Democrazia digitale

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Democrazia digitale: si può essere cittadini attivi e partecipi attraverso la rete? Il tema della cosiddetta democrazia digitale sta interessando molte persone per vari motivi. Proviamo a capire di cosa si tratta, e perché è importante. Visti il tipo di espressione e il suo uso recente, è opportuno dare un primo sguardo ad un’enciclopedia online come Wikipedia, che deve il suo successo proprio alla ricchezza di informazioni e al continuo aggiornamento garantiti, in linea di principio, dalla partecipazione diretta di tante persone e dalla collaborazione immediata tra gli utenti. Qui, per Electronic Democracy (e-democracy) si intende una “forma di democrazia diretta in cui vengono utilizzate le moderne tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle consultazioni popolari”. Proviamo a verificare quanto viene detto. Data la vastità dell’ambiente digitale, le domande che si pongono sono almeno due: quali tecnologie sono usate e quali sono i tipi di consultazione popolare? Prima di rispondere a questi interrogativi occorre però fare un passo indietro e soffermarci sul concetto di democrazia diretta. Cronologicamente, si fa coincidere l’inizio della

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Democrazia digitale:

si può essere cittadini attivi e partecipi attraverso la rete?

Il tema della cosiddetta democrazia digitale sta interessando molte persone per vari

motivi. Proviamo a capire di cosa si tratta, e perché è importante.

Visti il tipo di espressione e il suo uso recente, è opportuno dare un primo sguardo ad

un’enciclopedia online come Wikipedia, che deve il suo successo proprio alla

ricchezza di informazioni e al continuo aggiornamento garantiti, in linea di principio,

dalla partecipazione diretta di tante persone e dalla collaborazione immediata tra gli

utenti. Qui, per Electronic Democracy (e-democracy) si intende una “forma di

democrazia diretta in cui vengono utilizzate le moderne tecnologie dell'informazione

e della comunicazione nelle consultazioni popolari”. Proviamo a verificare quanto

viene detto. Data la vastità dell’ambiente digitale, le domande che si pongono sono

almeno due: quali tecnologie sono usate e quali sono i tipi di consultazione popolare?

Prima di rispondere a questi interrogativi occorre però fare un passo indietro e

soffermarci sul concetto di democrazia diretta. Cronologicamente, si fa coincidere

l’inizio della democrazia diretta come forma di esercizio del potere da parte del

popolo senza intermediari con l’esperienza e le vicende della città di Atene del V-IV

sec. a.C. Tralasciando per un attimo la questione del se fu o meno vera democrazia

diretta, è logico pensare che essa può essere realizzata in ambiti ristretti, con gruppi

di poche persone come aventi diritto, perché, quando invece gli aventi diritto

diventano numerosi, sorgono problemi pratici per riunirsi, proporre iniziative, fare

dibattiti ed eseguire votazioni, con conseguenti allungamenti dei tempi previsti per

risolvere i problemi. E così si può spiegare (in parte) perché tale forma di esercizio

del potere debba essere trasformata nella più gestibile forma della democrazia

rappresentativa, dove il popolo elegge propri candidati rappresentanti ai quali delega

l’esercizio del potere sovrano. Anche se in alcuni stati democratici sono presenti

entrambe le forme per ambiti diversi, storicamente essa non è mai esistita da sola,

perché è sempre “degenerata” in altre forme, né ha mai riguardato tutti gli ambiti

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della vita politica, visto che già in Grecia il popolo riunito in assemblea non poteva

esercitare tutti i suoi poteri e che l’elettorato non includeva donne e schiavi cioè

buona parte della popolazione all’interno di una pur piccola città-stato. Ora, vista

l’impossibilità (o forse dovremmo dire utopia?) di praticare in forma “pura” la

democrazia diretta nell’ambito reale, resta da verificare se questa possa essere messa

in atto o meno in ambito virtuale, ma prima di farlo, veniamo agli altri due quesiti.

Per tecnologie dell’informazione e della comunicazione si intendono i metodi, le

tecnologie ovvero i sistemi di invio o ricezione di informazioni (tecnologie digitali

comprese). Queste sono numerose: si va dai siti internet, ai blog, ai social network, ai

cellulari di nuova generazione ecc. Per mezzo di esse vengono svolte le consultazioni

popolari, cioè si conoscono opinioni e volontà di utenti su determinati argomenti

oggetto di dibattito sotto varie forme: questionari, sondaggi, referendum, ecc.

Ora, secondo Gianfranco Pasquino (cfr. la voce democrazia del Dizionario di Storia

della Treccani), “grazie a Internet sembra diventare possibile una sorta di agorà

telematica nella quale i cittadini, con un minimo di digital divide, vale a dire di

diseguaglianza fra categorie – giovani e anziani, istruiti e no, che hanno accesso e

possibilità differenziate –, godono della enorme opportunità di comunicare fra loro,

per es., con i blog, e, eventualmente, persino di decidere in tempo reale. Grandi sono i

rischi per una democrazia che non sia soltanto diretta, ma anche «istantanea». E,

anche chi voglia andare oltre ovvero, piuttosto, arricchire la democrazia

rappresentativa, sente che si pone il problema: ma la democrazia è decisione oppure è

«conversazione per la decisione»?” .

In effetti la rete internet consente di comunicare rapidissimamente e in modo

istantaneo annullando i confini spazio temporali che, come abbiamo detto,

costituiscono uno dei problemi all’origine della scelta della democrazia

rappresentativa. Internet stesso è probabilmente il mezzo di comunicazione con la

diffusione più rapida della storia dell’umanità. Secondo i sostenitori della cosiddetta

“intelligenza collettiva” (come il filosofo francese Peter Levy) alcune sue

caratteristiche, come la dimensione reticolare e la convergenza al digitale di contenuti

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di tipo diverso (suoni, immagini, testi), hanno modificato non solo i canoni di accesso

alla conoscenza, ma anche quelli della comunicazione stessa, diventata globale

proprio perché organizzata qui in forma reticolare. Nella rete telematica si può essere

contemporaneamente destinatari ed emittenti di messaggi, e tutti possono raggiungere

tutti con semplicità; in più, i social network come Facebook e Twitter sono visti da

molti come strumenti decisionali orizzontali, per la partecipazione e le iniziative dal

basso, che comportano il rifiuto di leadership designate e permamenti (cfr. Fabio

Chiusi cap. 2). Oltre a questi che sembrerebbero essere innegabili punti validi per la

realizzazione di una “democrazia diretta online”, esistono degli aspetti negativi? Per

molte istituzioni pubbliche e private nonché per cittadini e politici finora sicuramente

il pericolo, la difficoltà da affrontare e l’aspetto negativo sono consistiti

essenzialmente nella disintermediazione, come fattore tipico di Internet, e nella

distribuzione parziale, non uniforme e non sempre autorevole e “democratica” delle

informazioni e della conoscenza, data dall’uso non corretto del medium.

Il termine disintermediazione è di origine finanziaria e indica sostanzialmente la

tendenza del pubblico ad occuparsi in prima persona del proprio denaro scavalcando

la mediazione delle banche e di altre figure di consulenti. Nell’ambito di internet, sta

ad indicare in generale la possibilità di interazione diretta tra due figure che nel

mondo reale nella maggior parte dei casi si verifica grazie ad un intermediario: nelle

professioni dell’informazione ad esempio, questo termine è stato usato per indicare il

protagonismo dell’utente finale che in una certa fase è sembrato mettere in dubbio

l’esistenza stessa dei bibliotecari, dei documentalisti, degli information broker ecc.

É vero (almeno in teoria) che grazie alla rete il lettore non ha più bisogno del

bibliotecario, né lo scrittore dell’editore, eppure biblioteche e case editrici continuano

ad esistere grazie ai loro stessi sforzi per fronteggiare i problemi e le difficoltà che si

sono venuti a determinare con l’avvento dei mezzi digitali, così come, volendo

estendere il discorso, hanno fatto anche altre istituzioni: “il mondo accademico sta

reagendo alla crisi della comunicazione scientifica attraverso la costituzione di

consorzi per garantire l’accessibilità della letteratura specialistica; il mondo degli

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studi e delle professioni ha dato vita ai portali verticali per organizzare un accesso

ordinato alle risorse presenti nel Web e pertinenti ai diversi ambiti specifici” (Cfr.

Giovanni Solimine, La biblioteca. Scenari, culture, pratiche di servizio, Roma-Bari,

Editori Laterza, 2005, 5). Si direbbe che chi finora ha svolto il ruolo di intermediario

è stato costretto a rivedere l’utilità e gli scopi della sua funzione.

E in politica che cosa accade? Si direbbe che tutti possono essere

contemporaneamente elettori e politici, e la mediazione politica o la delega non sono

più necessarie perché ciascuno può formarsi un’opinione e sostenere quelle che

ritiene valide. La democrazia diretta, per definizione, mina la mediazione dei politici

“di professione”. Ecco che alcuni, fra cui lo scrittore e giornalista Giampietro Berti,

sostengono che l'idea che la democrazia elettronica possa essere democrazia diretta

appare una speranza mal riposta in quanto “quest'ultima, per funzionare, richiede

esattamente il contrario di quanto offre la «rete» stessa, perché il suo conseguimento

può avvenire solo in piccole comunità, e solamente a patto che si dia un insieme di

condizioni storiche, geografiche, culturali, politiche, religiose - financo

antropologiche - del tutto specifiche. Esempio banale: nessuna democrazia diretta è in

grado di risolvere i problemi di convivenza fra persone di fedi politiche e religiose

opposte.” (http://www.ilgiornale.it/news/cultura/nome-web-sovrano-ecco-tutti-

inganni-democrazia-digitale-991054.html). Quindi, tolto il problema dello spazio e

del tempo per le decisioni da prendere, restano quelli della dimensione della comunità

e delle tante opinioni inconciliabili. Tante di più, se si intende la rete come mezzo di

democrazia diretta, dove chiunque può esprimere un proprio parere e non c’è

mediazione politica. In realtà, non tutte le opinioni espresse sul web hanno seguito,

ma solo alcune. Ecco che esperti giuristi come Fulco Lanchester, professore

ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato all’università La Sapienza di

Roma, mettono in luce i modi in cui le network technologies possono favorire nuove

e inquietanti forme plebiscitarie, sottratte a ogni effettivo controllo democratico. Ciò

accadrebbe, riprendendo il pensiero di Giampietro Berti, perché in rete il consenso è

frutto non di scelte volontarie e perciò libere, ma di condizionamenti e di opere di

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persuasione da parte di demagoghi (cfr. http://www.ilgiornale.it/news/cultura/nome-

web-sovrano-ecco-tutti-inganni-democrazia-digitale-991054.html ). In effetti il

consenso è correttamente espresso, come dice Giuseppe Schiavone, docente di

filosofia politica all’università del Salento, solo quando viene dato dopo un’attenta

riflessione che ha fatto maturare una determinata convinzione , e non risulta autentico

negli altri casi, o quando “dato in forma emotiva in una condizione di coazione

esplicita od occulta, finemente manipolata, o come adesione servile al potere,

all’uomo forte, nella speranza – peraltro spesso improbabile - di poterne avere dei

favori.”. Verrebbe da dire: figurarsi se in un posto come Internet, dove l’istantaneità

la fa da padrona, si può parlare di consenso! Tocca senza dubbio riconoscere che in

una società in cui i cittadini votano ogni sera per eliminare i concorrenti di un

programma televisivo, e ogni mattina firmano petizioni online, il processo elettorale

parlamentare ad esempio, può risultare, se non rigido, quantomeno anacronistico. Se

si riflette ancora un po’, sorgono altre domande: quanto uno dei social media come

Facebook o Twitter aiuta i cittadini a decidere con la propria testa, e quanto fa da

aggregatore e da spinta verso il conformismo per chi vuole fare propaganda? E già,

banalmente la questione è tutta qui. Chi riesce a influenzare chi all’interno della rete?

Chi e quanti sono davvero attivi e partecipi?

Sicuramente non bisogna dimenticare che internet dovrebbe garantire, solo in quanto

medium e per le potenzialità che ha, il libero accesso alle informazioni e il diritto di

esprimere la propria opinione in uguale misura per tutti gli utenti. Si sa però, che la

sua incidenza sociale e politica dipende da come viene usato e infatti non sembra

essere un “luogo” neutro, perché condizionato a sua volta da logiche di potere

economico, di potenza degli Stati e di omologazione. Cosa c'è dunque di così

democratico e orizzontale, o quantomeno, di oggettivo, nell'ecosistema di internet e

dei nuovi media, se tutto è filtrato da interessi economici e di potere?  Cosa c’è di

libero se i nostri dati personali sono oggetto di mercato e se, come sostiene il

giornalista Benedetto Vecchi, i contenuti sono espropriati da parte di imprese

economiche, e quelli politici sono “l’esito di un processo produttivo che vede la

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dimensione politica ridotta a macchina organizzativa di quel processo produttivo ?”

(http://ilmanifesto.it/una-democrazia-a-colpi-di-mouse/ ). Sostanzialmente nulla di

più o di meno rispetto a quanto è possibile riscontrare in pratiche politiche,

associative, comunitarie di tipo tradizionale e piramidale: il rischio che l’opinione

delle persone venga strumentalizzata, se non si conosce bene il funzionamento della

rete, è pressoché identico a quello di un vecchio medium come la tv. Alcuni problemi

che si pongono sono gli stessi di sempre: evitare che il mezzo, invece di aumentare

gli spazi di informazione e quindi di autonomia dei cittadini, venga usato in modo

inappropriato, fomentando il populismo, favorendo le decisioni affrettate e dettate da

emozioni momentanee, l’enfatizzazione mediatica motivata spesso da interessi poco

trasparenti. A fianco a questi però, sorgono altri problemi dettati proprio dalle

caratteristiche di internet. Se si deve votare, come garantire la trasparenza della

votazione senza violare la privacy degli utenti elettori? Visto che la decisione è solo

una fase del “policy making”, in un processo legislativo, come fare per allineare

modalità e tempi virtuali con quelli reali? Come sapere se la questione alla quale si

partecipa con un click non faccia parte di ben più profonde discussioni e non implichi

ben altri risultati? L’Estonia sarà l’unico Paese ad esprimersi con il voto elettronico

alle elezioni europee 2014. Come essere sicuri che i voti dati non verranno

manipolati? Al momento i dubbi sono più delle certezze, in quanto nessuna

istituzione è ancora riuscita, già a qualche anno di distanza dall’introduzione in

diversi stati di metodi di consultazione popolare online, a servirsi dei punti di forza

della rete, l’immediatezza e la pervasività, evitando i pericoli. Occorre quindi cautela

nella scelta e nell’utilizzo. Siamo dell’idea che non si debbano annullare, ma bisogna

fare ancora molto perché un sistema popolare come può essere qualunque rete sociale

con i suoi “mi piace” alla pagina di un’istituzione, valga anche come sistema

democratico.

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