Devoto - Il Linguaggio Degli Italiani

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    Il linguaggiodItalia

    diGiacomo Devoto

    Storia dItalia Einaudi

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    Edizione di riferimento:Il linguaggio dItalia. Storia e strutture linguistiche italianedalla preistoria ai nostri giorni, Rizzoli, Milano 1974

    Storia dItalia Einaudi II

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    Capitolo quindicesimo.Let classica 136Capitolo sedicesimo.Il latino in Italia 143

    Capitolo diciassettesimo.Il latino postclassico 151Capitolo diciottesimo.Novit imperiali 159Capitolo diciannovesimo.Il cristianesimo 167Capitolo ventesimo.Squilibr accentuati 176

    Parte terza. Il Medioevo: 500-1200 184Capitolo ventunesimo.Frantumazione dellalatinit

    185

    Capitolo ventiduesimo.Verso il bilinguismo 193

    Capitolo ventitreesimo. Lazione dellaccento 200Capitolo ventiquattresimo.Metafonesi e vocalimiste

    209

    Capitolo venticinquesimo.Lossaturaconsonantica

    216

    Capitolo ventiseiesimo.Fatti morfologici 225Capitolo ventisettesimo.Germanismi 232Capitolo ventottesimo.Franchi e bizantini 240Capitolo ventinovesimo.Primi documentiitaliani

    248

    Capitolo trentesimo.Assestamento italiano 254Parte quarta. Let moderna: 1200-1850 262

    Capitolo trentunesimo.La Sicilia e la primalingua letteraria

    263

    Capitolo trentaduesimo.Spunti di lingue

    letterarie estrasiciliane

    272

    Capitolo trentatreesimo.Lavvento di Firenze 278Capitolo trentaquattresimo.Dante e Petrarca 284Capitolo trentacinquesimo.Dal fiorentino altoscano

    292

    Capitolo trentaseiesimo.Esaurimento dellatradizione letteraria dialettale

    299

    Capitolo trentasettesimo.Reazioni umanistiche 305

    Storia dItalia Einaudi IV

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    Capitolo trentottesimo.La questione dellalingua

    312

    Capitolo trentanovesimo.Apogeo e saziet 319Capitolo quarantesimo.Verso un nuovobilinguismo

    326

    Parte quinta. LItalia unita: dal 1850 in poi 333Capitolo quarantunesimo.La ipercritica 333Capitolo quarantaduesimo.Lingua e nazione 339Capitolo quarantatreesimo.Dal purismo almanzonianesimo

    347

    Capitolo quarantaquattresimo.La visionemanzoniana e lunit politica 355

    Capitolo quarantacinquesimo.Conseguenzedellunit politica

    362

    Capitolo quarantaseiesimo.Prime evasioni 369Capitolo quarantasettesimo.Dalle evasioni allaclassicit

    377

    Capitolo quarantottesimo.Strutture

    fonologiche

    388

    Capitolo quarantanovesimo.Strutturemorfologiche

    397

    Capitolo cinquantesimo.Prospettive 409

    Storia dItalia Einaudi V

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    NOTA DELLAUTORE

    Questo libro non un libro di linguistica, ma un libro distoria, sia pure di una storia colorita, intinta, interpreta-ta attraverso i fatti di lingua. Questi sono esili, apparen-temente particolari e irrilevanti. Ma sono continui esoli permettono quella saldatura ininterrotta che si chia-ma tradizione e cio storia. La continuit rappresen-tata qui in partenza da una nozione geografica, la imagi-

    ne dellItalia come la natura lha formata, come gli eventiesterni lhanno delimitata, ma come la sola parola degliuomini, nellalternarsi di forze disgregratrici e ricostrut-trici lha resa alfine vivente e unita. Se non si sfruttanon si rivivono le esperienze linguistiche non si fa la storian dellItalia n di nessuna altra nazione.

    Nellevidente decadenza dello spirito scientifico, chesi distingue nettamente dal progresso puramente esterio-re della tecnica, di fronte al prevalere di egoismi corto-veggenti, di fronte ai tanti preannunci di una abdicazio-ne medievale, queste pagine aspirano, proprio per il loromassimalismo e integralismo, a presentarsi come un at-to di fede nella capacit dellintelletto umano, nella suacapacit di proiettarsi nel tempo, di colloquiare, di farsipromotore di vita civile. Questo atto di fede reso attua-le dalla coincidenza col centenario della morte di Ales-sandro Manzoni che delle istituzioni linguistiche italiane

    fu lutente pi alto e il cultore pi fervido.Larghi di consiglio e di aiuto mi sono stati nei capitoliepigrafici il professore Aldo Prosdocimi, e il dott. Lucia-no Agostiniani; sul piano tecnico il dott. Fabrizio Tausi-ni. A tutti va il mio grazie dal cuore.

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    INTRODUZIONE

    LItalia abitata da mezzo milione di anni. Da quantotempo i suoi abitanti hanno imparato a parlare? Allin-grosso, da quando hanno raggiunto un minimo di vita or-ganizzata, che ha imposto un coordinamento delle azionidegli individui, e quindi la necessit di reciproci messag-gi. Ma solo con la fine della et glaciale, questi messaggisono stati trasmessi secondo codici regolari, che hanno

    potuto trasformarsi e addirittura essere sostituiti, senzache intervenisse perci una frattura di barbara alala.In quanti nuclei, in quante forme, queste prime istitu-

    zioni linguistiche si saranno presentate? Neanche que-sto possiamo sapere. Ma sappiamo che lItalia uno spa-zio geografico che ha avuto per destino di raggiungere,possedere e poi perdere, e poi riconquistare, una unitetnica culturale politica, e cos anche linguistica.

    II linguaggio dItalia vuole insistere non sulla unitdegli istituti linguistici e delle successive loro realizzazio-ni, ma sul tesoro espressivo che ha potuto sostituire i suoicodici senza essere mai nella impossibilit di trasmetteremessaggi; che ha profittato di codici var, tendenti ora araggrupparsi ora a disperdersi ora a stratificarsi.

    Questo insieme di codici non alterna solo fasi di uni-t e fasi di variet. Alterna anche il ritmo del suo svol-gimento: in fasi ora talmente lente da consentire anali-

    si e descrizioni di strutture quasi fossero effettivamenteimmobili, o almeno paragonabili a un film al rallentato-re; e ora in svolgimento rapido o addirittura tumultuo-so, tale da concentrare tutto linteresse sulle modalit e icaratteri di un divenire affannato.

    Le alternative principali si succedono nellordine se-guente:

    a) relitti di forme anteriori al 1 millennio a.C. 1-15;

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    b) inizio di una tradizione linguistica continuata dallafondazione di Roma in poi 16-40;

    e) involuzione e frantumazione di questo primo patri-monio nel V sec. a.C. 41-50;

    d) ascesa, anche estraitaliana, verso la unit linguisticadal IV sec. a.C. al II d.C. 51-100;

    e) involuzione e frantumazione durante lalto medioevo 101-125;

    f) nuova ascesa verso la unificazione, questa voltalimitata allItalia 126-250.

    Questo libro non intende affermare, in tanto muta-

    re di situazioni, una preminenza di interesse per le for-ze centrifughe o le centripete; della analisi strutturale odi quella storica. Realisticamente, concentra la sua atten-zione su quanto di chiaro e di stimolante i documenti of-frono per il lettore, curioso di quanto i nostri progeni-tori, in fatto di lingua, hanno sperimentato realizzato esofferto.

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    PARTE PRIMA

    Dalle origini al 500 a.C

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    Capitolo primo

    Luomo e i materiali linguistici mediterranei

    I. Il Paleolitico

    LItalia, stato detto, abitata da mezzo milione di anni:un niente rispetto alla et della terra, relativamente pocorispetto ad altre regioni europee; ma moltissimo rispettoalla possibilit, non dico di una documentazione, ma

    anche di una ricostruzione indiretta approssimativa.Le testimonianze dirette delluomo sono molto pi re-centi della data accennata sopra. A Roma, sulla via No-mentana, nella cava detta di Saccopastore, sono stati tro-vati fra gli anni Venti e Trenta due cran umani delluo-mo di Neandertal, associati a industria del tipo muste-riano. Siamo nellultimo periodo interglaciale, diciamo150.000 anni fa. Al monte Circeo, nella grotta Guattari,sono state trovate mandibole umane e un cranio, sempre

    del tipo di Neandertal, con una industria un po pi re-cente di quella musteriana, e cio la pontiniana1. Il pe-riodo delluomo di Neandertal, secondo Eickstedt, durafino al 70.000 a.C.2 ma fino a questo punto la domanda,se questi uomini parlassero, e come, rimane evanescentee quasi fatua. Solo col ripopolamento dellEuropa cen-trale in et postglaciale, e i conseguenti movimenti di po-polazioni, dalle aree europee sudoccidentali e sudorien-

    tali, che erano state preservate dai ghiacci3

    , ecco che ap-pare una nuova stirpe umana, quella del neantropo al-trimenti detto Homo sapiens. Il movimento era partito

    1 Piccola guida alla preistoria italiana, Firenze 1962, autorivar.

    2 Historia Mundi, I, Berna 1952, p. 118.3 Rust, Historia,cit., p. 294.

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    dallAsia, e si era esteso verso lEuropa attraverso pi iti-nerar, e principalmente quello delle coste nordafricanefino allo stretto di Gibilterra, e quello attraverso la re-gione del mar Caspio per le steppe della Russia in dire-zione dellEuropa centrale4. Non escluso che la regio-ne balcanica abbia avuto anchessa una parte. I tipi uma-ni, che, alla fine di questo lungo periodo di assestamen-to, vengono a interessare lItalia sono quelli detti di CroMagnon e di Combe Capelle. Come cronologia, ci si puorientare verso i 25.000 anni: uno spazio che rimane im-menso rispetto alle nostre possibilit di documentazione

    e ricostruzione linguistiche, perch queste non arrivanoal di l dei 5.000 anni da oggi.Queste prime testimonianze delluomo di Cro Ma-

    gnon appaiono nel gruppo delle grotte dei Balzi Rossinella Liguria occidentale estrema, proprio sulla frontie-ra francese di Mentone. Nella grotta detta della Bar-ma grande sono stati trovati, ancora nel secolo scorsodiversi scheletri, e nella grotta, detta precisamente deiFanciulli, sono stati trovati scheletri di bambini. Sia-mo qui al livello del paleolitico superiore del tipo det-to aurignaciano5. La et definitivamente postglacia-le consente di riconoscere linizio di una tradizione chepassa quindi i 20.000 anni da oggi, ininterrotta. A una ot-tantina di chilometri a occidente, nella grotta delle Are-ne Candide, sono apparsi scheletri della razza parallela diCombe Capelle, sempre al livello del paleolitico superio-re. Il fatto che ai Balzi Rossi, gli scheletri fossero accom-

    pagnati da ornamenti di conchiglie e di osso; che quellidi bambini mostrassero indumenti ornati con conchigliemarine; che la testa di un giovane di razza negroide fos-se protetta da lastroni formanti un vano riempito di ocra,tutto questo ci rende certi che, a queste attivit, non po-

    4 Eickstedt, Historia,cit., p. 129.5 Piccola guida,cit., tav. VII.

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    tevano corrispondere solo mugolii animaleschi, ma cheera indispensabile un linguaggio, sia pure rudimentale6.

    Da allora, per tutto il mesolitico (13.000-5.000 annia.C.) abbiamo davanti ai nostri occhi sepolture di cada-veri quasi esclusivamente rannicchiati, attestati in Ligu-ria come nelle Puglie, nel Veneto e nellAbruzzo, nellE-milia e nel Lazio, nelle Marche e in Sicilia7, tutte accom-pagnate da un corredo pi o meno ricco, che sempre pre-suppone e una elaborazione e un dialogo.

    2. Unit semiotiche nellEneolitico

    Alla fine del neolitico, la comunicazione linguistica non pi soltanto una presunzione, sia pure ben motivata, ma una certezza; se non ancora a livello grammaticale,a livello semiologico. Con la et eneolitica, ancoraallestremo angolo nordoccidentale dellItalia, sul monteBego, in territorio oggi politicamente francese, si sonotrovate oltre 40.000 figure di armi, aratri e altri utensili,

    di animali bovini, e di figure geometriche8.

    3. Fonti indirette

    In mancanza di documenti diretti, lapproccio al proble-ma di dare una forma a queste sicure inafferrabili en-tit linguistiche, deve tener conto di alcuni punti fer-mi: a) Con linizio dellet neolitica, lItalia era popola-

    ta da uomini che disponevano di strumenti linguistici or-ganizzati. b) Queste strutture tardano molto a lungo pri-ma di essere realizzate in documenti diretti linguistico-

    6 Vedi la tabella di Klin, Historia,cit., p. 60.7 Piccola guida,cit., tavole XIII-XIX.8 Mercando, Le iscrizioni rupestri di Monte Bego, Torino

    1957.

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    grammaticali. Nemmeno possono essere raggiunte at-traverso normali procedimenti di ricostruzione perchmancano punti di appoggio validi, legati da un presu-mibile rapporto di parentela, atti a permettere una com-parazione non soltanto tipologica. c) Daltra parte, strut-ture grammaticali e unit lessicali, radicate per millennisul suolo italiano, non possono essere scomparse senzalasciar tracce, come se immense scope o taglienti rasoiavessero fatto tabula rasa. In queste condizioni occorreprocedere per gradi, cercando di ritagliare o estrarre dalpatrimonio tradizionalmente attestato, di origine sicura-

    mente indeuropea, quegli elementi che possano esseresospettati di esservi stati travasati dal pi antico strato(che provvisoriamente chiamiamo mediterraneo): ac-cettati, riconosciuti anche se provenienti da una ascen-denza illegittima.

    Al fine di non muoverci alla cieca, cominceremo a de-limitare tre campi di ricerca. Il primo rappresentatodalla massa dei nomi di luogo antichi e moderni, dei qua-li non si conosca una etimologia evidente, e insieme tro-vino corrispondenze in una area cos vasta da esorbitaredai territor indeuropeizzati gi in et protostorica. Si ve-dranno subito sotto esempi di questo procedimento, che stato per la prima volta applicato su larga scala da Fran-cesco Ribezzo e poi portato a perfezione da Vittorio Ber-toldi e Benvenuto Terracini9. Una seconda massa costi-tuita da parole attestate solo in et moderna, confinate indialetti appartati, specialmente nella zona alpina, e che

    si sottraggono a qualsiasi collegamento, non solo col lati-no ma anche con altre lingue della nostra era, dallaraboalle lingue germaniche e al francese. Il pioniere di que-

    9 Ribrezzo, Rivista Indo-greco-italica, 4, 1920, pp. 83 sgg.;Terracini,Pagine e appunti di linguistica storica, Firenze 1957,pp. 41-52.

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    ste ricerche stato lo studioso svizzero Jakob Jud10. Laterza massa data dagli appellativi latini che richiama-no la nostra attenzione, sia perch non sono suscettibilidi confronti sodisfacenti con forme di altre lingue indeu-ropee; sia, e soprattutto, perch nella loro struttura mo-strano particolarit fonetiche o morfologiche estranee aimodelli indeuropei consueti.

    4. Indizi fonetici

    Allo scopo di favorire la raccolta di esempi in quantitsufficiente e omogenea, par giusto indicare qui alcunisegnali, per mezzo dei quali la nostra attenzione chiamata a scegliere nelle grandi masse cos delineate, aconcentrarsi su questioni ristrette che si annuncino, siapure in modo provvisorio, come feconde11. Dal punto divista fonetico il segnale caratteristico pi fidato quellofornito da parole che contengano la successione A....A: il tipo di un nome locale come quello del fiume Vara,

    di una parola alpina comemalga, di un appellativo latinocomealga.Questo segnale esteriore ma significativo stato uti-

    lizzato da uno studioso tedesco, H. Krahe, come carat-teristico di una determinata area e di una determinatafase detta antico-europea, nel quadro della antichitindeuropea12. La ipotesi non legittima, perch la diffu-sione dei tipi A....A assai pi ampia di quello che sonole aree indeuropee primarie, e quindi non pu essere uti-

    10 Bulletin de dialectologie romane, 3, 1912, pp. 1-18,63-86.

    11 Vedi i mieiScritti minori, II, Firenze 1967, pp; 20 sgg., eStudi etruschi, 37, 1969, pp. 93 sgg.

    12 Krahe, Sprachverwandtschaft im Alteuropa, Heidelherg1951.

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    lizzata che in un quadro estraindeuropeo e per ci stessopreindeuropeo.

    Come nelle lingue indeuropee, si deve ammettere an-che nel sistema mediterraneo, la possibilit di alternan-ze. Naturalmente, la cautela deve essere maggiore, per-ch nel sistema indeuropeo la validit delle corrispon-denze tra forme alternanti poggia sulla corrispondenzacon impieghi morfologici costanti, di cui i sistemi me-diterranei invece non dispongono. Esempi di alternan-ze ammissibili sono quelli di un tipo BARGA, che in-separabile dal tipo BERGA(MO) e cio la possibilit di

    A/E. Cos negli appellativi italianitarmaetrmite. Alter-nanza opposta, pi limitata ma non eliminabile, quel-la di A/O, quale appare nel nome di due fiumi che scor-rono in direzione opposta partendo da sorgenti vicinissi-me: AMRA (Ambra) e OMRO (Ombrone).

    Nellambito delle vocali, unaltra alternanza deve esse-re considerata grafica, in seguito alla differenza fra il si-stema fonetico mediterraneo da una parte e quello latinoo greco dallaltra. Il fatto che la parola latinamentatroviuna corrispondenza col grecomnthe, attesta una vocaledi partenza che allorecchio greco o latino trovava qual-che difficolt di classificazione, quasi fosse una vocale in-termedia fra la E e la I di queste lingue. Quanto alle con-sonanti, le oscillazioni fra sorda e sonora, sono inammis-sibili nel mondo indeuropeo che chiaramente le distin-gue, mentre in quello mediterraneo appaiono almeno inun settore centro-orientale, come inevitabili. Accanto a

    Barga (Lucca) abbiamo Parga (Firenze); di fronte a Ber-gamo (in Lombardia) abbiamo Pergamo nellAsia Mino-re. Finalmente, la differenza fra articolazione semplice egeminata, pone nel mondo indeuropeo un certo rappor-to di equilibrio, che tiene anche conto della quantit del-la vocale precedente. Nella riproduzione di parole me-diterranee in un sistema indeuropeo, si hanno invece in-

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    certezze, per le quali un tipo BAKA riprodotto oltreche come lat.bacaanche comebacca( 7).

    5. Indizi morfologici

    Con criter analoghi si deve guardare alla struttura deitemi e ai processi di derivazione. C una serie di parolelatine che terminano in -K e che tutte sono prive di unaetimologia indeuropea valida.

    Tale lista, imponente, costituita da FAIK lat. faexfeccia, THALK lat. falx falce, FAUK lat. faucesfauci, FRAK lat. fraces morchia, KALK lat. calxcalcagno, KRUK lat. cruxcroce, LANK lat. lanxpiatto, MERK lat.merxmerce.

    Analogamente, nel campo dei suffissi, non si trattatanto di individuare suffissi positivamente mediterra-nei, quanto piuttosto, negativamente, suffissi chiara-mente non-indeuropei.

    Un gruppo a s costituiscono i suffissi rappresentati

    da K preceduto da consonante S oppure N: tali i nomilocali come Carasco (Genova) oppure Malosco (Novara)e i nomi comuni verbasco, lentisco; un nome antico,quello del Po,Bodincus, un nome locale moderno comeBognanco (Novara) e un nome comune moderno comecalanco.

    Infine ci sono tipi che in s potrebbero essere ancheindeuropei come quelli in -NT, ma che si trovano talvoltain derivazioni nominali, di carattere non indeuropeo:tali in nomi in -NT preceduti da vocale diversa da E/Ocome nel caso di Taranto, o anche da vocale E connessacon una radice non di verbo: p. es. Ferento. Infine

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    compaiono tipi caratterizzati da -p, p. es. Osoppo(Udine)13.

    Lultimo caso quando compaiono non pi suffissima addirittura desinenze. Tale -AR che nella lingua etru-sca segnale di plurale e che concorre a formare nomi lo-cali rimasti sino ad oggi anche fuori di Etruria: p. es. neinomi locali, i moderni Chiavar(i), Bavar(i), Crevar(i), neiquali la -I finale non che la conferma neolatina di un va-lore di plurale, che non era pi adeguatamente segnalatoda -AR, antica desinenza ormai conglobata nel tema.

    13 Hubschmid,Thesaurus praeromanicus, I, Berna 1936, pp.9 sgg.

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    Capitolo secondo

    Unit e variet nel mondo mediterraneo

    6. Strutture

    Sulla base di questi sondaggi e dei materiali che si raccol-gono, possibile tentare qualche descrizione parziale distrutture mediterranee. Un primo schema di sistema vo-calico, dissimmetrico14 porta a opporre una serie vocali-

    ca palatale in cui la vocale E gravita verso la A e una serievelare in cui la vocale intermedia o gravita invece versola u. Lo schema che ne deriva il seguente

    A

    ........

    ............O

    I...............U

    Le alternanze citate del tipo Barga/Bergamo e Parga/-Pergamo sono pi frequenti che quelle dellaltro tipo ci-tato Ambra/Ombrone. In relazione con la prevalenzadel primo tipo si trova la prevalenza dei temi AU comeAUSA, in cui le due componenti del dittongo sono for-temente contrapposte, rispetto ai tipi in AI in cui lo sonomeno, come SAITA setola (lat.saeta).

    Lo sviluppo della vocale A nel senso opposto, accen-

    nato dalla seconda alternanza, condurrebbe a una siste-mazione non pi triangolare ma quadrangolare del tipo

    E/I O/U

    14Scritti minori,cit., II, p. 21.

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    Lo sviluppo inverso, diretto a raggiungere una tota-le simmetria semplificata, dovrebbe condurre alla elimi-nazione della differenza fra le vocali intermedie e quelleestreme e delle due serie e cio a uno schema

    A

    E/I O/U

    Lindizio dato dalla incerta fissazione dei temi medi-terranei nelle forme greche e latine: tali i casi dimenta/-mnthe, citato sopra e di lat.citruscedro e gr.kdros,

    di lat.cupressuse gr.kyprissos. Neanche in questa dire-zione si arriva per a un risultato definitivo non simme-trico: il processo di fusione O/U molto pi avanzatodi quello E/I. Un ultimo spunto viene offerto dal tratta-mento di una parola mediterranea quale appare nel gre-cosykone nel latinoficus. Da questo appare in modopressoch certo che nel mondo mediterraneo o in certesue aree parziali sussisteva la vocale mista . Se si prendein considerazione allora anche questultimo spunto, eccoche un quadro completo dei nuclei vocalici mediterraneie delle loro tendenze andrebbe raffigurato virtualmentenella forma

    E/I O/U

    Nel quadro delle consonanti, si gi accennato allascarsa sensibilit per la distinzione fra consonanti sordee sonore, e fra semplici e geminate. Un problema parti-colare e caratteristico suggerito dalla opportunit di ri-conoscere nel sistema consonantico mediterraneo la pre-senza di una consonante interdentale sorda.

    Gli indizi risultano dalla somma di questi dati di fatto.

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    a) Le lingue indeuropee di Italia, nella sola posizioneiniziale (in latino e venetico) oppure anche nellinterno(nella tradizione osco-umbra) risolvono nella bilabialeF le antiche consonanti indeuropee sonore aspirate BHDH GwH, alle quali sporadicamente si aggiunge talvoltala GH.

    b) Cominciano per con F- numerose parole latineprive di etimologia indeuropea, attribuibili al gruppodelle parole mediterranee, nelle quali la F deve risulta-re da un diverso ma non meglio determinato suono me-diterraneo, perch la F primitiva non vi attestata15.

    c) Alla definizione di questo suono mediterraneo nonci avviciniamo se non tenendo conto delle DUE parolemediterranee, a cui corrispondono forme parallele fissatein latino e in greco. Ebbene, al lat. ficuscitato sopra,il greco fa corrispondere la sibilante dentale nella citataforma dis ykon; al latinofalx, il greco fa corrispondere, inZnkl e(e varianteDankle)16, un suono diverso s ma cheha elementi cos di dentale come di affricata sibilante.In queste condizioni appare ragionevole pensare che lasintesi di F latina e s/z greca possa essere, quasi unminimo comun denominatore, determinata in TH ().

    7. Campi semantici

    Se alcuni orientamenti di natura esterna delimitano unaprima area di ricerca ( 3) e alcuni caratteri formali per-mettono di accrescere la verisimiglianza dei riferimentimediterranei, certo che un fattore importante, sia perdefinire il mondo mediterraneo sia per riconoscerne glielementi lessicali, costituito dai valori semantici. A que-

    15Scritti minori,cit., II, p. 22.16 Niedermann,Essais dtymologie et de critique verbale lati-

    ne, Neuchtel 1918, 17 sgg.

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    sto fine non si tratta di decidere soltanto se certi gruppidi significato, presi in astratto, sono da considerare conpreferenza come mediterranei. I significati vanno giudi-cati anche da un punto di vista esterno, e cio da quel-lo della loro trasferibilit. Non basta che si adeguino al-le esigenze semantiche del mondo mediterraneo o anchealle sue caratteristiche geografiche e socio-culturali. Maoccorre che mostrino incompatibilit con le esigenze delmondo indeuropeo considerato sia dal punto di vista del-le sue strutture originarie, sia dalle circostanze connessecon il lungo periodo di trasferimenti e di assestamenti,

    che la ascendenza indeuropea presuppone. A propositodel vocabolario elementare esemplificato da H. Breuil17par giusto riconoscere che tutto quanto si riferisce allacaccia e alla raccolta di frutti certamente legato al ter-reno, ed facile che i nuovi venuti imparino agevolmen-te la terminologia corrente nelle nuove sedi. Ma nozio-ni elementari come i numeri e tutto quello che si riferiscealla quantit e alla misura sono, in quanto nozioni astrat-te, ugualmente necessarie sotto tutte le latitudini in con-dizioni cos di nomadismo come di sedentariet, e quin-di facilmente mantenute dai nuovi arrivati, senza conta-minazioni.

    I campi semantici preferenziali per una interpretazio-ne mediterranea del patrimonio lessicale di cui si dispo-ne in et storica, possono essere ordinati nel modo se-guente. In prima linea va messa la nozione del riparonaturale, la grotta; seguono i rilievi del terreno, le vie

    dacqua, le fonti, condizioni preliminari alla sussistenza;terzo, le variet dei frutti; quarto, gli animali, da cui di-fendersi, o di cui nutrirsi; quinto, i ripari artificiali, ivicompresi vesti e strumenti elementari; finalmente, alme-no in teoria, il trattamento dei morti, e i riti magici, ne-gli stretti limiti in cui possono riconoscersi in unit lessi-

    17 Historia,cit., I, pp. 285 sgg.

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    cali. Ecco dunque alcune basi mediterranee ricavate congli accorgimenti indicati sopra e cos raggruppati:

    Tra le forme naturali del terreno (gruppi I e II): AL-BA/ALPA sasso fissato nel latino Alpes, nel nome lo-cale Alba longa, e negli altri tuttora in uso p. es. it. Al-ba; ARMA riparo p. es. oggi Arma (di Taggia) pressoSanremo; ARNA letto incavato di fiume, attestato nelfiume Arno, nel lat. medv. arna vas apium (X sec.),nellappellativo istrianoarnecaverna18 e, anche, nel-lit. odierno arnia; AUSA fonte, nel fiume toscano inlat.Aus(er)oggi Serchio; nelletnicoAusonesil popo-

    lo della regione delle fontane19 e diffuso in tutto lo spa-zio compreso fra la Irlanda e la Arabia; BALMA grot-ta p. es. nel nome locale moderno Balme (prov. Vercel-li) o forma dialettale ligure nella Barma Grande o Grot-ta grande citata sopra ( 1), presso Mentone; BRAT-TA fango sopravvivente nel ligurebrattafango e nelverbo italiano (im)brattare macchiare; GLARA nel lat.glarea; KAR(R)A sasso20 attestato in un territorio im-menso, dallirlandesecarrroccia allarmenokar, al su-mericohar, e in nomi locali italiani come Car(asco) (Ge-nova); KLAVA cono di deiezione, delta di sassi nei no-mi locali Chiav(ari) o Chiav(enna); LAMA piano acqui-trinoso nome locale nellAbruzzo (Lama dei Peligni) onellEmilia (Lama Mocogno); PALA rotondit (del ter-reno), fra laltro nel lat. palatumvolta o cielo del-la bocca oltre i nomi locali moderni come il monte Ci-mon della Pala; RAVA frana nel toponimo moderno

    dellAppennino bolognese Bocca del Ravari21, Ravarano

    18Scritti minori, cit., II, pp. 44-49; Jud e Jaberg, Atlanteitalo-svizzero, tav. 424.

    19Scritti minori,cit., II, pp. 44 sgg.20 Alessio, Studi etruschi, 9, 1935, pp. 133 sgg.; 10, 1936,

    pp. 165 sgg.21Scritti minori,cit., II, pp. 17, 59.

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    (Parma), e come appellativoravanetoinsieme di detritidi marmo; TAURA tumulo in nomi locali come Tau-rasi (Avellino) o (Gioia) Tauro (Reggio Calabria);22 VA-RA acqua frequente nome di fiumi (p. es. prov. LaSpezia), gi citata sopra ( 4).

    Meno tipici come struttura, ma bene documentati,non solo come toponimi, sono i casi seguenti: LIMAfiume dal letto roccioso lat. lima, it. lima, oltre il fiu-me Lima (prov. Pistoia e Lucca); KRODA roccia,cro-daforma dialettale veneta e Croda nome locale in prov.di Como; BODO fondo sopravvivente, con suffisso li-

    gure, nel lat. BodincusPo; ROKKA diffusissimo co-me nome locale (75 capoluoghi di comune) oltre allap-pellativo; POPLO poggio nel toponimo etr. PuplunaPopulonia, nel lat.populusinteso come crescita, pro-genie, nel monteBoploattestato in vai Polcvera nel-la Sententia Minuciorum CIL I 584; KUKKO rilievoappuntito del terreno23 attestato in estensione larghissi-ma dal bascokukurpettine allo slov. o al caucasicokuk; infine M (o)LU(M)B- piombo lat. plumbus, magr.mlybdos.

    Con lo stesso procedimento isoliamo, nel campodella vegetazione, strutture tipiche come le seguenti:BAK(K)A, lat. bac(c)a, it. bacca; MAGA, il tema don-de stato tratto il lomb. mag(iustra) fragola, notonellestremo occidente fino al bascomag(uri);24 SRAGAfragola anche nel lat. fraga fragola; AMPA lampo-ne nellit. lampone, in cui larticolo stato conglobato

    nel tema. Seguono, al di fuori delle bacche, ma semprenellambito della vegetazione, ALGA lat. alga, GALLAlat. gallagalla; LAPPA lat. lappalappola; MAL-

    22 Ribezzo, Rivista Indo-greco-italica, 15, 1931, pp. 155sgg.

    23 Hubhschmid,Mediterrane Substrate, Berna 1960, p. 35.24 Hubschmid,op. cit., 1. 27.

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    VA lat. e it.malva; LAURA lat. laurus, it. (al)loro; NA-PA cavolo lat. napus; TAKSA lat. taxus, it. tasso. Aldi fuori delle forme tipiche, si hanno poi nella vegeta-zione selvatica: KIDRO/KEDRO lat. citrus, gr. kdros;ILEK variet di quercia lat. ilex; KUPAR cipressolat.cupressus, gr.kyprissos; LEIRIO25 lat.lilium, gr.le-rion, it. giglio; WRODJA rosa, lat. e it. rosa, gr. rh-don. Nella vegetazione commestibile rientra la nozionedi fame THAM lat. fames; MINT(H)A menta lat.e it. menta, gr. mnthe; il vocabolario dellolio e del vi-no: ELAIWO- lat. oleum, gr. laion; WOINO- vino

    lat. vinum, gr. Fonose FAIK lat. faexfeccia; infineTHONGO- fungo lat.fungus, gr.spngose THKO-fico, lat.ficus, gr.s ykon.

    Nel campo degli animali, hanno forme tipiche TALPAlat. talpa; TARMA lat. tarmes, it. tarma; BLATTAinsetto cfr. it. piatt(ola). Fuori delle forme tipichesi possono accettare LEB/LEP lepre lat. Lepus26 ecos lat.(cam)ox(animale alpino),(i)bexcamoscio lat.cab(allus)cavallo da lavoro.

    Nel campo dei ripari artificiali KASA capanna lat.e it.casa; BAITA e MALGA casa rustica nei pascoli al-pini; BARGA capanna che insiste sulla forma roton-deggiante, diffusissima come nome locale e presente nellat. e it.barca.

    Come nomi di strumenti tipici per la forma A....A o lafinale in -K compaiono infine: BARRA it.barra; THALKfalce lat.falx, it. falce; LANK piatto lat.lanx.

    25 Hubschmid, op. cit., pp. 37 sgg.; Devoto, Scritti minori,cit., II, p. 16.

    26 Terracini, Archivio glottologico italiano. Sezione Goi-danich, 20, 1926, p. 131.

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    8. Nostratico e Indo-mediterraneo

    Alcune di queste somiglianze e contatti si spingono co-s lontano che legittimo parlare di resti di una anticaunit anche estraitaliana. Anche se questo non interessadirettamente il linguaggio dItalia, pure consigliabiletenere presenti alcune distinzioni terminologiche. Ci so-no temi come AUSA che hanno corrispondenze estesissi-me dal mondo basco allIrlanda allItalia al vicino orien-te, allArabia, e sono compresi nel termine generalissi-mo di nostratico27. Ci sono quelli che gravitano piut-

    tosto verso una fascia settentrionale dai Pirenei alla re-gione alpina, dalla Balcania fino al Caucaso e sono det-ti paleoeuropei p. es. KUK ( 7). Ci sono quelli chegravitano piuttosto verso il mezzogiorno e le coste afri-cane, spingendosi addirittura fino allIndia: sono dettiindo-mediterranei. Tale, secondo V. Pisani28, il signi-ficato della diffusione del sistema numerale vigesimale;tale il valore di certe corrispondenze greco-indiane, co-

    me gr.erbinthoscece, contro indianoaravinda.

    9. Paleo-europeo

    Di maggiore interesse, dal punto di vista italiano, il ca-so opposto, per il quale, allinterno dello strato mediter-raneo e delle sue testimonianze italiane, si riscontranodifferenze.

    Fra la tendenza di B. Gerola, aliena dal riconoscerequesta variet, e quella di M. Durante29 incline a esaltar-

    27Scritti minori,cit., II, pp. 29-30.28 Pisani, Scritti in onore di Alfredo Trombetti, Milano

    1938, pp. 199-213.29 Durante, Annali dellIstituto orientale di Napoli. Sezione

    linguistica, 3, 1961, pp. 59-77.

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    la e forse a esagerarla, merita preferenza questa seconda.Un esempio fondamentale di variet stato riconosciu-to ad esempio da B. Terracini in Sardegna. Da una par-te, soprattutto nel mezzogiorno, compaiono nomi loca-li come Ittiri, Isili, paragonabili allafricano Gilgili, e al-liberico Bilbili; dallaltra, nomi come Orotelli o Bosin-co richiamano i temi liguri in -ELLO- e -INCO-30, comeVercelli o Bodincus Po.

    Ma la posizione corretta mira contemporaneamentea riconoscere in astratto che alcune grandi aree o foco-lai di attrazione agiscono allinterno della penisola ita-

    liana e, insieme, che certi segnali caratteristici non ri-spettano confini rigidi ma si espandono e si ritraggo-no in continuazione. Le grandi aree possono essere co-s definite: la ligure nellItalia nordoccidentale, la eu-ganea o reto-euganea nella nordorientale; la tirrenicanellItalia peninsulare-occidentale e la picena in quellapeninsulare-orientale. Sicilia e Sardegna si aprono inparte verso i mondi tirrenico e ligure e, da unaltra parte,verso lAfrica.

    Come esempi di frontiere che non sono barriere sipossono utilizzare alcuni suffissi. In S, abbiamo Sues-sa Sinuessa nellItalia sudoccidentale, ma Atessa in quel-la sudorientale. Suffissi in -SS e in -NTH sono propri,secondo Krahe31, dellItalia centromeridionale e la colle-gano col mondo egeo-anatolico32. In -R(R) abbiamo Li-para, Mazara in Sicilia, Acerra alle porte di Napoli, Su-burra a Roma. In L, AL(L)O-, EL(L)O-, IL(L)O-, han-

    no per focolaio il mondo ligure, nelle iscrizioni leponzie

    30 Terracini, Gli studi linguistici sulla Sardegna preromana,Roma 1936, estratto, p. 12.

    31Die Indogermanisierung Griechenlands und Italiens, Hei-delberg 1949, p. 32.

    32 Vedi per il mondo egeo-anatolico: Herter, Minos, 9,1960, pp. 219 sgg.

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    (Tituk)alos, (Popp)alus ( 31), nella Sententia Minucio-rum (CIL I 584)* in rivo Tudel(asca); nella toponomasti-ca da Rapallo, Varallo, Vercelli al lago Regillo presso Ro-ma; a Roselle in Etruria, infine a Entella, che si trova inLiguria quanto nella Sicilia occidentale.

    In N, nelle varianti E(N)NA, in Etruria ma anchenelle aree circostanti: tali Bolsena, Rasenna in prov. diMacerata e di Modena; Ravenna e Cesena in Romagna;Chiavenna in Emilia e nelle Alpi centrali; Valbrevenna inLiguria; Palena in Abruzzo.

    Ampia larea delle formazioni in -ONA. A partire

    da Dertona in territorio ligure si estendono, attraversoCremona, il territorio reto-euganeo, a Verona e Gemona;scendono sulla costa abruzzese dellAdriatico a Ortona;si fissano sulla sua costa orientale a Albona, Fianona,Salona.

    Analogamente il suffisso TE ha il suo centro nellIta-lia nordorientale: per es. Terges-teTrieste oAtes-teEste, ma discende anche verso mezzogiorno aTea-teChieti, aRea-teRieti e fino al monteSorac-teSo-ratte a nord di Roma.

    10. Collegamenti con lEuropa centrale

    Che nella protostoria neo- e eneolitica le societ uma-ne non fossero statiche ma stabilissero rapporti anchea grande distanza provato dallarcheologia. Nei gia-cimenti della ceramica a nastro danubiana, e quindi neltardo neolitico si trovano a scopo di ornamento conchi-glie di un mollusco, loSpondylus gaederopus33. In quellipi tardi della civilt eneolitica di Untice (Boemia) ap-paiono le conchiglie di un altro mollusco, laColumbella

    33 Vedi le mieOrigini indeuropee, Firenze 1962, p. 94.

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    rustica34. Dunque, dal Mediterraneo e dallItalia move-vano correnti culturali e commerciali che sono state de-finite come antindeuropee35.

    Le civilt eneolitiche di Serraferlicchio (Agrigento)36e quella di Rinaldone nellalto Lazio con le asce dacombattimento37, quelle del Gaudo in Campania pres-so Pesto con i loro meandri punteggiati, attestano col-legamenti lontani in direzione opposta38, talvolta tran-sadriatici. Quelli di Remedello (Brescia), sul confinefra la et enea e quella del bronzo, attraverso la formadei suoi bicchieri campaniformi rivolta invece verso

    occidente39. Discendendo infine alla civilt terramarico-la (bronzo medio e recente)40 i collegamenti evidenti so-no di nuovo con la Europa centrale. Dalluna direzione odallaltra, lItalia del secondo millennio, sia per dare siaper ricevere, sempre in contatto per mare o per terracol resto del continente41.

    34 Op. cit., p. 125.35

    Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 70 sgg.36 Piccola guida,cit., tav. XXII.37 Op. cit., tav. XXIII. Cfr. Laviosa Zambotti,Le pi antiche

    culture agricole europee, Milano 1943, p. 500.38 Piccola guida,cit., tav. XXIII.39 Op. cit., tav. XXIV.40 Op. cit., tav. XXXII.41 Laviosa Zambotti,Op. cit., pp. 351-383.

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    Capitolo terzo

    La affermazione indoeuropea

    11. Istituzioni linguistiche indeuropee

    Su questo mondo, originariamente uniforme, ma sotto-posto nella storia a diversificazioni senza fine, si affer-mata a un certo momento, dopo millenni, una tradizio-ne nuova, che si adegua e si deforma, ma mette radici,

    e non si rompe mai pi. A differenza dei resti mediter-ranei, e nonostante esperienze vicende e fratture, questatradizione linguistica, la tradizione indeuropea, riesce aserbare qualcosa di organico anche se il suo impatto conlItalia non n unitario n istantaneo ( 15).

    I tratti salienti del patrimonio linguistico che ora si af-faccia sono i seguenti42. Sul piano fonetico, il sistema del-le vocali si fonda sui tre timbri E O A. Allinterno di que-ste la dominante era la E, alternante con O, mentre la A

    appariva o come vocale di forme non alternanti, proprie,secondo Antoine Meillet, di un vocabolario popolare43o come vocale di soccorso e di appoggio quando per ra-gioni di accentazione o di morfologia i timbri normalisi affievolivano. Il sistema delle consonanti si fondava inorigine su una quadripartizione fra consonanti occlusive,da una parte sorde e sonore semplici, e dallaltra sorde esonore aspirate, distinte ulteriormente, dal punto di vista

    del punto di articolazione, nelle quattro serie delle labia-li dentali gutturali e labiovelari. Le consonanti continuesi limitavano alla sibilante S, eventualmente sonorizzabi-le in Z. Intermedie fra le vocali e le consonanti, si aveva-

    42 Vedi le mieOrigini indeuropee, Firenze 1962, pp. 15 sgg.43 Meillet,Linguistique historique et linguistique gnrale, 2

    ed., Parigi 1936, pp. 165 sgg.

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    no le sonanti, articolazioni suscettibili di fungere, secon-do il contesto fonetico, come vocali oppure come con-sonanti. Le sonanti erano sei: I vocale alternante con Y(=J) consonante; U vocale alternante con w consonante;L, vocale, alternante con L consonante e cos R e R con-sonante, M e M, N e N. Impossibilitata a esser definitafoneticamente, ma necessaria dal punto di vista del siste-ma la cosiddetta laringale, segnalata convenzionalmen-te con unaE(rovesciata), anchessa suscettibile di valorevocalico (E.accanto al consonanticoE) e detta tradizio-nalmente schwa44. Quando ha valore vocalico, si fon-

    de, nella maggioranza delle aree, con A (nel mondo ariocon I); quando ha valore consonantico, si fonde con lavocale precedente e d vita alla quantit lunga della stes-sa. La differenza fra quantit breve e lunga non dun-que una propriet primitiva delle vocali indeuropee, mauna propriet acquisita.

    12. Innovazioni indeuropee

    Ma la tradizione indeuropea, che si affacciata sulla so-glia dellItalia, non era pi quella primitiva anche per al-tre ragioni. Le principali trasformazioni, che si erano giverificate parzialmente nel mondo indeuropeo, e com-prendevano invece tutti i filoni: giunti in Italia, sono sta-te principalmente due, e entrambe si riferiscono al siste-ma delle consonanti. Da una parte si tratta della trasfor-mazione del sistema del grado di articolazione che passada quadripartito a tripartito, in seguito allallineamentodi occlusive sorde, occlusive sonore e fricative, eredi diaspirate. Dallaltra si tratta dello scioglimento della cate-goria delle sonanti, che si scindono nelle vocali I e Ue nelle consonanti J V L R M N, senza pi possibili-

    44 Vedi le cit.Origini indeuropee, p. 18.

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    t di alternanza. Le forme vocaliche delle quattro sonan-ti LR M Nsono rappresentate in maggioranza dai grup-pi OL OR EM EN. Le consonanti dette labiovelari sonoconservate nella tradizione protolatina meglio che in tut-te le altre lingue indeuropee, mentre sono energicamentelabializzate in quella osco-umbra ( 27).

    Nel campo della morfologia, il carattere fondamentaleera quello delle alternanze delle radici tra un grado nor-male E, uno forte O, e uno ridotto, privo di vocale. Incircostanze fonetiche speciali, al posto di un grado ridot-to privo del tutto di vocale, se ne aveva uno semiridot-

    to, variamente trattato sul suolo italiano. Questo sistemamorfologico stato vittima in Italia delle alterazioni fo-netiche sopraggiunte, sia per lazione della intensit del-laccento sia per una diversa gradazione dei timbri voca-lici. La morfologia del nome si fondava su una declina-zione di otto casi, dei quali lo strumentale, e il locati-vo hanno lasciato in Italia solo tracce scarse. La morfo-logia del verbo si fondava sulla coesistenza, non necessa-riamente totale, dei temi fondamentali di presente aori-sto perfetto, che definivano il tempo e la quantit della-zione (o aspetto) del verbo; dei modi, che definivano laqualit; con relative forme nominali di particip, infinitie cos via. La diatesi del verbo mirava a opporre soprat-tutto quella attiva e la media mentre la passiva era affi-data a un sistema secondario di coniugazione, paralleloalle forme causativa desiderativa o intensiva. Nel campodei modi si distingueva fra un congiuntivo, segnale di

    possibilit e un ottativo, segnale di desiderabilit. Rima-nevano tracce di un primitivo45 che ai fini della indeu-ropeizzazione dellItalia non ha esercitato alcuna parte,salvo forse nella formazione del paradigma del verbo so-stantivos-u-m.

    45 Schwyzer, Griechische Grammatik, Monaco di Baviera1934-1953, I, p. 645; II, p. 303.

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    13. Gruppi lessicali

    Molto importante avere un quadro del patrimonio les-sicale indeuropeo, nelle stratificazioni filologica e socia-le. Da un punto di vista filologico, il vocabolario arrivatoin Italia si divide in tre categorie. La prima46 era costitui-ta da quelle unit lessicali che, per il fatto di essere atte-state in tutte o in quasi tutte le diverse aree indeuropeiz-zate, costituiscono un insieme compatto: tali le radi-ci verbali come Es essere lat.esse,DOdare lat.da-re,STH Aarrestarsi lat.stare, WEID vedere lat.vi-

    dere, GEUS gustare lat.gustus, infine tutti i numerali,gi disposti secondo un sistema decimale.

    Un secondo strato47 rappresentato da parole gravi-tanti nellarea nordoccidentale, e cio sulla sinistra del-lo scacchiere indeuropeo primitivo. Da un punto di vistaclimatico, si riferiscono al mondo forestale, ricco di umi-dit, dellEuropa centrale, e si oppongono al mondo ari-do delle steppe dellEuropa sudorientale. Tale il caso

    di GwRANO- che, nel latinogranum, indica quello che (vantaggiosamente) secco, mentre in regioni pi orien-tali indica il valore di ci che (dannosamente) secco, ecio il vecchio. Analogamente KwyTI- in occiden-te la (sopportabile) sete mentre in oriente, per es. nelgrecophthsis, significa la (insopportabile) consunzio-ne.

    Un terzo strato48 rappresentato da parole che soprav-vivono non in aree contigue, ma in aree periferiche, e

    cio si sono sottratte a mutamenti e sostituzioni affer-mate nelle aree centrali. Tali i casi delle parole latinerex, jus, credo, che trovano corrispondenze eventualmen-

    46 Origini indeuropee,cit., pp. 191 sgg.47 Op. cit., pp. 263 sgg.48 Op. cit., pp. 292 sgg.

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    te nel mondo celtico, contiguo, ma poi solo nel mondoindo-iranico, allestremo opposto. Si tratta in generale diparole attinenti alla cultura alla religione allordinamen-to sociale, e quindi richiamano la imagine di un rivolgi-mento sociale, che ha sostituito, partendo dallinterno,le antiche istituzioni. strano come studiosi qualificatistentino49 ad accettare il principio fecondo della contrap-posizione di marginalit e centralit, che stato il gran-de passaggio dalla linguistica unidimensionale a quellabidimensionale50, in attesa di quella tridimensionale, le-gata alla moderna sociolinguistica.

    Pi importante la stratificazione delle parole, nontanto in base alla loro documentazione esterna, quan-to attraverso la fase di civilt a cui si riferiscono. Dellafase primitiva dei raccoglitori ritroviamo echi ad esem-pio nella terminologia del fratello BHRATER che si incrociato con quella del portare BHER; della radiceLEG che vuol dire raccogliere ma anche scegliere,il che proprio dei raccoglitori, ma non degli agricoltori;YEM, che sopravvive nel valore astratto del latinoima-go, ma che originariamente indicava il frutto doppio ogemello; LEIGH, in latino lingere leccare, conserva-to meglio che i termini del mangiare e del bere, proprioperch legato a una alimentazione gravitante sul miele ei succhi di bacche.

    Ricordo della caccia sono la radice SAG andare acaccia, che sopravvive, intellettualizzata, nel lat. sagax;GHWER lat.ferus, che indica invece lanimale selvatico,

    oggetto della caccia.Alla pastorizia strettamente legata la famiglia lessica-le di AG condurre al pascolo lat. agere; la rad. ALnutrire lat. alere; e cos PEKU gregge lat. pecu;

    49 L. R. Palmer,The Latin language, Londra, s.d., p. 32.50 Devoto, Atti delle giornate sociolinguistiche, Roma

    1970.

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    VAK(K)A mucca lat.vacca; (G)LAKT latte lat.lac,infine WLeNA lat. e it.lana.

    Ricordi mitici dellagricoltura hanno fatto s cheAGRO- sia passato da pascolo a campo; cheARO,risalente alla famiglia diEREremare, abbia profitta-to della imagine dellarare come di un remar la terra;SEseminare e MET mietere hanno invece un valorecompreso tutto nel mondo degli agricoltori.

    Indipendentemente dalla stratificazione filologica, esocioculturale, il vocabolario pu essere presentato di-viso in grandi gruppi di significato, sia pure artificiosi.

    Mantenendo la divisione in dieci grandi gruppi gi attua-ta altrove51, si ha allingrosso una differenza fra due grup-pi: la terminologia generale psicologica meteorologicaanatomica e dei rapporti famigliari pi stretti, che sop-porta bene le conseguenze dei grandi spostamenti geo-grafici; e quella economica tecnica alimentare, della na-tura cos domestica come selvatica, e delle unit socialimaggiori, che ovviamente hanno sentito, di quegli spo-stamenti, i contraccolpi maggiori. Il vocabolario delleprime categorie citate si salva abbastanza bene, quellodelle ultime arriva mutilato e stanco, come un combat-tente dal campo di battaglia.

    evidente che i vuoti, o i luoghi di minor resistenzalessicale indeuropea, costituissero altrettante tentazioni eattrattive per le unit lessicali mediterranee, con le qua-li il patrimonio lessicale indeuropeo veniva in contatto.Sono interessanti queste contrapposizioni: di fronte al-

    lindeuropeo NAWI- il lat. accogliebarca; di fronte aWESTI veste accogliepallasopravveste femminile;di fronte a KELLA capanna il lat. accogliecasae, nel-le regioni alpine, i tipi MALGA; di fianco alloro argen-to e rame AUSOARGTOAYES, il lat. accoglieplum-bumpiombo. In fatto di strumenti, di fronte aserra

    51 Origini indeuropee,cit., pp. 382 sgg.

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    sega il lat. accogliefalxfalce. In fatto di forme delterreno, di fronte amonsmonte il latino accoglie i nu-merosi toponimi del tipoAlba Alpes; di fronte aaquasiaccolgono toponimi del tipo AUSA la fonte. Nella ve-getazione resisteflosfiore, ma si accoglie il mediterra-neobac(c)a; ai nomi delle grandi specie forestali, fra lequali domina la quercia PERKwU- lat. quercusquer-cia, si affianca il med. taxus. Il miele e lape resi-stono, lat. apis mel; ma la terminologia della sua tecnicaassume dal mondo mediterraneo lat. favusfavo,fucusfuco, e anche una parola, sopravvivente in italiano,ar-

    nia. Fra i roditorimustopo si arricchisce della compa-gnia di TALPA; fra gli insetti, apulexpulce, si affian-ca BLATTA; di fronte avermisverme si accetta TAR-MA. Il contatto fra il mondo indeuropeo e quello medi-terraneo non , almeno in Italia, uno scontro: le sue con-seguenze sono non gi di distruzione, ma di completa-mento e arricchimento.

    14. Primi focolai in Italia

    Queste nuove strutture, queste nuove unit lessicali nonhanno dunque cancellato o sommerso il patrimonio lin-guistico originario dellItalia. Si sono affacciate da prin-cipio in caposaldi o teste di ponte, che, sia pure sulla ba-se di esigenze linguistiche insopprimibili, possono esse-re identificate soltanto per mezzo dellarcheologia. Unprimo requisito sta nel fatto che si deve trattare di even-ti cos antichi da avere consentito larrivo in Italia di ele-menti lessicali, anteriori a quel rivolgimento interno dellasociet indeuropea di cui si detto sopra ( 13).

    E poich nel XV sec. a.C. nel mondo Egeo apparela lingua greca gi costituita in modo autonomo, eccoche conviene identificare un primo focolaio pressa poco

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    contemporaneo, di affermazioni indeuropee in Italia52.La risposta a questa esigenza semplice. Le connessioniestraitaliane nelle stazioni preistoriche dellItalia setten-trionale (Emilia e Veneto) appartengono a et relativa-mente recente, perch, in connessione con la civilt cen-troeuropea dei campi durne, e cio posteriori al movi-mento rinnovatore democratico, ormai affermato in queltempo. Pi a mezzogiorno, sulle coste del medio Adria-tico, si trovano altri giacimenti, ricchi di corrisponden-ze transadriatiche, ma appartenenti alla civilt del fer-ro, e quindi ancor pi recenti. Non rimangono che i

    giacimenti della cosiddetta civilt di Matera, della finedel neolitico medio53. La indeuropeit comincia perciin Italia dalla Puglia ed a questa sua prima testimo-nianza antichissima che spetta allora il nome artificialedi protolatino. Somiglianze transadriatiche54 mostra laceramica delle grotte della Pertosa e di Zachito (prov.Salerno)55 arieggianti al II strato diVinea, in Jugoslavia.Sul Gargano si trovano cunei e ceramica dipinta del ti-po di Turdos (Transilvania)56, e in Puglia ceramica a na-stro, che corrisponde a sua volta al II periodo della civil-t appenninica57.

    Il focolaio settentrionale si concentra intorno alle ter-ramare, e poi soprattutto a Este. Le terramare, che ap-partengono alla fine del II millennio, attestano la civiltdel bronzo medio e recente58. La fase successiva o pro-

    52 Op. cit., pp. 193 sgg.53 Piccola guida della preistoria italiana,cit., tav. XVIII.54 Origini indeuropee,cit., p. 109.55 Piccola guida,cit., tav. XXXI.56 Origini indeuropee,cit., p. 109.57 Rellini, Bullettino di Paletnologia italiana, 48, 1925, pp.

    32 sgg.58 Piccola guida,cit., tav. XXXII.

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    tovillanoviana ha le sue basi pi antiche a Fontanella diCasalromano (Mantova) e Bismantova (Reggio Emilia), eappartiene al bronzo finale. Ha una certa spinta a espan-dersi verso Pianello di Genga, Monteleone di Spoleto59,fino al Lazio. La cultura atestina nella prima et del ferro la pi brillante; attestata a partire dal IX secolo, si iden-tifica con le testimonianze epigrafiche venetiche. Nei ri-guardi dei rapporti centroeuropei si hanno nella primafase di questo complesso le fibule60 ( 25), il rito della in-cinerazione dei cadaveri, e il rifiuto della decorazione61;nelle fasi pi recenti invece risalta la ceramica gibbosa e

    cannellata.Anche dalle coste delle Marche e degli Abruzzi il IXsecolo attesta una civilt del ferro che ha le sue connes-sioni transadriatiche, sia nel rito funebre inumatore sia insuppellettili come gli anelloni e le sferette trovati a Cuprae a Grottammare da una parte e i pendagli a sferette mi-nuscole di Glasinac in Bosnia62. Queste relazioni riper-corrono vecchi itinerari gi ricostruiti attraverso le con-nessioni fra le pi antiche civilt di Rinaldone e Belverdeda una parte e quella diVucedoldallaltra, illustrate daPia Laviosa Zambotti ( 10)63.

    15. Loro organizzazione

    Per rendersi conto della portata di questi movimenti, bi-sogna aver chiara lidea del modo con cui la nuova tradi-zione linguistica si imposta. Non si trattato di una co-

    59 Piccola guida,cit., tav. XXXV.60 Origini indeuropee,cit., p. 148.61 Origini indeuropee,cit., p. 384.62 Origini indeuropee,cit., p. 151. Cfr. Dumitrescu,Let del

    ferro nel Piceno, Bucarest 1929.63Le pi antiche culture agricole,cit., pp. 402 sgg.

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    lonizzazione in senso demografico, n di vistose migra-zioni di uomini, perch ne sarebbe rimasta traccia in leg-gende, come avvenuto per i nostoi o ritorni deicombattenti della guerra di Troia, o per la discesa deiDori nel Peloponneso. Non si trattato nemmeno dellaaffermazione di una aristocrazia culturale, perch avreb-be lasciato tracce monumentali. Il mondo mediterra-neo, ivi compreso quello italiano, era superiore per ci-vilt; una conquista culturale indeuropea impensabile.

    Eppure una forza, qualunque ne fosse la natura, de-ve essersi manifestata per consentire la conquista o alme-

    no la affermazione linguistica. Tanto pi era necessaria,in quanto il trapianto di un sistema linguistico da regio-ni cos diverse come quelle dellEuropa centrale, dove-va averla messa in crisi. Questa forza non poteva esse-re che sociale. I nuclei di tradizione linguistica indeuro-pea, privi di qualsiasi forza demografica o culturale, era-no invece saldamente organizzati in trib sia pure pic-cole, ma solide, che, dovunque arrivavano, mantenevanola loro compattezza, non solo, ma costituivano una forzadi attrazione e confronto per gli indigeni: prima, fontedi attrazione e curiosit, poi modelli di vita psicologica-mente urbana, poi solido, fisso punto di riferimento nelmutare della vita quotidiana, qualcosa di paragonabile aun mercato. Solo in questo modo possibile rendersiconto di una affermazione cos potente e durevole, e neltempo stesso invisibile. Il linguaggio dItalia si manifestadora in avanti in forme nuove, secondo una tradizione

    ricca di traversie e ostacoli, ma non pi interrotta.

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    Capitolo quarto

    Testimonianze epigrafiche preindeuropee

    16. Anetrusche

    Solo a partire dal I millennio possibile passare, dal-la contrapposizione frontale di relitti preindeuropei estrutture indeuropee, al confronto fra unit linguisti-che storicamente costituite e afferrabili a noi. Natural-

    mente il risultato di questa svolta non automatico, maprende forma progressivamente attraverso un quadro tri-partito.

    Si tratta di testimonianze pi o meno organiche di lin-gue preindeuropee, che si prolungano nella prima me-t del millennio e oltre. Si tratta di avvisaglie indeuro-pee nellinterno di queste, soprattutto nel mondo etru-sco, sino a legittimare la nozione di una fascia peri-indeuropea ( 17 sgg.). Si tratta infine di definire le

    singole tradizioni indeuropee nelle aree e nelle forme dacui hanno preso le mosse per diffondersi con maggioreo minore fortuna in Italia: tali i focolai protolatini ( 22sgg.), venetico ( 25) e osco-umbro ( 26 sgg.), messapi-co, leponzio e gallico ( 31 sgg.) e delle tradizioni che nesono eventualmente discese.

    La iscrizione punica venuta in luce nel 1964 a Pyrgipresso Civitavecchia apre la serie delle testimonianze di

    lingue non indeuropee nellItalia antica. Essa anche lapi facile da interpretare storicamente, in quanto ricordala consacrazione di un tempio alla dea Astarte, fatta daTiberio Veliana, tiranno di Caere ai primi del V secoloa.C. Si tratta di una decina di righe che trovano unapi ampia corrispondenza nelle due analoghe, ma nonidentiche, redazioni etrusche. Essa prova la importanzadei rapporti fra Cartagine e la Etruria in quella et,

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    non lesistenza nella Italia antica di unarea linguisticapunica64.

    Maggiore la portata della iscrizione sicana di Sciripresso Caltagirone (Sicilia) pubblicata da Francesco Ri-bezzo nel 1933. Appartiene al VI secolo a.C., si com-pone di 58 lettere in alfabeto greco, parzialmente corri-spondente a quello pi antico di Siracusa65. Secondo ilRibezzo la iscrizione appartiene a un tempo nel quale laaffermazione indeuropea in Sicilia gi si fatta sentire.Altri autori, per esempio V. Pisani66, la considerano in-vece gi al livello indeuropeo dei Siculi. In realt la iscri-

    zione ancora mediterranea: parole comenendas, tebeg,pra arei, pagosti kealte, inrubo, si prestano difficilmentea una interpretazione indeuropea. Il significato attribui-to dal Ribezzo Nenda Pureno distrusse in guerra nellacitt di Burena farce, cinque territori conquist. Il tutto per ancora aleatorio e vago.

    Nelle stesse condizioni si trova la celebre iscrizione diCapestrano scoperta nel 1934, appartenente al VI seco-lo a.C. Essa contiene una quarantina di segni senza divi-sione di parole ed letta da G. Radke67 in questo modo:Ma Kaprih K. oram opsu Tr Minis R akinebihi pomp...II. Su 11 parole cos isolate, 6 dovrebbero essere nomipersonali, due sono numerali,oramdovrebbe essere pro-nome,opsuun verbo,akinebihiindicherebbe una magi-stratura. Anche se non si pu escludere qualche infil-trazione indeuropea, lindeuropeismo del Radke sembra

    64 Devoto,Scritti minori, II, Firenze 1967, pp. 200 sgg. conrelativa bibliografia.

    65 Rivista indo-greco-italica, 17, 1933, pp. 197-211.66Le lingue dellItalia antica oltre il latino, 2 ed., Torino

    1964.67 Pauly-Wissowa,Realenzyklopdie, suppl. IX, col. 1779;

    Pisani,Le lingue,cit., pp. 225 sgg.

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    prematuro. Lalfabeto comune a quello delle iscrizioniumbre arcaiche (o protosabelliche; 26).

    Indubbi sono la natura e la portata della iscrizionedi Novilara, scoperta nel 188968. Si trova su un bloccodi arenaria, nel quale raffigurata una ruota a cinqueraggi. Liscrizione si compone di una quarantina diparole in dodici righe. Le prime due sono le seguenti:mimnis erut gaares tades= =rotnem uvlin parten us.Per quanto studiata a fondo, essa si ribella a qualsiasitentativo di interpretazione. A questa difficolt internasi aggiunge la profonda differenza che la separa dalla

    lingua etrusca, pure geograficamente vicina, non solo dalpunto di vista morfologico e lessicale, ma anche per lapresenza delle vocali o e u, reciprocamente indipendenti,e delle consonanti sonore in un alfabeto che pure diorigine etrusca.

    Le iscrizioni dette retiche, dellItalia settentrionale,una settantina, sono disposte nella regione compresa frail Trentino-Alto Adige e la base prealpina fra il lago diGarda e Padova. La loro antichit scarsa ma la dif-ferenza dalletrusco troppo sensibile perch sia possi-bile considerarle come resti dello strato etrusco-padanorespinto verso nord dopo linvasione gallica del V sec.a.C. Gli alfabeti sono per del tipo etrusco settentriona-le, e si dividono nei due tipi di Bolzano e di Sondrio.Sono pubblicate nelle raccolte dello Whatmough e delPisani69. Le pi importanti sono quella di Caslr (in valCembra presso Trento) N. 215, di 60 lettere, quella del-

    la paletta di Padova N. 244, con una trentina, e la spa-da di Verona N. 247, con una quarantina. La discenden-za etrusca degli alfabeti appare chiaramente attraverso lamancanza dei segni delle consonanti sonore, della voca-

    68 Camporeale-Giacomelli in I Piceni e la civilt etrusco-italica, Firenze 1959, pp. 93-104.

    69 Pisani,Le lingue,cit., pp. 317 sgg.

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    le o, nonch delle oscillazioni nellimpiego delle conso-nanti sorde e sorde aspirate. Forme caratteristiche sonoquelle del tipotrinae, tinae, che ricordano forme diperfetti etruschi70.

    17. Etrusche

    La iscrizione del lituto di Collalbo (Bolzano)71 rappre-senta invece un testo francamente etrusco, di un etruscorespinto a nord dalla invasione gallica, secondo la no-tizia di Livio e di Plinio72.

    Si introduce cos il problema principale della prein-deuropeit linguistica in Italia, quello della lingua etru-sca. Di tutte le testimonianze preindeuropee, nessunaraggiunge neanche da lontano nella Europa intera la ric-chezza e il significato di quella etrusca. Si tratta di quasidiecimila iscrizioni, la maggior parte brevissime, pochebilingui, oltre qualche decina di glosse isolate, raccoltenel Corpus inscriptionum etruscarum (CIE), iniziato

    nel 1890 e non ancora compiuto73.Sono scritte in alfabeti non omogenei, di cui possedia-mo come prototipi: la tavoletta davorio della MarsilianadAlbegna, un vaso di Formello e uno di Cerveteri. Essirisalgono a modelli greci occidentali e sono perfettamen-te leggibili, con alcuni segni divenuti superflui, come ilB e il D, la vocale o e la sibilante samech. Nelle iscri-zioni pi tarde (IV-I sec. a.C.) si abbandonano anche ilK il Q nonch X in quanto segnale di sibilante. I segnivalidi definiscono un sistema fonetico caratterizzato dal-le quattro vocali A E I U, dalla semivocale V, dalla aspi-

    70 Pisani,op. cit., pp. 318 sgg., 323.71 Battisti, Studi etruschi, 8, 1934, pp. 193 sgg.72 Livio, V 33; Plinio,Nat. Hist., III, 133.73 CIE, vol. II, sez. I, fasc. IV = 5607-6324, 1970.

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    razione H, dalle sei consonanti occlusive semplici (C TP) o aspirate (chi theta phi); dalla labiodentale F, dalletre sibilanti S S Z, dalle due liquide L, R e dalle nasali MN. Queste letture sono ormai acquisite (salvo rettificheminime) da un secolo74.

    Le prime iscrizioni sono del VII secolo. Ma che possi-bilit alfabetiche preesistessero da molto tempo in alcu-ni focolai dellEtruria, risalendo a et micenea, sar mo-strato al 36. Queste tracce antichissime, caratterizzateda una puntuazione sillabica, sono state riesumate e uti-lizzate secondo M. Lejeune75, ottenendo fortuna nel pe-

    riodo centrale della storia etrusca (secoli VI e V a.C.) eda qui irradiate verso il Veneto, dove sono state regolar-mente accolte ( 25), mentre nelle aree osca e umbra lin-fluenza alfabetica etrusca si affermata nei secoli succes-sivi (V e IV), quando la moda si era esaurita.

    I monumenti principali sono rappresentati dal testodella mummia di Zagabria, un libro su tela di lino checontiene, tenuto conto delle ripetizioni, 530 parole. Se-gue il tegolo di Capua di 62 righe conservate e di circa300 parole leggibili. Il cippo di Perugia (CIE 4538) con-tiene 46 righe e 130 parole. La lamina di Magliano (CIE5237) contiene una settantina di parole. La iscrizione diPulena (da Tarquinia, CIE 5430) ne contiene una ses-santina; cos le due lamine trovate a Pyrgi insieme con laiscrizione punica citata sopra ( 14).

    18. Peri-indeuropeit etrusca

    Linteresse che gli Etruschi e la loro lingua hanno susci-tato, ha le sue radici nellantichit: da Dionisio di Ali-

    74 Vedi soprattutto Pallottino, Etruscologia, 6 ed., Milano1968, pp. 385 sgg.

    75 Revue des tudes grecques, 80, 1967, p. 41.

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    carnasso, che ha definito la lingua etrusca diversa da tut-te le altre76, allimperatore Claudio che ne ha raccolto te-stimonianze letterarie in unopera andata perduta. Rin-novatori di questo interesse nellet moderna sono stati(XVII sec.) Tomaso Dempster, inglese, la cui operaDeEtruria regalifu per pubblicata solo nel secolo succes-sivo (1723). Degli antiquar italiani raccolse le fila LuigiLanzi (1732-1810)77, dei tedeschi Carlo Ottofredo Mul-ler nel 182878. Lassillo primo stato quello di assegnarealletrusco una definizione genealogica, italica o no. Al-la prima scuola appartennero il Corssen, il Lattes, il No-

    gara, alla seconda il Deecke, lo Skutsch e tutti i moder-ni. Resipiscenze indeuropee si manifestarono in modorisoluto presso il Goldmann79, in modo pi ondeggiantepresso il Vetter80.

    Una terza via stata indicata una trentina di anni fa daP. Kretschmer con la teoria della protindogermanischeSchicht81 o strato protoindeuropeo che io stesso hotrasferito dal piano storico a quello geografico con la no-zione di peri-indeuropeo. Le paroleTiniaGiove tivluna sarebbero svolgimenti precoci del tema indeuro-peodi(n)(che significa luce) energicamente immersoe snaturato nel mondo etrusco82 dopo un avvicinamen-to lento e graduale da parte di trib protolatine ( 23) eumbre ( 30).

    76 Antichit romane, I, p. 30.77Saggio di lingua etrusca e altre antiche dItalia, Roma 1789.78 C. O. Muller,Die Etrusker, Breslavia 1828, 2a ed. a cura

    di W. Deecke, 1877.79Beitrge zur Lehre vom indogermanischen Charakter des

    Etruskischen, I, Heidelberg 1929. Neue Beitrgeecc., Vienna1931.

    80 Etruskische Wortdeutungen, Vienna 1937.81 Glotta, 14, 1925, pp. 300 sgg.82Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 63-69.

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    19. Strutture linguistiche etrusche

    Elementi indeuropei allinterno della lingua etrusca so-no innegabili, ma non provano parentela: talilautnili-berto risalente alla tradizione protolatina (v. 22);ete-ra estraneo dalla tradizione osco-umbra ( 20); ai-sardi dalla tradizione norditalica;-umno-per es. inVertumno83 di nuovo da una tradizione protolatina. Sen-za potere ricostruire un itinerario di arrivo, sono da ri-cordare turce diede e cio dalla radice indeuropeaDO, ampliata in R come nel grecodron e con il suf-

    fisso di perfetto in-ce; cos-cda indeur. KwE,tada lat.(is)to- d,mida lat. me;-thcome segnale di locativo dauna tradizione indeuropea-dhi, perduta in latino; final-mente la elaborazione di una declinazione, in cui i singo-li casi non si trovano del tutto assestati nei segnali, che lidebbono definire84.

    Le tappe attraverso le quali si sono isolati i valori fon-damentali di alcune parole etrusche o per lo meno se ne

    delimitato il campo semantico, sono state tre. Nella pri-ma fase si seguito un metodo etimologico, confrontan-do volta a volta per prime le lingue italiche ma poi anchelarmeno (Bugge) il basco e il caucasico (Thomsen) lu-grofinnico (Martha) o addirittura il dravidico (Konow),pi recentemente il greco (Coli)85 e littita (Georgiev)86.

    La seconda fase rappresentata dal metodo opposto,quello detto combinatorio, perch prescinde da rappor-ti esterni con altre lingue e determina il valore delle pa-

    role attraverso confronti interni, con i contesti, in cui pe-

    83 Op. cit., II, Firenze 1967, pp. 185 sgg.84 Op. cit., II, pp. 79-87.85Saggio di lingua etrusca, Firenze 1947; Nuovo saggio di

    lingua etrusca, Firenze 1966.86 Georgiev,Hethitisch und Etruskisch, Sofia 1962.

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    riodicamente ritornano: il metodo nel quale si sono ci-mentati soprattutto Emil Vetter e Massimo Pallottino.

    La terza fase rappresentata dallabbinamento deidue metodi allinterno di uno spazio pi ampio di quelloaccettato dal metodo combinatorio, ma molto pi ristret-to di quello delletimologico. Si tratta del metodo bilin-guistico che attua di nuovo confronti allesterno dellalingua indagata, inseguendo non tanto identit etimolo-giche, quanto corrispondenze strutturali in testi di duesole lingue. E quello che applicano studiosi pi giovani,quali K. Olzscha test defunto e soprattutto A. Pfiffig87,

    anche se di questo confronto di strutture il precursorebenemerito stato E. Goldmann88. Dallo studio dellestrutture come da quello dei confronti bilinguistici sonostato influenzato io stesso nella interpretazione delle Ta-vole di Gubbio89.

    20. Interpretazioni etrusche

    Al di fuori di quei caratteri fonetici che risaltano dal di-venire degli alfabeti, lattenzione dello studioso deve es-sere richiamata su tre punti fondamentali delle struttu-re linguistiche etrusche. Nellambito fonetico si fa largocol tempo linfluenza dellaccento di intensit, che annul-la le vocali interne, come mostra lo svolgimento daClu-thumusthaforma etrusca per il grecoKlytaimstrapassataaClutmsta90. Sul piano morfologico, insieme allassesta-

    87 Pallottino, Etruscologia, cit., p. 385; Olzscha, Interpreta-tion der Agramer Mumienbinden, Lipsia 1939; Pfiffig, Studienzu den Agramer Mumienbinden, Vienna 1963.

    88Beitrge,cit., I, p. es. le tabelle alle pp. 12, 13, 24 sgg.89 Tabulae Iguvinae, Roma 1937, 3 ed. 1962; Scritti minori,

    cit., II, pp. 254 sgg., 289 sgg.90Scritti minori,cit., II, pp. 99 sgg.

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    mento progressivo di una declinazione, si ha la diffusio-ne del processo di rideterminazione morfologica91; dal-la assenza originaria di una mozione (cio di una se-gnalazione alternativa di genere maschile e femminile) sipassa a qualche traccia di genere grammaticale. Per quelche riguarda il lessico, ecco un elenco di parole che sipossono considerare interpretate sicuramente. Nella re-ligione: aisdio,aisardi,flerofferta,sacniluo-go sacro azione sacra,muldedicare,turdonare,trutnvtaugure, netsvisaruspice, cletramcarrelloper offerte. Nel mondo funerario:thauratomba,cela

    cella,mutnasarcofago,lupumorire,hinthiaani-ma ombra,phersumaschera. Nella famiglia: clanfiglio, secfiglia, puia moglie, nefts nipote92.Fra i verbi: am essere,svalvivere,zichscrivere.Nella societ: lautn famiglia, lautniliberto, eteraestraneo inferiore, lauchumelat. lucumolucumo-ne, lucaircefu lucumone,zilcpretore,maruma-rone (magistrato),cepensacerdote,macstrevcmae-stro,spurcitt,tuthistato,par (parchis)uguale ecio cittadino di pieno diritto (cfr. etera);mechlna-zione,rasnaEtruria,tularconfini,rumachroma-no,frontacferentano93, naper(misura di lunghezza).Nella vita domestica: vinumvino,versefuoco,ca-perecipiente,pruchum brocca,srenfigura. Nelcalendario: tingiorno,thesanmattino,tivrmesi,avilanno,rilin et di,acalegiugno,celisettem-bre lat.,velcitanus marzo lat.,traneus luglio,ermius

    agosto. Nomi di animali:andas aquila,arakos spar-

    91 Pallottino,Etruscologia,cit., 6 ed., pp. 354 sgg.92 Non esisteprumths pronipote pedissequamente ripetuto

    dai vari autori; vedi Studi etruschi, 38, 1970, pp. 142 sgg.93 Ferri, Rendiconti Accademia Lincei, 13, 1958, p. 323.

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    viero,arimosscimmia,capufalco,damnoscaval-lo,thevrutoro94.

    Ecco un paio di esempi di iscrizioni interpretate:CIE 5424 Partunus Vel Partunu vel Velthurus

    Stalnal-c Ramthas clandi Velthur e di Satlnei Ramthafiglioavila lupu XXIIXdi anni morto 28.

    CIE 5811Arnth Churcles Larthal clanArnth Churclodi Larth figlioPevthiale di Pevthi,zilc parchis amcepretore dei pari fumarunuch spur a na cepen tenu deimaroni civili da sacerdote funseavils machs semphalchlslupudi anni settantacinque morto.

    In connessione con la apertura delle frontiere dellE-truria ai prodotti artistici greci il vocabolario etrusco siapre a molti termini greci, in prima linea ai nomi pro-pri dei miti che larte greca faceva conoscere in Etru-ria, e poi agli appellativi che avevano connessioni coni materiali oggetto di quei traffici (taliAchmemrundalgr. Agammn onoTelmundal gr. Telam on, phersudal gr.Prsopon)95, e soprattutto alla conquista fondamentaledegli alfabeti ( 17).

    Il prestigio della civilt etrusca, soprattutto nel VI se-colo a.C. ha coordinato la vita culturale nellItalia cen-trale; ha diffuso parole comepopulus, par, spurius, o for-mule come quella onomastica del prenome (sostantivo)seguito dal gentilizio (aggettivo)96 (cfr. 27).

    94 Pallottino,Etruscologia,cit., 6 ed. p. 403, 414 sgg.95Scritti minori

    ,cit.

    , 11, pp. 97-119.96 Devoto,Storia della lingua di Roma, 2 ed., Bologna 1944,pp. 67 sgg.

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    Capitolo quinto

    Tradizioni indeuropee I: protolatini, veneti

    21. Focolai pugliesi: gli Enotri, gli Opici

    I contatti fra i nuclei indeuropei e gli indigeni non so-no soltanto cominciati in spazi ristretti, ma si sono sta-biliti in modo graduale. La prima fase sar consistita informe rudimentali, quasi di una lingua franca mutevole

    e povera, da cui i nuovi venuti cominciavano a impara-re una terminologia adatta ai luoghi. Una seconda fase rappresentata dalla attrazione per la quale i frequen-tatori di quelli che sono stati detti sopra dei mercati,non si limitavano a scambiarsi strumenti di comunicazio-ne linguistica, ma imparavano strutture funzioni e mez-zi espressivi adeguati. Larea indeuropeizzata in questaseconda fase non si sviluppa ancora in estensione, ma siapprofondisce, si consolida; acquista, sul piano sociolo-

    gico, prestigio.Solo in una terza fase si ha una estensione, anche se

    non necessario associare a questa la nozione di unaespansione demografica immediata. Nuclei piccoli pi omeno organizzati hanno stabilito una maglia di rapportiin aree sempre pi interne e hanno lasciato, di questeloro antichissime affermazioni, dei nomi, legati non pia trib isolate, ma a popoli. Parole isolate, avanguardie

    di questi movimenti, precedono le affermazioni degliuomini e entrano come staffette in ambienti linguisticipreesistenti senza snaturarli, nel quadro di quello che stato definito sopra come il peri-indeuropeismo97.

    97 Devoto,Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 63-69; II, ib.1967, pp. 80 sgg.

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    Nella fase preliminare, in cui ancora non si sono fissatinomi etnici indigeni, il termine tecnico che meglio defi-nisce, sia pure in modo artificiale, la situazione, quellodi protolatino. La espansione di questa tradizione dal-la Puglia si sviluppata verso occidente e ha interessatola intera Italia meridionale, subendo poi pressioni o ad-dirittura sovrapposizioni di correnti successive. In Pu-glia questa successione si realizzata attraverso lo stra-to illirico, di cui testimonianza linguistica il messapico( 33). Nella regione immediatamente adiacente si asse-starono gli Enotri (senza che loro testimonianze lingui-

    stiche arrivassero sino a noi)98, sostituiti nel V secolo a.C.dai Lucani. Pi oltre, in direzione di mezzogiorno, ulte-riori diramazioni sfociarono addirittura in Sicilia.

    22. Siculo

    In Sicilia nel primo millennio a.C. lambiente mediterra-neo (v. 9); non era del tutto puro. Recenti scoperte fan-

    no s che non si possa pi identificare completamente lanozione locale di siculo con quella di strato protolati-no quale stato definito qui sopra. Nella Sicilia occiden-tale fra Segesta e Montelepre sono state scoperte un paiodi centinaia di iscrizioni graffite99, delle quali una contie-ne la serieataitukai emi, e cio lascia apparire un segna-le morfologico comeemidi natura indeuropea. La com-plessit della situazione va valutata considerando che laSicilia nordoccidentale dal punto di vista toponomasti-co ha legami addirittura con la Liguria (Segesta-[Sestri],Eryks-Lerici, Entella, 9) mentre la tradizione tucidi-

    98 Devoto Studi etruschi, 35, 1967, p. 180; Gli antichiItalici, 3 ed., Firenze 1967, pp. 33, 118; cfr. Palmer,The latinLanguage, Londra 1954, pp. 43 sgg.

    99 Tusa, Kokalos, 6, 1960, pp. 34 sgg.; 12, 1966, pp. 207sgg.; 13, 1967, pp. 233 sgg.

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    dea associa gli Elimi a una prima pressione dallorien-te egeo. La valutazione di questi resti non deve com-promettere con la terminologia le conclusioni finali. M.Durante consider queste iscrizioni come testimonianzedi unavanguardia enotrio-bruzia100; G. Alessio la definpi genericamente come italica101; R. Ambrosini vi vi-de invece una tradizione indeuropea autonoma collega-ta in qualche modo con lAnatolia102. M. Lejeune103 vi havisto recentemente ancora una volta una tradizione itali-ca, che egli vorrebbe considerare autonoma, cos rispet-to alle tradizioni venetica-falisca e latina come rispetto a

    quella osco-umbra. La posizione pi ragionevole sem-bra quella intermedia fra il Durante e il Lejeune nel sen-so che si tratti di una italicit generica propendente perpiuttosto verso il complesso protolatino che verso quel-lo osco-umbro, ma che nella prima met del millennio ancora lontanissima dalla Sicilia. Quanto ai contatti conloriente, occorre ricordare che gli anni a cavallo fra ilsecondo e il primo millennio sono gli anni della espan-sione micenea e cio dei fatti linguistici e non linguistici,che hanno giustificato nellantichit il sorgere della teo-ria dei Pelasgi (v. 36)104. La nozione di siculo in sen-so stretto si fonda principalmente su tre iscrizioni, del-le quali la pi importante quella del guttus o brocca di

    100 Durante, Kokalos, 7, 1961, p. 88.101 Alessio, Kokalos, 7, 1961, p. 33 (estratto); Parlangeli,

    Kokalos 7, 1961, p. 20.102 Ambrosini, Studi e saggi linguistici, 8, 1968, pp. 160-

    172; Schmoll, Die vorgriechischen Sprachen Siziliens, Wiesba-den 1958.

    103 Lejeune, La Langue lyme daprs les graffites de Sge-ste, Comptes rendus de lAcadmie des inscriptions et bellesLettres, 1969, pp. 237-242.

    104 V. Appendice A a p. 375 a cura di L. Agostiniani.

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    Centorbi105. La interpretazione non chiarissima. Ma laformanunus, identica al latino Nonus, esclude qualsia-si collegamento col filone osco-umbro che avrebbe datoNOVIO106. Le glosse permettono di delineare altri carat-teri importanti per la tradizione protolatina in Sicilia.

    Una forma come (in trascrizione greca) AITNA Et-na in connessione evidente con la radice indeuropeaAIDH ardere, e cio prova il passaggio di DH a T. Siha cos insieme la prova di una differenza fra protolatinoe latino dove si haaedescon D, e la possibilit di spiega-re in latino un aggettivo comerutiluso un nome locale

    comeLiternumquali resti di una tradizione protolatinarisalente rispettivamente alle forme radicali RUDH, LU-DH rimasta indisturbata. Analogo il caso di sic. litrarispetto al latino libra. Altre glosse interessanti attribui-te alla lingua sicula sono unkiauncia, moton mu-tuum, kbiton cubitus. Il fonema F (mediterraneoTH; 6), fino a questo punto non appare107.

    A settentrione e occidente del territorio enotrio si haquello opico. Mentre da un punto di vista linguisticolarea enotria muta, quella opica, grazie allacume diF. Ribezzo, ha lasciato qualche traccia, sopravvissutaallavvento del superstrato sannitico sulla lingua osca (29). Sospetto di opicit potrebbe essere la formahipidper habuit con la sorda interna al posto di una anticasonora aspirata.

    105 Pisani, Le lingue dellItalia antica oltre il latino, 2 ed.,Torino 1964, N. 126, p. 294.

    106 Thurneysen, Kuhns Zeitschrift fr vergleichende Spra-chforschung, 35, 1897 pp. 212 sgg.

    107 Devoto,Storia della lingua di Roma2 ed., Bologna 1944,p. 56; vedi ora: Campanile, Note sulle glosse siculeecc., inStudia classica et orientalia. A. Pagliaro oblata, Roma 1968,pp. 293-322. V. Appendice A a cura di Luciano Agostiniani.

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    23. Falisco

    A settentrione del territorio opico si ha quello ausone, einfine, allestrema ala settentrionale, quello latino. Que-sto tuttaltro che uniforme. A nord di Roma, attraver-so larea falisca, si ha un territorio (proto)latino supersti-te che stato soggetto a influenze sia etrusche sia sabine.Le nostre conoscenze sul falisco si fondano oggi sullo-pera di G. Giacomelli108. Le iscrizioni importanti editedalla Giacomelli sono circa 150. Nella raccolta comple-ta del CIE esse comprendono i numeri 8000-8600; delle

    quali alcune in lingua etrusca. Lalfabeto quello latinoarcaico, sia pure con una diversa forma della F. La gra-fia, in parte influenzata dalletrusca, mostra Z per S, e Tper D; talvolta U per O e K per G, p. es.ekoio. Arcai-smi non necessariamente protolatini sono in falisco:ne-venlat. novem,peparailat. peperi,eti lat. ET,-osiodes. di gen. sg. (lat. I). Sul piano lessicale impor-tantelecetgiace gr. lkhetai. Innovazione comune al

    latino quella del dittongo -OU in -OI, p. es. loi(firta)lat. libertas.Per quello che riguarda le consonanti, il falisco come

    il latino entrano nellarea che ha elaborato il suono F (27), che nel falisco ha anzi uno sviluppo ancora maggio-re che in latino: per esempio al posto della H iniziale hafoiedper hodie ( 41), e mostra contemporaneamen-te il passaggio del gruppodieinie. In posizione inter-na la F prova una influenza sabina contro la sonora sem-

    plice, che corrisponde invece in latino alle sonore aspi-rate indeuropee: tale il caso del faliscoloifirtadi fronteal latino libertas; tale quello delle formecarefo pipafofuturi in B (lat. carebo) sottoposti analogicamente a Fsabini, anche se il futuro orco-umbro era non in BH ma

    108Lingua falisca, Firenze 1962.

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    in S ( 27); cos infine il faliscoefilesdi fronte al latinoaediles.

    24. Dialetti latini

    Al di fuori del falisco non abbiamo testimonianze organi-che di dialetti latini, ma solo indizi di una variet dialet-tale, che doveva essere grande. A Lanuvio la consonantelabiovelare sonora aspirata dava vita in gruppo non gi aun G come a Roma ma a un B, come provaneBrudinestesticoli. La esiguit del territorio, che rimane dispo-nibile per il latino fa s che, anche allinterno del latino diRoma, prendano cittadinanza parole dalla impronta fo-netica non cittadina ma rustica: tali i casi dibosboveche avrebbe dovuto essere latinamente VOS,lupusinve-ce di LUKOS,forfexinvece di FORBEX. Che questul-tima forma regolarmente cittadina sia in realt esistita, provato solo dalla forma italiana attuale,forbice.

    La situazione del latino destinata ancora a peggiorare

    quando la esiguit linguistica viene alimentata non pidalle variet dialettali latine, ma da lingue diverse che,come quella volsca, sopraggiungono in et posteriore (46)109.

    25. Venetico

    Un primo filone indeuropeo che ha avuto qualche par-

    te nella formazione del latino, va condotto alla tradizio-ne norditalica del venetico. Le nostre conoscenze sul ve-netico sono ora raccolte nella grande opera di G. B. Pel-legrini e Aldo Prosdocimi110. Le iscrizioni venetiche og-

    109Scritti minori,cit., II, pp. 362 sgg.110 G. B. Pellegrini e A. Prosdocimi, La lingua venetica, 2

    voll., Padova-Firenze 1967. Le iscrizioni venetiche sono citate

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    gi sono 270 di cui 119 da Este, 15 da Adria, 19 da Pa-dova, 73 dal Cadore, 23 dalla valle del Gail nel territorioaustriaco al di l delle Alpi Carniche. La loro et va dalsec. VI a.C. alle soglie dellet romana nel II.

    Il loro alfabeto, di origine etrusca, stato accolto nelp