DEMETRIO PIRAS · Le due madri Una storia di altri tempi, degna di far parte delle migliori...

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Demetrio Piras Inganni Demetrio Piras Bandecchi & Vivaldi E D I T O R I Legami PERICOLOSI DEMETRIO PIRAS

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Demetrio Piras

Inganni

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Demetrio Piras è nato a Silanus nel 1948

Inganni

Le due madri

Una storia di altri tempi, degna di far parte delle migliori rappresentazioni teatrali.Una storia d’amore finita in tragedia, riemersa dopo oltre un secolo in occasione del festeggiamento dei cento anni di vita del frutto di quell’amore, due fratelli figli dello stesso padre ma di diversa madre.

L’assoluzione

Spesso le prove di un delitto si presentano così subdole da confondere la verità fino al punto di danneggiare un innocente o favorire un colpevole. Questo racconto ripropone una travagliata vicenda giudiziaria, le cui prove, dubbie e ingannevoli, portarono i giudici prima a condannare e poi ad assolvere l’interessato.

Biglietto di sola andata

È la vicenda di un giovane che non ha resistito al richiamo della droga, nella quale sperava di trovare rifugio alla sua tormentata esistenza.Storie di oggi, comuni nel mondo, che coinvolgono le famiglie degli interessati e la stessa società per le implicazioni di natura sanitaria e di ordine pubblico che provocano.

grafica copertina: MariaTeresa Accardo - www.accardoweb.com

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ISBN 978-88-8-8341-427

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Demetrio Piras è nato a Silanus nel 1948

grafica copertina: MariaTeresa Accardo - www.accardoweb.com

Demetrio Piras

Bandecchi&VivaldiE D I T O R I

Gli amanti del nuraghe

È una storia d’amore tramandata oralmente e risalente agli inizi del 1700, che ha come scenario le campagne di Silanus e come luogo degli incontri segreti il nuraghe Sarbana. Un amore dall’epilogo cruento per il contrasto opposto da un secondo giovane anch’egli innamorato della ragazza.

BalentesPrende spunto dalla vicenda di un parroco che, mai convinto appieno della sua vocazione, si perde nel tentativo vano, rivelatosi tragico, di dare un senso diverso alla sua esistenza.Durante il racconto affiora qua e là la figura di un pericoloso bandito, Peppino Pes, la cui storia è

raccontata in appendice.

Il sequestroUna dolorosa vicenda che richiama i numerosi sequestri commessi in Sardegna nella seconda metà del secolo scorso, con una breve analisi di quel fenomeno. Vittima una ragazza rapita da malviventi senza scrupoli.

LegamiPer icolos i

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Demetrio Piras è nato a Silanus nel 1948

Inganni

Le due madri

Una storia di altri tempi, degna di far parte delle migliori rappresentazioni teatrali.Una storia d’amore finita in tragedia, riemersa dopo oltre un secolo in occasione del festeggiamento dei cento anni di vita del frutto di quell’amore, due fratelli figli dello stesso padre ma di diversa madre.

L’assoluzione

Spesso le prove di un delitto si presentano così subdole da confondere la verità fino al punto di danneggiare un innocente o favorire un colpevole. Questo racconto ripropone una travagliata vicenda giudiziaria, le cui prove, dubbie e ingannevoli, portarono i giudici prima a condannare e poi ad assolvere l’interessato.

Biglietto di sola andata

È la vicenda di un giovane che non ha resistito al richiamo della droga, nella quale sperava di trovare rifugio alla sua tormentata esistenza.Storie di oggi, comuni nel mondo, che coinvolgono le famiglie degli interessati e la stessa società per le implicazioni di natura sanitaria e di ordine pubblico che provocano.

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Demetrio Piras - Giancarlo Nicoli

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e … qui vi era l’Aretinoche da le bracciadi Ghino di Taccoebbe la morte(Dante)

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Demetrio Piras

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DEMETRIO PIRAS

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LE DUE MADRI

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Bandecchi & VivaldiISBN 978-88-8341-427-5

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Demetrio Piras

LE DUE MADRI(dal libro Inganni)

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I

Silanus, 1898.L’improvviso temporale agostano non era bastato ad atte-

nuare la calura che da qualche settimana attanagliava il pa-ese.

Peppe Mura, inzuppato di pioggia, si fermò sulla soglia dell’Osteria Cossu indeciso se entrare o continuare quell’im-previsto bagno estivo correndo fino a casa per asciugarsi. Ma quando intravide, attraverso le tendine della porta, il bel viso di Grazia che in piedi dietro al bancone lo guardava tra diver-tita e impietosita per lui, bagnato come un pulcino, l’idea di entrare si fece più pressante. L’interno del locale era quasi un forno e il volto di Grazia era imperlato di sudore, fatto che però non scalfiva minimamente la sua bellezza.

Antonio, anche lui fradicio di pioggia, raggiunse trafelato Peppe all’ingresso dell’osteria e guardò l’amico ancora esitan-te sulla soglia.- Allora, ti decidi a entrare o ci dobbiamo prendere una polmo-nite? gli disse. E lo spinse dentro facendolo barcollare.

Grazia, scostandosi con una mano il ricciolo nero che le cadeva sugli occhi, sorrise osservando la scena.- Possiamo trattenerci qui finché la pioggia non allenta? chiese Antonio alla ragazza.- Certo che potete, rispose lei.

Peppe si tolse impacciato la berrita e, senza aprire bocca, seguì Antonio che si diresse a uno dei tavoli del locale. Non c’era nessun altro in quel momento nell’osteria, erano le tre

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del pomeriggio, ancora presto. I clienti abituali, di solito, cominciavano ad arrivare verso le cinque per farsi un giro di briscola o di morra, scolandosi, prima di andare a cena, qualche litro di vino rosso delle cantine di Diego Cossu. Le donne vi mettevano piede solo raramente e quando lo face-vano era più che altro per recuperare il marito ubriaco o in notevole ritardo rispetto all’ora di rientro a casa.

Il locale, stretto e buio, adesso che il sole si era nascosto dietro quelle nuvole che avevano causato l’improvviso ac-quazzone, era immerso in un’afosa semioscurità. Grazia era sempre in piedi dietro il bancone e guardava i due giovani che si scrollavano i vestiti cercando di asciugarsi alla meglio. - Vi servo del vino? domandò loro quando si furono seduti.

Peppe la guardò senza rispondere. Non era certo la prima volta che vedeva Grazia. In paese tutti si conoscevano. L’ave-va vista sia in processione che all’uscita della chiesa; una volta anche al ballo in piazza. Eccome se l’aveva notata! Troppo bella per non accorgersene. Sapeva però che piaceva a tan-ti ragazzi e forse anche per questo, ritenendo improbabile un suo successo, non aveva fatto nessun pensiero su di lei. Ma ora che i loro sguardi si erano incontrati era come se la scoprisse per la prima volta; aveva sentito qualcosa avvenire dentro di sé.

Pure Grazia aveva già notato Peppe. La sua figura magra dagli occhi azzurri, dai capelli castano chiari e dal volto fine e serio, che lo facevano apparire tutt’altro che un semplice bracciante agricolo, aveva richiamato la sua attenzione, e for-se anche lei, segretamente, stava aspettando quell’occasione.- No, grazie, non serviteci nulla, rispose Antonio a Grazia, a

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meno che non ci facciate credito. Non avevamo previsto questa sosta. Vero Peppe?

Antonio era più disinvolto di Peppe e guardava sorriden-do l’amico che manteneva ancora un’aria imbarazzata.- A beh, questo non è un problema, disse Grazia. Ne abbiamo di conti aperti… ne posso aprire anche un altro.- Allora va bene! intervenne finalmente Peppe, come risve-gliandosi.

Grazia, dolce e spigliata, non tanto alta, un corpo esile ed elegante, aveva un sorriso e una parola gentile per tutti, ma se necessario sapeva anche tenere bene a bada gli eventuali focosi che sotto i fumi dell’alcool si facevano troppo audaci. I suoi capelli neri, raccolti dietro la nuca, erano ingraziositi da riccioli naturali che le cadevano in continuazione sulla fronte donando al viso un’espressione sbarazzina e sensuale. I suoi occhi scuri e grandi erano un incanto. Una ragazza decisa-mente attraente e bella che difficilmente passava inosservata e che molti ragazzi sognavano di conquistare.

I due giovani non erano dei bevitori: un bicchiere di vino ogni tanto, in qualche occasione speciale, a una festa o a cena con amici, ma non erano abituati a frequentare le osterie.- Aprite pure un conto a mio nome, continuò Peppe.

Antonio lo guardò con fare interrogativo. Non si aspetta-va che l’amico facesse una richiesta del genere, perciò disse:- Ah, …hai deciso di diventare cliente di Grazia? Guardate, Grazia, aggiunse poi rivolgendosi alla ragazza, che da Peppe non guadagnerete un granché… È quasi astemio…- Meglio per lui, l’abuso fa male. Al contrario, un buon bicchiere di vino rosso ogni tanto gli farà bene al sangue e lo manterrà

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giovane, forte… e bello, rispose Grazia.Disse queste parole con quel tanto di simpatica malizia da

colpire ancora di più Peppe.- Certo, lo manterrà giovane, forte… e bello, farfugliò Antonio quasi a se stesso, non sfuggendogli il fatto che Grazia con quella frase aveva chiaramente voluto stuzzicare Peppe.

Grazia si avvicinò al tavolo dove erano seduti i due giova-ni con una brocca di un bel vino rosso cupo e due bicchieri. Quando si allontanò per tornare al bancone, i due ragazzi la seguirono con lo sguardo. Lei sentì addosso i loro occhi e si voltò sorridente:- Volete altro?- No, risposero insieme i due amici.- Quant’è bella! pensò Peppe. Poi disse:- Benedetta la pioggia!- Già, benedetta la pioggia, intervenne Grazia ancora con una punta di malizia mentre si metteva ad armeggiare attorno al bancone. La campagna ne aveva proprio bisogno.

Era passata più di mezz’ora e nell’osteria non erano ancora entrati altri clienti. Era anche tornato il silenzio nel locale e la pioggia era quasi cessata. Antonio si alzò e si sporse fuori dalla porta d’entrata.- Che facciamo, Peppe? Vogliamo togliere il disturbo?

Peppe lo guardò come per dirgli: “Va’, se vuoi”. Ma in quel momento entrarono due paesani e Antonio si

scostò dalla soglia per farli passare. Solo allora Peppe si alzò.- Devo firmare qualcosa? chiese a Grazia.- Sì, rispose lei aprendo il quaderno che era posato sul banco-ne e annottando la consumazione.

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- Ecco, aggiunse poi spingendo il quaderno con un dito verso Peppe, firmate qui.

Peppe firmò e ringraziò.- A presto, disse poi prima di allontanarsi.- A presto, rispose Grazia mentre i loro sguardi si incontrava-no ancora per qualche secondo.

Antonio, sempre allegro, due occhi pieni di intelligenza, stette a guardarli incredulo, fermo sulla soglia come una sta-tua, completamente ignorato. - Ma che vi ha preso? Sembravate due sonnambuli! domandò a Peppe quando furono per strada.

Peppe camminava piano sotto le ultime gocce di una pioggia ormai evanescente, come inebetito, e non rispose.- Che bel temporale! disse invece in maniera distratta.- Già, ribatté Antonio con una punta di invidia, devi proprio ringraziare il temporale se oggi hai fatto una conquista.

Il fatto era che Grazia piaceva anche a lui. Ma a chi non piaceva Grazia?

E Peppe sorrise. Non si era mai sentito così felice come in quel piovoso pomeriggio di agosto del 1898.

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II

In quello scorcio di secolo, tutto era in tumulto sul conti-nente: la nuova Italia, povera e inquieta, tentava di diventare un solo popolo e una grande potenza europea.

Nell’area del Marghine, invece, tra i campi piuttosto aridi e i pascoli a perdita d’occhio, costellati da misteriosi nura-ghi che sembravano voler fermare la storia in quelle terre, la vita scorreva come sempre, lenta e tranquilla, scandita solo dall’alternarsi delle stagioni e dalle nascite, che si sussegui-vano senza interruzioni in quasi tutte le famiglie. Dieci figli, che nell’era dei computer e dei consumi di massa costituireb-bero un’impresa difficile da gestire per tutti, rientravano nella normalità. Quella quota fu sfiorata anche da Diego Cossu e da sua moglie Caterina, genitori di Grazia, fermatisi a nove: sette maschi e due femmine.

La famiglia di Diego abitava in una casa a un solo piano, in via Eleonora1, nel quartiere della Maddalena. Le stanze, pavimentate come quasi tutte a Silanus, con malta composta da sabbia e calce, erano decisamente affollate. Una situazio-ne come tante, che comunque non voleva dire, sebbene si vivesse in un periodo di miseria generalizzata, che la gente morisse di fame. Assicurarsi il cibo era certamente la prima esigenza, ma per il resto ci si accontentava. Televisione, radio e telefono dovevano ancora arrivare.

Considerata la situazione di allora, Diego era indubbia-mente da includere tra i benestanti del paese. Possedeva terre e

1. Attuale via del Rio.

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bestiame che gli garantivano abbondanza di frumento, ortag-gi, latte e carne, per la cui produzione a volte doveva ricorrere anche a manodopera estranea. I figli maschi, appena in età, venivano avviati ai mestieri del contadino e dell’allevatore. Lavoravano tutti per la famiglia ma al compimento del ven-tesimo anno Diego assegnava loro una fetta delle attività da gestire in proprio in modo che potessero pensare al loro fu-turo.

Per sé però lasciò sempre il vigneto di su Cherchizu che gli garantiva una notevole produzione d’uva tanto che per lo smaltimento del vino aveva aperto il locale di via Eleonora, attiguo alla casa.

Nell’Osteria Cossu, come veniva chiamata dalla gente del posto, lavorava principalmente la figlia Grazia, aiutata nelle ore di punta dallo stesso Diego e dal fratello Bartolo o Demetrio. L’orario di chiusura del locale era in genere alle dieci della sera, spesso però anticipato quando le giornate erano più corte. L’il-luminazione veniva assicurata da lanterne a olio combustibile, allo stesso modo che nelle vie pubbliche, dove i lumai provve-devano alle accensioni col primo buio; l’elettricità giungerà in paese, portata dalla ditta Fumagalli, solo nel 1925.

Non erano passati tanti giorni da quel piovoso e caldo po-meriggio di agosto, quando Grazia si rivide davanti Peppe e Antonio. Era di sera e stavolta il locale era affollato di clienti schiamazzanti e rumorosi che giocavano a carte bevendo il rubicondo vino di Diego.

Peppe aveva pregato il suo più caro amico di accompagnar-lo: ancora non se la sentiva di presentarsi da solo all’osteria.

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Antonio l’aveva accontentato, sebbene l’idea di passare una serata a intossicarsi di fumo in quel locale dalle pareti disa-dorne non lo entusiasmasse.

Grazia non era sola. C’era anche il padre ad aiutarla. Nell’intravedere la figura tarchiata di Antonio entrare tra la nebbia dei sigari e, dietro di lui, Peppe, che andarono ad occupare l’ultimo tavolo appena lasciato libero, vicino all’en-trata, Grazia si avvicinò con in mano uno strofinaccio e si mise a passarlo sul legno.- Allora avete mantenuto la promessa, siete tornati presto, esordì Grazia scostandosi con un gesto elegante il ricciolo capriccio-so che le era caduto su un occhio.- Hai visto? rispose Antonio, siamo gente di parola noi.

Grazia sorrise senza guardarli.- Mi sembra strano vedervi qui a quest’ora, con questo fumo. Perché voi non fumate, vero? domandò Grazia.- No, rispose Peppe, ma voi, Grazia, piuttosto, come fate a stare qui tante ore? Riuscite a respirare?- Eh, che volete, devo. Non mi piace tanto veramente. Comun-que, solo di sera è così.

Diego chiamò la figlia. C’era da servire e non era il mo-mento di mettersi a chiacchierare. Grazia tornò in fretta ver-so il bancone dove l’aspettava il padre, che le disse qualcosa.- Pensi che dovremo stare a lungo qui? chiese Antonio a Peppe. Non mi piace tanto l’idea di riempirmi i polmoni di fumo.- Abbi pazienza, gli rispose l’amico, fra un po’ di tempo ci verrò da solo… Oggi mi basta vederla un poco.

I bicchieri glieli portò Diego, mentre Grazia i due giovani li guardava da lontano.

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- Sono contento di avere nuovi clienti, disse Diego.- Abbiamo scoperto che avete il miglior vino della zona, rispose Antonio ridendo, mentre Peppe chinava il capo imbarazza-to.- Mi fa piacere sentirvelo dire e, dato che la pensate così, bevete pure questo bicchiere alla mia salute. Offro io, concluse Die-go.

Quando dopo un’ora i due amici decisero di uscire, Pep-pe si avvicinò al bancone dov’era Grazia per firmare il qua-derno delle consumazioni e, approfittando dell’assenza del padre che si stava trattenendo a un tavolo, si fece coraggio e le disse:- Sono proprio contento di averti rivisto. Verrò a trovarti presto, in un orario in cui c’è meno gente.

Quel tono confidenziale fece avvampare il viso di Grazia e, soprattutto, gli occhi le si illuminarono, un dettaglio signi-ficativo che Peppe non poté non cogliere.

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III

Peppe viveva più che altro presso degli zii senza figli. C’era-no altri fratelli a casa sua e lo spazio era limitato.

A ventitrè anni si guadagnava da vivere lavorando a giorna-ta come bracciante, oppure aiutando, nelle terre e nell’orto di Birdis, lo zio Pasquale, che gli voleva un gran bene e lo consi-derava come un figlio. E in effetti Peppe era un bravo ragazzo, gran lavoratore, serio, scrupoloso, senza tanti grilli per la testa. Tiu2 Pasquale per questo lo stimava e progettava per il nipote un futuro sicuro e tranquillo. Peppe si alzava all’alba, e quando gli zii si levavano era già pronto per andare a lavorare. Non di rado aveva già acceso il fuoco e preparato il caffè anche per loro. Di solito, alla periferia del paese lo aspettava Antonio, l’amico fedele e quasi inseparabile non solo nel tempo libero ma anche nel lavoro. E per tutto il santo giorno si muoveva, spesso con la schiena curva, da una parte all’altra del campo, arando, mie-tendo, sollevando covoni e tronchi. Quando il sole picchiava forte e il sudore gli colava sul viso era sempre lì che lavorava. Un pasto frugale e veloce a mezzogiorno e poi di nuovo a spaccarsi la schiena e le mani. Era magro e ossuto, ma forte. Le braccia erano un fascio di muscoli e le gambe due tronchi di quercia.

Tiu Pasquale in quei giorni notò Peppe più allegro e più espansivo del solito. Per di più canticchiava.- Bella mia no b’andes a messare ca su sole ti lea sa bellura si che rues in carchi sepoltura comente faghes a tinde pesare…2. Signor.

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In genere Peppe era quasi muto quando lavorava, non guardava nessuno e badava solo a far funzionare le braccia e le gambe. La fatica sembrava non sentirla.

Lo zio, che aveva la sua esperienza, capì che qualcosa di nuovo doveva essere entrato nella vita del nipote e un giorno, mentre consumavano il loro frugale pasto di mezzogiorno, gli disse:- Come va, Peppe? Ti vedo contento, non sei più tanto silenzioso come prima. E ti sei messo pure a cantare…- Va tutto bene, zio. È che è primavera e mi sento bene. Forse è il gorgheggiare degli usignoli a coinvolgermi...- Sarà, disse tiu Pasquale. Comunque mi fa piacere vederti se-reno. Sei un bravo ragazzo e meriti di essere felice. - Devo molto a voi e a zia Maria. Mi avete cresciuto come un figlio e vi voglio bene. Per questo spero di non darvi mai delu-sioni.- Tu non ci deluderai mai se continuerai così. E voglio per te un futuro sicuro. Io e zia Maria non abbiamo avuto figli. E allora ti consideriamo un po’ nostro figlio. Vedi? disse poi allargando un braccio verso il terreno circostante, tutto questo voglio che un giorno sia tuo. Zia Maria vuole per te una brava moglie, e anch’io desidero questo. Naturalmente vogliamo anche tanti nipotini.- Come posso ringraziarvi, voi e zia, rispose Peppe, per quello che avete fatto e continuate a fare per me? Quando sarete vecchi penserò io a voi e farò felice la vostra vecchiaia. E voglio anche che voi siate contenti della donna che sceglierò come moglie. Sarete voi ad andare a chiedere la sua mano per me.

Tiu Pasquale capì e sorrise. Ne aveva di anni dietro le spalle!

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La terza volta che Peppe decise di andare all’Osteria Cos-su, Antonio non lo poté accompagnare. In verità, all’amico non è che andasse molto a genio l’idea di reggere la candela. Meglio così. Adesso Peppe si sentiva addosso il coraggio di parlare con Grazia da solo.

Erano le due del pomeriggio di un giorno di settembre e Peppe aveva pregato lo zio di lasciarlo andare via dal chiuso di Birdis perché non stava bene. Antonio, che era presente, aveva sorriso, ma tiu Pasquale non se n’era accorto.

In quel momento Peppe non era nemmeno sicuro di tro-vare Grazia all’osteria, ma valeva la pena tentare. A quell’ora, se c’era, doveva essere sola, e questo era l’unico modo per parlare con lei in maniera più esplicita.

Ebbe fortuna.Quando scostò la tenda della porta dell’osteria e vide Gra-

zia china a lavare il pavimento, respirò forte ed entrò. Nel locale non c’era nessuno: non poteva andare meglio.- Salve, Grazia. Posso?- Vieni, vieni pure.

Peppe notò che anche la ragazza per la prima volta gli dava del tu. Il che però non bastava a nascondere l’imbarazzo che entrambi provavano.- Vedo che stai lavando per terra… Non vorrei…- Ah, non ti preoccupare, Peppe, siediti pure. Magari, non pestare troppo il pavimento, se no devo rifare il lavoro, disse la ragazza riponendo lo spazzolone con il secchio dietro al bancone.- Sei sola, chiese Peppe?- Già, come puoi vedere.

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Peppe si sedette al tavolo più vicino all’entrata e prese il coraggio a due mani.- Non succede spesso di poter parlare con te senza tanta gente intorno.

Grazia si asciugò il sudore della fronte con quel suo gesto sbarazzino che piaceva tanto a Peppe, quindi andò a riempir-gli un bicchiere di vino.- Già, per fortuna ogni tanto posso respirare un po’.- Ma non ti riposi mai tu? disse Peppe.- Eh… non ho tanto tempo per riposare… Di notte mi riposo.- E non hai un po’ di tempo per te durante il giorno?- Sì, certo. Di solito verso mezzogiorno riesco ad andare a casa a mangiare qualcosa e badare un po’ anche a me stessa.

Peppe cominciava a sentirsi più a suo agio; si rese conto che quello era il momento giusto per azzardare.- Grazia, hai capito perché sono diventato tuo cliente?- Ho capito che ti piace il nostro vino. Perché me lo chiedi? ri-spose la ragazza sorridendo.- E non hai capito altro?- E che altro dovrei capire?

Peppe tentò il tutto per tutto.- Grazia, io non vengo qui per il tuo vino. Vengo per te.

La ragazza diventò rossa come mai in vita sua. S’arrestò un momento poi andò a riprendere lo spazzolone e riprese a sfregare con più forza sul pavimento, senza dire nulla.

Peppe rimase anche lui in silenzio. Non gli usciva più ne-anche una sillaba dalla bocca. Si mise a fissare il bicchiere di vino che aveva tra le mani e aspettava qualche parola dalla ragazza, che però non venne.

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- Spero di non averti offeso, disse infine Peppe. Se vuoi non vengo più qui.- Non mi hai affatto offeso, rispose Grazia continuando a stro-finare forte per terra.

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IV

Non ci volle molto a Diego per capire che tra la figlia e Peppe Mura era nato qualcosa. Per qualche tempo fece finta di niente, ma un giorno prese in disparte Grazia e le disse:- Ho capito perché Peppe da un po’ di tempo viene in osteria. E non credere che non abbia compreso che il ragazzo non ti è indifferente.

Grazia non rispose, ma il suo silenzio parlò per lei.- Per ora non posso dare il consenso al fidanzamento. È ancora troppo presto e poi ricordati che Peppe tra non molto deve partire per il servizio militare. Starà via due anni e in questo periodo può succedere di tutto. Nel frattempo Peppe può comunque con-tinuare a venire qui.

Parlò anche con Peppe, che incontrò una sera sul corso:- Mia figlia mi ha detto che le fai la corte, e lei non sembra indifferente a questo. Ma non è ancora il tempo di parlare di fidanzamento. Fra poco partirai per il continente e quando tor-nerai si vedrà. Se le tue intenzioni saranno ancora serie e anche Grazia ti vorrà, allora manda pure tuo zio da me e parleremo.

Così Grazia e Peppe poterono frequentarsi per quei pochi mesi che li separavano dalla partenza per il servizio militare. Ma non riuscirono mai a vedersi da soli perché Diego gliel’a-veva proibito. Era un’epoca in cui la protezione dei genitori verso le figlie giovani era quasi ossessiva. Tuttavia, quando Peppe era seduto a un tavolo dell’osteria e Grazia serviva i clienti o rassettava il locale sotto l’occhio vigile del padre o di qualcuno dei fratelli, era come se in quel posto ci fossero

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solo loro due. I loro occhi comunicavano e si dicevano tutto quello che avevano da dirsi.

E venne, per Peppe, il giorno della partenza per il conti-

nente, destinazione Roma, II Reggimento di Artiglieria. Die-go, cedendo alle insistenti richieste della figlia, la sera prima della partenza consentì a Peppe di conversare un po’ più a lungo con Grazia in un angolo dell’osteria, sotto la sua vigi-lanza. I due ragazzi si promisero amore eterno. La lontananza per due anni sarebbe stata dolorosa ma non avrebbe spento il loro amore. Al rientro dal servizio militare avrebbero ufficia-lizzato il fidanzamento e in breve tempo si sarebbero sposati. Le loro promesse furono suggellate da una stretta di mano e un timido abbraccio.- Attenderemo il tuo rientro, disse Diego salutando Peppe. Fra due anni, se lo vorrai, in questa famiglia ci sarà posto anche per te.- “Bae in bon’ora” figlio mio, aggiunse tia3 Caterina, madre di Grazia. Ti ricorderò sempre alla messa della domenica. Pregherò il Signore che ti assista in tutte le situazioni, ma tu non ti di-menticare mai di noi.- Non temete, vi ricorderò sempre anch’io. Tornerò perché voglio troppo bene a Grazia e la sposerò. Abbiate fiducia in me e vedre-te che non vi deluderò.

L’avventura militare ebbe inizio, due lunghi anni in cui

Peppe riuscì a rientrare in paese solo una volta, con una bre-ve licenza. Ogni mese scriveva una lettera a Grazia. Poche

3. Signora.

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parole con le quali raccontava qualche curioso o spiacevole fatto di caserma. Faceva l’artigliere e usava i cannoni; era fie-ro di questo. Gli avevano affibbiato anche un soprannome, Braga, per il suo particolare compito di introdurre le cariche di lancio nella bocca da fuoco dalla staffa di prolungamento del cannone (detta appunto “braga”). Ora in caserma tutti lo chiamavano Peppe “Braga”, e a lui non dispiaceva perché il suo era un compito importante, e lo sapeva fare bene. Il ser-vizio militare non gli pesava molto, se non per la lontananza da Grazia e per le due braccia che erano mancate ai terreni di tiu Pasquale. Parlava con entusiasmo anche di Roma, la città dove aveva la fortuna di fare il soldato. E in tutte le lettere confermava alla ragazza il suo eterno amore. Anche Grazia gli scrisse qualche volta, ma lei non era abituata a usare la penna e preferiva mandargli qualche cartolina, sulla quale non si poteva scrivere molto.

Intanto la vita in paese e nell’Osteria Cossu proseguiva scandita dai ritmi di sempre. L’atteggiamento di Grazia non mutava, gentile con tutti allo stesso modo, ma più riservata, perché ora era promessa sposa, anche se non ufficialmente, e non si poteva permettere di dare confidenza a nessuno, e nessun uomo doveva prendersi delle libertà con lei. Del re-sto gli occhi del padre e dei fratelli facevano buona guardia e i clienti dell’osteria erano ora ancora più attenti a come si rivolgevano alla ragazza.

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V

Gavino era figlio di tiu Portolu, padrino di cresima di Peppe Mura.

Venticinque anni, fisico attraente, lavorava in paese nella bottega di falegname del padre, nel quartiere Serra ‘e Iscobas. Ma Gavino, più che essere noto per la sua abilità nel fab-bricare piccoli pezzi di mobilia e riparare quella vecchia che le famiglie del paese gli davano da rimettere a nuovo, aveva fama di giovane superbo e disinvolto. Ed era proprio quel suo mostrarsi troppo sicuro di sé, quel suo trattare gli altri con sufficienza e ironia che lo facevano apprezzare soltanto dai suoi amici non molto diversi da lui. Con una maggiore umiltà avrebbe sicuramente riscosso più simpatia, persino dalle ragazze, fra le quali, per di più, ce n’era una che gli inte-ressava particolarmente: Grazia. Lei, bella com’era, era la sola donna che da diverso tempo occupava i suoi pensieri e prima o poi si sarebbe fatto avanti. Anche per questo, insieme agli amici, frequentava l’Osteria Cossu, trattenendosi a lungo nel locale a bere e a giocare a morra e cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione di Grazia su di sé, sebbene con scarsi risultati.

Ultimamente si era accorto che anche Peppe Mura ave-va cominciato a bazzicare l’osteria, e si capiva benissimo che pure lui era interessato alla giovane. Ci rimase male perché quell’aria da bravo ragazzo che Peppe dimostrava sembra-va ispirare Grazia più di quanto non riuscisse a lui quando ostentava la sua bravura nel gioco della morra, o mentre

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improvvisava qualche ottava in rima con gli amici. Ma c’era di più: Peppe riscuoteva anche la simpatia di tiu Diego, che lo accoglieva sempre gentilmente.

Che avrebbe dovuto fare a quel punto Gavino? La decisio-ne più razionale sarebbe stata quella di farsene una ragione, di rassegnarsi, ma non era facile. Troppe volte aveva pensato a Grazia e non poteva né voleva credere che all’improvviso fossero crollate tutte le sue speranze e i sogni ai quali spesso si era abbandonato. Nemmeno con gli amici, che sapevano del suo interesse per Grazia, aveva fatto una bella figura, e adesso si rammaricava di non avere osato di più. Che stupido era stato! Avrebbe dovuto agire prima dell’entrata in scena di Peppe, ma era stato frenato dal timore di essere troppo preci-pitoso. Ora sapeva che un suo eventuale tentativo non avreb-be potuto che avere esito infruttuoso. Non vedendo alcuno sbocco non trovò migliore rimedio che quello di sfogare la sua delusione dando a Grazia qualche punzecchiatura.- Vedo che hai clienti nuovi, le disse un giorno con ironia mentre lo serviva al bancone. Anche i giovani che non bevono sono conquistati dal vostro vino fresco…- Che vuoi dire? gli chiese Grazia.- Niente. Dico solo che qui da un po’ di tempo si vede qualche faccia nuova.

Grazia aveva capito a che cosa Gavino alludeva e non ave-va risposto. Non le piaceva la sua sfacciataggine né come la guardava, ma non le parve il caso di riferire tutto ai suoi. Se necessario si sarebbe difesa da sola.

Non appena Peppe partì, però, Gavino cominciò a osare di più e a farsi vedere all’osteria anche di giorno, quando

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sapeva che nel locale non c’era nessun cliente e Grazia era sola.

Una volta le disse con un sorriso beffardo:- E Peppe come sta?

Grazia trasalì. Che poteva rispondergli? Peppe non era an-cora suo fidanzato.- Gavino, per piacere, fammi lavorare, si limitò a dirgli.- Lavora, lavora. Adesso non hai distrazioni e puoi fare meglio il tuo lavoro.

In un’altra occasione le disse:- Due anni sono lunghi, il continente è lontano e offre tante tentazioni… Fa anche dimenticare molte cose…

Alla fine Grazia non ne poté più.- Ci pensi da solo a smetterla di importunarmi o c’è bisogno che qualcuno ti insegni come stare al tuo posto? fu la sua risposta infastidita dopo l’ennesima provocazione.

La reazione risoluta di Grazia convinse Gavino a non insi-stere e a diradare le sue visite: c’era il rischio che potesse essere richiamato all’ordine con sistemi più spicci dai parenti di lei. Non aveva tuttavia intenzione di gettare la spugna e sperava che il tempo e la lontananza di Peppe avessero potuto giocare a suo favore. Ma quando un giorno nell’osteria vide Grazia parlare con Peppe, rientrato in paese per una breve licenza a metà del secondo anno del servizio militare, fu colto da un’irrefrenabile gelosia e decise di tornare alla carica. Questa volta cambiò anche metodo, cercò di dare di sé un’immagine diversa, di persona seria, ma non funzionò, non riuscì nean-che così a entrare nelle grazie della ragazza. Gavino però non si scoraggiò, anzi, decise di tentare il tutto per tutto. Chiese a

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tiu Portolu, suo padre, di andare da Diego Cossu a chiedere per lui la mano di Grazia.- Ma sei impazzito? gli rispose. Non sai che Grazia è quasi promessa sposa a Peppe?- Lo so, ribatté Gavino, ma non m’importa. Voglio Grazia per me e voi dovete cercare di aiutarmi.- Toglitelo dalla testa, replicò il padre.

Gavino però insistette, disse al padre che non pensava ad altre che a lei e che soltanto per la sua titubanza Peppe gli era passato avanti. Per convincerlo aggiunse anche che in qual-che occasione aveva percepito un certo interesse di Grazia per lui. Alla lunga Gavino riuscì a impietosire il padre e a farsi promettere che ci avrebbe pensato.- In ogni caso, disse tiu Portolu, adesso Diego sta per lasciare il paese e rientrerà fra un paio di settimane: va a Sorradile insie-me a un gruppo di silanesi per partecipare alla novena di San Basilio.- Bene, lo aspetteremo, concluse ostinato il figlio.

In quei giorni Gavino cercò ancora di mostrarsi diverso agli occhi di Grazia comportandosi con giudizio nell’osteria. Poi, al rientro di Diego, tornò alla carica.

Tiu Portolu, che aveva sperato che il figlio si fosse messo l’anima in pace, tentò nuovamente di dissuaderlo.- Lo sai che io sono il padrino di cresima di Peppe. Come puoi chiedermi di fargli un simile torto?- Il torto lo farete a me se non chiederete la mano di Grazia. Non sono forse vostro figlio? puntualizzò Gavino. Se poi Grazia do-vesse dire di no, pazienza, ma almeno non potrò lamentarmi di non averlo tentato. E dobbiamo provare subito perché Peppe fra

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qualche mese tornerà. Allora sì che sarebbe impossibile mandare all’aria il loro fidanzamento! - Tu hai perso il senno. Possibile che non ti renda conto che fa-remmo fiasco se mi presentassi da Diego ora, sapendo che Grazia sta aspettando Peppe per fidanzarsi ufficialmente!

Dopo tanto discutere e vista la caparbia determinazione di Gavino, tiu Portolu, al quale in fondo non dispiaceva l’idea di un apparentamento con la benestante famiglia Cossu, si impegnò a parlare con Diego.- Sono quasi certo, disse, che stiamo per commettere un grosso errore, ma voglio assecondarti perché un giorno tu non possa accusarmi di non essere felice per averti negato la possibilità di verificare i reali sentimenti di Grazia. Ma non ci andrò subito da Diego, bensì al rientro di Peppe.- E che senso avrebbe? Perché non adesso? A quel punto sarebbe troppo tardi…- Lo so io il perché. Non avere fretta. Andare a chiedere la mano di Grazia adesso significherebbe rimediare un sicuro diniego, perciò voglio prima parlare con Peppe. L’idea che ho in mente in un certo senso mi ripugna, ma è uno stratagemma che forse…Tu, comunque, cerca di non farti troppe illusioni perché l’im-presa non sarà facile.- Vedremo! ribatté Gavino.

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VI

Nel febbraio del 1901, quando l’artigliere Peppe “Braga” rientrò dal servizio militare, col grado di caporale, era ancora pieno inverno. Le montagne del Marghine erano coperte di neve e faceva molto freddo. Quel giorno soffiava anche un forte vento di maestrale e a Silanus il piazzale della stazione ferroviaria, dove finalmente alle sei della sera Peppe scese dal treno, era deserto. Ancora frastornato per la notte tremenda passata sul traghetto, quindici ore di tormento su un mare agitato, aveva maturato una certezza: non avrebbe più lascia-to la sua isola per tutta la vita, e lo aveva persino giurato.

In paese nessuno sapeva che quel giorno Peppe sarebbe tornato e quando il treno arrivò in stazione, ad aspettarlo non c’era nessuno. Il vento forte e gelido che stava spazzando ogni cosa tutto attorno lo costrinse a incamminarsi inclinato in avanti e a trascinare il pesante zaino militare. Entrando nell’abitato notò che tutte le case, con i loro camini fumanti, avevano porte e finestre chiuse. Gli uomini probabilmente erano nelle osterie a bere e a giocare a carte o alla morra. Peppe si guardava intorno sperando di vedere qualche pas-sante che lo riconoscesse e lo salutasse, ma c’era solo freddo e vento. Puntò direttamente all’Osteria Cossu.

Quando aprì la porta, facendo entrare nel locale una ge-lida folata di vento, tutti voltarono il capo verso di lui ri-manendo fermi a guardare per qualche istante quel soldato vestito ancora della sua uniforme da artigliere. Anche Grazia era lì, dietro al bancone. Restò immobile con una bottiglia di

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vino in mano, fissandolo stupita. Nessuno le aveva detto che quel giorno Peppe sarebbe tornato.

Peppe entrò nel locale e richiuse la porta dietro di sé.- Salute a tutti! disse.

C’era anche Diego, che gli andò incontro e gli diede la mano.- Bentornato. Non sapevamo che saresti arrivato oggi. Vieni a riscaldarti con un buon bicchiere, gli disse.

Peppe andò verso il bancone. Grazia aveva una gran vo-glia di abbracciare il suo Peppe, ma riuscì soltanto a dargli la mano e a dirgli a bassa voce:- Finalmente qui. - Sì, finalmente sono tornato. La mia ultima lettera non ti è arrivata, vero? domandò poi allungando un braccio verso il caminetto per scaldarsi.

Molti si avvicinarono per stringergli la mano e Diego alla fine propose un brindisi in suo onore.- Alla salute al nostro caporale artigliere!- Alla salute del nostro “Braga”4, ribatté qualcuno.

Grazia si asciugò una lacrima.Anche l’orto di Birdis e i chiusi di Serenarzu, Incantu, Tri-

bides e Chisterru aspettavano le robuste braccia di Peppe, e tiu Pasquale fu la persona più contenta per il suo ritorno dopo Grazia.

Un mese dopo Diego diede il suo benestare al fidanza-mento e Peppe cominciò, secondo le usanze di allora, a fare il

4. Il soprannome Braga col tempo perse l’originale significato venendo, in seguito, collegato all’espressione sarda “bragosu”, ossia vanitoso, per l’abitudine che Peppe aveva di uscire di casa con indumenti sempre puliti e scarpe ben lucidate.

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giro del paese per la consueta partecipazione ai parenti.Tutti si complimentavano con lui.

- Formate una bella coppia, gli dicevano. Ma una sera tiu Portolu, padrino di cresima di Peppe, lo

invitò a casa a brindare al suo ritorno. Lo ricevette in cucina, col camino acceso. Alle pareti era appeso di tutto: padelle, paioli, teglie, coperchi, griglie per l’arrosto e stampi per la la-vorazione del latte. Nello stesso ambiente, in fondo al lungo stanzone, dal soffitto pendeva ogni sorta di provvista: dalle collane di salsiccia al lardo, dalle cipolle raccolte in grappoli ai pomodori, dalle melacotogne alle pere invernali.

Peppe pensava di salutare anche qualche altro familiare di tiu Portolu, ma si rese presto conto che erano soli e non poté non meravigliarsene. Strano che non ci fosse almeno la moglie!- È dovuta andare ad aiutare la vicina a fare il pane, disse quasi giustificandosi tiu Portolu.

Parlarono brevemente del servizio militare e di Roma, poi la conversazione scivolò su Grazia. Qui tiu Portolu comin-ciò a fargli uno strano discorso. Gli disse che indubbiamente Grazia era una bella ragazza, arrivando persino a complimen-tarsi con lui per essere riuscito a conquistare una donna tanto attraente, ambita da diversi giovani. Tuttavia, altrettanto non poteva dire di lei riguardo alla serietà…

Di colpo il sorriso scomparve dalle labbra di Peppe, e la mano con la quale teneva il bicchiere rimase a mezz’aria.- Ma perché, che è successo!? Cosa sapete che io non so? chiese.- Il fatto è che mentre eri via Grazia faceva la civetta con questo e con quello, rispose tiu Portolu.

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- Ma che cosa mi dite?! …E vi risulta che ci sia stato qualcosa con qualcuno?- Dicono soprattutto con un carabiniere…, così ho sentito dire. Vorrei però raccomandarti di tenermi fuori da questa storia. Non farmi pentire di averti aperto gli occhi.

Peppe sperava che fosse tutto uno scherzo, di pessimo gu-sto ma solo uno scherzo, oppure che il padrino si fosse sba-gliato, che avesse capito male e che tutto potesse chiarirsi.- Siete sicuro di quello che state dicendo, padrino? Non è una burla, vero? chiese a tiu Portolu quasi implorante.- Purtroppo è tutto vero, e mi dispiace che sia io a dirti queste cose, ma non potevo nascondertele. Naturalmente, se ritieni che sia meglio per te, continua tranquillamente con Grazia.- E come faccio se le cose stanno come mi dite. Quel pensiero mi ossessionerebbe. Farò quello che devo fare, un passo indie-tro...

Tiu Portolu non avrebbe sperato migliore risposta. In fon-do, però, era quello che si aspettava perché lui i suoi polli li conosceva bene: sapeva che Peppe al proprio onore ci tene-va. Comunque, nel caso Peppe avesse deciso di proseguire ugualmente con Grazia, aveva previsto di scusarsi dicendogli che era stato male informato.- Ti capisco, gli disse tiu Portolu riprendendo la sceneggiata. Di fronte a certi comportamenti non ci si può passare sopra. Quella non ti merita perché non è una donna seria. Ha solo la fortuna di essere bella e questo, purtroppo, nel caso tu la lasciassi, l’aiuterà sicuramente a trovare qualche altro fesso, che non man-cherà di farsi avanti.- Che si metta pure con chi vuole, fu la risposta secca di Peppe.

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Tutto stava procedendo secondo il piano ideato da tiu Portolu. Non restava che passare alla fase finale: mettere le mani avanti perché un giorno Peppe, nell’eventualità di un fidanzamento di Grazia con Gavino, non potesse dire che non se l’aspettava. - Se dopo di te Grazia si dovesse fidanzare con qualche altro, gli disse tiu Portolu, mi auguro che non sia un parente a cascarci, perché quella è capace di ammaliare chiunque.

A stordire Peppe quanto quella notizia che tiu Portolu gli stava propinando, senza neanche cercare di addolcirla, non avevano potuto nemmeno le più roboanti cannonate durante il servizio militare. In certi momenti non sapeva se credere a quello che stava sentendo, ma chi faceva quelle affermazioni non era uno qualsiasi, era suo padrino di cresima. Come po-teva dubitare di quanto gli stava dicendo? Crollò sulla sedia e quasi balbettando disse amareggiato:- Nessuno mi ha detto niente. Che vigliacchi! Magari qualcu-no si sarà fatto anche una risata sotto i baffi. Voi, comunque, state tranquillo padrino, me ne guarderò bene dal fare il vostro nome. - E cosa pensi di fare ora?- Cosa volete che faccia? Che vada a rinfacciarglielo? Non mi abbasserò a tanto. Romperò il fidanzamento senza neanche dare spiegazioni. Ci arriveranno da soli.

A Peppe sembrava di sprofondare in un baratro.- Se lo avessi saputo prima sarei rimasto a Roma, nell’Esercito! Ora ho solo una gran voglia di sparire, disse.- Non esagerare. Esistono tante altre ragazze che sarebbero con-tente di mettersi con te. Se vuoi te ne posso indicare qualcuna…

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- Ho altro a cui pensare in questo momento. Anzi, sento il bi-sogno di stare solo, di andarmene a dormire con qualche litro di vino in corpo. Certo, a quella lì non darò la soddisfazione di vedermi soffrire a lungo.- Ti capisco e mi dispiace, disse tiu Portolu ravvivando il fuo-co, ma vorrei che tenessi presente che la vita non finisce per una relazione che si chiude. Sei giovane e troverai presto un’altra ra-gazza che ti farà felice.

Mentre si avviava verso casa, barcollante per i bicchieri di vino bevuti e anche per la mazzata che aveva ricevuto, Peppe si chiedeva se stesse nel bel mezzo di un brutto sogno. Provò persino a pizzicarsi la faccia per svegliarsi, ma si dovette ren-dere conto che non stava dormendo. Gli incubi quella notte, però, li ebbe davvero: vedeva l’osteria di Diego trasformata in un’orrenda bettola dove Grazia, vestita in modo indecente, girava per i tavoli ridendo, parlando oscenamente con tutti i clienti e lasciandosi toccare; alcuni indossavano la divisa. Il giorno seguente, quando dopo mezzogiorno si svegliò con a fianco il fiasco del vino che si era scolato, gli ci volle un bel po’ per rendersi conto che quello che la sera prima gli aveva detto tiu Portolu era molto più di un brutto sogno.

E dopo quella sera Grazia attese inutilmente di vedere il suo caro Peppe entrare nell’osteria. Ogni volta che la por-ta si apriva lei voltava il capo da quella parte sperando di scorgere il sorridente viso del suo Peppe che la salutava. Ma Peppe non venne e Grazia non capiva. Non poteva credere che avesse cambiato idea così all’improvviso. Avrebbe voluto cercarlo, ma era troppo orgogliosa per andarlo a pregare.

Neanche Diego riusciva a comprendere il comportamento

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di Peppe. Sarebbe voluto andare a parlargli, a dirgli il fatto suo. Tia Caterina però non era d’accordo.- Ha fatto tutto da solo, disse mentre sistemava alcune maio-liche sui ripiani di una scansia. È stato lui a chiedere la mano di Grazia e poi a sparire. Se ha cambiato idea è meglio non cercarlo. I sentimenti non vanno comandati.- Ha abboccato, fu invece il commento lapidario di tiu Porto-lu mentre Gavino gli raccontava soddisfatto che Peppe aveva rotto il fidanzamento.

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VII

Peppe e Pasqua si conoscevano da sempre perché abitava-no nello stesso quartiere, Cuguruttu. Pasqua aveva sei anni di meno, una differenza di età che aveva sempre indotto Peppe a considerarla poco più che una bambina.

Ora però Pasqua stava per compiere ventuno anni e non aveva ancora un fidanzato. Non che non avesse anche lei i suoi corteggiatori. Con quella figuretta graziosa e la forza dei suoi occhi scuri, penetranti, aveva già aperto delle brecce nel cuore di qualche ragazzo. Ma era di carattere molto riservato, dava poca confidenza. Tanto meno le piacevano i ragazzi che facevano gli stupidi. Sul suo futuro amoroso aveva le idee molto chiare: si sarebbe data a un solo uomo e quell’uomo sarebbe stato il primo e l’ultimo della sua vita. Le sue com-pagne di lavoro, vociando in continuazione nella piccola sartoria di tia Luisa dove apprendevano a cucire, cercavano sempre di coinvolgerla nelle loro discussioni, specie quando facevano apprezzamenti su tutti i giovani del paese. Ma a lei non importava e pensava solo al lavoro e alla casa, dove la mamma l’adorava per la sua disponibilità e il grande aiuto che le dava. La sera conversavano a lungo insieme, del più e del meno.

Una domenica, appena rientrato dal servizio militare, Peppe l’aveva incontrata davanti alla chiesa di Sant’Antonio dove cominciavano ad affluire i primi fedeli. Si erano formati i primi crocchi di uomini che aspettavano di entrare in chie-sa, parlottando tra loro come tutti i giorni festivi.

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A Peppe piaceva farsi vedere dai suoi paesani ancora con la sua bella uniforme da caporale di Artiglieria, cosa abbastanza usuale all’epoca fra i giovani che avevano appena terminato il servizio militare. Era fiero di aver servito la patria e per un po’ non voleva tornare alla normalità della vita di paese.- Stai proprio bene in uniforme! gli aveva detto Pasqua mentre, diretta in chiesa, gli passava accanto.

Poi non si erano più rivisti per qualche settimana.Peppe, dopo le rivelazioni del padrino, non si faceva più

vedere in piazza la domenica e pensava soltanto al lavoro. Quando non lavorava se ne stava chiuso in casa in grande tristezza o a rodersi il fegato. Non voleva parlare con nes-suno. Gli zii e i familiari erano preoccupati per lui, ma non riuscivano a cavargli una parola dalla bocca. Poi Peppe ave-va cominciato a fumare il sigaro e a bere qualche bicchiere più del solito. Cercava di dimenticare l’esistenza di Grazia e dell’Osteria Cossu.

Neanche Antonio riusciva a capire né tanto meno a giu-stificare il comportamento di Peppe. A Grazia non accennava più, lui che fino a qualche tempo prima non parlava d’altro. Quando l’amico gli chiedeva una spiegazione Peppe non gli rispondeva, diceva semplicemente che Grazia era morta, e basta.- Devono essere state le cannonate del servizio militare a rintro-narlo e a intorbidirgli il cervello, aveva commentato una volta Antonio con gli amici.

I paesani che passeggiavano per il corso solitamente lo

percorrevano per intero, da Carraghentu fino al lavatoio, che

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si trovava proprio in fondo al paese5. Lì le donne andavano a lavare i panni più impegnativi una o due volte a settima-na. Spesso lo facevano direttamente sullo spiazzo del vicino ruscello, e per molte era un’occasione per scambiare qualche battuta.

Peppe e Antonio un pomeriggio del mese di maggio per-corsero tutto il corso fino al lavatoio. C’era solamente Pa-squa, tutta intenta a strofinare il sapone sulla biancheria.

Peppe la salutò, cominciarono a chiacchierare e continua-rono fino a quando Pasqua non ebbe terminato di lavare i panni. La domenica successiva erano già fidanzati ufficial-mente. Naturalmente, prima di ottenere l’assenso, Peppe dovette dare qualche spiegazione sui motivi che lo avevano portato a lasciare Grazia. - Grazia non è quella che pensavo, aveva detto. - Perché, che cosa ha fatto? aveva chiesto Pasqua, interessata a saperne di più.- Quando ero militare non mi ha portato rispetto.

Peppe non aveva voluto essere più preciso e né Pasqua né i suoi familiari se l’erano sentita di insistere.

5. Allora le ultime case del paese finivano a Funtana ‘e susu da una parte e a Carraghentu dall’altra. A Sena iniziavano i campi coltivati a frumen-to con le loro arzolas (aie); a Birdis c’erano gli orti; le aree di Caramarzos e Sant’Idorzi non erano ancora edificate.

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VIII

- Adesso finalmente sappiamo che anche a Peppe Braga piaccio-no le gonnelle, disse Gavino mentre sorseggiava il suo bicchie-re di vino all’Osteria Cossu. Parlò a voce alta, per farsi sentire da tutti.

Grazia non era sola quel pomeriggio all’osteria. C’era an-che suo fratello Bartolo e un paio di clienti.- Che cosa vuoi dire? chiese Bartolo a Gavino.- Voglio dire che Peppe non è il santarello che credevamo. Si è capito perché Braga ha lasciato tua sorella. Si è messo con Pa-squa, la sartina.- Ma ne sei sicuro?- Certo, informati e vedrai che è come ti dico io.

Grazia taceva, si sentiva svenire.- Ma non te la prendere, Grazia, continuò Gavino. Non hai perso gran che. Tu meriti molto più di Braga. È un immaturo. Devi essere contenta se non pensa più a te.

Ma Grazia non era contenta. Aveva appena appreso il mo-tivo per cui Peppe l’aveva lasciata: molto peggio di quello che aveva immaginato. Per parecchi giorni restò a casa a piangere e non volle andare a lavorare all’osteria. - Ci penso io a dirgli il fatto suo, gridò il fratello Bartolo.- È stato un farabutto, disse a sua volte Diego quando seppe tutto, ma non voglio che ci si sporchi le mani. Grazia è una bella ragazza e vedrete che presto si farà avanti qualche bravo giovane che la consolerà.

Da allora nessuno della famiglia Cossu rivolse più la

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parola a Peppe, il quale, quando inevitabilmente incontrava qualcuno dei fratelli di Grazia, doveva subire il loro sguardo sprezzante. Soltanto Diego una volta, incontrandolo sul cor-so, non riuscì a trattenersi.- Vergognati! gli disse.

Peppe stava per reagire. Per un momento pensò di dirgli che a vergognarsi doveva essere Grazia e lui stesso per aver consentito che la figlia si comportasse in un certo modo, ma poi lasciò perdere.

Passò l’estate e Grazia, nonostante il torto che Peppe le aveva fatto, non riusciva a dimenticarlo. Evitava però ogni occasione di incontrarlo. Cambiò persino l’orario della sua messa domenicale.

Una sera di dicembre di quel 1901 Peppe, che aveva be-vuto qualche bicchiere di troppo, iniziò a straparlare fino a lasciarsi andare a qualche confidenza con l’amico Antonio.- Stasera ti voglio dire perché ho lasciato Grazia!

Antonio rimase allibito dal racconto che gli fece l’amico.- Quello che ti ha detto tiu Portolu è la più grossa fandonia che abbia sentito nella mia vita, gli disse Antonio.- Che ne puoi sapere tu? ribatté Peppe.- Quando tu eri militare andavo spesso all’osteria e una cosa del genere non mi sarebbe sfuggita. In ogni caso non sarebbe potu-ta passare inosservata e da qualcuno ne avrei sentito parlare. Grazia si è sempre comportata bene con tutti. Non ha mai dato confidenza a nessuno. Tiu Portolu ti ha mentito.- Tiu Portolu è mio padrino e non mi avrebbe mai detto una cosa del genere se non fosse stata vera.

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- Ti ripeto: è un’assurda menzogna. Con i carabinieri, poi, Gra-zia neanche ci parlava. Era il padre a intrattenerli. Puoi creder-mi, è come ti dico io. Tiu Portolu si è inventato tutto anche se non riesco a capirne il motivo.

Dopo quelle parole Peppe non si dava più pace: e se il padrino fosse stato male informato e Antonio avesse ragione? Che beffa! Tornare indietro non era più possibile. Ora c’era di mezzo Pasqua, che per giunta fra qualche mese gli avreb-be dato un bambino. Era troppo tardi, occorreva stringere i denti. Ormai Grazia apparteneva al passato. Doveva dimen-ticare.

Antonio da parte sua non riuscì a tenere per sé quella con-fidenza e riferì ai fratelli di Grazia quanto aveva saputo da Peppe.- Invece di avere fiducia in me ha creduto a quel calunniatore, disse Grazia. Avrebbe dovuto avere il coraggio di affrontarmi e tutto si sarebbe chiarito. Ma anch’io, forse, avrei dovuto imma-ginare che la decisione di lasciarmi non era dipesa tutta da lui. Dovevo sentirlo invece di chiudermi dietro il mio orgoglio.- Prima o poi troveremo il modo per fargliela pagare a quel fara-butto di tiu Portolu, aggiunse minaccioso Bartolo.- Portolu ci deve delle spiegazioni, disse a sua volta Diego. Tu comunque, Grazia, ormai non puoi più starci a pensare. Peppe sta per diventare padre. - Che mascalzone! Ma che ragione avrà avuto a inventarsi una storia del genere? si domandava Demetrio mentre ripuliva i suoi gambali.

L’arcano non tardò molto a essere svelato. Fu lo stesso tiu

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Portolu a darne indirettamente le spiegazioni quando una sera, dopo la metà di gennaio del 1902, si presentò all’Osteria Cossu chiedendo un colloquio privato con il padre di Gra-zia.- Che cosa hai da dirmi? gli domandò Diego quando furono soli nel piccolo retrobottega che sfondava nel cortile.- Mio figlio Gavino mi manda da voi per chiedere la mano di Grazia.

Diego rimase sbalordito. In un baleno tutto gli fu chiaro: Portolu aveva tramato per far fallire il fidanzamento tra Pep-pe e Grazia con l’intento di favorire il figlio.- Questa tua richiesta, Portolu, mi sorprende, disse Diego. Non so cosa dirti, ma se devo essere sincero, date le circostanze, ancora non mi sembra il momento opportuno per questo passo.- Fate pure con comodo, ma vorrei una risposta. Non è giusto che Gavino resti a lungo sulle spine. - Allora non mancherò di dartela la risposta. Facciamo sabato della prossima settimana, qui, alle sei della sera.

Diego meditò di prendersi alcuni giorni di tempo prima di dare a Portolu la risposta che meritava. Voleva parlarne ai familiari e valutare con loro l’incredibile proposta, ma so-prattutto voleva sentire l’opinione di Grazia.

Tiu Portolu dal canto suo ignorava che l’inganno era stato scoperto e sperava in una risposta positiva da parte di Grazia e del padre. Sapeva peraltro che Pasqua attendeva un figlio da Peppe e che questi non poteva più permettersi di tornare indietro.- Voglio essere io stessa a dare la risposta a tiu Portolu, disse Grazia tra il dolore e la rabbia. Spetta a me cantargliele dopo

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tutto il male che mi ha fatto. E anche Peppe deve sapere che genere di uomo è suo padrino.

Pensò che forse Peppe soffriva quanto lei, ma non vedeva alcun rimedio. Ora c’era di mezzo un’altra donna, Pasqua, che presto avrebbe dato alla luce un bambino di Peppe.

Cosa fare? La vendetta estrema non rientrava nella men-talità di Grazia né in quella dei familiari e, per quanto le risultava, nemmeno in quella di Peppe. Ma lei almeno la sod-disfazione di umiliare tiu Portolu pubblicamente se la voleva prendere. Se poi Peppe, che Grazia era più che mai decisa a informare dell’ultima trovata del padrino, avesse preso altre iniziative contro di lui per fargli pagare quanto aveva tramato in loro danno, tanto meglio.

Così una mattina, all’insaputa dei suoi, Grazia andò a cer-care Antonio, l’amico di Peppe. Gli raccontò che tiu Portolu aveva chiesto la sua mano per conto del figlio Gavino, cosa che chiariva il disegno ideato per impedire il fidanzamento tra lei e Peppe in modo che il figlio potesse avere campo li-bero.- E dillo a Peppe quanto è stato ingenuo a fidarsi di quell’uomo, gli raccomandò, in modo che si renda conto del bel regalo che ci ha fatto con le sue menzogne.

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IX

Quando Antonio gli disse che tiu Portolu era andato a chiedere la mano di Grazia per il figlio, Peppe capì finalmen-te chi fosse il suo padrino di cresima. La prima reazione fu quella di andare da lui a rompergli il muso, ma poi abbando-nò l’idea pensando al ridicolo cui si sarebbe esposto: un’even-tuale azione punitiva avrebbe infatti innescato i commenti ironici della gente portandolo a incassare, oltre il danno, an-che la beffa. Con Pasqua, poi, nessuna giustificazione avreb-be potuto reggere.

Peppe però amava ancora Grazia, e ora che aveva scoperto l’inganno sentiva di amarla ancora di più, di non poterne fare a meno. C’erano stati dei momenti in cui aveva creduto di odiarla, e forse ci sarebbe riuscito se l’inganno del padrino non fosse stato scoperto. Adesso il desiderio di vederla, di parlarle, di chiederle scusa per non avere avuto fiducia in lei lo ossessio-nava, benché si rendesse conto che era troppo tardi per tornare indietro. C’era Pasqua che non aveva nessuna colpa, e c’era il figlio che stava per nascere. Come avrebbe potuto?

Ma Peppe si chiedeva anche per quale ragione Grazia ave-va voluto che fosse informato della proposta di tiu Portolu. Forse anche lei lo amava ancora e voleva rivederlo? O la sua era un’idea folle e doveva assolutamente rassegnarsi? Il dolore amoroso per Grazia comunque non cessava.

Un giorno non ne poté più e decise di andare da lei.- Succeda quel che succeda, io vado da Grazia, si disse.

Non si aspettava certo di essere accolto a braccia aperte,

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ma la voleva vedere, dirle che non aveva mai smesso di amar-la e che era stato uno stupido a lasciarla. Doveva essere lei a dirgli che tutto era davvero finito.

Quel pomeriggio lasciò l’orto di Birdis nel quale stava lavorando e si avviò all’osteria. Probabilmente a quell’ora il padre non c’era e con un po’ di fortuna non ci avrebbe tro-vato nemmeno clienti. Così fu. Mentre entrava vide Grazia di spalle che stava pulendo un tavolo. Il cuore gli palpitava. Lei sentì che qualcuno era entrato nel locale e si voltò. Non si aspettava di vedersi davanti, fermo ed esitante, il suo Peppe. Ma come era diverso il suo sguardo rispetto a quando, qual-che tempo prima, varcava quella soglia rosso di emozione, aspettando che il bel viso di lei gli regalasse un sorriso pieno d’amore! Ora il volto di Peppe era contratto, aggrottato, non sorrideva e non cercava il sorriso di Grazia.

Lo sguardo di lei esprimeva un misto di dolore e rabbia. - Perché sei qui? avrebbe voluto dirgli. Va’ da quell’altra, così fai contento tuo padrino.

Ma stava zitta. Aspettava che fosse lui a parlare. Voleva sentire quello che aveva da dirle.

Peppe non sapeva da dove cominciare.- Vengo a chiederti perdono, disse finalmente. Sono stato uno stupido e so di averti fatto del male, ma ho pagato quanto te l’inganno di padrino, di quel mascalzone…- Ormai è troppo tardi per queste parole, lo interruppe Grazia. Hai fatto quello che altri ti hanno detto di fare, senza neanche spiegarmi.- Lo so che è tardi e so anche che quello che sto per proporti è un’idea folle.

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- Che genere di proposta?- Se anche tu lo vuoi, io torno con te.- Come puoi dire questo? gli rispose Grazia. Ti dimentichi che c’è un figlio tuo in arrivo?- È vero, ma io non riesco più a rinunciare a te. Non ho mai smesso di amarti.- Non venirmi a dire queste cose, adesso, Peppe. Ormai è tutto complicato. Non puoi lasciare Pasqua con un figlio in arrivo, tuo figlio. È con loro che ora devi stare.- Hai ragione, tuttavia non faccio altro che pensare a te. Non sarei felice accanto a Pasqua e sono sicuro che renderei infelice anche lei e il figlio che sta per nascere. È una donna che apprez-zo, ma io sono innamorato soltanto di te. Vorrei che potessimo tornare insieme, perché è accanto a te che ho sempre immaginato il mio futuro.

Grazia cominciò a piangere. Voleva mantenere i piedi sal-di per terra, dirgli che tornasse da Pasqua perché non era giusto che fosse lei a pagare per gli errori degli altri. Ma era difficile rassegnarsi. Peppe era per lei l’uomo ideale, colui che avrebbe voluto al suo fianco per la vita e che aveva atteso, sof-frendo, due lunghi anni che rientrasse dal servizio militare. Come poteva rinunciare a tutto questo? Come poteva gettare la propria felicità alle ortiche, tutti i suoi sogni? - Vuoi veramente tornare con me? gli disse alla fine.- Non desidero altro al mondo.- E come sistemi le cose con Pasqua? Che le dirai?- Le dirò la verità, ma prima andrò a parlare con i tuoi.- No. Così non accetterebbero mai. Bisogna se mai forzare la situazione. Io un’idea ce l’avrei: sabato sera tiu Portolu verrà

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qui per sapere se accetto di fidanzarmi col figlio Gavino. A quel farabutto la risposta voglio avere la soddisfazione di dargliela io stessa...- E poi? Quale sarebbe l’idea?- E poi… Peppe… tu sei disposto a fare una pazzia?- Sono disposto a tutto pur di riaverti.- Allora, subito dopo averle cantate a tiu Portolu, dobbiamo scappare. È l’unica soluzione: scappare insieme per una decina di giorni. Al rientro non credo che i miei genitori potranno più opporsi al nostro matrimonio.

A Peppe non sembrava vero di udire quelle parole. Sentiva il suo animo riempirsi di felicità: Grazia lo amava ancora!- Naturalmente puoi immaginare quante critiche ci pioveranno addosso…, continuò Grazia. Sei disposto ad affrontare tutto questo?- Certo che sono disposto! Ma…, Grazia, non stai scherzando, vero? Sul serio mi perdoni per il male che ti ho fatto?- Tu mi hai fatto male, Peppe, ma anche a te hanno fatto male. E anche altri purtroppo soffriranno. In ogni caso non è giusto che dobbiamo essere noi a pagare ancora. Se vogliamo la nostra felicità non possiamo fare altro che prendercela, anche se il modo non è quello che avremmo voluto.- Hai ragione. Spero che Pasqua possa capire e perdonarmi, con-cluse Peppe.

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X

Anche quel sabato sera di fine gennaio 1902 nella rivendi-ta di vino di Diego c’era tanta gente. Tutti i tavoli erano oc-cupati. Come al solito, alcuni clienti giocavano a carte, altri conversavano, qualcuno stava in piedi accanto al bancone. Il tutto avvolto nella consueta nuvola di fumo.

Mentre Grazia era occupata dietro il bancone, il fratel-lo Bartolo serviva ai tavoli. Diego invece stazionava vicino all’ingresso secondo quanto avevano pianificato per acco-gliere tiu Portolu come si conveniva. Quando questi entrò nel locale, sicuro di sé, con la berrita ben calata in testa e il relativo sacchetto perfettamente arrotolato sul capo, Diego fece finta di essere occupato con i clienti del primo tavolo. Tiu Portolu salutò tutti con un largo sorriso, poi si avvicinò a Diego pronunciando una di quelle frasi rituali che servono più che altro a rompere il ghiaccio.- E ite novas, Diego?- De onzi manera, Portolu, rispose lui, ma senza scomporsi più di tanto.

Tiu Portolu, in verità, si aspettava da Diego un’accoglienza più calorosa, da futuro suocero, e ci rimase male. Gli sembrò di capire che qualcosa non stava andando per il verso giusto sicché si affrettò a chiedere quanto più gli premeva.- E che mi dici della proposta che ti ho fatto giorni fa? - Va’ pure da Grazia. Ha detto che vuole essere lei stessa a darti la risposta, gli rispose Diego.- Ah! Bene, vado da lei.

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Grazia vide la grossa mole di tiu Portolu avanzare in mezzo alla nuvola di fumo. Lo attese con noncuranza, continuando a sistemare i bicchieri, poi, una volta accostatosi al bancone, Grazia gli lanciò un’occhiata folgorante. Tiu Portolu avvertì la seconda sensazione negativa che gli fece rizzare i folti baffi e presagire che la risposta non sarebbe stata quella auspicata.- Buonasera Grazia. Avete qualche secondo? domandò.- Buonasera tiu Portolu. Vi servo del vino? rispose lei fredda-mente.- Veramente sono venuto per conoscere una certa risposta. Vostro padre mi ha appena detto che volete darmela personalmente.

Grazia a quel punto esplose.- Volete la mia risposta? Allora sentite, tiu Portolu, disse quasi gridando per richiamare l’attenzione di tutti, se siete venuto qui per chiedermi di fidanzarmi con Gavino, la risposta è no. A me però preme soprattutto farvi una domanda: con quale faccia vi presentate qui dopo avere infangato il mio onore e causato la rottura del mio fidanzamento con Peppe dicendogli che mentre lui era militare io avrei fatto la bagascia con l’uno e con l’altro? - Ma Grazia, io…, balbettò tiu Portolu, che all’improvviso si sentì addosso gli occhi di tutti i clienti, e non a torto.- Voi sapevate benissimo, continuò Grazia, che quell’afferma-zione era falsa. Ma che vi importava? Voi mi volevate per vostro figlio Gavino. Evidentemente non sapete neanche cosa sia la ver-gogna. Ma se esiste una giustizia prima o poi pagherete la vostra pagliacciata. E ora uscite da questo locale e non metteteci più piede. Dite la stessa cosa a vostro figlio e sposatelo con qualche bagascia vera, degna di lui e di voi!

Mai e poi mai tiu Portolu si sarebbe aspettato di dover

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subire una simile umiliazione in pubblico. Restò attonito, senza saper dire una parola. Si rese conto che Peppe aveva raccontato tutto e per un attimo pensò alle insistenti richieste del figlio e a tutta la riluttanza che lui aveva avuto di fronte a quelle assurde pretese. Ci aveva visto giusto, ma poi aveva ceduto fino a inventarsi quella volgare bassezza che nessuna etica, neanche nella più sleale delle competizioni amorose, avrebbe potuto trovare giustificazione. E ora era giusto che pagasse.

I presenti ascoltarono ammutoliti le parole di Grazia e la mancata reazione di tiu Portolu non fece che confermare a tutti che ciò che aveva detto la ragazza era vero.

Tiu Portolu cominciò pian piano a indietreggiare, in si-lenzio, fino a raggiungere l’uscita.

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XI

Saltuariamente Sebastiano, un commerciante amico di Peppe che abitava a Macomer e col quale erano stati soldati insieme, si recava a Silanus e nei paesi vicini per fare il carico di legumi da portare in città. Proprio in quei giorni venne a Silanus e pranzò a casa di Peppe.- Puoi ospitare me e Grazia a casa tua per una decina di giorni? chiese nell’occasione Peppe all’amico dopo avergli raccontato tutto.- Vi aiuterò, visto che siete decisi a fare questo passo, rispose Sebastiano, ma spero che abbiate pensato bene a quello che state per fare.

Si misero d’accordo per il sabato successivo, giorno in cui Sebastiano sarebbe tornato a Silanus per un altro carico. Quel-la sera avrebbero aspettato Grazia col carretto all’uscita del pa-ese, a s’Erimu. Di lì avrebbero proseguito per Macomer.

Così avvenne. La sera stabilita, dopo che a tiu Portolu fu dato il benservito, nell’Osteria Cossu erano rimasti insieme a Grazia il padre e il fratello Bartolo. Verso le otto Grazia chiese a Diego di poter andare a casa: non si sentiva bene. Uscì dall’osteria e si diresse a s’Erimu. Lì ad attenderla c’era-no, nascosti col carretto, Peppe e Sebastiano. Vi salirono e si avviarono per la strada ghiaiata. La serata era fredda e umi-da, poco invitante. Lungo il cammino, appena rischiarato da una luna velata, il silenzio della campagna era interrotto solo dal passo del cavallo e dall’abbaiare, qua e là, di qualche cane al passaggio del carretto.

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Quando Diego, quella sera, si accorse della scomparsa della figlia, mezzo paese fu messo in subbuglio ma, accer-tatosi che anche Peppe aveva sbrigativamente detto allo zio Pasquale di non aspettarlo al lavoro per una decina di giorni, capì che cosa era successo.

Il giorno dopo in paese si parlava solo della brutta figura rimediata da tiu Portolu e della fuga di Grazia con Peppe.

Che qualcosa stesse per accadere, Diego e tia Caterina l’a-vevano intuito sapendo che i due ragazzi si erano rivisti. Chi invece non aveva previsto quel colpo di testa era Pasqua, la quale aveva già da sette mesi nel ventre il bambino che Peppe le aveva dato, e non si aspettava quel tradimento. La ragaz-za cadde in uno stato di profonda prostrazione e per più di una settimana non uscì di casa. Non riusciva a capire come Peppe potesse essere così irresponsabile e avere il coraggio di ingannarla in quel modo. Grazia, poi, come poteva rubarle l’uomo che stava per diventare padre del suo bambino? Se avesse avuto un minimo di coscienza non avrebbe commes-so un peccato come quello. Poi ripensò al comportamento mantenuto da Peppe negli ultimi tempi. Ora capiva perché non le dimostrava più lo stesso affetto e non voleva sentir parlare di matrimonio malgrado per lei si stesse avvicinan-do il tempo di partorire. Sosteneva di non essere ancora pronto economicamente, ma la realtà era che aveva ancora in mente Grazia.

Peppe e Grazia trascorsero quei giorni senza mai uscire

dalla casa di Sebastiano, che si trovava nel primo agglome-rato di Macomer, subito dopo la salita della chiesa di San

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Pantaleo. Una reclusione forzata, con tanti sensi di colpa, ma ugualmente felice.

Il dieci febbraio Peppe e Grazia si fecero smontare dal car-retto di Sebastiano all’altezza di Ordari, il ruscello che segna i confini tra Bortigali e Silanus. La fuga dei due ragazzi aveva fatto scalpore e Sebastiano non se la sentì di percorrere con loro il territorio di Silanus fino al paese. Peppe e Grazia ca-pirono e proseguirono a piedi andando direttamente a casa Cossu. Tia Caterina, che era sul ballatoio, pronta come tutte le mattine a recarsi alla fontana per riempire la brocca, se li vide comparire nel cortile e rimase per qualche istante immo-bile a guardarli.- Siamo tornati, disse semplicemente Grazia

Tia Caterina scese giù di corsa e andò verso di loro.- Che cosa avete fatto!? chiese.- Abbiamo fatto quello che dovevamo, rispose Peppe. Ci dispia-ce ma non avevamo scelta.- Diego è infuriato, lo sapete? Tutto il paese non parla che di voi!- Sì, lo sappiamo, disse Grazia, ma dovete ugualmente perdo-narci.

Diego li perdonò, infatti. Che poteva più fare a quel pun-to? E volle che fosse fissata al più presto la data del matrimo-nio riparatore.- E con Pasqua come la metti? domandò a Peppe.- Andrò da lei e le parlerò. Deve rassegnarsi. Il mio destino era di sposarmi con Grazia.- E al bambino che sta per nascere e che è tuo, hai pensato?- Sì, ci ho pensato. Lo aiuterò se mi sarà consentito. Grazia

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non potrà che essere d’accordo. Neanche lei vorrà che mi dimen-tichi del bambino.

Quando si ebbe la conferma che Grazia era incinta, i due fidanzati andarono in municipio e firmarono le pubblicazio-ni del loro matrimonio che, con il rito religioso, fu fissato per il successivo 12 giugno, un giovedì6.

Peppe avrebbe dato qualunque cosa pur di evitare l’incon-tro con Pasqua, ma nulla e nessuno poteva risparmiarglielo. Peppe spiegò le sue ragioni, le chiese perdono, ma si mostrò determinato a non lasciare Grazia. Pasqua cercò in tutte le maniere, e inutilmente, di convincerlo a tornare da lei.- Manca poco alla nascita di nostro figlio. Per quel giorno mi auguro che ti sia tornato il giudizio, diversamente questa storia potrebbe finire molto male, gli disse.

L’11 marzo nacque il figlio di Pasqua, Raimondo, ma Pep-pe non si fece vedere.- “Brullada e lassada” fu a quel punto la frase che iniziò a ronzare nella mente di Pasqua, immaginando i paesani com-mentare il suo caso con commiserazione o derisione.

A metà aprile riuscì ad avere un altro incontro con Peppe. Lo esortò ancora una volta a tornare da lei.- Non hai neanche visto tuo figlio. Anche lui, come me, ha biso-gno di te, gli disse.

Peppe fu irremovibile. - Anche Grazia aspetta un figlio e purtroppo non posso divider-mi in due, fu la risposta.

6. A quei tempi le coppie non “pure” (donna incinta, vedovi ecc.) si sposavano di giovedì con festeggiamenti sotto tono. Le coppie “normali” invece si sposavano di sabato e i festeggiamenti duravano fino a tutto il giorno dopo.

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- Nostro figlio però è arrivato per primo. - Sì, ma sai benissimo che Grazia c’era prima di te.

Alla fine, dopo tanto discutere, senza neanche il minimo cedimento da parte di Peppe, con tono minaccioso Pasqua gli disse:- Se è questo che vuoi, va pure da quell’altra, ma rifletti molto su questa promessa che ti faccio, e cerca di non scordartela: se mio figlio non potrà avere suo padre, non lo avrà nemmeno quell’al-tro che ancora deve nascere!

Fu così che Pasqua iniziò a meditare la vendetta.

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XII

Quell’estate del 1902 si annunciava più torrida del solito nel Marghine. Nei primi giorni di giugno il sole già bruciava le sue campagne, dove comunque non mancava il consueto fermento stagionale: il lavoro dei campi non conosceva né il caldo né il freddo.

La data del matrimonio tra Peppe e Grazia era stata de-cisa in fretta e il parroco di Sant’Antonio aveva confermato l’opportunità di celebrare il rito in un giovedì, ossia non di sabato, riservato generalmente alle coppie “pure”. Non era il caso di dare tanta pubblicità alla cerimonia, della quale il parroco, che non riusciva a nascondere un certo disgusto quando si accennava alla vicenda, avrebbe fatto volentieri a meno: meglio svolgerla in tono minore per non alimentare la curiosità dei paesani. Gli invitati, in ogni caso, sarebbero stati pochissimi, soltanto i parenti degli sposi, con il pranzo di nozze da tenere riservatamente in casa Cossu.

Nessuna delle due famiglie avrebbe voluto tutto questo. Diego quando pensava al matrimonio della figlia progettava una festa da restare a lungo nella memoria di tutti i paesani, e invece si doveva fare ogni cosa quasi di nascosto, quasi con vergogna. Mai avrebbe immaginato questa umiliazione che pensava di non meritare.

Già da un po’ di tempo Grazia non lavorava più all’oste-ria; al suo posto c’era il fratello Bartolo. Nel locale non c’era più l’allegra atmosfera di una volta e Diego non era lo stesso di qualche mese prima. Sotto i baffoni non rideva più e non

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si intratteneva a scherzare con i clienti, che erano tutti amici suoi. Era come se una disgrazia si fosse abbattuta sulla fami-glia.

In casa Cossu i preparativi per le nozze erano cominciati tardi, quasi contro voglia. Del resto non c’era molto da pre-parare: il vestito di Grazia, gli addobbi in chiesa, il pranzo con i parenti più stretti. A tutto si pensava senza entusiasmo, come se tutti fossero impazienti di chiudere e dimenticare una storia dolorosa. Il giorno del matrimonio Grazia avrebbe indossato blusa e gonna ricamata, nonché una larga stola, pure con ricami, per coprirle le spalle. Lo sposo avrebbe mes-so il tipico costume locale.

Peppe continuava a lavorare nel chiuso di Birdis e nelle altre terre di tiu Pasquale come se nulla di straordinario stesse per accadere nella sua vita. Non cantava più mentre piegava la schiena o si muoveva in lungo e in largo per il campo, e lo zio non gli chiedeva se era contento. Neanche Antonio, che spesso lo accompagnava, toccava l’argomento.

Le pubblicazioni del matrimonio erano state affisse dal segretario comunale quasi di nascosto. Nessuno si era mai fermato a leggerle, ma tutti in paese sapevano che il dodici giugno, giovedì, Peppe e Grazia avrebbero riparato la loro colpa. Soltanto Pasqua entrava ogni tanto nell’androne del municipio, che si trovava accanto alla chiesa di Sant’Anto-nio, fermandosi per qualche momento davanti alla bacheca contenente le pubblicazioni. Non si capiva se lo facesse ap-posta a farsi vedere lì davanti, immobile a fissare il foglietto riparatore, o se vi andasse nella speranza di vedere che c’era stato un ripensamento. Di certo dava l’idea di un giocatore

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che, vittima di un raggiro, aveva perso tutto e se ne stava in un cantuccio, in silenzio, umiliato e sdegnato allo stesso tem-po. Pasqua si sentiva anche addosso gli occhi di tutto il paese e pensava che da dietro gli scuri delle case la spiassero in tutti i suoi movimenti. Le sembrava che quegli occhi le dicessero: - Come fai a sopportare un’offesa simile? Perché non fai qualco-sa? Perché non ti fai giustizia?

E lei, alla fine, stanca, voleva giustizia, non voleva la pietà di nessuno; e giustizia per lei era difendere il suo onore. Ma si sentiva sola a farlo visto che i parenti più stretti non erano disposti a vendicare con azioni drastiche la sua dignità ferita. Il matrimonio di Peppe e Grazia, comunque, non era stato ancora celebrato e l’offesa che le si stava facendo non si era compiuta fino in fondo. Ma mancavano ormai pochi giorni al dodici di giugno e non vedeva alcuna soluzione. A quel punto Pasqua pensò di non avere ormai più nulla da perdere: se effettivamente Peppe non poteva essere suo, non sarebbe stato di nessun’altra.

Si rivolse a un amico di famiglia perché l’aiutasse.

Venerdì 6 giugno 1902, festa del Sacro Cuore.Per la ricorrenza a Silanus erano previste particolari cele-

brazioni. Quella mattina tutto il paese si preparò per parteci-pare alle solenni funzioni religiose che avevano come punto centrale la chiesa di Sant’Antonio. Alle dieci e mezza la pro-cessione partì dalla piazzetta della chiesa, dove sarebbe rien-trata verso le undici dopo aver attraversato tutti i quartieri del paese. Gli uomini, in maggioranza col vestito locale in bianco e nero, sfilavano per lo più dietro le donne, con vesti

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scure le anziane e con colori vivaci le giovani. Anche Peppe e Grazia, entrambi con il vestito che avrebbero indossato il giovedì della settimana successiva per le nozze, erano in fila, uno accanto all’altra, dietro la grande statua colorata del Sa-cro Cuore che sfilava per le strade accompagnata dai canti e dalle preghiere dei fedeli. Una decina di metri dietro c’era Pasqua, che avvolta nella sua mantellina nera sembrava tene-re d’occhio i promessi sposi mentre cantava gli inni sacri. E quegli occhi Grazia se li sentiva addosso, quanto bastava per farle venire le palpitazioni.- Sta’ tranquilla, le disse Peppe, non succederà nulla.

Ma Grazia, confusa anche dall’assordante scampanio me-lodico che proveniva dalla torre campanaria, non riusciva a stare serena. L’improvvisa apparizione di Pasqua, che otto giorni prima alla processione del Corpus Domini non si era vista, le aveva trasmesso un forte turbamento, una sensazio-ne a tinte scure, quasi il presagio di un melodramma che si avviava all’ultimo atto. E mentre respirava quell’aria e le campane continuavano a suonare, non vedeva l’ora che le celebrazioni si concludessero per potersene tornare a casa.

La messa ebbe inizio. Gli uomini occuparono i posti sul lato destro della navata, le donne quelli a sinistra. Lascia-to Peppe, Grazia andò a sedersi in uno degli ultimi banchi per poter uscire più in fretta dalla chiesa alla fine della mes-sa. Aspettò tremante l’ingresso di Pasqua, che se la sentiva sempre dietro, fissandola implacabile. Pasqua infatti entrò e rimase in piedi in un angolo, all’inizio della navata, sul lato riservato alle donne. Grazia non aveva il coraggio di voltarsi per vedere dov’era Pasqua, e continuò a sentire i suoi occhi su

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di lei. Il cuore le batté forte per tutta la cerimonia. Peppe la guardò più volte e capì come si doveva sentire la sua promessa sposa. Cercò di rassicurarla con lo sguardo: sei giorni ancora, fino al giovedì della settimana successiva, poi sarebbero stati marito e moglie. Non riuscì però a tranquillizzarla.

Finalmente la messa finì e appena l’Ite missa est del sacer-dote risuonò nella chiesa, Grazia si alzò dal bancone, aspettò qualche secondo che i fedeli cominciassero a uscire, si ge-nuflesse e a capo chino raggiunse in fretta l’uscita. Peppe le andò dietro.

Pasqua era sempre lì, diritta e immobile. Aveva visto usci-re Grazia, poi aveva fissato a lungo Peppe finché anche lui era uscito.

Una volta all’esterno Peppe raggiunse Grazia. Il sagrato del-la chiesa era una sorta di terrazza protetta nel lato sud da un parapetto, dal quale era possibile affacciarsi sul corso sottostan-te. Oltre la strada c’era lo spiazzo della chiesa di Santa Croce.- Voglio che andiamo subito a casa. Non mi va di stare qui, disse a Peppe ancora molto tesa.

Peppe capì l’imbarazzo di Grazia: era chiaro che voleva evitare di incontrare nuovamente Pasqua.- Va bene, ma tranquillizzati. Io però, dato che per il pranzo è ancora presto, mi tratterrei un po’ a parlare con gli amici.- D’accordo, se vuoi puoi restare. Ti aspetto a casa.- Sicuro che non ti dispiace? domandò Peppe in dubbio se accompagnarla.- No, tranquillo. Ci vediamo fra un’ora per il pranzo.

Grazia quindi si avviò e Peppe andò verso gli amici, a po-chi passi.

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Pasqua conosceva l’abitudine di Peppe di intrattenersi dopo la messa all’esterno della chiesa a conversare, e aveva at-teso che tutti i fedeli fossero usciti, stando ferma, in piedi, nel punto dove era rimasta per tutta la durata della funzione reli-giosa. Quando fu sola si mosse lentamente verso l’uscita. Gli amici di Peppe la videro comparire sulla soglia della chiesa con le mani sotto la sua veste nera lunga e la testa ancora co-perta dal velo. Peppe le era di spalle e non la vide. La ragazza si fermò per un istante, poi avanzò, sempre lentamente, verso il gruppo di giovani che si trovava a una decina di metri.- Peppe, gli disse l’amico Antonio, c’è Pasqua che viene verso di noi.

Il primo istinto di Peppe fu quello di voltarsi, ma non lo fece. Immaginava però i suoi passi avvicinarsi alle sue spal-le. Il cuore cominciò a battergli più forte, ma non percepì la gravità del pericolo. I ragazzi seguivano come inebetiti i passi di Pasqua, i cui occhi erano sempre fissi su Peppe. Una volta giunta all’altezza del “suo” uomo, il gruppo si allargò, Pasqua si fermò e nella sua mano destra apparve una pisto-la.

Peppe nemmeno sentì le parole che la ragazza disse men-tre stramazzava a terra:- Non dovevi farmelo questo torto, Peppe. Io ti volevo bene.

Gli amici si chinarono tutti su Peppe steso sul selciato, mentre Pasqua, calma, lasciava cadere la pistola e si avviava lentamente verso il corso. Nessuno la fermò.

Lo sparo era echeggiato forte per tutto il paese e anche Grazia, che ormai era arrivata vicino casa, lo udì. Si fermò terrorizzata.

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- Me l’ha ammazzato! gridò istintivamente, e tornò di corsa indietro lasciando che la stola ricamata le volasse via.

Quattro ragazzi portarono immediatamente Peppe ansi-mante e in lamenti verso l’ambulatorio, che si trovava sul corso. Altra gente li seguiva, compreso il medico condotto che si era attardato dopo la messa a conversare in piazza San-ta Croce.

Grazia arrivò che Peppe quasi delirava, ma lui la riconob-be e le disse con un filo di voce:- Forse me lo sono meritato. Ho fatto del male a tutti. Perdona-temi.- Una brutta ferita, disse poi il medico lavandosi il sangue nel lavamani posato sopra il trespolo. Non credo di poter fare molto, continuò.

Peppe, ancora cosciente, restò a lungo steso sul lettino dell’ambulatorio, con Grazia che gli accarezzava il viso sin-ghiozzando.

Col passare delle ore Peppe si aggravò e al vescovo fu chie-sta l’autorizzazione, prontamente concessa, perché il matri-monio fosse eventualmente celebrato in anticipo.

Due giorni dopo, constatando che lo stato di salute di Peppe peggiorava, fu richiesto l’intervento del sacerdote.

Quando accorse don Fois, Peppe era quasi allo stremo.- Don Fois, sposateci adesso. Non credo di averne per molto, riuscì a dirgli a fatica.- Lo vuoi anche tu? chiese il parroco a Grazia posando il bre-viario, ben sapendo quale sarebbe stata la risposta.- Sì, lo voglio.

Intorno a Peppe c’erano in quel momento anche i suoi zii,

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oltre a Diego e Caterina.- Vi dichiaro marito e moglie, disse don Fois benedicendo i due ragazzi.

Furono le ultime parole che Peppe udì.

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Il secondo figlio di Peppe, avuto da Grazia, a cui fu dato lo stesso nome del padre, nascerà il 16 novembre dello stesso anno, il 1902.

Pasqua venne arrestata, ma la sua detenzione durò solo pochi mesi: a quei tempi, infatti, vigeva la normativa che tu-telava il delitto per motivi d’onore, e questo era un caso che vi rientrava a pieno titolo.

Con la morte di Peppe la rivalità fra le due donne, an-che se non si parlarono per il resto della vita, cessò. Nessuna odiava l’altra. Avevano avuto un figlio dallo stesso uomo che il destino aveva messo sulle loro strade e che entrambe ave-vano amato. Un destino che aveva coinvolto anche un altro giovane, che a sua volta, per amore, si era intromesso traman-do per risolvere la partita a suo favore. Paradossalmente, fu l’amore a provocare la tragedia, e proprio per questo la gente assolse tutti i suoi protagonisti.

Quel clima di generale comprensione permise alle due donne di ritrovare una certa serenità. Grazia nel 1907 si ri-sposò con Totoi, con il quale ebbe altri due figli. Pasqua, a sua volta, sposatasi nel 1914 con Giovanni, ebbe altri quattro figli.

La storia però non si ferma qui. Ha una seconda parte. I figli di Peppe, infatti, Raimondo nato dalla relazione con Pasqua e Giuseppe da quella con Grazia, da bambini viveva-no vicino e a volte giocavano insieme senza sapere di essere fratelli. A mettere loro la pulce nell’orecchio fu una signora

Epilogo

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quando, in seconda elementare, vedendoli litigare e darsele di santa ragione ingiunse loro di smetterla aggiungendo:- Non lo sapete che siete fratelli!? Dovreste andare più d’accordo e non cercare la lite.

I due bambini, entrambi con gli occhi azzurri e i capel-li castano chiari del padre, non ebbero conferme, ma nem-meno smentite quando raccontarono in casa ciò che quella donna aveva affermato. Lo seppero invece attorno agli un-dici anni quando ciascuno per suo conto chiese alla propria madre spiegazioni sui rispettivi cognomi. Raimondo infatti portava quello di Pasqua, che ancora non si era sposata con Giovanni, mentre Giuseppe aveva un cognome diverso dai suoi due fratelli nati dal matrimonio di Grazia con Totoi. Ma Raimondo e Giuseppe seppero come le cose si erano svolte solo dopo qualche anno ancora.

Una volta maggiorenne Raimondo emigrò per qualche anno, prima in Francia e poi in Etiopia. Giuseppe invece rimase sempre in paese, quasi a testimoniare, con il cognome e il nome che erano stati del padre, l’infelice amore vissuto da Pasqua e Grazia. Per lui quegli appellativi non costituirono mai un pesante fardello, che anzi portava con dignità sapen-do che il padre era stato fondamentalmente un uomo onesto. Ne era così convinto che volle onorarlo dando anche alla sua primogenita il suo nome; a un’altra figlia naturalmente diede quello di Grazia. Raimondo non fu da meno: la sua primo-genita si chiama Pasqua e uno dei figli Peppino.

In gioventù il rapporto fra i due fratelli non andò in gene-re oltre il saluto, ma vissero tanto a lungo da poter recupera-re in seguito tutto il tempo perduto. Raimondo e Giuseppe

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sono morti infatti all’età di 103 anni (a Raimondo mancava-no solo due mesi). Passati i sessanta la loro frequenza divenne sempre più assidua, fino a diventare giornaliera dopo che nel 1987 Raimondo rimase vedovo. Fecero anche di tutto, riu-scendovi, perché fra i loro discendenti regnasse l’amore e la concordia.

E tiu Portolu? Non entrò più nell’Osteria Cossu e visse il resto della vita quasi in solitudine, come espiando il senso di colpa che gli derivava dall’essere stato verso il figlio Gavino troppo accondiscendente, fino a ideare il maldestro inganno preludio della tragedia.

Gavino, a sua volta, non cercò mai più altre donne e morì, ancora celibe, combattendo contro gli austriaci durante la prima guerra mondiale, alla quale lui stesso aveva chiesto di partecipare.

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Peppe “Braga” e discendenti

Peppe “Braga” durante il servizio militare.

Raimondo e Peppe al loro centenario.

Pasqua da anziana.

Non esiste foto di Grazia.

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