Denaro e Bellezza - Palazzo Strozzi deb italiano definitivo... · scoprirono che l’arte, che...

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a cura di Ludovica Sebregondi e Tim Parks Firenze, Palazzo Strozzi. 17 settembre 2011 22 gennaio 2012 Denaro e Bellezza I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità

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a cura diLudovica Sebregondie Tim Parks

Firenze, Palazzo Strozzi.17 settembre 201122 gennaio 2012

Denaroe BellezzaI banchieri,Botticellie il rogodelle vanità

STATE PER INIZIARE UN VIAGGIO ALLE ORIGINI DEL SISTEMA BANCARIO MODERNO

Senza banchieri niente Rinascimento. Non solo per le immense somme di denaro che questi uomini investivano in dipinti e palazzi, ma anche perché erano sempre in ansia per la disapprovazione della Chiesa. Ogni prestito dato a interesse era un peccato contro natura: gli usurai andavano all’inferno.Per tutta risposta, questi ricchi cristiani si ingegnavano a escogitare prestiti vantaggiosi che non comportassero interessi. Placavano la Chiesa con donazioni e scoprirono che l’arte, che poteva essere comprata con il denaro, creava un valore che andava oltre il denaro: l’arte conferiva prestigio sociale, e poteva anche rendere la Chiesa più accogliente. Certi uomini di Chiesa erano felicissimi di accettare i soldi dei banchieri. Altri invece, come Savonarola, non scendevano mai a compromessi.

Durante il viaggio avrete due guide. La storica dell’arte Ludovica Sebregondi, autrice di Iconografia di Girolamo Savonarola, 1495-1998, e Tim Parks, scrittore e traduttore, autore di La Fortuna dei Medici. Finanza, teologia e arte nella Firenze del Quattrocento. Le loro voci danno vita a un duetto in cui vengono presentati punti di vista diversi (e a volte contrastanti) delle opere in mostra.

1.1Statuti dei monetieri1314-1461codice pergamenaceo legato in mezzo cuoio e assi di legno imbullettate; cc. 22cm 29 x 21Firenze, Archivio di Stato, Ufficiali della Moneta, poi Maestri di Zecca, 1

I monetieri, o Ufficiali della Zecca, sovrintendevano alla fabbricazione delle monete, di cui dovevano controllare il conio – la matrice in acciaio con i simboli da imprimere – e la regolarità di peso e fattura. L’elezione dei due ufficiali, in carica per sei mesi, spettava all’Arte dei Mercanti di Calimala, addetta al commercio internazionale, e all’Arte del Cambio. Per evitare frodi, dal Trecento gli Ufficiali cominciarono a marcare le monete con un simbolo o lo stemma.L.S.Aureole e monete. Il Giovanni Battista biblico viveva in povertà indossando una veste di peli di cammello. La Zecca fiorentina lo ammanta anche di scarlatto, simbolo di ricchezza e autorità. Come santo patrono di Firenze figurava su ogni fiorino coniato dalla Zecca. Una confortante fusione tra soldi e santità. Lo statuto contiene le norme atte a prevenire frodi e contraffazioni, oltre ai dettagli dei condannati per questi reati tra il 1314 e il 1461.T.P.

1.2Il Fiorinaio1317-1834registro pergamenaceo legato in cuoio e assi di legno, con borchie e fermagli metallici; cc. 235cm 47,5 x 35; Firenze, Archivio di Stato, Ufficiali della Moneta, poi Maestri di Zecca, 79, c. 14rLa Zecca era un servizio offerto ai privati cittadini che acquistavano oro in lingotti o monete estere e lo convertivano in fiorini, soprattutto per transazioni commerciali, pagando una piccola percentuale di commissione. Il Comune non regolava l’emissione di denaro, ma questo registro riporta numeri e immagini di tutte le monete coniate. La città era così ricca che tra il 1344 e il 1351 erogò più di 100.000 fiorini all’anno.T.P.

Sezione 1Il fiorino, immagine di Firenze nel mondo

Prima che i governi sottoscrivessero il valore della moneta, di carta o metallo, il denaro doveva avere un valore intrinseco; doveva essere d’oro o d’argento. Solo così un mercante l’avrebbe scambiato con i suoi prodotti. Serviva però un’ampia gamma di monete per far fronte alle spese grandi e piccole. Agli inizi del ’200, a Firenze come in molte altre città dell’Europa occidentale, si usava ancora il denaro d’argento creato con le riforme di Carlo Magno, ma valeva così poco che lo si doveva integrare con monete di maggior valore provenienti da Lucca e Siena. L’impetuoso sviluppo dell’economia rendeva necessaria la presenza di una valuta più adatta alle grandi transazioni. Nel 1237 nacque la Zecca di Firenze, che coniò dapprima il fiorino grosso d’argento, del valore di 12 denari (o un soldo), e nel 1252 il fiorino d’oro, pari a 20 soldi (o una lira). Era una moneta serissima in oro puro a 24 carati del peso di 3,53 g, che oggi verrebbe a costare 110 euro o 150 dollari. Le ambizioni della città furono presto premiate. Alla fine del secolo il fiorino era già in uso in tutta Europa, non solo come moneta reale ma anche come valuta di conto. Il successo conferì grande prestigio a Firenze e si rivelò una risorsa importante per mercanti e banchieri della città.T.P.

1.3Fiorino d’oro (III serie)1252-1303oro Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Da un lato il giglio di Firenze, dall’altro Giovanni Battista: politica e preghiera fuse assieme, nell’oro. Introdotto nel 1252, il fiorino sarebbe rimasto per 200 anni la moneta privilegiata per le transazioni commerciali nell’Europa occidentale. Sebbene in origine valesse 20 fiorini d’argento (o 20 soldi), il fiorino d’oro era una moneta ben distinta, il cui valore aumentò con il calo del prezzo dell’argento. Nel 1533 raggiunse i 150 fiorini d’argento.T.P.

1.8, 1.10Fiorino d’oro (XI serie)II semestre 1375 oroFirenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 253 Monete

Fiorino d’oro (XXI serie)II semestre 1422oro; Ø cm 2,04; peso g 3,47Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 275 Monete

Gli intagliatori dei coni (o punzoni) erano orafi che lavoravano per la Zecca. Michelozzo di Bartolomeo (che fu anche architetto di fiducia di Cosimo de’ Medici e raffinato scultore) iniziò a collaborare con la Zecca nel 1410, quattordicenne, per un compenso annuo di 20 fiorini. All’epoca si cominciava a lavorare come apprendisti nelle botteghe poco più che bambini, imparando le diverse tecniche: una prassi che è all’origine dell’eclettismo degli artisti rinascimentali.L.S.

1.4, 1.5, 1.6Fiorino vecchio da denari 12 (I serie) 1250/1252-1260argento; Ø cm 1,96; peso g 1,75Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 1 Monete

Fiorino grosso (popolino) da soldi due 1306argento; Ø cm 1,98; peso g 1,77Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 12 Monete

Fiorino grosso da denari ventiII semestre 1316 argento; Ø cm 2,0; peso g 1,44Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 29 Monete

Non era semplice. Servivano 12 denari per 1 soldo e 20 soldi per 1 lira (anche se non esisteva una moneta di questo valore). Il fiorino d’argento valeva 1 soldo, il grosso 2. Il grosso guelfo (5 soldi e 6 denari) subentrò con il declino del prezzo dell’argento, che rese necessarie monete di maggior valore. L’anomalia era il grosso da 20 denari (1 soldo e 8 denari), un multiplo disorientante presto ritirato.T.P.

1.13Jacopo di Cione, Niccolò di Tommaso, Simone di Lapo, Incoronazione della Vergine, con i santi Giovanni Battista, Caterina d’Alessandria, Anna, Matteo, Vittore papa, Giovanni Evangelista, Zanobi, Barnaba, Antonio abate,Reparata; I profeti Isaia ed Ezechiele (spicchi superiori); Stemmi della Zecca fiorentina (gradino) 1372-1373tavolacm 350 x 192,3Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 1890 n. 456

Nella pala, destinata alla sede della Zecca, sono riuniti i santi protettori di Firenze tra cui Giovanni Battista e Anna, che sorregge il modello della città. Cinta da mura, con il Battistero e la cattedrale, Firenze è ricordata com’era al tempo della cacciata del duca d’Atene, avvenuta il giorno della festa della santa (26 luglio 1343). Nel gradino, tra gli altri, gli stemmi dell’Arte dei Mercanti (aquila con il torsello, o balla di mercanzia), e del Cambio (i bisanti, cioè monete).L.S.L’Incoronazione della Vergine consente al committente di cingere d’oro la testa della Madonna. Era un soggetto caro ai mercanti banchieri della Firenze rinascimentale. Qui la Zecca fiorentina commissiona un’immagine del regno di Dio, i cui valori sono sublimi e indivisibili, per ornare un edificio nel quale si forgia denaro contante.T.P.

1.7, 1.9, 1.11, 1.12Picciolo da denari uno (o denaro)I semestre 1323argento, Ø cm 1,5; peso g 0,52Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 839 Monete

Grosso guelfo da soldi cinque denari seiI semestre 1402-II semestre 1406argento; Ø cm 2,34; peso g 2,50Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 38 Monete

Soldino da denari dodiciI semestre 1465argento; Ø cm 1,51; peso: 0,52 gFirenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 93 Monete

Quattrino bianco da denari quattroI semestre 1493argento; Ø cm 183; peso g 0,72Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 830 Monete

Anche l’estetica conta. Il picciolo, che valeva un denaro, era chiamato fiorino nero a causa dell’aspetto misero. Dal 1325, per la gioia dei cittadini, la Zecca vi applicò una placcatura d’argento. Il superiore contenuto d’argento valse al quattrino, pari a 4 denari, l’appellativo di “bianco”. Le monete dovevano anche mostrare il loro valore altrimenti la gente avrebbe usato altre valute, perché l’importante era la quantità di metallo prezioso, non chi le aveva coniate.T.P.

2.1Tommaso di Piero Trombetto (Prato 1464-post 1527)Ritratto di Francesco di Marco Datini1491-1492 tavolacm 131 x 69 Prato, Fondazione Casa Pia dei Ceppi

Il ritratto celebra Datini, fondatore dell’ospedale di Prato, circondato dai simboli della ricchezza: la sopravveste bordata di ermellino, gli anelli, la tappezzeria, il pavimento in marmo. Tutti prodotti riservati al ceto dirigente, cui Datini si era elevato con l’attività mercantile e creditizia. Dalla moglie non riuscì ad avere figli, ma si dimostrò generoso verso gli illegittimi, e non solo i propri: con un lascito di 1000 fiorini sollecitò Firenze a costruire un ospedale per i trovatelli.L.S.Un uomo «che tenea la femmina, e viveano solo a starne, adorando lo’ arte, lo’ invio e ’l danaro, dimenticando Iddio e se stesso», Francesco Datini, l’infaticabile mercante di Prato, nella sua lunga vita avrà fissato un prezzo per ogni bene immaginabile, compresa la schiava ventenne che gli diede l’unica figlia che riconobbe: Ginevra. Morì nel 1410 lasciando 124.549 lettere d’affari, 573 libri contabili e una fortuna di oltre 100.000 fiorini. La veste scarlatta sarà costata circa 80 fiorini, ben più della schiava.T.P.

2.2Pittore fiorentinoIl miracolo del Crocifisso dei Bianchi (Il miracolo; Le onoranze al crocifisso; La processione) post 1399tempera su tavolaEmpoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. 11

La predella narra un miracolo avvenuto vicino a Prato il 24 agosto 1399, quando un mandorlo secco, cui era stata appoggiata una croce, fiorì durante una processione dei Bianchi, il movimento che attraversò l’Italia alla vigilia del giubileo. Il pellegrinaggio raffigurato ha portata locale, come quello cui prese parte Datini: per nove giorni i fedeli – scalzi e con una veste bianca dalla croce rossa – seguivano crocifissi, dormivano sulla paglia, si astenevano dalla carne e si flagellavano invocando “misericordia e pace”.L.S.

Sezione 2Tutto è monetizzabile?

Lo straordinario vantaggio del denaro è che consente di accumulare ricchezza per poi dividerla e usarla a piacimento. Lo svantaggio è che ogni prodotto e servizio assume un valore unitario, autorizzando i paragoni più improbabili: una botte di vino costa 20 soldi, una preghiera per un caro defunto 10, una prostituta 15. Questo ci turba. Non sembra giusto porre sullo stesso piano cose così diverse. Il disagio era tanto maggiore in un periodo in cui le differenze sociali erano viste come un riflesso del volere di Dio. Nella Firenze del ’300, in molti lamentavano come il denaro potesse permettere ai più volgari di ambire a un ceto superiore o perfino mandarli «en paradiso». Il libero uso del denaro minacciava sia lo status quo sia la metafisica cristiana. Sono qui esposti vari oggetti e immagini, sacri e non, che rimandano alla tensione tra valore monetario e valori spirituali. La Madonna fu dipinta per affiancare un privato cittadino nelle preghiere, ma solo i più ricchi potevano permettersi un’opera simile; l’assistenza religiosa era diventata un bene di lusso. E pur avendo partorito in una stalla, la Madonna indossa abiti fini e costosi.T.P.

2.4Libro delle gabellemetà del XIV secolomanoscritto membranaceomm 260 x 190; cc. II, 76, II’; legatura di restauro in assi, dorso in cuoioFirenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 2526

Dal 1427 le famiglie fiorentine dovettero denunciare reddito e patrimonio al fisco, ma era risaputo che le dichiarazioni erano falsate. Le entrate principali venivano dalle gabelle, dazi doganali applicati ai prodotti in entrata e uscita alle porte della città. Questo libro ne riporta a centinaia. Spesso il Comune ne concedeva la riscossione ai banchieri per onorare i prestiti. La corruzione non mancava: condannato nel 1410 per aver intascato il denaro delle gabelle, Pippo di Giovanni di Nuto fu punito con l’amputazione di naso e orecchie. T.P.

2.5Theatrum sanitatis XIV-XV secolominiatura su pergamenamm 346 x 242Roma, Biblioteca Casanatense, Ms. 4182, c. 170

I Tacuina sanitatis sono prontuari medici di origine araba che illustrano, attraverso immagini accompagnate da brevi testi esplicativi, le proprietà di erbe e piante e i principi alla base del mantenimento della salute. I primi furono realizzati alla corte dei Visconti, di cui restituiscono l’elegante ambiente tardo gotico, testimoniando usi, costumi e vita quotidiana della società di fine Trecento, epoca di Datini.L.S.«Sono tante le medicine… che voi pigliate che v’à indebolito lo stomaco» scrisse un amico a Francesco Datini. Oltre alla santità, i ricchi mercanti bramavano di comprare anche la salute, consultando trattati come il Theatrum Sanitatis e abusando di erbe e sciroppi. Il denaro non bastò a salvare gli uomini della famiglia Medici dalla gotta; spesso il dolore impediva loro di mostrare agli ospiti gli sfarzi del loro palazzo. La visita di un medico costava da 1 a 3 fiorini. L’aspettativa media di vita era sotto i trent’anni.T.P.

Incalzato dall’amico Lapo Mazzei a lasciar perdere il denaro e pensare alla sua anima, nel 1399 Francesco Datini partì per un pellegrinaggio penitenziale di nove giorni con i Bianchi, «tutti scalzi… con una ferza in mano, battendoci con essa». Lo zelante contabile, però, non poté non annotare che un rosario costava 14 soldi e 8 denari. «Iddio il faccia valevole all’anime di tutti» concluse.T.P.

2.3Beato Angelico (Fra Giovanni da Fiesole, Guido di Pietro; Vicchio 1395 circa-Roma 1455) (?)Madonna in trono con Gesù Bambino inizi del XV secolotavolacm 63 x 34Firenze, Collezione Mario e Luigi Bellini, inv. 1645

Fra Angelico «potette essere ricco, e non se ne curò». Così dice Vasari. Si limitò a dipingere per i ricchi. Commissionata da un privato, quest’opera doveva esaltare la qualità delle preghiere del facoltoso cliente, cui non andavano ricordate le umili origini del Cristo. Francesco Datini suggerìagli agenti incaricati di procurare dipinti votivi, di aspettare che gli artisti avessero bisogno di soldi e poi tirare sul prezzo.Azzuro ultramarino 2 fiorini circa / Sfondo dorato 38 fiorini circa Opera dell’artista 35 fiorini circaT.P.

3.1Orcagna (Andrea di Cione; Firenze documentato 1346-1368)Punizione degli avari1345 circaaffresco staccatocm 246,2 x 336Firenze, Museo dell’Opera di Santa CroceDirezione Centrale per l’Amministrazione del FEC

Il frammento proviene da Santa Croce a Firenze. La scena era parte dell’Inferno, raffigurato come una montagna con cavità destinate ai peccatori, e mostra i dannati per avarizia, uno dei sette vizi capitali. Orcagna è il primo a seguire, nel contrappasso delle pene, la Commedia dantesca, e inserisce tra i dannati un papa, un cardinale, una monaca e laici agiati, ma nessun rappresentante di un ordine mendicante, come quello francescano, committente dell’affresco.L.S.I ricchi avari sono frustati con borse di denaro. Vescovi e cardinali inclusi. E a ragione: il clero aveva importanti depositi nelle banche fiorentine. Dipinti come questo dovevano mettere a disagio i facoltosi cittadini del Trecento, al momento di entrare in chiesa. Quando toccava a loro commissionare opere destinate a luoghi sacri, al giorno del Giudizio prediligevano immagini rassicuranti di persone agiate in venerazione della Vergine.T.P.

3.2Pesellino (Francesco di Stefano detto il; Firenze circa 1422-1457) Natività; Martirio di san Cosma e san Damiano; Sant’Antonio fa ritrovare nel forziere il cuore dell’usuraio (predella)1445 circa tavolacm 35 x 144 Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 8355

La predella fu commissionata da Cosimo de’ Medici che, temendo per la propria anima a causa dei guadagni illeciti, fece edificare e decorare luoghi sacri, individuando anche soggetti adeguati. Così scelse la storia dell’usuraio il cui cuore viene trovato nel forziere ed elesse Cosma e Damiano a patroni della famiglia. I due santi medici divennero i santi medicei: poiché avevano esercitato la professione senza

Sezione 3Usura

La parola usura indica pratiche finanziarie proibite dalla Chiesa: quando non c’è produzione o trasformazione di beni concreti, ma solo riscossione di un interesse in denaro sul denaro. Dalla tarda antichità a oggi, l’usura è uno dei grandi problemi che collega e disgiunge economia e morale. Tra i vizi capitali fissati dalla Chiesa l’usura rientra nell’avarizia, e l’usuraio pecca perché vende l’intervallo tra il momento in cui presta e quello in cui viene rimborsato con l’interesse: commercia dunque il tempo, che compete solo a Dio. Il veto trovò eccezioni: Tommaso d’Aquino pose le premesse per inserire il tasso di interesse fra i contratti leciti, mentre Bernardino da Siena precisò la distinzione tra usuraio e banchiere, la cui attività consente la circolazione della ricchezza, dato che il prestito è alla base del moderno sistema finanziario. In questa tensione si fecero strada le donazioni pro remedio animae (per la salvezza dell’anima), destinate a opere di bene, o d’arte, ma le rappresentazioni dei prestatori conservano sempre connotazioni negative. La figura dell’usuraio è legata a quella dell’ebreo: essendo proibite loro quasi tutte le attività, agli ebrei non restava che la medicina e il prestito. La Chiesa avvertì la necessità di aiutare chi fosse in difficoltà e i francescani, dal 1462, ispirarono e fondarono i Monti di Pietà come istituzioni antiusura.L.S.

3.4da Marinus van Reymerswaele (Reymerswaele 1490 circa-Middelburg, documentato fino al 1567)Gli usurai1540 circaolio su tavolacm 100 x 76Firenze, Museo Stibbert, inv. 4080

Due usurai, la cui ricchezza è testimoniata dagli abiti, registrano operazioni su un libro di conti circondati dai simboli dell’attività. I soldi hanno deformato corpi e volti, esasperando fino al grottesco i desideri nascosti e mostrandoli grifagni nell’aspetto e laidi nello spirito. Il soggetto fu spesso replicato in ambito fiammingo dopo la Riforma: l’intonazione moralistica risulta anche dalla frase sul libro, che invita a riflettere sull’inutilità delle ricchezze accumulate ingiustamente.L.S.Avevano sempre la penna in mano. «Sono ore 21» dice Datini «e non ò mangiato né bevuto e sono stato uno dì a sedere che mai sono uscito di casa, e sono per istare insino a sera sanza mangiare e domane sono per fare il simile». Qui l’artista aspira a catturare un tale fanatismo, con l’implicazione che il godimento dell’usuraio stava nel suo ossessivo annotare, calcolare e gongolare, il corpo curvo e teso sopra una penna in costante movimento.T.P.

3.5 Pittore mantovanoMadonna col Bambino e i santi Girolamo, offerente alla Vergine il modello di una chiesa, Giovanni Battista ed Elisabetta, al di sotto dei quali compaiono quattro appartenenti alla comunità ebraica1515 circaolio su telaMantova, Basilica di Sant’Andrea

Nel 1495 il banchiere ebreo Daniel Norsa ottiene di togliere immagini sacre cristiane dal muro esterno della sua casa di Mantova, ma la popolazione reagisce e assalta l’edificio. Dopo la vittoria di Francesco II Gonzaga su Carlo VIII a Fornovo viene eretta una chiesa al posto della casa: Santa Maria della Vittoria, con un dipinto del Mantegna (oggi al Louvre) che viene fatto pagare al Norsa. In questo contesto si inserisce la tela, in cui i due uomini della comunità

compenso, volle associare il loro agire disinteressato a quello della casata.L.S.Mai, disse Cosimo de’ Medici, avrebbe «potuto spendere tanto in onore di Dio che lo trovassi ne’ suoi libri debitore». Eppure si ostinava a commissionare dipinti votivi. Malgrado la veste raffinata, le storie qui raffigurate sono macabre: mentre i santi dottori Cosma e Damiano stanno per essere decapitati, sant’Antonio opera l’arduo miracolo di far comparire il cuore dell’usuraio non nel suo petto ma nel forziere. Cosimo spera di essere associato al santo che portava il suo nome, non al peccatore cui lo accomunava il mestiere.T.P.

3.3Jan Provoost (Mons 1462-Bruges 1529) L’avaro e la Morte 1505-1510olio su tavolacm 119,7 x 78,5 e 119, 8 x 78,7 Bruges, Musea Brugge, Groeningemuseum, inv. 0000.GRO0217.I-0218.I

La cosa curiosa, qui, è che il cambiavalute a convegno con la Morte è il committente stesso del dipinto. I pannelli, infatti, erano sul retro delle ante laterali di un trittico in cui figuravano il donatore, la moglie, e un’immagine centrale andata perduta. Chiudendo il trittico, i pannelli formavano un’unica scena. Ma che genere di patto si sta siglando? Le ipotesi abbondano. La mia idea è che con quest’opera il cambiavalute abbia voluto manifestare la premura che i suoi libri spirituali, a conti fatti, fossero in pareggio.T.P.

3.7Vicino da Ferrara (Ferrara 1432-1509)Bernardino da Feltre post 1494tempera su telacm 172 x 70Ferrara, Pinacoteca Nazionale, inv. 67

Bernardino da Feltre (1432-1509), al secolo Martino Tomitano, fu frate minore Osservante, famoso predicatore venerato già prima della beatificazione avvenuta nel 1654. Con la destra sorregge il «Mons Pietatis», simbolo dell’istituzione che contribuì a diffondere. Bernardino si scagliò contro gli ebrei, causando persecuzioni e morti, ma a Firenze i Medici adottarono misure protettive nei confronti della comunità ebraica, arrivando ad allontanare il frate dalla città.L.S.

3.8Incisore fiorentinoLa figura della vita eterna in Marco da Montegallo, Libro delli comandamenti di Dio del testamento vecchio et nuovo et sacri canoniFirenze, per Antonio Miscomini1494xilografiamm 210 x 138Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. E.6.3.99, c. 1v

Marco da Montegallo (1425-1496) frate dell’Osservanza francescana, fu un famoso predicatore impegnato nella fondazione dei Monti di Pietà. Nella xilografia predica davanti a una figurazione simbolica del Mons pietatis, circondato da sei gruppi di persone che rappresentano le opere di misericordia secondo il Vangelo di Matteo (25, 34-46). L’immagine attesta la tendenza a organizzare gli aiuti ai bisognosi in forma sempre più controllata attraverso istituzioni specializzate.L.S.

ebraica hanno le vesti contrassegnate dal segno (filugello) giallo.LS

3.6Scultore toscano (bottega di Agnolo di Polo?)Busto di sant’Antonino Pierozzifine del XV-primi decenni del XVI secoloterracotta policromatacm 58 x 60 x 32Firenze, Basilica di Santa Maria NovellaDirezione Centrale per l’Amministrazione del FEC

Il ritratto di Antonino (1389-1459), frate domenicano, priore di San Marco e arcivescovo di Firenze, è derivato dalla maschera mortuaria. A lui si deve la fondazione dei Buonomini di San Martino per aiutare coloro che, avendo goduto di un tenore di vita decoroso, si fossero trovati in difficoltà, anche – ma non solo – dopo il ritorno di Cosimo de’ Medici dall’esilio. Il culto di Antonino, e i suoi ritratti, si diffusero quando Savonarola ne esasperò le posizioni anti-medicee.L.S.Assunta la guida di San Marco dopo il costoso restauro pagato da Cosimo de’ Medici, Antonino criticò le celle «adorne nella maniera più frivola di sculture e pitture superflue». A capo dei domenicani, poi vescovo di Firenze, condannò l’usura e accusò la fazione di Cosimo di aver ridotto il contenuto d’argento nel picciolo, la moneta dei poveri. Ma quando fondò la Congregazione dei Buonomini di San Martino, Cosimo fu il maggior benefattore. Ecclesiastico e banchiere sono figure complementari.T.P.

4.1Incisore fiorentinoDe mercatanti et cambiatori in Jacopo da Cessole, Libro di giuocho di scacchi Firenze, per Antonio Miscomini1° marzo 1493/1494xilografiamm 205 x 141

Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, P. 5.4. Non facevano che pesare e misurare, e sempre con aria di grande solennità, come fosse una questione di somma importanza. Questo libro paragona ogni ruolo sociale a un pezzo degli scacchi, celebrando una società gerarchica in cui ciascuno ha una posizione fissa. In realtà la speculazione commerciale stava rendendo più fluida la società: qui il banchiere è annoverato fra i pedoni, ma negli scacchi alcuni pedoni assurgono a reali.T.P.

4.2Incisore fiorentinoAttività di un banco in Libro di Mercatantie et usanze de paesiFirenze [Bartolomeo de’ Libri], per Piero Pacini da Pescia1490 circaxilografiamm 154 x 104Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat. E.6.4.95, c. 1r

Il testo appartiene a un genere, le «Pratiche di mercanzia», manuali tascabili compilati da mercanti, che descrivevano le piazze, la moneta in corso, le valute accettate, le misure usate e il loro valore, i prodotti disponibili e la qualità. Già diffuso come manoscritto, venne poi dato alle stampe: l’esemplare è uscito dalla tipografia di Bartolomeo de’ Libri, l’editore è il notaio ser Piero Pacini da Pescia. L’interno di un banco è illustrato con intento descrittivo, non moraleggiante.L.S.Il mondo era frammentato. Ogni staterello aveva una valuta diversa, diversi pesi e misure, leggi commerciali, tasse, costi di spedizione e assicurazione. I tassi di cambio fluttuavano in base alle fiere e al periodo dell’anno. “Questo e el libro che tracta di mercatantie et usanze de paesi” annuncia la prima

Sezione 4Arte (e mistero) del cambio

Il bando della Chiesa sull’usura e le immagini di usurai che bruciavano all’inferno erano un forte deterrente. Tuttavia molti avevano bisogno di prestiti, e non aveva senso concederli senza un tornaconto. Serviva una soluzione che non solo aggirasse il divieto ma che non sembrasse affatto usura. «Il cambio è gentil trovato» scrisse Benedetto Cotrugli nel 1458, «cosa d’ingegno è difficile inseguire» e per giunta «quodadmodo impossibile a uno religioso intenderlo». Per oltre 200 anni fu la lettera di cambio a consentire ai banchieri di trarre profitti dai prestiti senza sentirsi usurai. Le città italiane non possedevano sempre valute estere in quantità, perciò per cambiare fiorini in, poniamo, sterline inglesi bisognava versare i fiorini a Firenze e ritirare le sterline a Londra. Ufficialmente servivano 90 giorni per arrivare a Londra, così c’era tempo per sfruttare quei fiorini prima di restituirli in sterline. Poiché il tasso di cambio favoriva sempre la moneta locale, chi incassava poteva fare un’analoga operazione di cambio a Londra per riconvertire le sterline in fiorini e dopo altri 90 giorni conseguire un profitto compreso tra il 10 e il 20 percento. La lettera di cambio legava la finanza al commercio, con la distanza e i tassi di cambio che rimpiazzavano il tempo e i tassi d’interesse.T.P.

più ordinaria, attesta l’artista, del nostro relazionarci agli altri tramite il denaro. Le mani sono tese e avide. In mezzo all’uomo e alla moglie, la candela si è spenta.T.P.

4.5Arte fiamminga o franceseBorsa a scarsella in cuoio scamosciato con otto tasche XVI secolocuoio ricamato; metallo forgiato, brunito e doratocm 28 x 26Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 1810 C

Sul tavolo del dipinto di Marinus van Reymerswaele è posata una borsa in pelle analoga a questa: un oggetto raro, fra i pochi superstiti di una produzione vasta, perduta non solo per l’uso intenso, ma anche perché non ritenuta meritevole di essere conservata. Le borse venivano utilizzate soprattutto da mercanti e viaggiatori: la tasca più grande ne contiene un’altra destinata ai beni più preziosi.L.S.

4.6Artista tedesco (Norimberga?)Bilancia per oro e pietre preziose di Hans II Harsdorf1497cassetta in legno ricoperto con carta dipinta; ferro; argento parzialmento dorato; filo; perlacassetta: cm 17,4 x 10,3 x 2,5, altezza dell’asta bipartita della bilancia (senza basamento) cm 22,8, diametro dei piatti della bilancia cm 2 Norimberga, Germanisches Nationalmuseum, Proprietà della Freiherrlich Harsdorfsche Familienstiftung, HG 11 161

I banchieri non si rassegnarono mai del tutto all’arido mondo di pesi, misure e valore monetario, ma agognarono sempre blasoni e nobiltà. Nessuno vuole essere ricordato solo per i propri soldi. Commissionata da Hans II Harsdorfer, capo della Zecca di Boemia dal 1496 al 1499, questa bilancia di precisione è accompagnata da sontuose immagini che alludono a un’affascinante e cavalleresca virilità.T.P.

pagina di questo solenne manuale di commercio; l’edizione qui esposta fu stampata in formato ridotto per portarla comodamente in viaggio. Nel 1490.T.P.

4.3Filippo CalandriTrattato di aritmeticafine del XV secolomanoscritto membranaceomm 170 x 110; cc. XII, 110; legatura di restauro (2000) in velluto azzurro su assiFirenze, Biblioteca Riccardiana, Ms. 2669

L’abaco era cosa complessa. Questo lussuoso trattato fu donato a un figlio di Lorenzo de’ Medici per insegnargli i fondamenti matematici della contabilità in partita doppia. Poiché il «fiorino a fiorini», una valuta di conto di Firenze, imponeva di lavorare sulla base di 29 soldi (o 348 denari) al fiorino, bisognava essere abili con l’abaco. Ironia vuole che nessuno dei figli del Magnifico diventò banchiere; la famiglia aveva più alte ambizioni.T.P.

4.4Marinus van Reymerswaele (Reymerswaele 1490 circa-Middelburg, documentato fino al 1567)Il cambiavalute e sua moglie 1540olio su tavolacm 84 x 114Firenze, Museo Nazionale del Bargello, Legato Carrand, inv. 2058 C

A un banco siede una coppia di cambiavalute, priva della connotazione totalmente negativa dei dipinti che raffigurano gli usurai. L’uomo “saggia”, cioè paragona il peso delle monete; sul tavolo i denari si accompagnano a una borsa di pelle e sul ripiano è appoggiata una candela arsa, simbolo di caducità. Il contesto è signorile ma la gestualità è rapace – come consueto nella pittura moraleggiante espressione del credo luterano – quasi a far trapelare la vera natura di coloro che trafficano col denaro.L.S.Cosa esige più attenzione dei soldi? Occhi, mani, spalle e gomiti sono tutti orientati verso un mucchio di monete. Ma i cambiavalute non sono più grotteschi; la moglie è tanto bella quanto assorta. Non v’è cosa

difficile che non conservare la libertà, o le donne. Nel 1433, poco prima del suo arresto, Cosimo de’ Medici aveva nascosto 3000 ducati veneziani tra le reliquie sacre del monastero di San Miniato al Monte. Per trasferire denaro di città in città, spesso lo si occultava nelle balle di lana. Questa ingegnosa cassaforte ha un vistoso lucchetto che non apre nulla, mentre la vera serratura è celata sotto una placca scorrevole attivata da un pulsante nascosto.T.P.

4.10, 4.11Arte italianaChiaviXIII secolo (a); XIV secolo (b-c)Ferro; cm 13 (a, la mappa cm 3,2); 11,5 (b, la mappa cm 1,8); cm 10,2 (c la mappa cm 3,8)Firenze, Museo Nazionale del Bargello, invv. 1460 C; 1465 C; 1464 C

Arte franceseSei lucchettiXIII secolo (a); XV secolo (b-c-d-e-f)bronzo (a); ferro (b-c-d-e-f); cm 4,5 x 3 (a); cm 2,1 x 16 (b);cm 3,6 x 2,3 (c); cm 3,7 x 2,1 (d); cm 4,2 x 2,5 (e); cm 5 x2,5 (f)Firenze, Museo Nazionale del Bargello, invv. 1449 C, 1450 C, 1451 C, 1452 C, 1453 C, 1454 C

Il mondo bancario era un tripudio di serrature e casseforti. A Firenze, l’Arte del Cambio teneva i libri contabili di banchieri morti o falliti in una cassaforte con tre serrature, affidando le chiavi a tre funzionari della corporazione così che i libri fossero consultabili solo alla presenza di tutti i membri. Ma questa era prassi comune in molte istituzioni. «Chi non si fida non è ingannato» recitava un famoso detto.T.P.

4.7Cassettina-forziere secoli XIV-XVlegno rivestito in cuoio bulinatocm 15 x 38 x 22,5Firenze, Museo di Palazzo Davanzati, inv. 22

A Firenze simili contenitori erano prodotti dall’Arte dei Chiavaioli e dai Fibbiai, che afferiva a quella dei Fabbri, con la collaborazione dei Cuoiai per il rivestimento. Forzieri, cofanetti e scrigni di varie dimensioni e materiali per contenere denaro, documenti o preziosi venivano anche importati dalla Francia, dalla Spagna, dalle Fiandre o da Venezia. La terminologia adoperata per definirli testimonia un lessico specifico, che oggi si sta perdendo insieme alla tradizione dell’artigianato artistico.L.S.

4.8Manifattura fiorentinaScatola per documenti appartenuta alla famiglia Cavalcantiterzo o ultimo quarto del XV secololegno, ferro a fusione, cuoio bulinato, cuoio conciato conallume di roccacm 15 x 51,4 x 29Firenze, Galleria e Museo di Palazzo Mozzi Bardini, inv.Bd. 5822

La segretezza, fulcro dell’attività bancaria, era cosa ardua quando gli impiegati di una filiale remota vivevano e lavoravano tutti nella stessa casa. Pensata per tenere sotto chiave un voluminoso libro contabile, questa scatola era il genere di oggetto che un direttore nascondeva in camera per tutelare i nomi dei facoltosi clienti. Il Banco Medici aveva stabilito che i dipendenti non conoscessero gli stipendi dei colleghi. «Sempre… abi un tuo libro e scrivivi suso» consiglia Paolo da Certaldo «e tieloti ne la cassa tua compiuta».T.P.

4.9CassaforteXVI secoloferro, legnocm 43,5 x 87 x 43Lucca, Museo di Villa Guinigi, inv. 314Badare alle ricchezze, disse un banchiere, è più

4.14bisContratto di assicurazione tra Francesco Datini e compagni di Pisa e messer Giusto MariniPisa, 1 luglio 1399fogli cartaceiPrato, Archivio di Stato

Dove non arrivavano Dio e la fortuna ci pensava l’assicurazione. Qui la società di Francesco Datini a Pisa assicura messer Giusto Marini per il trasporto di 500 fiorini di «spezierie e d’altre robe» da Alessandria d’Egitto a L’Écluse (il porto di Bruges). Il premio per questo viaggio lungo e pericoloso era del 10¼ per cento, il sensale Ibo di Tommaso di ser Tieri da Poggibonsi. Dato che servivano varie copie, si capisce perché mercanti e banchieri avessero sempre «le mani tinte d’inchiostro».T.P.

4.15Lettera di cambio del Banco Medici a Baldo d’Ambra di Piombino 15 maggio 1424foglio cartaceo; mm 40 x 225Firenze, Archivio di Stato, Mediceo avanti il Principato 148, n. 22

La lettera di cambio diveniva strumento di credito quando la banca, anziché ricevere soldi da un mercante per pagare una somma all’estero, glieli versava per acquistare valuta straniera. L’agente del mercante li restituiva in una città estera nei tempi stabiliti. Poi la banca, sfruttando i tassi di cambio favorevoli alla moneta locale, comprava un’altra lettera simile e riconvertiva il denaro nella valuta iniziale. Il mercante otteneva un prestito a breve termine, la banca profitti del 10-20%.T.P.

4.16Libro del fattore di Averardo de’ Medici1412-1417registro cartaceo; cm 32 x 25; cc. 212Firenze, Archivio di Stato, Mediceo avanti il Principato 130, c. 1r

I profitti bancari si potevano anche investire nell’agricoltura. Il banchiere Averardo de’ Medici, cugino di Cosimo, possedeva terreni nel Mugello e affidò a un fattore il compito di mantenere i rapporti

4.12, 4.13Tasca per messaggerofine del XV-inizio del XVI secolocuoio, vellutocm 19,5 x 20,5 Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 1338 C

Tasca per messaggerofine del XV-inizio del XVI secolocuoiocm 21 x 19,5 Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 1339 C

Le tasche rappresentano una rara testimonianza di oggetti del vivere quotidiano del passato. Forma e struttura erano pensate per contenere e custodire documenti, lettere o carte nel corso dei viaggi, tenendole – per sicurezza – il più possibile vicino al corpo, più difficili dunque da raggiungere ai tagliaborse.L.S.«Lettere di qui a Vinega» scrive un agente da Milano nel 1395 «fate chonto che ongni domenicha mattina ci va per reghola 1 fante e di qui a Bruga, chome, le scarselle da Lucha là passano per qui e chosì per Parigi». L’informazione era l’anima del commercio. I banchieri indicavano in ogni lettera i tassi di cambio del giorno. I corrieri erano organizzati da corporazioni o consorzi di aziende, e ricompensati per la rapidità di consegna. Il mondo stava affrettando il passo.T.P.

4.14Lettera di cambio da Diamante e Altobianco degli Alberti a Francesco di Marco Datini e Luca del Sera Bruges-Barcellona, 2 settembre 1398foglio cartaceo; mm 73 x 224Prato, Archivio di Stato, b. 1145/1403803

Poche righe scritte a mano: ecco lo strumento finanziario che rivoluzionò l’attività bancaria. Un mercante di Bruges, dovendo dei soldi a Barcellona, li versa in una banca del posto; questa spedisce la lettera a una banca di appoggio a Barcellona che corrisponde la somma al creditore del mercante, in valuta locale. Se ne stilavano quattro copie, inviate separatamente per garantirne l’arrivo. Ora il solo problema era pareggiare i conti tra le due banche.T.P.

4.19Libro segreto dei conti personali di Francesco Sassetti1462-1469registro pergamenaceo legato in pelle; cm 28 x 21,5; cc. 66 Firenze, Archivio di Stato, Carte Strozziane, II serie, 20, c. 1r

Delegare è rischioso. Impegnati in politica, i Medici si affidavano ai direttori. Lorenzo il Magnifico quasi non si dava la pena di controllarli. Così, dal 1463 al 1490 Francesco Sassetti si arricchì a fronte del declino della banca. Sposando una facoltosa quindicenne poco prima dei quarant’anni, il suo vero interesse era collezionare libri, argenteria e altri beni di lusso. A darne prova è questo suo libro personale in cui annotava «cose di valuta et segrete», mentre i conti bancari del periodo andarono perduti.T.P.Francesco Sassetti, uomo di cultura più che d’affari, rese omaggio all’amicizia con Lorenzo il Magnifico nella cappella di famiglia in Santa Trinita, affrescata da Domenico Ghirlandaio con storie del santo patrono Francesco. Nella scena della Rinuncia ai beni paterni viene evocata una città nordica, probabilmente Ginevra, dove Sassetti dal 1466 curò, senza fortuna, gli interessi del Banco Medici.L.S.

4.20Cifra usata da Lorenzo de’ Medici1470foglio cartaceo; cm 29 x 21,5Firenze, Archivio di Stato, Manoscritti, 727, doc. 73

«El sospetto». Ecco il difetto «più grave e molesto» del Magnifico, come disse lo storico Francesco Guicciardini nel 1509. Trasformato in farsa il sistema elettorale fiorentino per assicurarsi il controllo politico, Lorenzo ordinò agli impiegati della banca di spiare i diplomatici fiorentini. Giovanni Lanfredini scriveva da Venezia usando questo codice segreto. Le lettere sono sostituite da numeri e simboli; a complicare le cose, alcune lettere hanno vari simboli e alcuni simboli rimandano a un nome o una parola intera.T.P.

con i contadini, tenendo questa contabilità. A corto di soldi, nel 1427 il Comune di Firenze ordinò un censimento delle proprietà e una successiva imposta patrimoniale. Averardo fu tra i maggiori contribuenti. In molti la consideravano un’istigazione al falso in bilancio e alla fuga dei capitali.T.P.

4.17Costituzione di una compagnia per la gestione del Banco Medici8 giugno 1435foglio cartaceo; cm 40 x 32; scrittura mercantesca di mano di Giovanni BenciFirenze, Archivio di Stato, Mediceo avanti il Principato, 94, 137

Come evitare il fallimento per un solo debito insoluto? Successe a tre grandi banche negli anni ’40 del Trecento, quando Edoardo III d’Inghilterra non ripagò gli ingenti prestiti. I Medici crearono una casa madre a Firenze con partecipazione di controllo in varie filiali ma senza responsabilità patrimoniale. Questo contratto del 1435 ricostituisce la casa madre al ritorno di Cosimo dall’esilio, cacciando i potenti Bardi che gli avevano negato il pieno supporto e assumendo Giovanni Benci, artefice del successo futuro della banca.T.P.

4.18Libro segreto dei conti del Banco Medici tenuto da Giovanni Benci1440-1450registro pergamenaceo; cm 36 x 26,5; cc. 100, scrittura mercantesca di mano di Giovanni BenciFirenze, Archivio di Stato, Mediceo avanti il Principato, 153

Segreti. Scritto su pergamena per durare nel tempo e sempre sotto chiave, il libro contabile segreto di una banca registrava investimenti e profitti dei principali partner ed era conservato dal direttore in persona, in questo caso Giovanni Benci, capo della casa madre di Firenze. Oltre ai nomi di vescovi e cardinali con depositi importanti, Benci aveva altri segreti. Con due figli illegittimi avuti da giovani schiave, fece cospicue donazioni a un ordine di suore di clausura.T.P.

4.21Memoria di Lorenzo de’ Medici sulle perdite del banco a Londra e Bruges1478foglio cartaceo; cm 29,5 x 22; scrittura mercantescaFirenze, Archivio di Stato, Mediceo avanti il Principato, 84, 21

Ritorno alla realtà. Troppo preso da politica, poesia e donne per badare ai conti, nel 1478 Lorenzo de’ Medici scoprì che tra gli sperperi di Tommaso Portinari e i grossi prestiti a Carlo il Temerario, duca di Borgogna, la filiale di Bruges rischiava la bancarotta. In questo memorandum annota perdite per 70.000 fiorini e conclude: «E questi sono i ghuadangni grandi che ci à assengnati il ghoverno di Tommaxo Portinari». In verità le perdite superavano i 100.000 fiorini.T.P.

4.22Lettera cifrata dell’ambasciatore Giovanni Lanfredini ai Dieci di BaliaNapoli, 1 febbraio 1486 (stile comune)filza cartacea legata in pergamena; cm 33 x 30 x 8; cc. 613 Firenze, Archivio di Stato, Dieci di Balia, Responsive 33, cc. 265-268

La guerra nuoceva agli affari. Il nemico ti poteva confiscare i beni all’estero. Nel 1485 re Ferrante di Napoli invocò l’alleata Firenze per vincere i baroni locali sostenuti da papa Innocenzo VIII. Lorenzo prese tempo per non danneggiare gli affari fiorentini a Roma. In questa lettera in codice (con traduzione fra le righe) il delegato di Lorenzo a Napoli parla di problemi a comunicare con Firenze passando per gli stati papali, dove i funzionari intercettavano tutta la corrispondenza.T.P.

Sezione 5Il commercio internazionale: viaggi e merci

Come principale strumento di credito, la lettera di cambio finanziava il commercio internazionale. Di norma i banchieri erano anche mercanti; non c’era una netta distinzione. L’Italia trasportava spezie, allume, seta e beni di lusso verso Nord, mentre dall’Europa settentrionale giungevano lana, stoffe, stagno, piombo e cuoio. Poiché il saldo commerciale era ampiamente in favore dell’Italia e nessuno voleva viaggiare con grandi somme di denaro, veneziani, genovesi e fiorentini dovettero inventare triangolazioni commerciali per far rientrare i proventi dall’estero, spesso passando per Barcellona e Valencia o per le grandi fiere di Ginevra e Lione. Con le strade spesso in cattivo stato ed esposte agli assalti di malfattori d’ogni sorta, i beni ingombranti in genere attraversavano via mare il golfo di Biscaglia. Il viaggio era lento, le navi spesso caricate oltre il limite, e la costa della Catalogna era famosa per i suoi pirati. Non di rado, quando la merce giungeva a destinazione, le condizioni di mercato erano mutate in peggio. Il grosso delle spedizioni era assicurato, con banche e privati che si accordavano per spartire rischi e profitti. I premi erano più bassi se la nave era difesa da arcieri. «Nel nome di Dio e di buona ventura».T.P.

5.2Francesco de Cesanis (attivo 1420 circa)Carta nautica (Portolano)1421inchiostro e acquerello su pergamenacm 58 x 96,6Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Cartografia Museo Correr, lascito Emanuele Cicogna 3451, Portolano 13

Ai mercanti servivano carte nautiche. Venezia le forniva. Il mondo appariva come una serie di centri di commercio – in rosso i porti principali, in nero i minori – racchiusi in una griglia che consentiva ai marinai di determinarne le coordinate. Le usavano anche i pellegrini, assidui viaggiatori che alimentavano un’economia a parte. Una nave approdata a Genova nel 1396 dalla Romania trasportava «Schiavine [mantelli per pellegrini] balle 37. Piombo pezzi 191. Schiavi e schiave teste 80».T.P.

5.3Beato Angelico (Guido di Pietro; Vicchio circa 1395-Roma 1455)L’incontro di san Nicola con un messaggero dell’imperatore e il salvataggio miracoloso di un velierotra 1437 e 1449tempera e oro su tavolacm 34 x 63,5Città del Vaticano, Musei Vaticani, inv. 40252

La tempesta sorprende un veliero che trasporta grano, mettendo in pericolo equipaggio, nave e mercanzia. L’ultima possibilità è rivolgere preghiere a san Nicola di Bari, patrono dei marinai, tanto che nessuno governa più l’imbarcazione e ci si affida ormai solo all’intervento soprannaturale. La stessa nave è raffigurata quattro volte, in lontananza prima della tempesta, poi in balia degli elementi (e di un animale marino dall’aspetto diabolico), mentre veleggia e infine ancorata al sicuro nel porto.L.S.

5.1Boccale1290-1330 circamaiolica arcaica a pasta rossacm 13,8, Ø max. cm 7,8; Ø piede cm 5,9

Testa di stadera1290-1330 circaottone, ferro, legnolunghezza cm 9,3; lati cm 3,3 x 2,8; cavalieri h. cm 8; ganci h cm 9,5

Pugnale “a doppia T”(basilarda)1290-1330 circaacciaio, ferro, piombo, legnolunghezza cm 44

Bugliolo1290-1330 circacm 9; Ø orlo cm 14,5; Ø fondo cm 16,6

Ascia da bottai (ascina)1290-1330 circaferro, legnolunghezza cm 18; larghezza al taglio cm 9,4; al tallone cm 3,1

Parti di una catena1290-1330 circaferro fucinato lunghezza elementi cm 12,5; lunghezza massima cm 115Firenze, Museo Archeologico Nazionale

A Empoli, sull’Arno, sono affiorati i resti di un’imbarcazione fluviale affondata forse nell’alluvione del 1333. Il trasporto delle merci avveniva spesso via fiume, oltre che su terra, utilizzando carovane di muli e carri. Gli oggetti ritrovati servivano per la manutenzione (l’ascia, il bugliolo con la pece per impermeabilizzare lo scafo) e la navigazione (la catena da ormeggio), mentre la bilancia, in grado di pesare fino a un quintale, suggerisce un’attività mercantile e l’arma la necessità di difesa personale.L.S.

5.6Francesco Botticini (Firenze 1446-1497)L’arcangelo Raffaele e Tobiolo con un giovane devoto 1485 circatempera su tavolacm 156 x 89 Firenze, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale, inv. 1890 n. 8676

Non appena sapeva usare penna e abaco, il figlio di un mercante cominciava l’apprendistato in una città lontana per «cercare un poco del mondo […] e’ regimenti e le condizioni de’ luoghi» e tornare «più isperto e più pratico d’ogni cosa». Frattanto i genitori imploravano ansiosi l’assistenza divina, in questo caso pagando una bella somma per evocare la protezione dell’arcangelo su Tobiolo, una storia dal Libro di Tobia. Ahimè il ragazzo in questione, probabilmente Raffaello Doni, figlio di ricchi mercanti di lana, morì nel 1487, a 14 anni. T.P.La città nordica sullo sfondo è forse, idealizzata, quella in cui il giovane Raffaello Doni era diretto al momento della commissione dell’immagine votiva. Scrive Alessandra Macinghi Strozzi nel 1464 dopo l’affondamento di una galea in Fiandra, con la mente rivolta a uno dei figli: «Estavo prima co’ pensiero di Lorenzo quando sento che va in mare: ma ora ne starò con maggiore paura quando saprò abbia andare o tornare per nave: che l’Agnol Rafaello l’accompagni».L.S.

5.4Modello di nave mercantile del 1450 circaprima metà del XX secololegno, cotonecm 104 x 119 x 58,1Anversa, MAS - Museum Aan de Stroom AS 1946.005.005

Portata, velocità, sicurezza: ecco i fattori chiave. Nella relativa quiete del Mediterraneo, la piccola galea, con vele e rematori, era l’ideale per spostare rapidamente beni di lusso. Le galee italiane giungevano a Bruges e Londra, ma nei mari del Nord la caracca era più sicura e capiente. Questa è una pleyt delle Fiandre, con scafo piatto per scaricare su spiaggia e un alto castello di prua da cui gli arcieri potevano colpire i pirati «Nel nome di Dio e di buona ventura» imploravano i documenti di spedizione.T.P.

5.5Maestro di Carlo III Durazzo (attivo 1370 circa-1420 circa)Storie di Saladino e Torello di Stràinizi del XV secoloframmento di cassone, legno dipinto e pastiglia doratacm 45,5 x 121,5Firenze, Museo Stibbert, inv. 16202

La tavola era il fronte di un cassone commissionato, i La tavola era il fronte di un cassone commissionato, in coppia, per un’occasione nuziale. Raffigura la novella di Boccaccio (Decameron X, 9) che narra di un commerciante lombardo e della sua amicizia con Saladino che si presenta sotto le mentite spoglie di mercante. Esalta dunque l’attività commerciale – probabilmente la stessa dello sposo –, i traffici con il vicino Oriente, la lealtà che supera la differenza di religione. Nell’altro cassone era celebrata la fedeltà coniugale, monito per gli sposi, alla cui stanza i mobili erano destinati.L.S.

6.1, 6.2L’Ufficiale delle donne, degli ornamenti e delle vesti1343-1344codice membranaceo con coperta di pergamena, cc. 21; mm 350 x 255Firenze, Archivio di Stato, Giudice degli appelli e nullità, 119, ins. 16

Norme suntuarie inserite negli statuti fiorentini1415codice membranaceo, legato in cartone e tutta pelle, cc. 314; mm 453 x 330Firenze, Archivio di Stato, Statuti del Comune di Firenze, 24, cc. 280v-281r

Niente bottoni decorativi o stoffe fantasia, solo poche perle, collane, anelli. I singoli cercavano visibilità e ricchezza, ma la società nel complesso esigeva la sobrietà. Così, nella città delle stoffe di lusso, abbiamo leggi che ne vietano l’uso. Data la riluttanza dei fiorentini, s’incaricavano i forestieri di vigilare sull’abbigliamento delle donne. Questo registro riporta le trasgressioni tra il novembre 1343 e l’aprile 1344. Molte erano denunciate con lettere anonime.T.P.

6.3Manifattura fiorentinaCintura1470 circataffetà rosso spolinato e lanciato con oro filato avvolto attorno a un’anima di seta gialla; argento dorato, fuso, cesellato e traforato; smalto traslucido a fili affondati; niellocm 6,8 x 154.5 Londra, Victoria and Albert Museum, inv. 4278-1857

La lussuosissima cintura da uomo è paragonabile ad analoghi doni di rappresentanza destinati a personalità di tutta Europa. Simili accessori, proibiti alla maggioranza della popolazione dalle leggi suntuarie, venivano realizzati a Firenze da setaioli specializzati, che lavoravano per le botteghe orafe in cui le cinture venivano poi montate con fibbie e puntali.L.S.

Sezione 6Leggi suntuarie

Dal Duecento, coll’espandersi degli scambi commerciali e col diffondersi di nuove necessità, si aggiornano i simboli della ricchezza e sono sempre più numerosi coloro che possono sfoggiare abiti e ornamenti preziosi, col rischio di minare le barriere fra gruppi sociali e di entrare in contrasto con la moralità invocata dalla Chiesa. Le leggi suntuarie, che non disciplinano solo l’uso di vesti e ornamenti ma regolamentano anche banchetti, nozze, battesimi e funerali, sono emanate proprio per contenere il lusso, limitando importazioni e spese, per difendere i tradizionali valori di austerità anche a scapito del nuovo mondo che si apre al commercio. Le autorità sono però sollecitate da una preoccupazione duplice e quasi antitetica: da un lato l’importanza della circolazione del denaro, dall’altro il timore di una contaminazione fra ceti differenti. Dal Trecento si fanno strada due novità: i simboli del lusso vengono concessi a cavalieri, dottori, medici, giudici e alle loro donne e si consente inoltre di contravvenire alle norme pagando una multa, ottenendo così insieme lo scopo di rimpinguare le casse cittadine. Sofismi e cavilli hanno comunque sempre permesso ai fiorentini di ostentare l’opulenza raggiunta: “Fatta la legge, trovato l’inganno”.L.S.

6.6Lo Scheggia (Giovanni di ser Giovanni; San Giovanni Valdarno 1406-Firenze 1486)Madonna col Bambino, nella cuspide Dio Padre e lo Spirito Santo1470-1480 circatempera su tavolacm 150 x 84Arezzo, Soprintendenza BAPSAE di Arezzo - Museo Statale d’arte Medievale e Moderna, inv. 28

Vesti analoghe, proibite dalle leggi suntuarie ai più, erano tuttavia permesse a «cavalieri, dottori così in ragione civile come in ragione canonicha, et medicina, et huomini forestieri et loro donne», e naturalmente anche ai santi e alla Madonna. Il tabernacolo è un esemplare, originale in ogni sua parte, di quei “colmi da camera”, citati dai documenti e destinati alla devozione privata, in questo caso probabilmente della famiglia Bardelli.L.S.Come limitare la «indomitam feminarum bestialitatem», l’indomita bestialità delle donne? chiese un membro del Comune di Firenze discutendo delle leggi suntuarie. La donna raggiungeva il culmine della purezza nella Vergine, e un abisso di depravazione nella moglie che sperperava un patrimonio in sete e gioielli. Ma nell’arte gli opposti si conciliano: qui la pura Madonna porta tutti gli abiti sfarzosi vietati dalla legge.T.P.

6.7Jacopo del Sellaio (Firenze 1442-1493) Il banchetto di Assuero 1485 circatavolacm 44,5 x 62Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 491

Il dipinto formava, insieme ad altre quattro tavole, una spalliera, così chiamata perché rivestiva le pareti delle camere fino all’altezza della spalla. Come tutte le pitture destinate alla stanza degli sposinarra una storia edificante, quella di Ester e Assuero. La scena mostra un banchetto, di quelli regolamentati dalle leggi suntuarie, ma per le nozze di Lorenzo il Magnifico nel 1469 giunsero a Palazzo Medici 150 vitelle, 4000 tra galline e papere, pesci e botti di vino.L.S.

6.4Manifattura fiorentina Scarsellaultimo quarto del XV secolo seta; cuoio; bronzo fuso, rinettato a cesello, inciso e niellato. Velluto tagliato a un corpo lanciato; seta, oro membranaceo broccato; velluto tagliato operato a un corpocm 30,5 x 32Prato, Museo del Tessuto, Collezione Comune - Cariprato, inv. 81.01.182

La scarsella veniva appesa alla cintura per tenere il denaro, perché gli abiti erano privi di tasche interne. L’esemplare è un unicum, ma la stessa tipologia è attestata ad esempio nel dipinto di Francesco Botticini esposto in mostra. Allo stemma dei Bracci, famiglia di mercanti-banchieri, è affiancato un giglio, forse per richiamarne l’origine fiorentina; il tessuto, tanto ricco da essere proibito, ricorda lo stemma dell’Arte del Cambio.L.S.

6.5Maso Finiguerra (Firenze 1426-1464), attribuitoFigura femminile con acconciatura di penne di pavone1460 circapenna e inchiostro marrone, tracce di stilo; carta bianca vergatamm 132 x 86Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 59 F.

Vistose acconciature di perle e penne di pavone venivano prodotte tra l’altro nella bottega di Maso Finiguerra, ma erano proibite dalle leggi suntuarie. Alessandra Macinghi Strozzi in una letteradel 1447 descrive tuttavia un analogo copricapo indossato dalla figlia Caterina il giorno del fidanzamento: «e fassi una grillanda di penne con perle, che viene fiorini ottanta; e l’acconciatura di sotto, e’ sono duo trecce di perle, che viene fiorini sessanta o più».L.S.

6.10Beato Angelico (Fra Giovanni da Fiesole, Guido di Pietro; Vicchio 1395 circa-Roma 1455)Sposalizio della Vergine (scomparto di predella)1432-1435tempera su tavolacm 19 x 51,5Firenze, Museo di San Marco, inv. 1890 n. 1493

L’Angelico attualizza le nozze della Vergine agli usi della Firenze di primo Quattrocento. Il rito dello scambio della fede, o “anellamento”, non aveva luogo in chiesa davanti a un sacerdote: unico requisito necessario era la presenza di testimoni. Durante la cerimonia in Toscana gli amici dello sposo lo colpivano sulle spalle, un gesto del rituale popolare che sottolineava l’abbandono del celibato e il passaggio del giovane da un gruppo sociale a un altro.L.S.Dilemma. I fiorentini erano combattuti tra lo sfarzo aristocratico e l’austerità della virtù. Organizzando il funerale del cardinale Coscia, l’amico Giovanni di Bicci de’ Medici non badò a spese, mentre a quello del nipote Piero di Cosimo la famiglia usò stoffe nere fermate con degli spilli per poterle riutilizzare. Se la Madonna col Bambino dello Scheggia, realizzata per un privato, porta abiti sontuosi, questa dell’Angelico, commissionata per una pala d’altare, rispetta tutte le restrizioni sulle spese nuziali.T.P.

6.8Niccolò di Pietro Gerini (Firenze notizie dal 1368-1415)Funerali di un confratello della compagnia di Gesù Pellegrino (predella) 1404-1408tempera su tavolacm 81 x 156 Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 1890 n. 5066

La predella è la parte inferiore della “tavola da morti” della compagnia di Gesù Pellegrino, con sede in Santa Maria Novella a Firenze. Mostra il funerale di un membro del sodalizio e i confratelli in preghiera con il cappuccio – la “buffa” – a nascondere il volto per soddisfare il precetto evangelico “la carità è segreta”. Le cerimonie confraternali permettevano ai poveri un funerale decoroso e l’inumazione nella tomba del gruppo laicale.L.S.

6.9Beato Angelico (Fra Giovanni da Fiesole, Guido di Pietro; Vicchio 1395 circa-Roma 1455)Esequie della Vergine (scomparto di predella)1432-1435tempera su tavolacm 19 x 51,5Firenze, Museo di San Marco, inv. 1890 n. 1493

Nonostante le leggi suntuarie i funerali potevano essere dispendiosi, come quello di Filippo Strozzi, costruttore del Palazzo, nel 1491: «Delle belle onoranze si facessi a Firenze già gran tempo, fu la sua; quattro regole di frati, tutto el clericato di Santa Maria del Fiore e di San Lorenzo, una compagnia di 150 uomini, tutti li scarpellini e ministri di muraglia e cave sue, e’ contadini, tutte le capitudine, due filze di drappelloni, quaranta doppieri: ebbe vesti tutto ’l parentado».L.S.

7.1Hans Memling (Seligenstadt circa 1435-1494)Ritratto di Benedetto Portinari; San Benedetto 1487olio su tavolaciascuno cm 45,5 x 34,5Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, nn. 1090 e 1100

I pannelli sono i laterali di un trittico commissionato a Bruges da Benedetto Portinari a Hans Memling, uno dei più importanti artisti delle Fiandre, per lo Hof Bladelin, sede del Banco Medici, che lo zio Tommaso Portinari aveva comprato da Lorenzo il Magnifico nel 1480. Le tavole vennero trasferite a Firenze nell’Ospedale di Santa Maria Nuova, legato al patronato della famiglia, per la cui chiesa Tommaso aveva commissionato il grande trittico di Ugo van der Goes oggi agli Uffizi.L.S.I guastatori. Cresciuti in casa Medici, i fratelli Pigello e Tommaso Portinari mandarono in rovina le filiali di Milano e Bruges della banca, passando più tempo alle corti ducali che non in ufficio. Eppure amavano l’arte. Rientrava nella scalata sociale. Qui il figlio di Pigello, Benedetto, commissiona l’opera al grande Hans Memling. In abiti eleganti, è contrapposto all’austero santo suo omonimo che esiste, dipinto, grazie ai soldi di Benedetto. Non v’è motivo di dubitare della devozione del banchiere.T.P.

7.2Bottega di Domenico GhirlandaioAdorazione dei pastori con Filippo Strozzi (predella della Pala di Lecceto)1487-1488tavolacm 27 x 65,5Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen, inv. 2553

Filippo Strozzi (1428-1491), che i Medici bandiscono bambino da Firenze, trascorre lunghi anni a Napoli. Tornato in patria nel 1466 afferma «vo tuta volta pensando e disegnando, e se Iddio mi presta chonpetente vita spero fare qualche cosa di memoria». Lega dunque il proprio nome alla cappella in Santa Maria Novella, al grande palazzo in cui ci troviamo e alla chiesa di Santa Maria a Lecceto, da cui proviene la

Sezione 7Banchieri e artisti

Il mecenatismo è l’anello di congiunzione tra economia e arte, e la disponibilità finanziaria presupposto necessario, ma non sufficiente, a spiegare la committenza; fondamentale è anche il venir meno dei freni morali che impedisce l’ostentazione della ricchezza e la disponibilità verso spese non redditizie. Oggetti e dipinti raffinati e preziosi vengono importati da lontano, e quelli provenienti dalle Fiandre attestano l’importanza raggiunta dalle famiglie – Portinari, Baroncelli o Tani – che gestiscono i banchi a Bruges. I mercanti-banchieri si circondano della ricchezza, ma anche della Bellezza collegata alla cultura: lo dimostrano le opere che sottolineano la padronanza della musica, la conoscenza del mondo classico, della letteratura e della filosofia, in un perfetto connubio di opulenza, sapere e armonia. Lo stesso che pervade i dipinti di Botticelli, portavoce sensibile del Rinascimento fiorentino, in un percorso che, dalle opere giovanili, passa attraverso la grazia idealizzata dei neoplatonici delle celebrate favole mitologiche per i Medici. Un mondo nel quale Denaro e Bellezza sono stati l’uno al servizio dell’altro.L.S.

7.4Lo Scheggia (Giovanni di ser Giovanni detto; San Giovanni Valdarno 1406-Firenze 1486)Gioco del civettino (recto)Lotta di due bambini (verso)1450 circatempera su tavolaØ cm 59Firenze, Museo di Palazzo Davanzati, inv. 1890 n. 488

In occasione della nascita di un figlio o al momento del matrimonio era uso donare un desco da parto, cioè un vassoio sui cui offrire il cibo rifocillante alla puerpera. Spesso era decorato sui due lati con raffigurazioni tanto preziose da farlo considerare un vero e proprio dipinto da appendere alle pareti nella camera degli sposi. Tra i soggetti preferiti, scene di nascita, di gioco (come in questo caso) e puttini nudi, auspicio di fertilità.L.S.

7.5Bottega dell’Italia settentrionale (“Bottega delle storie di Susanna”)Specchio da paretesecondo quarto del XV secoloosso, corno e legno, in parte tinti di verde e arancionecm 51,5 x 28,2 Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 125 C

Analoghi specchi da parete ebbero grande fortuna presso le classi medio alte e venivano donati in occasione di fidanzamento o nozze: i materiali della cornice, legno e osso, non erano costosi come l’avorio che cercavano di imitare, ma il risultato raggiungeva la ricercatezza voluta. La parte più costosa era lo specchio convesso in vetro, qui moderno, di origine nordica e che si diffuse dal primo Quattrocento.L.S.

predella che lo raffigura dinanzi alla Sacra Famiglia in dimensioni quasi paritarie.L.S.

7.3Consiglio dell’astrologo a Filippo Strozzi per la posa della prima pietra del Palazzo [Libro di debitori e creditori e ricordi di Filippo Strozzi] 1484-1491registro cartaceo con coperta in cuoiomm 355 x 265 x 70Firenze, Archivio di Stato, Carte Strozziane, Quinta serie, 41, c. 172

La gigantesca voragine scavata per le fondamenta di Palazzo Strozzi impressionano un vicino, lo speziale Tribaldo de’ Rossi che, nel corso della posa della prima pietra, getta un sasso e un «quattrino» e manda poi a chiamare i suoi bambini facendoli vestire a festa, perché ricordino per sempre quel giorno. In collo al padre, il maggiore «ghuatava cholagiù; e dettili un quatrino gigliato e gittolo lagiù e un mazzo di roseline da damascho ch’aveva in mano». Un gesto di buon auspicio legato alle monete.L.S.Volendo investire un terzo del suo vasto patrimonio in un palazzo enorme, Filippo Strozzi si fa predire da Benedetto di Giannozzo Biliotti il momento più propizio per posare la prima pietra.L’astrologia prosperava nonostante la condanna di certi teologi. Il consiglio di Biliotti compare qua nella parte dedicata ai ricordi di Strozzi: il 6 agosto 1489, alla decima ora e 1/6, il segno del Leone avrebbe garantito una casa «di huomini grandi, nobili et di buon stato», in eterno. Filippo morì nel 1491 e il palazzo rimase incompiuto.T.P.

collezionava di tutto. Disegnato qualche anno prima della sua morte, questo nudo di donna emerse tra le carte di famiglia. Come Cosimo univa l’apertura e la curiosità rinascimentali alla devozione medievale, si nota qui una commistione di modelli antichi e disegno dal vero. Finiguerra era esperto nel trasferire tali disegni su oggetti d’oro e d’argento in un procedimento (costoso) chiamato niello.T.P.

7.9Piero del Pollaiolo (Firenze 1441-Roma 1496) Nudo maschile semidisteso1465-1470penna e inchiostro marrone, acquerellature marroni, carta bianca filigranata (tre monti sormontati da croce)mm 210 x 248Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 100 F.

Lo studio attesta il nascente interesse a Firenze, nella seconda metà del Quattrocento, per la rappresentazione del corpo umano dal vero. La posizione del modello è ispirata a modelli scultorei antichi (quali Galata morente), ma l’osservazione naturalistica è consapevole delle ricerche umanistiche. Un ventennio dopo Fra Bartolomeo gettò nei roghi savonaroliani delle vanità «tutto lo studio de’ disegni che egli aveva fatto degli ignudi», probabilmente non dissimili da questo.L.S.

7.10Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)Madonna col Bambino e un angelo1465 circatempera e olio su tavolacm 95 x 64Firenze, MUDI - Museo degli Innocenti

La tavola è ispirata alla celebre Madonna col Bambino di Filippo Lippi conservata agli Uffizi, ed esemplifica la diffusione, nelle camere da letto di case e palazzi fiorentini del Quattrocento, di immagini devozionali derivate da modelli celebri. Attesta anche una prima fase in cui Botticelli è ancora legato al maestro nella cui bottega svolse l’apprendistato.L.S.

7.6Mino da Fiesole (Poppi 1429-Firenze 1484)Cornice di specchio1460-1470 circamarmo scolpito, dipinto e doratocm 50 x 33,5Parigi, Bibliothèque nationale de France, inv. 57-244

Opera di assoluta rarità, firmata da Mino da Fiesole, acquisiva il suo significato nello specchio (oggi perduto) affiancato da ali. Si tratta di un simbolo platonico: la fanciulla è la Vera Bellezza, che invita chi ne veda il riflesso a mettere le “ali platoniche” per levarsi in volo, senza rimanere prigionieri della materia. Il rilievo è dunque espressione dell’ambiente di Marsilio Ficino e dell’entourage mediceo e indica una committenza ricca, colta e raffinata.L.S.

7.7Manifattura della Francia del Nord o FiandrePettine con storie di Susannafine del XV-inizi del XVI secoloavoriocm 12 x 14,8Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 12°

Il pettine, con una fila di denti più radi per acconciare i capelli e una più fitta per rimuovere i parassiti, non fu probabilmente mai usato: troppo costoso l’avorio e troppo raffinata l’esecuzione per minacciarne la rottura. Si trattava dunque di un oggetto da esposizione adatto quale dono nuziale. Il pettine è provenienza medicea, ma è troppo tardo per riconoscervi uno dei dodici presenti nell’inventario redatto alla morte di Lorenzo il Magnifico.L.S.

7.8Maso Finiguerra (Firenze 1426-1464) Nudo femminile con drappo1455-1460 circapenna e inchiostro marrone, acquerellature marroni, tracce di matita nera, carta biancamm 197 x 100Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 74 F.

Orologi d’oro, reliquie sacre, coppe di cristallo, vessilli cerimoniali, armature decorative: Cosimo de’ Medici

7.11Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)Madonna col Bambino, due angeli e san Giovannino1468tempera su tavolacm 85 x 62Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 1890 n. 3166

Possibile che siano stati proprio i dipinti votivi il primo genere di consumo sostenuto dalla moda? Se i banchieri avevano invaso la chiesa con le lussuose cappelle private, ora la Chiesa invadeva sempre più la sfera domestica. Gli amici, vedendo un’opera come questa in casa tua, capivano che eri devoto, ricco e di buongusto. Per un pittore emergente, dare una veste nuova a un vecchio tema – mostrando una Madonna in sfarzosi abiti contemporanei, ad esempio – era un modo per trovare clienti e stimolare la domanda.T.P.

7.12Cosimo Rosselli (Firenze 1439-1507)Adorazione dei Magi1470 circatempera grassa su tavolacm 101 x 217Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 494

La Compagnia dei Magi, o della Stella, con sede nel convento di San Marco, dal 1436 fu sotto la protezione dei Medici, tanto da venire soppressa nel 1494 dopo la loro cacciata. Del sodalizio fecero parte dotti umanisti e rappresentanti dell’intellettualità forentina quali Donato Acciaioli, Gentile Becchi, Cristoforo Landino, Luigi Pulci, Giovanni Nesi. La tavola pare di committenza medicea, come suggeriscono i ritratti di membri della famiglia che vi sono stati riconosciuti.L.S.«Quanti drappi d’oro e di seta». Il 6 gennaio la Compagnia dei Magi sfilava in costume tra le vie di Firenze per offrire la sua opulenza alla Madonna. Il capo della compagnia era anche il capo del Banco Medici. Si commissionavano dipinti con uomini Medici al seguito dei Magi; qui l’emblema di famiglia è posto sul didietro del cavallo. Firenze e la Terra Santa sovrapposte. Il denaro compra l’arte per avvicinare il popolo a Dio. «La repubblica de’ Magi» la definì Donato Acciaioli.T.P.

7.13Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)Natività 1472-1474affresco staccatocm 117 x 226Firenze, Basilica di Santa Maria Novella, controfacciataDirezione Centrale per l’Amministrazione del FEC

La lunetta ad affresco completava in alto la cappella in Santa Maria Novella di Gaspare del Lama, ambizioso committente che nella sottostante Adorazione dei Magi, oggi agli Uffizi, rese omaggio alla famiglia Medici. Figlio di un barbiere di Empoli, Gaspare aveva fatto fortuna come sensale, cioè mediatore di affari, ed era iscritto all’Arte del Cambio. L’opera fu realizzata prima del 1476, quando il Del Lama fu condannato dall’Arte per frode.L.S.

7.14Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510): disegnoManifattura fiorentina: ricamoCappuccio di piviale con l’Incoronazione della Vergine1490-1495 circaseta, oro e linocm 46,4 x 46,5Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 444

Un puzzle. Tramite il Banco Cambini il Portogallo mandava a Firenze corallo, cocciniglia, sughero e schiavi in cambio di seta, beni di lusso e pregiati oggetti liturgici, come questo cappuccio di piviale ricamato con lo stemma reale portoghese, che però non lasciò mai l’Italia. Lo stemma è attaccato alla meglio a un’Incoronazione della Vergine ben distinta. Ordinato, si pensa, da re Giovanni II, alla sua morte restò incompiuto e fu unito a un’altra opera mai terminata. Estremi rimedi nella bottega di Botticelli.T.P.

7.17Canzoni a tre e quattro vocifine del XV secolomanoscritto cartaceo e membranaceo; mm 240 x 170; cc. V, 325; legatura di restauro con recupero della precedente coperta in cuoio, taglio dorato e goffratoFirenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco rari 229, cc. IIIIv-Vraperto cm 25 x 37 x 10

Il codice contiene 268 composizioni: a Tubalkain, collegato alla Musica nelle raffigurazioni delle Arti Liberali, si affianca il ritratto del committente del codice, Alessandro Braccesi, segretario della Repubblica fiorentina e letterato. La musica, nonostante sia scritta con i neumi romboidali del gregoriano, è su un pentagramma, pienamente in uso a fine Quattrocento. Nel 1501, con l’invenzione della stampa musicale, la notazione neumatica verrà definitivamente sostituita da quella moderna.L.S.

7.18Manifattura tessile fiorentinaFrammento di tessuto composto da sei pezzi con stemma Medici fine del XV secolooro e velluto tagliato operato a tre corpi, broccatocm 37 x 120Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Franchetti 114

Sembra impossibile, ma questo tessuto aveva un valore molto superiore a quello di tanti altri oggetti preziosi: il costo non era dato solo dai materiali (per il fondo si utilizzava oro filato), ma anche dalla sua realizzazione. I tessitori che eseguivano tali velluti erano i più retribuiti e riuscivano a produrre solo due pezze all’anno su telai appositamente predisposti.L.S.

7.15Manifattura sasanide (corpo); Andrea del Verrocchio (Firenze 1437-1488) (montatura) attribuitaBoccaleXI secolo, 1469-1477sardonice (corpo); argento sbalzato, cesellato, bulinato e dorato; fuso e cesellato (montatura)cm 42Firenze, Museo degli Argenti, inv. 1921 n. 777

La collezione di vasi di Lorenzo de’ Medici rappresenta uno dei tesori più importanti del Quattrocento e testimonia la sua attenzione di collezionista per oggetti antichi che fece rinnovare con raffinate montature, rivolgendosi ad artisti del calibro di Andrea del Verrocchio. Nell’iscrizione «LAV·R·MED», la “R” distinta dalla prima sillaba del nome di battesimo suscita ancora interrogativi sul significato, anche se il più immediato è Rex.L.S.

7.16Domizio CalderiniCommento a Giovenale1471membranaceo; mm 270x 180; cc. III, 154; legatura mediceaFirenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 53.2, c. 5r

Questi lieti satirettiOr da Bacco riscaldati,ballon, salton tuttavia.Chi vuole esser lieto, sia,di doman non c’è certezzaLorenzo de’ Medici

Gli studi umanistici immergevano i ricchi in un mondo classico animato da valori diversi da quelli cristiani. Un sollievo. In questo dono a Giuliano de’ Medici, fratello del Magnifico, le sfere rosse dell’emblema di famiglia, spesso inserite in opere votive, sono armeggiate da due satiri lascivi e circondate da scene ambigue di ogni sorta.T.P.

7.21Scultore toscanoGiovane gentildonnaultimo ventennio del XV secolorilievo in marmocm 48 x 38Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Bargello Sculture 226 (1879)

Il rilievo proviene dal palazzo edificato da Jacopo Salviati dagli anni settanta del XV secolo, ed è stato identificato con quello che Lorenzo il Magnifico lasciò in eredità alla figlia Lucrezia, sposa del Salviati nel 1488, che potrebbe esservi rappresentata. La giovane donna indossa abiti moderni purse la posa è da moneta antica, forse con riferimento al personaggio di Lucrezia romana, icona di virtù coniugale, che al disonore subìto con la forza oppone la propria morte.L.S.

7.22Lorenzo di Credi (Lorenzo d’Andrea d’Oderigo, Firenze, circa 1460-1537)Ritratto di giovane donna o Dama dei gelsomini1485-1490olio su tavolacm 77,2 x 55,2 x 2,2Forlì, Pinacoteca civica, Musei San Domenico, inv. 119

La giovane, abbigliata e pettinata secondo la moda fiorentina degli anni ottanta del Quattrocento, ha un atteggiamento austero, come quelli invocati allo scadere del secolo da Savonarola, che convinse Lorenzo di Credi a bruciare nel rogo delle vanità i propri studi di figure nude. La storiografia ottocentesca e la cronachistica forlivese hanno voluto identificare la donna con Caterina Sforza, signora della città, ma non ci sono elementi che confermino l’ipotesi.L.S.

7.19Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510) bottega diVenere 1482 circatempera su tavolacm 174 x 77Torino, Galleria Sabauda, inv. 656

Platone e i nudi. Patrocinato dai Medici, Marsilio Ficino tradusse e commentò Platone: tutta la bellezza portava a un più alto livello dell’essere e della conoscenza. Allora non serviva più un tema cristiano per rendere “buoni” una poesia o un dipinto; la bella Venere non era solo una donna avvenente ma un’idea, un ideale. E come dice Vasari, Botticelli dipinse per molte famiglie «femmine ignude assai».T.P.

7.20Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)Ritratto di donna1485 circatempera su tavolacm 61,3 x 40,5Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, inv. Palatina 353

La moglie perfetta, in abiti eleganti ma castigati, bella ma sobria. La vediamo in un austero interno domestico, eppure la celestiale evanescenza alle sue spalle la trasforma in un ideale, con quelprofilo netto che fa pensare a un antico medaglione. Un equilibrio perfetto tra il nuovo modello platonico e la devozione tradizionale.T.P.

8.1Bottega dei BuglioniTondo con impresa Mediciprimo quarto del XVI secolo rilievo in terracotta smaltataØ cm 79 Firenze, Galleria degli Uffizi, Donazione Contini Bonacossi, inv. CB 93

Dinastia. Accrescere reputazione e grandezza della famiglia era il nobile scopo dell’altrimenti egoistico accumulo di denaro. Blasoni ed emblemi familiari spopolavano tra i mercanti-banchieri.Rinsaldando la loro presa (illegale) sul potere con lauti patrocini, i Medici adottarono il motto Semper. Per i rivali non era incoraggiante. Dopo il dominio trentennale di Cosimo, nel 1464 gli subentrò Piero, poi Lorenzo il Magnifico nel 1469. La banca diventata dittatura. Quando sarebbe finita?T.P.

8.2Giovanni della Robbia (Firenze 1469-1529/1530)Tondo con arme Pazzi1510-1525rilievo in terracotta smaltataØ cm 121Firenze, Galleria degli Uffizi, Donazione Contini Bonacossi, inv. CB 92

Un vecchio zio con dieci nipoti alla guida di una banca mercantile internazionale. Così si presentava la famiglia Pazzi negli anni settanta del ’400. Sfruttando le divergenze politiche fra Lorenzo il Magnifico e il papa, i Pazzi soffiarono ai Medici il monopolio sul commercio dell’allume. Quando Lorenzo li tenne fuori dalla vita politica della città, videro una sola via d’uscita: l’assassinio. Ben presto il loro blasone, due delfini su fondo blu, e perfino il nome della famiglia sarebbero stati banditi per sempre dagli atti ufficiali.T.P.

Sezione 8Crisi

La crisi della società fiorentina di fine secolo è collegata ai Medici e al loro antagonista, Girolamo Savonarola. La contesa che oppone Lorenzo il Magnifico al frate ferrarese segna la fine del Quattrocento: da un lato il mondo mediceo, la cultura e l’arte neoplatonica accessibili solo a una élite, dall’altro la libertà politica e una religiosità espressa attraverso opere devote di comprensione immediata. La Congiura dei Pazzi, nel 1478, preannuncia la fine di un’epoca, ma è insieme iniziodello splendido quindicennio laurenziano. L’adesione di Botticelli alle dottrine savonaroliane è tardiva e segue la sua crisi personale, iniziata l’8 aprile 1492 con la morte di Lorenzo e la perdita di protezioni e committenze che ne seguì. La cacciata di Piero de’ Medici, e l’ingresso di Carlo VIII il 17 novembre 1494, attestano la crisi della famiglia, concretizzata nella bancarotta del banco mediceo. L’ultimo giorno di carnevale del 1497 e del 1498 Savonarola organizza in piazza dei Signori due roghi di «cose vane, lascive o disoneste». Manifestazioni contrastate o celebrate, che contribuiscono alla fine del frate. Il 23 maggio 1498, dove era stato innalzato il «trionfo» per bruciare le vanità, viene eretto lo «stilo» al quale sono impiccati Savonarola e i suoi compagni. Anche i loro corpi vengono arsi.L.S.

8.5Frammento di camicia insanguinata (già ritenuta di Giuliano de’ Medici)XV-XVI secolo; teca: fine del XIX-inizi del XX secolotessuto; teca in legno e vetroteca cm 23 x 28 x 55Firenze, Provincia di Firenze, depositi, inv. Provinciale 22.118

Il tessuto è stato a lungo ritenuto frammento della camicia indossata da Giuliano de’ Medici al momento dell’uccisione in duomo. Come tale fu inserito in una teca ed esposto nel Museo Mediceo allestito in Palazzo Medici Riccardi: solo recentemente è stato dimostrato trattarsi di un brandello dell’abito del duca Alessandro, assassinato nel 1537. Attesta però, quasi reliquia laica, il perdurare del potere evocativo della Congiura che si era proposta di cambiare la storia fiorentina.L.S.

8.6Pietro Torrigiano (Firenze 1472-Siviglia 1528)Busto di Lorenzo il Magnifico1515-1520terracotta policromatacm 80 x 80 x 40 Firenze, Collezione Liana e Carlo Carnevali

Il busto è stato plasmato probabilmente da Pietro Torrigiano, che aveva conosciuto il Magnifico all’epoca del Giardino di San Marco, frequentato da giovani scultori tra cui Michelangelo. Eseguito forse al momento del ritorno a Firenze di Leone X, papa Medici, enfatizza il mito del mecenatismo laurenziano idealizzando la sua immagine: venti anni dopo la sua morte è già “Lorenzo dopo Lorenzo”.L.S.«Nelle cose veneree maravigliosamente involto» secondo Machiavelli, il Magnifico condivideva con poeti e donnaioli l’ossessione del controllo. Teneva «la città tanto interamente a arbitrio suo» osserva Guicciardini «quanto se ne fussi stato signore a bacchetta». Pagò artisti per promuovere la propria immagine, estetizzando la politica. Questo busto attribuito a Torrigiano è forse ispirato a tre statue di cera di Verrocchio e Orsino Benintendi che Lorenzo aveva posto in chiesa per ricordare al popolo il suo carisma.T.P.

8.3Bertoldo di Giovanni (Firenze 1440 circa-Poggio a Caiano 1491) Medaglia della Congiura dei Pazzi1478bronzoØ mm 64,85; sp. 1,9-4,7; gr. 70Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Medaglie 5956

Mediocre come banchiere ma brillante in politica, dopo la congiura dei Pazzi Lorenzo il Magnifico investì grosse somme in propaganda. La “versione ufficiale” del poeta Agnolo Poliziano fu subito data alle stampe. Questo medaglione recava impressi sui due lati gli agguati ai fratelli nel duomo. Botticelli e Andrea del Castagno ebbero l’incarico di affrescare alcune facciate con l’esecuzione dei cospiratori. «Impiccati per i piedi in strane attitudini» si entusiasmò Vasari «tutte varie, e bellissime».T.P.

8.4Germania o AustriaPugnaleXV secolobronzo cesellato e dorato, acciaiocm 64 x 12Firenze, Galleria e Museo di Palazzo Mozzi Bardini

Banchieri col coltello (non proprio questo, ma simile). Il 26 aprile 1478, durante una messa in Duomo, Francesco Pazzi, capo della banca Pazzi a Roma, pugnalò Giuliano de’ Medici. I due preti incaricati di eliminare Lorenzo furono fermati da Francesco Nori, capo del Banco Medici di Firenze. Lo uccisero. Lorenzo fuggì in sagrestia. Il papa aveva appoggiato la congiura per liberare Firenze dai Medici a un’inverosimile condizione: «purché non intervenga morte». Il mattino dopo, le rappresaglie avevano mietuto almeno ottanta vittime.T.P.

Cosa significa? L’Umanesimo amava sovrapporre eventi contemporanei alla storia classica o al mito. Chi aveva beneficiato di studi costosi era contento di essere fra i pochi a capire. Negli anni novanta del Quattrocento, la condanna di Savonarola a tutto ciò che era lussuoso creò un clima da caccia alle streghe. Qualcuno era stato calunniato. Botticelli? Un amico? Re Mida, che trasformava tutto in oro, non sarà un arbitro affidabile. Sullo sfondo erudito della statuaria antica, il tumulto emotivo è intensissimo.T.P.

8.9Ludwig von Langenmantel (Michaelsberg 1854-Monaco di Baviera 1922)Savonarola predica contro il lusso e prepara il rogo delle vanità1881olio su telacm 193,04 x 312,42Olean, NY, St. Bonaventure University, The Regina A. Quick Center for the Arts

Tra la folla che assiste al rogo delle vanità, inscenato dal pittore in un edificio all’antica, si riconoscono Machiavelli, Fra Bartolomeo, Filippino Lippi, Andrea della Robbia, Gentile Becchi, Botticelli, Antonio del Pollaiolo, Pico della Mirandola. I falò voluti da Savonarola non erano una novità: libri, quadri e altri oggetti sono stati bruciati già dall’antichità, e fino a oggi, perché la forza distruttiva del fuoco è proiettata sugli oppositori e sui libri che ne incarnano il pensiero.L.S.Nessun compromesso. Finora l’élite fiorentina e i capi della Chiesa avevano sempre trovato un accordo. Ma Savonarola era inflessibile. «O voi che avete le case vostre piene di vanità e di figure e cose disoneste e libri scellerati» predicava. Mandò i bambini suoi seguaci per la città a raccogliere le opere immorali e i beni di lusso accumulati dai ricchi. Era tempo di farne un falò. Un secolo di scambio creativo tra opulenza e devozione, tra soldi e metafisica, di colpo s’interruppe.T.P.

8.7Francesco Granacci (Villamagna di Volterra 1469-Firenze 1543)Arrivo di Carlo VIII a Palazzo Medici a Firenze1522-1530tempera su tavolacm 76 x 122Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 3908

L’ingresso del re francese a Firenze segn’inizio del potere politico di Savonarola: si sparge il timore del saccheggio e il frate, pregato dalla Signoria, si reca a Palazzo Medici minacciando Carlo VIII di terribili sventure. Il suo intervento, insieme al gesto di Pier Capponi che straccia i capitoli del trattato e minaccia il suono delle campane cittadine, convince il re a proseguire per Roma risparmiando la città. Savonarola è visto come il salvatore, comincia la sua fortuna politica.L.S.«La spada del Signore [calerà] presto e rapidamente sulla terra». In apparente conferma delle profezie catastrofiche di Savonarola, nel novembre 1494 Carlo VIII di Francia discese in Italia per espugnare Napoli. Piero de’ Medici, figlio dell’ormai defunto Lorenzo, volle negoziare ma fu cacciato dalla città per aver concesso troppo. Savonarola accolse di buon grado il flagello francese. Carlo occupò Palazzo Medici (in basso a sinistra nel dipinto). Il regno dei banchieri era finito.T.P.

8.8Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)La Calunnia 1497 circatempera su tavolacm 62 x 91Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 1496

L’opera fu forse donata dal pittore all’amico Antonio Segni, banchiere delle curia papale, e rievoca un dipinto dell’antichità: quasi addio alla Firenze di Lorenzo il Magnifico, si riallaccia nelle architetture e nei rilievi al mondo classico, ma anche alla Bibbia e a Boccaccio, e rappresenta un momento di transizione nel percorso di Botticelli verso l’adesione al credo savonaroliano. La Penitenza, in gramaglie, fa la sua comparsa accanto alla Verità, che ha ancora le fattezze della Venere.L.S.

8.12Pittore fiorentinoRitratto di Girolamo Savonarola (recto) Supplizio di Girolamo Savonarola (verso)ante 1520olio su tavolacm 21,2 x 16,5Londra, The National Gallery, donato dal Dr. William Radford, 1890, inv. NG1301

Al profilo di Savonarola è congiunta la scena della sua morte. Per il ritratto il pittore si è ispirato a medaglie in terracotta che circolavano tra i fedeli del frate quasi come santini: il rogo dopo l’impiccagione e la successiva dispersione delle ceneri in Arno furono motivate dalla volontà, poi risultata vana, di reprimere il culto di Savonarola, impedendo ai seguaci di procurarsi reliquie.L.S.Finalmente un uomo immune a ogni tentazione. Nel 1490, colpito dall’intensità delle prediche di Savonarola, l’umanista Pico della Mirandola esortò il Magnifico a portare il frate a Firenze, neanche fosse un oggetto, di quelli che i banchieri amavano collezionare. «Il vero predicatore» rispose Savonarola «non sa blandire i principi, ma piuttosto mordere i vizi loro». Il netto contrasto tra luce e ombra, la testa rasata e lo sguardo intenso esprimono a meraviglia la psicologia del fondamentalista.T.P.

8.13Ignoto pittoreSupplizio di Girolamo Savonarola XVII secolotempera su telacm 94 x 120Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, Deposito Superiore, inv. 187

Le fasi del “supplizio” di Savonarola e dei suoi due confratelli sono rappresentate in contemporanea. L’opera, una delle numerose repliche del fortunato soggetto che include la città, è importante perché la più antica a conservare nel cartiglio l’iscrizione «Ecco come muore il giusto e come i santi sono tolti dalla terra», desunta da un testo savonaroliano. Altrove la citazione manca o è stata cancellata. Attesta, a Seicento avanzato, il mai sopito culto al frate domenicano.L.S.

8.10Filippo Dolciati (Firenze 1443-1519) attribuitoSupplizio di Girolamo Savonarola 1498tempera su tavolacm 38 x 58Firenze, Museo di San Marco, inv. 1915 n. 479

Savonarola e i compagni sono giudicati, impiccati e i cadaveri arsi in piazza della Signoria. L’iscrizione «morì il sopra/detto Padre il di/23 maggio», senza l’indicazione dell’anno, ne fa un vivo documento di cronaca, ma la tavoletta è anche un ex voto, perché i frati in gloria stringono la palma del martirio. In basso Savonarola e Domenico Buonvicini (Silvestro Maruffi si costituì solo in seguito) vengono trascinati in Palazzo Vecchio la sera dell’8 aprile dopo l’assalto a San Marco.L.S.

8.11Incisore venetoSic transit gloria mundi in Processo de fra Hieronymo Savonarola da Ferrara [Venezia, Simone Bevilacqua, post 23 maggio 1498] 1498xilografiamm 210 x 160Firenze, Biblioteche della Cassa di Risparmio di Firenze, Fondo Ridolfi 261A/210

«O Signore io… io voglio solamente la tua croce: fammi perseguitare, io ti domando questa grazia che tu non mi lasci morire in sul letto, ma che io ti renda il sangue mio, come tu hai fatto per me». Savonarola aveva sempre agognato la morte. In una società di ambiguità e compromessi invocava chiarezza e confronto. In una città che produceva beni di lusso predicava le virtù della povertà. Non poteva durare. Scomunicato, negò la legittimità del papa. I bambini presero a sassate i corpi in fiamme.T.P.

8.15Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)Cristo crocifissopost 1496tempera su tavola sagomatacm 157,5 x 82,8 cmPrato, Diocesi di Prato - Musei Diocesani MOp35

Il Cristo sofferente in croce è in sintonia con i dettami di Savonarola, anche se l’adesione convinta di Botticelli si ebbe dopo la morte di fra Girolamo. Nell’opera si cominciano ad avvertire i segni di un cambiamento nel riproporre una tipologia, il Crocifisso processionale sagomato e dipinto sui due lati, in auge fra Tre e Quattrocento ma sostenuto da Savonarola. Fu commissionato per il convento domenicano di Prato, città in cui il frate ebbe largo seguito.L.S.

8.16Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510) e bottegaIncoronazione della Vergineultimo decennio del XV secoloolio su tavolacm 279 x 191Firenze, Villa La Quiete

Eseguita per Montevarchi, la tavola è specchio del percorso botticelliano maturato nel clima turbato della Firenze di fine secolo, cui richiamano l’oro e i santi compressi nello spazio. Il pittore si rifà al Trecento, in linea con i dettami di Savonarola, secondo cui l’arte del passato era buona e addirittura santa. Un concerto angelico celebra l’evento con organo portativo, liuto, salterio a pizzico, lira da braccio, flauto diritto, cimbali, arpa medievale e cerchio con sonagli a piattini.L.S.

8.14Filippo Dolciati (Firenze 1443-1519)Storia di Antonio Rinaldeschi1501olio su tela e tavolacm 102 x 115,5Firenze, Museo Stibbert, inv. 16719

Quasi come su un cartellone da cantastorie si ripercorrono le vicende di Antonio Rinaldeschi, che nel 1501 commise sacrilegio oltraggiando un’immagine della Madonna: il gioco ai dadi nell’Osteria del Fico, la profanazione su impulso diabolico, la fuga, l’arresto, il trasferimento al Bargello, la condanna, la notte in preghiera e il conforto della Compagnia dei Neri, l’impiccagione e l’altercatio de anima: diavoli e angeli si disputano l’anima del peccatore, con la vittoria del bene.L.S.Sfortuna nera. Dadi e gioco d’azzardo erano endemici nella Firenze del ’400. Il Comune concedeva licenze e riscuoteva tasse. Pare che quando l’arcivescovo Antonino chiese a Cosimo de’ Medici come dissuadere il clero dal gioco, Cosimo suggerì di finirla innanzitutto con i dadi truccati. Dopo la parentesi di Savonarola, il clima era impietoso. Una perdita ai dadi scatena un rabbioso sacrilegio seguito da arresto, processo, esecuzione. Devozione e propaganda portano a questo dipinto. La Madonna profanata acquista poteri miracolosi…T.P.

8.17Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)Madonna col Bambino e san Giovannino 1500 circatavolacm 134 x 92Firenze, Galleria Palatina, inv. Palatina 357 (1912)

Gotico di lusso. Si sa che nella bottega di Botticelli si discutevano le idee di Savonarola sull’arte. Il frate aveva dichiarato buoni e santi i pittori antichi. Botticelli riprende gli stili del ’300 caricandoli di pathos e presagi. Se la svolta fosse sintomo di una crisi religiosa o solo la ricerca di una possibile nuova moda in linea con i tempi, non ci è dato sapere. Il dipinto è per un cliente privato e, malgrado l’austerità, i colori intensi e le splendide linee evocano una religiosità sontuosa. T.P.La Madonna, troppo grande per le dimensioni della tavola, deve piegarsi assecondando il movimento del Bambino che si sporge per abbracciare san Giovannino. Ne deriva un senso di costrizione e inquietudine caratteristico del momento finale dell’attività di Botticelli, quando la nuova sensibilità savonaroliana determina una svolta nello stile: il pittore cerca pose innaturali e sofferte e propone una spazialità arcaica, incurante delle leggi spaziali e prospettiche.L.S.

Io, Alessandro, ho dipinto questo quadro alla fine dell’anno 1500, al tempo degli sconvolgimenti d’Italia, nel mezzo tempo dopo il tempo e al momento in cui si avverarono le parole dell’XI [capitolo] di san Giovanni, nel secondo

dolore dell’Apocalisse, nella liberazione di tre anni e mezzo del diavolo. In seguito questi, secondo il XII capitolo, sarà

catturato e calpestato come in questo quadro.

Sandro Botticelli, Natività mistica, 1501, Londra, National Gallery

La pubblicazione riunisce i testi esplicativi della mostra

Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità

Firenze, Palazzo Strozzi17 settembre 2011-22 gennaio 2012

Da un’idea diJames M. Bradburne

A cura diLudovica SebregondiTim Parks

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana

Con il patrocinio diMinistero per i Beni e le Attività Culturali

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Testi originaliLudovica SebregondiTim Parks

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Traduzione testi di Tim ParksManuela Faimali

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