Descrivere il testo. Problemi e metodologia della trascrizione grafica dell'audiovisivo

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P.Aroldi – E.Mosconi – P.C.Rivoltella * * * * Descrivere il testo. Problemi e metodologia della trascrizione grafica dell’audiovisivo L’audiovisivo, come oggetto di analisi, pare vantare una situazione di indiscutibile privilegio rispetto al testo-spettacolo in cui trovano espressione le “arti della vita” (Pradier) come il teatro e la danza. A differenza di esso, infatti, gode di uno statuto di duplice presenza. Si tratta, anzitutto, di una presenza “fisica”, che gli deriva dalla sua riproducibilità tecnica: il film, l’elaborato video, proprio in quanto “fissati” sul supporto fisico della pellicola o del nastro magnetico, sono destinati alla permanenza e non vanno soggetti a variazioni (se si eccettuano le possibili alterazioni chimico-fisiche dei loro supporti), cioè resistono al tempo e sono sempre identici a se stessi. Così il Potemkin di Ejženštejn č disponibile ancora oggi per lo studioso (permanenza nel tempo) esattamente così come il grande maestro russo l’aveva concepito (identità). In maniera completamente diversa si comportano i testi “spettacolari”. Nel caso del teatro, ad esempio, la rappresentazione si iscrive sempre in un qui e ora irripetibile che la rende diversa dal testo drammatico di cui è messa in scena (il Calderon di Ronconi non è il Calderon di Pasolini) e dalle altre sue possibili rappresentazioni (il Faust di Barberio Corsetti non è il Faust di Strehler). Ma, di più, nemmeno due repliche dello stesso allestimento sono “uguali”, perché il pubblico può essere più o meno numeroso, il tenore (nel caso di un’opera lirica) può “steccare”, la prima attrice sentirsi in stato di grazia. Lo spettacolo, la performance, vive * Questo saggio è il risultato della discussione comune e del confronto critico tra gli autori, cui se ne deve, di conseguenza, la paternità in tutte le sue parti. In particolare, Piermarco Aroldi ha curato la stesura del § 3, Elena Mosconi del § 4, Pier Cesare Rivoltella dei §§ 1,2 oltre che dell’introduzione.

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Il testo è il cap.2 del volume a cura di P.C. Rivoltella, L'audiovisivo e la formazione, CEDAM, Padova 1998, pp. 39-64.

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P.Aroldi – E.Mosconi – P.C.Rivoltella∗∗∗∗

Descrivere il testo. Problemi e metodologia della

trascrizione grafica dell’audiovisivo

L’audiovisivo, come oggetto di analisi, pare vantare una situazione di indiscutibile privilegio rispetto al testo-spettacolo in cui trovano espressione le “arti della vita” (Pradier) come il teatro e la danza. A differenza di esso, infatti, gode di uno statuto di duplice presenza. Si tratta, anzitutto, di una presenza “fisica”, che gli deriva dalla sua

riproducibilità tecnica: il film, l’elaborato video, proprio in quanto “fissati” sul supporto fisico della pellicola o del nastro magnetico, sono destinati alla permanenza e non vanno soggetti a variazioni (se si eccettuano le possibili alterazioni chimico-fisiche dei loro supporti), cioè resistono al tempo e sono sempre identici a se stessi. Così il Potemkin di Ejženštejn č disponibile ancora oggi per lo studioso (permanenza nel tempo) esattamente così come il grande maestro russo l’aveva concepito (identità). In maniera completamente diversa si comportano i testi “spettacolari”.

Nel caso del teatro, ad esempio, la rappresentazione si iscrive sempre in un qui e ora irripetibile che la rende diversa dal testo drammatico di cui è messa in scena (il Calderon di Ronconi non è il Calderon di Pasolini) e dalle altre sue possibili rappresentazioni (il Faust di Barberio Corsetti non è il Faust di Strehler). Ma, di più, nemmeno due repliche dello stesso allestimento sono “uguali”, perché il pubblico può essere più o meno numeroso, il tenore (nel caso di un’opera lirica) può “steccare”, la prima attrice sentirsi in stato di grazia. Lo spettacolo, la performance, vive

∗ Questo saggio è il risultato della discussione comune e del confronto critico tra gli autori, cui se ne deve, di conseguenza, la paternità in tutte le sue parti. In particolare, Piermarco Aroldi ha curato la stesura del § 3, Elena Mosconi del § 4, Pier Cesare Rivoltella dei §§ 1,2 oltre che dell’introduzione.

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nell’effimero e dell’effimero, mai identica a se stessa, sempre diversa. Tanto meno può “resistere” al tempo: o lo spettacolo è stato visto in presenza, “dal vivo”, o è irrimediabilmente perduto. Lo si potrà ricostruire dalle osservazioni di chi c’era, dalle recensioni o dalle cronache, nella migliore delle ipotesi da riprese video che ne siano state fatte, ma nulla di tutto ciò potrà surrogare la globalità percettiva ed emotiva che solo la presenza fisica durante la rappresentazione può garantire. Fisicamente, dunque, l’audiovisivo è presente, rimane presente anche

dopo la sua enunciazione, il testo-spettacolo no. Pagnini1 ne ha indicato la ragione nel fatto che nel primo caso l’enunciato prevale sull’enunciazione, il detto sull’atto del dire, nel secondo succede il contrario. Aggiornando il suo punto di vista (infatti, alla luce dei recenti guadagni della pragmatica non si può negare l’importanza dell’enunciazione anche nel caso dell’audiovisivo) si può dire che mentre nell’audiovisivo l’enunciato dipende certo dall’enunciazione (solo se viene proiettato un film può essere visto) ma non vive grazie a essa (la pellicola, riposta nello scaffale della cineteca, continua a recare impresse le tracce del film), nel caso del testo-spettacolo esso si risolve nella sua enunciazione: un film sopravvive alla sua proiezione, lo spettacolo teatrale non esiste a prescindere dalla sua rappresentazione. Proprio questo rilievo ci consente di introdurre il secondo senso,

“scientifico”, della presenza dell’audiovisivo. Un qualsiasi oggetto si dice “scientificamente presente” quando viene assunto come oggetto di studio all’interno di una determinata disciplina. La condizione perché questo possa succedere è che l’oggetto in questione sia disponibile e quindi sottoponibile ad analisi. Ora, è chiaro che l’audiovisivo, in virtù della sua presenza fisica, è diventato oggetto di analisi scientifica molto tempo prima della performance. I primi tentativi in questa direzione sono quelli di Rohmer, Godard e Truffaut sui “Cahiers du Cinéma” ancora alla metà degli anni Cinquanta. Ad essi hanno fatto seguito le prime ricostruzioni dedicate da Mitry ai film di Chaplin e da Burch a Un condannato a morte è fuggito di Bresson, fino a quando Roland Barthes, agli inizi degli anni Settanta, non inizierà a fornire le prime coordinate teoriche alla scienza dell’analisi che, da allora, ha fatto passi da gigante e prodotto svariati modelli ed esempi.

1 Cfr. M.Pagnini, Per una semiologia del teatro classico, “Strumenti critici”, 12, 1970; Id., Pragmatica della letteratura, Sellerio, Palermo 1980.

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Qui si colloca il problema che vorremmo provare a esaminare. Se l’audiovisivo è presente, materialmente e scientificamente, all’analista, perché (come abbiamo visto nel saggio introduttivo di questo volume) occorre “trascriverlo” per produrne un’analisi? A cosa serve trascrivere un testo audiovisivo se, per la sua stessa natura, non si sottrae allo studioso, anzi, resta a sua disposizione per essere visto e rivisto all’infinito? Per rispondere adeguatamente a questo interrogativo e dimostrare

l’ineludibilità della trascrizione nel lavoro scientifico di analisi occorrerà procedere per gradi, iniziando a chiarire il significato preciso della trascrizione (§ 1). Assolto questo compito, sarà possibile dimostrare in maniera articolata

la sua opportunità (§ 2) e illustrarne gli aspetti procedurali e metodologici (§ 3): un intervento che ci pare prezioso per mettere ordine e garantire uniformità all’interno dei molti criteri e sistemi notazionali adottati nella ricerca e nella pubblicistica. Sulla base di questa proposta di metodo sarà, infine, possibile

procedere alla elaborazione di un esempio-tipo di trascrizione grafica (§ 4) che contribuisca a meglio chiarire la proposta di metodo stessa.

1. Alla ricerca di una definizione

Iniziamo subito a precisare che è possibile fornire una trascrizione solo

di testi che siano presenti: di testi assenti, infatti, è possibile elaborare solo una ricostruzione (o recupero contestuale). In altre parole, la trascrizione richiede che si possa lavorare sulla materialità del testo, dove questa non è disponibile non si può fare nessuna trascrizione. È questo il problema che incontra, ad esempio, chiunque si interessi alla storia della televisione italiana per la mancanza di archivi completi della programmazione: di molti programmi “storici” è così solo possibile procedere a una ricostruzione servendosi delle recensioni giornalistiche o della loro presentazione curata dal “Radiocorriere”. È questa la principale differenza che separa l’analisi dalla filologia cinematografica e televisiva; la prima si esercita sul corpo del testo, la seconda no. Sulla materialità del testo audiovisivo, poi, la trascrizione interviene

inquadratura per inquadratura, cioè attraverso un lavoro di dissezione

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paziente e minuziosa che consente di parlarne nei termini di una vera e propria “sceneggiatura a posteriori”. Il fatto che venga effettuato frame by frame, cioè che implichi

proceduralmente l’arresto ripetuto delle immagini (proprio per questa ragione, strumento indispensabile a qualsiasi lavoro di trascrizione è un videoregistratore dotato di una buona funzione di frame-stop) restituisce la natura sostanziale dell’atto di trascrizione, cioè il suo essere un attentato alla legge dello scorrimento, come suggerisce Raymond Bellour2. Se, infatti, il cinema e, per estensione, l’audiovisivo, nascono per riprodurre la realtà nella sua materialità fisiologica e lo fanno attraverso una illusione, giocando sulle leggi della percezione ottica, la trascrizione, praticando l’arresto sull’immagine, smonta proprio questo meccanismo ricostruttivo e fascinatorio: il movimento dei fotogrammi in rapida successione fra loro riproduce la vita, la trascrizione blocca il movimento, fissa i singoli istanti. Come osserva ancora Bellour, “ogni vera analisi che voglia essere più dettagliata porta all’estremo la morte dell’oggetto: con un inevitabile rovesciamento va essa stessa ad istituirsi come nuovo corpo, dove la stretta adesione all’oggetto diventa la condizione di un certo processo di conoscenza”3. Questa interruzione dello scorrimento filmico, questa fissazione delle

sue unità elementari (le inquadrature), comporta una trasformazione in segni grafo-verbali della realtà multicodica dell’audiovisivo. Semioticamente, l’operazione consiste nel tradurre i codici audiovisivi in codici grafici e verbali, cioè in segni notazionali e parole. Tradizionalmente le due cose venivano distinte. In particolare, Bouissac4 parla di descrizione per fare riferimento alla traduzione in linguaggio verbale, riservando il termine trascrizione solo al trasferimento della stessa realtà in linguaggio notazionale. In altre parole, la registrazione del testo verbale, del sonoro e del non verbale (gesti, movimenti, ecc.) rientrerebbero nell’ambito della descrizione, mentre gli schemi dello spazio rappresentato, lo schizzo delle azioni degli attori, i segni convenzionali per identificare i movimenti di macchina e gli stacchi tra le inquadrature, fino alla riproduzione dei singoli fotogrammi, apparterrebbero all’area della trascrizione.

2 R.Bellour, Di una storia, in P.Madron, a cura di, L’analisi del film, Pratiche, Parma 1984, p.17. 3 Ibid. 4 P.Bouissac, Circus & Culture, Indiana University Press, Bloomington 1976.

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Oggi la questione non è più rilevante e si preferisce parlare indifferentemente di descrizione o di trascrizione in proposito all’intero processo di trasformazione codica, sia che ricorra a segni grafici o al linguaggio verbale. Provando ora a fornirne una definizione praticabile che raccolga in

sintesi le osservazioni fatte fino a ora possiamo dire che la trascrizione di un testo audiovisivo è la scomposizione e la traduzione, inquadratura per inquadratura, della pluralità di codici che lo compongono in una descrizione verbale che si serve di un sistema di segni grafici.

2. Pratiche dello sguardo

Prima di passare a discutere gli aspetti metodologici concreti che

consentono di “fare” trascrizione dell’audiovisivo, occorre valutare l’utilità di un simile intervento, anche perché, proprio l’introduzione del videoregistratore – di cui peraltro chi “trascrive” si serve – ha fatto sollevare a qualcuno dubbi sulla sua opportunità5. Ora, di tale utilità siamo e rimaniamo convinti e cercheremo di giustificare questa convinzione mettendo a confronto la trascrizione con le operazioni a essa più prossime (la visione, la revisione, il visionamento) e mostrando come nessuna di esse la possa surrogare.

2.1. Visione e trascrizione: dal ricordo alla presenza

Perché non ci si può accontentare di vedere il film in sala per

procedere alla sua analisi? Cosa manca alla visione perché possa essere considerata strumento sufficiente a condurre un discorso scientifico sul testo? Il critico cinematografico e televisivo non si basa forse su questo tipo di visione per fare il suo lavoro?

5 Si tratta di un dubbio ben rilevato da Casetti e di Chio: “Oggi, in verità, con l’introduzione del videoregistratore che coniuga le versatili funzioni di moviola alla grande maneggevolezza ed economicità, lo strumento della trascrizione grafica ha perso un po’ della sua utilità, soppiantato da un mezzo capace di offrire un testo ripercorribile con la medesima facilità e in più costituito da immagini” (F.Casetti, F.di Chio, L’analisi del film, Bompiani, Milano 1990, p.32).

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La risposta ci pare possa essere fornita con le parole di Michel Marie il quale osserva che, a differenza del libro stampato, “il film non è mai presente, esiste solo nel ricordo, più o meno preciso che sia, più o meno “fedele”. Si sa quali scherzi possono combinare i “falsi ricordi” di film, soprattutto quelli che si credono più esatti”6. Il film, l’audiovisivo, presente fisicamente, non è mai presente dal punto di vista psichico. Il problema, a questo proposito, è costituito dai meccanismi della

memoria che agiscono sempre selettivamente sui dati rievocati. In particolare, il processo mnemonico risulta legato, da una parte, alla tonalità emotiva del dato che viene ricordato (così uno scampato pericolo può essere ricordato piacevolmente, anche se il vissuto emotivo che lo accompagnava “in presenza” non era affatto gradevole), dall’altra alla tendenza della memoria a medio e lungo termine a semplificare e strutturare i dati, ad esempio secondo un criterio di ordine formale. Ora, l’atto della visione, isolato e non ripetuto, apre un margine di

forte discrezionalità nella ricostruzione del racconto e, a partire da esso, nella ricomposizione del senso. Come dice ancora Raymond Bellour, esso provoca una “sopravvalutazione della memoria, la sottovalutazione di ciò che ora è evidente, cioè che il film, come tutto del resto, dice qualcosa di diverso da quello che si crede esso dica, e che lo dice soprattutto diversamente da come si crede, sempre troppo facilmente, di farglielo dire”7. Nella misura in cui l’analisi pretende di elaborare un discorso

“scientifico” sul film o sul video, essa non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del loro contenuto, ma deve provare a restituirne il contenuto nella sua oggettività. La differenza tra la visione e la trascrizione si colloca in questo spazio ed è la differenza tra uno sguardo parziale sul testo assente (quando provo a ricostruirlo nel ricordo il testo è già scorso, non è più lì) e uno sguardo analitico sul testo presente (la memoria elettronica del videoregistratore mantiene in presenza il testo per tutto il tempo che occorre a trascriverlo).

6 M.Marie, Descrizione/analisi. Riflessione sulla nozione di descrizione di un testo filmico in vista della sua analisi, in P.Madron, a cura di, L’analisi…, p.27. 7 R.Bellour, Di una storia, p.20.

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2.2. Osservazione e trascrizione: dal disincanto critico allo sguardo scientifico

Storicamente, l’analisi del film, prima di mettere a fuoco lo strumento della trascrizione, ha provato in ripetuti modi a neutralizzare i limiti della visione fissando alcune pratiche di lettura che ancora oggi, spesso, fanno parte dell’approccio scompositivo al testo. La prima di queste pratiche è la visione reiterata del testo. Vedere lo

stesso film due o più volte dovrebbe consentire, infatti, di ovviare alla parzialità (se non addirittura alla falsità, come accennavamo sopra) della visione unica. Quest’ultima tende a privilegiare l’ordine narrativo (sguardo diegetico), lasciando sullo sfondo o, addirittura, dimenticando aspetti decisivi della testualità. Questi aspetti possono essere, invece, colti, se la visione è preceduta dalla documentazione attraverso materiale di paratesto (dichiarazioni del regista, recensioni, altre informazioni che possano favorire la comprensione) e se, nel reiterarla, si passa dall’impressione globale sul testo a una attenzione successiva a singoli elementi specifici come il montaggio, il sonoro, ecc. (sguardo semantico). Un testo si può rivedere anche rompendo l’ordine della successione

che lo costituisce: è il caso della visione per frammenti cui spesso Godard, da critico dei “Cahiers”, ricorreva, vedendo il film “per spezzoni”, cioè entrando e uscendo più volte dalla sala. Pratica inusuale, questo tipo di visione oltre a liberare lo spettatore dal rispetto dell’ordine diegetico, del vedere dall’inizio alla fine, lo potrebbe affrancare anche dal rischio di un accostamento troppo emotivo al testo: “Rivedere vuol dire dunque vedere in modo diverso, sfuggire all’obbligo della fascinazione, all’influenza del film”8. In questo modo risultano neutralizzati quei meccanismi di proiezione e identificazione che abitualmente si instaurano tra lo spettatore e il testo (sguardo emotivo) consentendo a chi legge di realizzare una giusta “distanza” da esso (sguardo neutrale). Infine, è possibile accompagnare la visione del testo con l’annotazione

delle proprie impressioni, degli elementi rilevanti del testo. Si tratta di un vedere appuntando che è ben restituito dalla testimonianza di Bellour: “nel buio della sala, gli occhi fissi non sul foglio di carta ma sullo schermo, a tentare di cogliere, con mano esperta ma fatalmente soccombente, sempre insufficiente, la struttura di quella successione polivalente di elementi che costituisce quasi sempre il film. Dialoghi. Azioni, soprattutto susseguirsi di piani, loro elementari collegamenti; prendevo

8 M.Marie, Descrizione/analisi, p.27.

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nota, scrivevo “tutto” quanto potevo: fino all’assurdo di riempire taccuini che, una volta riportati su schede, quando non erano illeggibili o sbagliati, mi davano sempre l’impressione che qualcosa, l’essenziale, continuasse a sfuggire, che non avessi niente di sicuro”9. Pratica intermedia tra la visione reiterata e la visione per frammenti, l’annotazione del testo ne assomma gli obiettivi, ma ne indica probabilmente anche il limite comune: l’impressione che “qualcosa, l’essenziale” continui a sfuggire. Osservare il testo (questo diventa la visione quando viene reduplicata,

frantumata, assistita dal prendere appunti) è sicuramente importante per guadagnare uno sguardo critico su di esso, ma questo sguardo ancora non riesce a “fermare” il suo oggetto, a esaurirlo nelle sue componenti: questo è lo spazio dello sguardo scientifico proprio della trascrizione.

2.3. Visionamento e trascrizione: dal testo assente al testo presente

Torniamo, infine, sull’osservazione da cui siamo partiti in questo

paragrafo e cioè dalla considerazione che, forse, oggi, grazie all’avvento del videoregistratore, il lavoro di trascrizione risulta inutile. Un testo audiovisivo al videoregistratore non si vede, si visiona. La

differenza tra le due operazioni sta nella natura dello sguardo che esse promuovono: il vedere implica la dipendenza dello spettatore rispetto al testo, cioè il fatto che lo spettatore non intervenga (non possa intervenire) sullo scorrimento del testo per arrestarlo a suo piacere (sguardo continuo), mentre il visionamento (si può tradurre così il francese visionnement, in senso proprio “visione alla moviola”) garantisce il “padroneggiamento dello scorrimento delle immagini”, cioè la possibilità di praticarne l’arresto, di percorrerne a ritroso il senso, di rivedere più volte la stessa sequenza, di fermare la singola inquadratura (sguardo interrotto). Proprio questo insieme di operazioni sembrano mettere fuori gioco la trascrizione, poiché paiono surrogarne i compiti (il découpage, sostanzialmente) eliminandone l’inconveniente principale, cioè la necessità di operare una traduzione dei codici audiovisivi in codici grafo-verbali che, inevitabilmente, come ogni traduzione, è un tradimento del sistema espressivo di partenza.

9 R.Bellour, Di una storia, p.18.

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Il problema, mi pare, sta proprio qui. Infatti è chiaro che un primo piano di Dreyer, visto e descritto, non è la stessa cosa, dato che la descrizione non restituisce tutta la forza espressiva che il codice mimico e figurativo è in grado di trasmettere allo spettatore. Tuttavia, questa descrizione è l’unica possibilità per l’analista di “fermare” realmente il testo, di averlo a disposizione in una forma che sia maneggevole ai fini dell’analisi. Anche il visionamento, infatti, riproduce a livello micro gli inconvenienti riscontrati a livello macro a proposito della visione. Pur essendo assistito dalla memoria elettronica del videoregistratore (e non solo dalla propria memoria psichica), l’analista, anche in questo caso, finisce per consegnare il suo lavoro a osservazioni che sono elaborate in assenza del testo e che quindi non sono esenti da ampi margini di soggettività. Ora, è chiaro che anche la trascrizione mette in gioco la soggettività dell’analista, tanto è vero che la stessa inquadratura può essere descritta in maniera diversa da analisti diversi, ma sicuramente il suo spazio si riduce: da uno sguardo certo (quello del visionamento) potremmo dire, a uno sguardo saldo (quello della trascrizione), anche se nessuno dei due è sicuramente vero. Operazione Pratiche Tipo di sguardo

Visione Memoria retrospettiva Continuo, parziale, diegetico, emotivo

Osservazione Visione reiterata, appunti Neutrale, semantico, critico Visionamento Frame stop, visione ripetuta Interrotto, certo Trascrizione Descrizione notazionale Analitico, saldo, scientifico Se è chiaro che la trascrizione non può esaurire completamente il suo

oggetto, è altrettanto evidente che essa può giocare un ruolo di fondamentale importanza in almeno due direzioni e cioè la fornitura all’analista di uno schema della linearità del testo, una sorta di indice generale dei suoi elementi10, e di una “partitura” su cui poter studiare, sulla carta, i tratti che nello scorrere delle immagini sarebbe impossibile rilevare: “Per fare questo è necessario stabilire un preciso documento di riferimento, materiale e concreto, senza con ciò voler puntare ad un’impossibile esaustività, poiché si tratta in fondo di descrivere il film, non di riprodurne un identico doppione (tanto varrebbe allora stamparne

10 F.Casetti, F.diChio, L’analisi…, p.32.

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una copia, cosa che ci riporterebbe al punto di partenza). Sarebbe perciò una delle caratteristiche dell’oggetto film (audiovisivo, n.d.r.) quella di aver bisogno, in vista della sua analisi, un po’ come accade per la trascrizione musicale, dell’elaborazione di qualcosa di intermedio tra il film stesso e il suo studio (che nient’altro sarebbe se non il “sistema” costruito dal semiologo)”11.

3. La trascrizione grafica: note operative

Trascrivere graficamente un testo audiovisivo è un'operazione

strumentale: essa, come si è visto, fornisce all'analista una sorta di testo secondo, un oggetto di studio costantemente presente, disponibile e manipolabile anche se parziale e arbitrariamente riduttivo rispetto all'originale. Per certi aspetti è proprio questa parzialità riduttiva e arbitraria che ne fa uno strumento utile all'analisi sia in quanto permette il passaggio da una eterogeneità di segni a un sistema di codificazione unitario, sia perché implica una serie di scelte preventive o ricorsive da parte del trascrittore che sono già connesse con una ipotesi di analisi che guida la sua azione. Ciò significa, innanzitutto, che la stessa operazione di trascrizione si

iscrive in quel processo di presa di distanza dall'oggetto indagato che, con Casetti e di Chio, possiamo articolare in precomprensione del testo, formulazione di una ipotesi esplorativa, delimitazione del campo, scelta del metodo e definizione degli aspetti da mettere a fuoco12. Non solo, dunque, la trascrizione grafica seguirà necessariamente una prima fase di visione normale o reiterata del testo in questione, ma essa sarà anche preceduta da una prima formulazione generale dell’ipotesi di lavoro, degli aspetti di maggiore interesse, del grado di pertinenza dei diversi elementi audiovisivi, della precisione necessaria ai diversi parametri della trascrizione. Che cosa trascrivere e con quale grado di definizione sono, dunque, variabili che dipendono in parte dalle ipotesi di ricerca o dalle curiosità che reggono l'intera operazione di analisi. Nonostante la flessibilità della metodologia che deriva necessariamente

da queste premesse, è possibile suggerire una procedura di trascrizione

11 M.Marie, Descrizione/analisi, p.28. 12 Cfr. F.Casetti, F. di Chio, L’analisi…, p. 18.

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standard che potrà, di volta in volta, essere utilizzata in modo creativo per rendere conto degli aspetti giudicati più pertinenti senza per questo smarrire l'intersoggettività propria di uno strumento di analisi con pretese di scientificità.

3. 1. L’unità minima di analisi

Come è noto, uno dei primi problemi che l'applicazione della semiotica di impianto linguistico e strutturalista al linguaggio audiovisivo prima di tutto cinematografico si è trovata ad affrontare è stato quello relativo all'unità minima di significazione; al di là del percorso teorico con cui tale problema è stato storicamente affrontato13, in questa sede sarà sufficiente evidenziare come la natura strumentale della trascrizione grafica si rifletta anche nella scelta dell’unità minima di analisi, definita e assunta indipendentemente dalla sua capacità di produrre senso. Tale unità minima è, infatti, l'inquadratura, cioè una porzione del testo

delimitata unicamente da un intervento tecnico, operato in fase di ripresa o di montaggio, in grado di alterare la continuità della ripresa stessa. Come ricordano ancora Casetti e di Chio a proposito del cinema, l'inquadratura è “un segmento di pellicola girato in continuità; a livello di ripresa esso è delimitato da due arresti di motore della macchina da presa, e a livello di montaggio da due tagli di forbice”14, ma la nozione può agevolmente essere applicata anche alla ripresa elettronica televisiva per indicare la trasmissione, diretta o registrata, di immagini prodotte in continuità mediante una stessa telecamera. L'inquadratura ha, dunque, prima di tutto, una dimensione temporale

corrispondente alla sua durata; e ha una dimensione spaziale in quanto opera sul mondo visibile mediante l'imposizione di margini (appunto, la messa in quadro) che ritagliano dal continuum dello spazio una porzione ben delimitata di realtà. Ciò significa che nel riconoscere una inquadratura l'analista dovrà innanzitutto individuarne i margini temporali, cioè l'inizio e la fine di quel segmento di testo generato da una ripresa continua e, in secondo luogo, rendere conto della porzione di spazio rappresentato in essa

13 Cfr. G. Bettetini, L’audiovisivo. Dal cinema ai nuovi media, Bompiani, Milano 1996. 14 Cfr. F.Casetti, F. di Chio, L’analisi…, p. 30.

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nonché delle sue eventuali modifiche dovute a movimenti di macchina o a movimenti del profilmico15. L'individuazione della inquadratura come unità minima di analisi ha

alcune implicazioni operative evidenti: innanzitutto essa permette la segmentazione del testo in porzioni minori non arbitrarie più facilmente descrivibili e manipolabili; in secondo luogo rende possibile la misurazione di tali segmenti mediante la registrazione della loro durata, in terzo luogo rende più agevole sia la loro identificazione mediante una semplice numerazione progressiva, sia la descrizione del loro contenuto espressivo.

3.2. Materie significanti

All'interno di una medesima inquadratura possono convivere e di fatto normalmente convivono più materie significanti16; già il fatto di avere a che fare con un testo audiovisivo suggerisce la compresenza di due grandi ordini: i significanti visivi e quelli sonori; ma uno sguardo più attento permette di identificare ulteriori distinzioni al loro interno. Sul versante del senso della vista, infatti, possiamo distinguere tra le

immagini vere e proprie, fisse o in movimento, e le tracce grafiche, riconducibili alla dimensione della lingua scritta e che possono prendere la forma delle didascalie, dei titoli e sottotitoli e delle scritte; vale la pena sottolineare subito come queste ultime possano avere natura diegetica (essere cioè determinate dalla presenza di materiali profilmici a carattere alfabetico, come nel caso delle insegne di un negozio, di una pagina di un libro, di un cartello indicatore, interni alla porzione di mondo ripreso) o non diegetica (come nel caso di scritte che non hanno nulla a che fare con la storia raccontata o la realtà rappresentata ma con il procedimento tecnico o produttivo della rappresentazione). Il senso dell’udito, poi, permette di distinguere tre altre materie

significanti: le voci, i rumori e la musica. Come per le tracce grafiche, anche per questi gruppi di segni sarà possibile riconoscere una natura diegetica (laddove essi sono generati dalla porzione di mondo ripresa, sia esso reale o narrativo) o non diegetica (come avviene quando essi danno corpo a

15 Si intende con il termine profilmico l’insieme degli elementi della realtà, naturale o artificiale, di fronte ai quali si pone la macchina da presa o la telecamera al fine di realizzare la ripresa. 16 Cfr. ancora F.Casetti, F. di Chio, L’analisi…, pp. 56 e seguenti.

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una colonna sonora sovrapposta senza far parte dell'ambiente in cui si sta sviluppando l'azione). Una distinzione più precisa è quella che definisce voci, rumori o musiche in quando questi sono generati all'interno del contesto inquadrato, off quando la loro fonte non è ripresa nell'inquadratura pur facendo parte del medesimo mondo rappresentato, over quando essi hanno carattere non diegetico e sono, perciò, pertinenti più al piano dell'enunciazione o della narrazione che a quello dell’enunciato o del racconto.

3.3. La struttura della trascrizione

Da quanto detto sin qui risulterà logica la struttura di fondo della trascrizione grafica: si tratterà, infatti, da una parte, di rendere conto della individuazione dei diversi segmenti corrispondenti alle diverse inquadrature che compongono/scompongono il testo, dall'altra, di descrivere le cinque materie significanti che danno corpo a ciascuna inquadratura. Nell'operare la trasposizione dallo spazio simbolico dell'audiovisivo a quello materiale del foglio di carta l'analista divide quest’ultimo in due colonne verticali e assegna a quella di sinistra il compito di riportare i dati relativi alla banda video (cioè ai significanti visivi: immagini e tracce grafiche), a quella di destra i dati relativi alla banda audio (cioè ai significanti sonori: voci, rumori e musiche) riscontrabili all'interno di una singola inquadratura:

VIDEO AUDIO

Immagini (fisse o in movimento) Tracce grafiche (didascalie, titoli, sottotitoli, scritte)

Voci Rumori Musiche

Vale la pena fare subito alcune considerazioni: trattandosi di una

descrizione, l'analista si trova a riportare attraverso la parola scritta materiali significanti eterogenei; se ciò sembra porre pochi problemi nel caso delle tracce grafiche (che possono essere trascritte letteralmente) e delle voci (si tratta di trascrivere parola per parola dialoghi o monologhi, attribuendoli di volta in volta ai personaggi che li pronunciano, riportandoli tra virgolette dopo una abbreviazione dei rispettivi nomi o

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della loro identificazione sintetica e funzionale), più complesso è il caso delle immagini, dei rumori e delle musiche. Per quanto riguarda le immagini, il grado di precisione della descrizione

è dettato dallo scopo e dalle ipotesi teoriche dell'analisi: se, per esempio, essa è incentrata sulla dimensione spaziale o tende a verificare l'importanza dei codici cromatici, la descrizione sarà focalizzata soprattutto su queste caratteristiche, trascurandone magari altre meno pertinenti. In ogni caso, una descrizione sommaria della porzione di realtà ripresa dovrà rendere conto dell'ambiente e dei soggetti che lo occupano e vi si muovono. Anche a questo fine è utile far precedere alla descrizione verbale vera e

propria una notazione abbreviata che indichi le condizioni di ripresa (Esterno / Interno: E / I) abbinate al momento della giornata (Giorno / Notte / Sera: G / N / S) e alle scelte fotografiche (Bianco e nero: B/N; Colore: Col.); la sigla E.G. indicherà, così, Esterno Giorno, I.G. Interno Giorno, E.N. Esterno Notte e così via. Nel caso che l'inquadratura successiva si svolga secondo le stesse modalità, tale notazione potrà essere omessa fino al momento in cui esse non vengano modificate da un'altra inquadratura. Anche per quanto riguarda rumori e suoni, la trascrizione verbale può

presentare qualche difficoltà: l'analista potrà limitarsi, allora, a descrivere genericamente il tipo di musica (genere di riferimento, strumento musicale che la produce, sonorità, volume... ) e le sue modulazioni in crescendo o diminuendo (per esempio, di sottofondo alle voci o ai rumori), e il tipo di rumori (quale fonte li produce, il loro volume, il loro tono). Poiché la trascrizione avviene, come si è detto, inquadratura per

inquadratura, è infine necessario anteporre alla descrizione i dati identificativi dell'inquadratura stessa: il suo numero progressivo e la sua durata in secondi. La successione delle inquadrature nel testo genera, ovviamente, una progressione della descrizione lungo le due colonne parallele. La struttura della trascrizione di tre ipotetiche inquadrature successive risulta essere dunque la seguente:

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durata in " Col o B/N. I.G./E.G./I.N./E.N Immagini (descrizione verbale) sottotitoli, scritte) Tracce grafiche (didascalie titoli sottotitoli scritte riportati letteralmente) durata in " Col o B/N. I.G./E.G./I.N./E.N Immagini (descrizione verbale) sottotitoli, scritte) Tracce grafiche (didascalie titoli sottotitoli scritte riportati letteralmente) durata in " Col o B/N. I.G./E.G./I.N./E.N Immagini (descrizione verbale) sottotitoli, scritte) Tracce grafiche (didascalie titoli sottotitoli scritte riportati letteralmente)

Voci (dialoghi e monologhi riportati letteralmente tra virgolette) Rumori (descrizione verbale) Musiche (descrizione verbale) Voci (dialoghi e monologhi riportati letteralmente tra virgolette) Rumori (descrizione verbale) Musiche (descrizione verbale) Voci (dialoghi e monologhi riportati letteralmente tra virgolette) Rumori (descrizione verbale) Musiche (descrizione verbale)

Nell'esempio appena riportato, la struttura delle tre inquadrature

occupa una porzione di spazio equivalente; ovviamente, descrivendo concretamente inquadrature diverse per durata e contenuti, lo spazio cartaceo occupato da ciascuna varierà proporzionalmente, a seconda della precisione della descrizione verbale delle immagini o della lunghezza dei dialoghi; in alcuni casi (per esempio quando la dimensione temporale di un testo è particolarmente rilevante ai fini dell'analisi) sarà possibile mantenere una proporzione costante tra durata e spazio occupato lavorando, per esempio, su fogli di carta millimetrata che agevolano questo tipo di operazione e rendono più immediatamente visibili le segmentazioni temporali del testo17.

17 Cfr. G. Gola, a cura di, Cinema e tempo: un esempio di analisi (Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock)”, “Comuniazioni Sociali”, 4, 1979, pp. 54-90; cfr. anche: E. Buchli, A.Cascetta, F.Colombo, Per una critica simbolica del testo. L’esempio del film Zerkalo (Lo specchio) di Andrej Tarkovskij, “Comunicazioni sociali”, 2, 1981, pp.94-108.

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A separare orizzontalmente una inquadratura dall'altra intervengono i segni di interpunzione: essi rendono conto delle diverse scelte tecniche operate in sede di montaggio. Tradizionalmente, l'analisi del film suggerisce una serie di soluzioni stilistiche e di relative notazioni grafiche: le più comuni sono lo stacco netto (quando due inquadrature si succedono direttamente, per semplice giustapposizione); la dissolvenza incrociata (quando la prima sfuma, più o meno velocemente, nella seconda), la dissolvenza (comunemente a nero o a bianco, quando l'immagine svanisce per progressiva diminuzione della luce fino al buio totale o, al contrario, per aumento della luminosità, fino al bianco totale); l'assolvenza (è il fenomeno inverso al precedente: l'immagine prende forma dal nero o dal bianco); l'occhiello o la tendina (l'inquadratura sembra restringersi riducendosi a un'unica circonferenza centrale allo schermo, come nei finali delle comiche di Charlie Chaplin o dei cartoons della Warner, o viene sostituita orizzontalmente o verticalmente da quella successiva). Le notazioni più comunemente usate sono quelle relative allo stacco netto (——), alla dissolvenza incrociata ( ), alla dissolvenza in nero ( ).

3.4. Tipo di inquadrature e movimenti di macchina

Come si è detto, l’inquadratura ha una dimensione spaziale che si riflette tanto nella porzione di realtà ritagliata dai margini dell’obiettivo della macchina da presa o della telecamera, quanto nei movimenti che queste ultime possono compiere modificando, così, lo spazio ripreso. La descrizione dell'inquadratura dovrà, dunque, rendere conto anche di queste caratteristiche spaziali legate alla messa in quadro e ai movimenti di macchina. Per quanto riguarda le prime, vale la pena ricordare come la porzione

di spazio ripreso dipenda da due variabili fondamentali: la distanza tra l'obiettivo e il soggetto ripreso e il tipo di obiettivo utilizzato. Ai fini che interessano in questa sede sarà, però, sufficiente poter riconoscere le diverse inquadrature a seconda della loro ampiezza, distinguendo, innanzitutto tra campi e piani: mentre i primi pongono generalmente in evidenza gli ambienti a scapito dei personaggi, i secondi danno rilievo soprattutto alla figura umana e al taglio che ne operano, trascurando gli ambienti. È possibile organizzare in scala le diverse inquadrature secondo la progressione seguente (tra parentesi è indicata l’abbreviazione da utilizzare in sede di trascrizione):

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Campo lunghissimo (CLL): la porzione di spazio è quella racchiusa tra una distanza minima di 50 metri dall’obiettivo e l’infinito; si tratta di una inquadratura presa da molto lontano, aperta fino all’eventuale orizzonte, in cui l’elemento umano non è rilevabile né perfettamente riconoscibile, come in un vasto panorama.

Campo lungo (CL): è la porzione di spazio racchiusa tra 30 e 50 metri circa; l'inquadratura abbraccia un intero ambiente avvicinandosi alle eventuali figure umane tanto da renderle individuabili ma non sempre riconoscibili, come nel caso di scene di massa in campo aperto.

Campo medio (CM): la porzione di spazio è racchiusa tra 10 e 30 metri circa; l'ambiente è ben qualificato ma passa al ruolo di sfondo, mentre la figura umana è posta al centro dell'attenzione; è il caso di scene di massa ridotte o della classica foto di gruppo.

Campo totale (CT) o Totale (TOT): è tradizionalmente definito in base alla sua ambiguità; corrisponde a una inquadratura che descriva la totalità di un ambiente, soprattutto chiuso, propriamente l'azione che vi avviene; più semplicemente occupa una zona intermedia tra campi e piani e, specificamente, tra campo medio e piano figura intera. Piano figura intera (PFI) o Figura intera (FI): è l’inquadratura completa

del personaggio, dalla testa ai piedi. Piano americano (PA): la figura umana è tagliata dalle ginocchia in su; la

tradizione attribuisce la definizione all'importanza di inquadrare completamente le fondine delle pistole nel cinema western.

Mezzafìgura (MF) o Mezzo primo piano (MPP) o Piano medio (PM): la figura umana è ripresa dalla cintola in su.

Primo piano (PP): la figura umana è ripresa in modo più ravvicinato, comprendendo tutta la testa, il collo, le spalle.

Primissimo piano (PPP): l'inquadratura isola il solo volto del personaggio, dalla fronte al mento, concentrandosi sulla bocca e sugli occhi.

Particolare (PART): isola una porzione del corpo umano o di un oggetto (in questo ultimo caso si preferisce parlare di Dettaglio - DETT), riprendendola in modo molto ravvicinato. La costruzione dello spazio da parte della macchina da presa (m.d.p.)

dipende, inoltre, dall'angolazione e dall'inclinazione; la prima riguarda l'altezza del punto di ripresa rispetto al soggetto ripreso: si parla di inquadratura frontale nel caso che l'altezza sia la medesima (essendo questo il caso più normale, non è codificato in alcun modo), di plongée nel caso di inquadratura dall'alto e di contre-plongée nel caso di inquadratura dal basso. La seconda, invece, si riferisce all'angolo formato dalla base

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dell'immagine rispetto all'orizzonte inquadrato: inclinazione normale si ha quando i due sono paralleli, verticale, quando sono perpendicolari, obliqua nei casi intermedi. Utilizzare queste notazioni in fase di trascrizione implica innanzitutto

riconoscere la porzione di spazio ripresa all'inizio dell'inquadratura e fare uso delle abbreviazioni per descriverlo (cfr. l’esempio di trascrizione grafica nel § 4); ma, chiaramente, nel caso di immagini in movimento, tale porzione può mutare significativamente nel corso della durata dell'inquadratura. La descrizione dovrà, allora, rendere conto di queste trasformazioni, sia che siano legate ai movimenti del profilmico (per esempio, nel caso che il personaggio ripreso si avvicini progressivamente alla macchina da presa, passando così da un CM a un PP, o viceversa), sia che siano generati da veri e propri movimenti di macchina. In particolari questi ultimi si distinguono in panoramiche e carrelli o

carrellate: la panoramica consiste in un movimento rotatorio della m.d.p. sul proprio asse e ha, dunque, andamento circolare in senso orizzontale (verso destra → o verso sinistra ← ) o in senso verticale (in alto ↑ o in basso ↓ ) — una combinazione dei due movimenti produce una panoramica obliqua. Generalmente, questo tipo di movimento non implica avvicinamento o allontanamento dal soggetto ripreso, quanto una modificazione dei bordi dell'immagine, andando a guadagnare porzioni di spazio inizialmente escluse dal quadro. La carrellata, invece, prevede il movimento della m.d.p. nello spazio (si parla anche di carrellata ottica quando il movimento è solo apparente ed è ottenuto mediante una variazione della focale dell'obiettivo (per esempio grazie a uno zoom); tale movimento può avvenire in profondità (avanti � o indietro � ) o lateralmente (a destra � o a sinistra ); anche in questo caso è possibile combinare i due movimenti obliquamente (avanti a sinistra � avanti a destra � indietro a sinistra � indietro a destra � )13. In modo analogo, è possibile combinare carrelli e panoramiche per

ottenere movimenti molto fluidi nello spazio: ma a questo proposito la tradizione cinematografica e la pratica televisiva suggeriscono altri strumenti che, seppure è possibile identificare in sede di analisi e necessario riportare in sede di trascrizione, non sono dotati di specifiche abbreviazioni. Si tratta dei cosiddetto dolly, una sorta di piccola gru su cui

13 Il simbolo qui adottato è puramente convenzionale; se ne possono trovare di analoghi che fanno riferimento ad altro tipo di convenzione (ad es. la freccia orientata con un punto alla base •_ ).

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è montata la m.d.p., del camera car, una m.d.p. installata su un'automobile o un altro veicolo e, soprattutto, della steady cam, un complesso sistema stabilizzatore che permette all'operatore di spostare la m.d.p. con la stessa agilità di una camera a mano ma con un effetto di grande scorrevolezza e fluidità di ripresa.

4. La trascrizione grafica: un esempio

Giunti a questo punto, non resta che individuare un segmento di testo

da sottoporre a trascrizione grafica. Il problema iniziale potrebbe essere proprio la scelta di questo

segmento: quale (e quanta) parte del testo prendere in esame? Già s’è detto dell’opportunità di suddividere il testo in macrounità narrative (nuclei, sequenze, episodi)18 sulla base delle quali ricostruire, in relazione al contenuto diegetico, un albero del racconto. Una volta effettuata questa operazione preliminare, sarà più semplice effettuare la scelta delle sequenze da trascrivere graficamente: esse dovranno certamente apparire all’analista significative e, per quanto possibile, rappresentative nell’economia generale del testo e nella prospettiva adottata, ma senza che vengano meno i presupposti basilari di riconoscibilità e di coerenza interna al segmento. Tra le infinite possibilità che si aprono, non è infrequente il caso in cui

la scelta ricada sull’inizio del testo, sia per la maggior comodità di accesso, sia — soprattutto — per la particolare ricchezza semantica del frammento iniziale: studiosi come Marie-Claire Ropars o Roger Odin parlano a questo proposito di “matrice” del testo19 o della “generazione del film a partire dal suo inizio”. Il frammento qui proposto come esempio di trascrizione grafica è

proprio un inizio: si tratta infatti della sequenza d’apertura del film Rocco e i suoi fratelli, che sarà oggetto di analisi nella seconda parte del volume. Sul piano diegetico, essa si riferisce all’arrivo a Milano di Rosaria Parondi e dei suoi figli, immigrati dalla Lucania. La durata della sequenza è di 5’ 19”; non vi sono segni di interpunzione particolari, se non stacchi netti.

18 Cfr., in questo stesso volume, P. C. Rivoltella, L’analisi dei testi audiovisivi in situazione formativa, in particolare il § 3.2.1. 19 Si veda a questo proposito J. Aumont, M. Marie, L’analyse des films, Editions Nathan, Paris 1988 (tr. it. L’analisi dei film, Bulzoni, Roma 1996, pp. 115-118).

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Oltre alle abbreviazioni proposte precedentemente, i personaggi saranno indicati nella maniera seguente: B. Bigliettaio, C. Ciro, L. Luca, M. Madre, R. Rocco, S. Simone).

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1) 1’05” b/n Su sfondo nero scorrono i titoli di testa: “un film di LUCHINO VISCONTI prodotto da GOFFREDO LOMBARDO ROCCO E I SUOI FRATELLI Con ALAIN DELON RENATO SALVATORI ANNIE GIRARDOT KATINA PAXINOU ALESSANDRA PANARO SPIROS FOCAS MAX CARTIER CORRADO PANI ROCCO VIDOLAZZI CLAUDIA MORI ADRIANA ASTI ENZO FIERMONTE NINO CASTELNUOVO ROSARIO BORELLI RENATO TERRA c.s.c. E con ROGER HANIN PAOLO STOPPA SUZY DELAIR E con CLAUDIA CARDINALE Una produzione TITANUS co-produzione Italo-francese TITANUS Roma – LES FILMS MARCEAU Paris Da un soggetto di LUCHINO VISCONTI SUSO CECCHI D’AMICO VASCO PRATOLINI” 2) 49” b/n I.N. � del reticolato di copertura della Stazione Centrale di Milano in CM fino a sovrapporsi con i cancelli di accesso ai binari:

Musica con toni gravi e cupi Arpeggi di chitarra e inizio canzone dolce e malinconica “ Vai vai ….quanto è grande o …” Continua la canzone: “monno, la strada è lunga assaie”

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sullo sfondo si vede un treno in arrivo, mentre in primo piano passa un uomo che traina un carretto. Continuano i titoli di testa: “sceneggiatura e dialoghi SUSO CECCHI D’AMICO PASQUALE FESTA CAMPANILE MASSIMO FRANCIOSA ENRICO MEDIOLI LUCHINO VISCONTI Alcuni episodi del film sono ispirati al libro Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori pubblicato da parte di Feltrinelli Edizioni – Milano Aiuti regista RINALDO RICCI JERRY MACC Assistente alla regia LUCIO ORLANDINI Segretario di edizione ALBINO COCCO Ispettori di produzione ANNA DAVINI LUIGI CECCARELLI c.s.c. Segretari di produzione ROMOLO GERMANO MARIO LICARI Operatori alla macchina NINO CRISTIANI SILVANO IPPOLITI FRANCO DELLI COLLI Assistente operatore OSVALDO MASSIMI Tecnico del suono GIOVANNI ROSSI Fotografo di scena PAUL RONALD Aiuto architetto FERDINANDO GIOVANNONI Aiuto arredatore PASQUALE ROMANO Aiuto costumista BICE BRICHETTO Truccatore GIUSEPPE BANCHELLI Parrucchiere VASCO REGGIANI

“non dire ho sonne” “oh oh oh …..” “oh oh oh…” “Bellu paese mio… ”

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Scenografia e ambientazione MARIO GARBUGLIA Costumi PIETRO TOSI Montaggio MARIO SERANDREI” 3) 21” b/n I.N. In CL, dall’alto e leggermente angolata, la Stazione Centrale con vista dei binari e della tettoia Continuano i titoli di testa: “Musica di NINO ROTA diretta da FRANCO FERRARA edizioni musicali Titanus Canta Elio Mauro E’ vero – Nisa Dindi – Ed. Ariston- Canta Umberto Bindi – Disco Ricordi Tintarella di luna – De Filippi – Migliacci – Ed. Accordo Calypso in the rain – Luttazzi – Ed. Titanus Il mare – Pugliese – Viani – Ed. Curci La più bella del mondo – Marino Marini – Ed. Bridge – Testoni La musica del film è incisa su disco Titanus Produzione organizzata e diretta da GIUSEPPE BORDOGNI” Fotografia GIUSEPPE ROTUNNO Regia di LUCHINO VISCONTI 4) 7” b/n I.N. TOT vagone del treno appena giunto alla Stazione Centrale dal quale scendono i passeggeri mentre si fanno loro incontro amici e parenti 5) 15” b/n I.N. Interno della carrozza del treno: MF di

“addù so nate…” “lu core mio cu’tte…” Continua la canzone: “l’aggio lasciate” “oh oh oh… oh oh oh…” Dissolve la musica in sottofondo Vociare indistinto di persone e sibilo del treno che frena S. – Curaggio, scende o ma’.

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Simone, Ciro e Rosaria con leggera → che va a scoprire i vari personaggi; davanti alla MdP passa Rocco di spalle 6) 13” b/n I.N. TOT Esterno del vagone: in una luce fioca Ciro aiuta la madre Rosaria a scendere dal treno; nella discesa la madre incrocia la folla di passeggeri. Simone dal finestrino passa a Rocco i bagagli 7) 10” b/n I.N. MF di Simone che dal finestrino scarica i bagagli, tra cui una collana di aglio, e si infila il cappello; leggera → a seguire Simone che scende 8) 11” b/n I.N. TOT Esterno del vagone del treno da cui scende Simone; leggera → ad inquadrare in FI tutti i Parondi con i loro bagagli sul binario 9) 35” b/n I.N. MF Ciro e Rosaria con → su Simone e Rocco, poi ← fino a PP di Simone, Ciro e Rosaria e quindi decisa ← a seguire Simone che se ne va verso la fine del binario a sinistra del quadro scoprendo l’insegna del treno (BARI – MILANO)

Curaggio, siamo a Milano. Ehi su, Luca, forza, siamo a Milano! C. – Finalmente! Vociare di persone in sottofondo C. – Vie’ ma’, nun si’ stanca S. - Rocco, u’ panaro! … Vociare di persone in sottofondo Vociare in sottofondo S. - C’è tutto, ma’! C. - Oh Luca, che tieni sonno? M.– Avete pigliato tutta ‘a roba? S. – Ro’, mantienime u’ momento R. - Vince’ non c’è ancora… C. - Nu saccio, ma’… M. - Pecché nun c’è ancora? C. - Forse ci aspetta fuori … Vociare in sottofondo M. – Simone, Simone, perché Vincenzo non c’è? S. - Eh… C.- Ma non è lui quello là fuori? M. - Quale, io non vedo, guarda un po’ tu… S. – Tieni qua.. C. - Dai retta a me, nun te preoccupa’! S.- Ohi, ma’, voi che vad’io a

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Simone in FI si gira e scuote le spalle tornando indietro verso la famiglia; dal treno escono degli sbuffi di fumo 10) 28” b/n I.N. CM del binario e del marciapiede: la famiglia Parondi di spalle si avvia verso l’uscita in alto e a sinistra del quadro; alcuni lavavetri stanno nel frattempo pulendo i finestrini del treno 11) 8” b/n I.N. CL angolato da sinistra della scalinata della stazione Centrale di Milano; di spalle i Parondi carichi di bagagli scendono le scale insieme ad altre persone che abbandonano la stazione 12) 16” b/n I.N. Su un tram MF di Simone con su PP di Rosaria e Luca; poi → e PP di Ciro e quindi → su PP di Rocco: tutti guardano fuori dal tram con espressione meravigliata 13) 3” b/n I.N. TOT carrozza finale del tram: sulla sinistra il bigliettaio, seduto al suo posto, mentre Simone passa davanti alla MdP per raggiungere Rocco 14) 12” b/n I.N. Simone e Rocco in MF guardano le luci delle vetrine fuori dal tram (si scorge l’insegna ALEMAGNA) 15) 23” b/n I.N. TOT carrozza finale del tram come inq. 13: sulla sinistra il bigliettaio, al suo posto; in

vede’ si trovo Vincenzo? M. – Sì ma nun t’allontanà, eh! S. - No! S.- Nun se vede nissuno! Dissolve il vociare delle persone; rumori di freni del treno Silenzio interrotto dal fischio dei freni di un treno e dal rumore di passi Continua il rumore di passi; leggera musica jazz, quasi di sottofondo, mossa e allegra con un contrappunto di contrabbasso M. – Che bello… Ciro, girate! C. – Vero, vero! Continua la musica jazz in sottofondo Continua la musica jazz in sottofondo S.- Guarda….guarda che vetrine, che luci…. Continua la musica jazz in sottofondo S.- Sembra giorno…. Continua musica di

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fondo alcuni passeggeri e in primo piano Rosaria e Luca seduti; a un cenno di Rosaria il bigliettaio si alza e va a raggiungerla, piegandosi verso di lei che gli mostra un foglio: l’uomo, mentre parla, fa ampi gesti Rosaria mostra orgogliosa al bigliettaio il retro del foglio, e scopre due foto del figlio 16) 3” b/n DETT 2 fotografie di Vincenzo tenute in mano da Rosaria

sottofondo M. – Sentite… B.- Prego! M.- Addu potemmo scende per anda’ a ‘stu indirizzo? B. - E’ in fondo, in fondo al capolinea M. - Capolinea… B. – Capolinea è in fondo, finita la corsa M. - E dopo? B. - E’ a Lambrate M. - Lambrate? B. - Lambrate, scende a Lambrate. M. - Mio figlio! B. - Suo figlio? M. - Mio figlio, u’ primo! B. - Ah, il più grande! Continua la musica di sottofondo M. - E’ lui ch’aggiamo a truva’ adesso! Continua la musica di sottofondo