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L’esperienza della fratellanza è un’esperienza che molti vivono nella propria vita di famiglia, con i fratelli e sorelle. I fratelli non si scelgono, ma si ricevono: simpatici o antipatici, con o senza le nostre idee, belli o brutti, onesti o disonesti, buoni o cattivi, con cui si va d’accordo o con cui vi sia disaccordo, ce li troviamo e dobbiamo tenerceli.L’essere fratelli/sorelle ci viene donato dai nostri genitori, non lo decidiamo noi. Anche nel caso in cui non andassimo d’accordo o non parlassimo, non possiamo togliere loro il grado di figliolanza dallo stesso padre e madre e quindi cancellare la nostra fratellanza.All’inizio della Genesi abbiamo racconti di fratelli non troppo edificanti: Caino e Abele, i fratelli di Giuseppe che lo vendono come schiavo in Egitto, Giacobbe che ruba con l’inganno a suo fratello Esaù la benedizione del padre Giacobbe, quasi a sottolineare come la relazione di fratellanza non sia una relazione facile e non è detto che in questa relazione ci si ami. Fondamentale è che ci si riconosca la stessa dignità, che non deriva da meriti o da privilegi o da scelte, ma che è dovuta dall’essere nati dagli stessi genitori.E allora con l’umanità credo che essere fratelli non voglia dire amare tutti in maniera indistinta, non riconoscere le differenze che ci sono tra le popolazioni, le tradizioni, le religioni, oppure non vivere delle gelosie o delle relazioni difficili, ma riconoscere che tutti gli uomini hanno la stessa mia dignità di uomo, gli stessi miei diritti e gli stessi miei doveri, perché tutti siamo figli di un unico Padre e quindi fratelli del suo Figlio Gesù Cristo. Tutti con la stessa dignità di Gesù, tutti amati dal Padre come ama il Figlio, tutti con gli stessi diritti e doveri.Tutti, proprio tutti, anche Caino!

Don Claudio

ESSERE FRATELLI:ESSERE FIGLI

DI UNO STESSO PADRE

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RIVOLI Parrocchie nella Città

Davzin a Ti, Nosgnor, ant la Neuit Santa,a j’era gnun ëd coj ch’a la san longa;l’avìo tròp da dì e tròp da fépër podèj sente j’angej a canté. Ant ij sò cheur a j’era tròpa bòriapër podèj gode ’n pòdi ëd la Toa glòria.Ant cola neuit, ël Tò messagi ëd pasl'han mach sentulo ëd pòvri paisanass. Ant cola neuit, ëd Tò messagi ëd binl’han mach sentulo ëd pòvri campagnin,ëd gent sensa istrussion e sensa avnìch’a sa mach travajé la neuit e ’l dì, ch’a l’é nen bon-a a lese ij liber gròss,ch’a ciadéla le bestie e a gura ij fòss,ch'a spatara lë liam e a va an pastura,ch’a sà mach... lòn ch’a-j mostra la natura. ...Gent ch’a lo sà, ëd nen savèj gran chéma che, vardand jë spi a maduré,la smens ch’a buta e le fior fiorì,naturalment, Nosgnor, a cred an Ti. Giut-ne dcò noi, Gesù, ant la Neuit Santaa vëdde, andrinta ’d noi, nòstre miserie.A cheuje ’l Tò messagi d’umiltà.A vnite ancontra con nòstr cheur masnà.

Mario ParisPoeta dialettale Valsusa

Vicino a Te, Signore, nella Notte Santanon c'era nessuno di quelli che sono sapientoni;avevano troppo da dire e troppo da fareper poter sentire gli angeli cantare.

Nei suoi cuori c'era troppa boriaper poter godere un po' della Tua gloria.In quella notte, il Tuo messaggio di pacel'han solo sentito dei poveri paesanotti. In quella notte, il Tuo messaggio di benel'hanno solo sentito dei poveri contadini,gente senza istruzione e senza avvenireche sa solo lavorare la notte e il giorno, che non è capace di leggere i libroniche accudisce il bestiame e pulisce i fossati,che sparge il letame e va al pascolo,che sa soltanto… quello che insegna la natura. Gente che lo sa di non sapere granchéma che guardando le spighe maturare,il seme che germoglia e io fiori che sboccianonaturalmente, Signore, crede in Te. Aiuta, anche noi, Gesù, nella Notte Santaa vedere, dentro di noi, le nostre miserie.A raccogliere il tuo messaggio di umiltà. A venirTi incontro con il nostro cuore bambino.

Ricerca e traduzione liberadi Bruno Zanini

Ant la neuit santa Nella notte santa

Auguri per un Buon Natalee un 2021 di salute, di serenità e di pace

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Cari Rivolesi, è poco più di un mese che ho lasciato Rivoli, ma la nostalgia è già forte e presente in me. Non tanto la tristezza pagana di un tempo bello che non può più ritornare, quanto il conservare nel cuore l’affetto e i legami costruiti in questi anni con le comunità e le tante persone che ho incontrato: in Cristo e nella preghiera tutto si mantiene e nulla è mai veramente perduto. E questi legami hanno contribuito a formare quello che sono ora anche qui a Roma. Pare che in ebraico il temine persona sia “volti” al plurale, quasi a dire che la nostra persona si costruisce a partire dai volti che guardiamo e dai volti da cui ci lasciamo guardare. Se davvero ci lasciamo amare ed amiamo ci sentiamo parte di una storia più grande e bella. Questa convinzione fa sì che anche la mia nuova esperienza romana acquisti un senso più profondo: esperienza, infatti, che non vivo come singolo, ma come inviato dalla mia chiesa locale e anche come membro delle nostre comunità parrocchiali, ricco di tutta quella ricchezza di bene che mi è stata trasmessa a Rivoli in questi anni. Tutto ciò per dirvi che siete con me nonostante la distanza di luogo e tempo, e ci siete non solo come ricordo, ma come parte attiva di ciò che sono e di ciò che faccio.Certamente questa esperienza romana è un esperienza molto diversa dalla pastorale diretta a cui ero abituato fino a poco tempo fa. Un’esperienza di servizio alla chiesa che passa per lo studio. Io vivo al Pontificio Seminario Lombardo, che si trova in Piazza di Santa Maria Maggiore, proprio dinnanzi alla Basilica papale che ospita

l’immagine di Maria Salus Populi Romani, Patrona della Città e del Mondo. Qui vivo insieme a una cinquantina di preti-studenti, tutti con un’età compresa tra i 25 e 45 anni, e provenienti da tutte le regioni d’Italia. A Roma, infatti, normalmente ci si viene per specializzarsi in qualche materia per tornare poi a svolgere nelle proprie diocesi un servizio qualificato. Per esempio, di questi seminari e collegi per preti a Roma ce ne sono 72. E vi sono anche molti centri di formazione e università con molti e svariati indirizzi. Tuttavia il seminario non si riduce ad essere semplicemente uno studentato, ma vuole essere molto più: cerchiamo, infatti, di costruirci come comunità di fratelli che cammina insieme verso Cristo. Abbiamo momenti di preghiera condivisa, in particolare le lodi al mattino, e la messa con i vespri la sera, e nei mesi di ottobre e maggio il rosario comunitario sul terrazzo del Seminario. Ci sono poi i pasti assieme e servizi per il bene comune che ognuno è chiamato a svolgere in comunità; io per esempio sono infermiere, ovvero mi occupo di portare il cibo e raccogliere la biancheria da lavare per i malati. Inoltre con mia grande gioia canto nel coro. Sul fronte degli studi sono iscritto all’Istituto Utriusque iuris dell’Università Lateranense, che si trova appunto alle spalle del complesso della Arcibasilica di San Giovanni in Laterano. Studio essenzialmente diritto canonico con un focus particolare sulle materie romanistiche (di diritto romano), viste come base comune ai due diritti e ordinamenti: quello canonico e quello statale. Per ciò che ho potuto apprezzare da questo primo mese di corsi, gli insegnamenti sono molto interessanti e stimolanti. Anche dal punto di vista della salute le cose vanno benino: permane un po’ di stanchezza e anche un po’ di vertigine eventuale, ma non posso lamentarmi, visto che non ho praticamente incombenze di natura pratica.Allora stringo tutti in un ideale abbraccio di affetto e preghiera nell’attesa di vedervi presto!

Don Filippo Massarenti

Cari Rivolesi, 

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RIVOLI Parrocchie nella Città

21 settembre 2020Solo l’altra domenica è arrivata la notizia che Don Filippo sarebbe andato a Roma.Così, da un momento all’altro è arrivato il momento di salutare il nostro Baloo.Noi lupetti del Rivoli 2 ci siamo sentiti un po’ spaesati (almeno io). Ora chi sarà la nostra guida spirituale? Chi meglio del nostro Baloo?Ne abbiamo passate tante con Don Filippo: comunioni, messe di fine campi, messe normali.Baloo per noi è stato un grande amico, è stato un Vecchio Lupo.Ma soprattutto è stato un portatore del Vangelo.Ci ha fatto scoprire l’importanza dell’amicizia con Gesù, in parole povere.Ci ha spiegato che Gesù è l’amico migliore che si possa avere: ti perdona, ti chiama per nome, ti consola, ti capisce e ti accudisce, non solo sette volte ma settanta volte sette.Gesù dovrebbe essere il migliore amico di chiunque.Gesù è, senza ombra di dubbio, il migliore amico del nostro Baloo.Grazie Baloo di averci fatto scoprire un mondo che prima non conoscevamo, che prima per noi era ignoto, un mondo fatto di generosità, di uguaglianza, di umiltà ma soprattutto di amore.Allora che dire?Un grande grazie alla nostra guida spirituale.“Buona caccia a tutti quelli che rispettano la legge della giungla”.Buona caccia Baloo.

Maddalena Margherita Ugo

Ciao Baloo

Ciao Don, sei entrato a far parte delle nostre vite un po' di anni fa, sei entrato in punta di piedi, facendoti conoscere in maniera trasparente e donando ogni singola parte di te ad ogni singola persona di questa immensa comunità, ed ora sei nel cuore di tutti.Don hai dimostrato chi sei: una persona ricca dentro, una persona bella, carismatica, determinata, con un cuore immenso e un amore grande da donare e che ha saputo trasmettere al meglio, perciò ora ci troviamo tutti a salutarti con le lacrime agli occhi ma con un grande sorriso ricordando tutto quello che è stato fino ad oggi. Caro Don Fili, sei unico nel tuo essere così testardo, giocherellone e affettuoso, anche se i difetti non mancano... ma tutti li abbiamo ed essi ti rendono la persona fantastica  che sei. Sei stato guida nel cammino dei giovani, sei stato punto di riferimento per tutti quei ragazzi che si trovavano scoraggiati, che si trovavano ad affrontare problematiche di vita alquanto pesanti, sei stato luce nel cammino di fede, sei stato amico, fratello e padre, e questo penso non possa cambiare mai, perché certe cose nel cuore rimangono indelebili e tu, così, resti indelebile. Sei stato compagno di chiacchierate e confidenze, compagno di giochi, rincorse, risate a crepapelle con quella tua risata tutta tua (un po' a modo di strega ah ah), di camminate, di missioni, ma anche di sgridate che hanno dato un insegnamento e fatto crescere, pensare, capire. Hai costruito un panorama bellissimo. Come comunità ti ringraziamo per ogni singolo momento passato insieme, per tutte le messe, per

tutte le chiacchierate e le esperienze vissute, tante ed intense, ognuna significativa a modo suo per ognuno di noi. Ti ringraziamo per non aver mai mollato la presa, per essere stato sempre presente anche se distante, per averci donato amore, anche solo con un messaggio o una chiamata, per tutti gli abbracci dati, per tutte le lacrime asciugate e le risate subito dopo e per averci donato tutto te stesso. Oggi ti diciamo "arrivederci", perché tanto non mancherà occasione per rivederci e riviverci; ti diciamo "arrivederci" con un po' di malinconia addosso, ma quella malinconia bella perché contenti per il nuovo cammino che stai intraprendendo; ti diciamo "arrivederci" mentre insieme a un sorriso ci sono occhi lucidi e qualche lacrimuccia, perché la tua  mancanza si sentirà parecchio, ma d'altronde una persona che ha dato tutto ciò come può non mancare?Siamo fieri di te e della tua forza, perché ne hai e non vediamo già l'ora di rivederti. A nome di tutta la comunità un grande abbraccio e un grande bacio Don. 

Ti vogliamo bene. I giovani 

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Due nuove presenze a Rivoli:don Filippo Ferlita, cappellano militare presso la Caserma Ceccaroni

Cari amici, lo scorso febbraio sono arrivato qui a Rivoli iniziando una nuova avventura del mio ministero sacerdotale come cappellano militare presso il Reggimento Logistico Taurinense (Caserma Ceccaroni). Mi chiamo don Filippo Ferlita e sono originario dell'agrigentino… ma fin da subito ho potuto intuire che un siciliano in Piemonte non è una grossa novità!Sento anzitutto il dovere di ringraziarvi per l'accoglienza semplice e schietta che mi avete rivolto fin da quando sono arrivato: in modo particolare da parte dei parroci di Rivoli ma anche della comunità ecclesiale locale che mi ha accolto facendomi sentire a casa. Nonostante il successivo periodo di quarantena a causa del covid-19 e di tutti le limitazioni che ben conosciamo, sono riuscito pian piano a conoscere i militari a me affidati cercando di raggiungerli così come sono nella semplicità e nell'amicizia ma anche nel segno della fede. La vita in caserma si svolge pressoché con i quotidiani ritmi giornalieri iniziando dall’alzabandiera mattutina fino al termine della giornata, ma credo che ciò che conta è sapere intravedere la presenza di Dio nell’ordinarietà della vita.Dopo quasi dodici anni di ministero sacerdotale nelle forze armate sento di dirvi che la presenza di un sacerdote nelle caserme diventa un importante

tassello e forse anche un punto di equilibrio nel contesto della comunità militare stessa. Mi pongo nei confronti dei nostri fratelli militari come una persona, un uomo, un sacerdote che fondamentalmente può diventare un amico, un compagno di viaggio, un confidente e poi qualora lo si desideri anche un punto di riferimento nel cammino della fede verso Gesù. Il mio impegno è di raggiungere tutti i militari, al di là del grado o della mansione, che essi svolgono in caserma. Non manca la mia disponibilità a preparare i ragazzi ai sacramenti come la cresima e il matrimonio, desidero anche essere vicino alle famiglie che eventualmente vivono un momento di smarrimento, di difficoltà o di lutto cercando di fare sentire la vicinanza della fede e la presenza di Dio Padre misericordioso. Ogni mattina poi celebro la Santa Messa presso la Chiesa interna alla Caserma che abbiamo recentemente restaurato facendola diventare più accogliente e confortevole.Sono molto contento e sereno di essere qui tra voi e per voi e spero che la nostra amicizia che nasce dalla fede in Gesù nel servizio alla Sua Chiesa possa rafforzarsi sempre di più.

Don Filippo Ferlita

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RIVOLI Parrocchie nella Città

Due nuove presenze a Rivoli:don Mina Youssef Wakim, cappellano dell’ospedale di Rivoli

Il mio nome è Mina Yussef Wakim, in Egitto si usa solo il nome del figlio, il nome del padre e il nome del nonno. Per cui “Mina” è il mio proprio nome (come la vostra famosa cantante, “Mina”, ma io non so cantare). San Mina è stato martirizzato nel 309 all’epoca di Diocleziano. Sono stato battezzato nel Santuario di San Mina del rito Copto Ortodosso; ma sono cresciuto nella Chiesa dedicata alla Vergine Maria del rito Copto Cattolico. Dove ho avuto l’opportunità di essere seguito nel mio cammino vocazionale dal Santo Sacerdote (D. Yussef), il mio parroco. Dopo aver terminato il mio studio ho fatto il servizio militare. Nella Santa Messa del Santo Natale ho conosciuto un Sacerdote Salesiano ch’è stato invitato dal mio parroco a presiedere la S. Messa. Questo sacerdote Salesiano è stato accompagnato dal mio cugino, che dopo aver finito lo studio della filosofia nel seminario Copto cattolico aveva deciso di continuare il suo cammino con i Salesiani. Invece io appena ho iniziato a frequentare i Salesiani fino alla decisione definitiva di fare parte della comunità salesiana nel 01 ottobre 1996. Ho fatto il noviziato + filosofia in Libano; Teologia + Licenza in teologia pastorale giovanile alla Crocetta – Torino. Ho ricevuto il dono del sacerdozio nel 2009 nella Basilica di Maria Ausiliatrice – Torino.La vita salesiana mi ha arricchito dell’esperienza nel

vivere con e servire tantissimi i giovani in diversi paesi e religioni: Libano, Siria, Istanbul, Egitto, con Iracheni, Sudanesi, e infine con gli italiani. Quest’anno, grazie a Dio, ho terminato la specializzazione in psicologia della comunicazione; Diploma di Consulente di formazione in scienze umane. Con l’inizio della pandemia ho cercato di dare una mano dove c’è bisogno. Mi è stato suggerito di fare il volontariato a Molinette come cappellano. Cammin facendo la Divina Provvidenza ha voluto darmi il servizio del cappellano di Rivoli. Ho cominciato il nuovo servizio all’Ospedale di Rivoli all’inizio di settembre 2020. Da quel momento mi affidavo al Signore Gesù Cristo, perché faccia di me un strumento per portare la Sua Parola e Misericordia a tutte le persone che incontro.Termino con una frase dei Padri della Chiesa: “Se Il Signore ti ha donato la grazia della vocazione sacerdotale, questo dono deve essere messo al servizio dei figli di Dio”. Con altre parole simile ci ha invitato il Papà Francesco: «Questo vi chiedo: di essere pastori con “l'odore delle pecore”, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini… Pastori secondo il cuore di Dio». Grazie e pregate tanto per il mio paese Egitto.

Don Minadisponibile 24 ore al giorno - tel. 334 64 12 412

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Padre Giorgio Marengo

Poco prima del Natale 2019, mi è capitata l'occasione di intervistare padre Giorgio Marengo, un giovane missionario della Consolata e di parlare della Sua esperienza in Mongolia, dove è stato parroco nella missione di Arvajheer e, dal 2016, Consigliere Regionale Asia per la Mongolia. Quell'intervista l'ho poi pubblicata su “Rivoli parrocchie della Città”.Parlare della Mongolia e della sua attività in una terra dove i cristiani sono pochissimi, sentire dei suoi dialoghi con esponenti di altre realtà religiose in un centro culturale a Kharkhorin, l'antica capitale dell'impero mongolo, è stato interessante e, per certi aspetti, affascinante.Ma chi è Padre Marengo? Cuneese di nascita (7 giugno 1974), è cresciuto a Torino dove ha fatto lo scout, ha frequentato il liceo classico Cavour, al termine del quale ha intrapreso il percorso di formazione sacerdotale nella Congregazione dei Missionari della Consolata. Nel 1993 ha studiato Filosofia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e dal 1996 al 1999 Teologia nella Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha poi compiuto ulteriori studi presso la Pontificia Università Urbaniana, conseguendo il Dottorato in Missiologia nel 2006. E' stato ordinato sacerdote il 26 maggio 2001. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto il suo ministero pastorale in Mongolia ad Arvajheer.È stata una grande sorpresa per me, quando quest'estate ho letto che la Chiesa aveva deciso di consacrare Vescovo quel giovane missionario che avevo conosciuto qualche mese prima!La consacrazione episcopale sarebbe dovuta avvenire a Ulaanbaatar, in Mongolia, ma a causa delle severe

restrizioni messe in atto da quel Paese per contenere la pandemia Covid-19, questo non è stato possibile. Ecco dunque che la scelta è caduta su Torino e più precisamente sul Santuario della Consolata.L’ordinazione episcopale di padre Giorgio Marengo è avvenuta l'8 agosto scorso, la solenne celebrazione è stata presieduta dal card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Con lui i Vescovi co-consacranti erano l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia e il cardinale Severino Poletto. Le norme anti-contagio hanno consentito un accesso molto ridotto nel santuario torinese permettendo la partecipazione solo ai familiari e agli amici più stretti oltre ad alcuni confratelli, ma sono certo che non mancherà l'occasione di incontrarlo in un prossimo futuro, anche se ora gli impegni lontano da Torino sono ulteriormente aumentati.Caro padre Giorgio, le Parrocchie di Rivoli si stringono intorno a Te nella preghiera, sperano di poterTi avere un giorno nella nostra Comunità e Ti augurano tutto il bene possibile in quella terra lontana e meravigliosa.

Franco Rolfo

missionario della Consolata, Vescovo in Mongolia

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RIVOLI Parrocchie nella Città

La comunità MASCI Rivoli 1compie vent’anni

In questo 2020 complicato e difficile la Comunità MASCI Rivoli 1 ha compiuto 20 anni. Avevamo progettato un percorso di festa lungo un anno con gli adulti scout, con gli amici, con la città, ma nulla è stato possibile. Per fortuna, a fine settembre, abbiamo potuto organizzare la nostra Assemblea Regionale appena in tempo, prima dell’aumento dei contagi ed abbiamo fatto festa con gli scout del Piemonte. Non intendiamo però rinunciare alla festa con voi: cambiamo modalità proponendovi un percorso di condivisione di ideali, "per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato".Il rispetto e il prendersi cura del creato, il propendere per una economia che proceda con logiche di sostenibilità per la natura e per le persone, l’allergia alle disuguaglianze e alle ingiustizie sono molto importanti per le nostre Comunità e, con il tutto il MASCI nazionale, stiamo facendo un percorso per approfondire la conoscenza delle sfide che, sia l’Agenda 2030 dell’ONU su un fronte più laico e universale, sia la Laudato Sì del nostro Papa Francesco, ci propongono ormai da tempo.In particolare ci stanno a cuore la sensibilizzazione e l’informazione su questi argomenti per sostenere e preparare il terreno ad attività più articolate e dunque il nostro Movimento ha avviato un canale di informazione sulla “Sostenibilità nello sviluppo” che, con continuità e periodicità approfondisca, vada a vedere cosa fanno gli altri, suggerisca link e materiali, proponga spunti pratici per generare curiosità ed interesse per far crescere un ‘ambiente comunitario’ nel quale divenga naturale proporre azioni e coinvolgersi consapevolmente in

azioni comuni, spesso controcorrente.Allora ci piace condividere con la comunità delle parrocchie rivolesi questo percorso, riproponendo gli argomenti di approfondimento per allargare la forza delle nostre azioni comuni.Con le parole di Papa Francesco "La cura della nostra casa comune è fonte di ispirazione durante i momenti di difficoltà. Ci incoraggia a riflettere sui valori che condividiamo e a creare un futuro più giusto e sostenibile". Troverete per qualche numero del giornale i nostri approfondimenti, buona lettura!

La comunità MASCI Rivoli 1

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Agenda 2030 per lo Sviluppo SostenibileL’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals, SDGs - in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. La Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS) disegna una visione di futuro e di sviluppo incentrata sulla sostenibilità, quale valore condiviso e imprescindibile per affrontare le sfide globali del nostro paese.La SNSvS ha semplificato la strutturata dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 proponendo cinque aree, corrispondenti alle cosiddette “5P” dello sviluppo sostenibile: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership.

APPROFONDIMENTI A CURA DEL MASCI

Sostenibilità nello sviluppo"La cura della nostra casa comune è fonte di ispirazione durante i momenti di difficoltà.Ci incoraggia a riflettere sui valori che condividiamo e a creare un futuro più giusto e sostenibile" 

Sviluppo sostenibileIl concetto di sostenibilità, maturato negli anni 80 in seno all'Onu e poi sdoganato del tutto dalla Conferenza di Rio del '92, è solitamente collegato alla compatibilità tra sviluppo delle attività economiche e la salvaguardia dell'ambiente. La possibilità di assicurare la soddisfazione dei bisogni essenziali comporta, dunque, la realizzazione di uno sviluppo economico che abbia come finalità principale il rispetto dell'ambiente naturale in ogni sua forma.Esistono diverse definizioni di sviluppo sostenibile,  quello che risponde ai bisogni del presente senza compromettere la possibilità alle generazioni future di soddisfare i propri.Nel 1987 il concetto fu utilizzato per la prima volta nel  rapporto Brundtland  (dal nome della presidente della Commissione, la norvegese Gro Harlem Brundtland) per poi essere ripreso dalla Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’Onu. Il World Summit on Sustainable Development (WSSD) di Johannesburg (2002) ha ampliato il concetto di Sviluppo Sostenibile come integrazione di tre dimensioni, strettamente collegate tra loro:• economia (povertà, modelli di produzione e consumo...)•  società  (pace, sicurezza, diritti e libertà fondamentali, diversità culturali...)• ambiente (protezione e gestione delle risorse naturali...)Lo Sviluppo Sostenibile può quindi essere considerato un  equilibrio dinamico tra qualità ambientale, sviluppo economico, equità sociale: non mira al mantenimento di uno “status quo”, ma si muove invece nella direzione del cambiamento, riconoscendo che la società umana è in costante movimento.La  cultura  è la base che consente di integrare economia, società e ambiente: quindi per lo sviluppo sostenibile l’educazione  gioca un ruolo cruciale in quanto strumento per il rinnovamento culturale.

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RIVOLI Parrocchie nella Città

Questo nuovo anno pastorale inizia con il saluto a don Filippo, responsabile del progetto di Pastorale Giovanile e l’ombra della situazione pandemica che un po’ rende precaria ogni scelta concreta e ogni programmazione. La scelta di mettere al centro del nostro agire i ragazzi e giovani però rimane, siamo chiamati ad esercitare una nuova creatività e a custodire l’essenziale della nostra missione: incontrare Gesù nelle nostre vite!Il progetto di Pastorale Giovanile 2020/21, in continuità con le progettualità degli anni precedenti, prosegue quindi a costruirsi attorno a quattro parole chiave: formazione, aggregazione, servizio, comunità.Per volontà di don Giovanni e don Claudio la Regia Educativa, composta dai giovani animatori dei Gruppi Giovanili, dagli Educatori professionali, dalle Suore Operaie e dai don, è stata investita di una maggiore responsabilità decisionale e organizzativa. Insieme è stato definito il percorso formativo dei Gruppi Adolescenti, dei Gruppi Predò e delle Comunità Giovani.Rispetto alle proposte aggregative si è pensato ad una riapertura dell’Oratorio per fasi. A conclusione delle attività estive di metà settembre, l’Oratorio ha osservato un lungo periodo di chiusura, in attesa dell’uscita delle indicazione diocesane per la riapertura avvenuta lunedì 19 ottobre. La prima fase ha visto la riapertura quotidiana del cortile rivolta ai ragazzi e ai giovani, la seconda fase il lancio di proposte aggregative mirate alle varie fasce d’età come tornei di calcetto e ping pong, la terza fase il rilancio di laboratori e attività strutturate come la proposta del Progetto “Pomeriggi Insieme” rivolta ai ragazzi delle medie. Rimane costante anche la proposta del Gruppo Teatro Giovani

che si sta preparando per mettere in scena (o in video!) un nuovo spettacolo.Tante attività, sia perché vietate sia per prudenza, per questo nuovo anno non sono state programmate, ad esempio il SabatoSanBe, i laboratori artistici, le Feste dei Santi… i calendari si adeguano di volta in volta in base alla situazione epidemiologica e alle conseguenti scelte di prevenzione dal contagio. Gli incontri, prima in presenza, diventano incontri in remoto attraverso la piattaforma Zoom. Non possiamo prevedere ad oggi se riusciremo a celebrare il Natale con le attività che abbiamo immaginato, se festeggeremo il Carnevale, se ci sarà la Primavera Ragazzi e come organizzeremo l’Estate.È un anno strano, ma siamo forti e consapevoli che, anche poco, possiamo e dobbiamo farlo, che i ragazzi hanno bisogno di incontrarsi e crescere insieme, non rinunceremo alla preghiera e alla formazione e in tutti i modi cercheremo di raggiungere tutti i ragazzi, soprattutto i più distanti e che fanno fatica con il gruppo. La Comunità dell’Oratorio è un po’ come una grande famiglia, con tanti limiti e difetti, a volte le relazioni deludono, a volte invece ci fanno crescere, ci supportano, ci aiutano a scoprire chi siamo e ci fanno del bene. A tutti spetta il compito di non scoraggiarsi e di esercitare al meglio “la fantasia del bene” per trovare strade possibili di contatto, di racconto, di condivisione, nella consapevolezza che il Signore nasce, vive, muore e sempre risorge per ciascuno di noi, per le nostre comunità, nel mondo e nella storia.

Donatella

OratorioProgetto di Pastorale Giovanile 2020/21

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Fedeli, ribelli… e prudentiL’odore del fuoco di bivacco e di montagna, dei pochi giorni di campo estivo, sono ormai un bellissimo ricordo che porteremo nel cuore fino alla venuta di tempi migliori.L’anno riparte e i ragazzi, più che in un qualsiasi altro ottobre, stanno dando segno di voler iniziare: hanno voglia di attività, di camminate immerse nella natura, hanno voglia di confronto, hanno voglia di crescita.I ragazzi ci sono, e i capi non sono da meno. Pronti ad accogliere la sfida, senza perdere di vista l’incarico di responsabilità, la promessa che ogni scout rispetta e i punti della legge, primo fra tutti “La guida e lo scout sanno obbedire”.La ripartenza è colma di incertezza e di speranza, ma è arrivata come tutti gli anni, semplicemente con qualche autocertificazione e mascherina in più. Procediamo a piccoli passi, rispettando ogni norma di sicurezza indicata dai DPCM e dalle indicazioni che l’AGESCI Nazionale rivolge alle rispettive Comunità Capi. Riunioni in presenza ma distanziati, attività con mascherine e gel igienizzante… viviamo anche noi

nell’incertezza del “domani si potrà fare?”, ma se non altro coltiviamo giorno dopo giorno la speranza di poter fare del nostro meglio fino in fondo, rispettando le regole e facendo crescere i nostri ragazzi nell'arte del “reinventarsi".

Le Comunità Capi del Rivoli 1 e del Rivoli 4.

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Comunicare con i nostri figli:bastano le parole?"Essere genitori, un'arte imperfetta" è un progetto di sostegno alla genitorialità promosso dalle Parrocchie di Rivoli in collaborazione con l’O.d.V. Famiglialcentro di Collegno. Gli incontri si rivolgono a genitori con figli in diverse fasce d’età, sono patrocinati dai comuni di Rivoli, Collegno, Grugliasco e sono gratuiti. Quest’anno per quanto possibile le serate si terranno in presenza con numeri ridotti (nel rispetto delle normative vigenti per il distanziamento) e in parallelo saranno trasmesse in videoconferenza: in entrambi i casi sarà necessario iscriversi tramite la piattaforma “Eventbrite”.Per informazioni, per scaricare il programma 2020/2021 e per avere indicazioni per la procedura di iscrizione, si può consultare la sezione “incontri” su www.famiglialcentro.it.

La nona edizione di "Essere genitori, un'arte imperfetta" è stata intitolata “Andare oltre…”Andare oltre… il Covid-19, che ha forzato le famiglie a rimodulare la quotidianità e a rivedere spazi e tempi di vita, interessando non solo questioni logistiche e organizzative, ma anche relative alla vita interiore:

emozioni, ansie, senso di impotenza. Approfittare di questo tempo vuol dire considerarlo come una sfida ma anche come un’opportunità evolutiva: mettersi in discussione, rifondarsi e ripartire con nuovi strumenti per tutti noi, genitori e figli.Andare oltre… ciò che siamo sempre stati: persone, coppie, genitori imperfetti, ma pronti ad essere parte viva e responsabile della società, nella e con la nostra famiglia, nella vita di ogni giorno.Andare oltre il distanziamento, oltre l’emergenza, oltre la diffidenza, oltre il proprio ego, oltre gli spazi chiusi, oltre il pessimismo, oltre i luoghi comuni… questi sono tutti i temi trattati nel percorso di approfondimento di quest’anno!

COMUNICARE CON I NOSTRI FIGLI: BASTANO LE PAROLE?Impariamo il linguaggio segreto dei bambini dalla nascita ai 5 anni.Venerdì 9 ottobre a Grugliasco si è tenuto il primo incontro del programma di quest’anno, dedicato alla fascia dei genitori di bimbi in età pre-scolare.

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La relatrice Olga Pasin, psicologa perinatale e parent coach, ha sostenuto l’importanza del contatto con il corpo dei genitori già dalle primissime ore di vita: infatti i neonati comunicano attraverso l’olfatto ed il tatto e hanno una grande capacità di individuare la propria madre attraverso l’ascolto della sua voce (che percepiscono già nell’utero).Prima di cominciare a parlare, il bambino può esprimersi e farsi capire mediante un “linguaggio segreto”, fatto di atteggiamenti, suoni, espressioni e silenzi.I gesti, gli sguardi, la postura, la distanza, il tono della voce e la tipologia di pianto di un lattante sono spesso più eloquenti delle parole che inizia a pronunciare e possono rivelare, se interpretati correttamente, i pensieri, le paure e i bisogni che i bambini così piccoli non sempre sanno esprimere.Le abilità essenziali suggerite ai genitori sono principalmente: parlare al "livello" del bambino e mantenere il contatto visivo, utilizzare espressioni facciali positive, una postura che comunica disponibilità, modulare il tono ed il ritmo della voce, scegliere gesti e semplici suoni per accompagnare il parlato. E soprattutto potenziare le proprie capacità di osservazione “distaccata” e di interpretazione del comportamento dei bambini, specie in un momento così delicato in cui è imposto il distanziamento sociale!La comunicazione non verbale nella relazione è fondamentale per instaurare un legame di affetto e complicità tra genitori e figli: essa sostituisce, rinforza e completa la comunicazione verbale, migliora le

connessioni emotive di tutta la famiglia, insegna al bambino ad andare d’accordo anche con altre persone perché ha effetti duraturi sul modo in cui ascolterà, dialogherà e si comporterà anche da grande.Il gioco è lo strumento principe attraverso il quale i bambini esprimono la propria identità e sviluppano le proprie conoscenze. Una sorta di linguaggio non verbale che utilizzano per mostrare la loro personalità, i loro gusti, il loro carattere. Con il gioco i bambini acquisiscono capacità come l’empatia, la cortesia, le regole, la consapevolezza sociale; imparano ad essere sicuri, costruiscono la loro autostima.Il suggerimento della relatrice ai genitori è di vivere appieno i momenti di gioco come parte integrante e arricchente della relazione con i propri figli: dunque mettersi in gioco seriamente, evitare di distrarsi, lasciare al bambino la possibilità di sbagliare, evitare di interrompere il gioco se non è assolutamente necessario.

Elena Cavargna

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Da circa una quindicina di anni, precisamente dal 2005, il 2 ottobre ricorre anche in Italia la “FESTA DEI NONNI”. È bello pensare che da secoli (la festa fu istituita da papa Clemente X nel 1670) si sia scelta questa data in cui si ricordano gli “Angeli Custodi” per due motivi: perché in fondo i nonni possono considerarsi un po’ gli angeli custodi terreni dei nipoti e perché è bello pensare che gli Angeli Custodi divini proteggano ed assistano i nonni nello svolgere bene il loro ruolo all’interno delle famiglie e della società in generale.Diventare nonni è sicuramente una ambizione e un desiderio profondo di ogni genitore che ha visto crescere e diventare adulti i propri figli, è vedere che la vita continua, è godere di rapporti affettivi nuovi, freschi e rinnovati, è un grande dono di amore reciproco.Spesso si sente dire che anche i nonni non sono più quelli di una volta e probabilmente questa considerazione è vera. Oggi i nonni in genere sono attivi, hanno una vita piena e ricca di interessi, hanno più tempo a disposizione per seguire i nipoti, vivono più a lungo e hanno più cure per la loro salute: quindi sono una grande risorsa per la vita familiare specialmente quando mamma e papà lavorano fuori casa.I nonni e le nonne di oggi, nel corso della loro giovinezza, hanno vissuto tutte le trasformazioni culturali, sociali e psicologiche che hanno caratterizzato gli anni settanta e ottanta e quindi sono più aperti a cogliere i cambiamenti dei rapporti all’interno delle coppie, ma allo stesso tempo devono ancora offrire modelli e valori di indiscutibile validità anche oggi. Nonostante

l’apertura alla modernità, indispensabile per vivere alla pari con i tempi, occorre avere il coraggio di testimoniare con il proprio esempio anche i valori che sono stati alla base della tradizione familiare senza considerarli obsoleti e sorpassati.I nonni sono depositari della storia familiare: è bello il racconto delle proprie radici da trasmettere ai figli e ai nipoti, perché offre loro dei punti di riferimento utili alla formazione della loro personalità, li aiuta a sviluppare adeguati principi morali e ad avere un rapporto sano con la società.

NONNI e NIPOTIChe inesauribile ricchezza la famiglia con la presenza di nipoti di varia età! Stimola i nonni a non invecchiare e a mantenere in esercizio la mente!Condividere con i propri cari i problemi adolescenziali, imparare a gestire i capricci infantili, assistere a esperienze scolastiche varie, industriarsi in giochetti per la prima infanzia è sì una faticaccia, ma restituisce energie e stimoli utilissimi.Ormai la relazione nonni-nipoti non è più basata principalmente sull’autoritarismo e sul rispetto, ma sullo scambio generazionale: i nonni hanno delle cose da insegnare e da trasmettere, ma hanno tante possibilità di imparare cose nuove e rinnovate.Si può passare facilmente dal ruolo di educatore a quello di compagni di gioco e di scampagnate sicuramente più divertente e accattivante. È bello coinvolgere i nipoti nelle passioni che interessano

ESSERE NONNI…OGGI.

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A volte penso a quanto sono

fortunata ad avere tutti e quattro i

nonni: oggi vedo in giro ragazzine

che si vergognano a camminare

mano nella mano con i loro nonni, e

non sanno che c’è chi pagherebbe per

fare ancora una di quelle passeggiate

con i propri.

”detto da nipoti”

I nonni sono un po’ come i supereroi: ”proteggono, sono un esempio di coraggio e di saggezza”.

I nonni sono le persone più multitasking che esistano: possono passare da fare i cuochi, a medici, a cantastorie e a qualunque professione, ma soprattutto fanno i nonni.

Per me i nonni sono simbolo di

saggezza e di amore.

Saggezza: perché loro diventando

vecchi hanno imparato molte

cose che poi insegnano ai loro

nipoti. Queste cose delle volte sono

divertenti, altre volte no, ma anche

queste ultime servono.

Amore: perché loro ne trasmettono

tanto e non è mai abbastanza.

i nonni: fare insieme passeggiate nei boschi, curare il giardino o l’orto, condividere esperienze e gesti di volontariato, giocare a carte, a dama, a battaglia navale, cucinare dolci e manicaretti, usare il computer, inventare storie e, perché no, guardare insieme qualche buon film, anche non troppo recente, per far comprendere storie e sentimenti del passato.Nonni e nipoti possono commuoversi insieme, ad esempio, seguendo la storia di “Marcellino pane e vino” o quella di “E.T. l’extraterrestre”, provare incanto di fronte alle vicende di “Sissi la giovane imperatrice”, intenerirsi seguendo gli storici cartoni animati di Walt Disney. E ancora può essere stimolante inventarsi modi diversi e creativi per festeggiare i compleanni… per non angustiarsi troppo degli anni che vanno avanti!Un ultimo aspetto da non trascurare, ma non certamente l’ultimo per importanza, è l’impegno che i nonni possono svolgere nella trasmissione del valore della Fede, se credenti. Interrogarsi con i nipoti sull’esistenza di Dio, conoscere insieme la figura di Gesù Cristo, pregare con loro e per loro sono esperienze che rimarranno nella loro mente e torneranno utili nella loro crescita.E se le cose diventano difficili per le giovani famiglie, a causa delle più svariate situazioni, i nonni possono essere presenti donando disponibilità, sostegno ed esperienza, con discrezione, per offrire un contributo efficace all’equilibrio generale della famiglia.Anche se oggi il coronavirus ci sta creando delle limitazioni, FORZA NONNI!!Sentiamoci utili e uniti nonostante tutto!

Mirella e Piero

I nonni sono delle figure importantissime della

nostra vita, che ci assistono, che ci sorreggono e

che ci rialzano dalle cadute in qualsiasi momen-

to. Hanno perciò molti compiti, che si possano

concentrare in tre semplici parole: supporto, pre-

senza e amore.Penso che queste tre parole segnino un filo crono-

logico nella successione dei momenti della nostra

vita. Infatti, partiamo da un supporto sicuro e

stabile per poi fare in modo che in futuro i nonni

ci siano sempre e che infine amino un nipote con

un amore inestimabile e impagabile.

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“La rassegna teatrale organizzata dal gruppo volontari cinema Borgonuovo e dall’omonima compagnia teatrale “ Sotto il Castello” quest’anno è arrivata alla VI edizione”.Questo avrebbero letto sul pieghevole coloro che sarebbero venuti al teatro Borgonuovo nella nuova edizione 2020-2021; poi ahimè il CV19 si è fatto risentire. Che fare? Il calendario era pronto, dieci spettacoli in cartellone, si è cercato di fare il possibile per consentire la presenza a quelle compagnie che l’anno precedente non hanno potuto presentare i loro lavori per causa dell’inizio della pandemia. Tutte le compagnie amatoriali del territorio rivolese, che per il teatro e con il teatro ci perdono le ore per dare il meglio! È stato difficile decidere di annullare tre quarti della rassegna, ma gli avvenimenti non consentivano altre scelte. La manifestazione dei gruppi amatoriali rivolesi, a cadenza mensile, è nata grazie all’idea di persone che con il teatro ci giocano da molti anni.Ci si aspettava una tiepida risposta, invece i cittadini rivolesi si sono dimostrati un pubblico preciso ed attento, tant’è che negli anni successivi le compagnie erano aumentate e il calendario della rassegna iniziava ad ottobre e finiva a maggio. Il pubblico ci è sempre stato vicino e quando l’attore prende il colpo d’occhio nel vedere tutti i posti esauriti prova un emozione forte

e farà di tutto per dare il meglio di sé, per non deludere nessuno.Tutto questo per ora non è successo, proviamo un senso di amarezza, ma nessuno si darà per sconfitto, si lavora “dietro le quinte” per tornare pronti quando questa Pandemia lo consentirà e continuare a regalare qualche ora di svago dalla routine del quotidiano e strappare qualche risata che aiuta sempre il buon umore. Anche perché in questi anni, e lo scriviamo con orgoglio, abbiamo capito che il teatro Borgonuovo (splendida bomboniera unica nella zona) ormai è diventato un punto di riferimento e di appartenenza della città. Già il teatro ovvero quel luogo sempre freddo e gelido durante le prove e caldo di umanità quando si va in scena, perché il teatro è fatto dal pubblico, dai suoi applausi, sono queste le cose che gli attori cercano. Ma se gli spettatori non ci sono, non si fa nulla. Occorre aspettare ma soprattutto sperare che questa situazione che tutti stiamo vivendo possa un giorno trovare la parola fine. Un briciolo di entusiasmo ancora ci è rimasto, confidiamo di fare una rassegna teatrale ridotta in primavera. Per informazioni: Giovanni 320 7875879 – Osvald0o 349 7254117

Falsa partenza, ma non ci arrendiamo

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Non temeteLa nuova Lettera Pastorale del Vescovo Cesare È stata pubblicata in questi giorni la nuova lettera pastorale dell’Arcivescovo di Torino Mons. Cesare Nosiglia. Normalmente questa lettera indirizzava le attività dell’anno raccogliendo una sintesi organica delle indicazioni emerse dall’assemblea diocesana di giugno, e dalle precedenti consultazioni di base, frutto del lavoro scaturito dagli incontri e dalle sessioni assembleari diventando la linea guida per l’anno pastorale. Purtroppo quest’anno a causa del COVID19 e della pandemia l’assemblea diocesana non si è potuta svolgere, ma l’Arcivescovo ci ha fatto giungere una lettera che potesse rappresentare un vademecum di riferimento per quest’anno particolare 2020-2021, sia per la diocesi di Torino che per quella di Susa.«Non temete, io sono con voi» (cfr. Mt 28,20) con questo titolo biblico, che ci viene proposto come slogan per quest’anno, l’Arcivescovo rivolge alla diocesi un incoraggiamento a non farsi sopraffare dalla paura, perchè il Signore ci invita a non aver timore, Egli è presente e non ci abbandona al nostro destino. La fede ce lo conferma e ci chiede di intensificare la nostra preghiera, ma anche il nostro impegno nella solidarietà e nell’aiutare e sostenere quanti soffrono e necessitano del nostro aiuto. La riflessione di mons. Nosiglia si apre con il testo biblico Matteo 14,23-33, questo brano colloca il “Non temete” all’interno di una situazione di pericolo per gli apostoli e in particolare per Pietro.

La fede è dono e forte invito a vincere la quotidiana battaglia della vitaLa barca dei discepoli, durante la traversata notturna del lago, si trova in mezzo alla tempesta, è sbattuta

dalle onde a causa del forte vento contrario. Sembra una notte interminabile in cui i discepoli lottano contro i marosi, nel buio fitto e nella paura. Come non vedere in questa barca un’icona della comunità di Gesù, della Chiesa? Come non vedere la quotidiana battaglia della vita, come lotta contro le fatiche e paure quotidiane, «Il timore di una nuova ondata del virus serpeggia ancora nel cuore di tanti» scrive l’Arcivescovo. Qualcuno dice che quello attuale è un tempo in cui “la barca si è riempita di acqua fino quasi a capovolgersi”, ed è vero; ma io direi che sempre, oggi come ieri, finché la barca non approderà alle rive del regno di Dio, sarà così. Il vero problema non sta nella tempesta, ma nella paura di quanti sono sulla barca, perché la paura è segno di poca fede nel Signore il quale, anche se non è sulla barca, è tuttavia il Signore della terra e del mare, di tutta la storia che, nelle sue mani, resta e resterà storia di salvezza.

La fede è messa alla prova Qui inizia la prova della fede di Pietro, fede che è sempre messa alla prova, perché non è mai un cammino facile e privo di sofferenza e fatica. Troviamo citati molti esempi nella lettera pastorale in cui la fede è messa alla prova, da Abramo a Sara, da Mosè a Maria, dai discepoli a Pietro. Sì, Gesù accetta la debolezza della nostra fede e ci tende la mano ogni volta che noi cadiamo o sprofondiamo. Siamo spaventati e come Pietro siamo messi alla prova, il contagio infatti sembra non dare tregua nel mondo e anche nel nostro paese emergono situazioni che ci preoccupano. Il Signore ci invita a non aver paura.

Credere senza riserve all’impossibile di Dio Pietro scende dalla barca e cammina sulle acque verso di lui; ma non appena sente la potenza del

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vento, ha paura e comincia a sprofondare, gridando: “Signore, salvami!”. «Si può pensare che sia umano e logico questo atteggiamento; che non c’entri la fede, perché si tratta di prendere coscienza di quello che si sta facendo e di affrontare una situazione difficile, superiore alle proprie forze. In realtà, come dirà poi Cristo, rimproverando Pietro, si tratta proprio di una mancanza di fede: questa è la causa che lo fa sprofondare.» Ed ecco la preghiera del cristiano sempre, preghiera che nel profondo del cuore deve essere presenza costante, pronta a diventare parole che si fanno invocazione, in ogni momento di consapevolezza della propria fragilità. Per questo il Cristo ribadisce il «non temete», che è la promessa più radicale e impegnativa che Dio possa farci. Paolo afferma: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10), perché, riconoscendo di non poter vincere la battaglia contro il male, si affida a colui che gli dice: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12, 9).

L’esperienza di Pietro: specchio della nostra realtà di discepoli del SignoreGuardando alla nostra vita, possiamo riconoscerci in Pietro per una serie di motivi. Dall’entusiasmo iniziale che ha avviato la nostra vocazione cristiana, il battesimo, il matrimonio, la consacrazione religiosa che abbiamo accolto con gioia e entusiasmo guardando fisso con lo sguardo verso Gesù. Allo Scoraggiamento che con il passare del tempo si insinua nel nostro cuore e come Pietro siamo tentati a razionalizzare, ma che dobbiamo saper affrontare. L’aiuto del Signore è un elemento essenziale per poter rinforzare la nostra fede e il legame con Cristo. Non siamo sempre in grado di risolvere i problemi da soli, la preghiera è l’elemento vitale che crea il cristiano e permette l’incontro con Dio.

Il Mistero della fede che ci aiuta a credere Dove possiamo trovare questa forza che radica la fede? La risposta è l’Eucarestia che non significamettere al centro se stessi, ma è sempre aperta al dono di sé, per il Padre e per la Chiesa tutta. Così come ha vissuto Gesù la sua Eucaristia, il suo sacrificio pasquale: «Padre non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

Il credere è il “noi” della comunitàPer concludere questa prima parte l’ultimo elemento è il “noi” comunitario. La fede oltre ad avere una dimensione personale, ne ha una più importante che è quella comunitaria. Abbiamo molti modi per vivere e fare germogliare questa fratellanza, attraverso la Parola di Dio accolta e meditata non solo per gli altri ma per se stessi; l’insegnamento della Chiesa; la preghiera delle Ore e il Santo Rosario… Ma possiamo

usufruire oggi di altri modi semplici e immediati, come gli incontri di gruppo in molteplici occasioni, in cui ci si può aprire con sincerità al dialogo sulla fede e sulla vita spirituale, scambiandosi così doni, dubbi, esigenze reciproche.Non ci viene nascosto che questa è la via più complicata, perché spesso la paura di aprirsi agli altri, di essere giudicati, di confrontarsi può creare delle difficoltà così come lo fu per i discepoli (cfr. Mc 9,33-41).

Maria: modello di fede accolta, vissuta, testimoniataMons. Nosiglia termina la lectio con un richiamo a Maria, riferimento di una vita di fede.L’esperienza vissuta da Maria, dall’accettazione incondizionata del disegno di Dio, al pronunciamento del proprio “si”, alle sofferenze della fuga in Egitto, all’episodio del Tempio di Gerusalemme e la passione e morte del Figlio suo, sono un esempio per tutti noi per rinforzare la vocazione ad essere discepoli di Cristo.Dopo la riflessione biblica, l’Arcivescovo passa a richiamare i quattro soggetti prioritari della pastorale: la famiglia piccola «chiesa domestica», i giovani «sentinelle del mattino», i poveri «i nostri padroni», il lavoro e la dignità di ogni persona.

La famiglia piccola “chiesa domestica”La lettura del brano del Vangelo “Dove sono due o tre uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt. 18,20) introduce il capitolo sulla famiglia.Il richiamo alla famiglia come primo nucleo della comunità e punto centrale della catechesi sono evidenti. I genitori, i nonni svolgono il primo compito di annunciatori del Vangelo ed è per questo motivo che la pastorale familiare diventa essenziale e centrale con particolare attenzione agli anziani e malati. Occorre evitare la frammentazione della pastorale verso le nuove generazioni, ma concentrare gli sforzi e valorizzare la famiglia come Chiesa domestica come esempio e testimonianza cristiana, formatrice pastorale e catechetica. Per aiutarla a non chiudersi in se stessa può intervenire la comunità, che abbia acquisito una solida esperienza di pastorale familiare. Occorre evitare che l’educazione religiosa e morale venga delegata solamente alla scuola e catechisti, ma è fondamentale rimettere al centro la famiglia come elemento base della pastorale. Il "progetto Tobia" risponde a queste esigenze e promuove questa formazione ai ragazzi e alle famiglie. Occorre pensare a nuove équipe che sappiano affiancare gruppi di genitori disponibili a svolgere nella propria casa un primo cammino di evangelizzazione; a questo fa riferimento il "padrinato" che potrebbe essere proposto alle giovani coppie all’inizio della loro esperienza matrimoniale. Questa catechesi familiare non sostituisce quella parrocchiale e "scolastica", ma l’affianca dando un impulso nuovo e più incisivo.

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I giovani le sentinelle del mattino Un primo passo è superare la “pastorale giovanile stagionale”, occorre dare continuità agli interventi educativi, i cammini vanno estesi e consolidati. Alcuni di questi cammini già richiamati negli anni scorsi devono essere incentrati sulla Parola di Dio, sui sacramenti e sul rapporto fede-vita. Occorre avviare e seguire sul campo sperimentazioni di prima evangelizzazione e di spiritualità missionaria, tramite animatori locali che operino su un progetto comune, missionario vocazionale coinvolgendo la pastorale giovanile, scolastica e universitaria. Coinvolgimento essenziale è quello dei presbiteri e dei laici che devono collaborare con chi opera nel campo giovanile dei vari ambienti (scuola, università, tempo libero, volontariato...).Nell’Assemblea di giugno 2021 si parlerà di questa “uscita” dei presbiteri e delle persone consacrate per incontrare ed essere testimoni oltre gli ambiti parrocchiali… Il fine su cui puntare nei prossimi anni è quello della promozione di équipe missionarie negli ambienti giovanili che vanno dalla scuola, al tempo libero, all’emarginazione e alla strada. Essere missionari negli ambienti difficili e complessi in cui il giovane vive è importante: non solo scuola e università, ma anche luoghi di lavoro e di servizio possono essere punti di incontro. È difficile avere dei testimoni cristiani adulti, affidabili e non occasionali. Le difficoltà che incontra il servizio educativo ai nostri giorni è evidente, a partire dalla carenza di educatori ed animatori preparati e disponibili per le fasce di adolescenti. La catechesi dei cresimandi sarebbe più opportuno affidarla a giovani preparati, piuttosto che catechisti adulti, in modo da instaurare un rapporto amicale e coinvolgente.L'oratorio è un punto di incontro e di accoglienza nel vero senso della parola, dove ogni singola persona che arriva si senta riconosciuta e accompagnata personalmente sulla via della fede. Conclude il Vescovo con questa considerazione: “Sono certo che anche i ragazzi “della strada”, se fossero avvicinati così dai sacerdoti o dagli animatori, riserverebbero delle sorprese e delle risposte inaspettate. Il fatto è che noi non abbiamo il coraggio e il tempo di farlo”.

I poveri i nostri padroniDice mons. Nosiglia: “Mettersi a servizio dei poveri

significa «guadagnare» il senso della vita. E siamo chiamati, anche, a riconoscere i poveri: che spesso sono molto più vicini di quanto pensiamo alle nostre esistenze «normali». Cercare la giustizia, educarsi alla solidarietà sono le vie che ci preparano a costruire una vita di carità. La vita umana trova il suo metro di realizzazione nell’amore dato o rifiutato al povero, al forestiero, all’affamato, all’assetato, al nudo, all’ammalato, al carcerato. Gesù si identifica con queste persone: ogni volta che hai aiutato, o non ha aiutato, uno solo di questi miei fratelli, lo hai fatto, o non lo hai fatto, a me (cfr. Mt 25,40).

Il lavoro e la dignità di ogni personaIl lavoro è la vocazione fondamentale che ogni persona riceve gratuitamente e gratuitamente dovrebbe restituire, pertanto il lavoro non è solo necessità, ma fa parte del senso della vita e della realizzazione umana. È fondamentale l’impegno dei laici negli ambienti della vita pubblica, l’invito è a riprendere la “dottrina sociale della Chiesa” per la catechesi e la formazione di base. Questa pandemia ha messo in risalto la fragilità della nostra società a gestire una situazione così complicata, esercizi commerciali serrati, tanti lavoratori nel dramma della disoccupazione, cinquantenni espulsi dal lavoro e tantissimi giovani che nemmeno più lo cercano. Per le piccole e medie imprese, artigiani e famiglie con mutui, morosità e debiti non voluti, la comunità può essere l’elemento decisivo per creare una rete di sostegno e di solidarietà verso chi è bisognoso.

Lo stupore della contemplazioneA conclusione ancora un invito a una ripresa fiduciosa: «Ritorno all’inizio di questa lettera», ha concluso mons. Nosiglia, «in cui pregavamo e riflettevamo su Pietro che chiede al Signore di poterlo raggiungere camminando sulle acque. Egli contempla il volto di Gesù che gli permette di affrontare anche la tempesta, segno di ogni avversità e problema che appare umanamente impossibile da affrontare. Pietro però l’affronta con tranquillità interiore, carica di fiducia, di speranza e di stupore. La presenza del Signore, quando diventa una realtà vissuta, apre alla meraviglia e alla sorpresa di Dio».

Pino Panniello

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Un’enciclica “francescana”Terza enciclica di papa Francesco, come la seconda annunciata e firmata ad Assisi, quindi volutamente riferita alla figura del Santo da cui il papa ha preso il nome, ma anche lo stile di vita.Enciclica sociale, come la Laudato si’, sulla scia delle encicliche con cui la Chiesa nei ultimi due secoli ha voluto dare indicazioni precise per vivere in modo autentico la fede nelle condizioni sociali e politiche della modernità.È dedicata alla fratellanza universale, motivo ispiratore e obiettivo dichiarato del papa con questo scritto. Perché questo è il messaggio del vangelo e anche il senso della Chiesa, incarnata nelle vicende umane come il suo fondatore, coinvolta dalla sua missione in tutto ciò che è umano.È composta da una introduzione e otto capitoli (287 paragrafi) per terminare con una conclusione e due preghiere.Una riflessione densa e stimolante che inizia con un francescano “Fratelli tutti”, per intendere che lo scritto è rivolto a tutti, in quanto tutti sono fratelli. Esplicita in questo modo l’intenzione di estendere pensieri e indicazioni non solo ai cattolici, ma a tutti i credenti e agli uomini di buona volontà, sulla scia dello stile di Giovanni XXIII.Non pensieri originali, ma una raccolta e sistemazione di riflessioni pronunciate in tempi diversi negli ultimi anni e prendendo spunti da altri scritti e documenti significativi. Già iniziata prima della pandemia, è stata completata e si adatta bene alla situazione di crisi che l’umanità sta vivendo in questo periodo, ampliando la riflessione e accentuando i toni di un appello all’umanità di fronte alle situazioni problematiche e di sofferenza che interpellano tutti.Se tutto è connesso, anche la crisi che stiamo vivendo ha radici nella nostra realtà globale: non come castigo di Dio o della natura, ma perché ci fa toccare con mano le nostre incurie e fragilità, il mancato impegno per una società in cui il bene comune sia tutelato e disponibile per tutti.

L’umanità alle prese con le sue ombre Il primo capitolo offre una panoramica sintetica, ma precisa, dei gravi problemi che affliggono l’umanità e ostacolano una autentica fraternità.Alla base di tutti i mali sta l’egoismo e la perdita di senso sociale che provocano nuove forme di colonizzazione, la negazione dei diritti umani fondamentali, forme chiuse di nazionalismo, disprezzo e distruzione dell’ambiente, soprusi e violenze nei confronti delle categorie più deboli e bisognose… una perdita di umanità che non può lasciarci indifferenti.Così, il nostro mondo avanza in una contraddizione

palese: la pretesa di «garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia».E la recente crisi, ora in fase di recrudescenza, ci ricorda non solo le nostre fragilità, la nostra assoluta interdipendenza, ma anche la necessità di costruire reti universali per uscire, insieme, in maniera solidale, da questa situazione.

Lo stile del Samaritano La descrizione ampia e minuziosa della grave situazione in cui versa l’umanità, non chiude le porte alla speranza. La parabola del buon Samaritano fa da sfondo alla possibilità di un nuovo atteggiamento verso le persone: superando l’indifferenza degli “impegnati”, la lontananza dei “buoni”, il disprezzo dei “perfetti”, il samaritano sceglie la vicinanza, la com-passione e si prende cura, senza tante domande o recriminzioni, della persona che incontra nel suo cammino, portando il suo aiuto immediato, concreto, provvidente.Due persone importanti e impegnate religiosamente non si fermano, non hanno cuore, non hanno tempo, neanche per cercare aiuto: disattenzione e incuria significano perdita di umanità, “sintomi di una società malata che mira a costruirsi voltando le spalle al dolore”.Rovesciando la domanda dei farisei (“Chi è il mio prossimo?”) Gesù provoca ad un atteggiamento nuovo: non solo la cura del vicino, ma la preoccupazione e il coinvolgimento reale nei confronti di uno sconosciuto, tanto più che a realizzarlo è un “odiato” samaritano.Come nella parabola del Giudizio finale non è l’appartenenza religiosa che ci realizza in modo automatico, ma solo la “cura effettiva” del fratello ci avvicina al disegno di Dio. E anche la parabola ci interpella, ieri come oggi: a chi assomigli? da che parte stai?

Per un mondo fraterno La nostra natura uamana è relazionale, ha bisogno degli altri e viceversa. E ogni relazione è proiettata oltre la propria persona e i confini parentali: un mondo aperto e solidale non è solo una idealizzazione, ma una necessità per la nostra umanità. Per questo il papa insiste sulla solidarietà come superamento dell’individualismo diffuso, sul rispetto della dignità di ciascuno, sui diritti fondamentali delle persone alla vita, alla casa, ai beni essenziali… di qui l’appello per ripensare un’”etica delle relazioni internazionali”.Per superare questa chiusura viene indicato un atteggiamento di maggiore comprensione e attenzione alle esigenze delle persone con cui veniamo in

Fratelli tutti

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contatto: un occhio più sensibile alle necessità, alle diversità, alle naturali inclinazioni e diverse modalità di affrontare la vita. In questo contesto ricorda l’origine evangelica dei valori di “libertà, uguaglianza, fraternità”, spesso travisati e assolutizzati, quindi privati del loro originario significato e della loro forza: sono valori interdipendenti e non debbono essere fraintesi.E tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo per rendere questo mondo più solidale e più fraterno, ciascuno nelle sue relazioni ed esperienze, senza chiuderci nel piccolo mondo delle nostre tranquille sicurezze, acquisite spesso distogliendo lo sguardo e il cuore dalle sofferenze che sperimentiamo quotidianamente in modo diretto o attraverso i media.Questa esperienza, certamente impegnativa, sarà anche la nostra ricchezza: il dono, la gratuità, l’attenzione agli altri diventa occasione di nuove esperienze, di aperture, di crescita umana.

Una fraternità senza confini Molto significativo l’accento sulla reciprocità necessaria anche tra i Paesi per il loro sviluppo e il loro progresso: anche nei rapporti sociali siamo interdipendenti, legati agli altri e necessari al loro vero sviluppo. Solo l’accettazione di questa dinamica delle relazioni ci consente di crescere e svilupparci, attraverso cammini di condivisione e di integrazione.Questa apertura, questo respiro globale non minaccia la nostra identità, ma anzi la fa progredire, la proietta verso una dimensione più concreta e vitale, perché ogni chiusura prelude all’isolamento e all’estinzione.Molto netta la sua posizione sul tema dell’immigrazione. Apertura al mondo significa anche ospitalità all’umanità che bussa alle nostre porte. Certo l’immigrazione può portare a sentimenti di diffidenza e di paura, ma anche questa situazione può diventare una opportunità per crescere e diventare più umani, soprattutto se genera com-passione e rispetto della dignità di tante persone che che fuggono da situazioni tragiche di guerra, violenza o povertà estrema. L’immigrazione deve essere controllata e pianificata per rendere meno complicato il processo di integrazione, necessario, ma sempre difficile: culture e tradizioni, persone e gruppi hanno bisogno di tempo per poter accettare e condividere “mondi” spesso radicalmente diversi. Se è prioritario creare delle condizioni per cui nessuno sia costretto a lasciare il proprio Paese, lasciamo anche la libertà a ciascuno di cercare condizioni migliori di vita per una realizzazione più completa per sé e per la sua famiglia. E quindi viene auspicato l’impegno di tutti per accogliere, proteggere, promuovere e integrare: obblighi morali di una società che cammina verso il rispetto dell’umanità di ogni essere umano.

Una politica “migliore” Siamo tutti “scontenti” della politica di questo o di quello, delusi e arrabbiati per tanti motivi… Ma in tale contesto il papa, ricordando i suoi predecessori, ribadisce la necessità dell’impegno “politico” per il cristiano: per una buona politica, quella vera, intesa come servizio del bene comune. Una politica, cioè, centrata sul bene comune, libera dalle pressioni dell’economia o dell’ideologia dominante, ma preoccupata di far crescere l’umanità del popolo che gli è affidato, nella coscienza della propria identità contemporaneamente ai suoi impegni nei confronti degli altri popoli. Il Papa ritorna spesso sulla necessità di una governo sopranazionale in grado di promuovere e sostenere il bene comune in un mondo ormai globalizzato. Vale per l’ONU, ma anche per altri organismi che devono diventare promotori e sostenitori di una politica “migliore”, attenta cioè alle vere esigenze dell’umanità, per aiutarla a superare i grandi problemi che l’affliggono: la fame e la schiavitù nelle sue varie forme, le violenze di ogni genere e la guerra diffusa, l’ingiusta distribuzione del benessere e l’incuria della natura. Una politica che si fa tenerezza: inedito questo legame tra politica e tenerezza, ma per affermare che «l’amore si fa vicino e concreto… parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani… la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti…».

La sfida del dialogo Non solo tra i singoli e i gruppi, ma anche nelle relazioni tra gli Stati deve prevalere il dialogo come stile di vita per coabitare e soprattutto risolvere contrasti e conflitti. Il dialogo perché rispetta la dignità dell’altro e obbliga alla ricerca di una soluzione valida per tutti, tenendo conto delle caratteristiche diverse e delle esigenze proprie di ciascun gruppo o nazione. Esso favorisce una profonda amicizia sociale sia nei piccoli gruppi che nelle grandi organizzazioni per raggiungere un clima di collaborazione e di solidarietà che costituisce la base di uno sviluppo umano integrale.Dialogo che obbliga a considerare l’altro come portatore di valori altrettanto validi quanto i miei: le sue ragioni non sono le mie, ma potrebbero aiutarmi a guardare più attentamente le mie, a capire meglio i problemi, a trovare soluzioni più adeguate. Il dialogo che favorisce le diversità perché, senza negare problemi e conflitti, incomprensioni e attriti, può portare ad un più alto livello di intelligenza delle situazioni e quindi a risposte più consone ai problemi e conflitti che attraversano singoli e comunità, gruppi sociali e nazioni. Soprattutto il dialogo deve porre una attenzione particolare agli ultimi, perché tutti sono portatori di dignità e umanità, carichi di valori e diversità che rendono un popolo più “ricco” e più aperto alle esigenze

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di tutti.Un dialogo che parte dalla gentilezza: termine caro a papa Francesco che qui vuole indicare «liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici... presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti».

La pace è impegno di tutti Tema del capitolo è soprattutto il valore e la promozione della pace; ma connesso al tema della giustizia e della equità, da cui ogni pace dipende.Riprendendo il tema delle profonde tragedie che hanno sconvolto e provocato l’umanità, anche solo nell’ultimo secolo, dalla Shoha ai tanti massacri etnici, dalle persecuzioni alla schiavitù, alla tragedia della fame… ribadisce che non si deve dimenticare, anche se è importante provocare il perdono per rompere la spirale di male e violenza che tormenta anche coloro che hanno subito ingiustizia.Presupposto della pace è la giustizia, l’equità sociale, il rispetto della dignità e dei beni delle persone. Anche di fronte a soprusi e ingiustizie si può perseguire un clima di fratellanza e di pace. Il perdono, o almeno la tolleranza, possono permettere di ricominciare, di riprendere il dialogo e la fiducia per costruire un clima di fratellanza reale.Ma perdonare non significa dimenticare, bensì seguire la strada della giustizia e altri percorsi alternativi all’odio e alla violenza, al rancore e alla vendetta che minano anche il cuore di chi ha subito ingiustizie. E non dimenticando anche tanti gesti di bontà e tanti eroismi in situazioni di male… a confermare la persistenza di vera umanità nel mezzo delle tragedie. È in questo contesto che il papa ricorda la necessità di affrontare le esperienze di disumanizzazione in atto: la fame, soprattutto, che potrebbe essere sconfitta con le risorse impiegate per gli armamenti. Tanto più che nessuna guerra può ormai essere giustificata, considerando la potenza distruttiva delle armi oggi circolanti e le tragedie che provoca senza portare spesso a condizioni migliori. La dignità di ogni persona impone anche una revisione della pena di morte: ogni persona ha diritto ad una pena rispettosa della sua dignità, ancorché macchiata da atroci delitti. E discorso analogo si può fare per l›ergastolo, una sorte di «pena di morte» camuffata. Pare impossibili che gli Stati non abbiamo altro mezzo per difendersi…!!!

Le religioni unite per la fratellanza È chiaro che un ruolo e un impegno particolare spetta alle religioni, chiamate a rispondere alla loro missione di rendere concreta quella fratellanza comune derivata dalla fede.L’impegno per la pace e la concordia tra i singoli e le comunità è bene prezioso di ogni tradizione religiosa e in questo senso sono chiamati a dialogare tutti i responsabili e i fedeli appartenenti alle diverse fedi. Il ruolo della fede è determinante nel creare condizioni e motivazioni di pace e fratellanza a partire dalle profonde concezioni di fraternità che legano i fedeli, figli di uno stesso Padre, che vuole la concordia e la pace.Nessuna religione può generare la violenza: questa può solo derivare dalle deformazioni personali e ideologiche della religione, dagli usi strumentali delle credenze e delle convizioni.Il Documento sulla fratellanza… firmato ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib (4 febbraio 2019) è una ulteriore conferma all’impegno delle grandi tradizioni religiose per la pace e la fratellanza universale, nella convinzione che questo confronto e collaborazione possa essere un grande vantaggio per entrambi le culture dell’Oriente e dell’Occidente.La centralità delle religioni è ribadita anche rispetto al fondamento della norma morale da rispettare: solo un fondamento trascendente l’essere umano può diventare una motivazione che vincola dal profondo in ogni tempo e in ogni luogo, altrimenti dipendente da mode e costumi di false democrazie o reali dittature. E la Chiesa in questo contesto, assieme ad altre chiese e tradizioni religiose si pone con spirito di solidarietà per realizzare una umanità sempre più vicina a quella progettata da Dio dall’eternità.

Silvano Giordani

http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html

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La Politica vista con gli occhi dell'enciclica “Fratelli Tutti”

Il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, Papa Francesco e l'Iman Amad al-Tayyeb, hanno firmato uno storico documento sulla fratellanza. I due leader si sono riconosciuti fratelli e hanno esaminato insieme il mondo d’oggi. E che cosa hanno capito? Che l’unica vera alternativa a questo mondo sempre sull'orlo di una guerra dagli esiti catastrofici è la fratellanza.Ecco, partirei da qui per esaminare questa nuova Enciclica. Il tema non è nuovo ai cristiani e neanche ai laici. Durante la Rivoluzione Francese, il motto era: “Liberté, egalité e fraternité”. Purtroppo con il passare degli anni si è molto discusso, e combattuto, per la libertà e per l'eguaglianza, mentre la “fraternità” è rimasta in sordina e poco alla volta cancellata dal lessico politico-economico, sostituita con il termine di “solidarietà”. In un recente messaggio Papa Francesco ha scritto: «Mentre la solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse».Le tematiche affrontate in questa Enciclica sono tantissime ed io sfiorerò solo quelle più legate alla problematica politica.Alla politica il Santo Padre dedica un intero capitolo, il 5°, a dimostrazione dell'importanza che Egli vuol dare al tema, ma non è tenero nei confronti dei politici, anzi. Parte subito mettendo in evidenza che cosa servirebbe: “Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale (...) è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso”.Una premessa che prosegue con l'analisi dei pericoli (individualismo ed egoismo) creati non solo dal mercato, che spesso il mondo economico liberale considera come il risolutore di tutte le questioni, ma anche dal populismo: due facce dello stesso problema!“il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti. In entrambi i casi si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda i deboli e rispetti le diverse culture”.Non ci servono leader che alimentano l'odio e la divisione, ma servono Capi capaci di costruire ponti per creare collegamenti tra nazioni diverse, tra culture diverse, tra persone diverse. Attraverso la “fratellanza” e con azioni concrete il Santo Padre ci indica la strada.Per il Papa, ciò che è veramente popolare (non populista) è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha messo dentro di noi, le nostre capacità, i nostri talenti, la nostra iniziativa. Questo è il miglior aiuto per il povero e per ciascuno

di noi. Dare a tutti la possibilità di lavorare e di poter contribuire al mantenimento e alla crescita della propria famiglia. La visione liberale, che spesso ignora la fragilità umana, tende a pensare che il mercato da solo possa trovare la soluzione a tutti i problemi. Ma non è così.“il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere in questo dogma di fede neo liberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che riproduce sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti... Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a promuovere un'economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale, perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli... D' altra parte, senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare... La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno”Qui il Santo Padre evidenzia come oggi il termine “politica” sia vissuto come sinonimo di qualcosa di brutto, e non manca di evidenziare come dietro la politica ci siano, a volte, errori, corruzione, inefficienza. A questo quadro a tinte fosche, aggiunge però l'impressione che ci siano strategie che mirano ad indebolire la “Politica”, a sostituirla con la finanza e con soggetti espressione dei poteri forti. Papa Francesco, a questo punto, si pone una domanda: “ Può funzionare un mondo senza politica?”Il capitolo 5° dell' Enciclica andrebbe letto tutto (sono solo una decina di pagine) per ben comprendere il pensiero del Santo Padre sulla questione politica. Citerò solo alcuni passaggi tratti dalla “fratelli tutti” che risponde al quesito posto:“Mi permetto di ribadire che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia»... «abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi». Penso a «una sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose». Non si può chiedere ciò all’economia, né si può accettare che questa assuma il potere reale dello Stato... La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali... Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi. In tal modo, un’economia integrata in un progetto

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In «Fratelli tutti» un invito alla Fraternità e alla Pace.

«Fratelli tutti», con queste semplici parole San Francesco d’Assisi  individua un legame forte fra le persone, che implica sentimenti importanti. Indica non vite solitarie, ma vite intrecciate nella condivisione, nella solidarietà, nell’aiuto. Un legame inclusivo, che unisce indistintamente tutte le persone, senza alcuna esclusione, al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione.E San Francesco estende il legame di fratello e sorella alla madre terra, al sole, al mare, al vento; riconosce il contributo prezioso di ognuno di essi all’esistenza di noi tutti. Questa concezione, di una stretta relazione fraterna fra tutti gli esseri, deriva dalla profonda convinzione religiosa che Dio Padre è l’origine del tutto. Per un credente vivere il proprio credo in Dio Padre implica riconoscere gli esseri come  «Fratelli tutti». E questo comporta adoperarsi concretamente per un mondo fraterno, più equo e più giusto, dove nessuno possa essere considerato uno “scarto” e ognuno abbia dignità, nella consapevolezza che la Pace si può realizzare solo se si afferma la Giustizia. E in questo modo si fa proprio il senso di reciproca appartenenza indicato da Gesù: «Voi siete tutti fratelli» Papa Francesco afferma: «Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» «Da soli si rischia di avere dei miraggi… i sogni si costruiscono insieme». È una sollecitazione

rivolta a tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti, un invito a dare significato e valore alla propria esistenza facendo «rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità».Oggi in presenza di una forte tensione internazionale e di una «guerra mondiale a pezzi», questo invito risulta estremamente importante, Possiamo verificare come i conflitti, con armi convenzionali su aree limitate, dimostrino tutta la capacità distruttiva di territori e popolazioni, in particolare dei soggetti più deboli. Ma una guerra globale con l‘uso delle armi nucleari, chimiche e biologiche e delle enormi possibilità offerte dalle nuove tecnologie, avrebbe un effetto distruttivo incontrollabile, sarebbe sicuramente una sconfitta irreversibile per tutta l’umanità. Accogliere l’invito ad essere «Fratelli tutti» e costruire la Pace, sostenere l’operato degli organismi internazionali, preposti alla soluzione dei conflitti attraverso trattative responsabili e trasparenti, scaturisce sì da obblighi morali, ma è oggi condizione necessaria alla nostra sopravvivenza, a quella degli altri esseri viventi, nostri fratelli, e a tutte le bellezze naturali.Essere in Pace con se stessi e con gli altri, essere inclusivi, superare i conflitti a tutti i livelli, attraverso un dialogo sincero e paziente è rendere la nostra vita e il mondo migliori.

Il nostro impegno di Assopace di Rivoli consiste nel diffondere una Cultura e iniziative di Pace nella nostra Comunità.

per “Associazione per la Pace” – gruppo di RivoliGiovanni Casciaro

politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune può «aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo»... Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune»... Questa carità politica presuppone di aver maturato un senso sociale che supera ogni mentalità individualistica: «La carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce». Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona. Popolo e persona sono termini correlativi. Tuttavia, oggi si pretende di ridurre

le persone a individui, facilmente dominabili da poteri che mirano a interessi illeciti. La buona politica cerca vie di costruzione di comunità nei diversi livelli della vita sociale, in ordine a riequilibrare e riorientare la globalizzazione per evitare i suoi effetti disgreganti. “Il Santo Padre chiede a tutti quelli che hanno indole e capacità di occuparsi di Politica che, come diceva Paolo VI è: “ una delle forme più alte di carità”. Occorre lavorare per il bene comune, avendo un orizzonte temporale che vada oltre le elezioni del mese dopo. Occorre avere una visione di lungo periodo al fine di modificare in meglio ed in profondità lo stato attuale delle cose, sia a livello mondiale che a livello locale, cercando di mettere in secondo piano il proprio ego ed il proprio interesse personale. Occorre costruire una comunità fatta non solo di singole persone, ma anche nella “dimensione sociale che le unisce”.

Franco Rolfo

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TuttiColpisce il titolo dell'enciclica papale " Fratelli tutti" per quella posizione predicativa di "tutti": non siamo "tutti fratelli", siamo "fratelli tutti" cioè senza esclusioni. Colpisce e immette subito nel cuore del discorso; è un affermare che tutto deriva e tutto si compendia in quella espressione.L'enciclica va considerata un testo di dottrina sociale della Chiesa, ma il capitolo secondo è un momento di espressione alta di umanità, di riflessione sull'uomo, sui talenti che riceve e sul loro utilizzo.I quattro personaggi della parabola del Buon Samaritano - dice il Papa - sono tutti presenti dentro ciascuno di noi. Dipende dalla nostra cultura e dalla nostra sensibilità far emergere l'uno o l'altro.

Il Vincenziano come il SamaritanoOgni volontario vincenziano conosce bene la parabola e vorrebbe essere il Samaritano: si ferma in presenza di chi è in difficoltà, lo accoglie, lo ascolta. Se ha una casa, lo visita; se ha fame, gli da cibo; se non ha vesti, gli da quanto serve per coprirsi; se è malato , lo cura; se è turbato, lo consiglia.Essere ascoltati è un momento importante nella vita di chi normalmente non viene considerato; è anche un momento delicato perché parlare di se significa mettersi a nudo. Il volontario sa che non deve sopraffare, che deve stimolare senza umiliare perché è in quel momento (per altro necessario per capire il vero problema da affrontare insieme) che bisogna salvaguardare la dignità della persona.I primi incontri sono determinanti per creare la relazione, strumento base per un accompagnamento verso la riscoperta delle proprie potenzialità, oscurate dai fatti negativi della vita. Attraverso

l'accompagnamento è possibile educare e favorire l'istruzione che offre nuove opportunità e apre nuove vie.Ricordare la scuola di italiano per gli stranieri e per le donne,spesso chiuse nel loro isolamento perché precluse ad ogni apprendimento; ricordare i corsi di sostegno per i ragazzi più fragili, destinati all'abbandono scolastico, anticamera di sbandamenti e disoccupazione; ricordare il lavoro di convincimento a frequentare corsi di scuola secondaria per superare l'ignoranza e trovare una collocazione dignitosa; ricordare le lezioni frontali per ragazzi/e che in casa non trovavano stimoli e competenze per superare le difficoltà del momento. Ricordare é bello, ma si vorrebbe che quei servizi fossero una realtà anche attuale, invece gli ostacoli da superare oggi sono tanti e insormontabili: i finanziamenti, i locali, la pandemia che con tutte le sue limitazioni riduce ogni attività, distanzia le persone, obbliga alla via telematica per qualsiasi operazione.Tuttavia si é aperto un nuovo modo di portare aiuto: i volontari capaci sono a disposizione per fare,ma , soprattutto, per insegnare a comunicare via internet. Infatti la conoscenza porta all'autonomia e l'autonomia all'autostima.Il Covid 19 ha portato alla luce tanta generosità. IL cibo, i farmaci non sono mancati, ma la solitudine si é fatta più acuta perché i motivi precauzionali hanno rarefatto le visite. Non siamo stati soli: come il Samaritano spende di suo, ma si affida anche alle cure del locandiere, così il volontario ha intrecciato e intreccia relazioni con le altre Associazioni e con le Istituzioni perché non sia lasciato indietro nessuno perché siamo fratelli Tutti.

Maria Antonia e il G.V.V. San Bernardo(Gruppo Volontariato Vincenziano)

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Da medico…Apparentemente scontato per il ruolo, ma mai più calzante in questo periodo  storico, è stato per me leggere il secondo capitolo della Lettera Enciclica "Fratelli Tutti". A partire dalla prefazione, tre frasi hanno già colpito la mia attenzione: 1) "false sicurezze" annientate in pochi mesi dalla pandemia del Covid-19 2) "incapacità di agire insieme" celata nella quotidianità, ma rapidamente smascherata dal venir meno delle routine 3) "iper-connessi" mai stati così vicini grazie alla tecnologia ma in realtà mai così lontani fisicamente e psicologicamente, sempre più divisi e soli. A questo punto rileggere la Parabola del Buon Samaritano e il commento di Papa Francesco hanno fatto emergere temi costanti nella pratica clinica. Per primo il concetto dell'abbandono, tema negli ultimi anni certamente più discusso e riconosciuto ma nella pratica clinica ancora molto acerbo, legato all'incapacità di saper accompagnare quando la "vittoria" clinica è impossibile, di non saper garantire i diritti fondamentali di un essere umano  (penso a Pazienti terminali ed oggi in particolare Pazienti Covid positivi in cui la sopravvivenza talora è legata alla legge del più forte). A seguire i due ruoli cardini della parabola poiché "ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza". Da medico posso sinceramente dire che con l'esplosione della pandemia, la paura, l'incertezza, l'insicurezza e la grande solitudine che questa situazione ha fatto emergere ci sono state fasi in cui

egoismo e paura hanno preso il sopravvento insieme ad una sensazione di disfattismo generale usata come compensazione e giustificazione di reazioni e comportamenti ingiusti. La sofferenza umana non solo fisica ma soprattutto emotiva e spirituale (penso a persone sole, limitate/abbandonate in un letto, senza possibilità di contatti umani riferendomi non alla visita clinica ma ad un sorriso, una carezza, una parola di conforto perché la pandemia ci ha limitato di certo il tempo a disposizione ma di sicuro ci ha tolto il contatto umano terapia indispensabile per la "guarigione") è stata una luce che ha posto di nuovo in me l'attenzione verso la "persona ferita", verso il mio concetto di guarigione di una Persona e anche nella speranza di essere un giorno soccorsa se dovessi mai essere di nuovo io la persona in qualche modo ferita. Ora sarei ipocrita a dire o a far finta di credere che la mia scelta ogni giorni sia quella di essere come il buon samaritano, ma nonostante le difficoltà che una nuova ondata di pandemia sta portando, credo meriti sempre e comunque "provare" e come ha scritto Papa Francesco imparare a sfruttare con cuore e mente aperta e pura le difficoltà come opportunità per crescere e non per sottomettersi. La dignità umana merita rispetto perché se un “buon samaritano” fisicamente o spiritualmente ci ha soccorso noi possiamo fare lo stesso con il nostro prossimo trasformando una “catena” umana in un percorso di speranza dove l’indifferenza nei confronti di chi soffre possa trasformarsi nel sostegno necessario a rialzarsi grazie all’aiuto di chi cammina accanto a noi.

Ilaria Salvetti

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Durante la mia recente visita dalla mia famiglia in Danimarca abbiamo fatto una gita a una piccola isola, che, per la precisione, occupa ottantotto chilometri quadrati del mare danese. Sull’isoletta ci sono tre paesini, e abbiamo fatto in tempo a visitarli tutti e tre. Ovviamente non si trovano a una grande distanza tra di loro. Eppure, nel passato, non sono stati legati da una grande simpatia o spirito di collaborazione. Ne testimonia la storia della chiesa di uno di questi paesini, che è stata costruita - diverse centinaia di anni fa - perché gli abitanti si rifiutavano di andare fino al paese vicino e frequentare la chiesa che si trovava lì. E non era l’unico esempio del sentimento di rivalità o di sospetto che era esistito tra le varie parti della piccola isola: era forte un senso di identità e di appartenenza che distingueva nettamente tra “noi” e “loro”.Ci si potrebbe meravigliare o sorridere un po’ di ciò che sembra una curiosità del passato (ma la storia delle due chiese non sembra però anche stranamente familiare…?). Purtroppo, però, altre notizie arrivate durante quei giorni di ferie mi hanno ricordato che ancora oggi spesso tendiamo a definire noi stessi e a interpretare gli eventi e il nostro mondo secondo lo schema “noi e loro”, o, forse è più accurato dire, “noi contro loro”. Anche in Danimarca, come ovunque in questo momento, il coronavirus è di ritorno e si cerca di tenere sotto controllo diversi nuovi focolai. Un compito da affrontare insieme, come comunità di cittadini, con senso di solidarietà, per il bene comune e in particolare per il bene di chi è più debole. Ma si ha l’impressione che non sempre sia questo spirito a animare il dibattito e il modo di affrontare l’emergenza. Come è successo anche in Italia - e altrove nel mondo - tocca a vari gruppi a turno fare da capro espiatorio per il contagio. La scorsa settimana in Danimarca si trattava di operai venuti dall’Est e soprattutto di una comunità di immigranti dal sud del mondo. Effettivamente tra questi gruppi il contagio era particolarmente alto; c’era chi cercava di focalizzare sui problemi sociali e di comunicazione che potevano spiegare questo fatto, in modo da poterli risolvere, ma facilmente la discussione degenerava verso il pregiudizio e la discriminazione.“Noi e loro” o “noi contro loro”, allora, anche in questo caso come in molti altri. È difficile essere “comunità”, in particolare nei momenti di complicazioni e di crisi, ma non solo.È più facile definire noi stessi, è più semplice e rassicurante comprendere il mondo ed i suoi problemi, se lo possiamo fare distinguendoci dagli altri, convincendoci di avere la ragione dalla nostra parte e che il torto stia dall’altra. Quasi sul modello di quelle serie televisive in cui c’è sempre una netta e poco complessa distinzione tra buoni e cattivi…Purtroppo neanche le comunità cristiane, i credenti, sono estranei a questo meccanismo. Basta pensare

alle guerre passate tra confessioni differenti, ma anche solo alle difficoltà di comunicazione e di collaborazione che ancora oggi spesso persistono – anche all’interno di una stessa comunità. L’identità che si crea in questo modo è un’identità negativa: noi siamo quelli che siamo perché non siamo come gli altri, perché non crediamo come gli altri credono, perché non ci comportiamo come gli altri si comportano. La Bibbia non incoraggia forse, in certe sue pagine, una simile mentalità? Solo per pensare al Nuovo Testamento, il Vangelo di Giovanni per esempio distingue i credenti dal “mondo”, i figli della luce da coloro che vivono nel buio della lontananza da Dio. A quest’ultimi la responsabilità dello stato di peccato del mondo e della stessa morte di Gesù. Ma sono concetti, questi del Vangelo, che intendevano incoraggiare i primi credenti in mezzo a una realtà che spesso era loro ostile, e che volevano spronare alla resistenza e alla fedeltà a Dio. Ma certamente lungo la storia testi biblici che esprimono simili idee sono stati usati per definire l’identità di comunità e credenti cristiani in contrapposizione ai non-credenti, e anche a altre religioni, confessioni, denominazioni o semplicemente ad altri credenti singoli. Un’identità negativa, convinta di avere il monopolio sulla verità o su Dio stesso. Gli stessi discepoli di Gesù stavano per cadere in questa trappola (Marco 9:38-41). Nell’episodio del Vangelo vorrebbero limitare al loro gruppo la vera conoscenza di Gesù e l’azione nel suo nome. Gesù però li corregge, lui non si sente minacciato da questi “altri”, non reclama il “copyright” del suo nome: “Chi non è contro di noi, è per noi”. Non nega che c’è chi è contro di lui – come sappiamo bene dai Vangeli che c’era – ma invita a non mettere subito steccati e chiudere le porte. Incoraggia i discepoli a trovare invece punti in comune, a riconoscere obbiettivi e convinzioni condivise anche in chi non appartiene al loro gruppo. Come discepoli/e di Gesù di oggi possiamo dare un esempio in questo senso, a cominciare dalle relazioni tra noi e con credenti appartenenti ad altri rami della fede, ma anche nelle molte situazioni quotidiane in cui ci viene proposta sotto varie forme la mentalità del “noi contro loro”. La fede non cerca la separazione o la contrapposizione, l’identità del credente non si definisce sempre negativamente, in contrasto con qualcosa o con qualcuno. Piuttosto nasce e si sviluppa all’interno di una comunità aperta a tutti/e coloro con i quali si riconoscono obbiettivi e speranze condivise in favore del mondo “che Dio ha tanto amato” (Giovanni 3:16).

Helene Fontana (pastora della Chiesa evangelica battista)

Fede e spiritualitàGiovanni gli disse: “Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome, e che non ci segue; e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo vietate, perché non c’è nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e subito dopo possa parlar male di me. Chi non né contro di noi, è per noi. Chiunque vi avrà dato da bere un bicchier d’acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa. (Marco 9:38-41).

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La basilica di Santa Sofia, ufficialmente nota come Grande Moschea Benedetta della Grande Hagia Sophia è situata nel distretto di Fatih, nel mahalle di Sultanahmet, di fronte al Palazzo di Topkapi e alla Moschea Blu, mentre a est si affaccia direttamente sul Bosforo. È sito UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità dal 1985. Scopo di questo contributo è di ricostruire le vicende storico-artistiche di Santa Sofia e di fornire spunti di riflessione sul potere dei simboli e sull’importanza di un futuro plurale.

Le fasi storicheLa prima fase dell’edifico risale al 340 d.C. e fu inaugurata nel 360 d.C. durante il regno di Costanzo II. Parzialmente ricostruita dal 404 sul progetto dell’architetto Rufino e riconsacrata nel 415 sotto l’imperatore Teodosio II, di questa fase sono stati rinvenuti dei blocchi di marmo, uno dei quali raffigura 12 agnelli, una rappresentazione metaforica dei 12 Apostoli. Durante la rivolta di Nika nel 532 contro l’imperatore Giustiniano viene data alle fiamme fino alle fondamenta assieme alla vicina chiesa di S. Irene, alle terme di Zeuxippo e a parte del palazzo imperiale. Questo evento fornisce all’imperatore Giustiniano il pretesto di trasformare la basilica immaginandola grandiosa e maestosa, una degna rivale della basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. Per il progetto si affida ad Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto, di cui lo storico Procopio di Cesarea scriverà nel suo trattato De Aedificis nel VI secolo. Santa Sofia presenta una pianta rettangolare (69,7 x 74,6 m all’interno) con una piccola abside poligonale opposta all’ingresso, il quale è preceduto da un vasto nartece dotato di un doppio portale con copertura a crociere, davanti al quale si apre un cortile circondato da portici a colonne. L’interno misura 56 m di altezza ed è diviso in tre navate che poggiano sui quattro pilastri. La navata centrale è sormontata dalla cupola rotonda attraversata da fitte nervature e poggiante su quattro archi sorretti da quattro giganteschi piloni sagomati.

All’esterno si innalzano quattro grandi contrafforti che raggiungono quasi la base della cupola, per contrastare i problemi di stabilità dell’edificio. Gli spazi tra i piloni e le zone dell’abside e dell’ingresso sono coperti da mezze cupole sorrette a loro volta da esedre a colonne. Un ordine di cinque arcate su colonne alte e ravvicinate sopra le quali è un secondo ordine di sette arcate più basse che ospita il matroneo, distingue le navate laterali senza absidi da quella centrale. La muratura sotto gli archi d’imposta è traforata da due file sovrapposte di finestroni ad arco, con dimensioni crescenti dai lati al centro in quelli della fila superiore. Altre finestre si aprono nella muratura dell’abside e delle navate laterali oltre che alla base della cupola, le quali formano una corona luminosa che separa la conca dalle strutture di sostegno. In seguito ai crolli, il progetto di terminare la cupola fu affidato a Isidoro il Giovane: ricostruisce la basilica con l’accortezza di aumentare l’altezza e ampliare gli archi d’imposta, in modo da ridurre leggermente il diametro della base. Le finestre sono collocate dove si sono formate delle crepe per evitare altre lesioni all’edificio. Le colonne sono ammortizzanti: la base e i capitelli in piombo presentano un certo margine per flettere e oscillare, un’ottima soluzione costruttiva in una zona sismica come il Bosforo. Ricostruita da un certo Tiridate nel 989 e successivamente tra il 1346 e il 1354, la basilica presenta una particolare decorazione musiva. Saccheggiata durante la quarta crociata, fu poi chiesa cattolica di rito romano tra il 1204 e il 1261 durante l’Impero Latino d’Oriente, divenne in seguito moschea nel 1453 sotto il regno del sultano Mehmed II, che fece aggiungere quattro minareti. Nel XVI secolo il sultano Solimano il Magnifico (1520-1566) fece collocare due colonne colossali su ambo i lati del mirāb, la nicchia che indica la direzione (qibla) della Mecca dove si trova la Kaba. Tra il 1847 e il 1849 sotto la direzione dell’architetto Gaspare Fossati, assistito dal fratello, si avvia un grande restauro complessivo dell’edificio e alle colonne vennero appesi otto giganteschi medaglioni

IL CURIOSO CASO DI SANTA SOFIA

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circolari, opera del calligrafo Kazasker Mustafa İzzed Effendi (1801-1877). Negli anni 1997-2002 il World Monuments Fund stanziò una serie di sovvenzioni per il restauro della cupola. Nonostante l’uso del complesso come luogo di culto fosse severamente vietato, nel 2006 subito prima della visita del Papa Benedetto XVI, il governo turco ha deciso di destinare una piccola stanza del complesso museale come luogo di preghiera per tutte le religioni. Il 31 marzo 2018 il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, nonostante i chiari e severissimi divieti, ha recitato il primo versetto del Corano nella basilica. Nel marzo 2019 il presidente Erdoğan dichiarò che avrebbe cambiato lo status di Hagia Sophia da museo a luogo di culto musulmano, mentre il 10 luglio 2020 il Consiglio di Stato turco ha annullato, su forti pressioni del presidente turco, il decreto di Atatürk del 1934. Lo stesso giorno il presidente Erdoğan ha riaperto al culto islamico la Basilica con un decreto presidenziale. Il successivo 24 luglio si è svolta, alla presenza del presidente turco e di numerose autorità turche e straniere, la prima preghiera pubblica islamica, durante la quale lui stesso ha letto alcuni passi del Corano, qualcuno ha indossato il fez (un copricapo ottomano vietato dal 1925 da Ataturk) e l’imam Ali Erbaş (ministro degli Affari religiosi in Turchia) ha salito le scale del pulpito con una spada ottomana nella mano sinistra, sulla cui lama sono incisi i versi della Sura della Conquista, motivando il suo gesto come una “tradizione”.

I mosaici La decorazione a mosaico in una prima fase era realizzata con tessere in oro su ampie campiture, e aveva come tema quello della croce e dei motivi floreali; la decorazione aniconica rispecchia le tendenze dell’imperatrice Teodora. In epoca iconoclasta (730-843) alcuni medaglioni musivi raffiguranti santi vengono rimaneggiati. Dall’867 al 1356, la basilica si riempie di mosaici, a partire da quello del Cristo Pantocratore (XI secolo) nella cupola centrale. Prevalgono le rappresentazioni degli imperatori: l’imperatore Basilio I (o Leone VI?) in atteggiamento di proskynesis, prostrazione, che venera le sante icone, col Cristo, la Vergine in trono e angeli in medaglioni. Il mosaico di Costantino IX (1042-1055) e della moglie Zoe fu realizzato, poi rimaneggiato dopo il 1042, per “cancellare” i tratti di Romano III, il primo marito di

Zoe, e sostituirli con quelli del nuovo. Forse posteriore al 1261, è la cosiddetta Deesis: raffigura il Cristo, affiancato dalla Vergine e da Giovanni Battista. Le ultimi propaggini musive della Santa Sofia risalgono probabilmente agli anni ’40 del 1300, quando Anna Paleologina (1307-1366) fa ricostruire l’arcone est della basilica, crollato poi in un sisma.

Il potere dei simboli, i simboli del potere e il futuro pluraleLa decisione di Erdogan di trasformare Santa Sofia in moschea ha scosso il mondo cristiano tutto e nel mondo musulmano le reazioni sono state contrastanti: Qatar, Libia e Iran si sono congratulate; EAU, Egitto e Arabia Saudita invece, hanno accusato il presidente turco di sfruttare l’Islam per recuperare consenso elettorale. Come dice Fedez in una sua canzone “non esiste prospettiva senza due punti di vista”. L’ICOM- ICOMOS ha rilasciato un comunicato ufficiale nel quale esprimeva tristezza per questo importantissimo sito Unesco, esprimendo perplessità riguardo la manutenzione, la conservazione e la fruizione, consigliando il governo turco di non prendere decisioni affrettate. Il portavoce del partito turco AK Party Omer Celik, ha precisato che “i mosaici dell’emblematica basilica di Santa Sofia di Istanbul saranno coperti durante le preghiere musulmane, ma rimarranno visibili ai visitatori negli orari autorizzati”, e le visite al sito UNESCO diventeranno gratuite. Secondo ICOMOS Turchia inoltre “questo magnifico monumento di storia dell’architettura mondiale può continuare a ispirarci come simbolo di fratellanza interreligiosa e pace nel mondo”. Per il futuro ci si augura che Santa Sofia continui ad essere un simbolo di pace e di coesistenza, di stratificazione religiosa e culturale della città situata fra due continenti.

Sara AurilettoBibliografia2002, G. Bora, G. Ficcadori, A. Negri, A. Nova, I luoghi dell’arte: storia, opere, percorsi, voll.1-2Sitografiahttps://muze.gen.tr/muze-detay/ayasofya (consultato il 25.7.2020)https://icom.museum/en/news/icom-and-icomos-joint-statement-%e2%80%a8on-hagia-sophia-istanbul-turkey/ (consultato 20.7.2020)https://www.ilpost.it/2020/07/24/santa-sofia-moschea-prima-preghiera/ (consultato il 24.7.2020)https://www.ilpost.it/2020/07/11/erdogan-basilica-santa-sofia-moschea/ (consultato il 12.7.2020)

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I campanili di San Martino

L’antico campanile della primitiva chiesa di San Martino ai Campi è vicino al campo da calcio “Don Luigi Ghilardi” della U.S. San Martino distante circa mezzo chilometro dalla Chiesa di Maria Immacolata Ausiliatrice. Questo rimane l’unica testimonianza di un antico borgo sulla collina che nel 1217 è attestato sotto il nome “Pieve di San Martino”, che nel 1291 fu progressivamente abbandonato per trasferirsi all’interno delle mura cittadine a causa della peste imminente. Il campanile si presenta tozzo con una pianta quadrata, misura 5m di lunghezza per 17m di altezza al vertice della cuspide: queste misure e quest’impostazione architettonica fanno pensare che in origine qui ci fosse anche un presidio militare e un luogo di osservazione, come si evince dalle feritoie aperte nei livelli superiori che permettevano di poter controllare in ogni direzione la zona per chilometri. Il campanile è articolato in 3 livelli sottolineati da fasce di marciapiano incomplete. I due piani inferiori e una parte della cella campanaria sono in opera lapidea, con l’uso di scapoli di pietra squadrata. I materiali di costruzione sono di provenienza quasi sicuramente locale. Attira l’attenzione un blocco lapideo scolpito in prossimità dello spigolo sud-ovest, raffigurante un mostro dalla larga testa dalle fauci dentate che divora un animale. Dalla bocca del mostro fuoriesce solo la parte posteriore di un essere anch’esso fantastico con due lunghe zampe, una testa di serpente, al centro del corpo invece vediamo una coda che si avvolge su di sé. Secondo molti storici dell’arte è un’allegoria raffigurante la sconfitta del demonio e l’invocazione della protezione divina su quel luogo. Questa mensola zoomorfa potrebbe collegarsi al cosiddetto “Maestro di Rivalta” che lavorò col celeberrimo “Maestro Nicolò” attivo nel cantiere per la realizzazione dei pilastrini degli stipiti del portale dello zodiaco alla Sacra di San Michele, oltre ad un’influenza derivata dai capitelli figurati del perduto monastero dei SS Pietro e Andrea di Rivalta, non distante dal campanile. In conclusione, possiamo presupporre una datazione compresa tra il 1130 e il 1172, come lasciano intuire i motivi decorativi e le caratteristiche strutturali della torre campanaria.

Il campanile della Basilica Gotica di San Martino L’impianto basilicale dell’antica chiesa gotica di San Martino è risalente al XIV secolo e che sorgeva sul luogo dell’attuale edificio religioso barocco. Di quella fase storica che vede un inurbamento ed espansione del borgo medievale situato sulle falde della collina, rimane la zona basilicale del campanile, più precisamente intorno ai livelli inferiori del campanile con alcuni brevi tratti murari adiacenti, riconducibili al

Ritrovamenti archeologici attestano che già in epoca romana esisteva un agglomerato sul colle di S. Martino. Questo insediamento conosce una significativa fase storica dai primi anni del XI secolo fino al XIII secolo: dal 1217 qui è documentato un abitato intorno ad una pieve con campanile di San Martino ai Campi, il quale verrà definitivamente abbandonato dal 1291 in favore della formazione di un borgo intra moenia intorno ad una basilica gotica le cui prime fasi sono documentate agli inizi del XIV secolo. In questo contributo ripercorreremo brevemente le vicende storiche intorno a queste torri campanarie.

Il campanile della pieve di San Martino ai Campi: il “Cioché Rot”

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basamento del fianco sinistro dell’antica chiesa gotica. Prima di subire le trasformazioni settecentesche, si presentava come una basilica di grandi dimensioni ripartita in tre navate con transetto e una sacrestia retrostante; interamente costruita in mattoni, era accostata da una torre campanaria prossima all’abside e si innalzava su una sorta di platea artificiale costituita da un terrazzamento, che nel XVII secolo venne cinto da mura ancora oggi identificabili per gran parte del loro andamento. Dalle visite pastorali, soprattutto in quelle condotte tra il 1584 e il 1772, troviamo interessanti informazioni su come si presentava l’edificio. Delle strutture murarie medievali si sono conservate solo i piani inferiori della torre campanaria e pochi muri pertinenti ad un piccolo ambiente laterale, coperto da una volta a botte con delle lunette unghiate e con una finestra mozzata dalle strutture perimetrali dell’abside costruito nel ‘700 dall’architetto Giacomo Maria Contini, allievo e collaboratore del celeberrimo architetto piemontese Bernardo Antonio Vittone. Il campanile è manifestamente il risultato di almeno quattro significative fasi costruttive, così riassumibili: • la porzione del basamento più antica comprendente i primi due livelli della torre relativa ad una prima fase costruttiva gotica;• una fase intermedia del XIV secolo comprendente i livelli intermedi del campanile costruiti interamente in mattoni, con finestre bifore e decorazioni ad archetti pensili• una fase tardo settecentesca, contemporanea alla nuova costruzione del Contini che comportò la demolizione dei livelli superiori del campanile e alla modificazione dei piani bassi col parziale tamponamento delle finestre trifore superiori• una fase prossima al 1808, quando venne eretto l’ultimo piano costituente l’attuale cella campanaria che rimase incompiuto, privando così il campanile dell’ultimo livello previsto con la cuspide terminale a bulbo, degli intonaci, dei serramenti e delle decorazioni delle finestre ellittiche che riprendono nell’archetipo il modello del grande finestrone ovale della facciata. Ad oggi non è ancora chiaro se i piani bassi della torre siano relativi al periodo in cui la parrocchia venne trasferita dai Campi all’interno del borgo o se invece siano coeve all’edificazione della basilica gotica. L’aspetto generale delle mura ci consente di rileggere accuratamente l’aspetto originario della struttura: di fronte fianco est in origine era situato il cimitero parrocchiale, mentre l’osservazione dei mattoni utilizzati nella costruzione ci fanno presumere una datazione prossima alla metà del XIV secolo, quindi con un cantiere attivo in un lasso di tempo prossimo a quello della Collegiata di S. Maria della Stella. La struttura medievale probabilmente non venne mai dotata della cuspide finale: i lavori alla torre gotica è presumibile siano stati sospesi al quarto piano, piano d’imposta dell’attuale cella campanaria. Infine, la basilica gotica fu definitivamente demolita nel 1786 e in appena due anni venne completato

l’attuale edificio barocco e inaugurato nel 1788, ma il suo campanile ci riporta alla memoria un’epoca prospera e dinamica, ad un crocevia all’imbocco della via Francigena che risaliva la Valle di Susa e ad un periodo in cui i conti Savoia consolidarono il loro potere in Piemonte.

Sara Auriletto

Bibliografia1990, Massimo Contini, Storia di Rivoli, Ed. Biblioteca civica di Rivoli2000, G. Gritella, Campanili di Rivoli Dal Gotico al Barocco. Documenti di storia e restauro, Rivoli2004, B. Bertolo, Storia di Rivoli, ed. Susalibri, Sant’Ambrogio2006, N. Gallino, E. Zanone Poma, Rivoli Insolita, ed. Editris Duemila, Torino

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L’immacolata Concezione con Angeli di Francesco Gonin

L’Immacolata Concezione del Gonin misura 2 metri d’altezza per 1,5 m di larghezza. Posta nella navatella sinistra della chiesa di San Martino ai Campi, è singolarmente alta, si presenta a noi in buono stato di conservazione, ma un serio restauro sarebbe auspicabile. A primo impatto vien da pensare che la committenza sia rivolese, forse il prevosto Giacomo Perlo, parroco di San Martino dal 1846 al 1898, oppure la Compagnia delle Figlie di Maria da lui fondata; ad oggi non abbiamo riscontri di questo, né all’interno dell’archivio parrocchiale né nelle sue Memorie. La committenza, stando alle ultime indagini finora condotte è riconducibile all’interno della famiglia Ferrero di Cavallerleone: stando alle asserzioni del canonico Matteo Peròo, si trovava all’interno della cappella della loro cascina in un paese del Piemonte. In seguito, monsignor Ferrero di Cavallerleone la donò all’amico mons. Nicola Baravalle, rettore del Santuario della Consolata di Torino. Nel 1957 la tela fu donata alla parrocchia di San Martino per destinarla alla chiesa succursale della Borgata Uriola, fatto che poi

non si verificò. Datata e firmata in maniera intellegibile come si può leggere in basso a destra (F. Gonin 1868), la tela mostra una giovane e formosa Vergine dai capelli bruni e ondulati galleggia su uno sfondo metastorico. Ella volge lo sguardo verso il cielo indossando una pesante veste bianca, simbolo di purezza e coperta da un manto azzurro cupo con le mani incrociate sul petto, con la falce lunare ai suoi piedi: una chiara citazione del libro dell’Apocalisse e un’allusione alla superiorità di Maria (e quindi allegoricamente della Chiesa) sul mutare dei destini e delle situazioni. Intorno a lei, troviamo un folto gruppo di angioletti, alcuni sorreggono un cuscino di nuvole, altri ancora giocano e si scatenano in allegria e altri ancora sono in atteggiamento adorante e pregante. Per creare profondità, Gonin utilizza l’artificio delle luci, in mancanza di uno sfondo preciso. La scelta cromatica del bruno, della terra di Siena, delle ocre rosse, ci dice che l’artista si concentra su un andamento scenografico in linea con l’illuminotecnica ottocentesca, oltre ad optare per una precisa impostazione coreografica e spettacolare della scena. Questa avvenente Madonna dalla connotazione molto umana, ha un aspetto verginale ed estremamente femminile, è una delle figure più affascinanti che il pittore abbia mai dipinto, ed è dotata di una spiritualità autentica, quasi nuova: uno stacco vertiginoso con la Madonna di Lourdes in auge in quel periodo. Ai piedi della Vergine troviamo la falce lunare e un gruppo di angeli su una nuvola cuneiforme. Il gesto della Vergine di porre le mani sul petto, così come il suo sguardo rivolto al cielo ed il suo atteggiamento fiero ed altero esprimono qui il suo distacco dalla natura umana. L’iconografia dell’Immacolata Concezione rivolese è sicuramente frutto di una committenza intelligente che lascia ampio spazio all’espressione dell’artista. Alla base di questo può esserci una precisa ricerca artistica del Gonin, oltre ad una plausibile maturità artistica raggiunta nell’ambito della pittura religiosa.

Una copia di Murillo?L'opera del Gonin presenta un’evidente somiglianza con l’Immacolata Soult del pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo, datata 1679 ed oggi esposta al Museo del Prado di Madrid. Quest’opera risale al periodo tardo della produzione artistica del pittore. Stando alla critica, la composizione degli angeli che attorniano la Madonna pare sia influenzata da Rubens.L’Immacolata Concezione di Bartolomé Esteban Murillo è considerata certamente un’opera importante e di indiscutibile qualità. La composizione in entrambi i casi è piramidale e molto grande, dominata da un cielo

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popolato dagli angeli più graziosi che abbia mai dipinto che creano profondità allo sfondo. L’illuminazione è calda, diffusa e ideale e proviene dal centro e dall’alto, un rimando simbolico alla grazia divina. A differenza delle altre Immacolate di Murillo, nella Soult gli angeli non portano i simboli mariani e semplicemente accompagnano la Vergine con una raffinatezza e un dinamismo che precorrono il Rococò. Un elemento che sicuramente mette in relazione l’Immacolata del Gonin con l’Immacolta Soult anzitutto è l’angioletto nell’angolo superiore destro che vola a braccia tese che è che da porre in relazione ad uno degli amorini del Ratto d’Europa di Tiziano, che Murillo potrebbe aver

visto in un suo viaggio nel 1658. Un altro elemento che ci fa presupporre che Gonin abbia copiato l’Immacolata Soult è l’impostazione della composizione generale, a piramide e il senso della luce creata coi colori: se Murillo li predilige vibranti e vivaci con una dominante della gamma cromatica dei colori caldi, quella del Gonin presenta una Vergine molto più umana nel suo atteggiamento in preghiera con una gamma cromatica più sfumata e un po’ più fredda, ma forse quest’ultimo aspetto è dovuto al suo attuale stato di conservazione.

L’Immacolata del Gonin è avvolta ancora da molti punti interrogativi, a cominciare dalla sua insolita altezza e, ad oggi, non è ancora molto chiaro se Gonin abbia davvero fatto una copia della Soult o se vi sia solamente ispirato, facendo a monte uno studio comparato di tutta la sua produzione pittorica per formulare qualche ipotesi. Se gli studi sul pittore si amplieranno, certamente nuovi elementi saranno acquisiti per dipanare le diverse questioni intorno a questo eclettico artista, anzitutto noto per le sue illustrazioni inserite nella prima edizione dei Promessi Sposi del Manzoni.

Sara Auriletto

Bibliografia1980, M.C. Gozzoli, Francesco Gonin, in “Cultura figurativa e architettonica degli Stati del Re di Sardegna 1773-1861”, Catalogo della Mostra, Torino, 3 maggio- 15 luglio 1980, vol. III1987, F. Monetti, A. Cifani, Un inedito di Francesco Gonin, in Studi Piemontesi, Torino, vol. XVI, fascicolo 1, pp. 163-1651991, F. Dalmasso, R. Maggio Serra (a cura di), Francesco Gonin: 1808-1889, Catalogo della Mostra, Torino, 15 gennaio-17 febbraio 1991 2012, Gli illustrati del Corriere della Sera - I Classici dell’Arte vol. 73, Murillo, ed. Rizzoli-Skira2019, A. Cifani, F. Monetti, Omaggio a Francesco Gonin: (1808-1889), Torino, Effatà editrice

Immacolata di Murillo

Immacolata di Tiziano

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SOLIDARIETÀ, CARDINE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

La solidarietà ha il suo principio ispiratore nella fraternità; la solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti.La solidarietà va intesa come il vincolo che unisce tutti coloro che appartengono ad una comunità, un vincolo rivolto al bene comune della comunità, un vincolo che fa crescere, all’interno della comunità stessa, l’armonia del rapporto sociale. Ha il suo fondamento nel considerare ogni essere umano per quello che è; più per quello che fa che per quello che ha. La solidarietà – principio di organizzazione sociale che mira a consentire ai diseguali di diventare eguali, per via della loro uguale dignità, principio d’ordine sociale e, allo stesso tempo, virtù morale – è il fondamento della concordia sociale, chiamata a favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole, sia all’interno di ogni comunità, di qualsiasi dimensione, sia nelle relazioni internazionali; ciò che vivifica lo sviluppo. La solidarietà è lo strumento per arrivare alle periferie esistenziali dell’uomo. Così dicendo, si vuole mettere in evidenza che la solidarietà svolge una funzione sua propria per la realizzazione del bene comune; non già che essa sia semplicemente un correttivo da introdurre per attenuare, o per annullare, le disuguaglianze create dalle libertà del mercato e da attuare restringendo alcune di queste libertà e/o, meglio, introducendo

processi di livellamento delle situazioni di entrata nel mercato. La solidarietà è sì un fatto di giustizia, ma non solo: è anche l’espressione di un amore verso il prossimo, anche se non è sufficiente, per esprimere solidarietà, voler bene; occorre anche fare bene.La solidarietà non è una variabile indipendente che, operando, crea legame e coesione sociale, tiene insieme la comunità. La saldezza del legame sociale, la sua solidità è la fonte della stessa solidarietà. In ultima analisi, solido, solidale, solidità, solidarietà hanno la medesima radice semantica e la solidarietà dice la solidità della comunità, in quanto la prima produce la seconda e, a sua volta, la seconda è il fondamento della prima. La solidarietà è un rapporto che s’instaura fra tutti i membri della comunità, non solo ed esclusivamente con quelli che sono più deboli e bisognosi. La solidarietà può portare alla messa in comune dei beni, materiali e immateriali, fisici e spirituali, il che viene di fatto a beneficiare i più deboli e bisognosi, ma la solidarietà può essere esercitata anche altrimenti, poiché è un animus prima di essere un’azione; è una virtù civile che rende possibile a tutti la convivenza civile. Per di più – a differenza della giustizia, che persegue il fine di garantire a chicchessia il rispetto dei diritti personali e delle obbligazioni assunte, oltre il quale s’inaridisce – la solidarietà crea un habitat che dà spazio per lo sviluppo della speranza

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creativa.La solidarietà dev’essere qualificata da un approccio di tipo sussidiaristico: sussidiarietà nella solidarietà. Ciò significa che, piuttosto che calare dall’alto (la solidarietà realizzata in uno Stato totalitario o il Welfare State degli stati liberali o la solidarietà della filantropia dei grandi capitani d’impresa), la solidarietà deve salire dal basso. Dev’essere qualificata da un approccio solidaristico di tipo attivo, per fare tutte le persone e tutti i popoli artefici del loro destino. Il Vangelo è ricco di esempi in cui l’uomo è invitato a lavorare valorizzando le proprie capacità intellettuali e manuali. Anzi, come ci indica la parabola dei talenti (Matteo, 25, 14-29), abbiamo il dovere di sfruttare al meglio le nostre capacità e risorse, perché Dio ci vuole attivi e protagonisti, non schiavi passivi. Questo vale anche nei confronti negli atti di solidarietà a beneficio del prossimo. Occorre, infatti, distinguere ed essere assai precisi riguardo alle due tipologie che la solidarietà può assumere: la solidarietà attiva rispetto alla solidarietà passiva. Ricordando il vecchio adagio attribuito a Confucio – secondo il quale, “piuttosto che regalare un pesce a chi ne ha bisogno per sopravvivere, è meglio insegnargli a pescare” – la solidarietà passiva, l’elemosina, consiste nel regalare il pesce; la solidarietà attiva corrisponde a insegnare a pescare. Con uno slogan: laddove l’organizzazione filantropica, che eroga l’elemosina (solidarietà passiva), fa per gli altri, l’organizzazione di volontariato che operi con il modello della solidarietà attiva, fa con gli altri. Quello che è significativo è che la solidarietà attiva è carità che racchiude in sé anche speranza: dall’amore che Dio ha per tutta l’umanità, discende lo spirito della fraternità, che opera attraverso la solidarietà che, quando si riveste di speranza, diventa solidarietà attiva.Un’esemplificazione. La Caritas, le Conferenze di San Vincenzo e gli altri soggetti tipici dell’azione di solidarietà delle nostre parrocchie, quando distribuiscono pacchi alimentari, pagano le bollette, erogano sussidi di vario genere, fanno azioni di solidarietà passiva. Quando si fanno carico delle persone, assistendole e camminando con loro nei momenti di depressione psichica o per il recupero da stati d’infermità fisica, impegnandosi per accompagnarli nell’attività d’istruzione o di formazione professionale o nella ricerca di un’occupazione, fanno azioni di solidarietà attiva, e lo stesso fanno gli Sportelli per il lavoro aperti presso le parrocchie o le unità pastorali territoriali.In effetti, v’è bisogno di entrambi i tipi di solidarietà. La solidarietà passiva, però, quale intervento di urgenza: ad una persona che sta morendo di fame non si può che regalare il pesce necessario per farla sopravvivere. Ma solo come primo intervento, ché – come ebbe a scrivere Pierre Laroque, uno dei padri dell’assistenza sociale francese – «l’assistenza avvilisce intellettualmente e moralmente, disabituando l’assistito allo sforzo, condannandolo a marcire nella miseria, impedendogli ogni speranza di elevazione

nella scala sociale». In modo strutturato, c’è bisogno di un’azione sostanzialmente diversa dall’elemosina, dalla mera assistenza (anche se con queste ha alla base lo stesso insieme di valori); dev’essere solidarietà attiva. A differenza dell’elemosina, della semplice assistenza – che sono statiche, perché di mera difesa, e non incidono sullo stato di debolezza: terminato l’intervento, tutto rimane come prima – la solidarietà è attiva se provoca la nascita di meccanismi e strutture che accompagnino le persone nel superamento delle loro difficoltà, del loro dramma esistenzialeSi può ancora dire che, mentre la solidarietà passiva coinvolge il circuito della redistribuzione, la solidarietà attiva ha l’ambizione di toccare il circuito della produzione, per cui non è lo Stato benevolente o il capitalismo compassionevole che operano a favore dei poveri, degli emarginati, degli esclusi; sono questi che vengono aiutati affinché possano uscire dalla loro situazione di debolezza e riducendo quindi la “questione sociale”. Con uno slogan: la solidarietà passiva è meramente lenitiva, mentre la solidarietà attiva è generativa. In quanto tale, la solidarietà attiva è quella che più appieno realizza il principio di fraternità genuina.

Daniele Ciravegna

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NO alle armi nucleari!Il 26 novembre non è una data qualsiasi: l’ONU ricorda STANISLAV PETROV, il tenente colonnello sovietico che con un atto di disobbedienza civile ci ha salvati da un possibile conflitto nucleare. Il 26 settembre 1983, i dispositivi di difesa della allora Unione Sovietica segnalarono un attacco missilistico da parte degli Stati Uniti: «Missili termonucleari americani in arrivo. Colpiranno il territorio dell’Unione Sovietica fra 25/30 minuti». La procedura prevedeva di informare immediatamente i superiori. Petrov era un analista, riteneva che il messaggio fosse un errore del sistema: non informò i superiori. Nessun missile colpì l’Unione Sovietica: il sistema era stato ingannato da riflessi di luce sulle nuvole. Petrov ricevette un richiamo, e perse la promozione a colonnello, ma il suo gesto di disobbedienza aveva evitato la tragedia nucleare.Erano anni di guerra fredda, ma anche oggi viviamo in questo clima, il rischio nucleare non può essere escluso: 13.400 ordigni, di cui 40 bombe in Italia (a Ghedi provincia di Brescia ed Aviano provincia di Pordenone), sono stoccati negli arsenali delle potenze nucleari (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord) e dei loro alleati; una somma di oltre 2.000 miliardi di dollari è prevista per nuove tecnologie nucleari.Il 7 luglio 2017 l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato il “TRATTATO SULLA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI” avviando un percorso verso la loro completa eliminazione. Leggiamo l’articolo 1: “Ciascuno Stato Parte si IMPEGNA, in qualsiasi circostanza, A NON: (a) Sviluppare, testare, produrre, oppure acquisire, possedere riserve di armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari; (b) Trasferire a qualsiasi destinatario qualunque arma nucleare o altri dispositivi esplosivi nucleari o il controllo su tali armi o dispositivi esplosivi, direttamente o indirettamente; (c) Ricevere il trasferimento o il controllo delle armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari, direttamente o indirettamente; (d) Utilizzare o minacciare l'uso di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari; (e) Assistere, incoraggiare o indurre, in qualsiasi modo, qualcuno ad impegnarsi in una qualsiasi attività che sia vietata a uno Stato Parte del presente Trattato; (f) Ricercare o ricevere assistenza, in qualsiasi modo, da chiunque per commettere qualsiasi attività che sia vietata a uno Stato Parte del presente Trattato; (g) Consentire qualsiasi dislocazione, installazione o diffusione di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione o controllo.” Il trattato, per entrare in vigore, richiedeva la ratifica da parte di

almeno 50 Paesi. E il cinquantesimo Paese, l’Honduras, lo ha ratificato il 24 ottobre! È illegale quindi, per i paesi che lo hanno firmato, permettere qualsiasi violazione nella loro giurisdizione e rafforza la posizione internazionale contro le armi nucleari perché si tratta del primo strumento legale che le vieta esplicitamente. La partita però non è vinta: occorrerà ora mobilitarsi per pretendere l’attuazione del trattato, ben consapevoli che il nucleare insieme a tutti gli armamenti muovono interessi politici ed economici enormi. E chi muove questi interessi non starà a guardare e a subire ciò che il trattato imporrebbe. La “Rete Italiana Pace e Disarmo" e "Senzatomica" gioiscono per il risultato ottenuto anche grazie allo sforzo della società civile italiana e internazionale e si impegneranno fin da subito affinché il numero degli Stati aderenti al Trattato possa aumentare, a partire dall’Italia. A livello internazionale il movimento ICAN “Campagna Internazionale per la messa al bando delle Armi Nucleari” raccoglie centinaia di organizzazioni e paesi determinati a ottenere l’abolizione delle armi nucleari. Lo slogan è “Un mondo senza armi nucleari è un sogno possibile”.A Rivoli è nata “disArMIAMO!”, una RETE di Associazioni, Gruppi e singoli cittadini, che, a partire dal 26 settembre 2020, vuole promuovere attività d’informazione, sensibilizzazione e azioni perché anche l’Italia firmi il “Trattato sulla proibizione delle armi nucleari”.L’indirizzo è: [email protected]. Ogni contributo di idee, proposte, consigli è benvenuto.

per il comitato promotore di “disArMIAMO!”Danilo Minisini

DISARMIAMOrete di Rivoli

[email protected]

DISARMIAMOper

IL LORO FUTURO

Giornata internazionale perl'eliminazione delle armi nucleari

26 se�embre 2020

26 SETTEMBRE

GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA TOTALE ELIMINAZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

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Cambia la societàSe penso alla mia Cresima, devo andare indietro di qualche anno: era una cerimonia celebrata dal vescovo, in forma solenne, riservata ai bambini…Nel tempo ci si è resi conto che dovendo essere una "confermazione" della fede ricevuta nel Battesimo, amministrato entro una settimana dalla nascita, doveva essere riservato a ragazzi in grado di aderire con una certa coscienza a un passo impegnativo per la propria vita di fede, anche se in un contesto sociale in cui la fede era comunque un modo di essere del tutto condiviso e normale.La secolarizzazione, la diffusione cioè di una cultura prima ostile e poi soprattutto estranea alla fede, ha reso la Chiesa    più attenta alla celebrazione dei riti propri di una religione diventata sempre più marginale.Così il rito del Battesimo, pur riservato in genere ai bambini, coinvolge direttamente i genitori per avviare un percorso di fede che sia coerente con i riti che vengono richiesti. E naturalmente non è più celebrato nell'imminenza della nascita.Ma soprattutto la Cresima diventa una scelta più consapevole delle famiglie e dei ragazzi che sono inseriti in questo percorso di vita con il coinvolgimento dei genitori e con cammini di vita adeguati a una scelta di fede più personale.Molti, però, non completano, per diversi motivi, il loro percorso nell'adolescenza. E così, negli ultimi anni, le persone che richiedono di fare la Cresima da adulti sono aumentate notevolmente.

Pronti per la ConfermazioneIl nostro itinerario di preparazione mira a far rivivere in modo più consapevole e autonomo il cammino di fede iniziato e troncato… per i motivi più diversi.Ma non è importante la ragione per cui voglio ri-prendere questo cammino, diventa determinante un

clima di amicizia che coinvolga le persone in una scelta che è sempre impegnativa, ancora di più da "grandi", ma ne vale la pena.Si tratta di una rivisitazione alla luce del vangelo, accostato direttamente, degli elementi essenziali della fede. Una presa di coscienza che la "Buona notizia" (vangelo) è rivolta a tutti, essenziale per la vita, risponde in pieno al bisogno di senso che attraversa anche la nostra epoca. È sempre attuale, vivace, ricca e soprattutto adatta a tutti, se scelta liberamente.Non è un corso di Teologia sacramentale, ma un breve percorso (un assaggio) della ricchezza della fede cristiana per la vita e per la società in cui stiamo vivendo.

Padre nostroLa preghiera del Padre nostro – piccolo vangelo – ci permette di ri-pensare la fede nella cornice di una preghiera conosciuta, recitata, anche se spesso senza una precisa consapevolezza della portata delle singole invocazioni.Esse rimandano allo stile di Dio che è soprattutto Padre amorevole e misericordioso, attento ai nostri bisogni essenziali, risposta decisiva alle nostre domande di vita, di relazione, di realizzazione personale.Una scoperta, fatta insieme, di ciò che veramente è importante nel messaggio cristiano, senza i rivestimenti strutturali che spesso ci impediscono di afferrare l'essenziale.A partire dal centro del messaggio – Dio mi vuole bene – il Vangelo ci propone momenti particolarmente significativi di riflessione, di confronti, di preghiera, di celebrazioni… per ri-scoprire la ricchezza e la bellezza di un messaggio che ha trasformato il mondo e può diventare determinante anche per la mia vita quotidiana.  

Silvano Giordani

Non è mai troppo tardi

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«Suor Teresa, mi dice un'Ave Maria per me?»«Sì, certamente!»«Visto che hai la corona del rosario in mano, mi prenoto il quinto grano, così tutte le volte che "passi di lì", è per me, grazie».Sorride, vicino c'è Suor Amalia:«Ma posso pregare anch'io, ho sentito».«Oh, grazie! Ne ho bisogno se voglio andare in Paradiso!»Sono due suore della Carità del Salotto-Fiorito che pregano prima della Messa nella Chiesa di San Martino, e io, passando a salutare tutti, informandomi di salute, famiglia, lavoro, ecc… strappo altre preghiere. Così anche nelle altre chiese che frequento: MIA, Stella…Mi aiutano in questo altre suore, quelle del Carmelo di Via Bruere a Cascine Vica, ora trasferite a Mondovì, e quelle del Convento di via Querro, trasferite nelle Filippine, che continuano a pregare; e anche le suore operaie.Non solo. Alla Stella, in fondo alla Chiesa, don Paolo, tra una confessione e l'altra, si raccoglie in preghiera con la corona del rosario e mi ha assicurato che prega anche per me. Poi, il mio parroco don Giovanni non dimentica il suo diacono… e altri sacerdoti.Non mancano le preghiere di quelli a cui porto la Comunione, ammalati della parrocchia, il gruppo anziani…In ospedale a Rivoli, dove svolgo servizio come assistente religioso, in pediatria, facendo scherzetti e giochi ai bambini, dono l'immagine di una Madonnina benedetta e al loro "Grazie" rispondo: «No, ma per favore, mi dici un'Ave Maria perché diventi più bravo?». I genitori sorridono, ma loro, molto seri, dicono di sì.Altre preghiere si aggiungono, ma valgono di più se sono fatte dai bambini.

Cercando sempre "aiuti", un giorno mentre pregavo (prego anch'io) nella Cappella dell'Ospedale, guardando la statua della Madonna con la sua corona del rosario nelle mani giunte, che con l'andare del tempo si erano riempite di altre coroncine del rosario (parecchie), mi chiedevo perché le davano alla Madonna. Finalmente ho capito… recitando l'Ave Maria si conclude con "PREGA PER NOI PECCATORI"… Ecco l'aiuto migliore per assicurarmi il Paradiso: passare per Maria,  con Maria,  in Maria! Così sono in una botte di ferro.

Di Carlo Acutis, un giovane morto quindicenne e recentemente beatificato, ho preso alcune frasi: «Il rosario è la scala più corta per salire al Cielo» e «Tutti nascono originali, molti muoiono fotocopie». Inoltre «Santa furbizia!». Per il santo mi sto dando da fare, ma sono lontano, ma per il furbo sì (leggi sfacciato).Andrò in Paradiso non per merito mio, certo, ma perché tutti voi mi aiutate. E anche voi che adesso leggete. Grazie.P.S. Se continuiamo a pregare gli uni per gli altri diventeremo santi. Allora cambio il titolo che c'è sopra, così non va bene, è esatto:

NOI ANDREMO IN PARADISO Diacono Bruno Zanini

Andrò in Paradiso

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Franca Giai Via e la Cappelladi San Lorenzo a RivoliIl 19 settembre ci ha lasciato la cara Franca Giai Via, che per tanti anni si è presa cura della chiesetta di San Lorenzo e ne ha animato la festa del 10 agosto.

Oratorio Stella 1950La squadra è composta: in alto a sinistra verso destraCentis Benito, Zanini Bruno, Pilone Franco, Maina Pier Carlo, Demichelis Piero;

sottoCattaneo Fausto,Fontana Giovanni,Fabiole Battista

Foto archivio:Fontana GiovanniRicerca a cura di B.Z.

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San BartolomeoLoreto Lorenzo – Apazzi Alessandra – Messina Aisma – Nigrelli Gabriele – Cirillo Edoardo

San BernardoLoche Federico Gavino – Perino Beatrice – Gaetani Emanuele – Rabita Edoardo – Nolfo Alessandro

San MartinoBruno Lucia - Rovelli Carolina - Calì Christian - Mascolo Riccardo - Shalk Oskar– Parisotto Serena - Seminara Francesco - Bergantin Tessa - Montano Nicolas - Leone Nicholas - Franchini Cecilia - Chiozzi Tommaso - Azzolina Sofia - Ridolfo Leonardo - Senatore Beatrice - Olivato Luca

Santa Maria della StellaGermano Sara - Di Domenico Linda - Carriaggio Leonardo - Daloiso Tommaso - Sari Eleonora - Pisano Mattia - Laterza Matteo - Castagnoli Giorgia - Guglielmone Diletta - Trovato Denise - Sciré Pollicino Giulia - Esposito Alessandro - Capezio Arianna - Mazzilli Lorenzo - Tricarico Giovanni - Dalle Grave Mattia - Dalle Grave Mia - Cormegna Bryan - Dhima Antigoni - Dhima Olta - De Matteis Federico - Vaglio Leonardo - Vicenzi Giulia - Richard Rebecca - Bado Naomi - Chiappero Vittoria - Riggio Sofia

ANAGRAFE PARROCCHIALEdal 1° agosto al 31 ottobre 2020

Battezzati

San BernardoRancone Alessandro e Negro Cristina

San Martino Ceolin Riccardo e Rizzo Martina - Lapone Ivan e Palumbo Raffaella - Mazzeo Andrea e Gianotti Marta - Romano Alberto e Demaria Sara - Norcia Federico Maria e Visconti Irene - Testa Enrico e Mortari Vanessa Stephanie - Fusco Raffaele e Cerino Elisa - D’amico Sergio e Fiorentino Scolabrini Maria Rosaria - Aversa Giuseppe Maurizio e Schimio Rosaria

Santa Maria della Stella Carneri Domenico e Di Blasi Sara - Piovesani Fabio e Ragaglia Elisabetta - Paolasso Alessandro e Tresanini Francesca

Sposi

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San BartolomeoTrezza Michele (92) – Zanellato Giovannina (79) – Giglio Maria (86) – Teppa Franco (79) – Negro Pieraldo (74)

San BernardoMellone Anna Maria ved. Garnieri (77) – Risafi Maria Pompea in Volante (70) – Spanu Bruno (83) – Branca Giuseppe (87) – Ganci Rosaria in Scarnuzza (78) – Di Malfetta Maria Grazia ved. Curcio (77) – Migliore Giuseppe (81) – Ranzani Riccardo (83) – Miraglia Giuseppina ved. Giannone (83) – Meloni Benvenuto (80) – Trivero Norma in Merlo (84) – Negri Malvina ved. Giolo (94) – Lauria Maria Teresa ved. Palazzolo (91) – Cananzi Matteo (74)

San MartinoScarpino Alfredo (89) - Tonin Amedeo (93) - Chiappero Margherita ved.. Vietti (92) - Turbessi Altea ved. Cavallo (94) - Passalacqua Rosanna in Chiaberto (46) - Gino Modestina ved. Bombi - Tommasini Veneranda ved. Bergantin (98) - Piovano Onorina ved Comba (85) - Viacelli Maria ved. Negro (80) - Cornetto Margherita ved. Crotti (95) - Blandino Angiolina ved. Beltramo (94) - Giarramone Anna Maria ved. Biscuola (56) - Pascutto Antonia Giuseppa ved. Squarise (97) - Cicchiello Saverio (91) - Martinello Teresa ved. Stangherlin (94) - Tanzini Saverio - Basset Bianca ved. Caruso (82) - Ciarrocchi Antonio (81) - Garruto Rocco - Gionta Maria Rosa ved. Barardo (84) - Reo Grazio (86)

Santa Maria della StellaFerraris Maria Luigia ved. Ziliani (90) - Sia Salvatore (82) - Ghiggini Silvia in Restagno (52) - Porcedda Mondino (86) - Rabezzana Giovanni (91) - Tenivella Elena (83) - Buoso Gino (83) - Calarco Maria ved. Aronne (74) - Pisana Giuseppe Franco (83) - Catalano Francesca ved. Morena (92) - Sacco Giuseppe (78) - Milizia Vita Giovanna ved. Rochira (78) - Faussone Maria Ernesta ved. Bedendo (95) - Bonomi Rita in Pecoraro (91) - Rusciano Pasquale (78) - Vettorello Gina ved. Moretti (86) - Isola Olivio (88) - Bonazzo Gianni (82) - Zanchetta Lucia ved. Cucco (82) - Boggiatto Claudio Eugenio Maria (69) - Di Salvo Vincenzo (84) - Gallo Maria ved. Surra (96) - Giai Via Franca (95) - Mometti Elio (88) - Petrillo Pancrazio (80) - Gammicchia Giovanni (90) - Maschio Maria Luisa ved. Minoia (98) - Zuppi Brega Bruno (84) - Coniglio Giuseppina in Garzara (87) - Musso Giuseppe (98) - Mosca Renato (80) - Delli Carri Michelina ved. Angiolino (92) - Belpanno Giovanna in Zaberto (84) - Checa Benito (80) - Foti Antonietta ved. Boschetti (78) - Aquila Giovanni (80) - Citro Antonio (59) - Raimondo Teresa in Gurlino (94) - Lizzi Anna ved. Baraban (83) - Fischetti Cosimo Antonio (73) – Spanò Francesca (56)

Defunti

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