DevelopMed n. 31

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Web Magazine sulle relazioni economiche euromediterranee

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Newslettern°31

SOMMARIO

Scambi Italia-Med

• Turchia - La penisola delle pipelinesIstanbul - Giuseppe Mancini

• La Tunisia un anno dopo le elezioni. Transizionedemocratica o disillusione?

Tunisi - Abdellatif Taboubi

Med Flash

• Torino - 2015, congressomondiale delle Camere dicommercio• Conti correnti intestati a imprenditori immigrati. In unanno +25%• L’Agenzia ICE guarda ai territori palestinesi• Start up: l'Italia dà un segnale di fiducia• Formazione per giovani imprenditori euromed

Crisi ed EconomiaMediterranea

• Turchia - Intesa San Paolo: prossima l'apertura di unafiliale a Istanbul• Libia: chance per l’Italia, non solo idrocarburi• La crescita del consumatore africano

Sviluppo PartenariatoMediterraneo

• Nasce aMilano il Centro Euro-Mediterraneo per le Pmi• Unione perMediterraneo: un nuovo tentativo di rilancio• Commissione Ue: nuovi programmi per investimentieuromed

Approfondimenti

• L’imprenditoria immigrata in Italia: un fenomeno sottoanalisi• La governance aziendale nelle banche islamiche• Italia: la prima per interscambio economico con ilMediterraneo• La Libia dalla guerra a oggi - Video atti

PalestraMediterranea

• Turchia e Iran: due realtà interconnesse nel turbolentoscenariomedio-orientale

Ambasciatore Angelo TravagliniSegnalazioni

ParalleliIstituto Euromediterraneo delNord-Ovestwww.paralleli.org

Responsabile:Marcella RodinoRedazione Italia: Claudio Tocchi

RedazioneMed: GiuseppeMancini, Abdellatif Taboubi,Ambasciatore Angelo Travaglini________________________tel. 011 [email protected] iscriversi alla newslettercliccare qui.

Con il sostegno di:

Rete Camerale Nord Ovestper il Mediterraneo

Le attività dell'IstitutoParalleli sono sostenute da:

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SCAMBIITALIA-MED

Turchia - La penisola delle pipelinesIstanbul - GiuseppeMancini

Un grande pannello della Botaş, l'azienda statale turcacompetente, ne indicava con lucine colorate i percorsi –attivati o progettati – attraverso l'Anatolia: la grandeattrazione, nello spazio allestito per gli sponsor, della quartaedizione dell'Energy and Economic Summit organizzatodall'Atlantic Council a Istanbul, il 15 e 16 novembre scorsi.

Per sostenere il proprio boom economico e stili di vitapienamente moderni, la Turchia deve assicurarsi fontienergetiche in quantità sempre maggiore: il nucleare e lerinnovabili per il futuro, petrolio e gas naturalenell'immediato; il trasporto dagli stati confinanti a estavviene e avverrà in larghissima parte attraverso oleodotti egasdotti: e l'obiettivo della Turchia è quello di trasformarsi inhub, in zona di smistamento – così da intascare royaltiesstrada facendo – verso l'Europa. Anche per questo motivo,praticamente ogni volta che intervengono in consessiinternazionali, le autorità di Ankara si rammaricano dellamancata apertura da parte dell'Unione europea – a causa dimiopi veti, specialmente in un periodo di crisi – del capitolonegoziale sull'energia: gli interessi sono comuni, unastrategia comune sarebbe nell'interesse di tutti. Lo ha dettoanche il ministro dell'energia e delle risorse naturali, TanerYıldız, durante la cerimonia di apertura del summit.

In riva al Bosforo si sono dati appuntamento ministri,ambasciatori, analisti strategici, capitani d'industria,finanziatori: pochi lunghi discorsi, molti scambi serrati e adalto ritmo; i corridoi e le sale private, poi, hannotestimoniato incontri politici e d'affari: la soddisfazione erastampata sul volto di molti, i profitti continuano ad averemolti zeri. I l leitmotiv del forum può essere infatti riassuntoin “più pipelines per tutti”: perché la diversificazione dellefonti di approvvigionamento e dei percorsi per iltrasferimento verso ovest (in alcuni casi verso est e sud,Cina e Indocina) è la miglior garanzia per prezzi equilibrati equantitativi soddisfacenti; sono tutte benvenute: Tanap,Nabucco West, South Stream, l'oleodotto Samsun-Ceyhanper evitare il passaggio delle petroliere sul Bosforo. Maanche Robert Blake, sottosegretario americano conresponsabilità per l'Asia centrale e meridionale, ha lanciatouna frase ad effetto (amichevolmente rubata al ministrodegli esteri del Kazakistan): dal great game al great gain,dal grande gioco delle grandi potenze (Russia e GranBretagna, poi Urss e Usa) per conquistare influenzageopolitica in Asia centrale al “grande guadagno”. Di tutti,per l'appunto.

Nelle numerose sessioni durante i due giorni di lavori si èparlato di Asia centrale, Afghanistan e Turkmenistan, I raq eIran, ovviamente Russia, ma anche Cina e Stati Uniti, Africae Mediterraneo – con un occhio di riguardo agli sviluppi

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tecnologici previsti nei prossimi decenni. E proprio il paneldedicato a quelli che in Turchia vengono chiamati il mar Neroe il mar Bianco (cioè, il Mediterraneo) – e alle risorse di gasnaturale – ha dato vita a una delle discussioni di maggiorrilevanza, economica e politica: perché il dialogo tra AmitMor, israeliano e amministratore delegato dell'israeliana EcoEnergy, e Mithat Rende, turco e direttore generale per gliaffari economici multilaterali e l'energia al ministero degliesteri (non ha partecipato al panel, è però ripetutamenteintervenuto durante la sessione delle domande dal“pubblico”), ha richiamato l'attenzione sul triangolo Israele-Cipro-Turchia – un triangolo di instabilità o di prosperità nelmediterraneo orientale, a seconda dell'evoluzione cheavranno i rapporti tra gli attuali contendenti.Mor è partito richiamando le tre grandi scoperte degli ultimianni, tutte opera dell'americana Noble: il giacimento Tamar,90 chilometri al largo delle coste israeliane di Haifa, chedovrebbe contenere 250 miliardi di metri cubi di gas (e ingrado di soddisfare per 20 anni il fabbisogno di Israele); ilgigantesco Leviathan, sempre a largo di Haifa e con risorseaddirittura superiori, circa 450 miliardi di metri cubi; e infineAphrodite, ancora più a largo e già nella zona economicaesclusiva della Repubblica di Cipro, con 200 miliardi di metricubi di gas e qualche miliardo di barili di petrolio. Leopportunità di sfruttamento ed esportazioni sono enormi, lecomplicazioni anche. In primo luogo, c'è la guerrapermanente israelo-palestinese: e le piattaforme, i gasdottie gli altri impianti necessari rappresenteranno un obiettivoparticolarmente allettante; in secondo luogo, la mancatariunificazione di Cipro e i rapporti burrascosi tra Israele eTurchia rendono al momento improbabile uno sfruttamentocongiunto.

Ma, come Rende ha sottolineato riprendendo leconsiderazioni del ministro Yıldız il giorno prima (“dovremmousare le risorse in idrocarburi per migliorare la cooperazioneregionale”), è proprio un progetto condiviso – cioè, unapipeline che si congiunge alla rete turca e di conseguenza aquella europea – il modo economicamente più convenientedi operare. Ha difeso la posizione della Turchia nei confrontidi Israele, che si è irrigidita dopo l'assalto alla Mavi Marmaranel maggio 2010 (nove attiviti turchi uccisi dai commandosisraeliani) e non cambierà di tono fino a quando nonarriveranno scuse formali, risarcimenti e la fine del blocco diGaza; ha ribadito quella nei confronti della situazione aCipro: difesa degli interessi dei turco-ciprioti attivandoesplorazioni autonome (difese da navi da guerra) edescludendo dal mercato turco quelle aziende – è coinvoltaanche l'Eni, ad esempio – che operano nell'area contesa inassenza di un accordo su come dividere i profitti tra le duecomunità cipriote. Ha concluso dicendo che auspica per ilfuturo una soluzione complessiva del contenzioso affinché “ilgas naturale del Mediterraneo orientale possa esseresfruttato come un sistema integrato, sostenuto dalle banchee commercialmente realizzabile”.

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SCAMBIITALIA-MED

La Tunisia un anno dopo le elezioni.Transizione democratica o disillusione?

Tunisi - Abdellatif Taboubi

La Tunisia, all'incrocio delle strade della storia e dellaricostruzione dello stato della seconda repubblica, negozianon senza difficoltà le sue grandi scelte, in particolare ilmodello di società, di sviluppo e il regime politico.

La stanchezza popolare si esprime sovente negli stadi. I l 21ottobre 2012, in effetti, una parte del pubblico tunisino delloStadio di Rades (periferia Sud di Tunisi) ha scandito conforza un canto inneggiante l’ex-dittatore decaduto Zine ElAbidine Ben Ali - in fuga dopo il 14 gennaio 2011 in ArabiaSaudita - all’arrivo nello stadio di Mustapha Ben Jaâfar,presidente dell’Assemblea nazionale costituente (ANC). Unatto politico per eccellenza.

Un altro episodio significativo ha avuto luogo durante unafamosa trasmissione radio, il 29 ottobre 2012. Unascoltatore, originario di una città dell’interno della Tunisia,dopo aver augurato telefonicamente buona festa a tutto ilmondo, ha parlato del suo villaggio… Ma al momento deisaluti finali, ha domandato di poter fare una dedica. Laconduttrice gli ha risposto se avesse voluto dedicare unacanzone romantica alla sua dolce metà, ma lo spettatore harisposto: “Sei un’ingrata! Voglio dedicarla a RachedGhannouchi (capo del movimento islamista Ennahdha,partito al potere, ndr)”. Silenzio in studio, ma lo spettatoreha insistito dicendo: “Noi abbiamo votato per lui, ma lui ciha delusi, lui intendo J ebali (Capo del Governo, ndr) eEnnahdha”.

La canzone è passata. Questo è stato un momento alto dilibertà di espressione post rivoluzione. La dimostrazionemagistrale del potere di libertà d’espressione, ma anche unmodo di sfidare queste personalità politiche prestigiosetunisine, che dopo aver raggiunto il potere alla vigilia dellarivoluzione, hanno tardato a realizzarne gli obiettivi di libertàe dignità del popolo.Questi fatti esprimono anche la delusione che un grannumero di tunisini provano rispetto alla situazione generalee alla prestazione della nuova squadra al potere.

La maggioranza dei tunisini non è pienamente soddisfattadell’azione del governo. I rimproveri non mancano, peresempio sulle condizioni di vita, che non sono migliorate, ladisoccupazione non è diminuita, le prestazioni pubblichedella sanità, dei trasporti. Rumori, vibrazioni mediatiche ebrusii di corridoio si moltiplicano a proposito di alcunimembri della Troika al potere e dell’Assemblea nazionalecostituente, che non raggiungono sempre consenso sulsistema di governo, sull'agenda che dovrebbe portare alcompletamento dell'elaborazione della costituzione eall’organizzazione delle prossime elezioni, indispensabili per

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la nascita delle istituzioni della seconda repubblica.

La Tunisia sembra congelata all’incrocio dei cammini dellastoria e della ricostruzione dello Stato, dell’economia e dellasocietà. E’ al rallentatore.L’economia non è al meglio della sua forma. I l rapportoDoing Business 2013 “Regolamentazioni intelligenti per lepiccole e medie imprese”, appena pubblicato dall’IFC e dallaBanca mondiale, classifica la Tunisia al 50° posto. Perdequattro posti rispetto all’edizione precedente. La Tunisia è al1° posto nel Maghreb e al 6° a livello dell’Africa del Nord e ilMedio Oriente. Per il secondo anno consecutivo, enonostante la rivoluzione, la Tunisia non ha operato nessuncambiamento.

Questo genera un sentimento di frustrazione e allo stessotempo di disillusione presso numerosi tunisini, senza contarel’inquietudine degli ambiti economici, degli investitori locali estranieri, così come dei partner stranieri.

Un anno dopo le elezioni del 23 ottobre 2011, che hannovisto il partito islamico Ennahdha imporsi e costituire il primogoverno democraticamente eletto, le autorità attuali, moltomale ispirate dal partito maggioritario, hanno finito percondurre il paese in strade senza uscita, ha indicato IyadhBen Achour, anziano presidente dell'Alta Istanza per laRealizzazione degli Obiettivi della Rivoluzione in unadichiarazione ad Africanmanager.

“Noi abbiamo perso un tempo infinitamente prezioso suquestioni periferiche e ideologiche”. Ben Achour aggiungeche un certo numero di deputati all’Assemblea nazionalecostituente, come alcuni della classe politica, sono animatisolamente dall’esca del guadagno - parola incendiaria -,dalla foga della visibilità e del sensazionale.

“Fino a ora, si sono moltiplicate le mansioni e indennitàministeriali (quasi un centinaio di funzioni di ministri esegretari di stato) così come gli stipendi dei deputati”, haaffermato Ben Achour.Così i preamboli della rivoluzione e altri grandi affari delnostro paese (la crescita economica, lo sviluppo dei settorisensibili dell’economia – il turismo – la crescita dei prezzi, laquestione della disoccupazione, la giustizia di transizione, ilproblema della sicurezza e la riforma fiscale) sono statirelegati alle calende greche, secondo la maggioranza degliosservatori. Questi fattori spiegano le difficoltà cheimpediscono la fluidità della transizione democratica.

Se per la prima volta, dopo l’indipendenza della Tunisia,l’equilibrio tra i poteri presidenziali esecutivi e legislativi vaverso la presidenza del governo, c’è da notare che il governoattuale è dominato da una corrente politica d’ispirazionereligiosa, Ennahdha, che esercita un ruolo essenziale nellacoalizione governativa ed è tacciata dall’opposizione di

Quali cambiamenti...

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influire sul cammino degli affari del paese e degli ingranaggidello stato.

Secondo gli oppositori al governo in carica, la bozza dellaCostituzione conteneva delle disposizioni attentatrici allalibertà di convinzione e di espressione ed apriva così la viaalla tirannide teocratica.Alcuni deputati hanno preso l’iniziativa e sono impegnatiattualmente alla revisione di questo progetto.I l presidente dell’Associazione Tunisina per l’Integrità e laDemocrazia delle Elezioni (ATIDE) ha dichiaratorecentemente, in occasione di una conferenza stampa, chec’è stato molto dilettantismo nella redazione del progetto dilegge relativo alla creazione di un organismo indipendenteper le elezioni. Secondo l’associazione, questo progettopresenta lacune mettendo in pericolo il principiod’indipendenza, di neutralità e dì integrità dell’InstanceSupérieure Indépendante pour les Elections (ISIE) e delprocesso elettorale.

Approfittando del lassismo di questo governo provvisorio, isalafiti sembrano beneficiare di una impunità totale che haportato ad azioni violente che riguardano più che mai lacronaca, soprattutto a seguito della confusione creata daGhannouchi, affermando che questi salafiti sono “nostri figli,non vengono dalla luna. Bisognerà ascoltarli. I l dialogo è lasola soluzione”.

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MED FLASH

Torino - 2015, congressomondiale delleCamere di commercio

Torino si è aggiudicata l'organizzazione del World Chambermeeting. Vinta la concorrenza di Liverpool, Ginevra eBelfast. Un successo della diplomazia di Barberis, attualepresidente europeo.

Alla fine Torino ce l'ha fatta. Nel 2015 organizzerà la nonaedizione del congresso mondiale delle Camere di commercioche farà tappa in Europa. Ha battuto la concorrenza diGinevra, Liverpool e Belfast. Attesi oltre 2mila partecipantida 120 paesi. "I l Congresso mondiale delle Camere dicommercio è l'unico forum dedicato agli alti funzionaricamerali di tutto il mondo - sottolinea Alessandro Barberis -Una prestigiosa occasione per scambiare buone prassi,sviluppare nuove reti di contatti e conoscere progettiinnovativi, sfruttando le esperienze di altre Camere dicommercio che si trovano di fronte alla sfida dirappresentare un valore aggiunto per le imprese dellapropria regione".La Camera di commercio di Torino aveva partecipato al WcfCongress del 2009 a Kuala Lampur (Malesia), dove erastata premiata per il progetto di internazionalizzazionededicato al settore automotive "From concept to car",risultato il miglior progetto internazionale. L'esperienzamalese è stata l'occasione per apprezzare il valore del WCFCongress come evento di networking internazionale eimportante momento di visibilità per la città ospitante."Abbiamo deciso di candidarci per ospitare l'edizione 2015del Congresso - spiega Barberis - per continuare l'attività dipromozione di Torino come destinazione di eventiprestigiosi, in particolare come città che crea nuoveopportunità commerciali per operatori economici qualificati.Sarà quindi un modo per continuare a dare visibilità allacreatività, all'innovazione e alle tradizioni di Torinoattraverso le sue eccellenze produttive".

Conti correnti intestati a imprenditoriimmigrati. In un anno +25%

Cresciuti del 25% in un anno i conti correnti intestati aimprenditori immigrati. Se nel 2009 sul totale dei cittadiniimmigrati correntisti delle banche italiane, i clienti smallbusiness erano il 3,2% del totale, nel 2010 sono saliti al4,2%, per un totale di 37.330.

Sono i dati emersi dal primo rapporto dell’Osservatorionazionale sull’inclusione finanziaria degli immigrati,presentato a Roma il 12 novembre scorso. Prima esperienzanel panorama italiano ed europeo, l’Osservatoriosull’inclusione finanziaria degli immigrati è un progettopluriennale, è nato dalla collaborazione fra l’Associazionebancaria italiana e il Ministero dell’interno. I l progetto,

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finanziato dalla Commissione europea e dal Ministerodell’interno (Fondo europeo per l’integrazione di cittadini diPaesi terzi), è stato assegnato sulla base di una garapubblica al CeSPI (Centro studi di politica internazionale)”.

I l panorama imprenditoriale legato all’immigrazione nelnostro Paese è composito, con un marcato rapporto con ilterritorio e comportamenti finanziari molto diversificati inbase alla nazionalità. Nel segmento small business, intermini di distribuzione geografica, si conferma unamaggiore concentrazione di conti correnti presso le banchenel Nord I talia, pari al 67%; il 34% sono concentrati nelCentro, il 5% al Sud. Cinesi, egiziane, albanesi, macedoni epakistane le comunità di imprenditori più vivaci nel rapportocon le banche. Quasi un terzo dei conti correnti delsegmento small business - migranti (il 28%) è intestato adun’imprenditrice donna. Percentuale che supera il 50% nelcaso delle imprese filippine, ucraine, polacche e moldave.

Le imprese il cui titolare è un migrante sono relativamentegiovani (hanno quasi tutte meno di dieci anni), e ilfenomeno ha iniziato a mostrare segni di pro-attività e livellidi integrazione socio-economici tali da permettere l’avvio diattività economiche imprenditoriali di maggiore complessità.Secondo l’Osservatorio, il suo rafforzamento potrebbecostituire un’opportunità anche in termini di contributo allaripresa e al processo di internazionalizzazione del sistemaeconomico del Paese.

Scarica il Rapporto

L’Agenzia ICE guarda ai territori palestinesi

Si è tenuta venerdì scorso, 23 novembre, a Roma, presso laSala delle Conferenze Internazionali del Ministero degli AffariEsteri, la Country Presentation Territori Palestinesi. L'evento,promosso dal Ministero degli Affari Esteri, realizzato con lacollaborazione dell'ICE Agenzia per la promozione all’esteroe l'internazionalizzazione delle imprese italiane, è statoorganizzato in occasione della visita in I talia delladelegazione del Primo Ministro dell'Autorità NazionalePalestinese, Salam Fayyad.

La presentazione ha costituito un’occasione per farconoscere alle aziende italiane, direttamente dalle Autoritàpalestinesi, i piani di sviluppo del Paese. Ciò anche alla lucedei programmi di sostegno all'economia promossidall'Unione Europea in generale, e dall’I talia in particolarecon la linea di credito della Cooperazione del Ministero degliAffari Esteri per il Paese.Ad aprire i lavori il Ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi diSant’Agata, seguito dal suo omologo palestinese, Riyad alMalki e da Jwad Naji, Ministro dell’Economia palestinese. Èstato proprio il Ministro Terzi a sottolineare che questo

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appuntamento è servito per "delineare l'impulso chevogliamo dare a tutto campo, con un'enfasi sullacollaborazione economica per un vero partenariato traimprese".Dal canto suo, Malki ha ringraziato l'I talia per questaoccasione di incontro che “apre alla possibilità di espanderela cooperazione, allargandola a nuovi ambiti”. La rinnovatacollaborazione tra I talia e Anp si è concretizzata nella firmadi otto accordi nei settori del turismo archeologico-culturale,dell'università e ricerca, della giustizia e dei rapporticommerciali.

A seguire, sono stati presentati alcuni casi di successopalestinesi e poi la sessione dedicata agli strumenti italiani asostegno del settore privato palestinese, nella quale èintervenuto tra gli altri il Presidente dell’Agenzia ICE,Riccardo Monti. In tale occasione, è stata inoltre confermatal'apertura di un'antenna dell'ICE a Ramallah.

I l convegno si è focalizzato principalmente su settori qualiagroindustria, costruzioni e infrastrutture, farmaceutica,elettronica, meccanica strumentale, telecomunicazioni,settore bancario-finanziario, arredamento, turismo.Tra gli accordi siglati, un Protocollo d’Intesa che rinnoval'accordo biennale firmato il 4 marzo 2010 stipulato tral’Agenzia ICE e PalTrade-Palestine Trade Center, l'organismolocale di promozione del commercio, con la finalità difacilitare le relazioni commerciali tra i due Paesi.

“Con questo Protocollo - ha dichiarato il Presidentedell’Agenzia ICE, Riccardo Monti - ci proponiamo disviluppare azioni specifiche per favorire gli investimentiattraverso l’identificazione di settori e progetti che possanoessere di interesse reciproco e favorire tutte le azioni tese amigliorare la cooperazione economica e commerciale tra glioperatori dei due Paesi, inclusa la creazione di partenariatiprivati e pubblici in settori quali l’agricoltura, leinfrastrutture, l’acqua, l’ICT, la meccanica e le energierinnovabili”.Infatti, mentre da un lato l’Agenzia-ICE sviluppa lainternazionalizzazione delle imprese italiane e lacommercializzazione dei beni e dei servizi italiani nei mercatiinternazionali e promuove l’immagine del prodotto italianonel mondo, dall’altro, PalTrade ha il compito di guidare losviluppo delle esportazioni palestinesi come elementotrainante per la crescita sostenibile dell’economia nazionale.Come l’Organizzazione Nazionale per la Promozione e loSviluppo delle Esportazioni (NEPDO) e con un numero dioltre 330 aziende palestinesi tra le più rappresentative incampo economico, PalTrade supporta lo sviluppo di unambiente favorevole alla crescita economica e di un sistemaimprenditoriale efficiente e competitivo che attraverso lapromozione delle esportazioni favorisca il potenziamentodelle capacità imprenditoriali.

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Start up: l'Italia dà un segnale di fiduciaMarcella Rodino

I l Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 18 ottobre ildecreto "Crescita 2.0", dando un nuovo segnale di fiduciaalle start-up innovative italiane. Un primo passo importanterivolto a chi ha il coraggio di investire su un'idea innovativa.

Negli ultimi dieci anni, negli Stati Uniti, le startup hannocreato tre milioni di posti di lavoro. Dopo il lancio da partedel presidente Obama di Startup America, il settore privatostatunitense ha sviluppato un partenariato tra imprenditori,multinazionali, università, fondazioni, leader di varia naturacapace di mobilitare in meno di un anno l’equivalente di unmiliardo di dollari in business service a disposizione di unnetwork nazionale che offrirà servizi a centomila startup neiprossimi tre anni. Perché lo fanno? Perché sono consapevoliche il 40% della ricchezza americana di oggi è prodotta daimprese che trent’anni fa non esistevano nemmeno. Dopoaver lanciato nel 1993 il programma Yozma a favore dellestartup, Israele è diventato in pochi anni il Paese con il piùalto numero disocietà quotate al Nasdaq e di brevetti procapite high-technel settore medicale. In Gran Bretagna,doveuna legislazione economica snella e chiara, un mercatodel lavoro flessibile e specializzato, politiche fiscali cheincentivano gli investimenti, e un’eccellente rete diinfrastrutture e telecomunicazioni agevolano giàl’imprenditoria, nel 2011 è stata lanciata StartUp Britain,una grande campagna nazionale patrocinata dal governo maconcepita e finanziata da imprenditori, con il fine di fare levasull’esperienza e la passione di questi ultimi per promuoveree accelerare la diffusione di nuove imprese innovative.Anche l’I talia nel 2012 ha approvato un decreto peragevolare la nascita e lo sviluppo di imprese innovative, lecosidette start-up.I l decreto approvato dal Cdm lo scorso 18 ottobre 2012 hadato un nuovo segnale di fiducia alla nascita e allo sviluppodelle start-up innovative italiane. Innanzitutto le ha definitecome “società di capitali, non quotate e residenti o soggettea tassazione in I talia, che soddisfano i seguenti criteri: sonodetenute direttamente e almeno al 51% da persone fisiche,anche in termini di diritti di voto; svolgono attività diimpresa da non più di 48 mesi; non hanno fatturato –ovvero hanno un fatturato, così come risultante dall’ultimobilancio approvato, non superiore ai 5 milioni di euro; nondistribuiscono utili; hanno quale oggetto sociale lo sviluppodi prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico; siavvalgono di una contabilità trasparente che non prevedel’uso di una cassa contanti, fatte salve le spese legate airimborsi”.

Lo scorso 13 novembre a Milano, in occasione del Forumeconomico e finanziario del Mediterraneo molta attenzione èstata data al ruolo delle start-up nella crescita economica

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dell’area mediterranea. Portando ad esempio il caso positivodi Israele, la constatazione è che manca in generale la“mentalità del fare”, quello spirito imprenditoriale pronto ascommettere su un’idea, come del resto è poco sviluppata lacultura del “rischio”. La cultura imprenditoriale quindi è unpunto debole della formazione dei giovani, quasicompletamente assente nei percorsi scolastici dei giovanieuropei e mediterraneo.

Formazione per giovani imprenditori euromed

La Fondazione Cassa di Risparmio di Torino ospiterà, dall’11al 15 febbraio 2013, venti giovani imprenditori dell’areaeuro-mediterranea per un corso di formazione teorico-pratico sugli strumenti e i modi di avviare un’impresa socialenel loro paese di origine.

Nel tentativo di contribuire a offrire concrete opportunità dilavoro ai giovani dei paesi dell’Europa e del nord Africa chesi aprono sul Mediterraneo, , la Fondazione CRT, inpartenariato con l’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite(UNAoC) e il Ministero degli Affari Esteri I taliano, lancia unprogetto pilota per formare venti giovani provenienti daquest’area. I l corso vuole fornire a giovani imprenditori oaspiranti tali gli strumenti per sviluppare la propria impresasociale, ricercare finanziamenti a livello nazionale einternazionale ed affrontare le sfide interculturali insite nelcontesto sociale in cui opereranno. I formatori sarannoprofessionisti di alto livello reclutati attraverso il networkinternazionale delle Nazioni Unite.

Massimo Lapucci, Segretario Generale della Fondazione CRT,ha dichiarato: “Crediamo fortemente in questo tipo diiniziative, intraprese grazie ai costanti rapporti dicollaborazione che ci legano alle Nazioni Unite e al Ministerodegli Esteri italiano e che hanno come protagonisti i giovani,da sempre ritenuti asset strategico dalla nostra Fondazione.”

Per Marc Scheuer, Direttore del Segretariato dell’Alleanzadelle Civiltà delle Nazioni Unite: “I l Mediterraneo si configurasempre più come un ponte per il dialogo interculturale e noivogliamo continuare a promuovere iniziative che rafforzinola coesione sociale nella regione. A oltre un anno daglieventi che hanno cambiato il volto di molti paesinordafricani, una delle sfide principali di governi,organizzazioni internazionali, entità non profit e impreseprivate è rappresentata dagli sforzi comuni di fornire tutto ilsostegno necessario alle giovani istituzioni democratiche e dinon permettere che la crisi economica mini il percorsointrapreso fino a oggi.”

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CRISI ED ECONOMIAMEDITERRANEA

Intesa San Paolo: prossima l'apertura di unafiliale a Istanbul

Istanbul - GiuseppeMancini

Prosegue l'inchiesta sulle imprese italiane che investononell'area Med con l'intervista a Ferdinando Angeletti, generalmanager della filiale hub di Intesa San Paolo di Dubai eresponsabile per l’area Medio Oriente, Nord Africa e Turchia,che racconta a DevelopMed dell'aiuto fornito da Intesa SanPaolo alle PMI che vogliano investire in Turchia.

Le relazioni di Intesa Sanpaolo con la Turchia sono più checonsolidate; la prima presenza del gruppo nel paese risaleaddirittura al 1919, quando l’allora Banca commercialeitaliana aprì il suo primo ufficio di rappresentanza ad Ankara.Oggi, si propone come sostegno alle piccole e medie impreseitaliane che in Turchia si sono insediate o sono in procinto difarlo; ne abbiamo parlato con Ferdinando Angeletti, generalmanager della filiale hub di Intesa Sanpaolo di Dubai eresponsabile per l’area Medio Oriente, Nord Africa e Turchia.

Come valuta l’andamento dell’economia turca?

Per il gruppo Intesa Sanpaolo la Turchia, insieme a India,Brasile e Polonia, rappresenta uno dei “nuovi mercati” in cuila clientela può trovare quella crescita che è sempre piùdifficile trovare in I talia e nell'eurozona in generale; dopo lacontrazione del 2009, la Turchia è tornata infatti a unacrescita del PIL tra le più alte delle grandi economiemondiali, con un 9.2% nel 2010 e un 8.5% nel 2011. Anchese nel periodo 2012-2013 il ritmo dovesse attestarsi su unlivello più moderato – stimato tra un 3 e un 5% – parliamopur sempre di una delle migliori performance tra le grandieconomie. Oggi, oltre a molte delle principali multinazionali,hanno una sede in Turchia numerose aziende italiane.

Naturalmente anche la Turchia presenta fattori divulnerabilità. Tra questi, il più rilevante è sicuramenterappresentato dall’elevato disavanzo della bilanciacommerciale e dal conseguente indebitamento estero. Varicordato, tuttavia, che il disavanzo e il debito sonoessenzialmente frutto di un formidabile processo dimodernizzazione e industrializzazione, che ha richiesto econtinua a richiedere grandi investimenti in infrastrutture estabilimenti industriali. In un paese trasformatore e poverodi materie prime, ciò non può che tradursi in un deficit dellepartite correnti e nella necessità di attrarre investimenti efinanziamenti esteri. Allo stesso tempo, la solida crescitadell’economia, il trend positivo di tutte le variabilimacroeconomiche e la credibilità che il paese ha costruitonei confronti della comunità internazionale hanno fatto sìche, in un periodo in cui molte delle economie con un livellodi debito elevato sono state fortemente penalizzate intermini di costo del debito, i famigerati CDS – o spread suldebito turco – siano andati progressivamente migliorando –

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in piena controtendenza con quanto sperimentatodall’Europa mediterranea.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell'investire inTurchia?

La Turchia è un paese aperto e accogliente nei confrontidegli investitori esteri, che non sono soggetti a particolarirestrizioni in termini di attività. Le società costituite inTurchia da investitori stranieri hanno esattamente gli stessidiritti e godono degli stessi trattamenti di quelle locali.L’apparato amministrativo è molto efficiente (occorre menodi una settimana per registrare una società) e i Free TradeAgreements in essere con 20 paesi – oltre all’unionedoganale con l'Ue (che copre anche l’I talia) – ne fannoun’ottima base per il commercio estero e sono alcune dellemolte ragioni per considerare con attenzione uninvestimento in questo paese.

La Turchia esprime anche un’ottima classe manageriale,giovane, ben preparata e con disponibilità e vocazione aesperienze internazionali; per posizione geografica etradizione, può rappresentare un’eccellente piattaforma persviluppare una serie di mercati tradizionalmente meno viciniall’I talia, come ad esempio Azerbaigian, Turkmenistan,Armenia, regione autonoma del Kurdistan iracheno.Naturalmente ciò non significa che la Turchia sia un mercato“facile” da penetrare: è un paese di grandi tradizioni, conuna cultura forte e un grande orgoglio nazionale; è moltoimportante approcciarla con la giusta apertura, capirla edessere pronti ad adeguarsi, senza pretendere di volervireplicare in maniera acritica le strutture e i modelli dibusiness di casa nostra. Per investire in Turchia èfondamentale avere idee chiare, identificare bene i propripunti di forza e i propri obiettivi e affrontare il mercato conconvinzione e con risorse adeguate: è un paese daavvicinare con serietà se si vogliono ottenere buoni risultatianche perché non va dimenticato che le aziende Turchesono moderne, aggressive, ben organizzate e sonoconcorrenti estremamente agguerriti. La Turchia non è unpaese a cui guardare con l’obiettivo di delocalizzare laproduzione alla ricerca di bassi costi o di vantaggi fiscali; èun grande mercato e un ponte naturale verso regioni delmondo in grande crescita, che va approcciato in un’otticastrategica di sviluppo.

Qual è il ruolo di I ntesa San Paolo in Turchia?

Intesa Sanpaolo può fornire un aiuto determinante alleaziende che guardano alla Turchia. La lunga presenza delgruppo nel paese ha consolidato ottime relazioni sia con leprincipali banche turche sia con molti dei principali grandigruppi industriali locali. Inoltre, la significativa esposizione –superiore a €2 miliardi – che Intesa Sanpaolo ha verso ilpaese è ulteriore testimonianza del rapporto di fiducia

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reciproco. L’Ufficio di rappresentanza di Istanbul èperfettamente attrezzato per sostenere i clienti, siaaiutandoli nell’organizzare incontri con enti governativi siaoffrendo informazioni su potenziali partner locali, oltre afacilitare l’ottenimento di finanziamenti da parte dellebanche turche dietro garanzia del gruppo.

Quali sono i vostri programmi per il futuro?

Al fine di rafforzare la propria presenza nel paese, IntesaSanpaolo ha in programma l’apertura di una filiale dedicataal servizio della propria clientela Corporate e PMI italiane.Proprio l’apertura della filiale, prevista nella seconda metàdel prossimo anno, consentirà di ampliare notevolmente lagamma di servizi a favore dei clienti. Sarà allora possibileoffrire direttamente finanziamenti ed emettere garanzie siain valuta sia in lire turche, gestire incassi e pagamenti siadomestici sia per operazioni di importazione ed esportazioneeffettuate dalla Turchia, oltre a numerosi altri servizi, cosìcome già avviene in I talia e negli altri paesi dove la banca èpresente con unità operative.

La futura filiale di Istanbul sarà in grado di fornire un ampiosostegno a tutta la nostra clientela interessata a investire ecrescere in Turchia, clientela che comunque già oggi puòcontare sulla profonda conoscenza del mercato del nostroUfficio di rappresentanza, sull’assistenza e la consulenza deinostri specialisti esteri sui territori e sul servizio dedicatoall’internazionalizzazione delle imprese, nonché sullestrutture di finanziamento che il gruppo Intesa Sanpaolo puòoffrire, sia tramite le consolidate e pluriennali relazioni conle banche corrispondenti turche sia direttamente attraversole proprie strutture.

Per accompagnare lo sbocco sui mercati esteri della propriaclientela, Intesa Sanpaolo ha costituito al proprio internouna struttura specializzata, il servizio InternazionalizzazioneImprese, che opera sull’intero territorio nazionale in strettasinergia con i gestori imprese di filiale e che accompagnal’azienda in ogni fase del processo di internazionalizzazione,sostenendola sia nell’operatività ordinaria sia nelle decisionistrategiche. Le aziende possono così accedere ai prodotti eai servizi delle strutture internazionali del gruppo senzadoversi necessariamente recare all’estero, ma rivolgendosidirettamente alle filiali italiane dove opera una retecostituita da oltre 500 specialisti.

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CRISI ED ECONOMIAMEDITERRANEA

Libia: chance per l’Italia, non solo idrocarburiMarcella Rodino

L'8 novembre a Torino, l'I stituto Paralleli e la Camera diCommercio di Torino hanno organizzato un incontro daltitolo "Le nuove relazioni economiche italo-libiche",un'occasione per approfondire con Andrea Catalano,consigliere del Ministero degli Affari esteri, la situazione deirapporti presenti e futuri tra I talia-Libia.

L’incontro con Andrea Catalano, organizzato a Torinodall’I stituto Paralleli l’8 novembre scorso in occasionedell'iniziativa Inside Libya, una settimana di eventi legati allaLibia, è avvenuto a due giorni dalla visita del Ministro Terziin Libia. Andrea Catalano è Consigliere di Legazione, ViceCapo Ufficio Maghreb, Direzione Generale per gli AffariPolitici e di Sicurezza presso il Ministero degli Affari esteri.

“La visita di Terzi, a pochi giorni della formazione del nuovogoverno in Libia, ha voluto dare un segno di vicinanza con ilpopolo libico, di amicizia e disponibilità a continuare a daresostegno agli sforzi principalmente volti alla stabilitàdemocratica del paese”, afferma Andrea Catalano,descrivendo poi una situazione politica e di sicurezza internadel paese ancora molto instabile. La Libia rimane per l’I taliaun paese di indubbia rilevanza strategica sia per la vicinanzageografica sia per i rapporti storici e di amicizia che ci leganocon il popolo libico, nonostante un passato anche complessodi rapporti con il regime di Gheddafi. L’episodio dell’uccisionedell’ambasciatore americano, amico del popolo libico,Stevens come del resto altri episodi legati agli scontri tramilizie indicano che la Libia è ancora lontana da unacompleta stabilizzazione. Secondo Andrea Catalano, seppurcon fatica, il processo politico sta andando avanti nelladirezione giusta: “La Libia è oggi un paese che esce da unarivoluzione traumatica che si innesta sulle ceneri di 40 annidi un regime che aveva annullato l’opinione pubblica,annullato ogni forma di partecipazione politica. Un paese chesta inventando una nuova forma di democrazia e che avràbisogno di tempo, aiuto fraterno della comunitàinternazionale, a sostegno della direzione in cui intendeandare autonomamente”. Le elezioni del 7 luglio, avvenutein un contesto molto complesso, sono riconosciute a livellointernazionale tra le migliori mai osservate, sottolineaCatalano. I l congresso si è insediato i primi di agosto, contempi dilatati anche dal Ramadan, i primi di settembre èstato nominato il primo ministro designato. E’ fallito iltentativo di formare una squadra di governo accettabile atutte le componenti del Congresso nazionale. E’ stato poiaffidato l’incarico ad Ali Zidan, che il 31 di ottobre haottenuto la fiducia, nonostante alcune criticità.

I l giorno 14 novembre si è insediato il primo governolegittimato dal voto popolare, si spera “con la forzanecessaria per assumere quelle decisioni, spesso difficili e

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impopolari, per portare avanti il processo di transizione emettere in sicurezza il paese”. I l governo, tiene a ricordareCatalano, è ancora transitorio, e ha nell’agenda diversi passiimportanti nel processo di transizione: deve dotare il paesedi una Costituzione, dovrà fare un referendum sullaCostituzione, elezioni generali per formare la compagineparlamentare.

“I l percorso è ancora lungo e difficile – afferma il dottorCatalano - ed è per questo che l’I talia ha voluto rinnovare,con la visita del Ministro Terzi, la sua vicinanza al Paese”.L’I talia, poi, continua ad avere un ruolo di pungoloall’interno dell’Unione europea e delle Nazioni Unite asostegno della Libia.Prima della rivoluzione l’I talia era il primo partnercommerciale della Libia. C’è stata un’evidente battutad’arresto nei mesi della rivoluzione, quando l’intero paeseera tagliato fuori dal commercio. Nelle statistiche ufficiali sivede l’I talia sopravanzata da Egitto e Tunisia e da altri paesilimitrofi.Le prospettive di rilancio ci sono. “Noi riteniamo – affermaCatalano - che già con le statistiche 2012 e metà 2013l’I talia potrà tornare il primo fornitore commerciale dellaLibia rimanendo primo cliente. Grazie agli sforzi di Eni egrazie al fatto che non sono stati danneggiati gli apparatipetroliferi, già nell’autunno 2011 la fornitura di petrolio e digas è ripartita e a metà di quest’anno ha raggiunto le cifrepre-rivoluzione”.

Prima della rivoluzione, così come oggi, il comparto no-oilera pressoché inesistente. “Non c’era uno spiritoimprenditoriale – racconta Catalano -, c’era una minima,quasi inesistente classe imprenditoriale privata”. Erano inatto durante gli ultimi anni del regime tentativi di riformaper privatizzare l’economia e per lo sviluppo di un mercatonon petrolifero. I l paese viveva e vive unicamente sugliidrocarburi. E’ questo il motivo che rende la Libia, paese disoli 6 milioni di abitanti, una realtà ricca di opportunitàperché, salvo l’eccezione del comparto siderurgico, nonproduce nulla.“La Libia vive sulle importazioni dall’estero – affermaCatalano -. Per l’I talia ci sono importanti opportunitànell’intera filiera agroalimentare. Compresa la filiera ittica. Aquesto proposito Andrea Catalano ricorda che ci sono ancoraa Bengasi due pescherecci di Mazara del Vallo ed è ancora incorso un contenzioso. “Sarebbe necessario avviare trattaticon l’Unione europea anche per sviluppare il comparto itticoe facilitare la nascita di joint venture con i libici”.Le modalità più convenienti per entrambe le parti sono lacreazione di partnership commerciali o imprenditoriali con leparti libiche. “Era un modello già avviato con le riforme degliultimi anni del regime di Gheddafi – ricorda Catalano -.Stavano iniziando a funzionare, con difficoltànell’individuazione di partner, siccome non esisteva e nonesiste una classe imprenditoriale privata”. Anche se, grazie

Aspetti economici

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all’aiuto dell’Ambasciata e del Centro del commercio estero,è possibile provarci.

I tempi però non sono ancora così maturi. In Libia è statarecentemente riformata una normativa sugli investimenticon l’estero, che impone però un tetto alla quota estera del49%, ciò che crea non poche difficoltà ai libici, consideratala loro scarsa liquidità, e agli investitori stranieri per lamancanza di controllo dell’investimento. “Bisogna pensare aibassi livelli di conoscenze manageriali dei libici – sottolineaCatalano - che non danno garanzie sufficienti agli investitoriesteri”.I l processo che dovrà avvenire non si concluderà nel breveperiodo. “Ci vorranno due o tre generazioni – affermaCatalano – perché il popolo libico entri in un’otticaimprenditoriale abbandonando quella assistenziale. Si sperache con il tempo vengano acquisiti le skills opportuni e che ilnuovo Governo riveda la normativa sugli investimentiesteri”.

I l paese non è stato distrutto dalla rivoluzione, nonnecessità di una ricostruzione fisica, ma della costruzione dazero di uno stato che non esiste. “Vi saranno importantiprogetti infrastrutturali – afferma Catalano - dove ci sarannospazi per ill settore italiano delle costruzioni, facendoattenzione alla concorrenza che già stavamo patendo dicinesi, turchi e coreani. All’I talia d’altro canto è riconosciutol’alto livello di specializzazione, non solo nella realizzazionedi beni di lusso, ma anche nelle costruzioni”.Rimane ancora aperto il problema dei crediti, dei danni e deicontratti sospesi a causa della rivoluzione. Circa un centinaiodi imprese italiane operavano in Libia nel febbraio 2011 indiversi settori. Tutti i loro contratti sono stati sospesi cosìcome i pagamenti. Con comprensibili difficoltà delle aziende.“E’ un tema che abbiamo affrontato subito con i libici –afferma Catalano -, ripreso nuovamente martedì da Terzi. E’stata dimostrata la massima disponibilità. Si dovrà riuniretempestivamente un gruppo per sbloccare i pagamenti eriavviare i contratti”.

“In questa fase l’approccio alla Libia dev’essere cauto –conclude Catalano -. E’ importante andarsi a fare vedere,così come suggerito dal ministro libico alle imprese italiane.Manifestarsi per non perdere il vantaggio che l’I talia hasempre avuto in Libia, grazie ai rapporti che aveva e ha conil Paese”.

“Guardandola da questa sponda del Mediterraneo dobbiamoprendere in considerazione la salute del nostro export e lecapacità delle nostre imprese di stare sul mercatointernazionale”, afferma nel suo intervento GiovanniPischedda, responsabile del settore estero dell’areaPromozione e sviluppo del territorio della Camera diCommercio di Torino. L’Area del Mediterraneo per lungotempo ha rappresentato per l’internazionalizzazione delle

La costruzione di unostato che non esiste

Il paese visto da sotto laMole

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imprese italiane una sorta di area felice, dove per decenni siè registrato un incremento continuo. “I fatti che sonoaccaduti nell’ultimo triennio hanno determinato un cambio ditrend – spiega Pischedda -, nel senso che se andiamo aprendere oggi i dati degli operatori italiani che lavorano permacro aree nel Mondo, l’Area del Nord Africa e Africasettentrionale figurano al 7° posto”.

Probabilmente uno dei fattori che hanno scatenato questainversione del trend non è stata solamente l’instabilitàpolitica. In realtà era già da qualche tempo che tutta l’areadel Nord Africa pativa la competizione con altri territori,come quelli asiatici e americani. Anche una volta che saràdiventata più stabile la situazione geopolitica, secondoPischedda ci troveremo a fare i conti con difficoltà dicarattere strutturale. “E’ chiaro che la Libia – prosegue -,come altri paesi, devono poter offrire alle imprese chevogliono esportare e che si vogliono posizionare su questimercati, un quadro economico non solo stabile dal punto divista politico, ma che sappia anche offrire opportunità chenon siano semplicemente quelle del ‘mordi e fuggi’”. Oggil’internazionalizzazione delle imprese sta andando sempre dipiù verso una dimensione che non è solo quella dell’exportsporadico, ma si va a ricercare proprio la capacità di inserirsiin un mercato in maniera stabile. “Superare il mordi e fuggiè quello che auspichiamo tutti – sottolinea Andrea Catalano-, ed è quello che potrebbe aiutare la Libia a costituirsi esvilupparsi, con ipotesi di imprese miste che possano servirequale canale di trasferimento di know how, di esperienzaimprenditoriale e dare sviluppo a nuove filiere”.

Se poi andiamo sul terreno Libia, si tratta di un mercatolocale non grande in dimensioni, ma secondo il responsabileesteri della Camera di Commercio il fatto che il Paeseimportasse pressoché tutti i beni di consumo, questo hasempre fatto della Libia un mercato appetibile per l’exportitaliano.“Guardando alle dimensioni delle imprese italiane,soprattutto quelle con propensione all’export in vari settori,permane una grande capacità a esportare macchinari eutensili. Nella costruzione produttiva della Libia, quindi, leimprese italiane potrebbero trovare una buonacollocazione”, afferma Pischedda.Anche a livello turistico la Libia potrebbe investire. “Lerisorse del paese sono tante – sostiene Pischedda -. La Libiaha tutte le caratteristiche degli stati del Golfo Persico chehanno costruito la loro fortuna su un doppio binario: legrandi risorse energetiche e minerarie a supportodell’economia e la capacità di attirare turismo da tutto ilmondo semplicemente affidandosi alla buona qualità delleinfrastrutture e delle risorse turistiche e alberghiere”.

I l ruolo che le imprese italiane potranno avere saràinfluenzato dalla capacità di supporto che le istituzioniitaliane daranno, da quelle centrali a quelle periferiche, al

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mondo delle Camere di Commercio. “Noi registriamo, nelleattività di tutti i giorni – spiega Pischedda -, che la maggiorecapacità di penetrazione di determinati paesi è legata allapresenza di interlocutori locali che sappiano aiutare leimprese. Credo che l’ufficio Ice sia ancora aperto a Tripoli,ma potrebbe chiudere i battenti considerata la situazione diincertezza in cui versa”. Non esiste poi una Camera dicommercio italiana in loco, e secondo il responsabile esteridella Camera di Commercio di Torino, non è sufficiente lapresenza di quella mista, I talia-Libia.

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CRISI ED ECONOMIAMEDITERRANEA

La crescita del consumatore africanoClaudio Tocchi

Con un tasso di sviluppo del 5%, il continente africanopotrebbe diventare, in breve tempo, una delle locomotivedell'economia globale. Molto più recente è invece l'interessedelle aziende per una classe media e un mercato di beni eservizi in crescita costante. Nel suo recentissimpo studio“The Rise of the African Consumer”, la società di consulenzaMcKensey cerca di fare luce sulle opportunità di accesso aquesto mercato attraverso un'indagine approfondita deigusti e delle preferenze dei consumatori dell'interocontinente.

Che l'Africa sia un continente in crescita e con grandiopportunità economiche non è nulla di nuovo: con un tassodi sviluppo del 5% (e con punte, in alcuni paesi, superiori al7%), il continente potrebbe diventare, in breve tempo, unadelle locomotive dell'economia globale. Molto più recente èinvece l'interesse delle aziende per una classe media e unmercato di beni e servizi in crescita costante. Nel suorecentissimpo studio “The Rise of the African Consumer”, lasocietà di consulenza McKensey cerca di fare luce sulleopportunità di accesso a questo mercato attraversoun'indagine approfondita dei gusti e delle preferenze deiconsumatori dell'intero continente.

Che l'Africa abbia un enorme potenziale economico non ènotizia di oggi. In primis per le materie prime di cui disponein abbondanza: a minerali preziosi, terre rare e idrocarburi siè recentemente aggiunta la terra, il cui “grabbing” da partedegli stati più ricchi è solo l'ultimo esempio di unosfruttamento di risorse naturali che va avanti da secoli.Altrettanto grande è l'interesse per le risorse umane: negliultimi decenni abbiamo assistito a un incremento diinvestimenti e delocalizzazioni di imprese provenienti dapaesi industrializzati volti a risparmiare sui costi del lavoro eprodurre beni a costi inferiori. Molto più recente, invece, è ilcambio di prospettiva che vede nell'Africa un possiblemercato di vendita di beni e servizi, con un potenziale dicrescita tale da far impallidire gli asfittici mercati occidentali,strozzati da una crisi ormai entrata nel suo quinto anno divita.

Secondo stime della World Bank e dell'IMF, l'Africa sub-sahariana nel suo complesso crescerà di quasi il 5% nel2012 (una percentuale praticamente invariata rispetto al2011), con un terzo dei paesi che che raggiungerà picchi del6% e oltre. Ma è soprattutto l'incremento del reddito medio(statistica da utilizzare con attenzione perché non calcola ladistribuzione del reddito) che sta portando, nel Continente,alla nascita di un vero e proprio ceto medio concaratteristiche di consumo simili alle controparti occidentali eche offre, quindi, interessanti possibilità economiche.Possibilità che andranno però adeguatamente sfruttate

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attraverso un'attenta strategia. Una realtà così dinamica,infatti, può essere difficile da interpretare per le aziende:con 53 stati (e altrettante legislazioni, tariffe doganali,certificazioni) e più di 2.000 dialetti è quasi inutile parlare di“Africa” come di un mercato unico. Per poter entrare inmodo competitivo in un mercato del genere, sono necessaristrumenti d'azione adeguati.

È in quest'ottica che la società di consulenze McKensey,attiva in tutto il mondo, ha realizzato uno studio di ampiorespiro “The Rise of the African Consumer” sulle preferenzedei consumatori africani. Secondo lo studio, infatti, ilmercato di beni e servizi nel continente, già ora più alto chein Russia o in India, crescerà di oltre 400 miliardi didollari entro il 2020, creando enormi possibilità diinvestimento e profitto. Lo studio, realizzato intervistando13.000 persone da 15 città da 10 stati in tutto il continente,mostra gli africani sono consumatori ottimisti e attenti,contemporaneamente interessati alla moda e al portafoglio.Da quanto emerge, l'Africa non può più essere il mercato disecondo livello in cui promuovere prodotti già vecchi;servono prodotti di qualità e una forte attenzione ai brand.

Esiste però una forte divisione interna al continente: il NordAfrica occupa infatti un posto riservato nello studio perchési differenzia notevolmente. Intanto, per le potenzialità,notevolmente alte: fra gli undici paesi individuati come“locomotiva” del continente, infatti, ben quattro sononordafricani (Egitto, Algeria, Marocco, Tunisia). Nellaregione si trovano inoltre una serie di città di mediedimensioni (come Rabat, Karthoum, Algeri) in cui McKenseyinvita ad investire in quanto meno congestionate e con unaconcorrenza meno spietata rispetto a megalopoli come I lCairo o J ohannesburg.

Anche il consumatore medio nordafricano appare diverso daquello del resto del continente, sia per prospettive che pergusti. I consumatori nordafricani risultano meno ottimistidella media – probabilmente per i recenti avvenimentipolitici. Sono contemporaneamente attratti dai brandinternazionali (per cui, a differenza delle controparti sub-sahariane, sono disposti a pagare di più) ma anche piùattenti alle offerte speciali che alla lealtà a una marca; ilconsumatore medio nordafricano, inoltre, si fida molto piùdei contatti personali che di pubblicità e offerte: il ruolo delpassaparola è tre volte più importante che non in GranBretagna o negli Stati Uniti.

Agli investitori stranieri, in generale, si consigliano unastrategia accorta e ben tarata sulle realtà specifiche. I lmercato africano risulta tanto complesso quanto pieno diopportunità e risorse – ma chi riuscirà a raccogliere evincere la sfida avrà sicuramente una marcia in più nellacompetizione globale dei prossimi decenni.

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SVILUPPO EPARTENARIATO

EUROMED

Nasce aMilano il Centro Euro-Mediterraneoper le Pmi

I l 12 novembre, in occasione dell'apertura del Forumeconomico e finanziario del Mediterraneo, è stato lanciato aMilano il Centro Euro-Mediterraneo per le Pmi, promossodalla Camera di Commercio di Milano e realizzato con ilsostegno del Governo italiano e della Banca europea per gliinvestimenti.

"Sono onorato di presenziare al lancio ufficiale dellostrumento per il rafforzamento competitivo delle micro,piccole e medie imprese euro mediterranee. Nato da unaproposta italiana, questo centro rappresenta un eccellenteesempio di collaborazione tra il pubblico e i privati perfornire servizi a supporto della nascita di startupimprenditoriali innovative ed è questa la vera concretezza diquella che altrimenti potrebbe sembrare la retorica dellecollaborazioni". Sono le parole pronunciate il 12 novembreda Mario Monti, nel suo intervento al Forum economico efinanziario del Mediterraneo organizzato da Promos,l'agenzia per l'internazionalizzazione della Camera diCommercio di Milano.

"Dalla sponda sud del Mediterraneo ci viene una richiesta dicollaborazione per la promozione della sicurezza, per laformazione, per il dialogo interculturale", aggiunge MarioMonti, sottolineando come "sviluppare questi settoriallontana i rischi di radicalismo" mentre creare sviluppo nellasponda sud "attenua anche il problema dell'immigrazioneclandestina". Nell'attuale situazione economica, ha dettoMonti nel suo intervento, per raggiungere questi obiettivi ènecessaria "una forte interazione tra pubblico e privato, perottimizzare le risorse disponibili".

In ogni caso "noi vogliamo essere interlocutori privilegiati",ha ribadito il premier, ricordando come "nell'anno di governoappena trascorso, benché le urgenze domestiche nonmancassero, ho incontrato a rafforzamento del dialogo leleadership dei Paesi attraversati dalle primavere arabe e inpiù di un caso i nuovi leader hanno scelto l'I talia come primadestinazione occidentale nei loro viaggi all'estero".

A conferma dell'interesse italiano per i Paesi della spondasud e le loro enormi potenzialità economiche è stato lanciatonel primo giorno del Forum di Milano, il Centro Euro-Mediterraneo per le Pmi, promosso dalla Camera diCommercio di Milano e realizzato con il sostegno delGoverno italiano e della Banca europea per gli investimenti.Le micro, piccole e medie imprese rappresentano il 99% deltessuto imprenditoriale nella sponda sud ed est delMediterraneo, sono oltre 14 milioni e occupano circa i dueterzi dell'intera forza lavoro. I l centro punta a stabilire unapartnership tra agenzie pubbliche e private a sostegno diqueste imprese e fornire servizi per incrementare i rapporti

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economici e finanziari tra le due sponde. Si trattarà diservizi, spiega il presidente della Camera di Commercio diMilano, Carlo Sangalli, "di consulenza, assistenzaspecializzata, formazione e accesso ai finanziamenti con unaparticolare attenzione a tema innovazione".

Ad oggi sono già stati siglati 17 accordi di partenariato chevedono coinvolti dieci Paesi dell'area. "I l Centro - sottolineaBruno Ermolli, presidente di Promos, l'agenzia perl'internazionalizzazione della Camera di Commercio - haraccolto l'entusiasmo e l'impegno di numerosi Paesi, ciauguriamo che rappresenti non solo un elemento propulsoreper la crescita economica e sociale dei nostri Paesi ma lapietra angolare di un'area euro mediterranea realmenteintegrata".

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SVILUPPO EPARTENARIATO

EUROMED

Unione perMediterraneo: un nuovo tentativodi rilancio

L'Incontro a Bruxelles il 16 novembre scorso tra Schulz,Ashton, il ministro degli esteri giordano Nasser J udeh eFathallah Sijilmassi, Segretario Generale dell'Unione, havoluto rilanciare l'Unione per il Mediterraneo con indicazionidi progetti concreti. Dall'autostrada transmagreball'imprenditorialità femminile.

''L'Unione per il Mediterraneo è un progetto essenziale perassicurare pace, stabilità e progresso nel mondomediterraneo''. I l Presidente del Parlamento Ue, MartinSchulz, benedice con enfasi l'incontro tenutosi a Bruxellescon l'Alto rappresentante per la politica estera della Ue,Catherine Ashton, il ministro degli esteri giordano NasserJ udeh e Fathallah Sijilmassi, Segretario Generaledell'Unione. ''E' stata una riunione simbolica ma dalla grandeimportanza per le nostre orgranizzazioni'', ha affermatoancora Schulz. L'incontro puntava a rilanciare questo foro dicooperazione nato nel 2008 sulle ceneri di un altrofallimento, quello del Processo di Barcellona istituito nel1995. ''E' stata una riunione fruttuosa - ha sottolineatoAshton - con l'indicazione di progetti concreti e tangibili perrispondere alle sfide a lungo termine per la popolazione deiMediterraneo''. ''Vogliamo ridare vita al processoeuromediterraneo, se riusciremo la riunione sarà più chesimbolica'', ha affermato invece Judeh. Per superare lo stalloin cui ormai da quasi due decenni vegeta la cooperazione tranord e sud del Mediterraneo, Sijilmassi ricorda l'impegno ''adalto livello preso oggi a Bruxelles'' e ''l'elemento nuovo''dettato dai recenti sviluppi politici nell'area che ''impongonoun rilancio della copperazione regionale''. A questo incontroal Parlamento Ue faranno seguito una serie di riunioni alivello ministeriale nel settore dei trasporti, dell'energia e peraffrontare il ruolo donne. Tra i progetti concreti già messi acantiere o progettati, ma per i quali non è stata indicata lacifra degli investimenti totali ed europei, c'è il programma didesalinizzazione a Gaza, l'autostrada transmagreb, ilprogramma 'job for Med', quello per rafforzarel'imprenditorialità femminile e quello per la cooperazione trauniversità.

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SVILUPPO EPARTENARIATO

EUROMED

Commissione Ue: nuovi programmi perinvestimenti euromed

Nuovi programmi in arrivo dalla Commissione europea perrilanciare gli investimenti privati nei Paesi partnermediterranei.

I l primo programma a sostegno della regione è l'ISMED(Investment Security in the Mediterranean Region), che saràattuato insieme all'Ocse e potrà contare su 1,5 milioni dieuro. ISMED si occuperà di condurre valutazioni sul livellodella protezione degli investimenti fornito dalle autoritàlocali, identifica le carenze e formula raccomandazioni peraffrontarle.

Una parte dei 220 milioni di euro di sovvenzioni previste dalNeighbourhood Investment facility (Nif) fino alla fine del2013 servirà a lanciare il kit sulla condivisione dei costi e delrischio (Risk and Cost Sharing Toolkit) di ISMED. Questeiniziative potrebbero portare almeno due miliardi di euro dirisorse dalle istituzioni finanziarie europee in diversi progettidi infrastrutture nei paesi vicini dell'Ue. ''Questi strumentiinnovativi - ha commentato il commisario Ue alla politica divicinato, Stefan Fule - sono disegnati per aiutare i nostripaesi partner ad attirare in maniera più efficace investimentinecessari per il settore privato, destinati a grandiinfrastrutture'', con un impatto positivo su ''crescita, posti dilavoro e vita quotidiana per le persone nella regione''.

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APPROFONDIMENTI

L’imprenditoria immigrata in Italia: unfenomeno sotto analisi

Marcella Rodino

Developmed pubblica un articolo in cui riprende i dati emersida due rapporti di ricerca sul tema dell’imprenditoriastraniera presentati a Torino nel mese di novembre,pubblicati da I res Lucia Morosini e Camera di Commercio diTorino-Fieri.

Secondo i criteri adottati a livello nazionale da UnionCamere,l’universo di imprese straniere registrate in I talia ammontaal 31 dicembre 2011 a 440.145 unità, quasi tutte a controlloesclusivo, laddove quindi alla forma giuridica corrispondedirettamente la persona fisica alla guida dell’azienda. Ingenerale, queste attività imprenditoriali sono costituite dasoggetti che si cimentano per la prima volta con la disciplinadel mercato e tendono a concentrarsi soprattutto in settoriquali i servizi (il 56,9% del totale) e l’edilizia (il 27,6% deltotale). Sono i dati emersi dalla ricerca “Associazionismomigratorio ed efficacia dei processi di integrazione sociale deimigranti in Piemonte”, presentata da I res Lucia Morosini il10 novembre scorso a Torino.Interessante è l’analisi dei dati attraverso l’indicatore della“propensione degli stranieri all’imprenditoria”. L’indicatore,costruito sui dati elaborati dal Dossier Caritas/Migrantes2012, misura il rapporto tra il numero di imprese con almenoun socio straniero e il numero complessivo di imprese sulterritorio. I l numero complessivo di imprese immigratemisura sia le nuove imprese che vengono avviate nel corsodell’anno, sia le imprese avviate negli anni precedenti eancora in attività. La tendenza storica che evidenzia un saldodecisamente positivo suggerisce che nel prossimo futuro ilnumero di imprese immigrate nel nostro Paese continuerà acrescere, sia in termini assoluti sia in rapporto al numerototale delle imprese sul territorio.Nel 2005, gli stranieri iscritti nei registri delle imprese delleCamere di Commercio italiane quali titolari e soci d’impresaerano inferiori alle 300 mila unità: lo sviluppo complessivonel corso di sei anni, quindi, è stato del 48,7%, pari a untasso medio annuo dell’8,1%. Tale tasso è rimastorelativamente costante anche negli anni della crisieconomica iniziata nel 2008, che non ha quindi rallentato lacrescita dell’imprenditoria immigrata.Con riferimento all’anno 2011, l’indicatore ‘Propensione allapartecipazione imprenditoriale” si attesta sul 7,4% a livellonazionale. Utilizzando l’indicatore a livello regionale, si rilevacome il Piemonte presenti una propensione all’imprenditoriaimmigrata leggermente superiore a quella nazionale,attestandosi sull’8,2%.

Nella provincia di Torino opera circa il 5% del totale degliimprenditori stranieri attivi in I talia, quota che la colloca interza posizione alle spalle delle province di Milano e Roma,aree in cui risiede complessivamente un quinto del totale

La provincia di Torino:non solo braccia

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nazionale. Sono i dati emersi dal rapporto “Non solo braccia.il lavoro immigrato nelle imprese del torinese”, realizzatodalla Camera di commercio di Torino e da FIERI , incollaborazione con l’Osservatorio sul mercato del lavorodella Provincia di Torino, e presentato lo scorso 20novembre.Secondo il Rapporto, a fine 2011 in provincia di Torinorisultavano 31.235 posizioni imprenditoriali intestate astranieri, con un incremento del +3,7% rispetto al 2010 edel +118% dal 2002 a oggi. Oltre la metà delle posizioniimprenditoriali straniere si riferisce ad imprese individuali cuifan seguito le società di persone e quelle di capitale. Graziead un archivio costruito ad-hoc da parte dell’Osservatoriosul Mercato del Lavoro della Provincia di Torino, è statopossibile guardare agli avviamenti fatti nel periodo 2008 -2011: ne è risultato che 15.756 ditte individuali con titolarestraniero hanno effettuato avviamenti per 15mila lavoratori(una media di un lavoratore per impresa).

Circa il 64% degli stranieri che ricoprono caricheimprenditoriali ha un’età compresa fra i 30 ed i 49 anni; ledonne rappresentano il 26% del totale, mentre la stessapercentuale, per le sole posizioni intestate a I taliani, superail 30%. Oltre la metà (59,2%) delle posizioni imprenditorialistraniere si riferisce ad imprese individuali cui seguono lesocietà di persone (26,3%) e quelle di capitale (12,4%).L’analisi della Camera di commercio di Torino-Fieri tieneconto delle sole imprese individuali - per il ruolo sostanzialeche ancora rivestono nell’ambito del sistema imprenditorialestraniero - al netto degli imprenditori nati nell’UnioneEuropea dei 15, nei principali Paesi industrializzati, e neiPaesi del Sud America destinatari della passata emigrazioneitaliana e piemontese.Dall’universo delle 31.235 posizioni imprenditoriali presentiin provincia di Torino, si passa a considerare un insieme di15.756 imprenditori individuali stranieri, attivi a fine 2011.Si conferma la leadership della Romania, stato di nascita del35% degli imprenditori stranieri (pari al 77% del totale Esteuropeo), segue il Marocco (il 22% del totale, e il 79% dellamacro-area) e la Cina (il 7% del totale e il 67% del totaleasiatico).I settori più gettonati dagli stranieri che avviano un’impresaindividuale sul nostro territorio sono di gran lunga quellodelle costruzioni (il 42,4% del totale, contro il 22,3%italiano) e il commercio (il 35,6% contro il 32,2%nazionale), soprattutto al dettaglio.Si rilevano inoltre alcune specializzazioni lavorative collegatealla provenienza geografica, e dovute spesso a catenemigratorie e alla creazione di reti di supporto nel territorioall’interno delle comunità nazionali. Così i cittadini dell’EstEuropa, e in particolare i romeni, sono molto attivi nell’avviodi imprese di costruzioni (il 74% opera in questo campo),oltre la metà degli asiatici e degli africani opera nelcommercio (rispettivamente il 59,6% e il 76,8% e 58,2%per l’Africa centro-meridionale e mediterranea). I

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Sudamericani invece, hanno una distribuzione menopolarizzata tra i diversi settori di attività e operano per il37,5% nelle costruzioni e per il 22,8% nel commercio.Nel corso degli ultimi anni, invece, si assiste a un fenomenodi stabilizzazione sul territorio delle imprese straniere: altermine del 2011 solo il 13,7% delle imprese selezionaterisultava attiva da meno di un anno, mentre un quarto diesse operava da almeno 7 anni. Non deve stupire la scarsaimportanza numerica rivestita dalle imprese in vita da oltre12 anni (il 3,1%): considerata la maggiore stabilità socio-economica che le comunità migratorie stanno sviluppando, èauspicabile e altamente probabile che negli anni a venire siassisterà a un consolidamento dell’imprenditoria straniera ea una sua strutturazione in forme societarie più complesse.

Gli imprenditori stranieri nella provincia di Torino hannoavviato al lavoro principalmente lavoratori maschi e giovani:l’80% degli avviamenti effettuati ha riguardato uomini, unquarto ha coinvolto un giovane sotto i 25 anni, mentre quellirelativi a lavoratori oltre i 40 anni hanno rappresentato soloil 20% del totale. Sono soprattutto gli imprenditori asiatici equelli dell’Europa dell’Est che hanno avviato al lavorogiovani lavoratori, mentre la quota maggiore di over 40 èstata avviata da imprenditori dell’America Latina.Gli imprenditori stranieri assumono principalmente lavoratoristranieri, soprattutto se il titolare è asiatico o magrebino.Tra gli stranieri assunti, come prevedibile e come teorizzatoda ampia parte della letteratura sull’impresa etnica vengonoprivilegiati quelli della stessa nazionalità dell’imprenditore. I llegame di provenienza tra imprenditore e lavoratoridipendenti è meno pronunciato se l’imprenditore è originariodell’Europa dell’Est, mentre è molto forte se l’imprenditore èasiatico.Scendendo nel dettaglio delle singole nazionalità, il primoposto quanto a preferenza di origine è occupato dagliimprenditori cinesi, mentre sono gli imprenditori albanesiquelli più “multiculturali” dal punto di vista degli avviamenti.Questo risultato porta un ulteriore elemento a confermadella bassa apertura alle altre comunità mostrata dagliimprenditori cinesi.

Quando le impresestraniere assumono

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APPROFONDIMENTI

La governance aziendale nelle banche islamichedi Hamadi Matoussi* and Rihab Grassa**

Un'analisi comparata fra gli istituti dei paesi del Golfo e quellidel Sud-est asiatico, pubblicata dall'Economic ResearchForum.

AbstractLe banche islamiche sono istituti finanziari particolari cheaffrontano tipi diversi di problematiche legate alla lorogovernance. I l presente studio esamina la governanceaziendale negli istituti di finanzia islamica nei paesi del Golfo(vengono considerati i sei stati appartenenti al GulfCooperation Council: Arabia Saudita, Bahrein, EAU, Kuwait,Oman, Qatar) e in quelli del Sud-est asiatico (Malesia eIndonesia); in particolare, verranno dapprima individuate levariabili di governance ritenute rilevanti da studiosi e addettiai lavori e, in un secondo momento, verranno evidenziatedifferenze e similitudini sia nei confronti delle bancheconvenzionali che fra i due gruppi di paesi. Questo paperanalizzaerà inoltre l'impatto di tali variabili sulle performancedelle banche islamiche.L'indagine si basa su un camione di 90 grandi bancheislamiche nel periodo 2000-2009.I risultati ottenuti mostrano che ci sono diverse differenzenella governance aziendale sia fra banche islamiche ebanche tradizionali che fra le banche islamiche nei paesi delGolfo e quelle degli stati del Sud-est asiatico. Inoltre lostudio mostra che, mentre le remunerazioni dei consiglierid'amministrazione, la CEO duality (l'identità fra il direttoregenerale e il presidente del consiglio d'amministrazione) el'età del direttore generale influenzano in modo positivo laperformance delle banche islamiche, le caratteristiche delComitato di supervisione della Sharia non hanno effettorilevante.

Per scaricare lo studio, clicca qui.

* ricercatore e analista presso il KPMG a Dubai, Emirati ArabiUniti

** Professore di Finanza presso l'ISCAE (Institut Superieurde Commerce et d'Administration des Entreprises)

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APPROFONDIMENTI

Italia: la prima per interscambio economico conil Mediterraneo

Claudio Tocchi

Interscambio commerciale, transazioni finanziarie,infrastrutture ed energia. Sono questi i temi principalianalizzati nel nuovo rapporto SRM sulle relazioni economicheItalia-Med, presentato il mese scorso. Un'ampia e dettagliatasintesi sullo stato dei nostri rapporti con il Mare Nostrum nelquale, però, l'I talia sembra giocare ancora un ruolo menoforte di quanto potrebbe.

È stato pubblicato lo scorso novembre la nuova edizione delrapporto annuale su “Le relazioni economiche tra l'I talia e ilMediterraneo” a cura dell'Osservatorio SR-M, Studi eRicerche sul Mezzogiorno, con il sostegno dalla Compagnia diSan Paolo. I l rapporto, giunto al suo secondo anno di vita,mira a sintetizzare la situazione delle relazioni economichefra l'I talia (con un occhio di riguardo alla macroregione delMezzogiorno) e i paesi del Mediterraneo extra-Ue.I l rapporto riprende, nella sua articolazione, la struttura dellostudio dell'anno procedente, dividendosi in tre sezioniprincipali, dedicata ognuna a un aspetto particolare dellerelazioni economiche: gli scambi commerciali, le transazionifinanziarie e la rete infrastrutturale del Mediterraneo; inaggiunta, l'edizione 2012 presenta un focus speciale sullaTurchia in quanto paese economicamente fondamentalenell'area.

In generale, lo studio conferma la straordinaria importanzadell'area mediterranea per l'economia del Belpaese: l'I taliarisulta infatti il primo paese per interscambio economicodavanti a Germania e Francia e le stime indicano unmantenimento della posizione di leadership anche fino al2014. La crescita dell’interscambio italiano nel primosemestre del 2012 (+8,1% tendenziale), e le previsioni dicrescita del Pil dei paesi dell’area (+8,6% medio nel 2012)indicano chiaramente il definitivo superamento della fase diimpasse delle economie di questi paesi, dovuta agliaccadimenti delle Primavere Arabe. Tuttavia, al netto deiprodotti energetici e petroliferi, il nostro Paese slitta al terzoposto per interscambio scontando un significativo gap con laGermania.Anche per quanto riguarda i rapporti finanziari, ilMediterraneo si conferma uno spazio importantissimo: iFondi Sovrani dei paesi del Sud-Med trovano nell’Europa unadelle aree privilegiate per l’investimento delle loro ingentirisorse. Nel rapporto viene indicato che gli investimenti deiFondi Sovrani dell’area MENA diretti verso l’Europapotrebbero raggiungere, entro cinque anni, i 20 miliardi dieuro annui, con una quota destinata all’I talia compresa tra 1e 1,5 miliardi di euro.Infine, il Mediterraneo rappresenta uno spazio fondamentaleanche da un punto di vista infrastrutturale: nel MareNostrum transita il 19% del traffico marittimo mondiale.

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L’obiettivo del rilancio dell’I talia quale asse strategico deitraffici all’interno del Mediterraneo è possibile perché vi sonoi presupposti, non solo geografici ma soprattuttocommerciali; basti pensare ad esempio che il 70%dell’interscambio commerciale con l’Area Med avvieneattraverso le “vie del mare” (oltre 40md€). Ingenti sarannoanche gli sviluppi delle infrastrutture energetiche,soprattutto nell'ambito delle energie rinnovabili.

La “geografia” del nostro Paese, insieme alla sua storia,hanno da sempre alimentato la vocazione di essere un“ponte” tra le due sponde del Mediterraneo. Una vocazioneche potrà ulteriormente essere valorizzata in futuro.Nonostante le gravi incertezze legate al futuro dell’Europa edell'euro e lo sviluppo dei processi di democratizzazione e leattuali tensioni politiche e sociali, infatti, il Mediterraneosarà per l'I talia sempre più importante e investirvi (capitali,energie, risorse) sempre più necessario.

Per scaricare il rapporto è necessario registrasi al sito diSRM, clicca qui.

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APPROFONDIMENTI

La Libia dalla guerra a oggi - Video atti

I l 30 ottobre 2012 l'Istituto Paralleli, nell'ambitodell'iniziativa "Inside Libya", ha organizzato la tavola rotonda"La Libia dalla guerra a oggi". Di seguito i video atti:

Intervento di Farid Adly, giornalista libico

Intervento di Arturo Varvelli, ricercatore Ispi

Interventi di Fabio Bucciarelli e Mimmo Candito, reporters di guerra

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PALESTRAMEDITERRANEA

Turchia e Iran: due realtà interconnesse nelturbolento scenariomedio - orientale

Ambasciatore Angelo Travaglini

Anche in Turchia possiamo costatare effetti gravidi diconseguenze derivanti dal maremoto provocato dallaPrimavera araba, dallo scoppio del conflitto in Siria e daidevastanti eventi di questi giorni nella striscia di Gaza,mentre le tensioni sul programma nucleare iraniano sonopiuttosto scemate in queste ultime settimane a causa delleelezioni americane, dell’annunciato intendimento diNetanyahu di sottoporsi allo scrutinio elettorale del prossimogennaio e del quadro tumultuoso esistente al momento inaltre aree medio-orientali.

Anche in Turchia possiamo costatare effetti gravidi diconseguenze derivanti dal maremoto provocato dallaPrimavera araba, dallo scoppio del conflitto in Siria e daidevastanti eventi di questi giorni nella striscia di Gaza. La“zero-problem diplomacy” portata avanti dal governo diAnkara fino a dopo il rovesciamento del regime di Gheddafiin Libia aveva fatto della Turchia un punto di riferimentoimprescindibile per la maggior parte dei Paesi della regione,compreso l’I ran, desiderosi di pervenire ad equilibri di pace,stabilità e progresso in Medio–Oriente. Emblematico eraapparso al riguardo lo sforzo di mediazione prodigato dalladiplomazia turca, unitamente al Brasile, per una soluzionenegoziata del dossier iraniano sfociato nel maggio 2010 aTeheran con la dichiarazione trilaterale con la quale siannunciava il raggiungimento di un accordo molto simile allasoluzione proposta dagli Stati Uniti nell’ottobre dell’annoprecedente e respinta, contro la volontà dello stessoPresidente Ahmadi-Nejad, da tutto lo schieramento politico ereligioso iraniano. Lo sforzo di mediazione turco - brasiliano,come si ricorderà, non fu coronato da successo perl’immediata perentoria opposizione americana ma essorappresentò tuttavia un momento saliente nel processo diascesa di Potenze emergenti quali Ankara e Brasilia nelloscenario internazionale.

Tale sbocco costituiva del resto una sorta di conferma delruolo importante che la Turchia svolgeva nel sub-sistemanel perseguimento della succitata azione diplomatica. Laleadership di Erdogan, coerentemente sostenuta dal Ministrodegli esteri Davutoglu, figura di grande spessore politico eculturale, godeva in quel momento di grande prestigio nellaregione, e ad essa le Potenze regionali, in primis la Siria,l’I raq e l’I ran, guardavano come un prezioso tramite a frontedi crisi e difficoltà crescenti. L’esempio sopra riportatocostituì la traduzione in termini d’immagine e di sostanza delrilievo che Ankara era venuta assumendo nelle sue relazionicon i partner medio - orientali.

All’indomani dell’attacco anglo-francese alla Libia laposizione turca si manifestò in evidente armonia con quanto

Difficoltà turche

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sopra descritto, mettendo in guardia contro i pericoliderivanti da un’impresa militare mal concepita e malpreparata, osteggiata negli Stati Uniti dagli stessi ambientidel Pentagono. Fu dopo l’eliminazione fisica di Gheddafi el’istituzione dei primi organi poco rappresentativi della nuovarealtà libica che gli orientamenti di Ankara subirono undeciso mutamento d’indirizzo, allineandosi in manieravisibile con l’Occidente e tessendo nell’area di appartenenzasostanziose connivenze con le altre Potenze sunnite, inparticolare l’Arabia saudita e Qatar. In tal modo ladiplomazia turca procedette ad una revisione della propriaazione diplomatica, venendo a privilegiare gli imperativi diordine religioso, erigendosi in una sorta di Grande Fratello inseno alla Umma sunnita, chiamato a liberare i propricorreligionari sottoposti all’oppressivo regime alauita alpotere a Damasco. I richiami emananti dalle monarchie delGolfo, per converso meno ascoltati dalla leadership islamicaegiziana, tendevano per l’appunto a questo, nelperseguimento di un disegno volto a indebolire la posizionedell’I ran nella regione colpendo il suo alleato strategico, laSiria di Bachar al Assad.

Lo scoppio della guerra civile siriana ha dunque costituito lamanifestazione più impattante di come la diplomazia diAnkara ha inteso rivedere il suo ruolo nello scacchiere,infliggendo un colpo forse irreversibile alla “zero-problemdiplomacy” nella misura in cui le sue relazioni non solo conla Siria ma anche con l’I raq e l’I ran hanno finito perdeteriorarsi considerevolmente, ponendo la Turchia in unasituazione di obiettiva difficoltà. In effetti, l’erigersi adifensore delle comunità sunnite, conferendo alla propriaazione diplomatica un’impronta dichiaratamente religiosa, hacostituito la fonte di problemi crescenti, spingendo ladiplomazia turca verso direzioni poco sostenibili,conseguentemente intaccando la sua immagine e la suastessa credibilità nella regione.

Lo scoppio della guerra civile siriana ha significato lascomparsa di quel punto di riferimento per i Paesi arabi chela Turchia, affrancata del rapporto di alleanza con Israele,era venuto assumendo all’indomani dei sommovimenti cheprima in Tunisia e poi in Egitto hanno dato vita allaPrimavera araba.. Aver risposto alla crisi siriana accendendola valvola dell’irredentismo sunnita, del quale si è altresìsottovalutata l’endemica propensione all’estremismo, si èrivelata una scelta non produttiva da parte di un governoche, una volta confrontato all’inattesa non preventivataresistenza del regime di Damasco, ha ritenuto di chiedere ilsostegno della NATO, portando ad una militarizzazione dellafrontiera turco-siriana, mal vista dalla Russia per i pericoliinsiti in un possibile coinvolgimento dell’Alleanza in unaconfrontation militare in Medio Oriente.

In definitiva conciliare l’ambizione di svolgere un ruolo dileadership nella regione, in un momento in cui questa è

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percorsa da trasformazioni irreversibili, con l’essere parteattiva di una struttura mal considerata nell’universo arabo –islamico per l’obiettiva non dissimulata contiguità che essapresenta con Israele e la sua intransigente politica neiconfronti dei palestinesi, appare un esercizio di problematicarealizzazione, che non contribuisce a diradare dubbi eperplessità sulle finalità ultime perseguite dalla diplomaziaturca in questo delicatissimo frangente.

Tali incongruenze hanno avuto modo di manifestarsi e leconseguenze sono sotto gli occhi di tutti. I l colpo alla propriaimmagine in un momento di profonde tensioni, come quelloche si sta vivendo nella regione, si è rivelato tutt’altro chetrascurabile, confermato da una recente indaginedemoscopica condotta da un autorevole istituto turco, dallaquale è emerso il visibile calo di percezione positiva dellaTurchia presso le opinioni pubbliche dei Paesi arabi.

Anche sul piano interno il nuovo approccio ha germinatoproblemi, riaccendendo il sanguinoso pluridecennale scontrocon la comunità curda, parte della nazione senza Stato piùnumerosa del Medio Oriente; sviluppo facilitato dal crearsisul versante siriano di un’area territoriale in via diestensione, gestita in tutta autonomia dagli schieramenticurdi, che continuano a manifestare un’estraneità e inalcuni casi aperta ostilità verso il frastagliato movimento diribellione in Siria. Alla minoranza curda il regime sirianoconsente una sorta d’indipendenza di fatto; minoranza chefruisce di un prezioso sostegno da parte del Kurdistaniracheno, diretto da Massoud Barzani, figura carismatica,seppur controversa, dell’irredentismo curdo, in proficuirapporti di business con la Turchia, attualmente in apertocontrasto per la forza delle spinte autonomiste con l’autoritàcentrale a Baghdad, applicazione del vecchio assiomasecondo cui il nemico (la Turchia) del mio nemico (l’I raq) èmio amico.

Non si ha difficoltà a comprendere l’effetto che tali sviluppipossono aver comportato sulle formazioni curde nel Sud-estturco, mai definitivamente sconfitte e sempre pronte ariprendere le armi contro il governo di Ankara. La rivolta delPKK, (“Kurdistan Workers’ Party), politicamente moltovicino alla principale forza politica curda siriana, il PYD(“Party of Democratic Union”), è dunque riesplosa, aconferma del fatto che ogni volta che in queste realtà siaccende la miccia dello scontro settario e tribale, leconseguenze si rivelano di una violenza estrema e del tuttoimprevedibili. Tale conseguenza ha portato a sua volta ad unirrigidimento ulteriore della posizione turca sulla guerra incorso in Siria.

La questione curda continuerà a far pesare i propridestabilizzanti effetti sul quadro politico turco e i più recentisviluppi non lasciano presagire miglioramenti di sorta suquesto fronte.

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L’assetto etnico - religioso nel grande Paese anatolicopresenta anch’esso aspetti di problematicità che possonospiegare la comprensibile riluttanza turca a un pericolosodiretto coinvolgimento nella guerra civile in corso in Siria. E’bene ricordare che all’interno della Turchia, oltre che ad unanumericamente trascurabile comunità alauita, vive unacospicua minoranza mussulmana di culto alavi, (più di 10milioni di anime), la cui matrice religiosa è riconducibile alsufismo, portatrice di valori islamici moderati e tolleranti,non del tutto estranea al credo alauita, seppur da essodifferenziata in alcuni tratti fondanti. Tale minoranzavedrebbe con ostilità un aperto impegno militare turco afianco di jihadisti sunniti in Siria, il cui numero non fa cheaumentare, sviluppo che sarebbe mal visto anche da quellafrangia laica nel Paese che continua rumorosamente a farsentire la sua voce nel quadro politico interno e che nonperde occasione di contestare l’approccio islamizzante dellaleadership di Tayyip Erdogan, responsabile agli occhi deglistessi ambienti, di “aver violato” il retaggio del Padre storicodella Turchia,, Kemal Ataturk, per il quale religione e politicadovevano appartenere a due dimensioni, ben separate edistinte.

Quali le possibili ragioni del repentino cambiamento diAnkara dopo l’insorgere della Primavera araba ed il cruentosbocco della crisi libica? Divergenti tesi in questo campo nonsono mancate ma a nostro avviso un elemento merita diessere considerato: ovverossia il desiderio di una ritrovata“assertiveness” turca come conseguenza di un quadro libicodove la penetrazione economica di Paesi alleati e rivali,Francia e Gran Bretagna soprattutto, è avvenuta troppovelocemente per non colpire una leadership turca moltointeressata a quel mercato e ivi, anche per ragioni storiche,ben presente.

L’insorgere di un processo in Siria ritenuto analogo a quellolibico ha probabilmente indotto Ankara a procedere ad unarevisione dei metri di giudizio. Quel che era accaduto in Libianon poteva dunque ripetersi in una realtà siriana, dove gliinteressi anatolici, oltre a rivestire una caratura economicacome in Libia, comportavano più evidenti coinvolgimenti sulpiano geopolitico. Da tale avvertita esigenza èverosimilmente scaturita la decisione di Erdogan eDavutoglu di sostenere il movimento di ribellione, divenendola Turchia, nell’estrinsecazione di un “rivisitato” ruolo diPotenza regionale, punto di riferimento strategico in unalotta di liberazione volta a rovesciare un sistema dispoticotacciato dai turchi, a nostro avviso in maniera troppoostentata, come “un regime di oppressione da parte dellaminoranza alauita”. In tal modo si è acceso uno scontro daitratti settari, che dura ormai da circa venti mesi e che hacomportato un deragliamento dai binari originari, il cui puntodi arrivo per i siriani era rappresentato da un approdo piùappagante in termini di democrazia rispetto al dispotico

Tentativo di esegesi diunmutato approccio

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autoritarismo del regime di Assad.

“L’errore è nei dettagli”, secondo un’espressione molto inuso nella lingua inglese. Esso può aver riguardato unavisione del problema che non ha tenuto conto delle profondedifformità con il quadro libico, rilevabili sia sul piano internosiriano, in merito al quale Ankara ha dato una valutazionedella sostenibilità del regime di Assad, rivelatasi alla provadei fatti fallace, sia su quello delle ramificazioni, ben piùprofonde rispetto allo scenario libico, esistenti nelloscacchiere regionale ed internazionale, se si considera larelazione strategica tra la Siria da una parte e l’I ran e laRussia dall’altra; senza trascurare l’ostilità con cui anchel’I raq, governato da una leadership sciita, con la quale ilgoverno di Ankara intrattiene rapporti tutt’altro che idilliaci,ha visto l’ostentato supporto fornito dai turchi all’opposizionesiriana.

I l rifiuto russo-cinese al Consiglio di Sicurezza dell’ONU diavallare tre risoluzioni mirate a creare i presupposti per uncambio di regime in Siria, secondo un copione già visto inLibia, ha complicato enormemente le aspettative di Ankaradi un rapido mutamento politico nel Paese finitimo. La storianon si è ripetuta e l’inattesa resistenza del regime, dovuta aldettaglio, tutt’altro che secondario, che segmenti importantidella società siriana non accettano di sostenere unmovimento di ribellione troppo diviso e composito per essereconsiderato come un’ autentica forza di liberazione, ha postola diplomazia turca in una situazione delicata.

Né si può trascurare la diffidenza covante nel profondodell’anima araba verso la nazione turca, erede di un passatoottomano definito da alcuni commentatori della regionecome “la fonte storica dei mali arabi”. I l mal dissimulatorichiamo a tale passato da parte di taluni esponenti politiciturchi non ha certamente giovato a una migliorecomprensione degli obiettivi perseguiti dalla diplomazia diAnkara nell’abbordare una crisi in merito alla quale non siriesce a reperire una “exit strategy”. Le divergenze cheseparano la posizione turca da quella della maggior parte deiPaesi arabi (fatta naturalmente eccezione per le monarchiedel Golfo) in merito alla migliore strategia da seguire peruna via d’uscita dal dramma siriano si sono del restoultimamente confermate in occasione del Quinto Foro turco-arabo, svoltosi ad Istanbul, dove l’approccio interventista diAnkara non ha raccolto l’adesione del Presidente di turnodella Lega araba e Ministro degli esteri libanese AdnanMansour. Ad avviso di quest’ultimo solo il dialogo puòcostituire una valida speranza che si riesca a porre termineall’orrendo bagno di sangue cui si assiste da quasi un anno.

Può apparire inoltre interessante ricordare che la Turchia èstata ammessa nel giugno di quest’anno, in qualità di“Dialogue Partner”, nella “Shanghai CooperationOrganization”, struttura regionale formatasi nel 2001, con

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finalità di contrasto all’Occidente sul piano della sicurezza edegli interessi, di cui fanno parte come membri a pienotitolo, oltre alla Russia ed alla Cina, tutte le Repubblicheislamiche ex-sovietiche dell’Asia centrale, fatta eccezione peril Turkmenistan, mentre l’I ran, il Pakistan e l’Indiaassicurano la propria presenza in qualità di “Statiosservatori”. Quali le principali ragioni di tale scelta che inquesto caso denota scarsi tratti di vocazione religiosa? Unadi queste ha sicuramente attinenza sia con l’allettanteprospettiva di poter operare più agevolmente nei mercatiasiatici, inserendosi in commesse e iniziative economiche delvalore di miliardi di dollari, sia con l’essere parte di unprocesso di integrazione sotto il profilo politico, economico edella sicurezza dalle importanti ricadute per un Paeseaspirante ad un ruolo di primo piano nel contestoeurasiatico. E l’intensa rete di cooperazione economica tra laTurchia e la Russia, che sopravanza le divergenze politichesulla crisi siriana, fa verosimilmente parte di questo quadrodi crescenti sinergie.

Una matrice per molti versi analoga è riscontrabilenell’adesione turca, in questo caso a titolo di membrofondatore, unitamente all’I ran ed al Pakistan, alla “EconomicCooperation Organization”, organismo regionale diintegrazione economica, creatosi nel 1985, di cui fannoparte tutte le Repubbliche islamiche ex-sovietiche, oltreall’Afghanistan. In tale quadro il governo di Erdogan svolgeun ruolo di primo piano, approfondendo le relazioni, anchepolitiche, con i Paesi partner; il che fornisce anchespiegazione del perché la Turchia, nonostantel’appartenenza alla NATO e le gravi divergenze con Teheranin merito alla questione siriana, mantiene proficui rapporticon l’I ran, con il quale per converso Ankara interagisce inseno ai due organismi regionali descritti.

Le ragioni di una certa diffidenza araba verso il vicinoanatolico non sono dunque del tutto prive di fondamentoquando si pensi che la Turchia, membro a pieno titolo dellaNATO, promuove una “real politik” che suona conferma delleambizioni di Ankara di ridare vita sotto mutate spoglie ariedizioni di esperienze storiche passate che, se suscitanoaneliti positivi in ambienti dell’establishment turco, sono perconverso recepiti in maniera difforme presso i vicini arabi.

In questa luce la decisione di Erdogan di cavalcare la tigrereligiosa nella guerra civile siriana potrebbe trovare una sua“raison d’etre” anche nel desiderio di far fruttare il legamecon l’Occidente, in particolare con gli Stati Uniti; Occidentedal quale beninteso la Turchia non può prescindere se vuoledare concretezza al suo disegno eurasiatico. Ma larecrudescenza dello scontro senza fine con i curdi, l’acuirsidei dissapori con attori imprescindibili quali l’I raq e l’I ran, ledifficoltà crescenti a far fronte alle conseguenze della guerracivile siriana unitamente alla richiesta alla NATO di istallareun sistema di difesa antimissile nonché il persistere di una

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certa “distanza” con l’Unione europea, testimoniato dalmancato invito a rappresentanti UE a presenziare alcongresso del partito al governo, l’AKP, sono fatti chedenotano un quadro di disagio cui la Turchia è ora espostaed al quale cerca di porre rimedio. Né l’irreversibile rotturadel rapporto con Israele, definito da Erdogan, inconseguenza degli attacchi contro l’enclave di Gaza, “Statoterrorista”, in perfetta sintonia con la posizione iraniana ditotale appoggio alle aspirazioni palestinesi, ha apportatoquel “ritorno” in termini d’immagine che ad Ankara ci sipoteva attendere.

A nostro avviso l’atteggiamento di distacco verso l’Europa,che peraltro trova un riscontro nell’humus profondo dellasocietà turca, va contro gli interessi della patria di Ataturk.Se la Turchia è vista come un modello da seguire in MedioOriente è anche perché ha tratto beneficio da una relazionefruttuosa con il nostro Continente. Quel patrimonio intermini di democrazia, libertà e conquiste civili, di cuiAnkara può vantarsi a giusto titolo nella sua interazione coni partner arabi si è potuto formare e sviluppare grazie anchee soprattutto al contatto con l’UE. E tutto questo non puòessere ora sottovalutato in un momento in cui isommovimenti nella regione consiglierebbero alla Turchia unatteggiamento di maggiore prudenza ed equilibrio,unitamente ad un meno palpabile grado di velleitariopopulismo religioso, che non trova del resto riscontro nellacomplessa composita realtà di quel grande Paese.

A parere di taluni la stessa Entente cordiale sbocciata traAnkara e la leadership islamista egiziana, motivataessenzialmente dal disperato bisogno di assistenzaeconomica dell’Egitto, difficilmente potrà assurgere a legamestrategico sia per le difficoltà interne cui i due governidevono attualmente confrontarsi sia ove si considerino leresistenze che all’interno dei due Paesi farebbero ostacolo adun approfondimento della relazione. Infatti, mentre inTurchia le resistenze della consistente comunità laica aun’evoluzione in tal senso si farebbero sentire per lacomprensibile diffidenza verso un Paese governato daiFratelli mussulmani, in Egitto per converso ambienti,soprattutto religiosi, creerebbero difficoltà ad unavvicinamento con una realtà turca considerata da molti nelmondo arabo come “non autenticamente islamica”, legata adun sistema di alleanza, la NATO, visto dagli islamisti in unaluce tutt’altro che favorevole.

I l quadro dei rapporti turco-egiziani non prescinde inoltre dauna rivalità covante che, in forme molto defilate, ha modo dimanifestarsi a fronte del riaccendersi del conflitto arabo -israeliano. La diminutio turca, in termini di sostenibilità delruolo agognato, sta avendo una conferma sul campo nellamisura in cui l’Egitto, e non la Turchia, è risultato qualeprime actor nella tela diplomatica approntata per evitare unaescalation militare a Gaza dalle pericolosissime

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conseguenze. L’interlocutore degli Stati Uniti e dell’ONUnella delicata fattispecie è stato il governo islamista al Cairomentre da parte del movimento palestinese nel suocomplesso (Hamas e Al-Fatah) si guarda alla capitaleegiziana come canale di comunicazione primario. Che levirulente esternazioni di Erdogan contro le Nazioni Unite egli accenti inopinatamente critici verso l’Occidente, accusatodi parzialità nell’atteggiamento verso i mussulmani,risentano anche del cruccio provato a causa di sviluppi sulpiano diplomatico mal digeriti, non si ha grande difficoltà acrederlo. Questo interviene all’indomani dell’intendimentomanifestato dall’opposizione siriana di fissare il proprioquartier generale al Cairo e non in Turchia, nonostante lapresenza sul suolo turco di una moltitudine di rifugiatisiriani.

Certo quel che era iniziato come un nuovo capitolo neirapporti di Ankara col mondo arabo ha subito un’inattesabattuta d’arresto, ponendo la Turchia in uno dei momenti piùtravagliati della sua storia, iniziata, come si ricorderà, nel1923 in esito al Trattato di Losanna stipulato con le Potenzevincitrici della Prima guerra mondiale. Le problematiche cheagitano lo scenario turco sia sul piano interno, dove, al finedi evitare dolorose lacerazioni, si dovrà pervenire ad unnuovo equilibrio che tenga conto della diversificata realtàpolitica ed etnico-religiosa del Paese, sia nella sua proiezioneesterna in uno scacchiere percorso da processi dagli sbocchituttora non definiti ma sicuramente ben diversi dalle basi dipartenza da cui sono scaturiti, mostrano una entità alleprese con nuove sfide e con traguardi ambiziosi. Essirisentono in ogni caso dell’aspirazione, tinta in buona misuradi un certo velleitarismo, a svolgere un ruolo affrancato il piùpossibile da ogni dipendenza e portato ad essere più“assertive” nello scenario internazionale.Quel che resta da misurare è la distanza che separa talifinalità dal contesto reale dal quale la leadership turca nonpuò prescindere nel perseguimento di questi obiettivi.

Le tensioni sul programma nucleare iraniano sono piuttostoscemate in queste ultime settimane a causa delle elezioniamericane, dell’annunciato intendimento di Netanyahu disottoporsi allo scrutinio elettorale del prossimo gennaio e delquadro tumultuoso esistente al momento in altre areemedio-orientali. I l perdurare della guerra civile siriana, perla quale fino ad ora ogni tentativo di mediazione si è rivelatoavaro di risultati, e la fragilità della tregua nell’enclave diGaza ottenuta grazie alla mediazione americana ed allegame profondo tra il governo egiziano e Hamas, hannoportato ad una pausa, invero più apparente che reale, nellaincessante confrontation che caratterizza la relazione tral’I ran da una parte ed Israele e l’Occidente dall’altra.

Ciò non significa che il conflitto, seppur in forme pocoappariscenti e indirette, non continui con il verificarsi diepisodi che testimoniano come la distanza che separa i due

Evoluzione della crisiiraniana

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schieramenti e l’acrimonia del confronto perdurano nellastessa maniera. I l bombardamento, verosimilmenteisraeliano, del complesso militare di Yarmouk, situato neipressi della capitale sudanese di Khartoum, sospettato dicontenere armi e materiale sensibile, presumibilmente diprovenienza iraniana, destinati verso Gaza, ha costituitol’ultimo esempio di come il livello di guardia dello Statoebraico non si sia abbassato all’indomani dell’incursione diun drone, non armato, nello spazio aereo israeliano,abbattuto nel deserto del Negev a pochi chilometridall’imperscrutabile centrale atomica di Dimona. Taleimpattante impresa è stata rivendicata dal movimentolibanese filo-iraniano degli Hezbollah, gongolante nelmostrare al mondo la capacità a perforare “con facilità” lamunitissima fortezza israeliana. Né la “cyberwar” ingaggiatadagli iraniani nel Golfo contro i sistemi elettronici di difesadelle raffinerie saudite e degli altri stati dell’area né le azionidi difesa degli iraniani contro i droni USA sorvolanti al largodella costa iraniana possono risultare rassicuranti circa ilclima impietosamente “confrontational” che continua acontraddistinguere le relazioni tra la Repubblica islamica el’Occidente.

Tutto questo avviene mentre nella Repubblica islamica icittadini ordinari, principali vittime di tale avvelenatocontesto, continuano a patire gli effetti deleteri di sanzioniunilaterali occidentali pesantissime che, oltre a complicare ilperseguimento del presunto programma nucleare da partedegli ayatollah, seminano morte, miseria e disperazionenella vita degli strati più esposti della società iraniana(donne, bambini, giovani). Nella misura in cui si intende difatto paralizzare l’economia di quel Paese isolandola dagliscambi internazionali e rendendo proibitiva ogni transazionecommerciale, anche di beni di prima necessità quali prodottialimentari, medicinali e consimili, le conseguenze nonpossono non colpire soprattutto, per non direesclusivamente, i comuni cittadini. I l quadro che ne derivaapparirebbe, secondo autorevoli testimonianze, talmenteallarmante che ormai da taluni osservatori non si esita più arichiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionalesul pericolo incombente di “una catastrofe umanitaria” inI ran.

Questo si accompagna con il peggioramento dello status edelle aspirazioni di vita dell’elemento femminile, il quale, inun Paese all’avanguardia nel mondo islamico in tema dicoinvolgimento delle donne nell’istruzione e nella cultura, sivede precludere l’accesso ad alcune facoltà universitarieritenute “troppo maschili”; ciò allo scopo di evitarecomportamenti “non islamici” quali la contiguità fisica trauomini e donne. Altro segno del clima di oscurantismo chenella prova di forza ingaggiata con l’Occidente stainvestendo la società iraniana dove le forze più retrivetraggono obiettivamente vantaggio dal muro contro murocon “il nemico satanico”.

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Forse è anche per questo motivo che all’indomani delsuccesso elettorale di Obama gli appelli di parte siaoccidentale sia iraniana per una ripresa del negoziato hannoripreso a manifestarsi mentre l’eventualità che si possagiungere ad un confronto diplomatico diretto tra Teheran eWashington appare sempre più verosimile, anzi quasiauspicata da parte americana e non esclusa da parteiraniana. Identico suono di campane al livello dell’Agenziainternazionale per l’energia atomica di Vienna che haindicato per metà dicembre il periodo nel quale i contatti conla controparte iraniana saranno ripresi. Nel suo ultimorapporto lo stesso organismo non si è discostato dallaposizione dubitativa, più volte assunta in materia, facentestato dell’impossibilità per l’Agenzia di escludere che leoperazioni di arricchimento dell’uranio e la messa in operadelle centrifughe nelle centrali iraniane non siano per interofinalizzate ad un uso pacifico dell’energia sfruttata.

L’aleatorietà del clima politico generale in Medio Oriente,dove ormai nessun Paese sembra in grado di sottrarsi aprocessi di turbolenta trasformazione e di “remise en cause”di un ordine che sembrava immutabile e che ora è scossonelle fondamenta (ultimo esempio di ciò è dato dallaGiordania, dove perfino la stessa figura del re viene oraapertamente contestata), il riposizionarsi dell’interessestrategico americano in direzione dell’Estremo Oriente infunzione anticinese nonché il “regain” di attualità della crisiarabo-israeliana sono tutti elementi che indubbiamentefacilitano il maturare della consapevolezza che solamenteattraverso il dialogo e l’arma, mai spuntata, della diplomaziasi possa giungere ad una via d’uscita da un tunnel dal qualenon si è più vista alcuna luce da più di trent’anni.Aggiungiamo a questo, anche se con una certacircospezione, che un’altra consapevolezza forse comincia amanifestarsi ovverossia che qualsiasi strategia mirante apiegare la volontà della leadership iraniana attraversosanzioni sempre più deleterie, cercando di provocaredall’esterno un cambio di regime in I ran, ripercorrendo ilsentiero che ha portato a sbocchi inquietanti prima inAfghanistan ed in I raq e poi in Libia, appare destinata ad uninevitabile insuccesso.

A tal proposito non è inutile ricordare che il programma diutilizzo dell’energia nucleare in I ran beneficia del sostegnodelle varie movenze politiche nazionali, essendo essoritenuto un diritto inalienabile del Paese, e cheassolutamente minoritari appaiono essere queglischieramenti inclini a mettere in discussione i tratti fondantidella Repubblica islamica inerenti alla preservazionedell’identità sciita. La lotta politica in I ran concerne altricampi inerenti alle contrastanti visioni vertenti sul modello didemocrazia islamica, all’interno in ogni caso di un sistemadi valori nel quale la grande maggioranza credeprofondamente.

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Tenendo quindi presenti i due aspetti sopra indicati si puòaltresì comprendere come la possibilità che dopo il formaleconferimento ad Obama il prossimo gennaio di un nuovomandato quadriennale un dialogo diplomatico diretto con gliStati Uniti, occultamente già in essere, auspicato dalPresidente Ahmadi-Nejad e da autorevoli figure pragmatichee moderate quali l’ayatollah Rafsanjani, vengafavorevolmente considerata in I ran nella misura in cuiquesto passaggio costituirebbe in una certa maniera unasorta di assicurazione per la Repubblica islamica che ilperseguimento della strategia del “regime change” verrebbefinalmente a cessare. Questo potrebbe essere il punto diapprodo suscettibile di avvicinare le parti conferendo alprocesso negoziale quei tratti, che dovrebbero esserglipropri, i soli in grado di portare ad uno sbocco concreto,capaci di far germogliare quell’atmosfera di fiducia e direciproca comprensione a tutt’oggi inesistente. Le sanzioni,in effetti, non possono continuare a vivere in unadimensione che prescinde dalla realtà del confronto, unqualcosa d’ intangibile che da solo dovrà produrre idesiderati risultati. Al contrario esse sono parte integrantedell’iter negoziale e devono servire come strumentoattraverso cui strappare alla controparte quel che si vuoleottenere, nell’ottica di un graduale processo diavvicinamento delle rispettive posizioni.

Si tratterebbe in estrema sintesi di questo: la fissazione diun limite nel programma nucleare iraniano in cambio di unprogressivo allentamento delle sanzioni suscettibile diattenuare il loro micidiale peso sulle condizioni di vita dellapopolazione iraniana. Tale processo si rivelerà difficile etortuoso, per i condizionamenti che inevitabilmente verrebbea subire da ambienti iraniani, israeliani, americani ed anchedelle monarchie del Golfo, interessati al mantenimento di unclima di tensione; ma esso è il solo che potrebbe portare algraduale superamento del muro di diffidenza edincomunicabilità che separa l’I ran dall’Occidente.

D’altronde anche in ambienti occidentali ci si rende contoche il “possesso” dell’arma atomica da parte dell’I ran sirivelerebbe per il Paese un vantaggio di breve duratasuscettibile di mutarsi a più lungo termine in una vera epropria posizione di vulnerabilità. Tale sviluppo sarebbe malvalutato anche da alleati obiettivi quali la Russia e la Cina eciò rappresenterebbe un colpo mortale per uno Statodesideroso di mantenere rapporti e contatti col mondoesterno attraverso cui accedere alla tecnologia e ad unosviluppo in linea con i tempi. La Repubblica islamica nonpotrebbe mai ritrovarsi in un quadro di ghettizzazione edemarginazione simile a quello in cui si trova la Corea delNord, viste le ramificazioni e sinergie nella regione diappartenenza nelle quali l’I ran è ontologicamente inserita.

Si vedrà quel che seguirà. Indubbiamente il successo di

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Obama sembra aver soddisfatto la condizione principaleperché un’evoluzione del genere abbia finalmente inizio, delresto unanimemente avallata dagli europei. Nel frattempo ipericoli di uno sbocco cruento paiono al momentoallontanarsi nell’attesa dello svolgimento delle imminentielezioni politiche in Israele, il cui esito a questo puntopotrebbe risentire anche del risultato prodottosi oltre-Atlantico, apparentemente poco propiziante per Netanyahu.

Forti pressioni sono esercitate dalla Russia, interessata aduna penetrazione economica in tutta l’area medio-orientale,perché il momento negoziale riprenda il suo corso,attraverso contatti diretti che Mosca ha avuto con la parteiraniana, finalizzati a persuadere gli iraniani dell’esigenza diriavviare in questo momento il dialogo diplomatico. Népotrebbe essere altrimenti considerando le difficoltà cuiMosca si trova confrontata, alle prese con una guerra civilesiriana ormai fuori controllo; i cui sbocchi costituisconoperaltro motivi di apprensione anche per gli Stati Uniti, vistala miriade di formazioni jihadiste, sempre più cospicua sulcampo, i cui obiettivi ben poco hanno a che vedere con leaspirazioni di libertà e democrazia emananti dalla variegatarealtà politica siriana.

L’economia iraniana mostra grande difficoltà a far fronteall’impatto delle sanzioni. I l costo sociale come abbiamovisto si rivela altissimo mentre l’andamento di alcuni macro-aggregati denota sviluppi negativi. I l deficit ragguardevoledella bilancia dei pagamenti, il crollo del valore della valutanazionale, il rial, la forte contrazione delle vendite di petroliodeterminata in larga misura dall’embargo deciso dall’UE loscorso luglio nonché l’aumento considerevole dell’inflazionecollocantesi al di sopra della temibile soglia del 25% con leprevedibili conseguenze sullo standard di vita dellapopolazione, hanno inferto un colpo gravissimo allacomplessiva sostenibilità dell’economia nazionale.

In controtendenza rispetto a tale inquietante quadro sonoapparse le più recenti proiezioni fornite dal Fondo monetariointernazionale secondo cui si sarebbe registrata unacontrazione del Prodotto interno lordo iraniano per l’anno incorso di poco meno del 1% per cento cui dovrebbe perconverso seguire per il 2013 una crescita dell’ordine dello0,8%. Quest’ultimo andamento sarebbe determinato dalpositivo andamento degli altri comparti del sistemaeconomico iraniano che - secondo l’organismo di Washington– presenta elementi di diversificazione strutturale maggioririspetto ad altri Paesi esportatori di petrolio..

Infatti, secondo quanto riferito dal FMI , la contrazione delPIL registratasi quest’anno terrebbe conto del considerevolecalo dell’export di prodotti energetici, calo peraltro attenuatodal positivo andamento di altri comparti del sistemaeconomico, in particolare dell’agricoltura. In effetti, il settoreagricolo costituisce nell’economia iraniana una percentuale

Quadro economico inIran

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non trascurabile collocantesi intorno al 10%, a conferma delgrado di diversificazione cui si accennava in precedenza. Intale ambito è altresì utile rilevare come i servizi interessinola metà dell’assetto produttivo iraniano mentre le attivitàindustriali, includendovi la produzione di petrolio e gas,come evidenziato nell’ultimo rapporto del Fondo monetario,non supererebbero il 40%.

Come si può notare l’intendimento delle autorità di Teherandi approfondire il livello di diversificazione dell’economiairaniana affonda le sue radici in un assetto di per sé giàabbastanza articolato, ove lo si voglia comparare con altreconsimili realtà. In tale ambito il settore delle energierinnovabili tende ad espandersi se si pensa che già fin da oral’I ran vanta in questo campo la più grande capacità ricettivain tutto il Medio Oriente.

Certo la penuria di valuta, generata dalle ultimepesantissime sanzioni occidentali e la paralisi del sistemafinanziario con il conseguente crollo del valore del rial el’innalzamento del tasso di inflazione, tutti sviluppi successivialle proiezioni sopra riportate, comporterannoverosimilmente un peggioramento del quadro complessivodegli aggregati, suscettibile di determinare una performancemeno positiva del sistema economico con una revisione alribasso delle ultime previsioni riportate dall’FMI ; anche se losprone conferito alle unità produttive locali nelperseguimento della cosiddetta “economia di resistenza”sembra secernere, seppur in un contesto alquanto precario,inattese positive ricadute sotto il profilo dello sviluppo delmercato locale.

Molto dunque dipenderà dal peso che le sanzioni unilateralioccidentali eserciteranno sull’economia iraniana, anche setradizionali correnti di scambi, quali quelli con i principalipartner asiatici, sembrano, seppur contraendosi, noninaridirsi, continuando a produrre effetti benefici per l’exportiraniano. Né va sottovalutato il particolare che l’I ran èprofittevolmente inserito nelle più importanti organizzazioniregionali asiatiche (Shanghai Cooperation Organisation,Economic Cooperation Organisation, D8) la cui finalità è dipromuovere e facilitare, in un quadro di accresciutasicurezza, gli scambi commerciali e gli investimenti nellaregione.

In tale quadro la Turchia svolge un ruolo di grande rilievo sìda essere considerata uno dei principali snodi del commercioestero della Repubblica islamica. Un numero considerevoledi imprese iraniane ha visto recentemente la luce nel grandePaese anatolico grazie anche alle facilitazioni concesse dalgoverno di Ankara ai cittadini iraniani, cui non è fattoobbligo del visto, di entrare ed aprire attività commerciali inTurchia. I l valore globale dell’interscambio turco-iraniano haraggiunto nel 2011 la rispettabile soglia di 15 miliardi didollari mentre l’export, soprattutto di gas iraniano, verso la

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Turchia è destinato, perlomeno in un futuro non remoto, anon scemare a dispetto delle pressioni americane.

Nonostante il divieto di esportare oro in I ran comeconseguenza dell’embargo deciso dall’Unione europea, leesportazioni di oro turco hanno registrato un aumentoragguardevole nel primo semestre del 2012, questo ancheperché la Turchia, non essendo membro dell’UE, puòtranquillamente ignorare le sanzioni europee, guardandoesclusivamente ai propri interessi.

I l rilevante import in I ran del prezioso metallo attraverso siail tradizionale canale di Dubai sia di quello, menopubblicizzato, della Svizzera, sopperisce, seppurparzialmente, alle difficoltà prodotte dalla scarsità di valuta,facilitando le vendite di petrolio e gas naturale iranianinonché il mantenimento di correnti di scambio con queiPaesi e quelle unità produttive, anche europee, riluttanti a“scaricare” un mercato delle dimensioni di quello iraniano;approfittando in ciò delle scappatoie consentite da misureeuropee di embargo formulate in maniera abbastanzanebulosa da consentire deroghe o vie di uscita.

Quel che è certo è che ancora una volta il cammino dellesanzioni non appare il sentiero migliore per determinare unmutamento di indirizzo dei vertici iraniani che al contrariotraggono linfa e sprone dal cavalcare l’onda dell’orgoglionazionale e della capacità del loro Paese a resistere allepressioni di Potenze con le quali l’I ran non ha persol’abitudine di confrontarsi se si getta uno sguardo indietronei meandri della storia passata. La stessa economiairaniana mostra segni di grande vitalità, in possesso di“atout” non riscontrabili in altre simili realtà, mentre lecontestazioni ed il malessere sociale ora prevalenti in I rannon giungono fino al punto di dar vita a connivenze ecollusioni con chi umilia il senso di grandezza della nazioneiraniana.

Uno sbocco militare apparirebbe un salto verso il disastro, sesi considera che anche un oppositore di lunga data delregime degli ayatollah, quale Abolhassan Bani Sadr, primoCapo del governo iraniano dopo l’avvento della rivoluzioneislamica, ha recentemente espresso l’avviso che la stradapiù appropriata perché l’I ran percorra il pericoloso sentierodel Pakistan sarebbe appunto quella, intransigente,auspicata dall’attuale leadership politica israeliana,osteggiata e, parrebbe, perfino bloccata in passato da queglistessi settori dello Stato ebraico chiamati a porla in essere.

La gravissima crisi nell’enclave di Gaza ed il successo delladiplomazia palestinese alle Nazioni Unite, che hannorappresentato il primo vero test cui Israele è stato chiamatoa far fronte dopo l’insorgere della Primavera araba, siriveleranno un passaggio di notevole importanza ai fini delleincidenze sul confronto elettorale israeliano dove peraltro

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voci autorevoli discordanti si levano contro le scelteintransigenti di Netanyhau. Non prive di fondamentoappaiono per converso le speranze di una positivamaturazione del dossier iraniano che, nel presentetumultuoso scenario medio-orientale, potrebbe al contrariorivelarsi un contributo preziosissimo al miglioramento delclima complessivo in Medio Oriente. Ogni problema ed ogniquestione appaiono interconnessi in un’area dove, inmancanza di nuove visioni e della presa in considerazione dilegittime esigenze finora ignorate e represse, l’incedere deltempo finirà per orientarsi verso direzioni fatalmentecontrarie agli interessi di Israele.

Nel frattempo un’ulteriore occasione di incontro e di dialogoè andata persa: la prevista riunione di Helsinki di fine annofinalizzata all’esame delle politiche miranti al conseguimentodi un Medio Oriente scevro di armi atomiche non avrà piùluogo alla data fissata per il rifiuto di Israele di prenderviparte; a fronte della disponibilità, manifestata da tutti i Paesiislamici della regione, compreso l’I ran, ad assicurare lapartecipazione all’evento, contemplato dalla “ReviewConference” di New York della primavera 2010, all’internodel quadro normativo del Trattato di non-Proliferazionenucleare, caldamente sponsorizzato dall’AmministrazioneObama.

L’auspicio da formulare in proposito è che tale rinvio facilitiinvece di complicare lo svolgimento di un incontro di capitaleimportanza ai fini di un futuro di pace e stabilità reali inquesta parte del mondo.

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SEGNALAZIONI

Quanto dev'essere grande il cimitero diLampedusa?

Pubblichiamo l'appello lanciato dal nuovo sindaco diLampedusa, Giusi Nicolini, contro il silenzio dell'I talia edell'Europa circa le morti di persone innocenti in cerca diuna vita migliore . Dal mese della sua elezione, avvenuta amaggio 2012, al 3 di novembre le sono stati cosegnati già21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano diraggiungere Lampedusa.

Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa.Eletta a maggio 2012, al 3 di novembre mi sono staticonsegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentretentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è unacosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello didolore.

Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura aiSindaci della provincia per poter dare una dignitosasepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non avevapiù loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti unadomanda: quanto deve essere grande il cimitero della miaisola?

Non riesco a comprendere come una simile tragediapossa essere considerata normale, come si possarimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio,che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e dueragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tuttiinsieme, come sabato scorso, durante un viaggio cheavrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuovavita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero deimorti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpiche il mare restituisce.

Sono indignata dall’assuefazione che sembra averecontagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europache ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace difronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propriaguerra. Sono sempre più convinta che la politica europeasull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane unmodo per calmierare i flussi, se non un deterrente.

Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttoral’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte inmare debba essere per l’Europa motivo di vergogna edisonore. In tutta questa tristissima pagina di storia chestiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce looffrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano chesalvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chiera a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabatoscorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissimemotovedette che il nostro precedente governo ha regalato a

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Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quellemotovedette vengono però efficacemente utilizzate persequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al difuori delle acque territoriali libiche.

Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti,con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dàdignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità alnostro Paese e all’Europa intera.

Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora iovoglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogniannegato che mi viene consegnato. Come se avesse lapelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegatodurante una vacanza".

Giusi Nicolini

Stati generali dell'Europa sui diritti umaniTORINO, Centro Congressi Torino Incontra, via Nino Costa 8 - ore

09,00 - 13 e 14 dicembre

La Commissione straordinaria per la tutela e la promozionedei diritti umani del Senato, presieduta da Pietro Marcenaro,ha svolto nei mesi scorsi un ciclo di audizioni, poi raccolte inuna pubblicazione, sul tema "Diritti umani e politica estera".Alle audizioni hanno partecipato personalità che hanno ohanno avuto responsabilità di governo in I talia e in Europa,rappresentanti della diplomazia italiana portatori diesperienze particolarmente significative, studiosi e esponentidella cultura e della società civile.

Negli stessi mesi ha affrontato il tema la Commissione affaripolitici e democrazia dell'Assemblea parlamentare delConsiglio d'Europa, presieduta dallo stesso Pietro Marcenaro,e lo scorso ottobre sono state approvate dall'Assemblea unarisoluzione e una raccomandazione.

In considerazione dell'interesse suscitato, si è ritenuto utileorganizzare una conferenza internazionale il prossimo 13dicembre a Torino nel Centro Congressi Torino Incontra divia Nino Costa 8, in margine della riunione dellaCommissione affari politici e democrazia dell'Assembleaparlamentare del Consiglio d'Europa.

"Riconoscere e discutere la tensione strutturale tra principi erealpolitik - ha sottolineato Pietro Marcenaro- , tra valori einteressi, in politica estera è la condizione perché principi evalori non restino relegati nelle belle parole delledichiarazioni ma conquistino invece uno spazio sempremaggiore nella prassi delle relazioni internazionali. Perquesto credo che questi primi Stati Generali dell'Europa suidiritti umani, siano un'occasione importante. Sarà unariunione di alto livello alla quale parteciperanno, insieme agli

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oltre cento parlamentari dei 47 paesi del Consiglio d'Europa,alcuni degli esponenti europei più significativi dell'azione peri diritti umani nel campo delle istituzioni e in quello dellasocietà civile. Sono contento e orgoglioso che questi StatiGenerali si svolgano a Torino che è stata, e vuole continuaread essere, una capitale europea della democrazia".Nel corso degli ultimi anni la questione dei diritti umani si ègeneralmente presentata nella forma dell'emergenzaumanitaria e spesso ha dovuto affrontare il dilemma traricorrere alla forza e all'azione militare o assistereimpotenti a crimini contro l?umanità o a veri e proprigenocidi.

"A Torino, 51 anni fa, fu firmata la Carta Sociale Europea delConsiglio d'Europa - , ha evidenziato il Sindaco PieroFassino. Un documento equivalente, in materia di dirittieconomici e sociali, alla Convenzione europea dei dirittidell'uomo, con cui condivide un cammino comune in quantoesiste sempre più un intreccio dei diritti sociali con i dirittiumani, in un contesto di globalizzazione.Torino è una città che ogni giorno attraverso le sueistituzioni, i suoi atenei, le sue imprese, i suoi enti culturalidialoga con il mondo ed è abituata a confrontarsi a livellointernazionale anche su questioni complesse, come quelladei diritti umani in tempi di globalizzazione.Le questioni dell'immigrazione in generale, nonnecessariamente per motivi politici, rappresentano problemidi grandi dimensioni ed è fondamentale che questiargomenti siano sul tavolo delle organizzazionisopranazionali: penso che i destini di ogni nazione sianosempre più indissolubilmente legati alle dinamiche dellaglobalizzazione e della sovranazionalità e non c'è tema di unqualche rilievo che possa essere rinchiuso nella soladimensione nazionale, e ancor meno locale".

E' possibile che i diritti umani divengano un aspettostrutturale e sistematico della politica estera che, senzaignorare le emergenze ricorrenti, guardi al medio e lungoperiodo e si proponga di prevenire con l'azione politica ilricorso alla forza? E questo cosa comporterebbe nelladefinizione delle strategie generali di politica estera e nellestesse direttive alla nostra struttura diplomatica? E qualisono le possibilità di concreti passi in avanti su questoterreno nelle grandi organizzazioni internazionali e nellastessa Unione Europea?

Come si può affrontare la contraddizione che sovente simanifesta tra principi e interessi, e come si può ricercare unequilibrio più convincente tra realpolitik e valori?Che relazione esiste tra difesa dei diritti umani eaffermazione dello stato di diritto e della democrazia e qualisono le possibilità e i limiti di azione in questo campo?Queste sono solo alcune delle domande di cui si discuterànel corso della conferenza internazionale del 13 dicembre aTorino che vedrà la partecipazione di rappresentanti delle

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istituzioni europee e parlamentari delle Commissioni dirittiumani ed esteri di tutti i 47 paesi dell'Assembleaparlamentare del Consiglio d'Europa alla quale prenderannoparte, tra gli altri, il presidente dell'Assemblea Parlamentaredel Consiglio d'Europa M. J ean-Claude Mignon, il ministro delLavoro e delle politiche sociali del Governo I talianoElsaFornero, il presidente della Commissione esteri del SenatoLamberto Dini, la segretaria generale aggiunta del CdE MmeGabriella Battaini-Dragoni, il rappresentante speciale per idiritti umani dell'unione Europea M. Stavros Lambrinidis, ilministro degli affari esteri della Romania M. Tiuts Corl??ean,il direttore del Bureau presso le istituzioni europee diAmnesty International M. Nicolas J . Beger, il gesuita italianofondatore del monastero Mate Dei a Musa in Siria PadrePaolo Dall'Oglio.

Scarica il programma

“Mediterranean Networking: step oneLampedusa”

Torino, Istituto Paralleli, via La Salle 17 - ore 17,00

Scarica la locandina

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Con il sostegno di :

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Rete Camerale Nord Ovest per ilMediterraneo

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