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DESK N. 3-4 • LUGLIO-DICEMBRE 2019 21 «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri». (Rom 12,4-5) on è lecito lasciarsi im- pressionare dal superfi- ciale ottimismo di pram- matica di certe correnti, ma altrettanto poco ci è permesso di cedere alla tentazione di ignorare gli elementi positivi nel vivo del nostro tempo», scriveva nel suo libro “Svolta per l’Europa?” (San Paolo Edizioni, 1992) l’allora cardinale Joseph Ratzinger, futuro Pontefice, aggiungendo: «La nostra riflessione mira piuttosto a rintracciare ciò che è valido e durevole, cioè quel- «N l’orientamento di fondo, mediante il quale si può attraversare con successo il presente e così aprire la via verso il futuro. Ci interroghiamo sugli elementi caratte- ristici del nostro tempo, per riconoscere che cosa blocca l’accesso alla strada giusta e che cosa lo favorisce». In chiusura dell’anno del sessante- simo dell’Ucsi le parole di Benedetto XVI rappresentano un viatico prezioso per ri- flettere in modo corale, e in continuità di magistero pontificio, su un tempo che per papa Francesco non è tanto «un’epoca di cambiamento», quanto «un cambia- mento di epoca» 1 ; e, per il nostro per- corso associativo (e professionale), è stagione di bilanci e di prospettive, oltre che momento condiviso di doverose e gioiose celebr/azioni: disseminate, come DONATELLA TROTTA COMUNICATORI SOCIALI IN CAMMINO TRA MEMORIA E PROFEZIA Piccolo viaggio nell’Italia che ha celebrato l’anniversario dell’associazione I 60 ANNI DELL’UCSI 1 Discorso per l’incontro con i rappresen- tanti del V Convegno nazionale della Chiesa ita- liana (10 novembre 2015, Firenze).

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«Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hannotutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti,siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua partesiamo membra gli uni degli altri».(Rom 12,4-5)

on è lecito lasciarsi im-pressionare dal superfi-ciale ottimismo di pram-

matica di certe correnti, ma altrettantopoco ci è permesso di cedere alla tentazionedi ignorare gli elementi positivi nel vivodel nostro tempo», scriveva nel suo libro“Svolta per l’Europa?” (San Paolo Edizioni,1992) l’allora cardinale Joseph Ratzinger,futuro Pontefice, aggiungendo: «La nostrariflessione mira piuttosto a rintracciareciò che è valido e durevole, cioè quel-

«N

l’orientamento di fondo, mediante ilquale si può attraversare con successo ilpresente e così aprire la via verso il futuro.Ci interroghiamo sugli elementi caratte-ristici del nostro tempo, per riconoscereche cosa blocca l’accesso alla strada giustae che cosa lo favorisce».

In chiusura dell’anno del sessante-simo dell’Ucsi le parole di Benedetto XVIrappresentano un viatico prezioso per ri-flettere in modo corale, e in continuità dimagistero pontificio, su un tempo cheper papa Francesco non è tanto «un’epocadi cambiamento», quanto «un cambia-mento di epoca»1; e, per il nostro per-corso associativo (e professionale), èstagione di bilanci e di prospettive, oltreche momento condiviso di doverose egioiose celebr/azioni: disseminate, come

DONATELLA TROTTA

COMUNICATORI SOCIALIIN CAMMINOTRA MEMORIAE PROFEZIA

Piccolo viaggionell’Italia che ha celebratol’anniversario dell’associazione

I 60 ANNI DELL’UCSI

1 Discorso per l’incontro con i rappresen-tanti del V Convegno nazionale della Chiesa ita-liana (10 novembre 2015, Firenze).

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vedremo, in tutte le regioni e in varie cittàitaliane dell’Unione. Ciascuna di esse, avario titolo, operosa realtà territoriale au-tonoma nel proprio impegno (comuni-cativo, ecclesiale, sociale), ma anche“membra” le une delle altre, nella loro di-versità che è mosaico dei tanti volti diun’Italia diseguale e necessariamente de-clinata, da Nord al Centro al Sud, al plu-rale: proprio – e forse non a caso – comenel messaggio di papa Francesco per la53esima Giornata mondiale delle Comu-nicazioni sociali 2019 («Siamo membragli uni degli altri (Ef 4,25). Dalle socialnetwork communities alla comunitàumana»), che già dal titolo ci interpellaradicalmente.

RADICI E FRUTTI

Così come continua a stimolarci e arisuonare in profondità, in questo sessan-tesimo e anche oltre, il messaggio che ilSanto Padre ci ha donato nell’udienzaprivata concessa all’Ucsi con le sue dele-gazioni regionali raccolte, il 23 settembre2019 (vedi p. 7). Ed è proprio con l’atti-tudine di amicizia sociale e costruzione dicomunità, richiamata nel messaggio, chevorrei affrontare un piccolo e veloce viag-gio nell’Italia poliedrica dell’Ucsi: unasintetica ricognizione senza pretese diesaustività, ma che aspira a ripercorreresu “Desk” – il nostro strumento di dia-logo, approfondimento, coesione sociale,ricerc/azione e ponte tra diverse spondedi pensiero e buone prassi – alcuni mo-menti e temi salienti delle più significa-tive iniziative messe in campo dalle

regioni per i primi 60 anni di cammino.Tra distopie ed eutopie, radici e ali, me-moria e profezia.

LA «GIUSTA LAICITÀ»

(SAN GIOVANNI PAOLO II)

Scorrendo a volo d’uccello il pano-rama della mobilitazione nazionale dellerealtà associative territoriali per il primosessantesimo dell’Ucsi, risaltano a unprimo sguardo alcune costanti, lungo leprincipali direttrici di intervento del-l’Unione (formazione, professione, deon-tologia e info-etica, aggregazione socialee conviviale, promozione e approfondi-mento culturale e spirituale, impegno ci-vile e comunicativo sulle emergenzedell’attualità).

La prima è l’apertura al confronto, inuna prospettiva che San Giovanni PaoloII ebbe a definire di «giusta laicità»: ossiail «rispetto di tutte le fedi da parte dellostato che assicura il libero esercizio delleattività cultuali, spirituali, culturali e ca-ritative delle diverse comunità», comedisse Wojtyla nel 2004 agli ambasciatoriaccreditati presso la Santa Sede. “Laicitàdi confronto”, avrebbe aggiunto il filo-sofo Paul Ricœur, particolarmente signi-ficativa per le odierne sfide di una societàpluralista, sferzata da venti antagonisticie divisivi di un contraddittorio “nuovoordine libertario” incline al laicismo in-tollerante, relativista, indifferentista o ad-dirittura, in molte strumentalizzazioni dinatura politica, propenso ad un “ateismodevoto” o ateismo clericale, affatto alienoa quella via kenotica inscritta nella forza

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profetica e nella memoria eversiva delVangelo, che il priore di Bose Enzo Bian-chi connota come la feconda differenzacristiana.

Rientra sotto questo aspetto la capa-cità di fare rete non solo con le diocesi lo-cali, ma anche con altre realtà,istituzionali, culturali e associazionistiche(università, amministrazioni pubbliche,Facoltà teologiche, Terzo settore, Ordinedei giornalisti, Fnsi, eccetera) per allar-gare ulteriormente lo sguardo su un oriz-zonte dal vicino al lontano. Come èavvenuto, ad esempio, con l’UcsiAbruzzo, che in questo importante annodi transizione ha puntato su ecumeni-smo, Europa e scuola. Declinando il suoimpegno in tre ambiti fondamentali:l’apertura alle altre religioni, attraverso lapromozione a Betlemme – su impulso dimonsignor Bruno Forte, Arcivescovo diChieti-Vasto e Consultore della Com-missione dei rapporti con l’Ebraismo –dell’Associazione internazionale deiMedia credenti della Terra Santa, per po-tenziare il dialogo tra comunicatori delletre grandi religioni monoteiste; la rifles-sione, a Francavilla al Mare, sul «Futurodell’Europa nella memoria delle sue ra-dici» nell’ottica di una “Patria europea”che non neghi, con un centralismo buro-cratico, il patrimonio di diverse identitàe civiltà del Vecchio Continente; e un im-pegno continuativo sul controverso temadella legalità e della giustizia (non a casoal centro di uno dei numeri monograficidi “Desk”) realizzato, con il contributo diMaria Falcone, sorella del giudice assas-sinato dalla mafia, nelle scuole, nelle uni-

versità e nelle carceri per fomentare spe-ranza «oltre le sbarre».

DENTRO E FUORI,

COLTIVARE SPERANZA

Una seconda costante della mobili-tazione italiana per i sessant’anni dell’Ucsi– in linea con le indicazioni nazionali disviluppare nei territori gli spunti offertidai numeri monografici della nostra rivi-sta – è stata l’ispirazione di progetti socialiscaturiti dalla rivisitazione originale di al-cuni argomenti proposti da “Desk”: la-voro, migrazioni, città, fake news e post-verità nel giornalismo, giustizia... Suquest’ultimo tema anch’esso legato, inparticolare, alla “invisibile” realtà carce-raria, l’Ucsi Molise ha ad esempio rea-lizzato un progetto-pilota, «Liberi nel-l’arte», “gocce di prossimità”, nato conl’intento di istituire borse lavoro e borsedi studio finalizzate al reinserimento so-ciale e culturale dei detenuti, rivolto almondo dei reclusi (con incontri in quat-tro istituti penitenziari del Lazio: Casaldel Marmo, Rebibbia, Regina Coeli e Pa-liano) e pensato in continuità con il Si-nodo dei Giovani, per renderli consape-voli «messaggeri», attraverso il dialogo, lamusica e l’arte, di bellezza come antidotoall’esclusione. In questa scia anche un’altrarilevante iniziativa molisana, sempre ri-volta ai giovani e non solo, al di là degliincontri di formazione organizzati (comein altre regioni) con crediti formativi:«Fare rete con il creato», che a Termoliha visto la partecipazione (con don Raf-faele Grimaldi, ispettore generale cappel-

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lani delle carceri e una pluralità di sog-getti) di monsignor Dario Edoardo Vi-ganò, già prefetto per il Dicastero dellaComunicazione vaticana, vice-cancellieredella Pontificia Accademia delle Scienzee delle Scienze Sociali, che ha inoltre pre-sentato in un successivo incontro nel Tea-tro Tosti di Ortona il suo libro “Il cinemadei Papi. Documenti inediti dalla filmo-teca vaticana” (Marietti).

DALLA RETE “SOCIAL”

ALLE RETI SOCIALI

Interdipendenza (che il vescovo De-smond Tutu e Nelson Mandela conno-tano con il termine/ideologia dell’Africasub-sahariana ubuntu, ovvero “io sonoperché noi siamo”) è poi una terza – enon scontata – parola chiave del viaggionell’Italia dell’Ucsi, secondo il dettatopaolino posto in esergo di questo con-tributo. Ne possono essere testimonianzasignificativa alcuni esperimenti interre-gionali portati avanti proprio in occa-sione del sessantesimo anno di vita del-l’Unione, come sforzo encomiabile percostruire comunità ben oltre la tenta-zione della chiusa (e sterile) autoreferen-zialità, con visioni più ampie e sorretteda un respiro più lungo di quello circo-scritto all’affanno del presente, nel con-testo del nostro mestiere di “storiografidell’istante” e in un paesaggio non sol-tanto mediatico in continua e rapida evo-luzione. Partiamo dal Triveneto, patriadel compianto amico vaticanista e scrit-tore Giancarlo Zizola, anima culturale eprofetica – al quale è non a caso intitolata

l’annuale Scuola di formazione Ucsi –dove si sta sperimentando una condivi-sione pilota (tra Friuli Venezia Giulia,Trentino Alto Adige e Veneto) che in-tende fare rete lavorando in modo piùunitario ed «evitando particolarismi e vi-sioni limitate, ottimizzando le risorse edando così seguito al monito di PapaFrancesco nell’udienza con l’Ucsi».

Un modo, anche, per corroborarel’identità delle specifiche realtà territo-riali con una maggiore capillarità extra-localistica: come avviene quest’annoall’Ucsi Veneto, con la celebrazione diun doppio anniversario: la 25esima edi-zione dello storico Premio Natale Ucsi,organizzato per tradizione da Ucsi Ve-rona e Ucsi Veneto, coincidente con ilsessantennale dell’Unione, e con il con-sueto incontro per il patrono dei giorna-listi San Francesco di Sales a Vicenza, mastavolta nella chiave più estesa dell’UcsiTriveneto.

Grande attivismo anche da partedell’Ucsi Friuli Venezia Giulia, che hascelto di puntare per i festeggiamenti suuna riflessione (presso la Sala della Torredella Fondazione Carigo di Gorizia) sulmessaggio pontificio per la 53esimaGiornata Mondiale delle Comunicazionisociali, con un incontro intitolato «Dallacommunity alla comunità: la deontologiae la cooperazione giornalistica a tuteladella professione e della democrazia», conla partecipazione tra gli altri di monsi-gnor Carlo Roberto Maria Redaelli, arci-vescovo di Gorizia, dei vertici Ucsinazionale e di Fabiana Martini, coordi-natrice di Articolo 21 Fvg.

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Anche l’Ucsi Trentino Alto Adige,al di là delle attività ordinarie, ha sceltoper il sessantennale di mettere a fuoco ladifesa della professione e la promozionedi una informazione rispettosa della per-sona attraverso due momenti significativi:un corso di aggiornamento (sul tema:«Dalla community alla comunità umana»)con don Ivan Maffeis (portavoce e sotto-segretario della Cei), Giuseppe Giulietti(presidente Fnsi), il giurista Giovanni Pa-scuzzi e Mauro Berti (scrittore ed espertoin rischi e risorse di internet e cyberbul-lismo), e un ulteriore incontro su «La sal-vaguardia dell’editoria minore fra inno-vazione e sostenibilità», di grande attualitàin tempi di crisi della stampa quotidianae periodica, con un calo esponenziale (se-condo dati Fieg) di copie vendute e di ri-cavi pubblicitari, con inevitabili conse-guenze sul fronte occupazionale e delladeontologia: confronto a tutto tondo congiornalisti di numerose testate del Trive-neto, molti direttori e redattori di giornalidiocesani (particolarmente minacciati daltaglio alle sovvenzioni statali), vertici na-zionali e presidenti regionali Ucsi del Tri-veneto, rappresentanti dell’Ordine e delSindacato delle tre regioni accanto a spe-cialisti, docenti e vescovi come monsignorLuigi Bressan, arcivescovo emerito diTrento.

LÀ DOVE TUTTO EBBE INIZIO

Memoria per il futuro: ecco un altrofilo rosso che lega l’attivismo delle regioniin questa occasione. Come è noto, l’Ucsinacque ufficialmente con l’Assemblea co-

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stitutiva del 3 maggio 1959 a Roma, aitempi di papa Giovanni XXIII, in seguitoal lavoro preparatorio e alle intuizionicondivise da un gruppo di uomini di cul-tura e di giornalisti credenti emiliano-ro-magnoli che facevano capo a RaimondoManzini, direttore dell’“Avvenire d’Italia”di Bologna e primo presidente nazionaledell’Unione che radunava inizialmente200 giornalisti cattolici. Anche per ono-rare questo primato la già operosa UcsiEmilia Romagna ha intensificato le sueiniziative lungo tutto l’anno. Tra le più si-gnificative, oltre a due pellegrinaggi(quello decennale estivo al santuario dellaBeata Vergine della Consolazione diMontovolo, il cosiddetto “Sinai bolo-gnese”, con un incontro con lo scultoreLuigi Mattei, e un altro, che si conta diripetere ogni anno, dal santuario di SanLuca alle lapidi poste nel portico omo-nimo in memoria di Odoardo Focherininel 75esimo anno dalla scomparsa e deigiornalisti dell’“Avvenire” d’Italia mortinella Seconda guerra mondiale), anchedue importanti convegni. Incontri utiliad approfondire il tema della memoria eil ruolo dell’informazione in una chiavecritica, preziosa per inquadrare il clima diodio risorgente esemplificato da quantoincredibilmente accaduto, ad esempio,alla senatrice Liliana Segre.

Il primo incontro è stato a Predap-pio (Forlì-Cesena), con il titolo «Gli ita-liani e l’antisemitismo. Il ruolo dell’in-formazione nella propaganda razzista eantisemita»; il secondo a Bologna, con-cepito nello specifico sul tema del sessan-tennale, affrontato declinando «L’Ucsi tra

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passato e futuro della comunicazione».Quest’ultimo seminario – inserito neicorsi formativi dell’Ordine con rilasciodi crediti – ha visto gli interventi di Ro-berto Zalambani e Giampaolo Venturisulla storia del giornalismo cattolico inregione, accanto alla testimonianza di Ser-gio Fantini, iscritto all’associazione findal 1959, per concludersi con una ses-sione dedicata ad alcune prospettive d’at-tualità sul ruolo dell’influencer nell’attualemediascape con le relazioni, tra gli altri,di don Mauro Leonardi, sacerdote e blog-ger e di Luigi Rancilio, social media ma-nager di “Avvenire”, alla presenza dei ver-tici nazionali Ucsi. Dal passato al futuro,l’evento ha così ragionato sul tema degliinfluencer anche in àmbito cattolico,come testimonia il focus di Guido Mo-cellin (vedi p. 84), per approfondire lospunto del convegno.

Anche l’Ucsi Sardegna, dovel’Unione si radicò pochi giorni dopo lafondazione a Roma nel maggio 1959, haperciò pensato di celebrare il 60esimo an-niversario con un grande evento di appro-fondimento tra passato e futuro, ispiratonon a caso dalle parole di Papa Francesconel suo discorso alle delegazioni regionalie ai vertici nazionali dell’Unione in SalaClementina e organizzato in collabora-zione con l’Ordine dei giornalisti (con ri-lascio di crediti formativi) e la PontificiaFacoltà Teologica della Sardegna, dal ti-tolo: «Un giornalismo capace di distin-guere il bene dal male». Tra i relatori,accanto ai vertici Ucsi regionali e nazio-nali, anche il direttore di “Avvenire”,Marco Tarquinio.

ECONOMIA DELLE RELAZIONI

Nell’Italia a più velocità, le grandiregioni settentrionali hanno messo incampo quest’anno appuntamenti e retiper riflettere, a sessant’anni di distanza,sul ruolo dell’associazione dei giornalisticattolici nell’era della disintermediazionedigitale, e in uno scenario profonda-mente modificato dalla cosiddetta “rivo-luzione digitale”, che ha cambiato sia leabitudini che le modalità di fruizione deicontenuti informativi da parte delle per-sone, sia il modo di produrre informa-zione, sempre più a rischio infopollution(o inquinamento da eccesso di notizie)soprattutto sul web e nei social networks.

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...appuntamenti ereti per riflettere, a ses-sant’anni di distanza,sul ruolo dell’associazionedei giornalisti cattolicinell’era della disinter-mediazione digitale.

«

»L’Ucsi Piemonte, ad esempio, che

da diversi anni collabora per iniziativeformative rivolte ai giornalisti e ai comu-nicatori con il ventennale ciclo di specia-lizzazione in Teologia, Morale, e Socialedella Facoltà Teologica (sezione di Torino),per celebrare il doppio anniversario haorganizzato nell’Aula Magna della Facoltàtorinese una mattinata di studio e rifles-sione su un tema fortemente sentito nel

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contesto economico piemontese: «La nuo-va economia delle relazioni. Esperienze eproposte. Riflessioni alla luce della Dottrinadella Chiesa». Animato dai vertici regionalidell’Ucsi, l’incontro (con rilascio di creditiformativi per i giornalisti) si è avvalsodella relazione di monsignor Mario Toso,vescovo di Faenza-Modigliana, degli in-terventi dell’imprenditrice Luisa Frandinoe del responsabile dei giovani imprenditoriAlberto Lazzaro, con i contributi videodel cardinale Giuseppe Versaldi, dell’im-prenditore Gianfranco Carbonato e daglieconomisti Antonello Monti e MarioCalderini, confermando una collaborazionecollaudata tra Ucsi Piemonte e Ciclo dispecializzazione con il lancio di un nuovocorso di alta formazione sui «Linguaggiper l’infosfera» che prenderà il via a inizio2020.

Anche l’Ucsi Lombardia, che haavviato le celebrazioni per il sessantesimocon il tradizionale appuntamento in gen-naio per San Francesco di Sales con lameditazione dell’Arcivescovo Metropolitadi Milano, monsignor Mario Delpini, hascelto di coniugare momenti di forma-zione con temi di attualità politica e so-ciale: come, in occasione della giornatacontro la tratta, il convegno «Nuovimuri, nuovi schiavi» in cui Marco Val-bruzzi, politologo dell’Università di Bo-logna e direttore dell’Istituto Cattaneo,ha approfondito il tema del muro dellapropaganda (e la Carta di Roma); o comeil convegno «La paura rende folli», incon-tro di studio per conoscere – con PaolaBarretta, coordinatrice dell’AssociazioneCarta di Roma e promotrice di una cor-

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retta informazione sui temi dell’immigra-zione e con l’antropologo FerdinandoFava – dati e strumenti utili a giudicarecon obiettività un fenomeno mondialecome quello dell’immigrazione, scin-dendo il binomio immigrazione/insicu-rezza e mostrando anche le tante storiedove un’integrazione riuscita ha invecegenerato maggiore sicurezza.

Tra le altre iniziative significative,anche gli appuntamenti sui giornali distrada, a partire dalla felice esperienza di“Scarp de’ Tenis”, nata proprio a Milano;convegni su «Sturzo cent’anni dopo,buone ragioni per una nuova politica»,«Umanesimo, religioni e politica altempo del populismo» e «Chiesa, finan-ziamenti e trasparenza». Clou delle cele-brazioni lombarde, in dicembre, ilgrande convegno al Centro culturale An-gelicum su «La libertà di stampa e lenuove sfide della professione nell’era di-gitale alla luce del testo unico dei doveridel giornalista»: accanto ai vertici Ucsi,Alessandro Galimberti, presidente del-l’Odg Lombardia, Pier Cesare Rivoltella,direttore del Centro di Ricerca sull’Edu-cazione ai Media all’Innovazione e allaTecnologia, Anna Pozzi, giornalista di«Mondo e Missione» e Nello Scavo, gior-nalista di «Avvenire».

FORMAZIONE

E CONDIVISIONE

Un’altra vivace realtà territoriale èl’Ucsi Toscana, capace da sempre di mo-bilitare e coinvolgere anche molti giovanigrazie a iniziative concrete che coniu-

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gano formazione e professione, spiritua-lità e convivialità con formule agili e di-namiche, attente alle sollecitazioni dellacronaca non soltanto politica, ma ancheagli approfondimenti in incontri di stu-dio e confronto. Rientrano in questa ot-tica di servizio tre appuntamentiorganizzati con crediti riconosciutidall’Ordine dei giornalisti della Toscana:il corso «Saper ascoltare le nostre città»(alla Gonzaga University di Firenze); laseconda edizione del corso «L’etica del-l’informazione economica», in collabo-razione con la Fondazione Istitutointernazionale di Storia economica“Francesco Datini” (che richiama a Pratoesperti, studiosi universitari e storici datutto il mondo a partire dalla sua costi-tuzione oltre mezzo secolo fa ad opera diFernand Braudel), declinata quest’annosul tema «Come raccontare la moda» nelprestigioso convento di San Niccolò aPrato, distretto tessile fra i più grandid’Europa; e, infine, la settima edizionedi «Nuove Reti, Rinnovate Professioni»,la Scuola di formazione residenziale pergiornalisti a Quercianella, che si è inter-rogata su «Le periferie della comunica-zione digitale».

Non solo. Se l’immancabile pelle-grinaggio annuale a Barbiana e allascuola di don Lorenzo Milani si è artico-lato quest’anno in un doppio appunta-mento (a San Donato in Calenzano e aBarbiana) tra i “ragazzi” di don Milani indialogo con Mario Capanna sul rapportotra il Priore e il ’68 – ispirato dalla letturadel libro di Capanna “Noi tutti” – i 60anni dell’Ucsi sono stati festeggiati sulle

colline di Pistoia, nell’ex convento diGiaccherino, con una serata molto spe-ciale: tra ricordi e sguardi al futuro con ipast president della Toscana, soci e tantiospiti che hanno colto l’occasione per ri-flettere sul senso della professione sem-pre più complessa e sempre più a rischio,nell’esercizio della libertà di espressione.Basti pensare che – secondo dati diffusidall’Osservatorio congiunto dell’Ordinedei giornalisti e della FNSI – tra il 2006e il 2018 sono stati oltre 3.700 i giorna-listi vittime in Italia di gravi episodi diintimidazione e altro, al punto che è au-mentato il numero di quelli sotto scorta.Non a caso l’evento si è chiuso con unospettacolo dedicato ad Ilaria Alpi, trattodal testo di Stefano Massini “Lo schifo”e allestito da una compagnia di giovanis-sime studentesse di Prato, la compagniaAlBeLuMaRe diretta dalla professoressaRosaria Bux.

Due invece gli appuntamenti sa-lienti promossi per il calendario del ses-santesimo da Ucsi Marche, nel segno diuna condivisione di temi attuali affron-tati con un supplemento d’anima: il con-vegno a Borgo Lanciano di Castelrai-mondo (Macerata), in collaborazione conl’Università e l’arcidiocesi di Camerino,sul tema «Informazione e comunicazionedurante e dopo le grandi calamità» (conla partecipazione, tra gli altri, del rettoredell’Unicam Claudio Pettinari, della gior-nalista Chiara Paduano di RaiNews24,di Mario Staffolani, direttore di RadioC1– la radio della diocesi camerte – e delpoeta Franco Arminio); e un incontro aMacerata ispirato da una frase del di-

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scorso di Papa Francesco all’udienza conl’Ucsi: «La comunicazione ha bisogno diparole vere», con una comunicazione su«Essere giornalisti oggi nelle Marche» diPiergiorgio Severini, giornalista Rai e se-gretario del Sigim, e una relazione dimonsignor Dario Edoardo Viganò ispi-rata da un’altra sollecitazione del Papa:«Giornalisti liberi di fronte all’audience».

GIORNALISMO E DEMOCRAZIA

PER LA PACE

Da tredici anni è la regione cheospita, a Perugia, il Festival internazionaledel giornalismo: un appuntamento irri-nunciabile per gli addetti ai lavori, e nonsolo, dove quest’anno l’Ucsi Umbria, incollaborazione con la Commissione re-gionale per le comunicazioni sociali e ilsettimanale «La Voce», ha analizzato iltema lanciato da Papa Francesco per la53esima Giornata mondiale delle comu-nicazioni sociali (affidato tra gli altri apadre Enzo Fortunato, direttore della ri-vista «San Francesco Patrono d’Italia» e amonsignor Paolo Giulietti, Arcivescovodi Lucca), dopo aver riflettuto, in unaltro convegno con crediti formativi peri giornalisti promosso con la Cdal (Con-sulta Diocesana delle Aggregazioni Lai-cali) al Centro Mater Gratiae di Perugia,sui rapporti tra giornalismo e democraziacon il contributo del gesuita e scrittore di“Civiltà Cattolica” padre Francesco Oc-chetta, consulente ecclesiastico nazionaledell’Unione, e di Gianfranco Ricci, pre-sidente della Commissione giuridica na-zionale dell’Ordine dei giornalisti.

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Confronto riverberato anche in un altroincontro molto partecipato, quello aMontemorcino (Perugia) che l’Ucsi haorganizzato con l’Ufficio Diocesano perle Comunicazioni sociali di Perugia, d’in-tesa con l’Ordine dei giornalisti umbri.

Ma la regione è anche la culla, adAssisi, di una spiritualità francescana ca-pace di irradiare echi e suggestioni fin nel

Quasi un ritornoalle origini di un Van-gelo sine glossa in cui iltermine “pace” diventaallora un’altra parolachiave di questo piccoloviaggio nell’Italia Ucsi.

«

»presente: come dimostra il radicamentoannuale della Scuola residenziale di for-mazione per giornalisti “Giancarlo Zi-zola” nella Cittadella sede della storica eaccogliente Pro Civitate Christiana.Quasi un ritorno alle origini di un Van-gelo sine glossa in cui il termine non ge-nerico, ma progettuale “pace” diventaallora un’altra parola chiave di questo pic-colo viaggio nell’Italia Ucsi: e lo può di-mostrare pure la piena adesione dellanostra associazione, laica ed ecclesiale,alla Carta di Assisi, manifesto contro imuri mediatici, rilanciata nell’ottobre2018 proprio nella città umbra nell’am-bito del seminario «Le parole non sonopietre» (promosso da Articolo 21 e SacroConvento di Assisi con Fnsi, Usigrai, Or-

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dine dei Giornalisti e Tavola della Pace)come un prezioso decalogo per l’uso re-sponsabile del linguaggio da parte di gior-nalisti e comunicatori ai tempi delle fakenews e degli hate speech.

Non solo: in occasione del nostrosessantennale, nella città del Santo non acaso patrono d’Italia, si è celebrato ancheun ulteriore rito con ricadute concrete:la firma di un protocollo d’intesa tra Ucsie Comune di Assisi, guidato da StefaniaProietti, ingegnere ambientalista, sposatae madre di due figli la cui sensibilità versoi valori della pace, della giustizia e dellasalvaguardia del creato ha consentito cosìdi suggellare l’apertura ad Assisi di unanuova “casa” nazionale e regionale del-l’Unione, in una sala concessa dall’am-ministrazione a titolo gratuito nel cen-tralissimo Palazzo comunale, non lontanodalla casa di San Francesco.

SEGNI DEI TEMPI

E CREATIVITÀ PLURALISTA

Da Assisi a Roma, cuore dellaChiesa e dell’Ucsi, ecco che le celebra-zioni per un anniversario rilevante comequello dei 60 anni rivisitano in modo ori-ginale una ispirazione iniziale declinatacon il giusto discernimento dei segni(spesso opachi) dei tempi, che richiedonol’assunzione di responsabilità storica diogni credente con una “obbedienza crea-tiva” al Vangelo eterno, per evitare le trap-pole di quella che Ratzinger chiamavauna pericolosa «ideologizzazione dellafede» inevitabilmente generata da una«teologizzazione della politica». Così,

l’Ucsi Lazio ha pensato di mettere incampo (tra le tante più tradizionali, con-suete e “istituzionali”) un’iniziativa di-versa, nuova e coinvolgente, proprio perdimostrare la vitalità dell’idea iniziale cheinformò il progetto dei fondatori: rendereviva e palpitante la presenza, la professio-nalità, le idee e i valori di chi nell’ambitodell’informazione intendeva valorizzare lapropria fede e la propria visione delmondo, entrando in dialogo con tutte leculture e le sensibilità in una dimensioneplurale del mestiere.

Sono nati così gli AperiUcsi (come,in Sicilia e altre regioni Ucsi, hanno fun-zionato gli AperiDesk, utili a disseminaredibattiti con la diffusione della nostra ri-vista di cultura della comunicazione): in-contri con i protagonisti dell’informa-zione e della cultura, realizzati incollaborazione con l’Università Lumsa diRoma, dove si è in qualche modo ribaltatala logica del “convegno” tradizionale. An-che sul piano logistico (e simbolico): ilpersonaggio invitato è infatti posto al cen-tro della sala e tutt’intorno studenti, uni-versitari ma anche giornalisti e professio-nisti gli rivolgono domande, fino aformare una coralità di voci che condivi-dono lo spazio di un’ora serrata e coin-volgente. A inaugurare la serie, il direttoredell’“Osservatore Romano” AndreaMonda, seguito dalla scrittrice Nadia Ter-ranova, finalista all’ultimo premio Stregae apprezzata narratrice (per adulti e perragazzi) che collabora anche con diversetestate giornalistiche. «Entrambi, porta-tori di parole, concetti e atteggiamentiche si sposano in pieno con l’idea di una

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cultura autentica, ovvero umana, capacedi interrogare il mistero dell’esistenza cheè poi il compito – secondo i vertici re-gionali del Lazio – di chiunque abiti que-sta terra e provi a raccontarne lo spicchiodove gli è toccato in sorte di vivere».

Non a caso Paolo VI riteneva, pro-feticamente, che «la rottura tra Vangelo ecultura» sia senza dubbio «il dramma dellanostra epoca, come lo fu anche di altre»(così scrisse Montini nell’Evangelii Nun-tiandi del 1975, che ispira con forza, oggi,anche l’antropologia di Papa Francesco).

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non profit, che abbiamo pubblicato nelsito www.ucsi.it) Documenti non astrattio meramente teorici, ma incarnati in unagire consapevole e condiviso. La Cartadi Rieti è stata approfondita e discussa inun seminario “Comunicare l’emergenzain maniera responsabile”, con creditidell’ordine dei giornalisti, che si svoltoproprio ad Amatrice, al centro del terre-moto del 2016.

SUD ED EMPATIA

Nel Mezzogiorno, specchio dell’Ita-lia come mantello di Arlecchino nellaestrema eterogeneità delle sue aree in-terne, costiere, insulari connotate da unasorta di duplicità “mittel-mediterranea”,l’Unione riflette un impegno declinatosulle esigenze specifiche dei singoli terri-tori. Va in questa direzione, ad esempio.L’iniziativa sinora inedita dell’Ucsi Cam-pania di mettere a punto, nell’anno delsessantennale, una rete di collaboratoriche operano nelle venticinque diocesidella regione per promuovere in ognuna,d’intesa con l’Ucsi regionale, iniziative le-gate al mondo della comunicazione.Obiettivo: contribuire a valorizzare, ap-profondire e sostenere fondamentali va-lori che animano il nostro mondospirituale, culturale, etico; attraverso leiniziative programmate sul piano locale,provinciale e regionale è infatti possibilediscernere e declinare i variegati temidella comunicazione secondo i mezzi piùcongeniali: giornale diocesano, web, tv,radio, sito internet, pagina facebook,piattaforme social.

Obiettivo: contri-buire a valorizzare, ap-profondire e sostenerefondamentali valori cheanimano il nostro mon-do spirituale, culturale,etico.

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»E quando la comunicazione matura di-venta (cor)responsabile di ciò che accadee si interroga su come raccontare la com-plessità della realtà senza scorciatoie, pi-grizie intellettuali, banalizzazioni da slo-gan o, peggio, “pornografia del dolore”,ecco allora che nascono esperienze comela Carta di Rieti, a tutela di una infor-mazione corretta e rispettosa in caso didisastri e situazioni di crisi (la sua genesiè raccontata nel contributo di StefanoMartello, giornalista e coautore dellaCarta di Rieti, e di Giulia Pigliucci, co-municatrice e referente della Carta per il

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Va in questa direzione di dissemina-zione di valori e di esperienze anche ilfitto calendario di incontri formativi egratuiti per giornalisti, con il rilascio dicrediti, promosso a Napoli e nelle altreprovince dall’Ucsi campana in collabora-zione con l’Ordine dei giornalisti regio-nale, con la partecipazione tra gli altri diautorevoli relatori della Rai, del “Corrieredella Sera”, di “Avvenire” e dei vertici na-zionali di Ucsi e Ordine dei giornalisti.Tra i temi affrontati, nello specifico: «Li-bertà e responsabilità nell’informazione»,«La comunicazione di Papa Francesco»,«Il terzo settore nella deontologia dell’in-formazione», «Etica e informazione», allapresenza del cardinale Crescenzio Sepe,Arcivescovo di Napoli, e con i contributidel consulente ecclesiastico dell’UcsiCampania don Tonino Palmese, vicarioepiscopale del settore Carità e Giustiziadella diocesi di Napoli, presidente ono-rario della Fisc e referente di “Libera” perla Campania, pedagogista, teologo e sag-gista da sempre impegnato nella lottacontro le mafie e a favore delle famiglievittime innocenti della camorra, argo-menti sui quali ha pubblicato diversilibri, che ispirano azioni positive e buoneprassi in molte aree di particolare fragilitàsociale, segnate fondamentalmente dauna povertà educativa, che è madre ditutte le povertà, non soltanto economi-che ma morali, culturali, sociali.

Anche l’Ucsi Calabria, propriopensando al futuro, ha puntato que-st’anno su iniziative di formazione pergiovani giornalisti, dentro la direttrice,dichiarata dai suoi vertici regionali, «del

servizio di ascolto/annuncio articolato inun percorso con appuntamenti fissi ri-volto a giovani e ad adulti, con una par-ticolare attenzione: creare reti di pensieroe connessioni di “viralità” positiva». Il ca-lendario è partito a inizio anno con un“corso sulla parola”, in chiave pratico-educativa con un focus sul senso del dia-logo, organizzato in collaborazione con ilLaboratorio di Educazione permanentedella Università Mediterranea di ReggioCalabria. Accanto a questo, anche unpercorso sulla spiritualità del patrono deigiornalisti, San Francesco di Sales, direttodalle claustrali del monastero della Visi-tazione che ogni primo sabato del meseha attivato una riflessione sulla vita nellospirito, secondo l’esortazione paolina«Siate cittadini degni del vangelo» (Fil1,27).

DALLA “TERRA DELL’OSSO”

AL MEDITERRANEO

A risentire dei disagi dettati da unasorta di marginalità geografica, connotatain molti illuminati interventi di ManlioRossi Doria come “la terra dell’osso”, èuna piccola regione, la Basilicata, che hatuttavia avuto il grande onore, proprionel 2019, anno del sessantennale Ucsi, diun ambìto titolo di risonanza internazio-nale, assegnato a Matera (forse non a casosede anche, nel 2016, del Congresso cheha portato per la prima volta ai vertici na-zionali due donne, con una piccola “rivo-luzione in rosa”) come «capitale europeadella cultura». In una regione caratteriz-zata da un accentuato crollo demografico,

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dove la crisi nazionale dell’editoria si ri-verbera nel dato per il quale nel 50%circa dei Comuni lucani i quotidiani nonarrivano perché i pochi giornali vendutinon compensano le spese postali, l’UcsiBasilicata ha perciò scelto di ripartire daibambini, ponendo particolare attenzionealle loro condizioni, e al ruolo degli adultimediatori, con incontri come quello ispi-rato dal “caso” di Donatella Ungaro(donna che in 15 anni ha adottato, purlavorando, ben tre bambini con diversaabilità) e organizzato, in collaborazionecon l’Università della Basilicata a Potenza,con la partecipazione della Rettrice Au-relia Sole, cosentina, ingegnere civile eprima donna alla guida dell’ateneo lu-cano. Significativa poi, per le ricadutesulla fragilità di una classe politica e diri-gente locale, anche la presentazione – inpiazza, con dibattito pubblico in collabo-razione con altre associazioni culturali delterritorio – del volume di padre France-sco Occhetta, consulente ecclesiastico na-zionale Ucsi, giornalista e apprezzatoscrittore della “Civiltà Cattolica”, dal ti-tolo “Ricostruiamo la politica”. Orien-tarsi nel tempo dei populismi (San Paoloedizioni).

Un’operosità vulcanica attenta alleradici identitarie e a un impegno civilenel sociale e nella cultura, proiettata perònelle prospettive e innovazioni del futuro,incarnate dai giovani e dai new media, hacaratterizzato le molteplici iniziativemesse in campo dall’Ucsi Sicilia con unrespiro glocal, ossia globale e locale, radi-cato nei territori, ma con uno sguardooltre l’orizzonte dell’isola circondata dal

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mare: in un costante confronto tra unapluralità di soggetti (istituzionali, laici,del Terzo settore ed ecclesiali) che ha ge-nerato anche l’attuazione di convenzioni(con la Fondazione Federico II di Pa-lermo, il Centro linguistico dell’Univer-sità di Messina, Unitelma della Sapienzadi Roma) e partenariati (come quello peril Master dell’Università di Messina in“Civiltà e turismo religioso nel Sud Ita-lia”, con 50 ore di lezione e attività di co-municazione).

E se il messaggio della 53esima Gior-nata mondiale delle comunicazioni socialiè stato al centro di numerosi incontri diapprofondimento e formazione con rila-scio di crediti variamente declinati (a Tra-pani, Siracusa, Palermo), con la parteci-pazione di autorevoli relatori e religiosi(tra i quali monsignor Corrado Lorefice,Arcivescovo di Palermo e don FortunatoDi Noto, fondatore dell’associazione Me-ter), accanto a tre corsi di formazione su«Comunicare i beni culturali architetto-nici e le tradizioni popolari in Sicilia» (adAlì, Messina, in sinergia con la Fonda-zione Federico II), anche l’annoso temadella violenza – che spesso sfocia in san-guinosi ginecidi – è stato al centro di unimportante corso di formazione profes-sionale continua dei giornalisti, invitati aconfrontarsi sul problema della spettaco-larizzazione della violenza e l’applicazionedelle carte deontologiche (a Siracusa, coninterventi tra gli altri dello storico e gior-nalista Ernesto Preziosi, direttore dellapromozione istituzionale dell’UniversitàCattolica di Milano e degli avvocati MariaElisa Aloisi e Francesco Strano). Ma

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l’evento clou, in Sicilia, per celebrare i 60anni di fondazione dell’Ucsi è stato il 26marzo a Palermo, nella Sala Mattarelladel prestigioso Palazzo Reale dei Nor-manni, con un convegno formativo (concrediti per giornalisti, ma aperto anchealla città con una folta delegazione di stu-denti del Liceo palermitano Garibaldi),che proprio sul tema di “Desk” «Raccon-tare la città» ha stimolato un ampio epartecipato dibattito, con testimonianzeautorevoli, tra gli altri, dei vertici nazio-nali Ucsi, consiglieri regionali dell’OdG,esponenti dell’Assostampa Sicilia, autoritàistituzionali civili, militari e religiose.

MARE NOSTRUM

O MARE MONSTRUM?

OLTRE GLI STEREOTIPI

Una felice coincidenza ha infineispirato le celebrazioni realizzate dall’UcsiPuglia, che pur mantenendo gli impegnitradizionali (come il consolidato ForumBambini e Mass Media, giunto ormai allaIV edizione, o gli incontri formativi comequello con don Ivan Maffeis in occasionedi San Francesco di Sales, o le iniziativedel Circolo delle Comunicazioni SocialiVito Maurogiovanni e del Centro di Cul-tura Biblica Bereshit, o il concerto estivo“Per la Pace”, eseguito dall’ensemble delmaestro Giovanni Tamborino), ha pun-tato per il suo evento-vetrina a un grandeconvegno di due giorni, dal titolo «Me-diterraneo: segno e strumento d’incontrotra i popoli», che si è svolto in settembrenel padiglione 181 della Fiera del Le-vante, la cui animazione è stata affidata

dall’Ente Fiera, per il secondo anno con-secutivo, congiuntamente all’Ucsi Pugliae all’Arcidiocesi di Bari e Bitonto. Unmomento alto di riflessione e confrontotra storia e attualità per una ricorrenza –l’anniversario dei 60 anni dell’Ucsi – alcentro di due eventi significativi, chepapa Francesco ha voluto si svolgesseroproprio a Bari: la preghiera per la Pacecon i Patriarchi e i Capi delle Chiese delMedio Oriente del 7 luglio 2018 e l’in-contro con i Vescovi del Mediterraneo delfebbraio 2020. Ma un evento, anche,segno di quelle “affinità elettive” interre-gionali, che in questo caso legano la Pu-glia alla Campania, condividendo visionie testimonianze. Non a caso, ad aprire ladue giorni di incontri a Bari è stataun’ampia relazione di Sergio Tanzarella,ordinario della Facoltà Teologica dell’Ita-lia Meridionale di Napoli, che il 21 giu-gno scorso organizzò il convegno sullateologia dopo la Veritatis Gaudium nelcontesto del Mediterraneo, alla presenzadi papa Francesco2.

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2 Una sintesi del suo intervento si trova apag. 101.

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giornalisti che pur sono convinti che «fareinformazione è esercizio di un potere, èvero, ma è anche esercizio di un dovere: èun servizio, quello che facciamo. Farlo se-riamente, significa rendere una comunitàcapace di capire il tempo che vive. Giàquesto – il fatto che ci siano persone con-sapevoli, informate – cambia il mondo»,come dice il direttore di “Avvenire”Marco Tarquinio. Con lui, con Vin-cenzo Morgante, direttore di TV2000, econ Amerigo Vecchiarelli, direttore delSir, abbiamo provato a “entrare dentro” leparole del Papa e a capire come possonocambiare il lavoro giornalistico, se presesul serio.

COSA NON FUNZIONA

NEI CRITERI DI NOTIZIABILITÀ

È abbastanza evidente che i criteri dinotiziabilità, normalmente adottati nel-

on abbiate paura di ro-vesciare l’ordine delle no-tizie, per dar voce a chi

non ce l’ha; di raccontare le “buonenotizie”, che generano amicizia sociale:non di raccontare favole, ma buone notiziereali; di costruire comunità di pensiero edi vita capaci di leggere i segni dei tempi».Questo passaggio del messaggio di Fran-cesco ai giornalisti dell’Ucsi rimette in di-scussione i modi più diffusi di costruireinformazione, fondati su quei “criteri dinotiziabilità”, che si insegnano in formagenerale agli studenti nelle facoltà diScienze della Comunicazione, e in forma“personalizzata” in base alla testata, alprogetto editoriale e all’editore, ai giovaniche mettono piede in redazione.

Proprio per questo, sono però paroledifficili da applicare nelle routine attra-verso le quali giorno per giorno si costrui-sce l’informazione; difficili anche per quei

«N

I CRITERI DI NOTIZIABILITÀ

PAOLA SPRINGHETTI

CAMBIA

L’ORDINE DELLE NOTIZIEE CAMBI

IL MONDO

A colloquio conMarco Tarquinio,Vincenzo Morgantee Amerigo Vecchiarelli

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l’informazione italiana, non funzionanose, come ricorda Tarquinio, «da anni iRapporti Demos Unipolis sulla sicurezzasegnalano che nel sistema radiotelevisivoil 50% delle notizie sono ansiogene, men-tre in altri Paesi la percentuale si ferma al9-18%. Un’informazione così costruitaannichilisce, mette in condizione di paurae sospetto e questo spiega alcuni processiche abbiamo sotto gli occhi, come ap-punto la crescita delle paure, la retoricadell’autodifesa, il sospetto verso tutto ciòche è diverso o straniero».

«Quando cominciavamo questo me-stiere», spiega Vincenzo Morgante, «ci ve-niva spiegata che cosa era la notiziabilità,cioè l’attitudine di un evento ad essere tra-sformato in notizia. Che cosa può aiutarciad individuare qual è quell’evento chepuò diventare notizia? e quale notizia puòdiventare? Se il criterio è eminentementee direi esclusivamente commerciale, allorasi segue la moda e il tema della giornata èquello di cui tutti parlano. Probabilmente,però, se hai dichiarato quali sono i valoridi appartenenza della tua testata, e dellatua persona, troverai altri eventi, altre per-sone, altre situazioni che meritano di es-sere raccontate, e magari meritanol’apertura... TG 2000 ha una gerarchiadella notizia diversa da quella di altreemittenti, più importanti e più prestigiosedi noi. Quello che ci caratterizza e ci dif-ferenzia, secondo me, è lo sguardo: qual èlo sguardo con cui tu guardi un esempio,una persona, una situazione?».

Per Vecchiarelli tre sono gli elementiche possono concorrere a scelte diverse:«vengo da quasi trent’anni di formazione

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tarata su un modo di fare informazione,che passa attraverso il cercare di interpre-tare la realtà – tutta la realtà – alla lucedel Vangelo e del magistero della Chiesa,e siccome Dio si è fatto carne e non si èrisparmiato niente della vita umana,niente è fuori da quest’ottica». Quantoai criteri di notiziabilità, dice, «non è fa-cile dire cosa sia a priori giusto e cosa siasbagliato. Ma è chiaro che l’informazioneva tutta in un unico senso: se apri inter-net o i giornali, le home page e le primepagine hanno tutte quante gli stessi ar-gomenti. Possono avere sfaccettature di-verse, ma è difficile trovare un’aperturarealmente diversa. Anche il Papa nonraggiunge quasi mai la prima notizia, ameno che in quel momento le altre no-tizie siano inconsistenti e non ci sia nien-t’altro da masticare. Invece per me,quando parla, il papa fa notizia, perchéparla della vita dell’uomo. Quindi credoche, alla fin fine, sia la formazione a de-terminare la notiziabilità. Notizie chesembrano secondarie possono avere la di-gnità di prima notizia. Ad esempio, l’en-nesimo naufragio a Lampedusa: non neparla più nessuno, se non per mettere inevidenza il problema politico degli sbar-chi, delle Ong, dell’apertura dei porti.Tutto per dare corpo ad un dibattito cheresta, alla fine, sterile, perché dimenticale persone. Quindi, oltre che dalla for-mazione, la notiziabilità è data dall’atten-zione per la persona. E, terzo, dalrischiare, a volte, di essere impopolari,non entrando in un circolo vizioso, cheè quello che, in qualche modo, alla finefa notizia».

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Anche il Papa fa notizia quasi soloquando interviene su qualcosa, che puòessere usato per alimentare il dibattittopolitico. Il Sir cerca di contrastare questatendenza «dandogli voce sempre, e nonusandolo come opportunità, per poter inqualche modo sfruttare la sua persona e lasua parole per essere diffusi un po’ di più»aggiunge Vecchiarelli. «Teniamo contoche, quello che dice, riguarda la personasempre, perché i comportamenti del-l’uomo sono determinati dal nostro atteg-giamento umano e direi anche spirituale.Il papa non fa una predica a Santa Martaper finire sui giornali, ma perché chi loascolta – a Santa Marta a tramite i mezzidi comunicazione – possa riflettere megliosulla propria vita. Il mondo dell’informa-zione si interessa del papa solo quando in-terviene su un tema, che corrispondeanche alla sua attenzione, ma se poi diceche la famiglia tradizionale è l’unica con-cepita secondo Dio, allora non va piùbene. Quando i temi corrispondono alleaspettative del mondo, il Papa assurge avate, quando invece siamo chiamati aconfrontarci con le nostre debolezze e po-vertà, a cambiare vita, allora non ha piùdignità di notizia».

METTERE I POVERI

AL CENTRO DELLA NOTIZIA

L’indicazione di mettere al centrodell’informazione i poveri, il papa l’hadata più volte, in diverse occasioni. E, se-condo Tarquinio, «stare accanto agli ul-timi, ai piccoli, ai deboli, ai poveri èl’unica preferenza concessa a un’informa-

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zione che voglia essere ben fatta, accuratae libera nei confronti del "pensiero do-minante”. Un’informazione che aiuta avedere il bene e il male, il brutto e ilbello, il giusto e l’ingiusto, il falso e ilvero. Con, appunto, un’unica “prefe-renza”, quella per i poveri». Su questo,del resto, “Avvenire” ha impostato 50anni di «battaglie sociali e culturali, dibraccia aperte a ogni persona di buonavolontà, lavorando con la consapevolezzache portare alla luce storie, volti, vicendeumane altrimenti nascoste, cambia ilmondo». Ed è ovvio che questa scelta in-fluenzi lo stile del giornale: «Una lineaeditoriale così ci porta a essere un gior-nale mai aggressivo, ma stimolante e,spesso, scomodamente e quasi inevitabil-mente "fuori dal coro"».

«Mettere al centro i poveri», ag-giunge Morgante, «è uno degli obiettividi TV2000: cercare di illuminare le realtàche altri non illuminano, perché sotto ilprofilo della resa commerciale può nonessere appagante. Io invece sono dell’ideache sia interessante dare voce agli ultimi,raccontarne le storie, porsi domande in-sieme con i telespettatori...». Bisogna peròchiedersi: chi sono gli ultimi oggi? «Pen-siamo a tutta la realtà dei padri separati,alla classe media colpita dalla crisi, a tanterealtà delle periferie non solo urbane, maanche esistenziali...», esemplifica Mor-gante. «Nel palinsesto di TV2000 – nonsolo quell’informazione, ma anche quellodi rete – ci sono programmi che cercanodi dare uno sguardo sulla realtà, ponen-dosi domande concrete sulla differenzatra i primi e gli ultimi. La domenica sta

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andando in onda “Benedetta economia”,che è un tentativo di raccontare un’eco-nomia più giusta e che abbia riferimentietici importanti: si comincia sempre daun brano della Bibbia. Il programma“Buone notizie”, invece, va in giro perl’Italia alla ricerca di storie di donne euomini che sì, vivono l’emarginazione,ma anche che con coraggio si fanno caricodei bisogni degli altri. Queste sono pos-sibilità concrete di invertire la gerarchiadelle notizie».

«È vero», aggiunge Vecchiarelli,«che ci sono tanti tipi di povertà. E c’èanche una povertà che dentro di sé forseha una ricchezza, che noi non riusciamoa vedere. Recentemente Tonino Can-telmi, in una relazione sul problema delfine vita, ha parlato di una esperienzaunica e irripetibile con suo padre, per-sona che non è mai riuscito a incontrareveramente, nel corso della vita, ma cheha riscoperto, anche come padre, dopoche si è ammalato di Alzheimer. A unapersona qualunque interessa sapere se loStato fa politiche a favore delle famiglie,che hanno un problema come questo,ma c’è un tipo di povertà che interessaalla persona, che probabilmente si rendeconto che, quello che ha, è già unagrande ricchezza. E poi c’è la povertà in-tellettuale: guardo ai giovani, ad esem-pio, che hanno a disposizione unaquantità di notizie tale da permettereloro di essere connessi con il mondo, mapoi si fidano di quello che Google scegliecome prima notizia...».

E che dire, a chi obietta che però ipoveri non comperano i giornali e non

contano nelle scelte politiche? «Che percambiare è necessario che vedano le ingiu-stizie quelli che poveri non sono e che coni loro stili di vita rischiano di essere com-plici del sistema ingiusto», risponde Tar-quinio. «Il nostro dovere è informareperché vedano l’ingiustizia». E raccontache «una mattina, alle 9:00, nella stazionedi Milano, ho visto una persona che aveva“Avvenire” squadernato davanti a sé: avevala pelle nera e la borsa accanto. Pochigiorni dopo mi è successa la stessa cosacon una persona di colore in autobus.Sono solo due schegge, ma me le tengocare. Quando pensiamo il giornale,quando scriviamo i pezzi, noi teniamoconto del fatto che, ad esempio, 7.500copie sono diffuse dentro le carceri ita-liane, dove si trovano i più poveri dei po-veri. Insomma, quando scriviamo digiustizia, sappiamo che il detenuto è unnostro lettore, vediamo la persona davantia noi. E poi, sappiamo che la nostra in-formazione viene rubata, mangiucchiata,ripresa, usata… è pane che noi spezziamoe non immaginiamo dove arriverà. Maproprio per questo dobbiamo cucinare unpane buono, non un pane velenoso. Forseè anche per questo che abbiamo retto inun tempo in cui i giornali erano in pic-chiata, facendo un giornalismo diverso daquello degli altri. Credo davvero cheun’informazione per le vittime e per i po-veri porti anche consenso, curiosità, atten-zione».

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UN’INFORMAZIONE BUONA,

MA NON BUONISTA

Il dibattito sulle nuove notizie, esull’opportunità di darle, periodicamentesi riaccende, anche per gli interventi delPapa, ma non solo. Il “Corriere della Sera”ha un inserto che si chiama proprio così,“Buone Notizie”, ma rimane un ghetto:le buone notizie non sono inserite nell’in-formazione “normale”, che non si lasciatoccare, influenzare da esse. Come se fos-sero una scelta “perdente”, che non inte-ressa, non attira, non vende.

Marco Tarquinio, però, sposta ilproblema: «Il mondo è molto più com-plesso e migliore di quanto l’informa-zione racconta normalmente. Se fossedavvero come le prime pagine e i titolidi testa lo descrivono, sarebbe già finito.Invece va avanti, perché c’è gente che siimpegna, e questa gente merita cittadi-nanza mediatica. In ogni notizia, anchela più triste, complicata, brutta è possi-bile trovare un pezzo di una storiabuona, luminosa. C’è sempre qualcunoche ha provato a fermare il male, ha rea-gito, costruendo percorsi alternativi. Suquesto non c’è da fare chiacchiere, ma dadimostrare che si può fare, che si puòraccontare, valorizzare».

E Vecchiarelli non è d’accordo sulfatto che le buone notizie non interessano:«Il buono, il bello, il vero, il giusto toc-cano il cuore dell’uomo, e quando tu liproponi hanno sempre riscontri. Peresempio in internet i video che sono con-centrati di buonismo, di buoni senti-menti, sono tra quelli che hanno più like.

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La gente ha bisogno di cose buone, di sen-tire che c’è qualcuno che non vive se-condo i soliti schemi. Poi, che questo nonsia pagante dal punto di vista dei numeri,delle vendite, può essere, ma si può ri-schiare. E sono convinto che si può tro-vare la buona notizia anche nei fatti piùtragici. C’è sempre una parte che non ve-diamo, ma che cresce, e dobbiamo esserenoi, comunicatori cattolici, a farla venirefuori. Perché dal male può nascere sempreil bene».

È vero che c’è il pericolo di caderenel buonismo, e per questo serve profes-sionalità. «Ho sempre detto ai miei col-leghi», racconta Morgante, «sia quandoero in Rai sia dopo, che l’approccio allabuona notizia deve essere un approccioprofessionale: stai comunque trattandouna notizia, buona o no che sia. In alcunicasi c’è stato il rischio, concreto, di scam-biare la buona notizia con la notizia leg-gera. Il papa più volte ci ha esortato a unacomunicazione costruttiva, evitare i pre-giudizi, rompere il circolo vizioso dell’an-goscia, arginare la spirale della paura,evitare la spettacolarizzazione del dolore.Evitare di concedere al male un ruolo daprotagonista. È possibile illuminare labuona notizia, che è presente nella realtàdi ogni storia e nel volto di ogni persona:è una sfida che richiede professionalità,allenamento, anche una sensibilità parti-colare che, per un giornalista, deve tra-sformarsi in testimonianza. Bisognacercare di raccontare tutta la realtà, che èfatta di luci e di ombre, senza cancellarela drammaticità, quando c’è, ma cer-cando sempre di individuare una chiave

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per superare l’ostacolo. E questo vale so-prattutto per noi, che cerchiamo, ancheda privati, di fare servizio pubblico, per-ché l’informazione è servizio pubblico».

Questo ci riporta al tema dellosguardo da adottare che, spiega Morgante,«è uno sguardo che prova ad essere ad al-tezza d’uomo: io devo tentare di incro-ciare gli occhi dei miei telespettatori,anche nella gerarchia delle notizie, e midevo occupare di temi che interessano aloro, senza avere la presunzione di essereil depositario della verità. Devo intercet-tare anche un bisogno narrativo, un bi-sogno di informazione da parte dei mieitelespettatori, sia nella scelta degli argo-menti, sia nello stile della narrazione. Losguardo è tra persone: non devo mai di-menticare che il mio telespettatore è unapersona in carne ed ossa. Concretamentesignifica che, se parlo di immigrazione,non devo dimenticare che parlo delle per-sone immigrate, come ricorda papa Fran-cesco. La stessa cosa potrei dire quandoparlo della disoccupazione. Se mi occupodell’Ilva e mi fermo al pur necessario con-testo politico, economico, imprendito-riale, procedurale, ma dimentico che cisono a Taranto e da altre parti personeche mi stanno ascoltando e che, da tuttoil mio dire, cercano di sapere qual è il lorofuturo, cercano di capire se confermare omeno l’iscrizione del proprio bambino inpalestra o al corso di inglese... se faccioquesto, sto tradendo la natura, la mis-sione del mio mestiere».

«Noi facciamo un giornalismo vigo-roso, serio, fedele ai fatti», conclude Tar-quinio, il cui giornale certo non si può

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accusare di buonismo, tanto che ha ancheun giornalista, Nello Scavo, sotto scortaper le sue inchieste. «E poiché fare ungiornale implica non solo dare informa-zioni, ma dare senso a ciò che accade nelmondo, non rinunciamo ad avere un’opi-nione chiara, che ci dà l’identità di quo-tidiano di ispirazione cattolica. Ci piaceanche esprimere le nostre opinioni, maaccanto ai fatti, non sopra. È da questaimpostazione che sono nate le nostregrandi campagne sulle migrazioni e suiprofughi, sui lager in Libia, con le inchie-ste e i reportage che hanno seguito i viaggidei migranti fino all’ultima tappa... Mavoglio ricordare anche quelle sull’utero inaffitto e sullo sfruttamento delle donnenella maternità surrogata o quelle sull’az-zardo: abbiamo anche detto no ai soldidella pubblicità legata al gioco. Certescelte sono onerose: sappiamo bene cheperdiamo pubblicità, perché dove si fa in-formazione rigorosa i soldi scappano. Main certi casi sono uguali alla cavezza chetiene fermi i cavalli, e noi vogliamo cor-rere. Insomma, non abbiamo paura ad af-frontare questioni difficili, ma cerchiamodi avere grande onestà nell’affrontare ifatti, mettendo davanti a tutto il voltodegli uomini e delle donne che ci leg-gono».

IL PROBLEMA DEGLI EDITORI

Si potrebbe obiettare che TV 2000,come “Avvenire” o Sir, hanno alle spalle laCei, la Chiesa. Possono in qualche modopermettersi di stare fuori dal mercato, per-ché l’editore li legittima in questo senso,

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cosa che altre testate non possono fare.È un fatto, però, dice Morgante, che

«le grandi testate, sia della carta stampata,sia della televisione, perdono lettori e per-dono ascoltatori. I motivi sono tanti, maprobabilmente c’è una fetta crescente dipubblico che è alla ricerca di uno stile di-verso, di un contenuto diverso, che si èscocciato di un’informazione ansiogena,segnata dal luogo comune, o dall’aggres-sività... Forse quello che manca è un po’di coraggio. Pensiamo a quando si propo-neva di mandare la storia o la scienza inprima serata, anche nel servizio pubblico:si è andati avanti per decenni, dicendo“attenzione, perché così ci facciamomale”. Quando si è cominciato a speri-mentare, forse non ha funzionato subito,ma insistendo con coraggio e determina-zione, si è visto che anche quei temi eranodi interesse pubblico e con che ascolti! Èvero, ogni testata ha bisogno di un editoreforte, che legittima a osare, però ci si po-trebbe provare e diventare un punto di ri-ferimento».

«Queste riflessioni, comunque, ri-guardano tutti, cattolici e no», puntualizzaTarquinio. «Perché riguardano il fare se-riamente il nostro mestiere. Basta leggerei codici deontologici, che ci dicono di es-sere fedeli ai fatti, non a quello che rite-niamo utile per vendere o che giustifi-chiamo con “questo lo vuole la gggente”,con tre g. Negli ultimi 12 anni è scom-parso il 48% di testate periodiche e quo-tidiane. Una strage di pluralismo, unasfida alla tenacia di tutti noi. Però non èdel tutto vero che i giornali non vendono:è vero che vendono meno di prima, ma

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in America il mercato editoriale cartaceoè in ripresa. Sta venendo un tempo, nelquale si torna a pretendere un’informa-zione di qualità, perché è questa che serveper cambiare il mondo».

«La differenza», conclude Vecchia-relli, «la fa la persona. La fa l’attenzione –anche nel narrare determinati fatti chel’editore o il direttore chiedono – nel ve-dere le cose, nell’interpretare, nel metterequel qualcosa di più. Stare nel mondo si-gnifica starci con i piedi e le scarpe giuste,vivere quello che la storia ti dà da vivere.Però tu puoi metterci del tuo: la differenzasta lì, nella parte umana, nell’affrontare latua professione, il tuo articolo quotidianoguardando oltre la prima vista, cercandole ricadute, perché ogni nostra azione eogni nostra parola ha una ricaduta, e imezzi che ci vengono messi nelle manisono potenti, e implicano una grande re-sponsabilità, che non si può giocare soloper lo scoop o per arrivare prima degli altri.C’è qualche cosa di più, che passa per ladignità della persona».