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Dello stesso autorenella collana «Romanzi e racconti»Il ragazzo Celeste

nelle «Farfalle»L’ultimo giorno

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GLI SPECCHI DEL PRESENTE

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nelle «Farfalle»L’ultimo giorno

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Marsilio

Michele Tiraboschi

Mortedi un riformista

Un protagonista delle politiche del lavoronei ricordi di un compagno di viaggio

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© 2003 by Marsilio Editori ® s.p.a. in Venezia

Prima edizione: marzo 2003

ISBN 88-317-8241-X

www.marsilioeditori.it

Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione,anche parziale o a uso interno didattico,con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia

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INDICE

0 Introduzione di Maurizio Sacconi00 Bologna, 19 marzo 2002: morte di un riformista

00 Ricordi di un incontro: Bologna, il DickinsonCollege e la scuola estiva di relazioni industrialicomparate

00 L’università e il Centro studi internazionali e com-parati: il primo laboratorio

000 Milano e il patto sul lavoro: il secondo laboratorio

000 Il Libro bianco sul mercato del lavoro, lo Statutodei lavoratori e la questione dell’articolo 18

000 Un progetto che continua: dal Patto per l’Italiaalla Legge Biagi sulla riforma del mercato del lavo-ro

000 L’eredità in un «progetto»

000 Breve nota biografica di Marco Biagi. Bologna1950-2002

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MORTE DI UN RIFORMISTA

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alla piccola Francesca,perché possa conoscere

una storia e un nome a me cari

Zambia Alta, estate 2002

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Bologna, 19 marzo 2002:morte di un riformista

Di ritorno da una normale giornata di lavoro

Marco Biagi – professore di diritto del lavoro, consu-lente del ministro del welfare, Roberto Maroni, e delpresidente della Commissione europea, Romano Prodi –è stato ucciso dalle Brigate rosse la sera del 19 marzo2002, raggiunto da cinque colpi d’arma da fuoco, men-tre faceva rientro nella propria abitazione nel centrostorico di Bologna, a pochi passi dalle Due Torri 1 . Cieravamo da poco salutati, alla stazione dei treni di Bo-logna, di ritorno da una normale giornata di lavoro tra-scorsa presso il nostro centro studi modenese.

Non posso certo dire, con il senno di poi, che nullalasciasse presagire quello che poi è accaduto. Diversa-mente da quanto successo solo tre anni prima con l’as-sassinio del professor Massimo D’Antona – stesso inca-rico ministeriale, stessa fama di giurista progettuale eriformista appartenente alla «generazione di mezzo» –l’attentato terroristico a Marco Biagi era anzi chiaramen-te prevedibile e preannunciato. Lo dimostrano, se nonaltro, le violente polemiche e gli strascichi giudiziari

1 Rinvio, per i fatti di cronaca, alla rassegna stampa pubblicata sul sitointernet del Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi(www.csmb.unimo.it).

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causati dall’avergli prima tolta, e poi definitivamentenegata, la tutela che gli era stata assegnata nel luglio del2000, poco dopo la firma a Milano di un innovativopatto sul lavoro, da lui ideato e sostenuto nel confrontocon le associazioni imprenditoriali e le organizzazionisindacali milanesi 2.

Lui stesso era consapevole di essere un possibile ber-saglio del terrorismo. Soprattutto negli ultimi giorniaveva nitidamente percepito la gravità della situazione.«A Roma hanno iniziato a farmi discorsi strani... – midisse pochi giorni prima di essere assassinato. Credosappiano qualcosa di preciso su di me che non mi vo-gliono dire. Sono tutti molto allarmati... Mi invitano aessere prudente...».

Mi raccontò anche di una telefonata del sottosegreta-rio al lavoro, Maurizio Sacconi, ricevuta in tardissimaserata giovedì 14 marzo. Gli era stata manifestata unafortissima preoccupazione per la sua incolumità fisica e,in attesa di forzare sul versante della tutela mediantel’inoltro alle autorità competenti di una ennesima richie-sta di protezione, gli era stata raccomandata estremacautela. Già il giorno successivo era stata preparata unabozza di lettera del ministro del lavoro, con cui si chie-deva l’immediato ripristino della scorta. Roberto Maroniavrebbe dovuto firmare quella lettera mercoledì 20marzo, al suo rientro nella capitale. Troppo tardi...

Lo stesso pomeriggio di martedì 19 marzo, una dellenostre consuete riunioni di lavoro era stata bruscamenteinterrotta da una telefonata di un altro collaboratore delministro Maroni. Credo si trattasse dell’avvocato Sassi,ma non ho mai voluto approfondire la questione. Ricor-do invece chiaramente che Marco si era improvvisamen-

2 Biagi, per la scorta negata indagato il prefetto di Bologna, in «La Repub-blica», 9 agosto 2002, p. 7; Scorta negata a Biagi, altri tre indagati, in «IlCorriere della Sera», 9 agosto 2002, p. 3.

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te alzato dal tavolo della riunione e, dopo pochi istanti,era uscito dall’ufficio per cercare un luogo appartato nellunghissimo corridoio che percorre l’intera ala est dellanostra Facoltà di economia a Modena. Era un compor-tamento anomalo, che non gli si addiceva. È stata questainfatti, nel corso di più di dieci anni di frequentazione,una delle rare telefonate a cui non mi ha fatto assistere.Di quella telefonata ricordo dunque solo l’inizio, cheperò di per sé era già ben indicativo. Con una ironiadelle più amare, e anche con una inconsueta tensionenervosa, Marco e il suo interlocutore stavano tratteg-giando l’identikit del prossimo bersaglio delle Brigaterosse, così come delineato in un Rapporto semestrale deiservizi segreti reso noto, il giovedì precedente all’atten-tato, dal settimanale «Panorama». In questo rapporto siparlava espressamente di «nuovi interventi offensivi»contro «le espressioni e le personalità del mondo sinda-cale e imprenditoriale maggiormente impegnate nelleriforme economico-sociali e del mercato del lavoro, e,segnatamente, con ruoli chiave di tecnici e consulenti».Parole chiare e inequivocabili. Mancavano solo un nomee un cognome per completare quell’identikit: il nome eil cognome del professor Marco Biagi.

Nonostante ciò, e nonostante le numerose lettere adamici e autorità ritrovate nei suoi computer qualchemese dopo la sua morte e in cui si invocava l’assegna-zione di una scorta 3, non era una persona disperata,secondo una immagine che è stata accreditata da certastampa, né mi sembrava che avesse particolarmentepaura. Anche una volta che gli era stata tolta la scorta,aveva infatti coraggiosamente continuato a portareavanti le sue idee e i suoi progetti, senza un attimo ditregua e senza esitazioni. Era troppo innamorato del

3 Cfr. la rassegna stampa pubblicata sul sito internet del Centro studiinternazionali e comparati Marco Biagi (www.csmb.unimo.it).

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suo lavoro per dire basta... per interrompere le collabo-razioni a rischio. E non aveva neppure cambiato il suostile di vita. Continuava a percorrere le strade di Bolo-gna con l’inseparabile bicicletta, affrontando quelleviuzze strette e isolate che dalla stazione dei treni, unavolta abbandonata la centralissima via Indipendenza,conducono alla sua abitazione, nel vecchio ghetto ebrai-co della città, a ridosso della zona universitaria. La stes-sa bicicletta con cui ha fatto ritorno a casa la sera del 19marzo, trovando la morte davanti a quel portone marro-ne, segnato da una stella a cinque punte e più voltemostrato, in questi mesi, dai servizi televisivi sull’omici-dio e sulle indagini. Mai aveva pensato di ricorrere amezzi relativamente più sicuri, come per esempio untaxi o una macchina.

Delle telefonate minatorie, che riceveva regolarmenteda qualche tempo, mi aveva riferito in modo del tuttosuperficiale e generico. Me ne parlò, più che altro, pergiustificare la richiesta di ottenere dal personale del-l’Università una copia dei tabulati delle telefonate rela-tive al secondo semestre del 2001. Aveva una chiaraconsapevolezza dei ruoli e delle responsabilità, e diqueste preoccupazioni riteneva giusto farsi carico perso-nalmente. «Un giorno capirai anche tu cos’è la solitudi-ne del capo... e dovrai assumerti le tue responsabilità,integralmente... solo così sarai rispettato dalle personeche lavoreranno per te... Ma sarà un giorno lontano,molto lontano... mi occuperò del nostro centro studimodenese almeno ancora per i prossimi vent’anni emagari, prima o poi, se mi stanco di questa vita freneti-ca, torno a farlo a tempo pieno...».

Anche l’argomento «terrorismo» era stato affrontatodirettamente tra di noi solo in un paio di circostanze.La prima a margine della assegnazione della scorta nelluglio del 2000 allorché, dopo il ritrovamento di duebombe davanti alla sede milanese della , il Nucleo

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rivoluzionario proletario rivendicò l’attentato con unopuscolo in cui compariva anche il suo nome. Su solle-citazione della Digos, mi chiese di leggere attentamentela rivendicazione. «Non si sa mai, può essere che ti ven-ga in mente qualcosa...». La seconda, e in modo decisa-mente più approfondito, in occasione della consulenzache ci era stata affidata nell’aprile del 2001 da MaurizioCastro del gruppo Electrolux-Zanussi. Quella volta,dopo avere affrontato i termini tecnici della consulenzain una lunga e affollata riunione presso il nostro centrostudi modenese – erano presenti numerosi collaboratoridi Castro, i nostri collaboratori e una nutrita compaginedi guardie del corpo (le sue e quelle degli uomini Za-nussi) – mi chiamò nel suo studio e mi chiese a brucia-pelo, senza inutili giri di parole, se me la sentivo di se-guirlo anche in quella avventura ritenuta particolarmen-te rischiosa. «Le politiche di gestione del personale allaZanussi sono al centro della attenzione dei gruppi terro-ristici. Ci chiedono di aiutarli in un complesso processodi modernizzazione della organizzazione del lavoro neiloro stabilimenti. Non basta la nostra consueta determi-nazione... questa volta occorre anche molto coraggio...Se non te la senti di aiutarmi in questo progetto ti capi-sco perfettamente. Non sei obbligato a seguirmi...».

Lo seguii anche quella volta, senza alcuna remora;non certo per coraggio, ma più probabilmente per inco-scienza e spirito di fedeltà, e lo rassicurai sulla mia inte-grale adesione al suo progetto di modernizzazione deldiritto del lavoro, così come avevo fatto in precedenzasu tanti altri lavori, a partire dall’incarico di consulenzache gli era stato affidato nel 1995 dall’allora ministro dellavoro Tiziano Treu. È da quel momento, dall’avviodella collaborazione ministeriale con Treu, che avevaincominciato a fidarsi totalmente di me, e a coinvolger-mi nelle collaborazioni, via via sempre più numerose edelicate, con governi, amministrazioni regionali e locali,

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nonché con organismi internazionali e comunitari e conimprese multinazionali.

Dell’argomento «terrorismo» non mi parlò più se nonper mostrarmi, credo qualche settimana dopo l’incontrocon Maurizio Castro e i suoi collaboratori, una letteraindirizzata allo stesso Tiziano Treu, a cui mi affidava«accademicamente» nel caso fosse accaduto qualcosa.Gli dissi di non scherzare, di lasciar perdere... Il dubbiodel rischio non mi sfiorava neppure lontanamente; lapaura – quella paura con cui ho imparato a conviveredalla sera 19 marzo, mentre mi avvicinavo a grandi passie in stato confusionale verso casa di Marco, sul luogodel delitto, non appena appresa la tragica notizia – nep-pure.

Lavoravamo ad altissimo livello su progetti particolar-mente stimolanti e per committenti di prestigio: il gover-no, la Commissione europea, le principali associazionidi rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori,multinazionali e importanti gruppi industriali del nostropaese... Si parlava di lui ora come rettore dell’Ateneo diModena e Reggio Emilia, ora come ministro del lavoro,ora come presidente della Commissione di garanzia sul-lo sciopero nei servizi pubblici essenziali... Di certo erasin troppo preso da quello che stava facendo per render-si conto del pericolo che lo circondava.

Con il senno di poi, ripeto, era tutto prevedibile.Molti hanno scritto che gli esperti dell’antiterrorismodovevano essere più solerti nel ripristinare la tutela eche le inadempienze sono state tante e gravi... Forseanche Marco doveva essere più prudente, a costo difarsi violenza e forzare la sua indole di tenace combat-tente, almeno sino a quando non gli fosse stata riasse-gnata la tutela. Forse doveva davvero interrompere leconsulenze a rischio... Con il senno di poi tutto è piùchiaro, ed è anche più facile capire cosa era giusto fareo non fare. Certo, non era nel suo carattere nascondersi,

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rinunciare alle sue idee e convinzioni, interrompere unambizioso progetto di riforma e modernizzazione delmercato del lavoro italiano avviato sin dai tempi dellacollaborazione col Governo Prodi e che, grazie alla fidu-cia accordatagli dall’amico Maurizio Sacconi e dal mini-stro Maroni, stava questa volta per concretizzarsi davve-ro...

Eravamo troppo immersi nel lavoro e nella progetta-zione legislativa per fermarci un attimo a riflettere ecercare di capire cosa stava succedendo. Ed è per que-sto che il pomeriggio del 19 marzo, presso il nostrocentro studi modenese, avevamo passato quella che ri-tengo una normale giornata di lavoro. Avevamo discus-so della programmazione delle nostre riviste giuridi-che... avevamo parlato di un patto per l’occupabilità tral’ateneo modenese e le parti sociali per dare maggioriprospettive occupazionali ai nostri studenti... avevamomesso a punto l’ennesima versione di uno schema didecreto sul nuovo collocamento pubblico e anche ab-bozzato uno schema di decreto sulla disciplina dellaorganizzazione dell’orario di lavoro in adempimento diobblighi comunitari da tempo scaduti... avevamo comeal solito meticolosamente programmato il lavoro dellasettimana... Nulla lasciava presagire, almeno nelle nostreteste, quello che poi è accaduto.

«Biagi, chi era costui?»

Nei giorni immediatamente successivi alla tragica seradel 19 marzo 2002 ho più volte respinto l’idea di scrive-re un ricordo di Marco Biagi e di ripercorrere il suoprogetto di riforma del diritto del lavoro italiano.

La ritrosia ad affidare a un testo scritto un ricordo diMarco dipendeva anche, se non soprattutto, da un sen-timento di pudore verso un dolore intimo e privato, e

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che tale voleva restare, quasi come se parlare e scriveredi lui significasse non solo recidere definitivamente quelcordone che ci ha fortemente legati per più di un decen-nio, ma anche svendere parte dei ricordi, dei sentimentipiù profondi e dei sacrifici che, giorno dopo giorno,hanno dato corpo a un sodalizio, umano prima ancorache professionale, per me unico e certo irripetibile.

L’impulso a scrivere non è neppure venuto da quelleche, in circostanze normali, sarebbero per me state dellevere e proprie sollecitazioni; strumentalizzazioni politi-che, commemorazioni retoriche, girandole di parole inlibertà.

Solo con i fatti, rimettendo cioè faticosamente e silen-ziosamente in moto il Centro studi internazionali e com-parati, da lui fondato e diretto a partire dal lontano1991, avrei potuto replicare a tutte quelle ingiustizie eforzature – alimentate da una avvilente discussione su achi giovasse la sua morte – che via via, col trascorreredel tempo, si sono aggiunte e sommate alla tragediacausata dal suo barbaro assassinio. Solo così avrebbecontinuato a vivere e a far parlare di sé e di quel centrodi eccellenza europeo, nel campo dello studio del dirittodel lavoro e delle relazioni industriali, da lui creato inpochi anni dal nulla.

Con il passare dei giorni ho però acquisito consape-volezza della importanza di iniziare a raccontare quelloche è successo.

La morte di Marco non è stata una morte qualunque,una morte come tante altre: un evento privato, perquanto doloroso e misterioso, che può e deve passaresotto silenzio. Certo, occorre anche rispetto e particola-re riservatezza in relazione alla dimensione più intima eprivata di questa tragedia. È però anche necessario aiu-tare le persone comuni – i non addetti ai lavori – aconoscere chi era il professor Marco Biagi. Aiutare acapire e a far capire perché una «persona mite», come

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è stato più volte detto in questi mesi, un professoreuniversitario poco più che cinquantenne, un giurista chesi occupava dei problemi del lavoro e della occupazione,un tecnico che con ostinazione e senso pratico si stavaspendendo per ricondurre il confronto politico-sindaca-le ai contenuti e al merito delle proposte in discussione,sia stato brutalmente ammazzato sulla soglia di casa, apochi passi dal cuore dei suoi affetti privati, e cosa iterroristi abbiano voluto colpire con la sua uccisione.

Due sono stati, credo, i passaggi che, per così dire, mihanno sbloccato e che mi spingono ora ad affidare allapenna un ricordo di Marco come uomo e come maestro.

Il primo è rappresentato dalla lettura di un intensoeditoriale di Gianpaolo Pansa apparso sul settimanale«L’Espresso» pochi giorni dopo l’attentato 4. Un pugnonello stomaco, già a partire dal titolo: Biagi, chi era co-stui?. Pansa scrive una verità amara quando dice: «Ta-liercio, Rossa, Casalegno, Tobagi: nomi e storie che nonhanno più eco. Presto accadrà lo stesso con il prof.Marco Biagi e si dirà: Biagi, chi era costui?. Ombrelunghe e memoria corta – scrive ancora Pansa – è cosìl’Italia che si trova di fronte al nuovo terrorismo.

Più passano i giorni e più acquisisco consapevolezzadi quanto sia tragicamente vero quanto ha scritto Pansa.Non ho difficoltà ad ammettere che io stesso sapevopoco o nulla delle storie di uomini come Taliercio, Ros-sa, Casalegno e a mala pena ricordavo le cronache gior-nalistiche che riportavano la notizia dell’assassinio delgiornalista Walter Tobagi. Probabilmente mi sarei pre-sto dimenticato anche il nome e la storia del professorMassimo D’Antona, se non fosse che a lui sono legatenon solo numerose letture scientifiche e la stessa pistolache ha ucciso Marco Biagi, ma anche uno dei ricordi piùbelli che ho di lui. Ancora impressa nella mia memoria

4 L’editoriale è stato pubblicato sul n. 14/2002 de «L’Espresso», a p. 63.

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è la semplicità e discrezione con cui – durante una dellesessioni del Congresso europeo della Associazioneinternazionale di diritto del lavoro e della sicurezza so-ciale tenutosi a Varsavia nel settembre del 1999, al difuori di ogni protocollo e commemorazione ufficiale(che non era stata prevista in quella circostanza) – sedu-to al centro del tavolo dei relatori, con a fianco il pro-fessor Paul Davies a sinistra e il professor Alain Supiota destra, chiese improvvisamente ai partecipanti un mi-nuto di raccoglimento per ricordare Massimo D’Anto-na. Un gesto spontaneo e del tutto gratuito, davanti auna platea composta di soli stranieri (con l’unica ecce-zione del professor Matteo Dell’Olio e di un suo giova-ne collaboratore) per i quali si era già spenta l’eco delnome e della storia del professor D’Antona.

Ancora più decisiva è stata poi la lettura, nelle diversestesure che mi sono state via via sottoposte, della bellis-sima commemorazione scritta dal professor MarcelloPedrazzoli per la «Rivista Italiana di Diritto del Lavo-ro» 5. Non tanto perché Pedrazzoli mi ha invitato, al dilà di ogni «questione» o «lettura» accademica sul pro-getto riformatore di Marco Biagi, ad assumermi le mieresponsabilità di allievo e amico, ma prima di tutto per-ché era stata finalmente assolta da un osservatore certoa lui vicino, in quanto appartenente alla cosiddetta scuo-la bolognese di diritto del lavoro da cui Marco proveni-va, ma comunque pur sempre «esterno», l’opera di ri-cordo e commemorazione del professor Biagi, che certoa me non compete.

Ecco perché, in occasione di un convegno internazio-nale sul futuro delle relazioni industriali, programmatodallo stesso Marco a Modena per il 19 aprile 2002 –convegno che, per una singolare coincidenza, è venuto

5 M. Pedrazzoli, Marco Biagi e le riforme possibili: l’ostinazione del proget-to, in «Rivista Italiana di Diritto del Lavoro», n. 2/2002.

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poi tragicamente a coincidere col trigesimo della suamorte – ho deciso di affidare a un primo breve testoscritto il ricordo «dall’interno» di Marco Biagi, comeuomo e come maestro 6, completando quanto MarcelloPedrazzoli ha così bene scritto e quanto altri ancora, ealtrettanto bene, hanno scritto e sicuramente ancorascriveranno 7.

Il testo di questo ricordo «semi-ufficiale» mi è tutta-via subito sembrato destinato – per il taglio, i numerosiriferimenti «dottrinali» e le particolari circostanze in cuiè stato scritto – alla sola cerchia ristretta dei giuslavori-sti, dei giuristi cioè che per professione si occupano diquel particolare ramo dell’ordinamento giuridico che sichiama diritto del lavoro e, al limite, di coloro che giàconoscevano il nome e le opere di Marco Biagi. Eraprobabilmente giusto e naturale che fosse così: l’allievodoveva in primo luogo ricordare e onorare l’uomo e ilmaestro. Ancora troppo poco, tuttavia, per rispondereall’interrogativo sollevato da Gianpaolo Pansa su«L’Espresso», e destinato a un più vasto pubblico: Bia-gi, chi era costui?

Ecco perché questo libro su Marco Biagi.Le pagine che seguono non sono la ricostruzione del

pensiero e delle opere scientifiche di Marco Biagi, ma,più semplicemente, il tentativo di dare eco a un nome ea una storia a me cari. Un nome e una storia che vannoben oltre i numerosissimi e sbalorditivi successi accade-mici e professionali. Ed è questo, credo, pure un impre-scindibile punto di partenza per dare un nuovo sensoalla vita di Marco come anche a quella delle persone

6 Questo ricordo – scritto di getto tra il 13 e il 14 aprile 2002, e poipronunciato nell’aula magna della Facoltà di economia dell’Università diModena e Reggio Emilia il 19 aprile 2002 – è pubblicato sul n. 3/2002 della«Rivista Italiana di Diritto del Lavoro».

7 Segnalo, in particolare, lo scritto di L. Montuschi, La «mission» diMarco, in «Diritto delle Relazioni Industriali», n. 2/2002 e quello di T. Treu,In ricordo di Marco Biagi, in «Diritto delle Relazioni Industriali», n. 3/2002.

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che, «dall’interno», con lui hanno vissuto e quotidiana-mente condiviso quelle gioie e quei sacrifici su cui sifondava uno straordinario metodo di lavoro o, il che èlo stesso 8 , l’ostinazione del progetto.

Una morte assurda e ingiusta, maturata in un climad’odio e intolleranza

Non posso però nascondere, a me stesso e a futuramemoria per tutti, che quella di Marco Biagi è stata nonsolo una morte assurda e ingiusta, ma anche una mortematurata in un clima d’odio e intolleranza. Marco Biagiè stato aggredito politicamente, prima ancora che fisica-mente, attraverso una strategia di demonizzazione del-l’avversario a cui si sono accompagnate numerose misti-ficazioni sui contenuti delle riforme da lui proposte eprogettate, soprattutto in tema di revisione dell’articolo18 dello Statuto dei lavoratori 9.

Credo sia giusto ricordare questo clima di odio pro-prio perché mai più si verifichi quanto accaduto a lui. Ilrispetto dell’avversario, il rispetto della persona, il ri-spetto delle idee altrui sono tutti valori che, in democra-zia, stanno prima di ogni altro diritto e al pari di quelloalla integrità fisica, che è infatti poca cosa se manca lalibertà di esprimere apertamente le idee e i valori in cuisi crede. Il dialogo, il dialogo sociale, ma anche il dialo-go tra le persone, che è poi la base di tutto, non può chepartire da qui: dal rispetto reciproco e dalla legittimazio-ne del diverso da sé.

Queste amare sensazioni non appartengono solo a mee a chi gli stava vicino. Di clima d’odio e intolleranza haparlato anche il presidente della Commissione europea,

8 Come ha perfettamente intuito Pedrazzoli, Marco Biagi, cit.9 Tornerò su questo specifico punto nel capitolo .

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Romano Prodi, dal lontano Belgio, nelle interviste ri-lasciate il giorno successivo alla uccisione di Marco Bia-gi 10 . E questo clima è andato via via montando proprioin quei drammatici giorni, se è vero che lo stesso mar-tedì 19 marzo 2002, al convegno romano di «Microme-ga», il segretario nazionale della , Claudio Sabattini,sentenziava, tetragono: «il governo Berlusconi va abbat-tuto a colpi di manifestazioni di piazza, e chi resterà inpiedi un minuto di più avrà vinto...» 11. Forse non è soloun caso che il principale consulente del Governo Berlu-sconi sui temi del lavoro e della occupazione, sia statouno dei primi a cadere sul campo di battaglia...

Questo clima di violenza e aggressione verbale, primaancora che fisica, è un dato che appartiene alla sua bio-grafia e storia personale. Ma è anche un dato oggettivo,che emerge chiaramente dal dibattito politico e dallecronache giornalistiche di quei mesi, e che pertanto varicordato e raccontato. «Peccato – scriveva lo stessoMarco Biagi su “Il Resto del Carlino” del 21 gennaio2002 12 – che famosi giornalisti e sindacalisti di gridousino la televisione per propagandare autentiche menzo-gne». «Ancor più grave è poi constatare – scriveva su “IlSole 24 Ore” del 28 novembre 2001 13 – che anche alcu-ni studiosi facciano opera di disinformazione inducendogli italiani a credere che qualcuno voglia abrogare ilprincipio del licenziamento giustificato. Si tratta di unamenzogna, di una falsità giuridica davvero smaccata...C’è da augurarsi che il dibattito sulla modernizzazione

10 R. Prodi, L’Europa non si costruisce sull’odio, in «Il Sole 24 Ore», 21marzo 2002.

11 Il 19 marzo 2002 non ero a Roma. Riferisce di questa affermazioneGianpaolo Pansa nel già ricordato editoriale del 4 aprile 2002: Biagi, chi eracostui?

12 Concertazione e art. 18 - Resterà il dialogo con le parti sociali, in «IlResto del Carlino», 21 gennaio 2001, p. 2.

13 Troppo polemiche da «corrida», in «Il Sole 24 Ore», 28 novembre 2001,ora in Marco Biagi per il Sole 24 Ore (14 luglio 1995 - 21 marzo 2002), raccoltadi scritti pubblicata su «Il Sole 24 Ore», 23 marzo 2002, p. 19.

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risalga di tono e di qualità. Delle guerre di religione edel conseguente fanatismo, anche relativo all’articolo 18,nessuno ne sente davvero il bisogno».

«La verità» – scriveva ancora sempre su «Il Sole 24Ore» del 28 novembre – è che sul tema delle riforme «sitenta di creare un clima di corrida scatenando gli istintiprotestatari più irrazionali di fronte al disegno di mo-dernizzare il mercato del lavoro. Criminalizzare il gover-no in questa maniera, inveire contro gli esperti che han-no collaborato al Libro bianco, quasi che si voglianocreare condizioni di sfruttamento, ha un solo significato:rifiutare la logica di modernizzazione che l’Europa ciraccomanda da anni... Il progetto è uno solo: non cam-biare nulla».

Ma ancor più chiaro era stato nel febbraio del 2002,di ritorno da un convegno torinese sul futuro delle re-lazioni industriali in Europa, dove un gelido e sprezzan-te Sergio Cofferati, probabilmente in cerca di una piùchiara visibilità politica in vista dell’approssimarsi deltermine del suo mandato di segretario generale della, aveva forzato pesantemente i toni del confrontoadditandolo pubblicamente quale esempio del collatera-lismo tra il governo e Confindustria. «Non è così – midisse Marco con tono amareggiato e anche con unacerta dose di preoccupazione – che ci si confronta e sidiscute di ciò che è utile per i lavoratori e i disoccupati...Non si può anzi nemmeno discutere in questo clima diodio e di aggressione verbale dell’avversario...».

Non è mia intenzione ricostruire questo profilo dellavicenda, vergognosamente enfatizzato e strumentalizza-to in seguito alla divulgazione sui mass media di alcunee-mail in cui Marco denunciava il pesante attacco della, e di Sergio Cofferati in particolare, alla sua perso-na. Sono certo però che, come ha bene scritto FrancoDe Benedetti su «Il Sole 24 Ore» del 21 marzo, conl’uccisione di Marco Biagi l’orizzonte delle riforme pos-

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sibili si restringe, e diventano più fioche le voci che lopropongono. Sono altrettanto certo che, di questo climadi intolleranza e aggressione, ci sono anche state innega-bili responsabilità politiche: «perché se davvero oggil’Italia si avvia a diventare un regime, se assistiamo allafase nascente del potere di un nuovo Hitler, se sonominacciate le fondamentali libertà democratiche, alloranon stupiamoci del ricorso alla lotta armata. E se lo siripete per mesi, giorno dopo giorno, sono i terroristi acredere di poter contare su un numero crescente dicoloro che credono di dover fronteggiare un regime. Sifa fatica, in queste condizioni, a riprendere il filo di unragionamento e di una vicenda tormentata quale quelladell’articolo 18. Ma è il solo modo di riaffermare le ra-gioni del riformismo, perché il pensiero e la passione diMarco Biagi continuino dopo il suo sacrificio» 14.

Non è mia intenzione riproporre la vecchia logica dei«cattivi maestri». È una logica che non mi appartiene,non fosse altro che per questioni generazionali. Cosìcome non spetta a me dire chi tra Marco Biagi e i suoipiù strenui oppositori avesse ragione in materia riformedel mercato del lavoro. Non appena il clamore e la re-torica di questi primi mesi cesseranno, sono comunqueconvinto che verrà fatta piena giustizia al suo pensiero ealla sua progettazione di giurista e innovatore al serviziodelle istituzioni. E anche le resistenze al cambiamento ealla modernizzazione – così come il falso problema dellaproposta di parziale revisione dell’articolo 18 dello Sta-tuto dei lavoratori, maliziosamente rappresentata allaopinione pubblica come un attacco frontale ai dirittifondamentali dei lavoratori – non potranno impedirel’emersione di quanto di buono e illuminato c’è nelleproposte di Marco.

14 Una scia di sangue sulle riforme, in «Il Sole 24 Ore», 21 marzo 2001,speciale Il Sole 24 Ore per le riforme e contro il terrorismo, p. 44.

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Non sono peraltro neppure così ingenuo, né così ac-cecato dalla rabbia, da ritenere che siano state questedistorsioni sull’articolo 18 (e molte altre mistificazioniancora, vuoi sul Libro bianco e vuoi sul suo lavoro ingenerale) ad armare la mano dei terroristi. «Marco Bia-gi, tuttavia – come bene ha scritto Andrea Casalegno su“Il Sole 24 Ore” del 21 marzo, con la sensibilità e l’in-tuizione proprie di chi il terrorismo lo ha conosciuto dipersona, anni prima, il 16 novembre del 1977, giornodell’attentato al padre Carlo, vice-direttore de “LaStampa» 15 – è stato individuato dai suoi assassini comeun “nemico” anche perché le sue argomentazioni eranostate pubblicamente distorte. Per questo oggi condanna-re il suo assassinio non basta, se manca il proposito diriconoscere sempre, d’ora in poi, in ogni avversariopolitico una persona da rispettare: prima di tutto nelleidee».

Contribuire, ognuno con i propri mezzi, a renderepossibile un salto di qualità nel confronto politico e sin-dacale è oggi l’unico modo per fare sì che la morte diMarco Biagi, la morte assurda e ingiusta di un riformi-sta, non sia stata anche una morte inutile.

15 I cattivi maestri della lotta armata, in «Il Sole 24 Ore», 21 marzo 2001,speciale Il Sole 24 Ore per le riforme e contro il terrorismo, p. 40.

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Ricordi di un incontro: Bologna, il Dickinson Collegee la scuola estiva di relazioni industriali comparate

Un giorno qualunque di novembre

Ho conosciuto Marco Biagi a Bologna nel 1990.Mi ero laureato da poco più di un anno in diritto del

lavoro, presso la Facoltà di giurisprudenza della Stataledi Milano. Avevo vinto una borsa per un soggiorno distudio all’estero e mi chiedevo quale fosse il paese mi-gliore dove trascorrere un periodo di approfondimentodelle materie del lavoro e delle relazioni industriali. PerStefano Liebman e Luciano Spagnuolo Vigorita, i pro-fessori con cui mi ero laureato e che mi avevano apertola strada della carriera universitaria, vi era in Italia unasola persona in grado di assecondare le domande di ungiovane studioso che si interrogava sul suo futuro. Miindirizzarono a Bologna, da Marco Biagi: l’unico, midissero, in grado di aiutarmi, anche materialmente, atrovare una adeguata collocazione presso una sede uni-versitaria straniera.

Nel corso di un breve colloquio telefonico, Marco midiede appuntamento presso la sede del Dickinson Col-lege di Bologna, in via Marsala, a due passi dalla suaabitazione. Era il 1990 e lì feci per la prima volta cono-scenza del professor Marco Biagi. Ricordo nitidamenteche, ora come allora, sulla parete dell’aula in cui facevalezione ai suoi studenti americani era affissa una cartina

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geografica dell’Europa. Una cartina politica, per la pre-cisione, che disegnava uno scenario molto diverso daquello attuale. Il muro di Berlino era da poco crollato,e ancora non si era assistito al processo di disgregazionedell’ex blocco sovietico. Su quella cartina mi indicò sen-za esitazioni il Belgio, e mi parlò del professor RogerBlanpain dell’Università cattolica di Leuven, a pochichilometri da Bruxelles. È lì, a Bruxelles – mi spiegò –che si giocherà il destino dell’Europa e anche del dirittodel lavoro e delle relazioni industriali, le nostre materie.Quella Bruxelles sede della Commissione europea ecapitale di una Europa ancora in via di costruzione, apiù di trent’anni dal Trattato di Roma del 1957.

Accettai senza esitazioni la sua proposta, peraltrocaldeggiata anche dalle mie guide universitarie milanesi,e da lì intrapresi un viaggio che mi portava verso ilBelgio e poi, dopo un breve ritorno a Milano, di nuovoa Bologna, questa volta al suo fianco, prima come colla-boratore e poi anche come amico e confidente. Da quelmomento, da quel primo fugace incontro, i nostri desti-ni si sono indissolubilmente intrecciati e ci hanno por-tato a vivere un decennio straordinario e irripetibile,fatto di sacrifici ma anche di tante soddisfazioni e suc-cessi, non solo professionali.

In cuor mio, se devo essere sincero, avevo alcunidubbi sulla bontà della strada indicata. Al fascino e allatradizione del Regno Unito, al miraggio degli Stati Unitie del Giappone o anche alla grandeur della Francia,Marco aveva anteposto quella che allora, prima delleinnovazioni introdotte a Maastricht e poi ad Amster-dam, era solo una incerta scommessa: l’Europa e ilmodello sociale europeo. Marco è stato un europeistaconvinto: un europeista della prima ora, quando a pre-valere erano ancora posizioni di marcato euroscettici-smo e di sottovalutazione – non solo tra gli addetti ailavori – del processo di integrazione europea.

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La scommessa è stata una scommessa vincente. Il ri-gore e il disincanto di una terra come il Belgio – unaterra segnata da un velo di malinconia e da una perennecoltre di nebbia e pioggia, ma anche da una forte voca-zione internazionale e cosmopolita – mi hanno dischiu-so un nuovo orizzonte attraverso cui leggere e valutarele logiche e gli assetti del nostro diritto del lavoro nazio-nale.

È lì, presso la sede dell’Euro-Japan Institute for Lawand Business, promosso dal professor Blanpain con ilpatrocinio della Comunità europea, che ho sviluppato imiei primi studi comparati, focalizzati sul funzionamen-to del celebre modello giapponese di «impiego a vita».Studi presto premiati, in quanto proprio su questo am-bito specifico della ricerca comparata ebbi poi l’onoredi pubblicare per la prima volta un mio scritto 1 a inte-grazione di un suo saggio sul medesimo tema 2, inaugu-rando così un metodo di lavoro che, ben presto, diventòper noi prassi consolidata, tanto è vero che, in seguito,una buona parte della nostra produzione scientifica –cosa assai rara nell’ambito degli studi giuridici – è poiapparsa sulle riviste specializzate a doppia firma, la suae la mia. Per singolare coincidenza anche il nostro primoscritto a quattro mani, incentrato sulla analisi della po-litica sociale europea nella prospettiva di osservazionedel giurista italiano, era destinato proprio a una rivistagiapponese 3.

Ed è poi sempre lì, in Belgio, che ho appreso le fon-damenta di quel diritto delle politiche comunitarie che,

1 M. Tiraboschi, Alcune osservazioni a proposito del «Japanese Employ-ment System»: regole giuridiche, prassi e valori, in «Diritto delle RelazioniIndustriali», n. 2/1993, pp. 31-58.

2 M. Biagi, Le relazioni industriali giapponesi fra tradizione e innovazione,in «Diritto delle Relazioni Industriali», n. 2/1993, pp. 71-82.

3 M. Biagi, M. Tiraboschi, Politica sociale della Comunità economica eu-ropea e diritto del lavoro: una prospettiva italiana, in «The Monthly Journalof the Japan Institute of Labour», vol. 35, aprile-maggio 1993.

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parallelamente al corso di relazioni industriali interna-zionali e comparate, era una delle materie insegnate daMarco proprio al Dickinson College, il luogo del nostroprimo incontro.

La sua visione quasi avveniristica delle logichedi funzionamento del diritto del lavoro

e delle relazioni industriali

Anche nei primi giorni del 2002 aveva iniziato il suocorso di European union law and politics rivolto ai gio-vani studenti americani del Dickinson College di Bolo-gna. Quel corso sospeso a metà marzo 2002, pochi gior-ni dopo la prova di verifica intermedia, e che non ha piùpotuto portare a termine.

Marco ha lasciato sul tavolo del suo studio, nella casadi via Valdonica, una carpetta con i testi dei compiti,non ancora corretti, del mid-term exam. Ho avuto l’in-carico di portare a termine la correzione degli elaboratidegli studenti del Dickinson. Il compito è stato relativa-mente facile: la lettura di quegli elaborati mi ha indicatocome studenti provenienti da un contesto culturale egiuridico molto diverso dal nostro avessero ben assimi-lato le fondamenta del diritto comunitario e delle rela-tive politiche. E la cosa non mi ha sorpreso, come nonmi sorprendeva la sua abilità, nei numerosi convegni eseminari internazionali in cui l’ho seguito, ad entrare incontatto e comunicare con persone di provenienza geo-grafica e culturale assai diversa alimentando uno scam-bio scientifico e culturale reciprocamente vantaggioso.Perché non poneva (né si poneva) limiti o barriere distatus accademico e di provenienza geografica e cultura-le. E anche in questo è stato un vero comparatista: unodei pochi studiosi del diritto del lavoro non piegato sullelogiche del proprio sistema nazionale di riferimento, ma

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anzi capace di penetrare in profondità nelle prassi econsuetudini di altri ordinamenti.

Il Dickinson era per lui una formidabile palestra. Erapresso il Dickinson che poteva affinare l’utilizzo dellalingua inglese, e cioè del principale strumento di comu-nicazione oggi esistente tra persone di diversa prove-nienza culturale e geografica. Era nel preparare le lezio-ni del Dickinson che si motivava nella meticolosa raccol-ta di articoli di giornali e riviste straniere, alla ricerca dinovità e curiosità utili non solo per mantenere viva l’at-tenzione degli studenti, ma anche per alimentare i filonidella ricerca scientifica, una irrefrenabile progettualità ela sua visione quasi avveniristica delle logiche di funzio-namento del diritto del lavoro e delle relazioni industria-li. Lo stesso accadeva presso la John Hopkins Universitydi Bologna, dove insegnava Comparative management ofhuman resources a studenti di poco più anziani di quellidel Dickinson e provenienti da ogni parte del mondo, edove, un pomeriggio del marzo 2001, pronunciò unacommovente quanto efficace commemorazione di Giu-seppe Federico Mancini, il suo primo maestro da pocoscomparso 4.

Una nuova generazione di giuslavoristi

Qualche settimana prima di partire per il soggiornodi studio in Belgio, ebbi anche occasione di trascorrerecon lui tre settimane indimenticabili a Bologna. Eral’estate del 1991 e Marco mi aveva invitato alla primaedizione della sua Summer School of Comparative In-dustrial Relations organizzata con il sostegno del International, un istituto di ricerca e formazione della

4 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista «progettuale», The JohnsHopkins University Bologna Center, n. 8/2001.

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Lega delle cooperative di cui Marco era direttore scien-tifico. «Ti farò conoscere personalmente Roger Blanpain– mi disse – e ci sarà anche qualcuno dei suoi più gio-vani collaboratori che ti potrà poi aiutare ad ambientartia Leuven» – aggiunse con il suo solito sorriso ironico.

E fu proprio così. Ebbi modo non solo di fare unaconoscenza anticipata, e in ambiente «neutrale», delprofessor Blanpain, ma anche di vedere all’opera unformidabile gruppo di docenti, espressione delle diversescuole giuslavoristiche di tutto il mondo, e che propriola Summer School contribuì, nel suo ciclico reiterarsidal 1991 sino all’estate del 1999, a cementare attorno aun progetto comune: la creazione di una nuova genera-zione di giuslavoristi e di studiosi di relazioni industrialidi impronta e cultura internazionale.

Ricordo, tra i più di quaranta docenti stranieri chia-mati a Bologna e che si sono avvicendati in questa incre-dibile esperienza, coloro che di diritto – per costanza,passione e incisività – appartenevano al cosiddetto noc-ciolo duro della International Teaching Faculty: Man-fred Weiss della J.W. Goethe Universität di Francofor-te, Alan Neal dell’Università di Leicester, AntonioOjeda Aviles dell’Università di Siviglia, Csilla Kolonnaydell’Università di Budapest, Michail Sewerinski del-l’Università di Lodz, Janice Bellace della Wharton Scho-ol – University of Pennsylvania, Lammy Betten dell’Uni-versità di Utrecht, Marie-France Mialon e Jaques Rojotdella Sorbona di Parigi, Enrico Traversa del Serviziolegale della Commissione europea e l’amico Yasuo Suwadella Hosei University di Tokyo, da cui Marco avevatratto la passione per lo studio e la ricerca comparata. Aquesto gruppo si aggiungevano – oltre a RogerBlanpain, vero mattatore e protagonista della SummerSchool – i pochi comparatisti italiani in circolazione:Bruno Veneziani, Silvana Sciarra, Stefano Liebman e,con particolare assiduità, anche Tiziano Treu negli ulti-

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mi anni però non più in qualità di docente, ma di mini-stro della Repubblica.

Treu ci raggiungeva solitamente nella classica seratadi chiusura della scuola estiva, incentrata su un brevediscorso conclusivo del ministro del lavoro in carica e laconsegna degli attestati di partecipazione, alimentandouna tradizione inaugurata da Gino Giugni nel luglio del1993, pochi giorni dopo avere contribuito, propriocome ministro del lavoro, alla storica firma dell’accordosul costo del lavoro del 3 luglio di quell’anno.

Nella cerimonia di consegna degli attestati di frequen-za di quella straordinaria edizione della Summer School,accanto alla immancabile figura di Tiziano Treu si ma-terializzò improvvisamente – e inaspettatamente – quelladell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, chenon esitò un secondo ad andare incontro ai nostri stu-denti e ai giovani ospiti stranieri, ancor prima di aversalutato le autorità presenti.

Una fotografia di Marco, circondato da Tiziano Treu,Romano Prodi, un giovane ricercatore giapponese, lanostra prima allieva modenese Giulia Moretti e la colle-ga canadese Véronique Marleau, spicca ancora ogginell’ingresso del suo studio di via Valdonica, vicino aquel letto che, per lungo tempo, ha ospitato il «fratello»Yasuo Suwa.

Una giovane generazione di comparatistiera stata formata

Della Summer School ricordo soprattutto la primaedizione, l’unica a cui ho partecipato in qualità di stu-dente. Tre settimane indimenticabili in cui le serate inuna tipica trattoria bolognese o anche in uno degli enor-mi appartamenti che ospitavano i vari gruppi di studen-ti, a cucinare un piatto di spaghetti per venti/trenta

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persone, erano momenti formativi davvero unici, di va-lore almeno pari a quello delle lezioni programmatenell’arco delle tre settimane di corso. Era in quel climainformale e scherzoso, ma mai puramente vacanziero,che ci scambiavamo le prime informazioni sui nostrisistemi nazionali di diritto del lavoro e relazioni indu-striali, ma anche sulle tradizioni, le prassi e la cultura deinostri rispettivi paesi, che sono poi gli elementi essenzia-li per capire il vero funzionamento delle norme giuridi-che scritte nei codici e apprese dai libri. «Dialogo infor-male e scambio di informazioni a tutto campo»: eranoqueste le basi su cui mi suggerì di edificare la mia pas-sione per la comparazione e per lo studio degli ordina-menti giuridici stranieri.

Grazie a questa scuola estiva, che ha visto nelle suenove edizioni la presenza di più di 350 studenti (ricer-catori, dottorandi e laureandi, ma anche sindacalisti egiovani professori) provenienti dalle parti più disparatedel mondo, anche io ho potuto realizzare una piccolama efficiente rete di contatti internazionali, secondo unprogetto di ricambio generazionale auspicato da lui e daquanti con lui erano coinvolti in questo progetto.

La Summer School, come la chiamavano glistudenti stranieri, ebbe termine con l’edizione del 1999.Fu una fine naturale. Marco lavorava su cicli e per pro-getti. E quel ciclo, quel progetto era giunto a termine.Una giovane generazione di comparatisti era stata for-mata e anche il successo dell’ congresso mondialedella Associazione internazionale di relazioni industria-li 5 – un congresso organizzato a Bologna nel settembredel 1998 su incarico di Tiziano Treu e che replicava peri grandi numeri lo schema e alcune delle dinamiche

5 Sviluppare la competitività e la giustizia sociale: le relazioni fra istituzionie parti sociali, Atti dell’ Congresso mondiale dell’Associazione internaziona-le di relazioni industriali, Bologna, 22-26 settembre 1998 (Sinnea, Bologna,1998).

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della Summer School – lo aveva convinto che era giuntoil momento di cambiare strategia per portare avanti imedesimi obiettivi di sempre: la formazione dei giovaniricercatori e lo scambio di informazioni sulle miglioripratiche di gestione dei rapporti di lavoro e di funziona-mento dei sistemi nazionali di relazioni industriali.

L’affidamento, nel 1999, da parte di Kluwer LawInternational e di un comitato scientifico internazionaledi altissimo livello, della direzione di una delle più im-portanti riviste di lingua inglese – l’«International Jour-nal of Comparative Labour Law and Industrial Rela-tion» – fu l’occasione per aprire un nuovo ciclo imper-niato sulla organizzazione con cadenza almeno annualedi un convegno in lingua inglese presso il suo centrostudi modenese con l’obiettivo di fare di quegli incontriperiodici un forum permanente di discussione e con-fronto tra l’ambiente accademico internazionale e le piùalte istituzioni comunitarie e nazionali nella prospettivadella modernizzazione dei sistemi europei di diritto dellavoro e, segnatamente, di quello del nostro paese.

L’«International Journal of Comparative Labour Lawand Industrial Relation» e «Diritto delle Relazioni Indu-striali» – l’altra rivista da lui diretta – avrebbero rappre-sentato il veicolo per dare voce a questo forum. «Unmodo per investire il suo straordinario patrimonio diconoscenze comparatistiche, la sua vivacità e curiositàintellettuale» – come giustamente ha notato Luigi Mon-tuschi 6. Marco proiettava nelle sue due nuove riviste«quella che era diventata l’ansia di ogni giorno: l’inno-vazione, la competizione, il cambiamento» 7.

Già nell’aprile del 2000 organizzammo un primo con-vegno sui rapporti tra politiche di promozione dell’oc-

6 L. Montuschi, La «mission» di Marco, in «Diritto delle Relazioni Indu-striali», n. 2/2002, p. 151.

7 Ibidem.

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cupazione e diritto del lavoro 8. Seguirono, nel dicembredello stesso anno, un convegno sulla europeizzazionedelle relazioni industriali 9 e poi, nel dicembre del 2001,un convegno sulla qualità del lavoro e la partecipazionedei lavoratori in Europa 10. Per il 19 aprile 2002 avevaprogettato una conferenza per presentare in Italia ilRapporto del Gruppo di alta riflessione sulle relazioniindustriali e il cambiamento, di cui lui stesso era statoun autorevole esponente. Quel convegno si è tenutoregolarmente ma in un clima surreale e di profondacommozione. È in quella circostanza che ho pronuncia-to in pubblico quel primo breve ricordo commemorati-vo del mio maestro, scritto d’impulso – dopo quasi unmese di immobilità – tra il 13 e il 14 aprile del 2002.

Pedalava avanti con la sua bicicletta

Nei giorni successivi al suo brutale assassinio moltihanno detto – con una bella metafora ripresa anche daGigi Montuschi 11 – che pedalava avanti con la sua bici-cletta, e ci precedeva di alcuni decenni. E in effetti,come maestro, mi ha sempre stupito per la spiccata lun-gimiranza con cui assegnava un percorso di studio, pre-

8 Biagi M. (ed.), Job Creation and Labour Law - From Protection towardsPro-action, Kluwer Law International, 2000, Atti del congresso organizzatodall’«International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Rela-tions» e dal Centro studi internazionali e comparati, Modena, 28-29 aprile2000.

9 M. Biagi (ed.), Towards a European Model od Industrial Relations? -Building on the First Report of European Commission, Kluwer Law Interna-tional, 2001, Atti del congresso organizzato da e dal Centro studiinternazionali e comparati, Modena, 1-2 dicembre 2000.

10 M. Biagi (ed.), Quality of Work and Employee Involvement in Europe,Kluwer Law International, 2002, Atti del congresso organizzato da edal Centro studi internazionali e comparati, Modena, 31 novembre - 1° di-cembre 2001.

11 Montuschi, La «mission» di Marco, cit., p. 152.

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vedendo con larghissimo anticipo temi che, solo qualcheanno più tardi, sarebbero diventati di estrema centralitàin Europa e poi anche nel nostro paese.

Di Marco innovatore e riformista molto è stato dettoe scritto, e non sempre a proposito. Qui sono le sueopere e, segnatamente, la sua produzione scientifica aparlare per lui. Da osservatore interno e compagno diviaggio vorrei invece contribuire a mettere in lucel’aspetto del suo carattere innovatore che più mi sta acuore e che meno è stato messo in rilievo: l’estremafacilità di dialogo, che lo portava a entrare subito insintonia con le persone più disparate, a partire dal Prin-cipe di turno sino al più giovane dei nostri studentimodenesi. Era innovatore a partire dallo stile: elegante,certo, ma anche semplice, diretto, immediato, senzabarriere e preclusioni mentali o culturali.

Con il tempo ho anche imparato ad apprezzarne lasemplicità di linguaggio e la sua naturale capacità disintesi. Due doti fondamentali per governare i processidi innovazione delle tecniche regolatorie per i mercatidel lavoro del secolo e che pur tuttavia, nelle primefasi della nostra collaborazione, avevo largamente sotto-valutato. Pensavo fermamente infatti che al giurista siaddicesse necessariamente uno stile complesso e parti-colareggiato, tale in ogni caso da mostrare al lettore neldettaglio, anche mediante un abbondante utilizzo dinote bibliografiche, i molteplici percorsi di lettura e lefaticose riflessioni retrostanti a ogni singola frase, adogni singola idea. Mi sbagliavo. Il suo stile essenziale elimpido era espressione di una concezione illuminatadell’intellettuale, quale tecnico al servizio della società.Era un vero innovatore e riformista perché andava drit-to verso la soluzione dei problemi. L’apparato giuridico-concettuale non era per lui un freno, un ostacolo aldialogo, ma solo un punto di partenza obbligato nellasua opera di giurista impegnato «a progetto».

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Come innovatore Marco Biagi è stato innanzitutto,prima ancora che un riformista progettuale, un grandecomunicatore e un grande mediatore. La sua facilità didialogo con i protagonisti politici e delle relazioni indu-striali nasceva proprio dalla immediatezza e semplicitàdi linguaggio, dalla umiltà con cui, pur da giurista econsulente navigato, ancora oggi si accostava all’interlo-cutore di turno o al lettore, vuoi si trattasse di scrivereun editoriale per «Il Sole 24 Ore» ovvero un saggio didottrina per una rivista specializzata nella materia vuoisi trattasse di pervenire alla stesura di una bozza di leggeo di accordo collettivo. Complessi progetti di riforma esofisticate proposte legislative venivano mirabilmenterese comprensibili anche ai non addetti ai lavori.

Per questo divenne in poco tempo, grazie anche a unafelice intuizione di Giuliano Cazzola che lo segnalò alladirezione del quotidiano, una delle colonne de «Il Sole24 Ore». Alla proverbiale affidabilità e capacità di pre-vedere gli argomenti che di lì a poco sarebbero stati alcentro del dibattito politico e sindacale, sapeva ancheunire uno stile sobrio e diretto, che aiutava a compren-dere i problemi e a dialogare. Artificiose disquisizioniconcettuali e analitiche ricostruzioni storico-giuridichenon facevano per lui e per il suo modo di agire pragma-tico ed essenziale.

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L’università e il Centro studi internazionalie comparati: il primo laboratorio

1 Marco Biagi, un riformatore vero, in «Il Sole 24 Ore», 21 marzo 2001,speciale Il Sole 24 Ore per le riforme e contro il terrorismo, p. 37.

Era un giurista, Marco Biagi

Marco Biagi era professore presso la Facoltà di eco-nomia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Nonera però un economista, come pure hanno detto e scrit-to di lui i numerosi giornalisti accorsi, già la sera del 19marzo, davanti alla sua abitazione bolognese. Questadefinizione – come ha giustamente osservato AlbertoOrioli su «Il Sole 24 Ore» 1 – non gli avrebbe fatto pia-cere e, comunque, non gli si addiceva per formazione eimpostazione mentale.

Era un giurista, Marco Biagi, non un economista. Edera orgoglioso di esserlo proprio in una facoltà popolataprevalentemente da economisti. Insegnare a economialo aveva abituato al confronto e al dialogo con i cultoridelle scienze economiche e sociali, e questo aveva con-tribuito ad allargare proficuamente il suo orizzonte cul-turale. «Non si può studiare il profilo giuridico delmondo del lavoro – mi ripeteva sempre più frequente-mente – senza aver riguardo anche ai contributi offertidalle altre materie. La conoscenza del dato legale è puraastrazione accademica finché non viene calata nella real-

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tà economica e sociale in cui la regola di legge è chiama-ta ad operare».

«Per un giurista non è facile entrare a economia ecomprenderne appieno le logiche, anche se alla lungapuò essere un vantaggio rispetto a chi non è mai uscitoda una facoltà giuridica...». Quello che voleva esprimerenon era semplicemente la difficoltà di insegnare materiegiuridiche e molto tecniche a studenti di economia, in-cardinati su percorsi di studio a noi sconosciuti e spessopoco o nulla interessati al diritto. Si riferiva piuttosto aldifficile dialogo con gli economisti puri: «Se entrare aeconomia non è stato facile ancor più difficile è statoradicarmi... Ci sono ancora oggi economisti – mi spiega-va – che credono che il ceppo giuridico non abbia dirit-to di cittadinanza in una Facoltà di economia... E pur-troppo ci sono ancora oggi troppi giuristi che non sannovivere l’università a tempo pieno, da protagonisti, e chedunque danno l’impressione di non impegnarsi abba-stanza nella ricerca scientifica...».

A Modena insegnava diritto del lavoro e sino al 2000anche diritto sindacale italiano e comparato, la discipli-na a cui era sicuramente più legato. Era dunque quelloche gli addetti ai lavori chiamano un «giuslavorista»: ungiurista del lavoro, più semplicemente.

Era anche – e soprattutto – un giurista «a progetto»,come lui stesso amava definirsi negli ultimi tempi. Unriformista progettuale al servizio delle istituzioni e dellasocietà civile, capace di coniugare grandi valori ideali epragmatismo nell’agire e sempre animato – anche neimomenti di sconforto e solitudine, assai frequenti negliultimi tempi – da una incrollabile fede nella mediazionee nel dialogo sociale.

Basta leggere l’introduzione delle sue Istituzioni didiritto del lavoro 2 o anche l’editoriale di apertura della

2 M. Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2001.

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nuova serie di «Diritto delle Relazioni Industriali» 3, larivista di cui aveva assunto la direzione unica sul volgeredel 2001, per comprendere come per lui il diritto dellavoro non fosse, semplicemente, un corpo normativoda coltivare gelosamente nel chiuso di una cerchia ri-stretta di tecnici e consulenti del «Principe». Per Marcol’apparato giuridico-concettuale del diritto del lavoronon doveva essere un freno, un ostacolo al dialogo e allacomprensione dei problemi reali del mondo del lavoro,ma solo un punto di partenza – sia pure obbligato –nella sua opera di riforma della legislazione del lavoro.In questa sua proiezione di giurista progettuale il dirittoveniva piegato all’estremo, ma mai sino al punto di rot-tura, nella ricerca di soluzioni innovative, attraverso unalettura moderna e propositiva, aliena dall’atteggiamentotradizionale del giurista che fa del cavillo legale un osta-colo al cambiamento e, al tempo stesso, un preziosoalimento per la propria professione.

Per quanto possano valere le definizioni, ritengo chepossa essere ricordato come un giurista al servizio del«progetto»: un progetto riformatore che non conoscevaconfini e condizionamenti politici, e che non può esseresemplicisticamente riassunto nella proposta di moder-nizzazione del nostro mercato del lavoro... Un progettoche, in ogni caso, partiva da molto lontano, proprio daibanchi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e cheera fondamentalmente rivolto alla formazione di uominie di una nuova cultura del lavoro e delle relazioni indu-striali.

3 M. Biagi, Una rivista che si rinnova, in «Diritto delle Relazioni Industria-li» , n. 1/2002.

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Si occupava soprattutto dei profili più innovativi e difrontiera del diritto del lavoro

L’Università di Modena e Reggio Emilia è stata ilprimo laboratorio scientifico e progettuale di MarcoBiagi. Era lì che elaborava ed affinava idee, progetti,modelli di disciplina da applicare nella vita concreta deirapporti di lavoro. Era lì che formava parte della futuraclasse dirigente del nostro paese: amministratori, diret-tori del personale, funzionari di organizzazioni interna-zionali, sindacalisti, consulenti aziendali.

Nell’ateneo modenese era giunto giovanissimo, nellontano 1978. Nel 1984, dopo un breve quanto fruttuo-so periodo di permanenza nella Università della Cala-bria e, in seguito, nella Università di Ferrara, era tornatoa Modena, brillante vincitore di un concorso a cattedra,come professore straordinario di diritto del lavoro. Nel1987, dopo il canonico triennio di straordinariato, di-venne professore ordinario di diritto del lavoro comple-tando in pochi anni l’intero iter del cursus universitario.Aveva letteralmente bruciato le tappe, come si suoledire in questi casi.

Come giurista del lavoro studiava i temi classici diquella branca della scienza giuridica che si chiama «di-ritto del lavoro»: una branca del diritto nata poco più diun secolo fa, in parallelo alla affermazione dei modi diproduzione capitalistici, quale conseguenza della «que-stione sociale» scaturita dalla particolare organizzazionedel lavoro radicatasi in seguito alla rivoluzione industria-le.

Studiava il contratto individuale di lavoro dipenden-te, dunque, e cioè l’insieme di diritti, obblighi e respon-sabilità che vincolano reciprocamente il datore di lavoroe i suoi dipendenti nello scambio lavoro contro remune-razione. Studiava soprattutto il diritto sindacale, vale adire la dimensione collettiva del conflitto di interessi che

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scaturisce dalla diversa distribuzione di potere e autoritànell’ambito dei rapporti di produzione. Era quest’ultimala materia a lui più congeniale, e che veniva affrontatanon solo in chiave comparata, ma anche in quell’otticainterdisciplinare e pluralista propria del metodo dellerelazioni industriali 4.

Al mio arrivo a Modena aveva da poco terminato unostudio monografico sulle forme di rappresentanza deilavoratori in azienda nei più importanti paesi ad econo-mia di mercato: Italia, Stati Uniti, Canada, Giappone,Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Svezia 5.Aveva approfondito la struttura e la tipologia delle di-verse forme rappresentative, e dunque dei diversi orga-nismi che svolgono la funzione di canalizzare i rapportitra l’imprenditore e l’insieme dei suoi dipendenti; e siera anche dedicato a uno studio di tipo funzionale, fina-lizzato cioè a identificare in concreto, e dunque al di làdel mero dato legale, gli organismi rappresentativi inca-ricati di determinati compiti ovvero titolari di certe pre-rogative in azienda a tutela dei lavoratori.

Si occupava soprattutto dei profili più innovativi e difrontiera del diritto del lavoro e anche per questo repu-tava fondamentale verificare come altri paesi, soprattut-to quelli più avanzati, avessero già dato una regolamen-tazione giuridica a fenomeni sostanzialmente uguali cheiniziavano a presentarsi con sempre maggiore frequenzae rilevanza anche in Italia.

Dapprima si era concentrato su quegli aspetti giusla-voristici della impresa minore che, assieme ad alcune

4 Su questo tema, e soprattutto sugli schemi cosiddetti pluralistici delmetodo delle relazioni industriali, Marco si era soffermato anche in un recen-tissimo studio. Si veda M. Biagi, Cultura e istituti partecipativi delle relazioniindustriali in Europa, in «L’impresa al plurale - Quaderni della partecipazio-ne», n. 9/2002, pp. 291 ss.

5 M. Biagi, Rappresentanza e democrazia in azienda - Profili di diritto sin-dacale comparato, Maggioli, Rimini, 1990.

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sostanziose agevolazioni fiscali e parafiscali, avevanoreso possibile nel nostro paese il miracolo della «econo-mia del cespuglio», come ebbe in seguito a definirloGino Giugni 6. Un miracolo destinato tuttavia a inciderepesantemente sullo sviluppo del nostro sistema econo-mico, in quanto basato su alcune preoccupanti forme disottotutela dei lavoratori delle piccole imprese, che da-vano peraltro luogo a rilevanti anomalie rispetto aglialtri paesi comparabili al nostro. Marco studiava le ra-gioni che spingevano le imprese di grandi dimensioni aldecentramento produttivo patologico: aveva analizzato,in particolare, la fuga dal lavoro dipendente e quegliincentivi economici e normativi che sono alla base dellascomposizione delle figure imprenditoriali e della polve-rizzazione dell’attività produttiva 7.

Si era poi interessato del lavoro in cooperativa, ogget-to di una disciplina legale sino a poco tempo fa lacunosaed episodica, delle relative prassi statutarie e del pecu-liare assetto di relazioni industriali. In uno studio mono-grafico del 1983 aveva ricostruito la natura giuridica delrapporto che lega la cooperativa al socio lavoratore pro-spettando una tesi interpretativa volta ad applicare an-che al socio lavoratore le tutele del diritto del lavoro 8:una tesi a lungo sottovalutata sia in dottrina sia in giu-risprudenza, per poi venire sostanzialmente recepita direcente dal nostro legislatore, con la promulgazionedella legge 3 aprile 2001, n. 142 sul socio di cooperativa,che ha dato corpo a una sostanziosa revisione dellanormativa in materia cooperativistica ispirata alle sueidee ed elaborazioni progettuali.

6 G. Giugni, Il diritto del lavoro negli anni ’80, relazione al Convegno su Prospettive del diritto del lavoro per gli anni ’80, Bari, 23-25 aprile1982, Giuffrè, Milano, 1983, p. 21.

7 M. Biagi, La dimensione dell’impresa nel diritto del lavoro, Angeli, Mi-lano, 1978.

8 M. Biagi, Cooperative e rapporti di lavoro, Angeli, Milano, 1983.

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Già in questi due primi studi monografici aveva trat-teggiato, seppure in termini ancora incompleti e parziali,alcune linee di politica del diritto e di politica del lavoroche, in seguito, riprenderà e affinerà nel corso della suaattività progettuale e para-legislativa, al fianco prima diTiziano Treu e poi di Roberto Maroni e Maurizio Sac-coni. Attraverso gli studi sull’impresa minore e sul sociodi cooperativa Marco aveva infatti già prospettato, qualerisposta a un quadro normativo lacunoso e inappagante,la possibilità di ricostruire uno «statuto» del lavoro de-bole e precario e di quello del cooperatore di lavoro,intuendo con largo anticipo i limiti dello Statuto deilavoratori del 1970 che infatti era stato pensato per gliaggregati di fabbrica delle imprese di grandi o mediedimensioni e con rapporti di lavoro standardizzati e peruna carriera.

È proprio da qui che inizia a delinearsi l’idea di unoStatuto dei lavori, di un corpo di diritti fondamentalidestinato a tutti i lavoratori, e non solo di quelli dellagrande-media impresa, in modo da superare una voltaper tutte quel dualismo tra ipertutelati e lavoratori de-boli causato da una cattiva e miope distribuzione delletutele del lavoro. E non è forse solo un caso che il pro-getto di Statuto dei lavori, elaborato da Marco per Tizia-no Treu e Romano Prodi, abbia iniziato a prenderecorpo proprio nell’ambito dei lavori della Commissionedi studio per la revisione della legislazione in materiacooperativa e disciplina applicabile al socio-lavoratore(c.d. Commissione Zamagni) 9.

Con il consolidarsi della sua vocazione per la dimen-sione comparata della riflessione giuridica, si era prestoavvicinato alla nuova frontiera del diritto del lavoro: la

9 Su questo profilo tornerò in seguito, soprattutto nel capitolo 5. Vedicomunque, sin da ora, il progetto di articolato normativo per uno Statuto deilavori, in T. Treu, Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, Il Mu-lino, Bologna, 2001, pp. 317 ss.

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nascente dimensione sociale dell’Europa comunitaria.Una tematica non ancora di moda sul volgere degli anniottanta, accessibile anzi a una ristretta cerchia di iniziati,e che pure subito affascinò, convinto che sarebbe stataquella la strada per modernizzare il nostro diritto nazio-nale del lavoro.

Non è sicuramente un caso che Marco Biagi e Massi-mo D’Antona, e cioè i docenti universitari italiani piùimpegnati, assieme a Tiziano Treu, sul versante delleriforme del lavoro, siano stati tra i primi (e per lungotempo tra i pochi) ad approfondire la dimensione comu-nitaria del diritto del lavoro. È dal diritto comunitarioche emergerà – scriveva nel 1991, sul primo fascicolo di«Diritto delle Relazioni Industriali» – «per quanti inse-gnano e ricercano nelle Università... uno stimolo ulterio-re per impostare sempre più in senso comparatistico lostudio delle materie giuridiche e di quelle sociali più ingenerale... Anche ai giuristi del lavoro si prospetta uncompito affascinante, quello di agevolare la ricerca disoluzioni accettabili su un piano comparatistico e con-vincenti nell’ottica legislativa nazionale...» 10.

Fu proprio in questa precisa fase della sua elaborazio-ne scientifica – sempre più condizionata dalla dimensio-ne comunitaria e dalle decisive sollecitazioni culturaliprovenienti dalla comparazione con altri paesi ed espe-rienze – che lo conobbi e iniziai a percorre con lui unlungo viaggio bruscamente spezzato la sera del 19 marzo2002.

10 M. Biagi, Il diritto delle relazioni industriali in vista dell’Europa del1992: una prospettiva italiana, in «Diritto delle Relazioni Industriali», n. ??/1991, p. 180.

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Stava entrando nel pieno della sua maturità scientificae accademica

Dei suoi primi anni presso l’ateneo modenese, chepure coprono più di un decennio, ho ovviamente soltan-to qualche vago ricordo indiretto; aneddoti perlopiù,frutto di qualche suo episodico racconto. Con riferimen-to al periodo precedente alla nostra collaborazione miparlò infatti quasi esclusivamente del suo legame diamore-odio con la scuola bolognese: del breve ma inten-so apprendistato con Giuseppe Federico Mancini e, inseguito, del profondo legame instaurato con Gigi Mon-tuschi, una sorta di secondo padre a cui mi chiese subitodi presentarmi, al mio arrivo a Modena, e di portaretutte le mie pubblicazioni scientifiche. Con quest’ultimoaveva anche intrapreso la strada della libera professione,convincendolo ad aprire a Bologna uno studio legale.Ma presto aveva cambiato idea ed era tornato a dedicar-si a tempo pieno alla ricerca: «Il rapporto con il cliente– mi diceva – non fa per me. A me piace studiare...».

Quando arrivai a Modena da Milano anche quei rap-porti si erano tuttavia in parte già allentati, e Marcostava entrando nel pieno della maturità scientifica edaccademica. Della breve esperienza professionale conMontuschi, a cui più volte aveva fatto cenno, trovai piùtardi qualche traccia nei numerosi libri che affollavanolo scaffale del suo primo ufficio modenese, allorchécurai il trasloco dalla vecchia e fatiscente sede di viaGiardini alla prestigiosa sede del Foro Boario, a duepassi dal centro storico di Modena, in quel nuovo uffi-cio che abbiamo condiviso per moltissimi anni e dove, ilpomeriggio del 19 marzo, abbiamo trascorso insiemel’ultima nostra giornata di lavoro comune. Alcuni diquesti libri erano infatti contrassegnati da un timbro conil nome e cognome e la partita iva di Marco Biagi.Durante quel trasloco trovai anche, in alcuni cartoni

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impolverati collocati nei cassetti della sua vecchia scriva-nia, il frutto dell’intenso e paziente lavoro di studio svol-to sempre sotto la guida di Montuschi: schede dettaglia-tissime, scritte a mano e con una impeccabile calligrafia,di tutte le principali opere monografiche della nostramateria, con indicati i punti salienti, le nozioni fonda-mentali, i commenti di Marco.

Del suo impegno presso l’università, tra il 1978 e il1991, mi parlò invece assai poco. Mi raccontò del suoamico e collega Cesare Bisoni, con cui aveva anche col-laborato, nel gruppo di lavoro di Enrico Boselli, in vistadella preparazione della Conferenza programmatica re-gionale del Partito socialista italiano del marzo 1990,con l’obiettivo di delineare alcune linee essenziali di unacultura di governo per affrontare le cruciali sfide deglianni novanta 11. Nella definizione del programma deisocialisti per l’Emilia-Romagna, si era ovviamente occu-pato dei problemi del mercato del lavoro e, in partico-lare, della categorie a rischio di esclusione sociale.

Mi raccontò anche di come avesse casualmente raci-molato, tra i vari fondi residui del Dipartimento di eco-nomia aziendale, la somma necessaria per organizzarenel 1983 un viaggio di lavoro a Kyoto, dove si tenne unmemorabile convegno internazionale sulle relazioni in-dustriali. Si era trattato di «una occasione unica e irripe-tibile», e che certo contribuì definitivamente a consoli-dare la sua vocazione di comparatista del lavoro, alimen-tata dal fecondo incontro con il giovane studioso giap-ponese Yasuo Suwa, giunto a Bologna nel 1976 per unperiodo di studio e apprendistato. Una vocazione preco-cemente intuita da Luigi Montuschi che lo aveva inco-raggiato a intraprendere questo genere di studi in un

11 Novanta, Novantacinque e oltre. Il programma dei socialisti per l’EmiliaRomagna del futuro, Conferenza programmatica regionale, Bologna, 16-17marzo 1990.

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momento in cui la dottrina italiana mostrava una pres-soché scarsa propensione per il confronto internazionalee l’analisi di altre esperienze nazionali. A partire da quelconvegno prese avvio la paziente tessitura di una formi-dabile rete di collaborazioni e contatti con docenti egruppi di ricerca stranieri, poi culminata con l’organiz-zazione delle scuole estive in relazioni industriali, e checostituisce oggi una delle sue più grandi eredità.

Mi raccontò infine che era stato direttore del Dipar-timento di economia aziendale. Come mi ha confermatorecentemente la collega Paola Vezzani, che lo affiancavanella redazione dei verbali dei consigli di dipartimento,anche grazie al modo sobrio ed efficiente con cui avevasvolto questo incarico istituzionale si era ben prestoguadagnato la stima dei docenti della Facoltà di econo-mia.

Marco mi chiamò a Modena a lavorare con lui sulfinire del 1991, dopo l’esperienza della prima SummerSchool nel giugno-luglio di quello stesso anno, quandoancora mi trovavo in Belgio per portare avanti il proget-to di ricerca legato alla mia borsa di studio. E mi offrìinaspettatamente quel posto da ricercatore, che cambiòradicalmente il corso della mia vita, non solo accademi-ca.

Il punto di svolta fu l’inizio della collaborazione con ilGoverno Prodi e con Tiziano Treu in particolare

Furono anni di vero apprendistato, in quella cheMarco amava definire la sua «bottega da artigiano».

Per i primi tempi si trattò di un normale rapporto tramaestro e allievo, come ce ne possono essere molti altri:piuttosto formale, con alcuni alti e bassi, e sostanzial-mente proiettato sulle sole attività universitarie. Rara-mente venivo coinvolto in qualcuna delle sue già allora

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numerose attività extra-accademiche. L’unico impegnodi un certo rilievo era infatti rappresentato dalla gestio-ne segretariale dell’, l’Associazione italiana per lostudio delle relazioni industriali fondata nel 1968 daGino Giugni e Tiziano Treu, che aveva ereditato daGian Primo Cella nel 1994 in vista della organizzazionedel convegno mondiale di relazioni industriali program-mato a Bologna per il settembre del 1998. In quella faseci stavamo ancora prendendo reciprocamente le misure.

Il punto di svolta fu l’inizio della collaborazione conil Governo Prodi e con Tiziano Treu in particolare. Trail 1995 e il 1996 gli impegni romani divennero ben pre-sto una delle nostre principali attività, con uno sforzo diprogettazione legislativa tale da richiedere una radicaleriorganizzazione del metodo di lavoro che sino ad alloraavevamo seguito. In quel periodo gravitava sempre piùspesso su Roma e su Bruxelles, ragione per cui progres-sivamente aumentava anche il mio impegno modenese.Poco alla volta mi chiese di seguirlo anche a Roma einiziai così la mia frequentazione del Ministero del lavo-ro. Il tipo di lavoro che ci veniva prospettato, in parti-colare la redazione di articolati normativi e bozze didisegni di legge, richiedeva peraltro un confronto conti-nuo, quasi quotidiano, e anche momenti di approfondi-ta discussione che, per i restanti impegni, cadevano co-stantemente il sabato mattina.

Una stagione breve ma esaltante, ricca di riconosci-menti e gratificazioni. Una stagione che Marco accettò evisse senza risparmio di energie e con grande entusia-smo, tanto è vero che non chiese e non ottenne nulla incambio, convinto com’era della necessità ineludibile diprocedere a una radicale modernizzazione del nostromercato del lavoro, secondo indirizzi di pragmaticità edi efficacia coerenti con le indicazioni europee.

Nel 1995 (Governo Dini) era diventato consiglieredel ministro del lavoro Tiziano Treu. Nel 1996 (Gover-

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no Prodi) la collaborazione con Treu si era consolidatae intensificata. Venne nominato presidente della Com-missione di esperti per la predisposizione di un testounico in materia di sicurezza e salute sul lavoro e coor-dinatore del gruppo di lavoro per la trattazione dei pro-blemi relativi ai rapporti internazionali del Ministero dellavoro acquisendo, in particolare, familiarità con il pro-cesso decisionale e con l’attività legislativa condotta aBruxelles. Processi decisionali e attività, come ebbe ascrivere lui stesso, «troppo spesso mantenuti al riparoda una verifica scientifica per quanto attiene all’iter for-mativo dei provvedimenti» 12.

Nel 1997 assunse anche l’incarico di consigliere delpresidente del Consiglio Romano Prodi e fu nominatorappresentante del governo italiano nel Comitato perl’occupazione e il mercato del lavoro dell’Unione euro-pea, un organismo a carattere «consultivo», che è chia-mato a svolgere la funzione di promozione di un coor-dinamento tra gli Stati membri per quanto concerne lepolitiche in materia di occupazione e mercato del lavo-ro. La perfetta padronanza dell’inglese giuridico e l’im-menso patrimonio di conoscenze comparatistiche e co-munitarie lo avevano condotto, in poco tempo, alla vice-presidenza di questo prestigioso comitato, e solo la stre-nua opposizione di Cesare Salvi – il ministro che nelfrattempo era succeduto a Treu e Bassolino, e che con-tribuì al temporaneo suo allontanamento dal Ministerodel lavoro –, non gli consentì, qualche anno più tardi, digiungere al gradino più alto della presidenza.

12 Così si era espresso Marco nel rivelare al lettore e allo studioso didiritto comunitario del lavoro il processo di formazione delle direttive comu-nitarie cui aveva assistito nel semestre italiano di presidenza della Unioneeuropea (1996) affiancando Tiziano Treu al tavolo delle trattative. Cfr. infattiM. Biagi, La fortuna ha sorriso alla presidenza italiana dell’Unione europea:prime note di commento alle direttive sul distacco dei lavoratori all’estero e suipermessi parentali, in «Diritto delle Relazioni Industriali», n. 3/1996, p. 3.

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Conservo ancora gelosamente nel mio computer, aparecchi anni di distanza, il frutto della collaborazionecon Tiziano Treu e con il Governo Prodi. Nel file inti-tolato Lavori per Treu ho ritrovato alcuni consistentiparagrafi dei piani nazionali per la occupazione del 1998e 1999, elaborati dal governo nell’ambito della c.d. stra-tegia europea per la occupazione: un «processo di coor-dinamento delle politiche per l’occupazione degli Statimembri della Comunità europea delineato nel capitolosull’occupazione introdotto nel Trattato con il Trat-tato di Amsterdam del 1997 e incentrato su quattro ideeo pilastri: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità epari opportunità» 13. E ho anche ritrovato i primi eserci-zi di benchmarking, un metodo di apprendimento con-tinuo e reciproco nel campo delle politiche dell’occupa-zione incentrato sullo studio delle migliori pratiche pre-senti degli altri paesi, che aveva affinato nel corso dellasua attività presso il Comitato per l’occupazione e ilmercato del lavoro.

In un voluminoso file è conservato l’immenso lavoropreliminare, realizzato con la collaborazione di GaetanoNatullo, Luigi Mariani e Michele Lepore, per la predi-sposizione di un testo unico in materia di salute e sicu-rezza sul lavoro improntato ai principi di razionalizza-zione e semplificazione del caotico e frammentario ma-teriale normativo esistente 14. Oltre ad alcuni appunti

13 Questa sintetica definizione della strategia europea per l’occupazione ècontenuta in M. Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2001,p. 199. Per questa esperienza si veda M. Biagi, L’applicazione del Trattato diAmsterdam in materia di occupazione: coordinamento o convergenza?, in «Di-ritto delle Relazioni Industriali», n. ??/1998, pp. 437 ss., e, per una riflessioned’insieme sui rapporti tra politiche europee per l’occupazione e diritto dellavoro, vedi Id., L’impatto della European Empolyment Strategy sul ruolo deldiritto del lavoro e delle relazioni industriali, in «Rivista Italiana di Diritto delLavoro», n. 1/2000, p. 418.

14 Per un testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavo-ratori sul luogo di lavoro, a cura di M. Biagi, L. Alberti, A.M. Faventi, M.

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realizzati per i lavori svolti nell’ambito della Commissio-ne di studio per la revisione della legislazione in materiacooperativa e la disciplina applicabile al socio-lavoratore(Commissione Zamagni) ho poi recuperato note e talunischemi di articolato normativo che hanno accompagna-to l’iter parlamentare della legge 24 giugno 1997, n. 196,contenente norme in materia di promozione della occu-pazione, nota come Pacchetto Treu e, di seguito, allaelaborazione di un commentario scientifico con il con-corso di direttori generali, dirigenti e funzionari delMinistero del lavoro 15.

Tra questa miriade di materiali conservo ancora unappunto intitolato Ipotesi per la predisposizione di unoStatuto dei lavori e un file contenente le parti di dirittodel lavoro del testo unico sull’immigrazione e del relati-vo regolamento attuativo in attuazione della c.d. leggeTurco-Napolitano. Il primo documento era il nostropiano programmatico per la realizzazione dello Statutodei lavori, da cui sono poi scaturiti numerosi articolatinormativi nessuno dei quali tuttavia in grado di conden-sare un consenso sufficiente nella maggioranza parla-mentare che sosteneva il Governo Prodi 16. Il secondodocumento era invece il primo lavoro che Tiziano Treuaveva affidato direttamente e integralmente a me, e a cuiin seguito si aggiunse uno studio sulle politiche comuni-tarie della concorrenza di rilevanza per il diritto del la-voro, che rappresentò poi la base per la mia secondamonografia recentemente pubblicata per i tipi di Giap-pichelli con una prefazione di Marco scritta domenica

Lepore, L. M. Mariani, G. Natullo, G. Rocca, M. Rossi, M. Tiraboschi, in«Diritto delle Relazioni Industriali», n. ??/1998, pp. 77 ss.

15 M. Biagi (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro. Commentario alla legge24 giugno 1997, n. 196, Giuffrè, Milano, 1997.

16 Vedilo sul sito del centro studi modenese: http://www.csmb.unimo.it.M. Tiraboschi, Incentivi alla occupazione, aiuti di Stato, diritto comunitariodella concorrenza, Giappichelli, Torino, 2002.

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17 marzo 2002, due soli giorni prima che venisse assas-sinato 17.

Si trattò di una esperienza davvero affascinante e ir-ripetibile. Una esperienza – come ebbe modo di scriverelui stesso – «connotata da importanti successi (come nelcaso della legge 24 giugno 1997, n. 196, sulla incentiva-zione della occupazione), ma anche da inevitabili com-promessi (come nel caso della disciplina del lavoro delsocio di cooperativa) e talvolta persino da amare delu-sioni (come nel caso della vicenda della proposta di leg-ge sulle 35 ore, che ha condotto alla prematura conclu-sione della esperienza di governo della coalizione guida-ta da Romano Prodi). Una esperienza che al di là deglisbocchi operativi più o meno felici, ha peraltro contri-buito a cementare importanti rapporti umani e che havisto collaborare, nella condivisione di un complessodisegno riformatore del diritto del lavoro italiano, bentre diverse generazioni di giuslavoristi» 18. La generazio-ne di Tiziano Treu, quella di Marco e la mia.

In poco tempo avevamo aggregato un gruppostraordinario di persone

L’esperienza con Tiziano Treu e il Governo Prodi ciconvinse della necessità di cambiare metodo di lavoro. IlCentro studi internazionali e comparati, fondato nellontano 1991, iniziò infatti a operare in forma struttura-ta soltanto sul volgere del 1999, quando Marco si spesein prima persona per aggregare un piccolo gruppo digiovani ricercatori intorno al suo progetto riformatore.

Sino ad allora la dimensione di Marco era semprestata quella della «bottega artigiana». Questa espressio-

17 M. Biagi, Progettare per modernizzare, in Treu, Politiche del lavoro, cit.,p. 271.

18 Ibidem.

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ne gli piaceva moltissimo, e la ripeteva in continuazione,orgoglioso del fatto che avesse potuto realizzare unaserie impressionante di lavori, di rilevanza nazionale einternazionale, tanto da dare effettivamente l’impressio-ne di potersi avvalere già da lungo tempo di una fiorentescuola modenese. Ma non era così. Ad affiancarci eranounicamente i nostri studenti del quarto anno di econo-mia politica e di economia aziendale attratti dalle suequalità umane e dal suo fascino. Il loro era una sorta divolontariato, basato sulla stima reciproca e direi anche,in taluni casi, su un forte senso di solidarietà umana. Iragazzi che entravano nel nostro ufficio erano sicura-mente convinti di imparare qualcosa, di fare una espe-rienza utile per porre delle solide fondamenta per ilproprio futuro, ma si sentivano indubbiamente anchegratificati di poter partecipare a un progetto così impor-tante.

In questo fu un vero maestro. Non un «caposcuola»,nel senso proprio del termine, ma sicuramente una gui-da che ha sempre voluto attorno a sé un gruppo dipersone giovani legate da un grande senso di stima col-lettiva e di partecipazione a un progetto. Una grandequalità era certo, da questo punto di vista, la sua natu-rale capacità di gioire, nel profondo del cuore, dei primisuccessi di questi ragazzi e del suo gruppo in generale.

Presto il nostro piccolo «laboratorio» divenne famosoin tutta la facoltà. Diversi fattori – tra cui l’informalitàdei rapporti, l’estrema accessibilità del docente, la curanel seguire le tesi di laurea, la disponibilità di qualchecomputer e di un formidabile tecnico informatico, Vin-cenzo Salerno, sempre pronto a dare una mano, l’abilitàdi Marco nel tessere i rapporti con le aziende, sperimen-tando in forme pionieristiche l’istituto del tirocinioaziendale, un primo ponte verso l’inserimento nel mer-cato del lavoro di tanti ragazzi – ci consentirono di ag-gregare in poco tempo un gruppo straordinario di per-

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sone, pronte a dedicare gratuitamente tempo e prezioseenergie a sostegno del nostro progetto. Ricordo, in par-ticolare, Serena Vaccari, Giulia Moretti, Emanuela Salsie Ylenia Franciosi, e poi anche Giorgia Verri, SilviaSpattini, Francesca Mattioli, Federica Gambini, Ales-sandra Lopez, Federico Bacchiega, Cinzia De Luca,Barbara Maiani, Gianluca Nieddu, Anna Simonini,Francesca Crotali, Paolo Fontana, Federica Rossi, LuciaMangiarelli, Luana Ferraro, Sabrina Guerzoni, Giusep-pe Bertoni, Paola Villani e Massimo Morselli.

Sei mesi, un anno, a volte anche di più, per queglistudenti che, al termine del corso, iniziavano subito afrequentare i nostri uffici. Tanto duravano le collabora-zioni. Apprendistati brevi, talora brevissimi, ma comun-que sufficienti per imparare un metodo di lavoro, eanche a capire il significato del lavoro di gruppo condi-videndo, ciascuno al proprio livello, successi e responsa-bilità. Spesso i rapporti instaurati con questi giovaniragazzi sono andati ben oltre la collaborazione informa-le, e alcuni di essi ancora oggi continuano nella dimen-sione più genuina e gratuita della amicizia.

È stata questa la dimensione più genuina ed esaltantedell’intesa stagione vissuta con Marco presso il centrostudi modenese. Ci legava un senso di stima collettiva edi partecipazione a un progetto che non ho mai visto inaltri ambienti accademici, e che tuttavia rischiò di di-sgregarsi non appena dalla dimensione volontaristica egratuita si passò ad una vera e propria organizzazioneprofessionale imperniata su una pletora di collaborazio-ni professionali e accademiche di più difficile gestione.

È stato lui a insegnarmi il mestierepresso la sua bottega di artigiano

È dal periodo della collaborazione con Tiziano Treu

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e il Governo Prodi che sono dunque nate le prime col-laborazioni più stabili con giovani giuristi. In una primafase con Nicola Benedetto e Giuseppe Martinucci, e poia seguire con alcuni dei miei ultimissimi studenti mila-nesi, primi tra tutti Giuseppe Mautone e Marina Mobi-lia. Ed è da qui che, subito dopo, è nata l’idea di grup-po, una volta ottenuta una collocazione per RiccardoSalomone, come ricercatore, e per Alberto Russo, comeassegnista di ricerca. Ad Olga Rymkevitch, arrivata a noida San Pietroburgo nel febbraio 2001, grazie una borsadel Ministero degli esteri italiano, carica di speranze e dientusiasmo, e a Carlotta Serra, aggregata al gruppo nelluglio del 2001 e subito divenuta la cocca del maestroper la sua spiccata personalità, si era nel frattempo dapoco aggiunta anche Flavia Pasquini. Facile prevedereche, di lì a poco, sarebbe finalmente potuta germogliareuna vera e propria scuola modenese. Era solo questionedi tempo.

Sicuramente Marco è stato un maestro nel vero sensodella parola almeno per me. A lui devo molto, e nonsolo in campo accademico. È stato lui a credere in mee a portarmi dalla Statale di Milano a Modena, dopo ilsoggiorno presso l’Istituto di diritto del lavoro dell’Uni-versità cattolica di Leuven, sotto la guida di RogerBlanpain. È stato lui a insegnarmi il mestiere presso lasua bottega di artigiano e a gratificarmi giorno per gior-no, grazie anche al progressivo affidamento di incarichivia via più delicati e stimolanti. La collaborazione si èpoi presto trasformata in un legame intensissimo, in unrapporto di virtuosa simbiosi, che non prevedeva sostee tentennamenti. Ci sentivamo amici, ma sapevo beneche questo legame, al pari di tutti i rapporti fondamen-tali della vita, non poteva essere semplicemente definitoin questi termini.

Come maestro mi stupiva non tanto per lo scrupoloche poneva nella lettura dei miei lavori, ma soprattutto

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per l’estrema lucidità con cui mi assegnava un percorsodi studio, prevedendo con largo anticipo temi che, soloqualche anno più tardi, sarebbero diventati di estremacentralità nel dibattito italiano. Il lavoro intermittentetramite agenzia già nel corso del 1991, quando tale tipo-logia contrattuale (nota ai più come lavoro interinale)non solo era vietata nel nostro paese, ma ancor più erapraticamente sconosciuta anche agli addetti ai lavori 19.Lo stesso nel 1998 quando, prima ancora di aver termi-nato la prima vera monografia, mi indicò il tema degliincentivi alla occupazione e del diritto comunitario dellaconcorrenza. Un lavoro che, dopo le ultime revisioni, hoterminato nei primi giorni del 2002 e che, dopo la let-tura di Tiziano Treu e di Mario Rusciano, ho consegna-to in tipografia il giorno 18 marzo 20. Il giorno preceden-te, domenica 17, con la consueta e-mail del post-partita,che anticipava l’altrettanto consueta telefonata domeni-cale con cui veniva commentato il risultato del Bolognae impostato il lavoro della settimana a seguire, Marco miaveva appena inviato la prefazione che fa da apertura aquesto lavoro.

In uno dei dettagliatissimi e meticolosi «memo» gior-nalieri, che caratterizzavano il nostro metodo di lavoroa integrazione del programma domenicale della settima-na lavorativa, faxatomi da Marco il 19 marzo alle ore10.50, qualche ora prima di uscire di casa per raggiun-gerci a Modena, alla mia segnalazione dell’invio in tipo-grafia della monografia, mi ha risposto: «Ottimo!».

19 Non lo aveva invece affascinato il mio primo studio monografico, quel-lo su Problemi e prospettive in tema di risoluzione e recesso nel contrattocollettivo di lavoro (pubblicato nella Collana del Dipartimento di economiaaziendale dell’Università degli Studi di Modena, n. 22/1992) iniziato a cavallotra il 1990 e il 1991 sotto la guida di Giorgio De Nova. Un tema a meparticolarmente caro, ma da Marco considerato troppo tradizionale e circo-scritto per una prima vera monografia.

20 M. Tiraboschi, Incentivi alla occupazione, aiuti di Stato, diritto comuni-tario della concorrenza, Giappichelli, Torino, 2002.

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Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui come maestro.Ho però anche una eredità. Come al solito, mi aveva giàda tempo indicato la terza monografia: lo Statuto deilavori, su cui mi ero impegnato con lui dal 1997, nel-l’ambito della nostra collaborazione con Tiziano Treu 21

e che, in forma del tutto empirica, stavamo già iniziandoa sperimentare a Bologna, grazie al generoso sostegnodella Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, concui avevamo messo a punto un pionieristico meccani-smo volto alla c.d. certificazione dei rapporti di lavoronell’ambito delle prestazioni di assistenza domiciliareagli anziani 22. Questo sarà il mio impegno principale neiprossimi mesi.

La produzione scientifica subì una forte accelerazione

Dopo una raccolta di studi del 1996 su quello che luidefiniva emblematicamente il «diritto dei disoccupati» 23

– e cioè quella fragile trama normativa esistente percoloro che non hanno ancora un lavoro, che lo hannoperso o che sono occupati nella economia sommersa, eche fa da contraltare alle tutele dei lavoratori ipergaran-titi – e il commentario dell’anno successivo sulle formedi «flessibilità normata» introdotte dal PacchettoTreu» 24, la produzione scientifica, pur non subendorallentamenti significativi, era stata comunque sostan-

21 Cfr. M. Biagi, Progettare per modernizzare, in Treu, Politiche del lavoro,cit., pp. 269-280 e anche M. Biagi, M. Tiraboschi, Le proposte legislative inmateria di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium genus o codifica-zione di uno Statuto dei lavori?, in «Lavoro e Diritto», n. 4/1999.

22 Cfr. M. Tiraboschi, La c.d. certificazione dei rapporti di lavoro e la suatenuta giudiziaria, testo della relazione presentata al convegno diPesaro e Urbino, 24-25 maggio 2002, in «Lavoro e Diritto», n. 1/2003.

23 M. Biagi, Y. Suwa (a cura di), Il diritto dei disoccupati. Studi in onoredi K. Yamaguchi, Giuffrè, Milano, 1996.

24 Biagi (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro, cit.

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zialmente concentrata e circoscritta attorno al progettoeditoriale della rivista «Diritto delle Relazioni Industria-li», che aveva iniziato a dirigere assieme a Luciano Spa-gnuolo Vigorita nel 1995 nell’ambito di un ambiziosoprogetto di rilancio.

Fu proprio grazie alla nuova dimensione organizzati-va del centro studi che, sul finire del 1999, anche laproduzione scientifica subì una forte accelerazione.

Del 2000 è un commentario sulla nuova disciplina dellavoro a tempo parziale, progettata dal Governo D’Ale-ma e dal ministro del lavoro Cesare Salvi, dove Marcodenunciava la persistente resistenza del nostro legislato-re verso l’esigenza di flessibilizzazione/modernizzazionedegli assetti organizzativi delle imprese 25. Una denunciavibrante e polemica, provocata dalle rigidità introdottecon la nuova normativa, e che poggiava sulla consapevo-lezza che «ostacolare il cambiamento non solo è inutile,ma alla fine anche controproducente, perché significarinunciare a gestirlo, dilazionando semplicemente i tem-pi delle riforme necessarie in relazione ai nuovi mercatidel lavoro» 26. Una occasione mancata, che vedeva nellavoro a tempo parziale uno strumento particolarmenteduttile e in grado di generare nuove occasioni di lavoro,riuscendo nel contempo a fornire a soggetti (madri difamiglia, studenti, anziani ecc.) che reclamano più tem-po di non lavoro, per sé o per la famiglia, un’opportu-nità occupazionale gestita secondo le aspettative perso-nali di vita.

Dello stesso anno è un confronto comparato sul ruolodel diritto del lavoro e delle relazioni industriali nell’am-bito delle politiche di creazione di occupazione 27, in cui

25 Biagi (a cura di), Il lavoro a tempo parziale, «Il Sole 24 ore», Milano,2000.

26 Ibidem.27 M. Biagi (ed.), Job creation and Labour Law, Atti del congresso, Mode-

na, 28-29 aprile 2000.

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sottoponeva a verifica, sulla scorta delle esperienze dialtri paesi, una sua vecchia idea 28: la necessità di sposta-re l’enfasi dalla dimensione statica del diritto del lavoro,incentrata sulla protezione del singolo che già ha unlavoro, a una dimensione più dinamica – o «proattiva»,come era solito dirci –, volta cioè alla promozione e allatutela della occupazione in generale.

L’anno successivo fu la volta di un commentario sulprimo rapporto della Commissione europea sullo statodelle relazioni industriali in Europa 29 a cui fece seguito,nel 2002, uno studio comparato sulle forme di parteci-pazione dei lavoratori alle decisioni strategiche azienda-li 30 che procedeva parallelamente a un progetto finan-ziato dalla Commissione europea volto a fare del centrostudi modenese un forum di dibattito sui temi dellapartecipazione azionaria dei lavoratori in Europa 31.

In questi lavori, poi ripresi e rielaborati nell’ambitodel Gruppo di alta riflessione sul futuro delle relazioniindustriali nella Unione europea 32, rilevava come la ra-pida evoluzione normativa, registratasi in un po’ tutti ipaesi europei nel corso dell’ultimo decennio, stesse spo-stando il baricentro delle relazioni industriali da assetticonflittuali e antagonistici a logiche e dinamiche via viasempre più partecipative. «Occorreranno certo ancoraalcuni anni per valutare l’impatto dei più recenti prov-vedimenti sulla prassi delle relazioni industriali – scrive-va ancora recentemente – ma è mia personale convinzio-

28 Si veda M. Biagi, Il futuro del contratto individuale di lavoro, in «Lavoroe Diritto», 1996, pp. 325 ss.

29 M. Biagi (ed.), Towards a European Model of Industrial Relations? -Building on the first Report of the European Commission, Kluwer Law Inter-national, 2001.

30 M. Biagi (ed.), Quality of Work and Employee Involvement in Europe,Kluwer Law International, 2002.

31 Cfr. le relazioni scientifiche e gli interventi pubblicati sul sito internetdel Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi (www.csmb.unimo.it).

32 M. Biagi, Cambiare le relazioni industriali, ...

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ne che un valido terreno di verifica della esistenza omeno di un mutamento di paradigma verso forme par-tecipative possa essere individuato nelle interrelazionitra “qualità delle relazioni industriali” e forme di “em-ployee involvement” (coinvolgimento dei lavoratori).Uno spunto in questa direzione è fornito dalla Commis-sione europea che da tempo sostiene che un sistema direlazioni di buona qualità dovrebbe assicurare che tuttii lavoratori siano adeguatamente informati e coinvoltinello sviluppo delle imprese per cui lavorano» 33. Da quianche l’avvio di un ulteriore filone di ricerca, su incaricodella Fondazione europea di Dublino per il migliora-mento delle condizioni di vita e di lavoro, sulla qualitàdel lavoro e delle relazioni industriali in Europa e nelmondo 34.

Del 2002 è infine un corposo commentario sulla re-cente e contrastata disciplina del lavoro a tempo deter-minato 35, alla cui stesura aveva dato un forte contributonell’ambito della nuova collaborazione che si era nelfrattempo instaurata con Roberto Maroni, grazie allaintermediazione di Maurizio Sacconi, che gli aveva fattointravedere la possibilità di aprire un vero ciclo di rifor-me nel campo del lavoro e delle relazioni industriali delnostro paese. In questo volume Marco scriveva: «è daanni che sociologi ed economisti ci avvertono che ilmercato e l’organizzazione del lavoro si stanno evolven-do con crescente velocità, e che il sistema di regolazionedei rapporti di lavoro pensato per un modello di produ-zione fordista-tayloristico non è più in grado di coglieree governare la trasformazione in atto. Assai più che sem-

33 Biagi, Cultura e istituti partecipativi delle relazioni industriali in Europa,cit.

34 M. Biagi, O. Rymkevitch, M. Tiraboschi, Europeanisation’of IndustrialRelations, especially the Quality of the European Industrial Relations bench-marked in the global perspective, Fondazione Europea di Dublino, 2002.

35 M. Biagi (a cura di), Il nuovo lavoro a termine, Giuffrè, Milano, 2002.

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plice titolare di un “rapporto di lavoro”, il prestatore dioggi e, soprattutto, di domani, è un collaboratore cheopera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un progetto,di una missione, di un incarico, di una fase dell’attivitàproduttiva o della sua vita. Il percorso lavorativo è se-gnato da cicli in cui si possono alternare fasi di lavorodipendente e autonomo, in ipotesi intervallati da formeintermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazio-ne professionale» 36. «Se così stanno le cose – proseguivaMarco a difesa di un testo legislativo che aveva condottoalla ennesima spaccatura con la – non si capisconole polemiche sorte in merito alla nuova disciplina dellavoro a tempo determinato; una disciplina che pure,accogliendo una espressa indicazione contenuta in talsenso nella direttiva comunitaria, conferma la centralitàdel contratto di lavoro a tempo indeterminato» 37.

Proprio questa ultima riflessione sulla recente riformadel contratto di lavoro a tempo determinato rifletteperfettamente il particolare stato d’animo con cui stavavivendo la nuova stagione di riforma del diritto del la-voro italiano avviata con il Libro bianco sul mercato dellavoro del governo dell’ottobre 2001 38. Dalla lettura delsuo articolo di apertura del commentario traspare ineffetti non soltanto il dispiacere per le pesanti critichesollevate dalla al testo della nuova normativa inmateria di lavoro a termine, ma anche e soprattutto lapreoccupazione per l’immediata prospettazione, da par-te della cultura giuridica del lavoro italiana, di interpre-tazioni riduttive e fuorvianti della nuova disciplina, talida pregiudicare gli esiti della riforma. «Sul piano praticotuttavia – scriveva – la vera riforma deve essere non

36 M. Biagi, La nuova disciplina del lavoro a termine: prima (controversa)tappa del processo di modernizzazione del mercato del lavoro, in Biagi, Il nuovolavoro a termine, cit., p. 17.

37 Ibidem.38 Vedi diffusamente infra, capitolo 5.

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normativa ma culturale, proprio a partire dallo spiritocon cui si andranno a interpretare le norme del decretoche qui si commenta. La modernizzazione del mercatodel lavoro è un processo particolarmente complesso edelicato che richiede da parte di tutti quell’atteggiamen-to positivo nei confronti dei cambiamenti che da tempoci viene richiesto dalle istituzioni comunitarie. Ciò cheviene oggi richiesto non solo agli operatori pratici maanche alle parti sociali e agli studiosi del diritto del la-voro è quello di provare ad abbandonare una cultura(anche giurisprudenziale) costruita sul sospetto e sulladiffidenza» 39.

È stato uno dei primi studiosi ad abbracciare il metododel benchmarking

Tutti gli addetti ai lavori – anche coloro che nonhanno lavorato con lui, fianco a fianco nel laboratoriomodenese – sono a conoscenza del fatto che MarcoBiagi prediligeva, come terreno di studio e confrontoscientifico, la comparazione giuridica. Meno noto è chenon era mosso, nello studio delle esperienze provenientida altri ordinamento giuridici, da una mera curiositàintellettuale e tanto meno da qualsivoglia forma di este-rofilia. La comparazione giuridica era piuttosto per luiun proficuo metodo di lavoro, utile per aiutare tecnici eattori sociali a superare pregiudiziali ideologiche e fu-mose dispute concettuali.

L’ultimo lavoro collettaneo in lingua italiana da luicurato, quello appunto dedicato alla nuova disciplinadel lavoro a termine 40, rappresenta un chiaro esempio di

39 Biagi, La nuova disciplina del lavoro a termine, cit.40 Biagi, Il nuovo lavoro a termine. Commentario a D.Lgs. 6 settembre

2001, n. 368, cit.

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come la comparazione giuridica e l’osservazione dellaesperienza di altri paesi sarebbero per lui dovuti servirea condurre alla conoscenza e alla risoluzione pragmaticadei problemi del mercato del lavoro. La comparazione –ha scritto Rodolfo Sacco in un libro a noi particolarmen-te caro e che molto ha inciso sulla nostra elaborazionescientifica e progettuale – è storia, «e questa storia, chedistrugge i falsi concetti, conduce alla conoscenza» 41.

Questo spiega perché Marco è stato uno dei primistudiosi del nostro paese ad abbracciare senza riserve ilmetodo del benchmarking, elemento oggi essenziale del-la strategia europea per l’occupazione 42.

Il benchmarking nasce in un contesto strettamenteindustriale, come metodo per migliorare la competitivitàdelle imprese. Quale espressione di un processo di ap-prendimento continuo e condiviso, la nozione di bench-marking contiene infatti l’idea di migliorare i processiaziendali studiando e imitando, con gli opportuni ade-guamenti e adattamenti, le soluzioni adottate dalle im-prese concorrenti per risolvere problemi identici o ana-loghi. Questo processo si basa, nella sua formulazionepiù elementare, sulla misurazione del c.d. gap di perfor-mance, a cui fanno seguito una valutazione delle buonepratiche esistenti, da un lato; la sperimentazione e ilcontinuo adattamento di dette pratiche in funzione dellepeculiarità di ciascun contesto organizzativo, dall’altrolato.

In questa accezione, e con specifico riferimento alleproblematiche del lavoro e delle relazioni industriali,

41 R. Sacco, Introduzione al metodo comparato, Giappichelli, Bologna,1990, 18.

42 Sull’impiego che Marco faceva del c.d. metodo del benchmarking rinvioa M. Tiraboschi, Le funzioni del bechmarking nelle politiche del lavoro, rela-zione presentata al convegno organizzato a Roma da Italia Lavoro, eCentro studi internazionali e comparati Marco Biagi del 10 giugno 2002 inricordo di Marco Biagi (ora anche sul sito internet del Centro studi interna-zionali e comparati Marco Biagi - www.csmb.unimo.it).

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voglio ricordare, tra i rari esercizi di benchmarking com-petitivo condotti a livello di ricerca applicata nel nostropaese, un complesso studio comparativo sulla contratta-zione collettiva di secondo livello del settore agro-ali-mentare realizzato dal Centro studi internazionali ecomparati dell’Università di Modena e Reggio Emilianel corso del 1999 in stretta collaborazione con i prin-cipali operatori del settore e gli attori di quello specificosistema di relazioni industriali, tra cui l’amico LauroMauri della Unibon Salumi che fu il primo a credere inquesto innovativo metodo di dialogo tra Università emondo delle imprese ospitando nella sua azienda moltidei nostri studenti e collaboratori 43.

Ricordo questo studio, in primo luogo, a testimonian-za dell’impegno, direi quasi pionieristico e sempre a 360gradi, di Marco Biagi nell’attività di benchmarking. Èproprio da questa prima iniziativa che è nata l’idea disviluppare uno studio sistematico di benchmarking sullepolitiche del lavoro in Europa in collaborazione conItalia Lavoro s.p.a. E lo ricordo anche, in secondo luo-go, per evidenziare l’importanza di tale tipo di esercizi:con specifico riferimento alla contrattazione collettiva disecondo livello del settore agro-alimentare, l’attività dibenchmarking aveva infatti consentito di evidenziarecome uno dei principali fattori di competitività delleimprese di dimensioni medio-grandi presenti nel settorefosse rappresentato dalla capacità di interpretare e uti-lizzare adeguatamente gli spazi di flessibilità concessidalla legge alla autonomia collettiva nella gestione delpersonale attraverso la tecnica della c.d. devoluzionenormativa (in particolare in materia di lavoro a tempo

43 Cfr. Il rinnovo del contratto degli alimentaristi: l’impatto sulla contrat-tazione collettiva di secondo livello, in «Diritto delle Relazioni Industriali», n.2/2000, pp. 251 ss. e anche Y. Franciosi, Tendenze evolutive della contratta-zione aziendale nel settore alimentare: una verifica empirica del Protocollo del1993, in «Diritto delle Relazioni Industriali», n. 2/1999, pp. 193 ss.

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determinato, lavoro a tempo parziale, organizzazionedegli orari di lavoro).

In questo caso, peraltro, l’esercizio di benchmarkingaveva anche consentito di raggiungere risultati di note-vole interesse sul piano teorico-ricostruttivo, soprattuttocon specifico riferimento al ruolo assegnato dal Proto-collo Giugni del 1993 alla contrattazione collettiva diprimo livello, quale sorta di legge della categoria e«faro» della contrattazione collettiva di secondo livello.Un tema ancora oggi di pressante attualità, soprattuttose si pensa alle polemiche sorte in merito alla netta presadi posizione contenuta nel Libro bianco del governodell’ottobre 2001.

Nel Libro bianco, come noto agli addetti ai lavori,l’articolazione degli assetti della contrattazione colletti-va, definita nel Protocollo Giugni del 1993, è stata inte-sa come inadatta rispetto alla più recente evoluzione delsistema di relazioni industriali, per le sue caratteristichedi marcata centralizzazione, ad assicurare quella flessibi-lità della struttura salariale, necessaria per fissare un piùstretto legame tra retribuzione e performance dell’impre-sa 44. Ebbene, in questo caso l’esercizio di benchmarkingaveva efficacemente contribuito a evidenziare come, al-meno per le aziende di medio-grandi dimensioni delsettore, il processo di contrattazione collettiva seguissenella pratica un andamento evolutivo in netta controten-denza rispetto al metodo, alla tempistica e alle finalitàindicate nel Protocollo Giugni del 1993.

Nel settore agro-alimentare, infatti, il contratto azien-dale normalmente precede di pochi mesi la firma diquello nazionale, sì che nessun raccordo tra i due livellipare essere presente nella stragrande maggioranza degli

44 Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia - Proposte per una societàattiva e per un lavoro di qualità, Roma, ottobre 2001, qui § 2.5. Cfr. altresì M.Biagi, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapportidi lavoro, in «Rivista Italiana di Diritto del Lavoro», 2001, spec. pp. 269-270.

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accordi di secondo livello. Ma non solo. Proprio la com-parazione dei contratti aziendali delle aziende più signi-ficative – il benchmarking, appunto – aveva consentitodi dimostrare sul piano empirico, senza il peso di pre-giudiziali ideologiche e con largo anticipo, l’assuntocontenuto ora nel Libro bianco circa l’inadeguatezzadegli attuali assetti della contrattazione collettiva adancorare i trattamenti retributivi del secondo livello aparametri di produttività e redditività. Tutti i contrattiaziendali analizzati risultavano, in effetti, caratterizzatida erogazioni di tipo tradizionale, non collegate in alcunmodo a parametri oggettivi di produttività e/o redditivi-tà.

Mi sono dilungato in questo esempio settoriale, soloapparentemente marginale, per evidenziare, proprio at-traverso la segnalazione di quella che ritengo una dellemigliori prassi nello studio delle problematiche del lavo-ro e delle relazioni industriali, lo spirito che anima – odovrebbe – animare l’esercizio di benchmarking. Unesercizio che, grazie alla feconda collaborazione conl’amico Natale Forlani e con Italia Lavoro s.p.a., ha poiconsentito di realizzare una raccolta sistematica e unacomparazione delle migliori pratiche relative alle politi-che del lavoro in Europa 45.

Non sta a me dire se sia stato un grande comparatista

Non sta a me dire se sia stato un grande comparatista.La mia risposta sarebbe non solo scontata ma anche diparte, e ancora fresche sono nella mia memoria le pole-

45 Si veda, al riguardo, il quadro di benchmarking realizzato dal Centrostudi internazionali e comparati per Italia Lavoro s.p.a. su Le politiche diemersione del sommerso in Europa - Rassegna di best practices esistenti alivello europeo, a cura di M. Biagi e O. Rymkevitch.

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miche, recentissime e sempre meno velate, sull’uso chefaceva del metodo comparato. Mi limito a dire, a questoproposito, che non solo ben conosceva il classico studiodi Otto Kahn-Freund su L’uso e l’abuso del diritto com-parato, ma aveva anche umilmente recepito, cosa credounica nel panorama giuslavoristico italiano, la fonda-mentale indicazione di metodo in esso contenuta: faredel proprio sistema nazionale semplicemente uno deivari ordinamenti posti a confronto, in modo da analiz-zarlo unicamente in rapporto alle sue intrinseche carat-teristiche 46.

Era diventato naturale, per lui, prescindere dalla cen-tralità del nostro sistema giuridico nazionale: non certoper protervia intellettuale ma, molto più semplicemente,per una innata capacità di guardare lontano e di preve-dere con larghissimo anticipo avvenimenti e scenari fu-turi. E questo, se può avere contribuito ad alimentare intalune circostanze qualche incomprensione con chi fati-ca, più o meno consapevolmente, ad abbandonare lalimitata prospettiva di osservazione offerta dal dirittodel lavoro nazionale, rappresenta a ben vedere la grandeeredità di Marco Biagi comparatista.

La sempre più preponderante dimensione europea ecomunitaria del diritto del lavoro, l’internazionalizzazio-ne dei mercati e i complessi processi che hanno recen-temente condotto alla sostanziale perdita di sovranitàstatale sulle regole che governano i meccanismi di pro-duzione e di trasferimento della ricchezza non potevanocerto spiazzare chi, come lui, aveva già da tempo abban-donato gli stretti abiti del giurista nazionale. Anzi, pro-prio questa sua equidistanza dai diversi sistemi nazionalirendeva particolarmente agevole l’esercizio di bench-marking, che, come detto, tanto ha caratterizzato l’evo-

46 Cfr., in particolare, M. Biagi, Rappresentanza e democrazia in azienda.Profili di diritto sindacale comparato, Maggioli, Rimini, 1990, p. 3.

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luzione del suo pensiero e della sua abilità progettuale.Marco Biagi non era dunque interessato – semplice-

mente – alla circolazione dei modelli e delle miglioripratiche presenti su scala europea e globale. L’eserciziodi benchmarking, piuttosto, era per lui l’unico modopossibile per verificare in anticipo l’esito applicativodelle tecniche regolatorie e delle politiche di job creationin via di progettazione 47, e cioè per realizzare quelle«prove di laboratorio» idonee a testare la trasferibilità omeno di esperienze di successo adottate in altri ordina-menti, da un lato, e a confutare pregiudiziali ideologicherispetto al processo di modernizzazione delle politichedel lavoro, dall’altro lato. «Guardando ad altri ordina-menti – ci diceva – è infatti possibile verificare in anti-cipo l’esito applicativo delle tecniche regolatorie in viadi progettazione» 48.

Ancora fondamentale, in questa prospettiva, è statol’apporto di Tiziano Treu. Se Gigi Montuschi, il suosecondo maestro, lo aveva fortemente sostenuto e asse-condato nella scelta del metodo comparato, TizianoTreu ha in seguito rappresentato, a partire dal memora-bile convegno di Kyoto del 1983, la guida ideale sotto ilprofilo della applicazione concreta e pragmatica delmetodo stesso 49. Credo che mi abbia descritto almenouna decina di volte l’intensa emozione che ebbe, duran-te quel convegno, nell’aiutare Tiziano Treu a elaborareun suo intervento: una emozione certo non inferiore aquella che, quindici anni dopo, in qualità di presidentedell’, lo accompagnò nella organizzazione, ancora

47 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista «progettuale», The JohnsHopkins University Bologna Center, n. 8/2001, p. 5.

48 Ibidem.49 Cfr., in proposito, T. Treu, L’internazionalizzazione dei mercati: proble-

mi di diritto del lavoro e metodo comparato, in Studi in onore di R. Sacco,Giuffrè, Milano, 1994, vol. , p. 1117, che ha rappresentato una sorta dimanifesto culturale per quanti sono stati impegnati nelle attività del centrostudi modenese di Marco.

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una volta a fianco dello stesso Tiziano Treu, dell’Congresso mondiale della Associazione internazionaledi relazioni industriali 50.

E sempre a Kyoto avviene l’incontro con RogerBlanpain: un giurista e un uomo per molti aspetti assaidiverso da Marco, ma che inequivocabilmente è statoper lunghi anni il depositario di un modello organizza-tivo alquanto sofisticato e che molto ha inciso sul nostrometodo di lavoro nel centro studi modenese. Da questopunto di vista Marco si considerava un allievo anche diRoger Blanpain e sicuramente avrebbe realizzato, neiprossimi anni, qualcosa di comparabile alla monumenta-le International Encyclopaedia for Labour Law and Indu-strial Relations curata dallo stesso Blanpain per i tipi diKluwer Law International.

Certo, nell’insieme il quadro che ho appena tratteg-giato può forse apparire meno emblematico e significa-tivo del leggendario viaggio di Federico Mancini e GinoGiugni sulla nave che li portava negli Stati Uniti a stu-diare il modello nordamericano e da lì, nell’arco dipochi anni, a cambiare profondamente lo sviluppo delnostro diritto del lavoro. Ma a ben vedere quello diMarco è stato un itinerario culturale non meno affasci-nante e straordinario, proprio del comparatista di razza,e cioè di colui che non si limita a uno studio a tavolinodell’esperienza di altri ordinamenti, ma che, anzi, umil-mente riconosce come la realizzazione di un vero studiocomparato non possa mai rappresentare una attività in-dividuale. Per la ricerca comparata, scriveva , «è quasiscontato che una gran parte del lavoro (la raccolta diinformazioni bibliografiche ma soprattutto la conoscen-

50 Sviluppare la competitività e la giustizia sociale: le relazioni fra istituzionie parti sociali, Atti dell’ Congresso mondiale dell’Associazione internaziona-le di relazioni industriali, Bologna, 22-26 settembre 1998 (Sinnea, Bologna,1998).

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za del funzionamento effettivo di un sistema) sia realiz-zata grazie alla collaborazione di altri colleghi» 51.

Basta scorrere velocemente il programma scientificodi uno dei tradizionali convegni modenesi, o anche solouna delle immancabili prefazioni ai numerosi contributicomparati, per accorgersi della sua straordinaria abilitànel mettere in rete, grazie alla sua proverbiale affidabi-lità e serietà, un gruppo variegato di insigni giuslavoristi,tra cui devo senz’altro ricordare oltre al «fratello»Yasuo Suwa, almeno Lammy Betten (una amica prema-turamente scomparsa qualche mese dopo l’assassinio diMarco) e Alan Neal, da cui aveva recentemente eredita-to la gestione dell’«International Journal of Labour Lawand Industrial Relations», edito per i tipi di Kluwer LawInternational.

Altra figura importante è stata infine quella di Man-fred Weiss, un altro grande maestro, particolarmente alui affine per rigore di metodo e per affidabilità, con cuiera da poco stato lanciato uno dei tanti progetti interna-zionali: la realizzazione, con l’aiuto di una straordinariarete di corrispondenti nazionali, di una pubblicazioneperiodica intitolata Employee Involvement in Europe.

Sotto la presidenza di Manfred Weiss della Associa-zione internazionale di relazioni industriali Marco haavuto appena il tempo di assaporare l’onore e l’immensasoddisfazione di essere indicato tra i cinque general rap-porteurs per il prossimo congresso mondiale della asso-ciazione (Berlino, settembre 2003). Un convegno chesarebbe stato forse diverso dagli altri visto che, per laprima volta, era prevista la presenza non solo di Marina,refrattaria agli aerei, ma anche di tutta la sua squadramodenese al completo.

51 Cfr. la Prefazione a Biagi, Rappresentanza e democrazia in azienda, cit.

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Si sentiva innanzitutto un professore universitario

Il Centro studi internazionali e comparati modenesenon è stato semplicemente un laboratorio progettuale escientifico, una fucina di idee in cui venivano forgiate,sulla scorta delle migliori pratiche offerte dalla esperien-za di altri ordinamenti giuridici, le linee di politica deldiritto e di politica legislativa per la riforma del mercatodel lavoro italiano. Marco si sentiva innanzitutto unprofessore universitario, e su questo versante si era im-pegnato con la stessa ostinazione e tenacia, desiderosodi trasmettere le sue idee agli studenti e dare loro unaprima concreta opportunità di accesso al mercato dellavoro.

L’esperienza didattica più che ventennale era stata dapoco coronata con la pubblicazione per i tipi di Giuffrèdella prima edizione delle sue Istituzioni di diritto dellavoro 52: un manuale agile e caratterizzato per una par-ticolare costruzione a strati in modo da consentirne l’im-piego non solo agli studenti universitari del triennioscaturito dalla recente riforma degli ordinamenti didat-tici, ma anche a quelli degli anni successivi, ai cultoridella materia e ai partecipanti a master e corsi di perfe-zionamento nelle aree del lavoro.

L’esperienza progettuale e la straordinaria capacitàorganizzativa erano invece state messe al servizio del-l’ateneo modenese per la realizzazione di un servizioorganico e strutturato di orientamento al lavoro. Benprima della messa a punto della recente riforma del si-stema universitario, si era convinto della importanza deitirocini aziendali, da lui subito percepiti come comple-tamento ideale del percorso formativo e didattico deglistudenti universitari. Dei tirocini apprezzava anche ilprofilo del mero orientamento, mediante l’acquisizione

52 Biagi, Istituzioni di diritto del lavoro, cit.

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di una conoscenza diretta del mondo del lavoro, utile adagevolare le scelte professionali di laureandi e neolaure-ati.

«Ove sia adeguatamente organizzato e gestito dalleuniversità, in modo da arginare possibili forme abusivee distorsive di utilizzo di questo strumento – scrivevaMarco in un prezioso volume che raccoglie gli atti di unconvegno sulla occupabilità da lui stesso organizzatocome delegato del rettore all’orientamento al lavoro 53 –il tirocinio formativo o di orientamento può peraltrorappresentare il primo tassello di un più ampio sistemadi opportunità utili per concretizzare la tutela del lavo-ratore, che non consiste più nella difesa ad oltranza delposto di lavoro, bensì nella sua adattabilità, cioè nellacapacità di impegnarsi in diverse occasioni professionalinell’ambito di vari cicli del suo itinerario lavorativo. Unprimo passo verso la piena e definitiva valorizzazionedel patrimonio professionale del lavoratore della societàdella conoscenza che, nel garantirne la piena occupabi-lità, costituirà poi una ineliminabile garanzia per ambirea un lavoro stabile e di qualità».

Aveva colto, con sensibile intuizione e particolare forzapropositiva, le sollecitazioni provenienti dalla attuale

evoluzione dei rapporti economici e sociali

Il modo in cui faceva e viveva l’università eranol’espressione vivente di quella riforma della formazionesuperiore – volta a rendere il percorso di istruzioneuniversitaria qualitativamente più elevato e immediata-mente spendibile rispetto al mercato del lavoro – di cui

53 M. Biagi (a cura di), Università e orientamento al lavoro nel dopo-rifor-ma: verso la piena occupabilità?, Università degli Studi di Modena e ReggioEmilia, dicembre 2001, p. 21.

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parlò il giorno 6 ottobre 2001, nella prolusione pronun-ciata in occasione della inaugurazione dell’anno accade-mico 2001-2002 54, davanti al presidente della Cameradei deputati, Pier Ferdinando Casini, e a un folto grup-po di docenti e studenti tra cui si erano confusi anchei suoi anziani genitori, giunti per l’occasione a Modena.

Con le sue idee e i suoi solidi contatti con le istituzio-ni e il tessuto produttivo locale e nazionale, era diventa-to portatore di un sensibile mutamento di prospettivarispetto a una radicata impostazione culturale di sostan-ziale diffidenza – e talvolta indifferenza – dell’universitàverso il mondo esterno. Aveva colto, con sensibile intui-zione e particolare forza propositiva, le sollecitazioniprovenienti dalla attuale evoluzione dei rapporti econo-mici e sociali, «non fosse altro perché – come lui stessoebbe modo di dire – tale evoluzione si caratterizza peril progressivo passaggio da un sistema economico e so-ciale di tipo “industrialista”, di dominio (quasi) esclusi-vo dell’apparato tecnico-produttivo di impresa, ad unonuovo fondato sulle “conoscenze” e, in quanto tale,maggiormente consono al ruolo storicamente assuntodalla università nell’ambito delle società occidentali» 55.

Un cambiamento di prospettiva di cui si era fattoattivo promotore proprio a partire nell’ateneo di Mode-na e Reggio Emilia, contribuendo ad alimentare un fe-condo e rinnovato dialogo tra le ragioni della innovazio-ne e quelle della tradizione, incrinando per la primavolta in modo significativo la condizione di sostanzialeautorefenzialità in cui sino ad allora aveva vissuto il si-stema universitario del nostro paese. Ma, ancora unavolta, per lui era decisivo l’atteggiamento mentale eculturale con cui si sarebbe dato corso alla riforma più

54 M. Biagi, Università e orientamento al lavoro nel doporiforma, in «Di-ritto delle Relazioni Industriali», n. ??/2002.

55 Ibidem.

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che la singola norma di legge e cioè il freddo dato tec-nico-formale attraverso cui questa veniva realizzata.

«Le innovazioni introdotte nei corsi di studio e nellacostruzione della architettura complessiva del sistemauniversitario – scriveva nella prolusione del 6 ottobre2001 – hanno registrato un ampio coinvolgimento degliorganismi didattici delle università, dell’intero corpodocente e degli stessi studenti, contribuendo a incanala-re nella giusta direzione il processo di attuazione dellaautonomia universitaria nella definizione degli obiettiviformativi, dei contenuti e delle metodologie dei corsi distudio. Fermo restando che non potrà mai essere unasingola riforma, per quanto ben congegnata, a incideresulla qualità complessiva del sistema di istruzione uni-versitaria, in mancanza di un processo parallelo di riqua-lificazione dell’impegno di tutti i soggetti coinvolti e, inparticolare, dei due principali protagonisti degli studiuniversitari: il docente e lo studente. Le riforme, daquesto punto di vista, possono infatti risultare efficacisoltanto nella misura in cui garantiscono ai soggetticoinvolti le condizioni per “esprimere... il meglio disé”» 56.

Ma nel sostenere questo, andava già oltre e prospet-tava nella sua mente un progetto ben più ambizioso.L’organizzazione degli stages aziendali avrebbe dovutoessere un segmento, per quanto importante, di una piùampia e stabile politica universitaria per l’occupabilità,imperniata su un raccordo operativo e non informale traimprese, enti locali e università. «Tale politica – ipotiz-zava – potrebbe felicemente tradursi nella sperimenta-zione di un vero e proprio ufficio placement, riprenden-

56 Ibidem (le parole riportate tra le virgolette sono di G. Pera, Sulla cosid-detta riforma degli studi universitari, in «Rivista Italiana di Diritto del Lavo-ro», n. ??/2001, p. 87).

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do l’esempio di quanto avviene nelle più prestigioseuniversità straniere» 57.

Un cambiamento radicale nelle politiche per l’occu-pazione, quello che andava delineando... un cambia-mento che presupponeva scelte condivise e formalizzate,«possibilmente mediante la sottoscrizione di patti socialiper la piena occupabilità, in grado di catalizzare risorsepubbliche (comunitarie, nazionali e locali) e risorse pri-vate oggi disperse in un rivolo di progetti e sperimenta-zioni prive di una logica unitaria e coerente con gliobiettivi della riforma» 58.

Marco se ne è andato ma questa sua idea è subitogermogliata. Il giorno 8 aprile 2002 l’Università di Mo-dena e Reggio Emilia, i delegati delle associazioni im-prenditoriali, economiche e di categoria e dei sindacatidelle province di Modena e Reggio Emilia hanno for-malmente sottoscritto quella bozza di Patto per la occu-pabilità che aveva messo a punto con Paola Gelmini eGian Carlo Pellacani, rispettivamente direttore ammini-strativo e rettore dell’ateneo di Modena e Reggio Emilia,proprio nel pomeriggio del 19 marzo, poco prima difare ritorno a Bologna.

I firmatari del Patto per la occupabilità si sono impe-gnati a realizzare quello che lui auspicava: porre in esse-re non solo «un raccordo operativo e non informale trauniversità e imprese, ordini professionali, associazioni dicategoria, istituzioni ed enti locali, e ogni altro soggettointeressato alla realizzazioni di percorsi formativi di al-ternanza formazione-lavoro (tirocini) volti a garantire lapiena occupabilità degli studenti dell’università di Mo-dena e Reggio Emilia», ma anche valutare la possibilitàdi pervenire «alla realizzazione di uno o più uffici perl’impiego operativi nell’ambito delle strutture dell’uni-

57 Ibidem.58 Ibidem.

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versità di Modena e Reggio Emilia». Un passaggio deci-sivo per avvicinare l’università e gli studenti al mondodel lavoro, e che è ora divenuto realtà grazie soprattuttoalla sensibilità del sottosegretario di Stato Maurizio Sac-coni nell’accogliere, nel disegno di legge delega n. 848sul mercato del lavoro su cui Marco stava lavorando,l’idea di includere anche le università tra i soggetti ac-creditati alle funzioni di incontro domanda-offerta dilavoro 59.

59 V. infra, capitolo 6.

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.

Milano e il patto sul lavoro:il secondo laboratorio

Sempre pronto a sperimentare per innovare

Marco Biagi era stato chiamato a Milano nei primimesi del 1999 dal city manager di allora, Stefano Parisi,per avviare un ambizioso tentativo di modernizzazionedel mercato del lavoro locale. Era stato chiamato nonsolo in virtù di un rapporto di reciproca stima e amiciziacon Parisi, maturato qualche anno prima a marginedella loro collaborazione con il Governo Prodi, ma an-che perché, grazie al suo linguaggio semplice e immedia-to, era un tecnico che si faceva capire da tutti. Era ani-mato da una visione pragmatica dei problemi del mer-cato del lavoro, anche quelli più complessi. Puntavadritto alla loro soluzione, senza perdersi in fumose di-squisizioni ideologiche e concettuali, sempre alla ricercadi una mediazione, un compromesso, una nuova ideaper forzare quei colli di bottiglia in cui certe discussioniinevitabilmente andavano ad arenarsi.

A ciò si aggiunga che le sfide, anche e soprattutto lepiù difficili, lo affascinavano; e lui non si tirava mai in-dietro, sempre pronto a sperimentare per innovare.Sono passati molti anni dall’avvio della nostra collabora-zione con il Comune di Milano, ma ricordo ancora ab-bastanza nitidamente le parole con cui Parisi lo presentòall’assessore al lavoro, Carlo Magri, in una stanza di

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Palazzo Marino che presto ci divenne familiare: «Il pro-fessor Marco Biagi non solo è uno dei migliori giuslavo-risti sulla piazza ma mi piace soprattutto perché, a dif-ferenza di molti altri suoi colleghi professori, non si tiramai indietro... non ha paura di accettare nuove sfide».Era proprio così... Marco non aveva paura di sporcarsile mani e verificare sul campo le tesi e le idee che andavamaturando sul piano scientifico.

Sotto la sapiente regia di Stefano Parisi e confortatodal pieno sostegno del sindaco, Gabriele Albertini, Mi-lano divenne ben presto il suo secondo laboratorio pro-gettuale. Ci occupavamo principalmente di flessibilitàdel mercato del lavoro, servizi per l’impiego, inclusionesociale e tutela delle fasce deboli del mercato del lavoro.Ma anche dei profili giuslavoristici della dismissione daparte del comune dei servizi collaterali o strumentali alperseguimento dell’interesse pubblico (il servizio idricointegrato, le mense comunali e delle scuole pubblicheecc.) e, in particolare, della possibilità di pervenire, par-tendo dalla esperienza maturata presso il Comune diMilano, a un contratto collettivo nazionale o comunquea un corpo normativo uniforme in tutto il paese a tuteladei lavoratori coinvolti nei processi di esternalizzazionedi attività in precedenza svolte da amministrazioni pub-bliche 1.

Furono mesi di intenso lavoro e di enormi sacrifici,che contribuirono non solo a una significativa crescitaprofessionale ma anche a cementare importanti rapportiumani. Con il passare del tempo, dopo il ritorno di Ste-fano Parisi a Roma, chiamato alla direzione di Confin-dustria, anche il sodalizio tra Marco Biagi e l’assessoreCarlo Magri si consolidò, trasformandosi in qualcosa

1 R. Salomone, M. Tiraboschi, Enti locali, dismissioni di attività pubbliche,rapporti di lavoro: problemi e prospettive, in «Il lavoro nella Pubblica Ammi-nistrazione», n. 5/2000.

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che andava ben oltre la semplice collaborazione pro-fessionale. E questo grazie anche al carattere particolar-mente affabile di Marco: una persona gioviale ed al-quanto estroversa, che cercava sempre un contatto uma-no con le persone con cui avviava una collaborazioneprofessionale, fossero importanti committenti o anchesemplici collaboratori e giovani studenti.

Anche questo mi stupiva di lui, mentre lo inseguivocon lo sguardo dialogare cordialmente e instancabilmen-te con una moltitudine impressionante di interlocutori.E non stupiva solo me. «L’aspetto che forse impressio-nava di più – ha detto recentemente Gabriele Albertini– era l’apparente contraddizione tra un atteggiamentosempre sereno e la forte determinazione a raggiungere irisultati nella convinzione di cambiare, di modernizzareil mercato del lavoro per facilitare l’accesso agli esclusi» 2.

I passaggi periodici a Milano, programmati in genereogni venerdì, rappresentarono anche l’occasione permantenere vivo il legame con l’ambiente accademicomilanese. Con Stefano Liebman, in primo luogo, suoamico di vecchia data, con cui condivideva la passioneper la comparazione giuridica e che era stato fautoredella mia collaborazione scientifica con Marco. Ma an-che con Pietro Ichino, che nel frattempo gli aveva affi-dato il corso di diritto comunitario del lavoro presso ilmaster milanese in scienze del lavoro.

Trasformare in opportunità le numerose criticitàdel mercato del lavoro milanese

Stando alle cronache di quegli anni, nell’accettarel’incarico di collaborazione con il Comune di Milano, la

2 Milano era il suo laboratorio di nuove idee, in «Il Sole 24 Ore», 21 marzo2001, speciale Il Sole 24 Ore per le riforme e contro il terrorismo, p. 37.

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principale sfida accolta da lui era consistita nell’indivi-duare nuove modalità di incontro tra domanda e offertadi lavoro, soprattutto attraverso tipologie contrattualiflessibili, al fine di trasformare in opportunità le nume-rose criticità e taluni punti di debolezza del mercato dellavoro milanese.

I processi di riconversione industriale, de-industrializ-zazione e terziarizzazione della economia – che avevanocaratterizzato l’area metropolitana milanese nel corsodegli anni ottanta e novanta, con intensità indubbiamen-te maggiore rispetto ad altre realtà del nostro paese –erano sino ad allora stati accompagnati da interpretazio-ni socio-economiche e analisi giuridiche sostanzialmentedi segno negativo. Ad essi venivano accomunati profili efattori di forte criticità, tra cui la progressiva informaliz-zazione dell’economia milanese, il degrado urbano eambientale, l’emersione di sacche di disagio giovanile edemarginazione sociale soprattutto tra gli immigrati, l’au-mento della micro-criminalità e in generale di una ille-galità diffusa.

Una analisi più approfondita dei cambiamenti in atto,sia nella economia sia nella società, e lo studio rigorosodelle esperienze più avanzate avviate negli altri paesieuropei, negli Stati Uniti e in Giappone gli avevanotuttavia consentito di individuare l’esistenza di chiavi dilettura alternative a quelle sino ad allora prospettate.Secondo Marco, in effetti, una volta adeguatamentecontrollati e canalizzati in percorsi virtuosi di crescita esviluppo, elementi oggettivi di criticità avrebbero potutoragionevolmente tradursi, attraverso un impiego flessibi-le e creativo della strumentazione giuridica, in fattori diopportunità e dinamismo sociale.

A chi si preoccupava, con tono pessimista e poco onulla propositivo, dell’enorme impatto occupazionalecausato dal costante declino della produzione industria-le e della grande impresa, incentrata su modelli di orga-

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nizzazione del lavoro di stampo fordista-tayloristico, erasolito replicare che, soprattutto in città come Milano,non è il lavoro che manca: «Siamo noi che non siamocapaci di immaginare come ricondurlo entro schemi dilegalità... siamo noi che non siamo capaci di evitare cheforme di lavoro regolare e sindacalmente tutelato si tra-ducano, lentamente ma inesorabilmente, in forme dilavoro grigio e nero e vengano attratte, sempre piùmassicciamente, nell’ambito della economia informa-le...» – diceva parafrasando un celebre passo del cosid-detto Rapporto Boissonat del 1995 3.

Con specifico riferimento alle peculiarità del mercatodel lavoro milanese insisteva, in particolare, sulle nuoveopportunità di lavoro connesse alla domanda, via viacrescente ma spesso inevasa, di servizi. I servizi per lacittà, in primo luogo, come per esempio la pulizia emanutenzione delle strade, delle piazze, dei giardinipubblici o anche il controllo del traffico e delle soste.Ma anche i servizi per la persona, come la cura e assi-stenza agli anziani e agli ammalati, e i servizi di cosiddet-to facility management per le imprese, come la gestionedei servizi informatici e delle nuove tecnologie, i servizidi manutenzione e sorveglianza degli impianti e dei beniaziendali, i servizi di pulizia dei locali aziendali, ecc.

L’incombente Giubileo del 2000, che lo vedeva con-testualmente impegnato a Roma nell’ambito della task-force governativa per il monitoraggio e la prevenzionedegli scioperi, gli sembrava una buona occasione peravviare una prima fase di sperimentazione con specifico

3 Il dibattito francese sulle riforme del mercato del lavoro ha molto in-fluenzato il pensiero di Marco. Oltre al Rapporto Boissonat (Le travail dansvingt ans, Commissariat Général du Plan, O. Jacob, Paris, 1995) un rilevanteinflusso ha avuto l’elaborazione di A. Supiot di cui si vedano, in particolare,la Critique du droit du travail, Presses Universitaires de France, Paris, 1994,Id., Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in «Diritto delle Relazioni Indu-striali», n. ??/2000, pp. 217 ss., nonché il celebre Rapporto Supiot del 1999per la Commissione europea sul futuro del rapporto di lavoro.

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riferimento alla manutenzione e pulizia della città, dellestrade, degli edifici storici, dei parchi ecc. Una occasioneunica e irripetibile per fornire una immagine moderna epulita di Milano ed evitare che un numero significativodi occasioni di lavoro (seppure temporanee) venisse at-tratta nell’economia informale attraverso un incrementodelle forme di lavoro irregolare e sottotutelato.

Si fece promotore della aperturadi un tavolo negoziale

Sulla base di queste convinzioni si fece promotore,con Parisi e Magri, della apertura di un tavolo negozialecon tutti i soggetti economici e sociali impegnati attiva-mente nella realtà milanese. Un tavolo concertativo fina-lizzato al monitoraggio delle situazioni di criticità, so-prattutto in relazione alle categorie deboli del mercatodel lavoro (immigrati, giovani in difficoltà e lavoratorianziani espulsi da processi produttivi), e alla individua-zione degli strumenti normativi e istituzionali più idoneia garantire una loro traduzione in opportunità e fattoridi crescita per la città di Milano e per i suoi abitanti, nelpieno rispetto delle disposizioni inderogabili di legge edi contratto collettivo.

A suo avviso, i punti di debolezza del mercato dellavoro milanese avrebbero potuto infatti trovare unasoluzione soltanto mediante una risposta unitaria e lar-gamente condivisa: un patto locale per il lavoro, in altreparole, attraverso cui realizzare le condizioni giuridico-istituzionali necessarie per l’attivazione di un circolovirtuoso in cui le problematiche presenti in un’area sa-rebbero potute diventare opportunità per altre aree osettori critici.

Realizzati i primi studi preliminari che ci erano statiaffidati, in modo da definire con maggiore precisione

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alcuni spunti progettuali attorno a cui far ruotare la trat-tativa 4, il tavolo negoziale venne rapidamente aperto econdusse, dopo qualche mese di accese discussioni epolemiche, alla sottoscrizione, in una calda sera del 28luglio 1999, di una pre-intesa tra amministrazione co-munale, associazioni datoriali e organizzazioni sindacalidei lavoratori 5.

Un accordo preliminare, dunque, che conteneva nulladi più che un semplice impegno a negoziare a settem-bre, alla ripresa dei lavori dopo l’incombente pausa esti-va, sui temi della flessibilità e del lavoro «grigio», nellaricerca di soluzioni innovative per contrastare il lavorosommerso e stabilizzare i rapporti di lavoro emersi.Eppure questo accordo acquisì ben presto una certanotorietà su scala nazionale, e non solo nella letteraturaspecialistica sulle politiche di promozione della occupa-zione 6, ma anche e soprattutto nelle cronache giornali-stiche. Con la firma della pre-intesa si era infatti consu-mata una lacerante frattura tra la e la , da unlato, e la , dall’altro lato.

La milanese aveva abbandonato polemicamenteil tavolo negoziale, accusando l’amministrazione comu-nale di promuovere politiche del lavoro discriminatorie,soprattutto con riferimento all’impiego di forza-lavoroextracomunitaria, e tali comunque da avallare una gravederegolamentazione della normativa sulla flessibilità inentrata nel mercato del lavoro. Il comune e le organiz-zazioni sindacali firmatarie, e , avevano replicatoche una impostazione formalistica come quella della

4 Rinvio al mio Milano lavoro - Un patto per il lavoro nella città di Milano:primi spunti progettuali, pubblicato nella collana Lavoro e ora anchesul sito internet del Centro studi Marco Biagi (www.csmb.unimo.it).

5 Il testo della pre-intesa è pubblicato sul sito internet del suo centrostudi modenese (www.csmb.unimo.it).

6 Cfr., in particolare, i saggi di M. Biagi, T. Treu e F. Scarpelli sul n. 2/2000.

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avrebbe rischiato di tradursi in uno strumento diconservazione della disuguaglianza a favore dei lavorato-ri che detengono una posizione di vantaggio sul mercatodel lavoro milanese. Con la sottoscrizione del patto leparti firmatarie si impegnavano in ogni caso a dare avvioa un progetto sì innovativo, ma sempre nel pieno rispet-to della legalità si impegnavano a realizzare una iniziati-va «pilota» volta a dare una opportunità in più alle fascedeboli del mercato del lavoro milanese, creando le giu-ste convenienze per l’emersione dal lavoro «nero» esenza tutele, nella convinzione – maturata in Marco giàin tempi non sospetti, e sulla scorta di una approfonditariflessione su quanto avveniva nei principali paesi euro-pei 7 – che situazioni di debolezza sul mercato del lavorolegittimano, anzi postulano, misure specifiche, sul mo-dello delle cosiddette azioni positive (e cioè azioni pro-mozionali a vantaggio delle categorie più deboli presentisul mercato del lavoro).

Per ricucire i rapporti tra le organizzazioni sindacali,si era prodigato in una difficile quanto discreta opera dimediazione dall’esterno: «Poco comprensibile – scriveva– è il rifiuto della di sottoscrivere la pre-intesa,almeno per le motivazioni fornite per mezzo degli orga-ni di informazione. Del pari esagerate sembrano le accu-se rivolte verso questa organizzazione che forse desiderasolo che il negoziato autunnale riveli dati più precisi» 8.

In tutta questa prima fase delle trattative, e poi finoa ridosso della sottoscrizione dell’intesa finale avvenutail 2 febbraio 2000 9, non aveva infatti partecipato diret-

7 M. Biagi, Extracomunitari e mercato del lavoro: profili istituzionali, in M.Biagi (a cura di), Politiche dell’immigrazione e mercato del lavoro nell’Europadegli anni ’90, Maggioli, Rimini, 1992.

8 M. Biagi, Il patto per il lavoro di Milano: contrattazione o concertazione,in Omaggio a Marco Biagi - Raccolta di scritti 1997-2002, in Guida al Lavoro,n. speciale marzo 2002, p. 74.

9 Il testo del patto Milano lavoro è pubblicato sul sito internet del suocentro studi modenese (www.csmb.unimo.it).

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tamente al tavolo negoziale, anche per evitare l’accusa ditradimento rispetto al governo di centro-sinistra con cuiancora formalmente collaborava, seppure con ruoli viavia sempre più secondari dopo l’avvicendamento traBassolino e Treu alla guida del Ministero del lavoro, e inseguito, dopo l’assassinio del professor Massimo D’An-tona, tra lo stesso Bassolino e Salvi.

Ero io, in quella fase, ad affiancare Parisi e Magri nelconfronto con le parti sociali e a vivere l’affascinanteatmosfera della trattativa sindacale. È lì che scoprii, miomalgrado, come fossero vere certe dinamiche delle trat-tative sindacali che, sino ad allora, avevo ritenuto puraleggenda: trattative estenuanti su cavilli e punti apparen-temente marginali, e poi approvazioni rapide e quasisuperficiali di passaggi a prima vista particolarmentedelicati e cruciali, e poi ancora discussioni senza fine efrequenti situazioni di impasse che allontanano di colpoun accordo che pareva praticamente già raggiunto...

Soltanto quando capì che, con l’avvento di CesareSalvi al Ministero del lavoro, il governo aveva definitiva-mente imboccato una linea di intransigente conservazio-ne rispetto alle dinamiche di regolazione del mercato dellavoro, Marco ruppe gli indugi e accettò di correre ilrischio di venire accusato di tradimento, riprendendo ilposto che gli competeva al tavolo negoziale.

Fu lui a sbloccare le trattative e a condurre, nel feb-braio del 2000, alla sottoscrizione del patto Milano lavo-ro. E fu probabilmente per questo motivo che, con lafirma del patto, gli si presentarono non soltanto le primeaccuse di tradimento, puntualmente verificatesi, ma an-che qualcosa di più grave. In seguito alla regia prestataa quell’accordo entrò prepotentemente nel mirino delterrorismo: il suo nome comparve nel volantino delNucleo rivoluzionario proletario che rivendicava l’atten-tato alla sede milanese della .

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Era questa, a ben vedere, la principale sfidache aveva raccolto

Non cercava un proscenio. Ciò che invece per lui piùcontava era il tentativo di applicare il metodo concerta-tivo su scala locale: «Nel corso degli anni novanta laconcertazione nazionale ci ha abituato a tempi lunghi,sinceramente troppo lunghi. Molto tempo per raggiun-gere le intese ed ancora di più per attuarle. A Milano sitenta un’operazione in due tempi (complice l’interruzio-ne feriale) ma comunque rapida: intervenire sull’emer-genza extra-comunitari per offrire alla città servizi(come la pulizia) altrettanto urgenti» 10.

Dopo aver raggiunto il suo apice con l’accordo diNatale del 1998, la concertazione a livello nazionalesembrava in effetti mostrare segni di stanchezza, oltreche innegabili limiti oggettivi. Per un verso, infatti, essanon pareva più in grado di contenere la forza delle spin-te federalistiche verso una gestione su base locale delleproblematiche legate alla occupazione e allo sviluppodelle relazioni industriali, tale da valorizzare le peculia-rità di ciascun contesto territoriale. Per l’altro verso, poi,la concertazione a livello macro iniziava a incontraredecisivi limiti oggettivi connessi agli esiti del processo didecentramento istituzionale e amministrativo delle sedidi governo dei mercati del lavoro avviati con la regiona-lizzazione del collocamento e dei servizi per l’impiego(legge n. 59/1997 e decreto legislativo n. 469/1997).

Era questa, a ben vedere, la principale sfida che avevaraccolto nell’accettare l’incarico di collaborazione con ilComune di Milano, precorrendo con largo anticipo esensibile intuizione la riforma in senso federale del titolo della nostra Carta costituzionale introdotte qualche

10 Ibidem.

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anno più tardi dalla legge costituzionale del 18 ottobre2001, n. 3.

Non si trattava solo – e semplicemente – di contribu-ire alla ottimizzazione dei canali di incontro tra doman-da e offerta di lavoro, con specifico riferimento allemolteplici forme di lavoro debole e precario presenti nelterritorio milanese. Si trattava piuttosto di fare di Mila-no un vero e proprio laboratorio progettuale per l’interopaese, di rimettere in moto «dal basso», da una realtàlocale trainante come quella milanese, il processo dimodernizzazione del diritto del lavoro italiano. Un pro-cesso avviato nel 1997 con l’approvazione del cosiddettoPacchetto Treu sulle flessibilità normate 11, ma ben pre-sto paralizzato da quegli stessi veti e dalle pregiudizialiideologiche che causarono la fine prematura della feliceesperienza del Governo Prodi e, con essa, la collabora-zione di Marco Biagi, al fianco di Tiziano Treu, ai gover-ni di centro-sinistra come protagonista delle riforme delmercato del lavoro. Un processo di modernizzazioneche, per lui, andava ben oltre le logiche consolidatedegli schieramenti politici e sindacali, tanto da indurreun consulente di primo piano dei governi dell’Ulivo aimpegnarsi al fianco di una amministrazione locale gui-data da una coalizione di centro-destra.

Marco aveva immaginato, grazie al sostegno di Parisie Albertini, di realizzare a Milano quanto oramai glisembrava definitivamente precluso a Roma, con la svoltaconservatrice impressa da Cesare Salvi alle politiche ita-liane del lavoro.

Era confortato in questo dagli orientamenti espressidalle istituzioni comunitarie in materia di occupazioneche invitavano gli Stati membri a promuovere una stra-tegia per sfruttare appieno le possibilità offerte dalla

11 M. Biagi (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro. Commentario alla legge24 giugno 1997, n. 196, Giuffrè, Milano, 1997.

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creazione di posti di lavoro a livello locale, nell’econo-mia sociale, nel settore delle tecnologie ambientali enelle nuove attività connesse al fabbisogno non ancorasoddisfatto dal mercato, esaminando nel contempo –con l’obiettivo di ridurli – gli ostacoli che potrebberoagire da freno tenendo conto dello speciale ruolo svoltodalle autorità locali e dalle parti sociali 12.

Il patto si rivolgeva alle categorie deboli del mercatodel lavoro milanese

Facendo seguito alle intese formalizzate nel pre-accor-do del 28 luglio 1999, Comune di Milano e parti socialiraggiunsero una intesa definitiva – denominata Milanolavoro – in data 2 febbraio 2000, dopo molti mesi dinegoziati, resi difficili anche per il permanente dissensodella che non aveva sottoscritto il primo accordo eche non aderì neppure a quest’ultimo. «Un dato ampia-mente riportato dalla stampa – scriveva – che rivela tuttele difficoltà e i comprensibili dubbi del movimento sin-dacale impegnato in una trattativa senza dubbio nuovaper molti profili. Del resto un periodo così lungo, tantimesi di contatti, proposte e veri e propri negoziati nonsi giustificherebbe se non appunto tenendo presente, daun lato, il carattere assai innovativo dell’intesa e, dall’al-tro lato, la circostanza che il patto per il lavoro promossodal Comune di Milano ha indubbiamente una valenzache trascende la dimensione locale» 13.

Nella sua versione definitiva, il patto si rivolgeva allecategorie deboli del mercato del lavoro milanese – ex-

12 In questo senso si veda la Risoluzione del Consiglio dell’Unione euro-pea del 22 febbraio 1999 relativa agli Orientamenti in materia di occupazioneper il 1999, espressamente richiamata nel testo dell’accordo milanese.

13 M. Biagi, Milano lavoro: l’intesa pilota del luglio 2000, in Omaggio aMarco Biagi, cit., p. 64

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tracomunitari privi di occupazione, lavoratrici e lavora-tori con più di quarant’anni espulsi dal mercato del la-voro in funzione di processi di riduzione o trasformazio-ne di attività o di lavoro e altri soggetti in situazioni didisagio psicofisico o sociale – ed era imperniato sul se-guente scambio: maggiore flessibilità nell’impiego dellaforza-lavoro in cambio di un impegno a creare lavoroper questi gruppi di lavoratori a rischio di esclusionesociale. La fruibilità dei meccanismi di flessibilità e deipercorsi formativi ad hoc contenuti nel patto erano infat-ti subordinati alla presentazione a una apposita commis-sione di concertazione di un progetto innovativo e det-tagliato in cui si garantiva l’occupazione regolare di uncerto numero di lavoratori.

«Concertare – scriveva – non significa fare l’accordodi un giorno ma impegnarsi assieme a una gestione con-tinuativa» 14. La previsione di una commissione pariteti-ca e trilaterale non solo avrebbe consentito di gestiregiorno per giorno l’intesa, ma anche consolidato l’impe-gno concertativo nel corso del tempo. «Nulla di arbitra-rio o di unilaterale dunque. Al contrario, ogni strumentodi promozione dell’occupazione sarà concertato nel-l’ambito di un percorso concordato all’unanimità fra leorganizzazioni che hanno sottoscritto l’accordo, preve-dendo in aggiunta i necessari approfondimenti in unasede tecnica dove ogni profilo potrà essere conveniente-mente valutato ed approfondito» 15.

La commissione di concertazione ha avviato i proprilavori in tempi rapidissimi, essendo operativa già versola fine del mese di marzo 2000, quando sono stati pre-sentati i primi progetti dei datori di lavoro. Da allora esino ai primi mesi del 2002 – secondo i dati che mi sonostati forniti dai responsabili del progetto, Ave Salvoni e

14 Ibidem.15 Ibidem.

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Pietro Spinelli, e da Massimo Morselli, un nostro giova-ne collaboratore in stage presso il Comune di Milano –la commissione si è riunita 32 volte ed ha approvato ben45 progetti per un totale di 1.465 nuovi posti di lavoro,di cui la maggior parte concernenti i lavoratori con piùdi 40 anni e i cittadini extracomunitari privi di occupa-zione. I lavoratori già assunti grazie al patto sono statisinora (ottobre 2002) di 695.

In applicazione del patto è stato anche creato uno«Sportello Milano lavoro» con l’obiettivo specifico dicontribuire alla ottimizzazione dell’incontro fra doman-da ed offerta di lavoro. L’ufficio, attivo dalla fine diluglio 2000, gestisce la banca dati dei curricula dellepersone interessate ad essere coinvolte nei progetti rea-lizzati nell’ambito del patto. I dati personali sono raccol-ti attraverso un apposito colloquio, che fornisce ai can-didati anche informazioni sui servizi di orientamentoprofessionale e sui corsi di formazione disponibili. Ilnumero di curricula inseriti nella banca dati dello «Spor-tello Milano lavoro» ha raggiunto le 5.570 unità, mentreper quanto riguarda la formazione professionale dei la-voratori interessati dal patto risulta che sono stati orga-nizzati ed avviati 57 corsi di formazione per 800 iscrizio-ni e 9 corsi di orientamento per 131 soggetti. Lo spor-tello realizza inoltre la preselezione dei candidati allapartecipazione ai diversi progetti e, dopo una riunioneinformativa su mansioni, tipo di contratto e formazioneprevista, li presenta alle imprese o ai centri di formazio-ne per la selezione definitiva.

Nelle ultime settimane di vita

Nelle ultime settimane di vita si era impegnato per unrilancio del patto, accusato da più parti di avere sino adallora prodotto pochi posti di lavoro rispetto alle aspet-

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tative che le polemiche sindacali avevano alimentato.Con l’assessore Magri erano già state avviate le consul-tazioni per coinvolgere anche la , mentre l’attenzio-ne veniva ora focalizzata sull’emersione del lavoro som-merso nel settore della assistenza agli anziani. Un temasu cui aveva già lavorato per l’amministrazione comuna-le di Modena e per la Fondazione del Monte di Bolognae che riprendeva, da altra angolazione, gli stessi puntiproblematici affrontati con il patto Milano lavoro: emer-sione del sommerso e regolarizzazione del lavoro degliextracomunitari che, come noto, sono tra i soggettimaggiormente coinvolti nella assistenza ai nostri anziani.

Aveva già messo a punto un innovativo progetto digestione dei servizi di assistenza domiciliare della popo-lazione anziana del comune, drasticamente raddoppiatanel corso degli ultimi anni, attraverso il ricorso a tipolo-gie contrattuali flessibili e regolari debitamente certifica-te a tutela sia delle famiglie che degli stessi lavoratoriextracomunitari coinvolti. Un progetto reso ora proble-matico dalla nuova legislazione in materia di immigra-zione (la c.d. legge Bossi-Fini), che esclude il ricorso atipologie contrattuali flessibili per i processi di emersio-ne/regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. Manon al punto di giungere a ritenere che l’attuale quadrolegale possa portare su un binario morto le idee e glispunti progettuali di Marco. «Le norme di legge – ciricordava sempre – devono essere interpretate e applica-te con rigore, nel rispetto della intenzione del legislato-re, ma anche con spirito costruttivo e innovativo, inmodo da farne uno strumento al servizio delle personee non un fine in sé».

E in questa prospettiva, spazi di sperimentazionesono ora stati aperti da un protocollo di intesa tra ilMinistero del welfare e l’amministrazione comunale diMilano, sottoscritto il 15 luglio 2002 in ricordo di Mar-co Biagi e che, proprio con riferimento al settore della

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16 Cfr. M. Biagi, Il lavoro nella riforma federale, in «Diritto delle RelazioniIndustriali», n. ??/???? e Id., Job Creation Policies at Local Level and the Roleof Social Parties in Europe, ottobre 2001 - studio commissionato dalla Orga-

assistenza agli anziani prevede l’attivazione di un servi-zio a favore dell’incontro tra domanda e offerta di pre-stazioni domiciliari e di accreditamento degli operatori,anche mediante interventi formativi ad hoc. Ancorapoco, tuttavia, per salvaguardare gli sforzi intrapresidalla amministrazione comunale di Milano in funzionedella regolarizzazione dell’impiego degli extracomunita-ri in un settore destinato altrimenti a rimanere comple-tamente deregolamentato, quello appunto dei servizialla persona.

Il confronto tra le parti sociali è ora sostanzialmentetornato al suo punto di origine

Poche settimane dopo l’attentato terroristico, in data2 maggio 2002, Comune di Milano, Camera di commer-cio, organizzazioni imprenditoriali e organizzazioni sin-dacali hanno sottoscritto una nuova intesa pilota perl’occupazione e lo sviluppo nella città di Milano. L’inte-sa porta impressa una firma indelebile: quella di MarcoBiagi.

La sua mano è chiaramente visibile sin dalle conside-razioni introduttive, poste in «premessa» all’intesa stes-sa, là dove si enfatizza come, in un contesto sempre piùmarcatamente caratterizzato da europeismo e localismi,regioni ed enti locali assumono un ruolo centrale nelladefinizione e attuazione delle politiche per l’occupazio-ne e per il lavoro. Federalismo e dimensione locale dellepolitiche europee per la occupazione costituiscono perl’appunto i due principali temi di riflessione scientifi-ca 16, ma anche di intensa sperimentazione progettuale,

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su cui si era impegnato negli ultimi tempi, traendo spun-to dalle idee e dalle verifiche empiriche emerse dal«suo» laboratorio milanese.

La nuova intesa milanese per l’occupazione e lo svi-luppo economico si colloca ora in un contesto più am-pio di riferimento giuridico-istituzionale, segnato dallariforma in senso federale della Costituzione. Un conte-sto sicuramente ancora connotato da una forte dose disperimentalità e incertezze, ma che già lascia ipotizzareuna nuova stagione di intese locali nella prospettivadella piena occupabilità. In questo senso il nuovo accor-do milanese costituisce un completamento dello sforzoprogettuale di Marco Biagi 17, poi ripreso e valorizzatonel Libro bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre2001, là dove si invitavano le amministrazioni locali allaassunzione di nuove e maggiori responsabilità in materiadi promozione della massima occupabilità e della quali-tà del lavoro.

«In proposito» – scriveva nel Libro bianco – apparenecessario indirizzare questa attività sul piano locale –anche tenendo conto dei nuovi poteri riconosciuti alleregioni dalla recente riforma sul federalismo – al fine dicogliere le peculiarità del mercato del lavoro all’internodi ciascun contesto territoriale. Occorre quindi sotto-porre a valutazione critica la stagione dei «patti naziona-li», accogliendo una visione regionalista delle politichedel lavoro che coinvolga a questo livello le parti sociali.Tali intese definite su scala territoriale dovranno muo-versi in un contesto dinamico, fatto di utili derogheconcordate nei confronti della legislazione e contratta-zione a livello nazionale» 18.

nizzazione internazionale del lavoro, pubblicato anche sul sito Internet delcentro studi internazionali e comparati Marco Biagi (www.csmb.unimo.it).

17 Il tema è affrontato in M. Biagi (ed.), Job Creation and Labour Law -From Protection towards Pro-action, Kluwer Law International, 2000.

18 Libro bianco, § .2.1

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19 Libro bianco, § .1.3 e anche § .2.1.

È per questo motivo che il governo aveva valutatopositivamente, nello stesso Libro bianco dell’ottobre2001, l’iniziativa «pilota» del patto Milano lavoro del 2febbraio 2000, in quanto, assecondando taluni auspicicontenuti nelle linee guida europee in materia di occu-pazione, erano state poste le giuste premesse – sul ver-sante dei servizi per l’impiego e delle tipologie contrat-tuali utilizzabili – per una politica del lavoro finalizzataalla integrazione occupazionale e sociale di categorie arischio di esclusione (extracomunitari, over 40 espulsida processi produttivi ecc.) e soggette alla deriva del-l’economia sommersa: una testimonianza eloquente del«possibile ruolo che anche gli enti locali possono svolge-re, nella collaborazione con le parti sociali, avendo ri-guardo con maggiore prossimità alle caratteristiche diogni singolo mercato locale del lavoro» 19.

Un giudizio a maggior ragione ancora più positivodovrebbe conseguentemente essere espresso in meritoall’intesa del 2 maggio 2002. È vero infatti che la nuovaintesa, per quanto si limiti a definire genericamente lelinee di azione per una nuova stagione di confronto trale parti sociali, contiene un valore aggiunto – e decisivo– che mancava al precedente patto, e cioè il consenso ditutte le organizzazioni sindacali, compresa. E lostesso Marco ben sapeva che è solo in presenza di unpieno consenso di tutti i soggetti coinvolti, e segnata-mente delle organizzazioni sindacali, che le intese localipossono costituire un profilo di vera innovazione e spe-rimentazione nel campo delle politiche per l’occupazio-ne e di contrasto del lavoro irregolare.

Desta tuttavia una certa amarezza constatare che,dopo la parentesi del patto Milano lavoro del febbraio2000, il confronto tra le parti sociali sia ora sostanzial-

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mente tornato al suo punto di origine e cioè, anche se aipiù il dato è sfuggito, al Protocollo di intenti tra il Co-mune di Milano e le confederazioni sindacali --, del lontano febbraio 1998 come se il lavoro diMarco fosse oggi una eredità pesante. Il nuovo protocol-lo è infatti diretto a sostenere su base locale, analoga-mente a quanto auspicato nella nuova intesa del maggio2002, il rilancio della città di Milano sia sotto il profiloeconomico sia sotto il profilo sociale con la volontà diperseguire la promozione degli investimenti e dell’occu-pazione in relazione alle trasformazioni del tessuto eco-nomico e produttivo, la valorizzazione del patrimoniodemaniale, un migliore utilizzo e valorizzazione dellearee dismesse, la garanzia della sicurezza e vivibilitàdella città, l’ottimizzazione delle opportunità di incontrotra domanda ed offerta di lavoro, la ridefinizione delsistema degli orari della città, il rilancio delle attivitàculturali della città, il sostegno della qualità del sistemaeducativo e formativo, la formalizzazione di politicheper i giovani ecc.

Tante belle parole e tanti buoni propositi... ma perottenere il consenso di tutti gli attori sindacali si è fattoun passo indietro di ben cinque anni, come se anchel’esperienza di Marco fosse stata una semplice parente-si... Il nuovo patto non contiene infatti nessuna misuraconcreta e innovativa per tradurre concretamente, innuovi posti di lavoro e politiche per gli emarginati, ibuoni propositi manifestati da tutti gli attori sociali asostegno della azione della amministrazione comunalesotto la tenace spinta dell’assessore Magri

Nella nuova intesa restano confermati gli obiettivi cheda tempo amministrazione comunale e parti sociali sisono prefissi. Cambia invece il metodo, nella consapevo-lezza che, senza un ampio e convinto consenso sociale,ad essere sconfitti sono solo i segmenti più deboli delmercato del lavoro e della popolazione cittadina. Una

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20 Cfr. Biagi, Milano lavoro, cit.

lezione amara, dunque, ma assai istruttiva; ed è tristeche ad essere assente sia oggi proprio uno dei principaliartefici del dialogo e del confronto al servizio del cam-biamento.

Il nuovo accordo milanese per l’occupazione e lo svi-luppo nasce comunque sotto favorevoli auspici: la rispo-sta al terrorismo ha indotto tutti gli attori sociali a unamaggiore collaborazione. Anche in questo caso, tuttavia,occorre ora attendere la prova dei fatti. Come scrivevaMarco a margine del patto del febbraio 2000, sembra«opportuno affidare il giudizio sulla validità di quest’in-tesa alla sua applicazione. Ove riesca a conseguire i ri-sultati attesi in termini occupazionali, si sarà trattato diun utile passo in avanti. Il suo fallimento sul piano ope-rativo lascerebbe invece sul campo solo i vinti. Da uninsuccesso alla lotta alla disoccupazione nessuno potreb-be infatti responsabilmente gloriarsi alla stregua di unvincitore» 20.

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.

Il Libro bianco sul mercato del lavoro,lo Statuto dei lavori e la questione dell’articolo 18

Un giurista atipico e di frontiera

Le prime significative esperienze di laboratorio aModena, e poi a Milano, così come la feconda collabo-razione con Tiziano Treu ai tempi del Governo Prodi,dimostrano come Marco Biagi fosse sì un giuslavoristarigoroso e con solide basi scientifiche e culturali, macertamente anche un giurista atipico e di frontiera, in-dubbiamente espressione di una cultura giuridicad’avanguardia, sensibile alla innovazione e alla proget-tualità sociale più che alla ricerca scientifica fine a sestessa.

Come ha recentemente ricordato lo stesso TizianoTreu, Marco era poco incline ai riti formali ed era anziinfastidito dagli sfoggi eruditi che ancora sono moltoapprezzati nel nostro ambiente. Non apparteneva a unacasta autoreferenziale di eletti e certo non era «un giu-rista tradizionale come se ne producono ancora troppi...Era convinto che la nostra epoca fornisse una varietàtale di stimoli a tutti i ricercatori sociali ed anche aigiuristi che gli sembrava colpevole attardarsi nei ritiformali» 1.

1 Cfr. T. Treu, In ricordo di Marco Biagi, in «Diritto delle Relazioni Indu-striali», n. 3/2002, p. 357.

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Pur senza abdicare al rigore scientifico, non è maistato ossessionato dalla ricerca della perfezione espositi-va. Ciò che invece lo ossessionava, in forme per certiversi maniacali, era l’anelito verso la tempestività, lacura del dettaglio, la bontà del progetto complessivo. Lasua modernità sta tutta nella sua essenzialità e concre-tezza. Non amava l’avvitamento su se stessi, né tantome-no si compiaceva di ciò che era stato sino ad allora re-alizzato, che pure era tanto. Mai una pausa, mai un fe-sta, mai un riposo. La sua perenne insoddisfazione avolte ci irritava. Ma era questo il suo modo di esseremoderno: aveva cioè accolto fino in fondo la sfida che cilancia ogni giorno la freneticità e irrazionalità dei tempimoderni.

Non governava pienamente la tecnologia e la rete, mane aveva ben presto intuito le enormi potenzialità. Eralui a indicarci l’utilizzo più efficace e a guidare il ritmodi lavoro mio e del gruppo dei giovani collaboratori.L’intenso rapporto con i giovani, il quotidiano confron-to con gli studenti, l’amore per i due figli, lo rendevanouomo particolarmente attento al mutamento e magistra-le interprete degli sviluppi regolatori dei processi socio-economici in atto. La sua predilezione per le soft-laws eil suo entusiasmo per l’Europa e il federalismo sonochiara indicazione di una rinnovata concezione del dirit-to quale tecnica di regolazione sociale e di gestione delconflitto in società post-moderne e complesse.

Marco Biagi era dunque un precursore della attualitendenze giuslavoristiche e cercava con una umiltà stra-ordinaria di mettere la sua visione del futuro al serviziodi un progetto. Sia chiaro: come tutti noi, era un con-centrato di passioni e di impulsi, buoni e cattivi, e sicu-ramente era anche ambizioso, ma è certo che applicassecon vera umiltà il metodo che aveva elaborato e che ciaveva trasmesso. La meticolosità con cui ancora recen-temente accumulava il materiale di studio, e progettava

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ogni lavoro, anche il più piccolo e insignificante, dimo-strano ai miei occhi un atteggiamento tipico del giovanestudioso che avverte pienamente i limiti del proprioimpegno scientifico e cerca di porvi rimedio. Non sodire se fosse vero, ma spesso mi confidava l’intenzionedi isolarsi nella sua Pianoro e di tornare come ai vecchitempi a fare lo studioso a tempo pieno.

È ancora una volta la sua modernità a spiegare ladifficoltà di dialogo con parte della dottrina e, soprat-tutto, con la . Marco si rammaricava della sostanza,più che dei toni, spesso violentemente ingiustificati,come dimostra la scelta della di non partecipare piùad alcuna iniziativa convegnistica da lui organizzata e,ancor prima, l’uscita improvvisa della stessa da unasede di dibattito scientifico come l’Associazione italianadi studio delle relazioni industriali.

«Progettare per modernizzare» era questoil suo motto preferito

Era dunque naturale, per lui, che la ricerca fosseorientata alle riforme sociali e finalizzata al cambiamen-to. L’impegno progettuale nella modernizzazione delnostro mercato del lavoro era il terreno che più gli stavaa cuore e che gli risultava anche più congeniale 2.

«Contrariamente a quanto si è soliti pensare – scrive-va recentemente – per dare corpo a una riforma com-plessiva del diritto del lavoro italiano non sono certo leidee e la progettualità a mancare. Ciò che invece ancoranon è avvenuto, nel nostro paese, è il superamento diveti e di pregiudiziali ideologiche che rallentano inutil-mente, rispetto al processo di evoluzione in atto, le ri-forme necessarie a evitare fenomeni di destrutturazione

2 Ibidem, p. 358.

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e deregolamentazione strisciante del mercato del lavoro:fenomeni che, a loro volta, rappresentano al tempo stes-so causa ed effetto di una fiorente economia sommersadi dimensioni addirittura due o tre volte superiori aquella presente nei Paesi industrializzati» 3. Solo le rifor-me – cercava di convincerci e di convincere una nutritaschiera di giuristi, sindacalisti e politici poco inclini alcambiamento – possono prevenire i rischi di destruttu-razione e deregolazione strisciante del nostro mercatodel lavoro e guidare il mutamento in atto nei rapportieconomici e sociali.

Il mercato e l’organizzazione del lavoro – ci ripetevainfatti sempre più frequentemente – si stanno evolvendocon crescente velocità, ma non altrettanto avviene inve-ce per le forme di regolazione dei rapporti di lavoro: «inEuropa stiamo vivendo una trasformazione epocale chein altri continenti (America, Asia, Oceania) conosce sta-di di sviluppo più avanzati, almeno in alcuni paesi, cioèil passaggio definitivo dalla “vecchia” alla “nuova” eco-nomia, la transizione tra un sistema economico “indu-strialista” ad uno nuovo fondato sulle “conoscenze”. Ilsistema regolativo dei rapporti di lavoro ancor oggi uti-lizzato in Italia e, seppur con diversi adattamenti, inEuropa, non è più in grado di cogliere – e governare –la trasformazione in atto. ... il quadro giuridico-istituzio-nale ed i rapporti costruiti dalle parti sociali, quindi ildiritto del lavoro e le relazioni industriali, devono co-gliere queste trasformazioni in divenire, agevolandone ilgoverno» 4. Per fare fronte all’imponente cambiamentoin atto, aggiungeva, non v’è allora che una unica soluzio-ne: «si tratta di uscire dalla logica di un confronto dibreve respiro». Soprattutto le parti sociali sono oggi

3 M. Biagi, Progettare per modernizzare, in T. Treu, Politiche del lavoro,Insegnamenti di un decennio, Il Mulino, 2001, p. 269.

4 M. Biagi, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione deirapporti di lavoro, in «Riv. It. Dir. Lav.» 2001, pp. 258-259.

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chiamate a «trovare le convergenze per coltivare unanuova progettualità nella gestione delle risorse umane edei rapporti collettivi di lavoro, modernizzando il siste-ma delle regole che dovrà diventare sempre più concor-dato e meno indotto dall’attore pubblico» 5.

Giurista progettuale e riformista, Marco Biagi si èsempre speso, e questo sin dagli inizi della sua carrieraaccademica e professionale, al servizio di un progetto diinnovazione e ammodernamento del nostro mercato dellavoro. Progettare per modernizzare, era questo il suomotto preferito. Un motto, ma anche una radicata con-vinzione, difesa con orgoglio intellettuale e con unadeterminazione quasi ossessiva negli ultimi mesi di vita,sia sulle colonne de «Il Sole 24 Ore», che ospitavanooramai quasi ogni giorno un suo editoriale, sia nellepubblicazione scientifiche che, sempre più frequente-mente, lo avevano indotto ad abbandonare il taglio clas-sico e paludato della esegesi di un dato normativo con-solidato per avventurarsi, con la bussola propria di chiè sostenuto da una solida cultura comparativistica e in-terdisciplinare, sul terreno della politica del diritto edella politica legislativa, a dimostrazione di un impegnooramai assorbente nell’azione civile e politica 6.

Non fu difficile convincerlo ad accoglierequesta nuova sfida

Fu un amico di vecchia data come il neo sottosegre-tario di Stato al lavoro, Maurizio Sacconi, nel luglio del2001, a dare a Marco Biagi l’opportunità di riprendere,in qualità di protagonista, il progetto di modernizzazio-

5 Ibidem.6 Cfr., tra i numerosi scritti di Marco apparsi nella letteratura specialistica

della materia del diritto del lavoro, Biagi, Progettare per modernizzare, cit.,pp. 269-280.

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ne del mercato del lavoro bruscamente interrotto con lacaduta del Governo Prodi. Già nel mese di giugno, aOslo, in occasione di uno dei numerosi convegni inter-nazionali a cui eravamo soliti partecipare, Marco avevaparlato di questa possibilità con me e con Tiziano Treu.E di ritorno da quel convegno, puntualmente, MaurizioSacconi lo chiamò a Roma, per presentarlo al ministrodel welfare, Roberto Maroni, e, anche, per vincere le sueultime resistenze a mettersi al servizio di una coalizionedi centro-destra, con l’obiettivo di «dare un nuovo ordi-ne alla vecchia architettura dei rapporti sociali legati almondo del lavoro» 7.

Per Maurizio Sacconi non fu difficile convincerlo adaccogliere questa nuova sfida, pur nella consapevolezzadella delicatezza dell’incarico e delle accuse di «tradi-mento» che gli sarebbero state mosse: accuse che, inparte, contribuirono a ingenerare un clima di veleni e diisolamento sul piano accademico che sopportò conesemplare dignità e lealtà, pur accompagnate da un sen-so di profonda sofferenza e delusione. Non fu difficileconvincerlo perché Sacconi non gli aveva chiesto dicompiere, come i più faziosi e i maligni hanno poi soste-nuto, una scelta politica e di schieramento, in contrad-dizione con il suo passato e la sua storia di esponentedella sinistra riformista. Più semplicemente, e pragmati-camente, Sacconi gli aveva proposto di portare avanti,senza alcun condizionamento politico, quel progetto diammodernamento del mercato del lavoro italiano su cuisi era impegnato con passione, lucida razionalità e deter-minazione nel corso degli anni precedenti. Nulla di più.

Per raggiungere questo obiettivo, e per poter contaresulla sua fondamentale collaborazione, gli era dunquestata data carta bianca; tanto è vero che, nel corso dei

7 Come ricorda ora il ministro Maroni nella Commemorazione di MarcoBiagi. Università di Modena, 19 settembre 2002, in www.csmb.unimo.it.

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mesi della collaborazione con il ministro Maroni, Marconon ha fatto altro che riprendere e portare a compimen-to, con onestà intellettuale e anche con una pazienza euna umiltà fuori dal comune, idee e numerosi progettigià messi a punto durante la collaborazione con TizianoTreu. Una continuità sostanziale con il lavoro svolto peril Governo Prodi che è stata recentemente testimoniatadallo stesso Tiziano Treu 8, e che si spiega con la suaconvinzione di poter perseguire, nell’interesse del paese,un disegno riformatore bi-partisan 9.

Nonostante alcune impressioni che vengono dal-l’esterno, e che pure in parte possono essere giustificate,non era certo l’artefice di un progetto di rivisitazione deldiritto del lavoro italiano da realizzare «nel chiuso di unministero, senza aprire un dibattito che coinvolga gliaddetti ai lavori». Lavorando gomito a gomito con luiposso testimoniare una energia inesauribile, frutto diuna vera e propria passione o vocazione, che, dalla suaBologna, lo portava instancabilmente a viaggiare, lungola direttrice Roma-Modena-Milano-Bruxelles, per tesse-re con certosina pazienza una rete di consensi attorno alprogetto di modernizzazione del diritto del lavoro, equesto senza mai dimenticare un appuntamento accade-mico e l’impegno didattico. Oltre a essere presente nellavita di facoltà, era uno di quei giuristi che non esitanoa girare per convegni e che non hanno mai mancato a unappuntamento nazionale o internazionale di rilievo. Ilsuo progetto riformatore nasceva dunque da un intenso– anche se non sempre fecondo – dialogo con tutti gliaddetti ai lavori. La composizione dell’ e di sono una chiara dimostrazione di tutto ciò.

8 Treu, In ricordo di Marco Biagi, cit., p. 359.9 Di ciò ne dà atto anche lo stesso Maurizio Sacconi nell’intervento alle

giornate di studio di Pesaro-Urbino del 25 maggio 2002, in corso dipubblicazione per i tipi di Giuffrè, là dove individua nel Pacchetto Treul’origine del processo di modernizzazione del mercato del lavoro italianodelineato nel Libro bianco del governo Berlusconi.

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Nessun consenso tacito – come pure taluno ha insi-nuato – tra «consigliere del principe» e «principe,» vol-to a tenere alto il tono se non l’obiettivo delle riforme,fosse solo per il gusto della provocazione intellettuale,per l’ebbrezza del potere o anche per l’innegabile ritor-no di immagine, come pure molti hanno detto e pensa-to. Perché Marco, come scriveva a proposito del suoMaestro Federico Mancini ma indubbiamente pensandoanche a se stesso, non era il «giurista del principe», ma,come detto, «un giurista di progetto» 10. È sufficienteconfrontare il Libro bianco con l’immensa progettazioneelaborata nell’arco della collaborazione con il GovernoProdi 11 per rendersi conto della sua estrema coerenza.

Ha sempre lavorato «a progetto» – facilitato in questodalla fragilità degli interlocutori istituzionali e politiciche di volta in volta si rivolgevano a lui – senza maicedere alla tentazione di compiacere il potente di turno.Mai, nell’opera di elaborazione progettuale, abbiamosubito un condizionamento. E se un elaborato non fun-zionava se ne preparava subito un altro, con la solitapazienza, animati da una passione e da un gioioso diver-timento che non ho trovato in nessun altro ambiente dilavoro.

La sua grande umanità, quella sua capacitàdi presentarsi come un uomo qualunque

Nella commemorazione del 19 settembre 2002 aModena, a sei mesi esatti dal suo barbaro assassinio, èstato Roberto Maroni a richiamare alla mia memoria, e

10 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista «progettuale», The JohnsHopkins University Bologna Center, n. 8/2001, p. 9.

11 Vedila in T. Treu, Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, IlMulino, Bologna, 2001, pp. 269-395.

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ad arricchire di particolari e di sensazioni, i dettagli chehanno accompagnato l’inizio della collaborazione diMarco con il governo, da poco insediatosi, di SilvioBerlusconi. «La sua grande umanità, quella sua capacitàdi presentarsi come un uomo qualunque, quel suo farecordiale, immediatamente amichevole – scrive Maroni –mi impressionarono subito, sin dal primo incontro, av-venuto negli uffici del Ministero, a Roma, nei primi gior-ni di luglio dello scorso anno» 12.

Come lo stesso Marco ebbe modo di raccontarmi,con dovizia di particolari, il feeling col ministro Maronifu immediato. «Se ne stava fuori dalla porta del mioufficio, schivo, come se non volesse dare fastidio – scriveora Maroni – mentre il suo fraterno amico MaurizioSacconi mi parlava di lui, appassionatamente, sforzan-dosi di convincermi della grande fortuna che avevamo,la disponibilità che Marco aveva espresso di continuarela sua collaborazione con il nuovo governo di centro-destra. Non feci fatica ad accogliere la richiesta di Mau-rizio, mi bastò incrociare lo sguardo del “Professore”(appellativo che da allora divenne il cordiale saluto concui lo accoglievo ad ogni incontro) per intuire la grandeonestà intellettuale ed umana di Marco» 13.

Ed è ancora lo stesso Maroni a riconoscere comefosse un giurista atipico: un professore sui generis «incui era totalmente assente ogni traccia di quella suppo-nenza un po’ snob che avevo tante volte riscontrato conqualche fastidio, io che professore non sono, in moltisuoi colleghi nel corso della mia attività professionale epolitica. Più che un luminare della scienza giuslavoristi-ca in quel caldo pomeriggio di luglio mi sembrò unostudente, in timida attesa fuori dallo studio del profes-sore che deve decidere se il suo lavoro fosse ben fatto

12 R. Maroni, Commemorazione di Marco Biagi, cit.13 Ibidem.

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oppure no. Allora non sapevo quanto il lavoro di MarcoBiagi avrebbe contraddistinto, in modo così drammati-camente fecondo, le vicende istituzionali, politiche esociali del nostro paese, ma la sua stretta di mano forteed il suo sorriso felice mi rincuorarono. Capii di avertrovato un collaboratore colto, preparato e affidabile» 14.

Forse è anche per questo suo essere un uomo sempli-ce e al fuori dagli schemi – un uomo al servizio di pro-getti in cui credeva, giusti o sbagliati che fossero, e nontanto di una persona e tantomeno di un partito politicoo di un governo – che Maroni gli concesse la più totalelibertà di azione. E non poteva essere altrimenti. «Lasua principale preoccupazione in quel periodo, da stu-dioso e da uomo non di destra – ricorda infatti Maroni– fu di avere assicurati gli spazi per sviluppare senzacondizionamenti politici la sua dottrina. Fu ciò che na-turalmente gli garantii, e questo bastò a farlo sentireimpegnato a produrre in tempi inconcepibilmente rapi-di (un mese, quello delle ferie estive) quel decisivo con-tributo alla modernizzazione dell’Italia che fu, che è, ilsuo Libro bianco sul mercato del lavoro» 15.

Del periodo della collaborazione con Maroni e Sacco-ni – un periodo caratterizzato, come ho già detto, da unparziale isolamento accademico e da più o meno velateaccuse di tradimento – ho ricordi intensi e ancora trop-po recenti, anche emotivamente, per isolarli e selezio-narli uno ad uno.

Ricordo soprattutto, come sensazione generale, la suagrande felicità per avere trovato interlocutori affidabili eleali che gli consentivano liberamente di fare quello chepiù gli piaceva nella vita. E ricordo anche, naturalmente,l’immensa mole di progetti che venivano messi in cantie-re e che, con la consueta rapidità e precisione, venivano

14 Ibidem.15 Ibidem.

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di volta in volta discussi e realizzati. Ricordo anche ni-tidamente, tra i numerosi singoli episodi che accompa-gnarono un periodo quanto mai intenso ed esaltante, lasua gioia quando gli venne chiesto, da parte di EnricoLetta, di collaborare con , l’agenzia di ricerca eco-nomico-legislativa fondata da Beniamino Andreatta, allarealizzazione di un bollettino quindicinale sui problemidel lavoro. Una gioia dovuta non solo al fatto di avereavuto la possibilità di toccare con mano che l’autonomiae l’indipendenza di pensiero che gli erano state promes-se erano reali, ma anche alla convinzione di avere getta-to, con il suo lavoro al servizio del progetto di moder-nizzazione del mercato del lavoro, un seme per il dialo-go tra opposti schieramenti. In , e in Enrico Lettain particolare, aveva trovato un importante interlocutoreper portare avanti il suo sogno riformatore bi-partisan.

Il nome di Marco Biagi è oggi legato al Libro biancosul mercato del lavoro

Il nome di Marco Biagi è oggi legato, almeno tra gliaddetti ai lavori, al Libro bianco sul mercato del lavoropresentato dal governo nell’ottobre 2001. E giustamen-te. È stato infatti proprio lui a suggerire a Maroni e aSacconi l’idea di realizzare quel famoso Libro biancoche, come ricorda ora Maroni, «irruppe immediatamen-te sul terreno del confronto sociale con la sua carica diinnovazione, tanto prepotente da oscurare d’un bottouno dei tempi che da sempre è tra i preferiti della comu-nicazione economica, la riforma del sistema previdenzia-le. Il giorno in cui presentammo ufficialmente alle partisociali il Libro bianco di Biagi l’attesa era tutta per irisultati della verifica sui conti della previdenza pubbli-ca, effettuata durante l’estate dalla Commissione Bram-billa. Da quel giorno il dibattito sulle pensioni si affie-

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volì, fino a quasi scomparire soverchiato dalla energiasprigionata a quel tavolo di confronto dall’apparire dellavoro del Professore» 16.

Subito dopo l’inizio della collaborazione con Maronie Sacconi, l’idea di un Libro bianco gli era sembrata lasoluzione più innovativa ed efficace per avviare, con ilpiù largo consenso possibile e non certo a colpi di mag-gioranze parlamentari, il processo di riforma del nostromercato del lavoro su cui era stato chiamato a lavorare.

Era del resto la prima volta che un governo, all’iniziodella legislatura, si impegnava a condensare in un Librobianco, aperto al confronto con gli attori sociali, il pro-gramma per le riforme del lavoro da realizzare nell’arcodi una intera legislatura. Un genere letterario, quello delLibro bianco, che appartiene all’esperienza europea, «incui è buona regola, prima di formulare delle proposteconcrete e dettagliate di tipo legislativo, presentare informa di studio, con opzioni aperte, un programma chepossa raccogliere suggerimenti, contributi e consigli daparte dei vari interlocutori» 17.

Fu così che nell’estate del 2001, mentre mi accingevoa scrivere l’ultimo capitolo della mia monografia sugliincentivi alla occupazione e le politiche comunitariedella concorrenza 18, Marco si assunse l’impegno con ilministro Maroni di utilizzare l’intero mese di agosto permettere a punto, al pari di un giovane ricercatore chia-mato ad una prova di maturità scientifica, l’impiantocomplessivo del Libro bianco, in modo poi di avere tuttoil tempo necessario, nel mese di settembre e prima dellapresentazione alle parti sociali, per chiudere e perfezio-nare il lavoro con la collaborazione di Maurizio Sacconi,

16 Ibidem.17 M. Biagi, Libro bianco sul mercato del lavoro, presentazione alla consul-

ta dell’Ufficio delle politiche sociali e del lavoro, Roma, 25 gennaio 2002.18 M. Tiraboschi, Incentivi alla occupazione, aiuti di Stato, diritto comuni-

tario della concorrenza, Giappichelli, Torino, 2002.

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Paolo Reboani, Carlo Dell’Aringa, Paolo Sestito e Nata-le Forlani.

Al di là di singole questioni di dettaglio, su specificiprofili della riforma del nostro mercato del lavoro che sicominciavano a delineare, durante una lunga telefonataserale ebbi modo di discutere con lui, in toni all’inizioabbastanza vivaci, del taglio generale del suo lavoro. Gliavevo contestato, con la consueta franchezza di rapportiche ci contraddistingueva pur nella consapevolezza delladiversità di ruoli e posizioni accademiche, quello cheper me, allora, rappresentava un grave difetto di impo-stazione, e cioè l’aver abbondantemente attinto a un suoprecedente scritto presentato solo qualche mese primaal comitato scientifico di Confindustria ed in seguitopubblicato sulla «Rivista Italiana di Diritto del Lavo-ro» 19. «Ti metteranno sulla croce, gli dissi in modo forseun po’ troppo brusco. E aggiunsi: i più faziosi e maligninon esiteranno a dire che è il consulente di Confindu-stria a dettare le linee di riforma del governo». Mi repli-cò secco e anche un po’ risentito. Nel chiudere la nostraconversazione, dopo una lunga e difficile telefonata, midisse: «in ogni caso queste sono le mie idee di sempre,non certo quelle di una singola associazione imprendito-riale, né tantomeno di un partito politico».

Fui un facile profeta. Quanto da me previsto si veri-ficò puntualmente. Non avevo però capito – così comenon aveva capito chi lo ha poi pesantemente attaccatoper l’aver ripreso le parole scritte solo qualche meseprima per il comitato scientifico di Confindustria – cheper nulla al mondo avrebbe rinunciato a esporre e adifendere, in qualsiasi sede e in qualsiasi circostanza, ilfrutto di decenni di studio e riflessione. Il Libro bianco,in effetti, per quanto attento alla evoluzione del quadro

19 M. Biagi, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione deirapporti di lavoro, in «Rivista Italiana di Diritto del Lavoro», 2001, pp. 269 ss.

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legale italiano e comunitario degli ultimissimi mesi, era– e non poteva essere altrimenti – il risultato di unalunghissima gestazione iniziata, ne sono certo, addirittu-ra ben prima che si avviasse la nostra collaborazione.

Porto ancora dentro di me il rimpianto di non avercapito, nel corso di quella lunga conversazione telefoni-ca agostana, che Marco non aveva nulla da rimproverar-si. Nel Libro bianco parlava, con la consueta semplicitàe chiarezza, di quelle riforme del mercato del lavoro sucui da lungo tempo stava lavorando, con l’obiettivo dicreare maggiore occupazione e garantire a tutti un lavo-ro di qualità, e poco importa che talune delle principaliconclusioni a cui era giunto fossero già state anticipatenel corso dei lavori del comitato scientifico di Confindu-stria del febbraio 2001.

Un’opera non di parte, se non quella della sua scienzae della sua coscienza

Non sta certo a me fornire ora, dopo quello che èaccaduto, un giudizio sulla fattura e la bontà del Librobianco di Marco Biagi. Anche al là di una valutazionenel merito dei contenuti non posso però non condivide-re il giudizio d’insieme formulato da Roberto Maroni,quando dice che è «un’opera non di parte, se non quelladella sua scienza e della sua coscienza, un’opera che nonsi iscrive nell’elenco dei trattati di diritto del lavoro, mache ne travalica i confini per offrire un esempio unico diponte tra politiche attive del lavoro e politiche di inclu-sione sociale» 20.

Indubbiamente il Libro bianco è un documento ambi-zioso e complesso, con obiettivi e proposte che, comeefficacemente ha scritto Guido Baglioni sul quotidiano

20 Maroni, Commemorazione di Marco Biagi, cit.

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della «Conquiste del Lavoro», «non si prestano asoluzioni incerte e minimali» anche perché si tratta diproposte e obiettivi che «non chiedono poco ai lavora-tori e al sindacato e, nel contempo, danno più spazio efiducia alle imprese». Prima di tutto, però, il Libro bian-co è un documento aperto che sollecita al dibattito e aun confronto sereno, libero da pregiudiziali e veti ideo-logici. È per questa ragione che mi hanno sorpreso, eanche ferito, le considerazioni di quanti hanno parlato,con livore e ingiustificata superficialità, di «una sorta diinimmaginabile Libro nero del più ottuso iperliberismo.L’estremismo delle proposte è tale che si sarebbe tentatidi considerarle come un ballon d’essai e liquidarle conuna risata» 21.

Non solo non riesco a riconoscere in Marco l’imma-gine di un ottuso liberista, ma soprattutto non dimenti-co che per lui – come spesso ci ricordava – il Librobianco non era altro che «un esperimento utile a farcrescere la nostra cultura politica, ben al di là del tema,pur centrale, del mercato del lavoro. Non è detto infatti– ci diceva – che, nel quadro di una valutazione rigorosae non faziosa delle proposte ivi contenute, non possaderivarne un confronto politico utile per raggiungereconvergenze anche al di là dei confini della attualemaggioranza parlamentare» 22.

«Discutiamo senza invettive»: era questo il titolo datoda lui, come sua abitudine, a uno dei numerosi articoliscritti sul Libro bianco per «Il Sole 24 Ore» 23. «Sul Librobianco del governo in materia di mercato del lavoro èpiù che legittimo avere opinioni diverse, anche aspra-mente critiche, scriveva in questo articolo. Tuttavia sa-

21 Così si è espresso M. Roccella su «L’Unità» del 5 ottobre 2002, poiripreso da Sergio Cofferati che ha parlato di «libro limaccioso».

22 Ibidem.23 L’articolo è pubblicato su «Il Sole 24 Ore» del 9 ottobre 2001 con il

titolo La riforma del sistema impone confronti senza pregiudizi.

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rebbe auspicabile che quanti esprimono valutazioniavessero almeno la bontà di leggerlo. L’impressione èinvece che molti interventi prescindano o quasi dal con-tenuto. Vero è che invece numerose voci si sono levatein segno di apprezzamento quantomeno della metodolo-gia usata, forse proprio perché si sono attenute alla so-stanza».

Non credo però che Marco Biagi possa e debba esserericordato come il sostenitore della abrogazione

dell’articolo 18

Dopo l’uccisione di Marco Biagi, le cronache giorna-listiche hanno frettolosamente accostato il suo nome allaproposta riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavo-ratori. L’accostamento era forse inevitabile: lo scontropolitico-sindacale di quei giorni era tutto incentrato suquesto tema, divenuto presto un vero e proprio simboloper quanti si sono opposti alle linee di riforma del mer-cato del lavoro delineate dal Libro bianco del GovernoBerlusconi.

Non credo però che Marco Biagi possa e debba esse-re ricordato come il sostenitore della abrogazione del-l’articolo 18. Non era questo il suo progetto riforma-tore e quanti, anche tra i più strenui oppositori, avesserodavvero letto il Libro bianco non troverebbero citatouna sola volta questo famigerato articolo dello Statutodei lavoratori, mentre i pochi cenni al regime della rein-tegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamentoillegittimo sono calati in un contesto di riferimento voltoa garantire una maggiore diffusione del lavoro regolaree a tempo indeterminato.

Se proprio volessimo accostare il nome di Marco Bia-gi alla battaglia ideologica sull’articolo 18, giocata conviolenza e senza risparmio di colpi bassi tra le parti

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sociali nei primi mesi del 2002, non potremmo che ri-cordare il suo impegno al dialogo e alla necessità diattenersi al merito delle questioni.

«Si potrebbe osservare – ammetteva Marco su “Il Sole24 Ore” del 20 febbraio 2002 – «che, tra i tanti provve-dimenti all’esame del Parlamento per delegare il Gover-no a intervenire sul mercato del lavoro, non c’era biso-gno di creare uno psicodramma collettivo com’è la pro-posta di sospensione sperimentale dell’art. 18 dello Sta-tuto dei lavoratori». Preso atto della scelta del governo,aveva tuttavia coraggiosamente condotto in prima per-sona una battaglia volta a fare chiarezza sul senso dellasperimentazione proposta dal governo: una sperimenta-zione volta non a liberalizzare i licenziamenti, comepure detto e sostenuto da autorevoli sindacalisti e gior-nalisti, ma, molto più modestamente, a introdurre in viasperimentale un meccanismo sanzionatorio di tipo mo-netario, in alternativa all’obbligo di reintegrare il lavora-tore, come conseguenza del licenziamento privo di giu-stificazione.

«Le soluzioni per ripensare l’articolo 18 – scriveva su“Il Sole 24 Ore” del 29 gennaio 2002 – sono ovviamenteinnumerevoli. Ciò che conta è intendersi una volta pertutte che non è affatto in discussione il principio dellicenziamento giustificato, cardine del nostro ordina-mento nazionale in omaggio a principi universalmentericonosciuti (almeno in Europa). É senz’altro possibile,durante il dibattito parlamentare, formulare ipotesi di-verse, ad esempio più focalizzate sulla promozione del-l’occupazione al sud ovvero a favore di soggetti conparticolare rischio di emarginazione sociale. Sarebbedavvero auspicabile che si tornasse con serenità a con-frontarsi sul merito, ad esempio su cosa si intenda perequo indennizzo al lavoratore ingiustamente licenziato.É quello che il presidente della Repubblica ha chiestocon tutto il peso del suo prestigio e della sua autorità,

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politica e morale: la maggior parte degli italiani è sicu-ramente d’accordo con lui».

«La vera questione di principio non è affatto l’art. 18– precisava poi a chiare lettere su “Il Sole 24 Ore” del20 febbraio 2002 – visto che non è in discussione lagiusta causa di licenziamento, ma un mercato del lavoroingiusto che lascia ancora oggi poche speranze a chi nonabbia la fortuna di aver già trovato occupazione».

Il suo progetto riformatore era dunque ben altra cosadalla riforma – peraltro solo parziale – dell’articolo 18.Il suo era in primo luogo un progetto culturale, cheguardava con atteggiamento positivo e costruttivo alcambiamento. Un progetto che andava ben oltre la logi-ca di un confronto ideologico e di breve respiro. Èquesto lo spirito che anima, al di là dei singoli contenuti,il Libro bianco. Ed è questa, anche la filosofia del pro-getto più ambizioso perseguito con convinzione daMarco Biagi: lo Statuto dei lavori.

La proposta di uno Statuto dei lavori

Anche nelle ultime drammatiche settimane della suavita, in cui si stava consumando la battaglia dell’articolo18, Marco Biagi non aveva esitato a spendersi in primapersona, senza risparmio e con il consueto ottimismo,per una mediazione possibile sostenendo, soprattuttonel confronto con la parte più moderata e riformista delsindacato, un salto di qualità nel dibattito sulle riformedel nostro mercato del lavoro.

Conservo gelosamente nei miei archivi una propostadi delega al governo, da inserire nel corpo del disegnodi legge n. 848, che per lui avrebbe potuto contribuirea superare l’impasse causato dalla frattura tra governo eparti sociali sull’articolo 18. Era la proposta di uno Sta-tuto dei lavori. Una proposta catalogata nei nostri com-

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puter con il nome di Marina, il nome di sua moglie, adimostrazione di quanto gli stesse a cuore questo pro-getto.

«Roma, 14 febbraio 2002

Delega al governo per la redazione di un testo unico inmateria di disciplina di tipologie contrattuali in cui sia de-dotta attività lavorativa (Statuto dei lavori)

Ai fini di riordino e revisione della disciplina di tipologiecontrattuali in cui sia dedotta attività lavorativa, in formatipica od atipica ed a prescindere dalla denominazioneadottata, il Governo è delegato ad emanare - entro 24 mesidalla data di entrata in vigore della presente legge – untesto unico, a mezzo di uno o più decreti legislativi, conte-nente disposizioni anche modificative della disciplina vi-gente, inclusa la legge 20/5/1970 n. 300 e successive modi-ficazioni ad eccezione del titolo III, nel rispetto dei seguen-ti principi e criteri direttivi che potranno essere integrati daun avviso comune reso al Governo entro 9 mesi da associa-zioni rappresentative dei datori e prestatori di lavoro suscala nazionale:

1) adeguamento ai principi dei diritto comunitario, cosìcome specificati in direttive ed altre misure di natura nonvincolante, al fine di promuovere la occupabilità, l’impren-ditorialità, la adattabilità e le pari opportunità, quali sonodefinite dalle linee guida sull’occupazione;

2) rimodulazione delle tutele e del relativo apparato san-zionatorio, ivi compreso quello riguardante la disciplinadel licenziamento ingiustificato non imputabile a ragionidiscriminatorie, prevedendo un congruo risarcimento edun campo di applicazione riferiti anche alla anzianità diservizio del prestatore presso lo stesso datore di lavoro,nonché il riordino e la revisione del patto di prova;

3) estensione delle tutele fondamentali a favore dei col-laboratori coordinati e continuativi, sotto il profilo dellaloro dignità e sicurezza, ricorrendo altresì, ai sensi dell’art.9, ad adeguati meccanismi di certificazione;

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4) previsione di un diritto alla formazione del prestatoredi lavoro, in ragione della attività alla quale venga effettiva-mente adibito, certificata da enti bilaterali ai sensi dell’art.9, ovvero, in loro assenza, secondo modalità previste dacontratti collettivi, nazionali, territoriali o aziendali, stipu-lati da associazioni più rappresentative dei datori e presta-tori di lavoro»

Un progetto semplice quanto rivoluzionario. Parten-do dalle tutele fondamentali, applicabili a tutte le formedi attività lavorativa rese a favore di terzi, quale che siala qualificazione giuridica del rapporto, per lui era dun-que possibile immaginare, per le rimanenti tutele deldiritto del lavoro, campi di applicazione via via più cir-coscritti attraverso un sistema a cerchi concentrici, conuna tutela che si intensifica a favore di un novero sem-pre più ristretto di soggetti in ragione della anzianità diservizio in azienda e di quella che gli inglesi chiamanomutualità delle obbligazioni contrattuali (mutuality ofobligations).

Un progetto di complessiva rivisitazione del dirittodel lavoro che da un lato estende i livelli minimi di tu-tela a tutte le forme di lavoro, comprese quelle atipicheed occasionali, oggi prive di adeguate garanzie, mentredall’altro circoscrive e rende più moderne le tecniche diprotezione del lavoro subordinato, giungendo a pro-spettare la revisione della disciplina dei licenziamentiper renderla comparabile con quella vigente in altri Statimembri dell’ Unione europea

Intraprendere con coraggio la strada dello Statuto deilavori, già fatta propria ufficialmente dal governo fin dalLibro bianco, ancorché poi rinviata a una fase più inol-trata della presente legislatura: questo era per Marcol’unico modo per uscire dalle sabbie mobili dell’artico-lo 18.

«Converrebbe a questo punto accelerare la progetta-zione di questo strumento che – scriveva su “Il Sole 24

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Ore” del 10 marzo 2002 – completerebbe conveniente-mente le altre norme già presenti nella delega 848 sulmercato del lavoro. Si tratta infatti di procedere a unarevisione totale della legislazione sul rapporto e sulmercato del lavoro, realizzando alla fine un testo unicoche rappresenti per gli operatori uno strumento agile echiaro di gestione delle risorse umane. Lo Statuto deilavori dovrebbe finalmente dare all’Italia nuove tecnicheper regolare tutti i tipi di lavori, anche quelli più atipici,rivedendo vecchie norme non più in sintonia con lamoderna organizzazione del lavoro e prevedendone del-le nuove capaci di governare i mestieri emergenti nellasocietà basata sulla conoscenza. L’Europa sarebbe sicu-ramente soddisfatta se la delega sul mercato del lavorofosse arricchita in questo modo. Non a caso fu proprioun documento comunitario intitolato Oltre l’occupazio-ne (il rapporto Supjot del 1998) a suggerire le tecnichedi tutela sul mercato (oltre che sul rapporto) che costi-tuiscono l’anima del progetto Statuto dei lavori descrittonel Libro bianco. Solo alla fine, quando lo Statuto deilavori sarà stato scritto, solo allora sapremo chi ha vintoe chi ha perso in questo confronto acceso fra governo eparti sociali. Speriamo che vinca soprattutto un’alleanzafra istituzioni e attori sociali che punti alla modernizza-zione. Altrimenti sarebbe una sconfitta per tutti».

Il dado era stato tratto e il progetto riformatorepoteva finalmente prendere avvio

«La politica ha prevalso. Non ci resta che prenderneatto...». Queste le parole che ha scritto in una e-mailprivata inviata all’avvocato Paolo Sassi, dopo la definiti-va frattura tra governo e parti sociali sulla questionedell’articolo 18 maturata in quei tragici giorni di marzo.Parole amare, per un uomo del dialogo come Marco

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Biagi, ma parole anche liberatorie per chi vedeva schiac-ciato il progetto riformatore tra alterne spinte alla mo-dernizzazione e alla conservazione. L’idea di Statuto deilavori era stata definitivamente respinta: non si era rag-giunto su di essa un accordo con le parti sociali. Ma ildado era stato tratto e il processo riformatore potevafinalmente prendere avvio... 24.

La scintilla era scoccata. Di questo era pienamenteconsapevole. Così come era consapevole che «ogni pro-cesso di modernizzazione avviene con travaglio, anchecon tensioni sociali, insomma pagando anche prezzi altialla conflittualità» 25.

Il prezzo pagato è stato tuttavia molto più alto delprevisto. Ha pagato con la sua vita.

Nei giorni immediatamente successivi alla sera del 19marzo è stato scritto che con l’uccisione di Marco Biagil’orizzonte delle riforme possibili si restringe, e diventa-no più fioche le voci che lo propongono 26. Non so, puòanche essere. Molte cose oggi non hanno più senso, al-meno per me e per le persone che gli hanno volutobene. Il mio, nonostante tutto, continua però a essere unmessaggio di ottimismo. Ho un ricordo ancora moltovivo di Marco, della sua fiducia nel futuro e della suastraordinaria determinazione. Ricordo soprattutto l’osti-nazione di un progetto, quasi una vera e propria osses-sione negli ultimi mesi della sua breve vita: il progetto dicontribuire a modernizzare il mercato del lavoro italia-no. Credo che questa ostinazione abbia contagiato ora-mai molte persone, anche al di fuori del suo ristretto

24 Il dado è tratto: modernizzazione o conservazione?. È questo il titolodell’ultimo editoriale scritto da Marco Biagi per «Il Sole 24 Ore». L’editorialeè stato poi pubblicato nella edizione del 21 marzo 2002.

25 Ibidem.26 Così F. De Benedetti Una scia di sangue sulle riforme, in «Il Sole 24

Ore», 21 marzo 2001.

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gruppo di collaboratori, e che le sue idee abbiano co-minciato a camminare da sole.

Per quanti vogliano seguire questa strada resta il suoinsegnamento, restano i suoi scritti, resta il suo metododi lavoro. Resta soprattutto da portare a compimentol’intuizione dello Statuto dei lavori. Su questo dobbiamolavorare nei prossimi mesi. Ma per far questo occorreprima di tutto riflettere sul progetto culturale che staalla base della riforma del mercato del lavoro, un pro-getto nitidamente delineato nel Libro bianco dello scorsoottobre. «Libro bianco da rileggere», scriveva su uno deisui ultimi editoriali apparsi su «Il Sole 24 Ore» 27. Ed èda lì che, con senso critico e anche con umiltà, dobbia-mo ora tutti ripartire.

Chi volesse avventurarsi nella lettura di questodocumento troverebbe molte sorprese

Il testo del Libro bianco è pubblicato sul sito internetdel Ministero del welfare 28 e anche sul sito internet delCentro studi internazionali e comparati Marco Biagi 29.Mi auguro davvero che questo documento, scritto conuno stile semplice ed essenziale, venga ora letto (o rilet-to) da quanti hanno a cuore i problemi del mondo dellavoro, in modo che più persone possibili possano farsiuna idea diretta, e priva di preconcetti, su quello che erail senso delle sue proposte 30.

Chi volesse avventurarsi nella lettura di questo docu-

27 M. Biagi, Libro bianco da rileggere, in «Il Sole 24 Ore», 10 marzo 2002.28 www.minwelfare.it.29 www.csmb.unimo.it.30 Per una efficace sintesi delle principali proposte in esso contenute rin-

vio alla presentazione del Libro bianco che lo stesso Marco ha svolto, nelgennaio del 2002, presso la consulta dell’Ufficio per i problemi sociali e illavoro della . La presentazione di Biagi è pubblicata sul sito del centrostudi modenese (www.csmb.unimo.it).

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mento troverebbe molte sorprese. Innanzitutto perchénel Libro bianco, come ho già detto, non si parla affattodi articolo 18, né tantomeno di smantellare le tutele deilavoratori in caso di licenziamenti privi di giustificazio-ne. In secondo luogo perché l’impegno di Marco è tuttoproteso, al di là delle singole soluzioni tecniche adottate,a un obiettivo di inclusione sociale di tutela di quantisono oggi privi di un lavoro o intrappolati nelle logichedel lavoro sommerso, precario e sottotutelato.

«Il Libro bianco – scriveva su “Il Sole 24 Ore” del 3ottobre 2001 – intende valorizzare due punti-chiave chene costituiscono le colonne portanti. Innanzi tutto quel-lo di costruire una società attiva, contesto indispensabileper una politica di autentico sviluppo delle risorse uma-ne. L’Italia è oggi il paese europeo con il più basso tassodi occupazione generale e femminile in particolare, conil più marcato divario territoriale, con il più alto livellodi disoccupazione di lungo periodo. Parallelamente oc-corre operare per migliorare la qualità del lavoro, crean-do le condizioni per un più efficiente incontro tra do-manda e offerta (anche con il concorso di operatoriprivati finalmente liberati da assurdi vincoli burocratici)e soprattutto al fine di incrementare l’utilizzo di tipolo-gie contrattuali appropriate per contrastare il mercatodel lavoro irregolare e non dichiarato».

È stato lo stesso Marco – sempre su Il Sole 24 Ore del3 ottobre 2001 – a indicarci qualche esempio concretoper comprendere meglio in che modo il Libro biancointendesse interpretare una impostazione autenticamen-te riformista per modernizzare il mercato del lavoro:«innanzitutto occorre valorizzare ulteriormente il lavorointerinale, uno strumento che può contribuire anche adagevolare l’integrazione occupazionale di categorie a ri-schio di esclusione sociale. Bisogna poi distinguere levere collaborazioni coordinate e continuative da quellefalse e questo sarà il compito del nuovo “lavoro a pro-

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getto”. Lo stesso part-time dovrà diventare effettiva-mente elastico, non soltanto quanto alla collocazionetemporale della prestazione ma anche in relazione allasua durata. E infine sarà inevitabile riconsiderare la di-sciplina del lavoro a tempo indeterminato, coniugandosicurezza e flessibilità per realizzare la adattabilità, basa-ta su una politica della formazione non più autoreferen-ziale. Le novità non finiscono qui. Le proposte del Librobianco riguardano anche le stese tecniche regolatorie,auspicando la transizione dal management by regulational management by objectives. Occorre semplificare ildiritto del lavoro, ricorrere alla legge solo per tutelare idiritti fondamentali della persona, lasciando più spazioall’autonomia dei soggetti collettivi ma anche a quelladelle fonti individuali del rapporto di lavoro. Per faretutto questo occorre ripensare profondamente l’interoquadro giuridico, riscrivendo un nuovo Statuto dei lavo-ri che riguardi tutti i tipi di lavoratori, quelli già garantitie quelli ai margini del mercato del lavoro. Bisogna capo-volgere la prospettiva finora seguita e rimodulare corri-spondentemente le tutele transitando da campi di appli-cazione imperniati sulle materie trattate a un sistemariferito alle diverse tipologie contrattuali. Un nuovo ap-proccio che dovrebbe culminare in un testo unico sullavoro, sempre invocato dagli operatori e mai neppureprogettato».

Perseguiva una forma alta di riformismo nel campodelle politiche del lavoro e della occupazione

Con la pubblicazione su «La Stampa» di sabato 20luglio 2002 di un ampio stralcio della sua presentazionedel Libro bianco sul lavoro alla Consulta per i problemisociali e il lavoro della (Roma, 25 gennaio 2002) siera aperto un interessante confronto sui rapporti tra

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Marco Biagi e la Chiesa cattolica in merito alle propostedi riforma del nostro diritto del lavoro 31. Al di là di uncerto sensazionismo giornalistico, in merito a una pre-sunta lite con i delegati della pastorale del lavoro – liteche in realtà non c’è mai stata –, il resoconto del suointervento pareva in effetti aver contribuito a evidenzia-re un profilo delle riforme del mercato del lavoro italia-no sino ad allora rimasto sullo sfondo dell’aspro con-fronto politico e sindacale. È stato Franco Debenedettia ricordarci – sempre sulle colonne de «La Stampa» 32 –che il Libro bianco affronta temi che, più o meno indi-rettamente, toccano i fondamenti etici del nostro pre-sente e le prospettive concrete del nostro futuro, benoltre dunque la polemica sulla riforma dell’articolo 18.

Un editoriale di Eugenio Scalfari, Il lavoro, MarcoBiagi e le critiche della Chiesa, apparso su «La Repubbli-ca» di giovedì 25 luglio 2002 33, ha rischiato tuttavia digettare una cortina di fumo su questo fondamentaleprofilo delle riforme del mercato del lavoro. È stata unaoccasione mancata per fare chiarezza. Chiarezza nonsolo rispetto alla posizione e alle idee di Marco Biagi,artificiosamente quanto grossolanamente mistificate daScalfari, mediante una parziale pubblicazione del suointervento e di quello dei suoi interlocutori, ma ancherispetto agli scenari del dibattito politico italiano, prigio-niero di uno scontro muro contro muro, che rinfocola lepolemiche ed alimenta un generale clima di diffidenza erancore.

Non è mio compito ricordare la sua storia di giuristacattolico e riformista e il suo impegno progettuale, so-prattutto nelle città di Modena, Bologna e Milano, in

31 L. La Spina, Il giorno che Marco Biagi litigò con la Chiesa, in «LaStampa», 20 luglio 2002 e anche in www.csmb.unimo.it.

32 F. Debenedetti, Un’equità futura e improbabile vale l’iniquità presentee reale?, in «La Stampa», 23 luglio 2002 e anche in www.csmb.unimo.it.

33 Vedilo anche in www.csmb.unimo.it

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favore dei più deboli e dei soggetti esclusi dal mercatodel lavoro (anziani, immigrati, giovani). È del resto suf-ficiente una lettura integrale del testo trascritto dellaregistrazione della giornata del 25 gennaio 34 – che con-tiene una sintesi esemplare e di rara freschezza del pen-siero dell’ultimo Marco Biagi – per rigettare la rappre-sentazione fornita da Scalfari di un giurista sordo al dia-logo, di un riformista di basso profilo incapace di difen-dere le sue idee se non in forme assiomatiche.

Non solo aveva colto in quel momento di confrontocon l’ambiente della Chiesa a cui apparteneva – comebene intuito da monsignor Giancarlo Bregantini in chiu-sura dell’incontro del 25 gennaio – «la bellezza delladialettica, della passione, frutto dell’amore per la genteche abbiamo, frutto della fatica anche di chi vede tantagente senza lavoro oppure gente espulsa». Checché nepossano dire osservatori superficiali e fazioni come Scal-fari, Marco Biagi perseguiva una forma alta di riformi-smo nel campo delle politiche del lavoro e della occupa-zione. Una occupazione di qualità – scriveva, in uno deinumerosi passaggi maliziosamente tagliati da Scalfari –«che concili il grande aspetto della vita umana che è illavoro, ma anche gli altri aspetti ugualmente importanti;la vita familiare, la vita personale; potrò aggiungere inquesta sede: la vita e l’esperienza religiosa. Un lavoroche consenta all’uomo, alla donna, di realizzare piena-mente la loro personalità» 35.

Se davvero si vuole contribuire a fare chiarezza sucosa divide oggi la politica italiana in merito ai numerosie gravi problemi del mercato del lavoro occorre alloraritornare alla impostazione problematica e pluralistaofferta da Franco Debenedetti in merito ai complessirapporti tra logiche di mercato, impresa e tutele. Per

34 In www.csmb.unimo.it.35 Ibidem.

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limitarci all’incontro del 25 gennaio scorso, il confrontotra Marco Biagi e i delegati della pastorale del lavoroassume a ben vedere un significato simbolico, che vaben al di là del luogo comune di una endemica conflit-tualità tra le alte sfere della gerarchia paludata dellaChiesa e la base progressista e militante. Quel confrontoè in realtà solo un piccolo tassello nel cammino pastora-le della comunità cristiana; però rimane emblematico diuna passione, che animava tanto Marco Biagi quanto isuoi interlocutori, finalizzata a mettere in circolo la pro-gettazione teorica dell’estensore del Libro bianco con leidee e le valutazioni di chi, più di altri, ha il polso effet-tivo delle condizioni di sofferenza e disagio che attraver-sano il mondo del lavoro. Se la difficoltà di un dialogotra competenze ed esperienze così differenziate non vie-ne celata, nondimeno lo scambio serrato tra lui e i suoiinterlocutori attesta un anelito comune alla comprensio-ne delle opzioni di fondo che presiedono alle scelteoperative, senza nascondersi dietro alle formule e aidogmi, poiché si dirige al contenzioso reale di quantipopolano il mercato del lavoro e le fabbriche.

A una lettura integrale del dossier reso pubblicoemerge al riguardo una convergenza notevole. Nel-l’esposizione di Marco Biagi, ove illustra il fuoco idealedella proposta di riforma, viene espressamente indicatoche la chiave di volta della teorizzazione avanzata è unaidea di lavoro agganciata allo sviluppo integrale dellapersona, nel quadro di un vincolo sociale che non puòtralasciare gli individui non ancora rappresentati e tute-lati. Da qui l’approdo alle nuove frontiere della parteci-pazione dei lavoratori e della responsabilità sociale delleimprese. «Il compenso del lavoratore dipendente – af-ferma – è certamente un elemento determinante delloscambio, ma non è l’unico elemento di motivazione. Ècambiato il mondo del lavoro; c’è più cultura, si legge dipiù, si parla, la motivazione è data da fattori anche extra

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monetari e bisogna, quindi, realizzare questi aspetti, unodei quali è proprio quello che noi chiamiamo la demo-crazia economica, la partecipazione cioè le modalità percoinvolgere i lavoratori nei processi decisionali e anchein quelli finanziari; quindi parte del ritorno economicopuò essere dato anche coinvolgendoli nelle scelte di in-vestimento delle imprese stesse» 36.

Si può discutere del tratto utopico di questi proclamie della efficacia delle soluzioni proposte; però non sipuò negare che le preoccupazioni manifestate dai dele-gati della pastorale del lavoro vadano nella stessa dire-zione. L’appello alla salvaguardia degli strumenti di con-certazione e partecipazione per ovviare ad una riduzionemercantilistica della forza lavoro; il richiamo all’impattoculturale di una individualizzazione senza limiti del con-tratto che riduca il corpo sociale a mera somma di inte-ressi individuali; la denuncia della precarietà di unasoluzione lavorativa che disgiunga l’impiego retribuitoda un iter di formazione..., al di là della lucidità con cuisono stati formulati, sono dettati non da un manifestopolitico di parte, ma da una riflessione morale che ha acuore la persona nel suo vitale humus sociale.

La segnalazione della convergenza ha il vantaggio diliberare il tavolo dalle insinuazioni di faziosità precon-cette. Anche il più recente magistero pontificio, del re-sto, si astiene dal dogmatizzare una determinata figuradi società e di mercato; però si mostra risoluto – e, percerti aspetti, si direbbe quasi isolato – nel ricordare l’in-violabilità della persona umana e la responsabilità co-mune per il destino del mondo, in polemica direttacontro tutte le forme di sfruttamento e di alienazione,persino quelle camuffate dall’incantesimo consumista,alimentato da un capitalismo ingordo, ma anche con leforme di un antagonismo conflittuale a prescindere.

36 Ibidem.

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Magari a qualcuno potrà sembrare troppo facile evo-care i massimi sistemi, eppure non risponde ad una stra-tegia pilatesca mantenere distinti i livelli del discorso.Quando si evoca la questione morale nel dibattito sullavoro l’obiettivo è di tutelare il profilo di senso dell’agi-re dell’uomo: nel lavoro – pure quello negato, precarioo sommerso – ne va di lui e delle relazioni sociali checostituiscono la sua identità.

Anche per chi si ispira al Vangelo di Gesù l’immagi-nazione delle condizioni per costruire la città dell’uomosi presenta come una sfida. E una sfida sempre aperta,perché le condizioni storico-effettive non possono esseresemplicemente dedotte da un principio morale generale.

L’onere di una valutazione prudente non può essereassolto al di fuori di un concerto di competenze, chesuppone la disponibilità a quella mediazione e al dialogoa cui Marco Biagi si era sempre ispirato. Il cristiano nondispone di soluzioni prefabbricate, però partecipa conpassione all’elaborazione – anche per via di tentativi esperimentazioni – di una figura di società che, in quantofrutto di una sintesi storica, non si arroga i galloni del-l’immutabilità, però ambisce a prospettare un bene pra-ticabile. Questo è quanto ci ha lasciato in eredità.

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Un progetto che continua: dal Pattoper l’Italia alla Legge Biagi sulla riforma

del mercato del lavoro

Un importante punto di svolta

Il laborioso processo di modernizzazione del mercatodel lavoro italiano, su cui Marco Biagi ha lavorato negliultimi anni della sua breve vita, sembra ora essere ap-prodato a un importante punto di svolta con la sotto-scrizione, avvenuta venerdì 5 luglio 2002, del Patto perl’Italia. Contratto per il lavoro. Un patto che ha vistol’adesione del governo e di ben trentansei associazionirappresentative dei datori e dei lavoratori con la solarilevante eccezione della .

Dopo la pubblicazione del Libro bianco sul mercatodel lavoro, nell’ottobre 2001, e la brusca accelerazioneimpressa dal governo stesso con la immediata presenta-zione, nel mese di novembre 2001, di un disegno dilegge delega (il n. S. 848) di attuazione del progetto diriforma delineato nel Libro bianco, la discussione sulletematiche del lavoro aveva infatti subito una drasticafrenata nei primi mesi del 2002. Ciò anche a causa delfermo e compatto rifiuto del sindacato confederale diavviare il confronto sul merito delle questioni oggettodella delega, tra cui la contrastata riforma dell’articolo18 dello Statuto dei lavoratori in tema di tutela contro illicenziamento illegittimo.

Il successivo sciopero generale del 16 aprile 2002,

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promosso unitariamente da , e , aveva por-tato a un periodo di vero e proprio stallo istituzionale,favorito anche dalla delicata situazione politica: eranoinfatti prossime le elezioni amministrative, mentre l’ecodel brutale attentato terroristico in cui era caduto MarcoBiagi non si era ancora spento. Si era dunque ancoramolto lontani dall’auspicato e necessario avvio di unafase negoziale. Le parti sociali erano determinate a faredell’articolo 18 una pregiudiziale assoluta, mentre ilgoverno, per parte sua, non accennava a fare passi indie-tro.

I toni del confronto (ma sarebbe più giusto dire scon-tro) politico-sindacale – alimentati anche dalle vibrantipolemiche sorte a margine della pubblicazione di alcunelettere inviate ad amici e autorità, in cui Marco denun-ciava il clima di intimidazione personale e chiedeva inu-tilmente l’immediato ripristino della tutela 1 – stavanosuperando, giorno dopo giorno, ogni limite di decoro eciviltà. Forte era il rischio, in questa fase di stallo e vio-lenza verbale, di oltrepassare il livello di guardia.

Certo, quantunque fosse da tempo noto che si era piùvolte lamentato della mancata concessione di una scorta,era inimmaginabile che la pubblicazione delle sue letterepassasse sotto silenzio. Chi gli stava vicino era sorpresotuttavia di come tutti – dagli osservatori più distaccati aipolitici e sindacalisti coinvolti dalle polemiche – si fos-sero lasciati irretire in un vortice di accuse, diffamazioni,repliche e contro-repliche che poco sembravano giovarenon solo alla riforma del mercato del lavoro ma, primaancora, alla stessa stabilità del quadro politico-istituzio-nale e alla immagine del nostro paese.

L’attesa svolta si è avuta solo dopo le elezioni ammi-

1 Rinvio ancora una volta, per i fatti di pura cronaca, alla rassegna stampapubblicata sul sito internet del suo centro studi modenese (www.csmb.unimo.it).

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nistrative, nel maggio del 2002, quando, alla presenzadel presidente del Consiglio dei ministri, tutte le orga-nizzazioni datoriali e tutte le sigle sindacali, ad eccezio-ne della , hanno sottoscritto un verbale di intesa cheha aperto una nuova fase di dialogo tra governo e partisociali per le riforme sul mercato del lavoro. Si è cosìriaperta una intensa fase negoziale che, dopo non pochedifficoltà e tensioni politico-sindacali, ha segnato un si-gnificativo punto di svolta il 5 di luglio 2002, con lasottoscrizione del Patto per l’Italia 2, in anticipo di qual-che settimana rispetto al termine ultimo per una intesa,fissato da governo e parti sociali per il 31 luglio 2002.

È dunque ripreso... il dialogo tra le parti sociali

È dunque ripreso, dopo non poche battute d’arrestoe preoccupanti pause di riflessione, il dialogo tra le partisociali e, con esso, il difficile percorso di modernizzazio-ne del mercato del lavoro bruscamente interrotto con ilsuo assassinio.

È impossibile prevedere, allo stato, se si tratti o menodi una vittoria per il governo e per quanti lavorano nellaprospettiva di una definitiva modernizzazione del nostrodiritto del lavoro. Sicuramente lo è, invece, per le ideee la progettualità di Marco. L’accordo, infatti, recepiscenella sostanza, e porta a compimento, le principali pro-poste per una società attiva e per un lavoro di qualitàdelineate nel «suo» Libro bianco, ma già anticipate sulpiano operativo, come visto, nel corso della collabora-zione con Tiziano Treu e anche in talune sperimentazio-ni locali promosse da lui stesso nelle città di Bologna eModena e, soprattutto, nel suo «laboratorio» milanese.

2 Il testo del Patto per l’Italia è pubblicato sul sito internet del suo centrostudi modenese (www.csmb.unimo.it).

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Raggiunta l’intesa, dopo una laboriosa e non faciletrattativa, gli esponenti del governo più vicini a Marcoci hanno telefonato per darcene immediata comunica-zione e, anche, per dedicargli il patto. Conservo ancorail messaggio di posta elettronica con cui Paolo Reboani,impegnato con lui nel processo riformatore sin dai tem-pi di Tiziano Treu, mi ha inviato il giorno stesso il testodell’accordo appena raggiunto, frutto del lavoro comu-ne e di una passione senza confini. Nelle sue parole hotrovato la stessa grande amarezza e tristezza che, pocoprima, avevo percepito parlando al telefono con Mauri-zio Sacconi commosso e teso come il giorno in cui cisiamo incontrati nella caserma dei carabinieri di Bolo-gna, il giorno dopo la sua uccisione. Nelle parole nessunintento celebrativo, né un annuncio di vittoria politica...solo molta malinconia mista a un sentimento di pudicasoddisfazione nel vedere le idee e i progetti di Marcofare un concreto e decisivo passo in avanti.

L’insegnamento di Marco Biagipare dunque sostanzialmente recepito

Come il Libro bianco anche l’accordo raggiunto aluglio tra governo e parti sociali esprime una imposta-zione fortemente europeista, particolarmente attenta al-l’obiettivo, enunciato nei consigli europei di Lisbona edi Barcellona, dell’innalzamento del tasso di occupazio-ne.

Almeno nella impostazione programmatica dell’ac-cordo, l’insegnamento di Marco Biagi pare dunque so-stanzialmente recepito: l’Europa e il livello comunitarionon sono più subiti dagli attori nazionali firmatari allastregua di un vincolo, ma vengono invece valorizzati intermini di opportunità per gestire e governare il cambia-mento in atto. La convizione è che non sia oggi più

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possibile mantenere inalterato un sistema di diritto dellavoro e di relazioni industriali per vari aspetti non suf-ficientemente conforme alle indicazioni comunitarie ealle migliori pratiche presenti nell’esperienza comparata.

In questa prospettiva, una prima area di intervento,delineata nel Patto per l’Italia, è rappresentata dai servizipubblici per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.Il processo di riordino e modernizzazione degli stru-menti intesi a favorire l’inserimento al lavoro ovvero laricollocazione di soggetti rimasti privi di occupazione ègià stato efficacemente impostato da lui che, proprionegli ultimi giorni di vita, aveva concorso in prima per-sona alla stesura di uno schema di decreto legislativo sulcollocamento pubblico, che aveva poi presentato alleparti sociali in vista di una non agevole opera di media-zione. Tutte le sigle sindacali, compresa questa voltaanche la , hanno condiviso gli obiettivi e le tecnichedi tutela della occupazione suggerite e contenute nellabozza di decreto da lui messa a punto. Questo è lo sche-letro della riforma:– migliorare il sistema di diffusione delle informazionisul mercato del lavoro, in particolare quelle sui posti dilavoro vacanti, sui fabbisogni di personale, sulle possibi-lità di formazione rivolte ai giovani e ai lavoratori e,infine, sulle caratteristiche dei lavoratori disoccupati;– realizzare, unitamente a un processo di rimodulazionedella protezione accordata al lavoratore occupato, unsistema di tutela del lavoratore sul mercato del lavoro,assicurando un sistema di servizi all’impiego che, inte-grando e lasciando competere al tempo stesso operatoripubblici e privati, garantisca l’occupabilità;– procedere alla massima semplificazione delle proce-dure di collocamento, potenziando le azioni di preven-zione secondo percorsi individuali concordati con i sog-getti interessati;– promuovere sul libero mercato, in un regime di com-

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petizione e concorrenza tra i servizi pubblici e gli ope-ratori privati autorizzati, le attività di servizio ai lavora-tori e alle imprese nella mediazione tra domanda e offer-ta di lavoro.

Lo schema di decreto legislativo sul collocamentopubblico elaborato da Marco con la fondamentale col-laborazione di Sergio Rosato ed Eufranio Massi, dopo ilpassaggio rituale in Parlamento, è stato definitivamenteapprovato 3. Resta invece ora da ridisegnare l’intero seg-mento della intermediazione privata, ma anche in que-sto caso il percorso di riforma pare chiaramente già trac-ciato nel Libro bianco e in un suo scritto, di poco suc-cessivo, contenente un prezioso appunto per la riformadel sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro,che mi auguro presto di pubblicare in un commentariosulla disciplina giuridica del nuovo collocamento che,per l’ultima volta, porterà la firma di Marco Biagi 4.

Tutele attive e incentivanti

Una seconda area di intervento delineata dal Patto perl’Italia è costituita dalle misure di sostegno al reinseri-mento nel mercato del lavoro che ha come obiettivoquello di fornire al lavoratore un pacchetto di tuteleattive e incentivanti. Importante, in questa prospettiva,l’impegno a ridisegnare la materia alla luce del quadroistituzionale definito dal rinnovato titolo della Costitu-zione, relativo alla ripartizione delle competenze legisla-tive tra Stato e Regioni: una opportunità, quella delnuovo quadro giuridico-istituzionale federalista, preco-

3 Cfr. il decreto legislativo n. 19 dicembre 2002, n. 297.4 Cfr. M. Biagi, Intermediazione, interposizione, rapporti di lavoro. Appun-

ti per una riforma della disciplina vigente, in corso di pubblicazione per i tipidi Giuffrè.

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cemente intuita da Marco Biagi, come visto 5, ma cheancora oggi stenta a farsi largo nel dibattito sulle pro-spettive di riforma del mercato del lavoro e degli am-mortizzatori sociali in generale.

Ricordava in continuazione come il rinvio di questafondamentale riforma costituisse un gravissimo dannoper il nostro mercato del lavoro. E questo proprio men-tre altri paesi dell’Unione europea stavano provveden-do, sulla scorta delle indicazioni comunitarie, a rivedereil loro sistema di interventi di sostegno del reddito afavore dei disoccupati o comunque dei soggetti a rischiodi disoccupazione.

Grazie al suo impegno viene finalmente accolta l’ideadi introdurre anche nel nostro ordinamento una innova-zione semplice quanto efficace: nessuna forma di sussi-dio pubblico al reddito dovrà essere concessa se non afronte di precisi impegni assunti dal beneficiario secon-do un rigoroso schema contrattuale. L’erogazione diqualunque forma di ammortizzatore sociale dovrà d’orain poi basarsi su una sorta di «patto» con il percettore,affinché ricerchi attivamente una occupazione secondoun percorso anche di natura formativa concordato coni servizi pubblici per l’impiego.

La questione della revisione dell’articolo 18dello Statuto dei lavoratori

Vero è tuttavia che, almeno agli occhi della opinionepubblica, il punto centrale del Patto per l’Italia è rappre-sentato, ancora una volta, dalla questione della revisionedell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori di cui abbia-mo già parlato nel precedente capitolo. E questo proba-

5 Cfr. M. Biagi, Il lavoro nella riforma federale, in «Diritto delle RelazioniIndustriali», n. ????.

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bilmente perché è proprio su questo specifico puntoche, almeno formalmente, si è registrata l’ennesima rot-tura all’interno del fronte sindacale ponendo la inpolemica e contrapposizione con e . Al fine disostenere la crescita dimensionale delle imprese minori,le parti firmatarie del patto hanno concordato una dero-ga temporanea alle regole in materia di definizione delcampo di applicazione dell’articolo 18, che dispone l’ap-plicazione dell’istituto della reintegrazione in caso di li-cenziamento privo di giustificazione. Per un trienniotutti i nuovi assunti (anche se con contratto a tempoindeterminato) non entreranno nel computo dei dipen-denti.

Anche in questo caso l’ipotesi di intervento sull’arti-colo 18 dello Statuto dei lavoratori solleva rilevanti pro-blemi tecnico-giuridici e politici. La soluzione dei primi,invero, potrebbe aiutare a sgombrare il campo da pre-giudiziali ideologiche e di principio e aprire il terreno aun dialogo oggi gravemente compromesso da una con-trapposizione muro contro muro.

Per la soluzione di questo problema occorre sicura-mente premettere che non esiste una risposta univocanel nostro ordinamento giuridico alla questione dellalegittimità costituzionale o meno delle misure adottatedal governo. Se sarà investita della questione, la Cortecostituzionale svilupperà, come da giurisprudenza co-stante in materia, un giudizio caso per caso di ragione-volezza delle misure adottate e, dunque, un giudiziovolto a bilanciare gli interessi contrapposti in gioco.

Cioè detto, non si può tuttavia non rilevare che trat-tamenti differenziati tra imprese con pari numero diaddetti risultano già oggi presenti nel nostro ordinamen-to. Sono infatti esclusi dal computo, in merito alla deter-minazione delle soglie dimensionali cui è subordinatal’applicazione della tutela di cui all’articolo 18 Statutodei lavoratori, gli apprendisti, i lavoratori assunti con

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contratto di reinserimento, i lavoratori socialmente utili,i lavoratori parasubordinati, i tirocinanti e i borsisti, ilconiuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondogrado in linea diretta e in linea collaterale. Prima dellariforma della disciplina del licenziamento individualedel 1990 non si computavano neppure i contrattisti informazione e lavoro, mentre è discussa la computabilitàdei lavoratori a termine. Infine non viene computato illavoratore interinale, che pure svolge la sua prestazionepresso l’impresa utilizzatrice. A seconda che le impreseutilizzino o meno queste tipologie contrattuali possonodunque verificarsi già oggi diversi regimi di tutela incaso di licenziamento ingiustificato anche a fronte di unpari numero di persone addette al funzionamento di unadata impresa o unità produttiva.

In realtà, stando almeno alla giurisprudenza dellaCorte costituzionale, diversità di trattamento non sonoin sé e per sé discriminatorie, ma possono essere ammes-se se il diverso trattamento risulta giustificato nella com-parazione degli interessi in gioco. Occorre dunque valu-tare le finalità della misura che si intende adottare e, inparticolare, se essa risulta proporzionata, date le condi-zioni del mercato e i vincoli posti dall’ordinamento co-munitario, al perseguimento di dette finalità.

Da questo specifico punto di vista la misura ipotizzatadal governo ha per obiettivo il perseguimento di undiritto fondamentale e, precisamente, il diritto al lavorodi cui all’articolo 4 della Costituzione, là dove la Cortecostituzionale ha invece chiaramente e inequivocabil-mente affermato che la «stabilità reale» del posto dilavoro di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratorinon è un diritto fondamentale del lavoratore 6. Dirittofondamentale del lavoratore è, infatti, quello di non es-sere ingiustamente licenziato. Altra cosa, invece, sono le

6 Sentenza n. 36/2000.

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conseguenze (risarcimento e/o reintegrazione) del licen-ziamento privo di giustificazione che, secondo la CorteCostituzionale, rientrano nella piena discrezionalità dellegislatore ordinario.

Spetta al legislatore ordinario – afferma con nettezzala Corte costituzionale 7 – valutare tempi e modi di at-tuazione del diritto costituzionale al lavoro. Nulla vieta,dunque, al legislatore di perseguire il diritto fondamen-tale al lavoro di cui all’articolo 4 della Costituzione an-che attraverso altre forme eventualmente, come nel casoin esame, più sensibili ai diritti di chi non ha un lavoroo di chi oggi è imbrigliato nelle trappole del lavoro neroe irregolare: forme di non lavoro o di lavoro occultoche, secondo dati , riguarderebbe oggi circa il 23per cento della forza lavoro italiana con percentuali de-cisamente superiori rispetto ad altri ordinamenti doveinvece non esistono rigidità e disincentivi alla assunzio-ne regolare pari al nostro articolo 18. Questa condizionedel mercato del lavoro italiano, a cui si aggiungono tassidi disoccupazione tra i più alti in Europa e tassi di oc-cupazione per contro tra i più modesti in Europa, giu-stifica e rende ragionevole la sperimentazione propostadal governo.

Naturalmente occorre che la misura che si intendeadottare sia proporzionata. In questo caso, trattandosidi una misura di carattere sperimentale e temporanea,pare invero ragionevole che il governo persegua questaazione sollecitata del resto dalle autorità comunitarieche da tempo chiedono al nostro paese di innalzare itassi di occupazione regolare (pilastro della strategiaeuropea per la occupazione) e le dimensioni delle im-prese (pilastro della strategia europea per l’occupazio-ne). La misura, peraltro, è accompagnata dalla previsio-

7 Ibidem.

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ne di forme di monitoraggio, coerenti con la naturasperimentale del provvedimento.

Sul punto è in ogni caso intervenuta la Corte costitu-zionale che, con riferimento al non computo degli ap-prendisti, ha espressamente dichiarato la legittimità ditrattamenti differenziati tra imprese di analoghe dimen-sioni se giustificati dal perseguimento di obiettivi di ri-levanza costituzionale (nel caso di specie la tutela dellaoccupazione giovanile) e di durata limitata nel tempo 8.

Ciò rilevato sul piano della analisi tecnico-giuridica, sipotrà allora sostenere – e magari anche dimostrare, altermine della sperimentazione voluta dai firmatari delPatto per l’Italia – che la misura in questione è inutile opersino controproducente rispetto all’obiettivo dellacrescita dimensionale delle imprese e dei tassi di occu-pazione regolare. Alla luce di questa breve ricognizionedel quadro giuridico non si potrà tuttavia sostenere,neppure sul piano del confronto politico e sindacale,che detta misura ha carattere eversivo e anticostituziona-le, tanto più che, come noto, l’istituto della reintegrazio-ne non è generalmente previsto negli altri ordinamentieuropei. Senza avere presente questo dato tecnico-for-male, il confronto è inevitabilmente destinato ad alimen-tare un dialogo tra sordi e a degenerare in uno scontrosociale che non giova a nessuno: ai lavoratori e allepersone in cerca di occupazione così come al sistemaimprenditoriale del nostro paese che ha sicuramentebisogno di sostegni normativi per affrontare una compe-tizione internazionale sempre più agguerrita e talvolta,proprio sul versante delle tutele del lavoro, anche slealefino a dare luogo a vere e proprie forme di dumpingsociale che poco hanno a che vedere con forme di ipert-tutela analoghe a quella dell’articolo 18 dello Statuto deilavoratori.

8 Sentenza n. 181/1989.

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Uno Statuto dei lavori, quale testo unicosulla legislazione del lavoro

In attuazione del disegno di legge delega 848, presen-tato dal governo nel novembre 2001 grazie al generosoe instancabile lavoro di Marco e a un affiatatissimogruppo di riformisti guidato e animato da MaurizioSacconi, altre misure concordate nel Patto per l’Italiariguarderanno la flessibilizzazione dei contratti di lavo-ro, anche al fine di promuovere l’emersione del lavoroirregolare e contrastare quegli abusi, soprattutto rispettoal ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative,che spesso disincentivano il ricorso a rapporti di lavorosubordinato e di qualità. Un tema questo su cui si era datempo impegnato 9, mettendo a frutto le preziose espe-rienze maturate a sostegno di istituzioni e autorità locali.Nei primi giorni di marzo avevamo infatti messo a pun-to per la Commissione di emersione del lavoro irregola-re della provincia di Modena la prima parte di una cor-posa ricerca, poi ultimata nei primi giorni di settembredi questo anno, sui profili di criticità nella utilizzazionedei contratti di collaborazione 10.

Ancora una volta, dunque, gli esperimenti realizzatinei nostri piccoli laboratori locali erano serviti a traccia-re le linee generali di un percorso riformatore replicabi-le su scala nazionale. Proprio nell’ambito di questi studie sperimentazioni sulle nuove tipologie di lavoro eraemersa in lui la convinzione che ricorrere a schemi delpassato – perdipiù in crisi nella loro stessa area di appli-

9 Cfr., per l’impostazione teorica del problema, M. Biagi, M. Tiraboschi,Quale regolamentazione per le collaborazioni coordinate e continuative?, in«Guida al Lavoro», n. 9/2001.

10 Cfr. M. Biagi, M. Tiraboschi, C. Serra, Lavoro atipico, nuovi lavori eforme simulate di lavoro autonomo. Profili di irregolarità/criticità nella utiliz-zazione delle collaborazioni coordinate e continuative e delle collaborazionioccasionali, in Collana (www.csmb.unimo.it).

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cazione tradizionale – per disciplinare fenomeni nuovifosse una soluzione largamente inadeguata a esprimerele logiche dei moderni modi di lavorare e produrre.«Sebbene sperimentazioni a livello locale e aziendalesiano passaggi importanti nella maturazione di una sen-sibilità nuova nell’accostamento alla regolamentazionedel fenomeno dei nuovi lavori – scriveva recentemente –è certo che le parti sociali sono ora chiamate a unaoperazione di ben più ampio respiro, volta a concertarea livello centrale i tempi e le forme di una riforma com-plessiva del nostro diritto del lavoro, tale da dare defi-nitivamente corpo a una carta dei diritti del lavoro fran-tumato, intermittente e occasionale, perduto o non tro-vato. È l’idea, per la quale da tempo ci siamo espressi,dello Statuto dei lavori, che contrappone al dualismotradizionale tra lavoro autonomo e lavoro subordinatouna serie di tutele per cerchi concentrici e geometrievariabili a seconda del tipo di istituto da applicare» 11.

Particolarmente significativa è, da questo specificopunto di vista, la parte del Patto per l’Italia relativa aldialogo sociale, dove, a completamento delle riforme incorso e in modo da dare un quadro unitario, governo eparti sociali si impegnano appunto alla predisposizionedi uno Statuto dei lavori, quale testo unico sulla legisla-zione del lavoro, secondo i contenuti già da tempo trac-ciati da lui e di cui abbiamo già parlato nel capitolo cheprecede. A questo scopo viene istituita una commissionedi alto profilo scientifico per predisporne, si spera intempi ragionevolmente brevi, i relativi materiali.

Di questo abbiamo parlato a Perugia l’8 novembre2002, in un seminario internazionale in memoria diMarco organizzato dall’amico Marcello Signorelli, conTiziano Treu, Maurizio Sacconi, Natale Forlani, Luca

11 Biagi, Tiraboschi, Quale regolamentazione per le collaborazioni coordi-nate e continuative?, cit., p. 18.

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Meldolesi e altri amici e colleghi stranieri, chiamati a unconfronto sul futuro del diritto del lavoro e sulle nuovetecniche di tutela, proprio nella prospettiva dello Statutodei lavori 12.

Un progetto che prosegue

Un progetto che prosegue, dunque, lungo alcunedelle linee riformatrici tracciate da Marco Biagi. Anchese, va detto, lo scenario che su cui si muove questoennesimo tentativo di modernizzazione del mercato dellavoro italiano non pare tra i più tranquilizzanti. Il rifiu-to della di sottoscrivere il Patto per l’Italia, in unocon la grave rottura della unità di azione del movimentosindacale, lasciano presagire nuove polemiche e un nonfacile iter procedurale per il processo di riforma.

L’assenza della è a maggior ragione più preoccu-pante perché, dopo riforme striscianti e parziali, è statoora realmente delineato un disegno unitario e comples-sivo di rivisitazione delle logiche e degli assetti di tuteladel diritto del lavoro italiano. L’ambizioso progetto diriforma contenuto nel Libro bianco, attraverso la codifi-cazione di uno Statuto dei lavori, supera infatti le logichecompromissorie delle riforme avviate nel corso deglianni ottanta e novanta, che hanno dato luogo, il piùdelle volte, a provvedimenti tampone ovvero a meriesercizi di manutenzione/adattamento di alcuni istitutidel diritto del lavoro, come tali inadeguati a governaregli sviluppi dei moderni modi di lavorare e produrre.

Al momento non è dato tuttavia di capire se la stre-nua opposizione della frenerà il processo riforma-tore o se, invece, il governo riuscirà, attraverso il soste-

12 Gli atti del seminario sono in corso di pubblicazione per i tipi della di Napoli.

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gno di e , ad avviare un percorso lineare per ilprogressivo raggiungimento degli obiettivi fissati nelpatto. Sarebbe tuttavia davvero auspicabile, a questopunto, che venisse accolta fino in fondo la spinta inno-vatrice e modernizzatrice di Marco Biagi, che impone diuscire definitivamente da una logica di un confrontoviziata dalla pregiudiziale ideologica e da ingiustificareresistenze al cambiamento. In questa prospettiva, unprezioso aiuto potrebbe venire dal capitolo finale delPatto per l’Italia, dedicato al dialogo sociale, e dove siaccoglie fino in fondo questa sfida già lanciata con ilLibro bianco e, prima ancora, con il progetto riformato-re del governo di Romano Prodi: definire cioè uno Sta-tuto dei lavori attraverso cui procedere a una definitivarimodulazione degli assetti del diritto del lavoro volta ariequilibrare le tutele nel mercato e quelle nel rapportodi lavoro.

Molto lavoro resta tuttavia ancora da compieresul piano culturale

Venerdì 5 febbraio 2003 il Senato ha approvato in viadefinitiva – grazie anche al fondamentale contributo diMaurizio Sacconi, che ha difeso con passione e determi-nazione le idee e la progettazione di Marco Biagi – ildisegno di legge delega n. 848 in materia di occupazionee mercato del lavoro. Con il sì del Parlamento è statocompiuto non solo un importante passo in avanti perl’attuazione degli impegni contenuti nel Patto per l’Ita-lia, ma è stato anche reso un doveroso omaggio allaelaborazione di Marco Biagi che vede ora un importantesbocco pratico e operativo.

La soddisfazione per il risultato raggiunto non aiuta alenire un dolore e una ferita che rimarranno sempreaperti nel cuore di chi, con lui, ha lavorato a questo

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progetto. Ma almeno si ha la consapevolezza che il suosacrifico non è stato invano: i terroristi non hanno po-tuto uccidere le sue idee e quanto di buono in esse viera. Grazie alla progettualità di Marco sono così stateposte le giuste premesse per la realizzazione di un siste-ma efficace e coerente di strumenti intesi a garantiretrasparenza ed efficienza al mercato del lavoro, con in-novazioni di un certo rilievo rispetto al testo approvatoin prima lettura dal Senato. Accanto a misure di soste-gno ai servizi privati per l’impiego vengono opportuna-mente valorizzati anche taluni soggetti pubblici, quali leuniversità e gli enti locali, che potranno ora essere accre-ditati per l’intermediazione tra domanda e offerta dilavoro. Parallelamente a importanti misure volte aestendere le possibilità di utilizzo del lavoro a tempoparziale e di altre tipologie contrattuali flessibili, tra cuile prestazioni a progetto, il lavoro a chiamata e la som-ministrazione di manodopera a tempo indeterminato, siintroducono modifiche di particolare rilevanza al lavorocooperativo, con l’obiettivo di sancire la preminenza delrapporto associativo su quello di lavoro. Particolare at-tenzione è infine rivolta al profilo della parità uomo-donna, mediante ampio coinvolgimento del Ministeroper le pari opportunità nel processo di attuazione delledeleghe.

L’elaborazione progettuale di Marco Biagi ha dunqueconsentito di definire e portare a compimento un ambi-zioso progetto riformatore, inimmaginabile solo finopochi mesi fa, quando il clima politico e l’opposizionesindacale alle riforme dell’articolo 18 sembravano averedefinitivamente ristretto l’orizzonte delle riforme possi-bili. Una volta approvata la legge, non credo davvero sipossa negargli il giusto tributo, ricordando questa rifor-ma con il nome di Legge Biagi.

Chi realmente crede nel progetto di modernizzazionedel mercato del lavoro intrapreso da lui non può tutta-

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via ancora ritenersi pienamente soddisfatto. E questonon solo perché, nel corso del dibattito parlamentare, ècaduto nel vuoto l’invito formulato dal ministro delwelfare, Roberto Maroni, a una maggiore collaborazionetra maggioranza e opposizione rispetto a misure di inte-resse generale per il paese. I tempi tecnici di discussionedi quello che, giova ricordare, era un testo collegato allafinanziaria dello scorso anno, hanno reso oggettivamen-te difficile, anche se politicamente non impossibile, iltentativo di aggregare un consenso più ampio sulla rifor-ma.

A destare sconcerto e preoccupazione, nel confrontoparlamentare, è stata piuttosto l’ennesima battaglia ide-ologica: una battaglia che, almeno dopo l’approvazionedel Pacchetto Treu, era logico ritenere non venisse piùriproposta, quantomeno in modo così esteso, facendoperaltro alcuni proseliti anche tra i banchi della maggio-ranza. Sarà stata forse colpa dei tempi contingentati adisposizione dei parlamentari. Sarà stata anche l’estremacomplessità della materia sul piano tecnico. Fatto stache, più che nel merito delle singole proposte, il dibat-tito in aula si è concentrato in modo insistente sullalegittimità morale, prima ancora che giuridica, dell’im-piego nel testo del provvedimento di una locuzione,quella di «somministrazione di manodopera», ampia-mente acquisita nel dibattito scientifico e fortementevoluta da Marco Biagi, ma a quanto pare ancora pocomasticata al di fuori degli ambienti accademici. Nominasunt consequentia rerum, è stato detto alla Camera conriferimento ai principi e criteri direttivi dettati in mate-ria di somministrazione di manodopera. Una espressio-ne semantica spregiativa e di matrice «farmacologica» –è stato addirittura aggiunto da un deputato – dietro cuisi nasconderebbe un ben più radicale progetto di libe-ralizzazione di forme di speculazione parassitaria voltealla mercificazione del lavoro.

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Affermazioni disarmanti, che gettano un’ombra sullaelaborazione progettuale di Marco Biagi prima ancorache sui contenuti della proposta di riforma del mercatodel lavoro del governo. Anche dopo le più che positiveprove fornite, sul versante della ottimizzazione dei cana-li di incontro tra domanda e offerta di lavoro, dalleagenzie di somministrazione di manodopera legalizzatecon il pacchetto Treu 13, gli intermediari privati ancoraoggi continuando ad essere additati alla stregua dei nou-veaux marchands d’hommes. Così, mentre una recentebozza di direttiva comunitaria, resa pubblica proprio il20 marzo 2000 14, si propone di richiedere agli Statimembri di sopprimere tutti gli ostacoli e i divieti allasomministrazione di lavoro temporaneo, in Italia il di-battito sulla modernizzazione del mercato del lavoro sitrova ciclicamente invischiato in battaglie culturali di re-troguardia che non poco incidono sull’impegno alla in-novazione e al cambiamento di quanti cercano di com-battere le vere forme di sfruttamento e mercificazionedel lavoro alimentate dalla rigidità del quadro legalevigente.

Sarebbe invero bastato entrare nel merito del provve-dimento per verificare che la somministrazione di mano-dopera di cui si parla – e di cui parlava Marco Biagi, cheè stato l’estensore materiale di questo provvedimento –non incide sulla tutela del lavoratore e della sua dignità.Un invalicabile presidio, a questo fine, è rappresentato

13 Cfr. M. Biagi, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazio-ne dei rapporti di lavoro, in «Riv. It. Dir. Lav.», n. .../2001.

14 Questa proposta di direttiva sulla somministrazione di prestazioni dilavoro temporaneo è un documento che Marco aspettava con impazienza davarie settimane. Marco aveva più volte richiesto a Clara Mughini, della rap-presentanza italiana presso la Commissione europea, notizie su questa propo-sta legislativa, da tempo preannunciata, in quanto avrebbe a suo giudizio resopiù agevole il processo di revisione della disciplina italiana in materia disomministrazione di manodopera. La bozza di direttiva, come detto nel testo,è stata pubblicata dalla Commissione il giorno dopo l’assassinio di Marco.

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tra i criteri della delega dal rispetto dei diritti inderoga-bili del prestatore di lavoro.

Che la somministrazione non sia identificabile conl’idea di speculazione parassitaria sul lavoro altrui è delresto dimostrato dal principio di parità di trattamento,anch’esso contenuto nella delega sulla falsariga del restodi quanto già previsto per il lavoro interinale. Assicuratala parità rispetto ai lavoratori dell’impresa utilizzatrice,il margine di lucro dell’intermediario non potrà infattiche basarsi sulla capacità di fornire in modo tempestivoe professionale prestazioni di lavoro che sarebbero altri-menti più onerose per la singola impresa, che si caratte-rizzano per particolari contenuti o qualità o che, comun-que, trovano una giustificazione in ragioni tecniche, or-ganizzative o produttive. L’utile ricavato dall’impresa disomministrazione, in questi casi, si giustifica allora comeprofitto in ragione della assunzione di un rischio tipicod’impresa, ed è questo un ulteriore criterio contenutonella delega.

Dal dibattito svoltosi in Parlamento sulla legge Biagisi può trarre una unica conclusione. I tempi della mo-dernizzazione della disciplina del mercato del lavoro,per cui Marco ha speso gli ultimi mesi della sua vita, sifanno ora indubbiamente più vicini. Molto lavoro restatuttavia ancora da compiere sul piano culturale, che èpoi il fronte su cui verrà giocata la battaglia decisiva peravviare concretamente la riforma del nostro mercato dellavoro da lui auspicata. Ed è proprio su questo terreno,più che su quello della mera redazione di un testo dilegge, che la mancanza di uomini determinati e illumina-ti come Marco si farà più sentire.

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L’eredità in un «progetto»

Una fondazione universitaria a lui intitolata

Il 19 settembre 2002, esattamente sei mesi dopo ilbrutale assassinio di Marco Biagi, l’ateneo di Modena eReggio Emilia ha inaugurato, in occasione di questa tri-ste ricorrenza, una fondazione universitaria a lui intito-lata. Non v’è stato alcun intento celebrativo né alcunospazio per la retorica, e non poteva essere diversamente.Il progetto della fondazione vuole essere, molto piùsemplicemente, un primo passo concreto per contribu-ire, assieme ai ricercatori del Centro studi internazionalie comparati Marco Biagi, a non disperdere l’immensopatrimonio di idee e il peculiare metodo di lavoro che,come ha così bene ricordato Gianni Letta nel commo-vente discorso di chiusura della cerimonia, ci ha lasciatiin eredità e spetta ora a noi portare avanti.

Molte parole sono state spese, in questo breve maintenso arco di tempo, per ricordare il suo impegnoscientifico e progettuale. Un intellettuale riformista epragmatico, come abbiamo visto, fortemente impegnatosui temi del mercato del lavoro e della occupazione, e acui è stata tolta la gioia di apprezzare i frutti di un in-stancabile e generoso lavoro al servizio delle istituzionie della società civile. In questi mesi abbiamo preso con-fidenza con il precorso di modernizzazione del mercato

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del lavoro tracciato nel «suo» Libro bianco e abbiamoiniziato a familiarizzare con l’intuizione, coltivata sin daitempi della collaborazione con Tiziano Treu, di unoStatuto dei lavori.

Gli osservatori più attenti hanno riconosciuto nonsolo la sua marcata sensibilità verso i temi della innova-zione e del cambiamento, ma anche l’onestà intellettualecon cui si era messo al servizio del processo di moder-nizzazione del mercato del lavoro 1. Coraggiose espe-rienze pilota, come quella di Milano lavoro, ci hannoinsegnato che il motore di rinnovate relazioni industrialipuò e deve nascere anche dal basso, mediante la diffu-sione delle migliori prassi espresse dal territorio.

Poco è stato detto, invece, del suo caratteristico me-todo di lavoro: della capacità di credere e investire neigiovani, della sua spiccata attitudine, cosa rara tra i giu-risti, alla ricerca e al lavoro di gruppo. Marco si è sem-pre impegnato per il successo di una scuola di pensiero,per la diffusione di una nuova cultura del lavoro e dellerelazioni industriali. Un progetto tanto ambizioso e co-raggioso non poteva essere legato a una sola persona.Questo lo sapeva bene. È per questo che, soprattuttonegli ultimi anni, si era speso, con un entusiasmo quasigiovanile e notevole dispendio di energie, per costituireun centro di ricerca per gli studi internazionali e com-parati attraverso cui far dialogare, al servizio di quelloche chiamava «il progetto», le più importanti scuolegiuslavoristiche presenti non solo in Europa ma anchenegli Stati Uniti, Canada e Giappone.

1 Tiziano Treu, in particolare, ha pubblicamente dato atto della onestàintellettuale con cui Marco Biagi continuava a lavorare, pure al servizio di unaltro governo, e della continuità del suo impegno: «una continuità che rico-nosco rispetto ad elaborazioni svolte insieme negli anni passati, anche se, nonho condiviso tutti i risultati a cui arrivava. Lo rassicuravo, io personalmente,che le persone obiettive riconoscevano la sua posizione, la sua onestà madovevo contemporaneamente consolarlo della sofferenza che gli procuravanole critiche faziose». Così T. Treu, In ricordo di Marco Biagi, in «Diritto delleRelazioni Industriali», n. 3/2002, pp. 359-360.

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Questo gruppo di giovani ricercatori, pur tragicamen-te colpito negli affetti e nella guida e non senza difficol-tà, ha continuato il lavoro sulla strada tracciata dalmaestro. Grazie al sostegno dell’ateneo di Modena eReggio Emilia e agli amici di , tutte le più impor-tanti iniziative, non solo editoriali e convegnistiche, sonostate onorate e sono stati messi in cantieri nuovi e am-biziosi progetti. Il 18 ottobre 2002 è stato anche orga-nizzato, con la generosa collaborazione di amici e colle-ghi di ogni provenienza accademica e culturale, un semi-nario in ricordo di Marco in cui molto pragmaticamen-te, come a lui piaceva, è stata ripercorsa da autorevolicommentatori e dai principali protagonisti del nostrosistema di relazioni industriali la stagione di riformeaperta con il patto di Milano e ora rafforzata con il Pattoper l’Italia 2. Un primo passo concreto per continuare afare di Modena un luogo di confronto e discussione suitemi delle relazioni industriali, mantenendo dunque invita quello spirito e quel clima che si poteva respiraresotto la sua guida.

Si gettano ora le basi per continuare ad alimentaresedi di incontro e riflessione sulle relazioni industriali

e sulle politiche del lavoro in Italia e in Europa

La sensibilità del mondo accademico giuslavoristicoitaliano e internazionale ha consentito, anche grazie alladisponibilità e al coraggio dei suoi editori, di mantenerein vita le due riviste da lui dirette: «Diritto delle Relazio-ni Industriali» (Giuffrè) e l’«International Journal ofComparative Labour Law and Industrial Relations»(Kluwer). Da tempo è stato progettato un corso di lau-

2 Gli atti sono in corso di pubblicazione sul n. 1/2003 della rivista «Di-ritto delle Relazioni Industriali».

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rea specialistico biennale, di secondo livello, avente peroggetto lo studio dei rapporti di lavoro e delle regole/pratiche di gestione delle risorse umane denominatoRelazioni di lavoro, a cui probabilmente si affiancherà incollaborazione con Italia Lavoro spa, guidata da un altroamico di Marco, Natale Forlani, un master universitariosu Employability & Placement. Il Ministero della univer-sità e della ricerca scientifica, grazie al sostegno del ret-tore e del direttore amministrativo dell’ateneo modenesee reggiano, ha assicurato l’attivazione di un dottoratointernazionale di ricerca attraverso cui alimentare il con-fronto e la ricerca internazionale che Marco aveva datempo avviato.

Con la fondazione universitaria, che si affiancherà alCentro studi internazionali e comparati Marco Biagi ead , si gettano ora le basi per continuare ad ali-mentare sedi di incontro e riflessione sulle relazioni in-dustriali e sulle politiche del lavoro in Italia e in Europa.L’obiettivo è quello di concorrere, con i suoi giovaniallievi e con nuovi collaboratori che vorranno via viaaggregarsi, alla creazione di un centro di eccellenza alivello europeo per lo scambio e la diffusione di bestpractices nell’ambito delle politiche di promozione dellaoccupazione. Uno scambio di idee e migliori praticheche aiuti il dialogo sociale a tutti i livelli – comunitario,nazionale, locale – con specifico riferimento ai nuovimercati del lavoro e alla attuazione in ambito nazionaledegli orientamenti comunitari in materia di occupabili-tà/adattabilità.

Marco Biagi è stato protagonista della nostra vita

Marco Biagi è stato un protagonista dei nostri tempi,non certo uno spettatore. In un arco di tempo relativa-mente breve ha compiuto opere di impressionante valo-

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re e importanza. Lo capiremo meglio nei prossimi anni,quando la sua progettazione sarà adeguatamente valo-rizzata, anche se già molti, in taluni casi con vistoseretromarce, hanno puntualmente sottolineato il suo in-tenso e fecondo dialogo con le istituzioni e le autoritàpolitiche a ogni livello: comunitario, nazionale e locale.

Quello che a me preme sottolineare, in conclusione diquesto ricordo, è che Marco Biagi è stato protagonistadella nostra vita. L’incontro con lui ci ha profondamen-te cambiati e ha lasciato un seme che presto germoglie-rà. Sicuramente continuare in questa opera di «protago-nisti», ognuno con le proprie inclinazioni e specificità diimpegno, è la risposta che dobbiamo dare alla sua scom-parsa, e questo a maggior ragione per la brutalità e as-surdità con cui una vita ancora giovane è stata strappataall’affetto dei suoi cari e dei suoi allievi. Come ebbe ascrivere nel ricordo di Federico Mancini, «certo è que-sto che il maestro si sarebbe aspettato da tutti noi» 3.

Non solo. Credo che la «cometa» Marco Biagi debbaaiutarci a capire anche altro, ben oltre il diritto e lamodernizzazione del diritto del lavoro in particolare.Spero davvero che il suo sacrificio non sia stato inutileper noi, come persone, come uomini, troppo spessocondizionati da miserie ed egoismi che non ci aiutano adapprezzare fino in fondo la bellezza delle vita e dellepersone che ci circondano e che ci vogliono bene. Vor-rei davvero che la malinconia che colora tutte le nostreespressioni del volto si rigenerasse e trasformasse in unimpegno concreto, umile, a rendere ancora una volta unpoco più decente la nostra vita e quella di quanti ciaccompagnano in questo misterioso, troppo spesso cru-dele, percorso.

3 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista «progettuale», The JohnsHopkins University Bologna Center, n. 8/2001.

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Marco Biagi è nato a Bologna il 24 novembre 1950

Diplomato al liceo ginnasio «Luigi Galvani», si laurea ingiurisprudenza a Bologna, a ventidue anni, con il massimo deivoti e lode, relatore Giuseppe Federico Mancini. Nei giorniimmediatamente successivi alla laurea vince una borsa di stu-dio di perfezionamento in diritto del lavoro a Pisa, sotto laguida di Luigi Montuschi. Entra nella redazione della rivista«Quale Giustizia» con Federico Governatori.

Dal 1974 è contrattista di materie privatistiche presso laFacoltà di giurisprudenza di Bologna, poi presso l’Universitàdi Pisa, sempre con Luigi Montuschi, e ancora dopo pressol’Università di Modena. Negli anni successivi è professorenell’Università della Calabria e nell’Università di Ferrara. Nel1984 vince il concorso a cattedra ed è chiamato come straor-dinario di diritto del lavoro e di diritto sindacale italiano ecomparato dall’Università di Modena, presso il Dipartimentodi economia aziendale. Dal 1987 al 2002 è ordinario presso lamedesima Facoltà di economia.

Dal 1986 fino al 2002 è anche Adjunct Professor di Com-parative Industrial Relations presso il Dickinson College emembro dell’Academic Council della Johns Hopkins Univer-sity, Bologna Center. Dal 1988, e fino al 2000, è direttorescientifico di International, istituto di ricerca e forma-zione della Lega delle cooperative. Nel 1991 fonda a Modena,presso il Dipartimento di economia aziendale dell’Università,il Centro studi internazionali e comparati inaugurando un

Breve nota biografica di Marco Biagi(Bologna 1950 - 2002)

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progetto di ricerca innovativo nel campo del lavoro e dellerelazioni industriali.

All’inizio degli anni novanta diviene consulente della Com-missione europea – Divisione generale (Relazioni industriali,occupazione), inizia la collaborazione con la Fondazione diDublino per il miglioramento delle condizioni di vita e dilavoro, e assume l’incarico di corrispondente per l’Italia delJapan Labour Institute.

Nel 1993 è nominato membro della Commissione ministe-riale di esperti per la riforma della normativa sull’orario dilavoro. Sempre nel 1993 e fino al 2002 è adjunct professor didiritto e politica delle Comunità europee presso il DickinsonCollege, Bologna Center for European Studies. In quell’annodiviene anche commentatore sui problemi del lavoro e rela-zioni industriali per i quotidiani Il Resto del Carlino, Il Gior-no e La Nazione.

Dal 1994 è presidente della , l’Associazione italianaper lo studio delle relazioni industriali fondata nel 1968 daGino Giugni e Tiziano Treu, e consulente dell’Organizzazio-ne internazionale del lavoro, con riferimento alle problemati-che dell’ambiente di lavoro.

Dal 1995 insieme a Luciano Spagnolo Vigorita è direttoredella rivista «Diritto delle Relazioni Industriali», edita daGiuffrè. Dal 1995 è anche commentatore sui problemi dellavoro e delle relazioni industriali per il quotidiano «Il Sole24-Ore».

Sempre nel 1995 diventa consigliere del ministro del lavoroTiziano Treu. Nel 1996 viene nominato presidente della Com-missione di esperti per la predisposizione di un testo unico inmateria di sicurezza e salute sul lavoro, costituita presso ilministero del lavoro e coordinatore del gruppo di lavoro perla trattazione dei problemi relativi ai rapporti internazionalidel ministero del lavoro.

Nel 1997 è nominato rappresentante del governo italianonel Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro del-l’Unione europea, ed esperto designato dall’OrganizzazioneInternazionale del lavoro per assistere il governo della Repub-blica di Bosnia-Erzegovina nella progettazione di una nuovalegislazione del lavoro. Sempre nel 1997 assume anche l’inca-rico di consigliere del presidente del Consiglio Romano Prodi.

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Nel 1998 è nominato consigliere del ministro del lavoro,Antonio Bassolino e consigliere del ministro dei trasporti,Tiziano Treu. Da quell’anno è membro del consiglio di ammi-nistrazione della Fondazione di Dublino per il miglioramentodelle condizioni di vita e di lavoro, in rappresentanza del go-verno italiano.

Dal 1999 è vice-presidente del Comitato per l’occupazionee il mercato del lavoro dell’Unione europea e membro dellatask force per gli scioperi durante il Giubileo, coordinata dalsottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Marco Minniti.Nel 1999 è anche consigliere del ministro per la funzionepubblica, Angelo Piazza. Sempre nel 1999 diviene managingeditor della rivista «The International Journal of ComparativeLabour Law & Industrial Relations», edita da Kluwer LawInternational.

Dal 2000 è consulente dell’assessore al lavoro del Comunedi Milano, Carlo Magri, e consulente dell’Assessore ai servizisociali del Comune di Modena, Sergio Caldana. Nel 2000fonda - Associazione di studi internazionali e comparatisul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali, che aggregatutte le principali associazioni di rappresentanza dei lavoratorie dei datori di lavoro, con la sola eccezione della . Semprenel 2000 viene nominato membro del comitato scientificodella «Rivista Italiana di Diritto del Lavoro».

Dal 2001 è consulente del ministro del welfare, RobertoMaroni, e del presidente della Commissione europea, Roma-no Prodi. Sempre nel 2001 viene nominato componente delGruppo di alta riflessione sul futuro delle relazioni industriali,istituito dalla Commissione europea, e membro del comitatoscientifico di Italia Lavoro spa, agenzia tecnica strumentaledel Min istero del lavoro per le politiche attive del lavoro.

Dal febbraio 2002 è membro del comitato scientifico del-l’Osservatorio lavoro di - Agenzia di ricerche e legislazio-ne.

Marco Biagi muore a Bologna la sera del 19 marzo 2002,all’età di 51 anni, vittima di un attentato terroristico delleBrigate rosse.

Marco Biagi ha pubblicato numerosi scritti nel campo del

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diritto del lavoro e delle relazioni industriali italiane e compa-rate. Una selezione di scritti in lingua italiana è pubblicata inL. Montuschi, M. Tiraboschi, T. Treu (a cura di), Marco Bia-gi. Un giurista progettuale, Giuffrè, Milano, 2003. I principaliscritti in lingua inglese sono invece raccolti in M. Tiraboschi(ed.), Marco Biagi - Selected Writings, Kluwer Law Internatio-nal, 2003.

Tra le opere monografiche e i volumi da lui curati vannoricordati:

La dimensione dell’impresa nel diritto del lavoro, Angeli,Milano, 1978

Cooperative e rapporti di lavoro, Angeli, Milano, 1983Democrazia e diritto. Il caso inglese del Trade Union Act

1984, Giuffrè, Milano, 1986Rappresentanza e democrazia in azienda. Profili di diritto

sindacale comparato, Maggioli, Rimini, 1990Politiche per l’immigrazione e mercato del lavoro nell’Euro-

pa degli anni ’90, Maggioli, Rimini, 1992Il diritto dei disoccupati, Giuffrè, Milano, 1996Mercati e rapporti di lavoro – Commentario alla legge 24

giugno 1997, n. 196, Giuffrè, Milano, 1997Il lavoro a tempo parziale, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000Job Creation and Labour Law, Kluwer Law International,

2000Towards a European Model of Indusrial Relations, Kluwer

Law International, 2001Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2001Il nuovo lavoro a termine, Giuffrè, Milano, 2002Quality of Work and Employee Involvement in Europe,

Kluwer Law International, 2002

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Dello stesso autorenella collana «Romanzi e racconti»Il ragazzo Celeste

nelle «Farfalle»L’ultimo giorno

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