servizi non commerciabili,

n6. Il vincolo di bilancio esprime la condizione per la quale, tenendo la quantità di beni

commerciabili come numerario, il consumo di questi beni più le spese per l’alloggio non

possono superare il livello di salario. La funzione di utilità diretta, u, soddisfa le proprietà

classiche ed è quindi strettamente crescente e concava rispetto ai due beni ed inoltre

l’ultima condizione implica che una migliore qualità della vita aumenta l’utilità individuale,

ma non altera il rapporto tra beni commerciabili e quelli non commerciabili.

La condizione di uguaglianza dei profitti per le imprese nelle diverse località è descritta

dalla relazione:

0>

=

+=

pLK

L,K

F,F,F

)Kr(1-wL- )p,L,K(Fmaxp);r,w( ΠΠ (12.44)

6 Questa classe rappresenta sostanzialmente la classe di servizi connessi con il vivere in una determinata località (private housing services).

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 262

La 12.44 rappresenta la funzione di profitto dell’impresa, dato il salario a livello locale e

il tasso d’interesse (considerato esogeno). Le ipotesi sulle caratteristiche della funzione di

produzione stabiliscono che il prodotto marginale del capitale e del lavoro è sempre

positivo e che una più alta produttività fa crescere il prodotto. Normalizzando la quantità

di terra ad uno ed assumendo il flusso di una unità di servizi per ciascuna unità di terra, il

vincolo di risorse per la località i-esima è:

1=nL (12.45)

Così, per una generica località i-esima, L misura sia l’ammontare della popolazione che

la sua densità. Date le ipotesi del modello, i principali risultati teorici sono:

0

; 0

; 0

>>>typroductivid

dL

typroductivid

dp

typroductivid

dw (12.46)

0

; 0

; 0

>>=qd

dL

qd

dp

qd

dw (12.47)

I primi due set di derivate della 12.46 e 12.47 indicano sostanzialmente la variazione del

salario e del prezzo della terra rispetto a variazioni rispettivamente della produttività e della

qualità della vita. Nella figura 12.12 vengono illustrati le principali implicazioni di questi

risultati. La 12.12a mostra come un aumento del salario e del prezzo della terra sia

accompagnato da un incremento della produttività. Un shock esogeno di produttività

consente , infatti, alle imprese di far pagare un salario più alto. Tuttavia l’aumento relativo

nel prezzo della terra produce una sorta di effetto spiazzamento che conduce ad un nuovo

punto di equilibrio dove l’utilità nel quale il livello di utilità degli individui rimane costante.

La 12.12b mostra come un aumento della qualità della vita, pur facendo aumentare i prezzi

della terra, permette di mantenere il salario reale costante.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 263

Nella sua rappresentazione dinamica il modello di Rappaport mantiene queste

fondamentali intuizioni, formalizzando però un meccanismo endogeno di formazione del

prezzo della terra. In particolare, utilizzando un’estensione del modello intertemporale di

Cass-Koopmans, viene introdotta una sorta di frizione al movimento del capitale tra

diverse località rappresentato dal costo di installazione degli impianti. Le imprese che

operano nella località i, sono caratterizzate da una funzione di produzione con ritorni di

scala costanti:

( ) ( ) ( ) ( )( )1

gt

i i i iY t A t K t L t e

−αα=

Il parametro ( )tAi rappresenta il totale della produttività dei fattori potenzialmente

applicabile nella località i-esima, ( )tLi è il totale della forza lavoro impiegata ed, infine, g

identifica il tasso esogeno di crescita del progresso tecnico. Viene assunta l’esistenza di un

costo di aggiustamento connesso all’istallazione di nuovo capitale fisico, che

sostanzialmente rappresenta nel modello la principale frizione alla mobilità del fattore. Il

costo totale per installare nuovo capitale è ( )( )

Φ+

tK

tI

i

i1 , dove ( )( )

tK

tI

i

i è il tasso di

investimento e ( )•Φ è funzione crescente nel suo argomento. In particolare, si assume una

funzione di aggiustamento lineare: ( )( )

( )( )tK

tIb

tK

tI

i

iiK

i

i

2

,=

Φ , dove il parametro iKb , cattura

l’intensità del costo di installazione (il parametro tende a zero in un sistema dove il costo

per l’installazione o la disinstallazione di impianti è sostanzialmente nullo). Il problema di

0

1

1p

Figura 12.12b

0 2

0p

20 ww =

( ) ∗= UQLpwU 0;,

( ) ∗Π=Π 1;, prodrw

( ) ∗= UQLpwU 2;,

Figura 12.12a

0p

1w

0w

( ) ∗= UQLpwU 0;,

( ) ∗Π=Π 1;, prodrw

( ) ∗Π=Π 1;, prodrw

1p

0

1

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 264

ottimizzazione dinamica per l’impresa localizzata nell’i-esima unità può essere scritta

attraverso la forma in valore attuale dell’equazione ‘Jacobiana’ associata:

( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )

( )( )

( ) ( ) ( ) ( )( )

1

,

,(1 )2

xt

i i i i i i

K i i

i K i i i

i

J t A t K t L t e w t L t

b I tI t t I t K t

K t

αα

λ δ

= − −

+ + ⋅ −

I principali risultati del modello sono che (a) la velocità di convergenza del prodotto,

seguendo gli shock di capitale, è sostanzialmente insensibile al grado di mobilità del lavoro,

in quanto i flussi della popolazione, seguendo questi shock, creano un disincentivo

all’accumulazione di nuovo capitale fisico; (b) cambiamenti esogeni nella produttività e

nella qualità della vita locali conducono a flussi persistenti di forza lavoro, mentre i salari e

il prezzo delle case rimane relativamente vicino ai loro livello di stato stazionario; (c) infine,

come verrà approfondito nel paragrafo successivo, la velocità di convergenza varia

considerevolmente in relazione alle condizioni economiche delle località vicine.

12.9 Esternalità spaziali ed interdipendenza

tecnologica nel modello neoclassico

Alcuni modelli enfatizzano l’importanza degli spillover internazionali e interregionali

come principale motore di progresso tecnologico e quindi di crescita. Gli spillover

risultano dal commercio internazionale e interregionale e dagli investimenti diretti esteri

(Coe e Helpman 1995, Eaton e Kortum 1996), oppure dal trasferimento tecnologico

(Barro e Sala-i-Martin 1997, Howitt 2000). Questi autori dimostrano che la conoscenza

accumulate in un paese dipende dalla conoscenza accumulata in altri paesi. Esiste quindi

un‘interdipendenza tecnologica tra i paesi e tra le regioni.

Erthur e Kock (2005) osservano tuttavia che la diffusione internazionale e

interregionale della conoscenza tecnologica è geograficamente localizzata (Keller, 2002),

nel senso che i suoi effetti declinano all’aumentare della distanza geografica tra le regioni e i

paesi. Essi considerano una versione del modello neoclassico di Solow che include le

esternalità spaziali tra le economie al fine di catturare gli effetti del contagio spaziale sulla

crescita e sul processo di convergenza. Più precisamente, considerano un modello di

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 265

crescita che include sia le esternalità di conoscenza incorporate nel capitale fisico, come

suggerito da Romer (1986), che gli spillover spaziali.

Si consideri una funzione di produzione aggregata Cobb-Douglas con ritorni costanti di

scala nei fattori di produzione capitale e lavoro:

)()()()( 1tLtKtAtY iiii

αα −= (12.48)

dove l’indice i indica le N regioni incluse nel modello. Il parametro )(tAi rappresenta il

livello aggregato di tecnologia della regione i-esima:

∏≠

Ω=N

ij

w

jii tAtkttA ij )()()()(γφ . (12.49)

Il livello di tecnologia dipende da (a) un parametro esogeno identico in tutte le regioni,

tet µ)0()( Ω=Ω (con µ tasso constante di crescita della tecnologia), come nel modello

neoclassico di Solow, (b) dalla quantità di capitale per lavoratore disponibile in ciascuna

regione ikφ in analogia con il modello di Romer (con φ che misura gli effetti di esternalità

derivanti dall’accumulazione di capitale); e (c) dagli spillover geografici espressi come media

ponderata dello stock di tecnologia presente nelle regioni vicine. In particolare, il

parametro γ esprime l’elasticità dello stock di tecnologia della regione i-esima rispetto allo

stock di tecnologia dei suoi vicini e si assume per ipotesi identico per tutte le regioni. Così

l’effetto netto delle prossimità geografica di altre regioni dipende solamente dal grado di

connettività tra la regione i-esima ed il resto del sistema. Questo grado di connettività è

catturato dal parametro ijw , che si ipotizza non negativo e finito. Il parametro assume

valori compresi tra zero ed uno (è uguale a zero nel caso in cui i = j). Inoltre, si assume che

1=∑≠

N

ij

ijw . Quindi ad alti valori di connettività tra regioni sono associati alti valori del

parametro ijw e di conseguenza maggiore sarà l’influenza dei vicini sullo stock di tecnologia

della regione considerata. Si può riscrivere in forma matriciale la funzione che descrive

l’accumulazione di tecnologia come:

WAkA γφ ++Ω= (12.50)

dove A e k sono due vettori (N x 1) rispettivamente del logaritmo dello stock di

tecnologia e dello stock di capitale per lavoratore, mentre W è una matrice (N x N) con

elementi uguali ad ijw . Riformulando la precedete otteniamo:

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 266

kWkAr

N

r

r )(

11

1∑

=

++Ω−

= γφφγ

dove )(rW è la matrice di pesi geografici elevata alla potenza r-esima. Nella regione i-

esima, quindi, il livello di tecnologia dipende dal proprio stock di capitale fisico per

lavoratore, ma anche dallo stock dei suoi vicini:

)()()()( 1

)(1/1

tktkttAN

ij

w

jiir

rij

r

∏≠

− ∑Ω=∞

=γφφγ , (12.51)

sostituendo questa ultima espressione nella funzione di produzione aggregata (12.48),

otteniamo:

)()()()( 1/1tktktty

N

ij

u

j

u

ii

ijii ∏≠

−Ω= γ , (12.52)

dove )1( )(

1

r

iir

r

ii wu ∑∞

=++= γφα ed )(

1

r

ijr

r

ij wu ∑∞

== γφ , con i termini )(r

ijw uguali agli

elementi della matrice di interdipendenza, W. Il modello scritto in questa forma è

sostanzialmente analogo al modello neoclassico di Solow modificato per tenere in

considerazione gli effetti di eterogeneità spaziale. Infatti, con 0=φ , α=iiu e 0=iju si

ritorna alla funzione di produzione descritta in precedenza.

La funzione che descrive l’accumulazione del capitale è simile a quella descritta per il

modello neoclassico:

)()()()( tkntystk iiiii δ+−= (12.53)

dove is ed in sono rispettivamente la frazione di prodotto risparmiata ed il tasso di

crescita dei lavoratori per la regione i-esima. Il parametro δ esprime il tasso di

deprezzamento del capitale fisico ed è assunto costante per tutte le regioni.

Dato che la funzione di produzione è per ipotesi caratterizzata da ritorni decrescenti nei

fattori di produzione, il rapporto tra il capitale fisico e l’output converge verso un tasso di

crescita definito come: gtktk ii =)(/)( , o )/(]/[ δ++=∗gnsyk iii e cioè:

)()(1

1

1

)1)(1(

1

tkgn

stk

N

ij

u

u

j

u

i

iu

iii

ijii

ii ∏≠

−∗−

−−∗

++Ω=

δγ

(12.54)

Il livello di stato stazionario dello stock di capitale fisico per lavoratore è influenzato dai

parametri classici e dalle esternalità provenienti dalla dimensione spaziale del modello. In

particolare gli spillover aumentano sia grazie alle esternalità legate all’accumulazione di

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 267

capitale fisico attraverso il parametro φ , sia attraverso il parametro γ che quantifica la

dimensione dell’interdipendenza spaziale della regione in considerazione.

Per identificare il livello di output di stato stazionario, si consideri la funzione di

produzione in termini matriciali, sostituendo l’espressione ricavata per lo stock di

tecnologia:

WyWkky γαγφα +−++Ω= )(

e riscrivendo la precedente per l’i-esima regione, prendendo i valori logaritmici:

)(ln)(ln)(ln)()(ln)(ln tywtkwtktty j

N

ij

iji

N

ij

ijii

∗∗ ∑∑ +−++Ω= γαγφα

Infine, sostituendo il rapporto capitale-prodotto di stato stazionario, si ricava il livello di

prodotto di stato stazionario:

)(ln1

)1(

)ln(1

ln1

)ln(1

ln1

)(ln1

1)(ln

tyw

gnwsw

gnstty

j

N

ij

ij

j

N

ij

ijj

N

ij

ij

iii

≠≠

∑∑

−−

−+

++−−

+−−

++−−

+−

−−

++Ω

−−=

φα

αγ

δφα

αγ

φα

αγ

δφα

φα

φα

φα

φα

(12.55)

I principali risultati del modello sono:

• Il livello di prodotto di stato stazionario della regione i-esima dipende

positivamente dal saggio di risparmio domestico, is , e negativamente dal tasso di

crescita dei lavoratori, in , in analogia con quanto previsto dal modello di crescita

neoclassico di Solow;

• Il livello di prodotto di stato stazionario della regione i-esima dipende

positivamente dal saggio di risparmio dei vicini, js , e negativamente dal tasso di

crescita dei lavoratori nelle regioni vicine, jn , sebbene nella precedente espressione

queste due ultime variabili entrino con segno opposto. Infatti, nonostante il segno

invertito, queste due variabili influenzano rispettivamente positivamente e

negativamente il livello di prodotto di stato stazionario delle regioni vicine ∗jy , che

a sua volta ha un impatto positivo sul prodotto della regione i-esima.

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 268

Per ricavare, quindi, l’effetto netto è utile calcolare l’elasticità del prodotto della regione

i rispetto al saggio di risparmio interno i

sξ e rispetto al saggio di risparmio delle regioni

vicine j

sξ , e l’elasticità del prodotto della regione i rispetto al tasso interno di crescita dei

lavoratori i

nξ e rispetto al tasso di crescita dei lavoratori nelle regioni vicine j

nξ .. Ertur e

Koch dimostrano che queste elasticità sono uguali a:

r

r

r

ij

j

s

r

r

r

ii

i

s

w

w

−−

−−−=

−−

−−−+

−−

+=

=

=

)1

)1(

)1)(1(

)1

)1(

)1)(1(1

1

)(

1

)(

φα

αγ

φαα

φξ

φα

αγ

φαα

φ

φα

φαξ

(12.56)

e

r

r

r

ij

j

n

r

r

r

ii

i

n

w

w

−−

−−−−=

−−

−−−−

−−

+=

=

=

)1

)1(

)1)(1(

)1

)1(

)1)(1(1

1

)(

1

)(

φα

αγ

φαα

φξ

φα

αγ

φαα

φ

φα

φαξ

(12.57)

Un aumento del saggio di risparmio nella regione i-esima ha, come detto, un effetto

positivo sul livello di prodotto per lavoratore di stato stazionario, ma questo effetto è

maggiore di quello teorizzato dal modello di Solow in quanto ora esiste un fattore

aggiuntivo che quantifica gli effetti moltiplicativi della dinamica di diffusione della

tecnologia e della conoscenza. Questi effetti vengono evidenziati nell’espressione che

misura l’elasticità del prodotto rispetto ad un aumento del risparmio nelle regioni vicine

che, come anticipato precedentemente, è positiva.

12.9.1 Convergenza condizionata nei modelli con spillover spaziali

In analogia con il modello neoclassico di Solow, anche quello di Ertur e Koch predice

che il prodotto per lavoratore di ogni singola regione converge verso il suo livello di stato

stazionario. Questa proprietà del modello deriva direttamente dalle ipotesi fatte sulle

caratteristiche della funzione di produzione aggregata ed in particolare nei rendimenti di

scala decrescenti. Quando una regione aumenta il suo livello di capitale fisico per

lavoratore, il tasso di crescita diminuisce e converge al suo valore di equilibrio. Riscrivendo

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 269

l’equazione dinamica di accumulazione del capitale aumentata per tenere in considerazioni

gli effetti di interdipendenza spaziale, si ottiene:

)()()()()(/)()1()1(

1

δγ +−Ω= ∏≠

−−−i

N

ij

u

j

u

iiii ntktktstktk ijii .

Si può facilmente verificare che 0)(

))(/)((<

tk

tktk

i

ii

, dato che 1<iiu per ipotesi.

Tuttavia la presenza dell’interdipendenza tecnologica tende a frenare la riduzione della

produttività marginale del capitale. In particolare, dato che l’effetto marginale dell’aumento

dello stock di capitale per lavoratore nelle regioni vicine rispetto all’evoluzione dello stock

di capitale nella regione i è positivo, 0)(

))(/)((>

tk

tktk

j

ii

con 0>iju per ipotesi, il processo

di convergenza risulta inferiore a quello previsto dal modello di Solow, sebbene ancora

garantito dalla condizione 1)1/( <−+ γφα .

Si può dimostrare che la velocità di convergenza nel modello è:

])([ln1

)(ln ∗−−−

= iiii yty

dt

tydλ

γ

µ

con:

∑∑

∑= Θ

= Φ

= Φ++−

++=−

−=

N

j iijN

j ij

N

j iij

ii gnu

u

gnu

dt

tydj

j

j

1

1

1

1

1

1

)()(

1

)(lnδ

δλ

γ

µ

dove i parametri jΦ e jΘ sono calcolati come: ]ln)([lnln)(ln ∗∗ −Φ=− jjjii ktkktk e

]ln)([lnln)(ln ∗∗ −Θ=− jjjii ytyyty . Queste ipotesi aggiuntive sostanzialmente mettono

in relazione il gap tra livello corrente ed il livello di stato stazionario tra regioni,

amplificando le caratteristiche di eterogeneità geografica del modello. Infatti, se 1=Θ j , la

regione i e la regione j sono alla stessa distanza rispetto al loro valore di stato stazionario,

mentre se 1>Θ j , allora la regione i è più lontana dal suo livello di equilibrio rispetto alla

regione j. La velocità di convergenza è quindi più alta se la regione i è lontana dal suo stato

stazionario, come nel modello di Solow, ma anche se la regione j è vicina al suo livello

relativo. infatti,

0/)(/ 2 >Θ++=Θ∂∂ δλ gnu iijii .

R. Basile – Economia e Statistica Regionale 270

La soluzione per il valore corrente del prodotto per lavoratore rispetto ad un suo valore

iniziale è:

∗−−− −+−−−

−=− i

t

i

t

i

t

ii yeyeeyty iii ln)1()0(ln)1(1

1)1()0(ln)(ln

λλλ

λγ

µ

Esplicitando il valore del livello di prodotto per lavoratore di stato stazionario, Ertur e

Koch arrivano all’equazione fondamentale, implementabile da un punto di vista

econometrico, del modello:

)](ln)([ln)1(

1

1)1(

)ln(1

)1(

ln1

)1(

)0(ln1

)1()1(

)ln(1

)1(ln1

)1(

)0(ln)1()0(ln)(ln

oytywe

e

gnwe

swe

ywe

gnese

yeyty

jj

N

ij ijt

t

j

N

ij ij

t

j

N

ij ij

t

j

N

ij ij

t

i

t

i

t

i

t

iii

i

i

i

i

i

ii

i

−−−−

+−+

++−−

−−

−−−−

−−

−−+

++−−

+−−

−−

+−+

−−∆=−

≠ −

−−

λ

λ

λ

λ

λ

λλ

λ

φα

φα

δφα

γα

φα

γα

φα

αγ

δφα

φα

φα

φα

con Ω+−=∆−−−

φαλγµλ

111

1)(1(

i

it

i e .

Il tasso di crescita dell’economia dipende:

• negativamente dal livello iniziale del prodotto per lavoratore;

• positivamente dal saggio di risparmio domestico e negativamente dal tasso di

crescita (interno) della popolazione;

• positivamente dal saggio di risparmio nelle regioni vicine e negativamente dal loro

tasso di crescita della popolazione, a causa dell’interdipendenza spaziale della

tecnologia;

• positivamente dal livello iniziale di produttività e dal tasso di crescita delle regioni

vicine;

• positivamente dalla velocità di convergenza delle regioni vicine ponderate per i

fattori di frizione geografica.