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25 ROCCA 1 AGOSTO 2017 DIARIO SCOLASTICO ANNO SESTO depressione post-maturità e adesso, cosa faccio? innegabile che l’esame di Stato costituisca uno dei primi, veri, ban- chi di prova per i giovani contem- poranei. Dopo aver trascorso cin- que anni all’interno di una struttu- ra più o meno protetta quale è la scuola, i ragazzi si trovano catapultati davanti ad una commissione, formata in gran parte da sconosciuti, a rispondere ad un fuoco incrociato di quesiti, cercando di dimostrare di aver acquisito conoscen- ze generali, competenze comunicative e abilità logiche accettabili. Si tratta di un’esperienza importante, perlomeno a li- vello simbolico, perché assume le forme di un laico rito di passaggio. Ma, accanto a queste considerazioni, l’esame diviene anche un’occasione per riflettere sulle tra- sformazioni antropologiche che caratteriz- zano il nostro tempo liquido e accelerato. dal torpore sonnacchioso al sacro furore In primo luogo, è oggetto di una sorta di Marco Gallizioli È rimozione, soprattutto proprio da parte dei protagonisti: molti allievi dell’ultimo anno di corso realizzano che dovranno affron- tare un esame impegnativo solo verso la metà del secondo quadrimestre, quando sono scossi da un vero e proprio risveglio post-traumatico. Solo verso marzo-aprile si rendono conto, infatti, che dovranno di- mostrarsi preparati su tutto il programma della maggior parte delle discipline e, in più, che dovranno elaborare una tesina multidisciplinare, da cui partire per dimo- strare le loro capacità. Immaginatevi lo shock: su tutto il programma? Di quasi tutte le materie? Il torpore sonnacchioso e indolente, allora, si innerva improvvisa- mente di un sacro furore, generando vere e proprie reazioni a catena, per lo più po- sitive: i sensi si tendono, lo sguardo si affi- na, la postura si raddrizza, le creste si ab- bassano. Compaiono gli occhiali da vista, che fanno tanto intellettuale, le barbe dei ragazzi si infittiscono a mo’ di pasionario sessantottino (se così si può dire, visto che

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depressione post-maturitàe adesso, cosa faccio?

innegabile che l’esame di Statocostituisca uno dei primi, veri, ban-chi di prova per i giovani contem-poranei. Dopo aver trascorso cin-que anni all’interno di una struttu-ra più o meno protetta quale è

la scuola, i ragazzi si trovano catapultatidavanti ad una commissione, formata ingran parte da sconosciuti, a rispondere adun fuoco incrociato di quesiti, cercandodi dimostrare di aver acquisito conoscen-ze generali, competenze comunicative eabilità logiche accettabili. Si tratta diun’esperienza importante, perlomeno a li-vello simbolico, perché assume le formedi un laico rito di passaggio. Ma, accantoa queste considerazioni, l’esame divieneanche un’occasione per riflettere sulle tra-sformazioni antropologiche che caratteriz-zano il nostro tempo liquido e accelerato.

dal torpore sonnacchioso al sacro furore

In primo luogo, è oggetto di una sorta di

MarcoGallizioli È rimozione, soprattutto proprio da parte dei

protagonisti: molti allievi dell’ultimo annodi corso realizzano che dovranno affron-tare un esame impegnativo solo verso lametà del secondo quadrimestre, quandosono scossi da un vero e proprio risvegliopost-traumatico. Solo verso marzo-aprilesi rendono conto, infatti, che dovranno di-mostrarsi preparati su tutto il programmadella maggior parte delle discipline e, inpiù, che dovranno elaborare una tesinamultidisciplinare, da cui partire per dimo-strare le loro capacità. Immaginatevi loshock: su tutto il programma? Di quasitutte le materie? Il torpore sonnacchiosoe indolente, allora, si innerva improvvisa-mente di un sacro furore, generando veree proprie reazioni a catena, per lo più po-sitive: i sensi si tendono, lo sguardo si affi-na, la postura si raddrizza, le creste si ab-bassano. Compaiono gli occhiali da vista,che fanno tanto intellettuale, le barbe deiragazzi si infittiscono a mo’ di pasionariosessantottino (se così si può dire, visto che

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per i ragazzi il ’68 è confinato nella prei-storia, avvolto nelle nebbie di un passatoperduto per sempre), il make up delle ra-gazze diviene più sobrio e sfumato. Si pa-lesano, poi, i dubbi amletici sull’argomen-to della tesina: è preferibile un percorsointerdisciplinare, o un approfondimentomonotematico? Una semplice mappa con-cettuale, o una relazione dettagliata? Unapresentazione su power point, o su sup-porto cartaceo, che fa tanto vintage? Poi sisa che i prof tanto svelti con le tecnologienon sono: c’è caso che per caricare un filee video-proiettarlo se ne vada la maggiorparte dei minuti a disposizione.

prooof... aiuto!

Il tema dell’approfondimento, poi, divie-ne una vera e propria vexata quaestio: cosaportare? E così, cominciano le domandeagli insegnanti, prima timide e impaccia-te, poi sempre più pressanti e disperate checomportano vere e proprie richieste di aiu-to, appostamenti dietro ogni angolo deicorridoi scolastici, all’uscita dalla toiletteinsegnanti e dell’aula docenti, incontri«fortuiti» sotto casa, sia quella reale sia

quella mediatica, visto che tutti siamoesposti e rintracciabili in rete. «Proooof…non so cosa fare, non ho un’idea valida…»,diventa il mantra che i docenti, soprattut-to quelli delle discipline umanistiche, sisentono ripetere con insistenza da marzoin avanti. E quando tu, insegnante, li sol-leciti a partire dai loro interessi, dalle loroletture, dalle loro attese, ti rendi conto chemolti ragazzi non sono stati educati a col-tivare interessi personali, letture indivi-duali, sogni, per cui faticano a trovare ilbandolo della matassa. Eccolo lì, dirà illettore: anche Gallizioli si è trasformatoin uno di quei docenti lagnosi e barbogi,sempre pronti a proiettare sulle giovanigenerazioni ogni sorta di negatività. Nonposso negare di appartenere anch’io allacategoria dei docenti e, in quanto tale, diessere stato contagiato dal virus della «la-mentite» acuta, ma, a mia parziale discol-pa, vorrei sottolineare che, quando regi-stro che i ragazzi faticano ad elaborarepercorsi di approfondimento a partire daipropri interessi, implicitamente pongo inrilievo che è il mondo degli adulti a nonaver saputo instillare il gusto della ricer-ca, a non aver educato alla proiezione ver-

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so il futuro. Poi occorre riconoscere che,dopo aver fatto piazza pulita delle primeidee che ci vengono offerte dai ragazzi,quasi tutte tratte dalla frequentazione deisiti per studenti, con itinerari di approfon-dimento già strutturati e, in quanto tali,insopportabilmente noiosi, e, soprattutto,dopo essersi trangugiati un po’ di banalitàe di collegamenti multidisciplinari un po’fantasiosi, le idee vengono fuori ed alcunesono anche interessanti, originali e belle.

i Rolling Stones e la geografia

Certo, quando mi riferisco a collegamentiforzati, non lo faccio per dire. Ad esem-pio, un mio studente in crisi di tesina, dopoessere stato sollecitato a dirmi che cosatrovasse davvero «alto», interessante, in-novativo, mi ha confessato di nutrire dasempre una smodata passione per l’artedei Rolling Stones. Benissimo, ho pensatotra me e me, cosa ci può essere di meglioche un’iniezione di sano rock alle 8 dimattina per risvegliare la commissioned’esame dal suo torpore atavico? Dunque,partendo da questa suggestione, abbiamopotuto individuare un percorso di appro-

fondimento che si estendesse ad altre ma-terie, anche se ne rimaneva esclusa una,in particolare: geografia. Per il mio studen-te, l’esclusione della geografia rappresen-tava un vulnus profondo e irreparabile,tanto che per giorni l’ho visto preoccupa-to, se non angosciato, di non riuscire adindividuare un qualsivoglia collegamento.Finché, dopo circa un paio di settimane,l’ho visto venirmi incontro lungo il corri-doio scolastico col sorriso sulle labbra ti-pico del trionfatore, gongolante perchénon vedeva l’ora di confessarmi che, allafine, il collegamento l’aveva potuto istitui-re tra i Rolling Stones e la geografia e chel’aveva individuato nel fenomeno delle fra-ne. Deluso dalla mia espressione terrea eagghiacciata, il ragazzo, pensando sicura-mente tra sé a quanto possano essere duridi comprendonio a volte certi professori,mi ha ribadito, alzando la mano all’altez-za del mio naso e unendo a ferro di caval-lo il pollice e l’indice per mostrarmi visi-vamente il nesso, che «rolling stones», ininglese, significa «pietre rotolanti» e le fra-ne sono pietre rotolanti, in qualche modo.Credo che la mia reazione gli abbia per-messo di istituire con immediatezza un

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altro collegamento, ossia tra il suo collo ele teste rotolanti ghigliottinate durante laRivoluzione francese; ergo, lasciando sfu-mare la voce come in un disco pop, il ra-gazzo ha compreso che non avevo graditoil collegamento e si è dileguato, ritornan-do a più miti consigli. Ovviamente, questosi tratta di un caso limite e, a suo modo,simpatico. Si deve, infatti, riconoscere che,dopo aver lottato per l’individuazione dipercorsi di ricerca originali e, soprattutto,significativi, ci si può imbattere anche inlavori interessanti, ben strutturati e ricchidi spunti, che consentono al candidato dipresentarsi davanti alla commissione conqualcosa di valido da comunicare.

e adesso, prof., cosa faccio?

Il vero problema, tuttavia, non è costitui-to tanto dal percorso individuale, cultura-le, emotivo che ogni studente deve intra-prendere per affrontare con successo l’esa-me conclusivo delle scuole superiori, quan-to lo sgomento che li assale una volta chequesto è stato superato. Qualche giorno fa,ho ricevuto una telefonata da una ragazzaappena diplomata in profonda crisi per-ché, dopo aver sostenuto l’orale, si è ac-corta di non avere nessuna valida opzionein mano. «E adesso, prof, cosa faccio?»,mi ha chiesto quasi in lacrime. Per inqua-drare correttamente la situazione, il letto-re deve immaginarsi una brava ragazza,che si è impegnata sempre con dedizionee forza di volontà, raggiungendo un livel-lo apprezzabile di preparazione. Una ra-gazza come tante, ma con il plusvalore dinon essersi mai difesa dalla fatica dellostudio, di non aver mai giocato al ribasso,di non aver mai bigiato una lezione. Unaragazza che vorrebbe svolgere un lavorodecente e appagante, anche senza imma-ginarsi ballerina, cantante, showgirl, gior-nalista, attrice; una ragazza che, se fossenata trenta o quarant’anni fa, si sarebbeiscritta ad una facoltà umanistica, o scien-tifica, si sarebbe impegnata con determi-nazione nello studio, si sarebbe laureatain corso e avrebbe vagliato alcune offertedi lavoro, cominciando a costruire la pro-pria vita senza dovere sforzare in manieraeccessiva la sua creatività per inventarsiuno straccio di lavoro. Questa allieva èl’emblema di centinaia di ragazzi contem-poranei che, al contrario di quanto si pen-si, sono seri, capaci, volenterosi ma per iquali sembra non esserci posto nel nostromercato del lavoro: un impiego inun’azienda, in banca, nella scuola, inun’amministrazione pubblica, alle poste.

No, niente, nisba, nulla. «E adesso, cosafaccio?» mi domanda, quando sa che suasorella, appena laureatasi in Legge, non sadove sbattere la testa, quando sa che altrisuoi amici devono arrabattarsi per lavo-rare un po’ qua e un po’ là, ed altri sonoandati a Londra o a Parigi, e non per faregli stilisti o i capitani d’industria, ma perfare i camerieri o, i più fortunati, gli im-piegati. Se si è di sesso femminile, poi, egiovani, l’accesso al mondo del lavoro èancora più difficile, perché grava sulle gio-vani donne la «terribile» ombra del fattoche potrebbero aspirare a costruirsi unafamiglia, rimanendo incinte.

e adesso? arrangiati

«E adesso, cosa faccio?», mi ha detto pro-prio così la mia studentessa, quella che lascuola ha saputo formare, sostenere e mo-tivare, ma che la società non sa come gesti-re e come valorizzare. Questa domandadovrebbe interpellare i politici, i ministri, inostri parlamentari, certo, ma anche, inmaniera più diretta gli adulti, in particola-re quelli a diverso titolo coinvolti con lenuove generazioni, perché genitori, o non-ni, o insegnanti o amministratori pubblicio quello che si vuole. Dovrebbe farci com-prendere che l’alternanza «scuola-lavoro»,alla quale con la buona scuola renzianasono chiamati tutti gli studenti, non si do-vrebbe risolvere, come spesso accade, al-l’italiana, ossia nel mandare i ragazzi un po’qua e un po’ là a fare degli stage il più dellevolte inconcludenti e poco formativi, madovrebbe rappresentare una preoccupazio-ne educativa di ben altro livello, che coin-volga l’intera società nello sforzo di pensa-re un futuro accettabile, decoroso e acces-sibile per le nuove generazioni. Un futuroin cui la domanda «e adesso cosa faccio?»non dovrebbe essere dettata dal non sape-re dove sbattere la testa, ma, semmai, dal-l’imbarazzo della scelta tra le moltepliciopportunità. Lo sforzo di pensare anche intermini di occupazione non può più essererimandato e la scuola, a mio avviso, develasciarsi interpellare da questa urgenza,divenendo fucina di idee. Altrimenti le no-stre risposte di adulti alla domanda «ades-so, cosa faccio», anche se all’apparenza so-lidali, accorate, preoccupate e solidali, suo-neranno alle orecchie dei nostri ragazzicome un inesorabile: «adesso? Adesso ar-rangiati!». E questo, una società civile e de-mocratica, di una repubblica fondata sullavoro proprio non se lo può permettere.

Marco Gallizioli

dello stesso Autore

pp. 112 - i 13,00

(vedi Indicein RoccaLibriwww.rocca.cittadella.org)

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