Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

35

description

Fred M., fantascienza. Siamo nel 3505, l’umanità da secoli vive e prospera in venti colonie disseminate nella lontana galassia di Esperia. Solo su Deep Silver, un’ex colonia detentiva divenuta una sorta di porto franco per l’illecito, le cose non vanno per il meglio. La dittatura militare, ad opera dei discendenti dei secondini, ne soffoca la numerosa popolazione e spegne ogni sentimento di rivolta, mentre la casta dominante vive nel lusso più sfrenato in una gigantesca piramide inespugnabile. Un giorno, però, compare un vagabondo che, cercando di dare un senso alla sua vita, si ritroverà direttamente coinvolto con il destino del pianeta e a combattere per la sua liberazione. Deep Silver è un romanzo corale in cui svariati personaggi e le loro storie si intrecciano, sfociando in un unico e imprevedibile finale. È il primo capitolo di una saga di genere fantastico in cui fantascienza e fantasy si fondono con sublime armonia.

Transcript of Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

Page 1: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio
Page 2: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

In uscita il 22/7/2016 (15,00 euro)

Versione ebook in uscita tra fine agosto e inizio settembre 2016

(4,99 euro)

AVVISO

Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita.

La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi

preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione

dell’anteprima su questo portale.

La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.

Page 3: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

FRED M.

DEEP SILVER L’ULTIMO DIO

LIBRO I

www.0111edizioni.com

Page 4: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

www.0111edizioni.com

www.quellidized.it

www.facebook.com/groups/quellidized/

DEEP SILVER Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-9370-011-5 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Luglio 2016 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

Page 5: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

3

PROLOGO Sul finire del 2000 d.C., il pianeta Terra era destinato a spegnersi e la sua popolazione aveva raggiunto un numero tale da dover cercare nuovi mondi in cui vivere. Iniziò così una nuova era e alle porte del 3100 erano già venti le colonie umane disseminate nello spazio, nella lontana galassia di Esperia, mentre sulla Terra non rimase altro che cenere. Erano mondi ospitali e pieni di vita quelli in cui si rifugiarono oltre 15 miliardi di terrestri e così la specie sopravvisse, anzi, si moltiplicò, e con essa si moltiplicarono i criminali. La razza umana, dopo la fuga dalla Terra, decise di vivere in pace e approfittare di questo nuovo inizio per ricominciare senza ripetere gli orrori passati ma, ahimè, il male poteva solo essere nascosto, non debellato. Il Consiglio di Esperia, l'assemblea che governava le colonie e garantiva la pace, decise così di trasferire tutti i criminali maschi su un pianeta, Deep Silver. Lì, tra le miniere di argento (essenziale per navigare nell'interspazio), venne istituita una colonia detentiva permanente che nessuno poteva lasciare; non esisteva grazia o fine della pena su Deep Silver, esistevano solo lavoro e morte. Assieme ai criminali c'erano anche migliaia di secondini con le loro famiglie che vivevano tranquilli e nell'agio, in una sorta di città-fortezza, inespugnabile, dalla quale comandavano i detenuti e coordinavano i lavori nelle miniere, tale roccaforte venne chiamata “Piramide”. Con il passare degli anni la domanda di minerali aumentò ma i prigionieri diminuirono, molti di loro morivano di vecchiaia, altri di fatica, altri ammazzati … pochissimi erano i nuovi arrivi. A causa della fama di Deep Silver, e alla “Depurazione” messa in atto, nessuno tentava più la via dell'illecito e la pace ormai regnava in tutte e venti le colonie. Il Consiglio di Esperia decise quindi di trasferire delle donne sul pianeta per aiutare a popolarlo in maniera permanente e garantire così costante forza lavoro.

Page 6: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

4

Vennero inviate detenute prese dalle poche prigioni femminili sparse nelle colonie ma erano poco più di un migliaio, perciò gli scienziati esperiani furono costretti a “Coltivare” femmine di uomo artificialmente usando il DNA dei detenuti. Così, sul finire del 3200, la colonia detentiva di Deep Silver aveva una popolazione attiva di circa un miliardo di persone e, mentre gli abitanti aumentavano, anche il potere dei secondini aumentò, a tal punto da azzardare pretese e assurde richieste al Consiglio di Esperia. Avvenne dunque che i discendenti delle guardie carcerarie, che per oltre un secolo e mezzo avevano governato il pianeta e i sui abitanti, iniziarono a dimostrarsi ostili verso le colonie sfruttatrici e con un comunicato proclamarono la loro indipendenza. I detenuti appoggiarono i secondini, speranzosi così di ottenere libertà o addirittura ricchezza; Deep Silver chiuse i suoi porti e venne ordinato di sparare a tutte le navi esperiane che fossero entrate nell'atmosfera del pianeta d'argento senza un permesso. Venne dunque dichiarato una sorta di embargo. Il Consiglio, all'inizio, pensò di intervenire con la violenza verso la colonia per riprenderne il controllo, ma questa opzione venne preventivamente accantonata e quindi esso optò invece per proporre un trattato. Dopotutto nessun uomo libero esperiano avrebbe mai lavorato in quel luogo, in quelle miniere di argento sporche di sangue… era un luogo disperato e solo i disperati volevano viverci e lavorare. Nel 3312, dopo oltre dieci anni di ostilità, i secondini firmarono questa sorta di patto che dichiarava indipendente e fuori dal controllo di Esperia la colonia di Deep Silver; tutto ciò avvenne senza guerre e spargimenti inutili di sangue. L'accordo prevedeva una fornitura costante a buon prezzo di argento alle colonie e in cambio il pianeta-miniera ottenne la più totale libertà. Iniziò così il periodo denominato “Era Buia”. I secondini sapevano fin dal principio di poter ottenere questo, avevano programmato tutto nei minimi particolari... i detenuti, invece, si accorsero troppo tardi di aver agito contro i loro interessi, si accorsero troppo tardi di essere diventati gli abitanti di un pianeta maledetto, popolo di un regno maledetto. L'ex colonia detentiva, con gli anni, si confermò come il più grande mercato minerario della galassia e come unico e vero porto franco del vizio, dell'illecito, di tutto ciò che era vietato sugli altri pianeti. Divenne la capitale del peccato, del male.

Page 7: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

5

Su Deep Silver non esistevano regole, leggi, al di fuori di quelle dei secondini; la violenza divenne l'unica arma, l'unica moneta. La giustizia rimase sepolta sotto tonnellate di argento vivo. Nei primi anni del 3500, esattamente nel 3505, qualcosa stava per cambiare su questo pianeta, se in meglio o in peggio sta solo a voi lettori deciderlo. I fatti di seguito narrati sono da considerarsi come le cronache di quel periodo. Benvenuti su Deep Silver...

Page 8: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio
Page 9: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

7

1 La sirena delle cinque suonava annunciando la fine del turno notturno, gli operai e i minatori uscenti lasciarono velocemente il posto a quelli del cambio. Così accadeva da secoli nell'immensa struttura in cui veniva lavorato prevalentemente l'argento. “Il Mattatoio”: così la chiamava chi in esso era impiegato. Il nome non era stato affibbiato a caso o per ironia a questo luogo, no, veniva chiamato così perché ogni giorno qualcuno ne usciva ferito oppure non ne usciva affatto. Su Deep Silver, chi non apparteneva alla classe dei secondini lavorava al Mattatoio o nelle miniere sparse in tutto il Great Gray (l’unico continente emerso), altri nelle serre o negli allevamenti, altri nei trasporti, molti altri, invece, si guadagnavano il pane lavorando per i malavitosi al soldo dei governanti. Il pianeta, infatti, era diventato un porto franco per tutto ciò che era illegale, ossia: prostituzione, scommesse, gioco d'azzardo, combattimenti clandestini... tutto quello che non si poteva fare nelle venti colonie di Esperia su Deep Silver era legale e questo attraeva quindi ogni giorno numerosi ospiti e acquirenti. Ma torniamo a noi, torniamo al Mattatoio. Il turno notturno era finito e alcuni lavoratori si fermarono nei parcheggi a fumare o a chiacchierare. Tra questi c'erano due amici e colleghi di lunga data: Hugo e Levan. «Hai sentito di Tristan?» chiese il primo all'amico abbassando il capo. «No, è morto a lavoro? È stato ferito?». «Nessuna delle due cose... ieri sera, mentre mi preparavo per venire qui, sono arrivati gli androidi dei secondini e lo hanno prelevato dalla sua abitazione a pochi metri dalla mia... pare che avesse legami con dei terroristi». «Con il Cambogiano?» chiese Levan sgranando gli occhi incredulo. «Già, proprio con lui. Ho sentito che lo accusavano di star preparando un attentato al Mattatoio...». Ci fu un lungo istante di silenzio, poi Hugo riprese a parlare: «Lo hanno fucilato davanti a tutti gli abitanti del villaggio e lo hanno smembrato

Page 10: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

8

come fosse un maiale, nessuno ha detto niente». Hugo scosse la testa e sospirò, poi guardò in alto il cielo grigio dove l'alba del secondo sole silveriano stava timidamente mostrandosi; Levan gettò la sigaretta a terra sogghignando e l'amico lo guardò malamente. «Che hai da ridere?». «Hugo, stare con il Cambogiano, se veramente esiste, è stata una sua scelta, se l'è cercata! cosa volevi facessero le persone? Cosa pensavi di fare tu? Le conosci le regole!». «Regole, regole... da quando sono nato non sento altro che devo seguire le regole. Strano che gli abitanti di un pianeta dove tutto è permesso siano i più controllati e schiavizzati! Io un giorno me ne andrò, lascerò Deep Silver, lascerò il Great Gray e il Mattatoio... ne sono sicuro!». Levan sorrise, dette una pacca sulle spalle all'amico sognatore che era ben più alto e robusto di lui e, avviandosi verso la navetta che li avrebbe riportati nei loro villaggi, gli disse con affetto: «Ma davvero vuoi andartene da qua e finire su uno di quei pianeti di pace e amore, pallosi, dove le donne aprono le gambe solo per concepire figli?». Hugo non rispose e salì sul lento gravbus del Mattatoio, detto “Il treno per Auschwitz”, sedendosi nello stesso posto in cui si sedeva da vent'anni; si accese la solita sigaretta e si mise a guardare fuori... quel paesaggio grigio e ostile era tutto ciò che conosceva, ma lui sognava le verdi praterie di Llarya e i mari cristallini di Yuna, fin da bambino si era prefissato l'obiettivo di andarsene da Deep Silver e di non tornarci mai più. Il problema era che da quel pianeta non si poteva fuggire, nessuno era mai riuscito a decollare senza esplodere e se scoprivano che avevi intenzione di andartene illegalmente eri morto ancor prima di provarci. La speranza è l'ultima a morire, dicono, e Hugo di certo non si sarebbe mai arreso, era convinto che là fuori, da qualche parte, c'era un sistema per evadere da quella prigione. Durante il tragitto, che durava un'ora abbondante per lui e ancor più per Levan che gli stava seduto accanto, Hugo, accertandosi che nessuno lo stesse guardando, tirò fuori da sotto la giacca un foglio stropicciato, lo aprì e lo mostrò al collega e amico. «Questo lo hanno distribuito gli androidi in tutta Akaba e presumo che ormai sarà appeso ovunque» sussurrò. Levan sbiancò in volto e, trattenendosi dall'urlare: «Porca troia! Questo cazzo di Cambogiano vale molto per i secondini! 300 crediti vivo o morto? Ma con questi soldi ti puoi comprare un ettaro di terra con casa, tutte le donne che vuoi, o...».

Page 11: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

9

L'amico lo interruppe: «O puoi comprarti un passaggio per andartene via di qua». Levan fece segno di abbassare la voce, si guardò intorno con circospezione, e poi riuscì a far capire a Hugo di rimettere via quella locandina. Dopo un lungo istante in silenzio guardò negli occhi l'amico di una vita e gli chiese: «A parte il piccolissimo dettaglio che dovresti riuscire a beccare quel figlio di puttana, nella remota ipotesi in cui ce la facessi e avessi i soldi, chi pensi ti farebbe scappare via da qua? I coloni?». Il robusto Hugo annuì e rispose: «L'altro giorno, alla locanda di Lazzarus, appena fuori dal mio villaggio, stavo bevendo e mi sono messo a parlare con un mendicante, gli ho offerto un paio di giri. A un certo punto questi mi ha confidato che ha sentito voci su un certo Lou, che lavora da sempre come giardiniere alla Piramide, e mi ha detto che questo tizio può farti imbarcare in una nave cargo per Kerr con 250 crediti. Una volta raggiunta la colonia, i trasportatori, complici, ti darebbero documenti falsi da colono e vestiti nuovi…». Levan non ce la fece a trattenersi e si lasciò andare in una risata fragorosa ma in breve si calmò e commentò: «Allora... tu vai in una locanda, ti ubriachi e un barbone ti dice che conosce uno che ti può far immigrare clandestinamente in una colonia…ok, Hugo, di che ti fai? Hai mai sentito nessuno che conosce qualcuno che è riuscito ad andarsene?». Il bus si fermò e Levan salutò il suo amico che era arrivato a destinazione. Quest'ultimo, mentre gli passava davanti per raggiungere il corridoio di uscita, lo fissò e gli rispose: «Io non mi faccio di niente, se non di sogni e speranze». Hugo scese e il collega, guardandolo dai finestrini, sospirò e, scuotendo la testa, commentò: «Mah…». Il giovane operaio, camminando con passo lento e stanco, tipico di chi faceva il turno notturno, arrivò a casa sua nel villaggio di Akaba; casa era un termine troppo lussuoso per descrivere un container di più di cento anni in cui la sua famiglia viveva da generazioni. Famiglia... Hugo viveva da solo da quando aveva dieci anni; i suoi genitori e i fratelli erano morti, per colpa del Mattatoio, ovviamente. Su Deep Silver si moriva di tumore o di altri tipi di malattie derivanti dalle inalazioni… o si moriva ammazzati; la vita media era di cinquant’anni, cinquant’anni passati a lavorare. Hugo, trentenne da pochi giorni, aveva cominciato al Mattatoio all'età di

Page 12: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

10

nove anni, ma, apparentemente, non mostrava ancora i sintomi tipici di avvelenamento che tutti i lavoratori del Mattatoio manifestavano a quell'età, sembrava stranamente e inspiegabilmente sano. Nel suo villaggio, Akaba, tutti gli volevano bene e se avevano degli avanzi di cibo glieli davano; Hugo discendeva da uno dei primi detenuti che avevano colonizzato il pianeta dopo la terraformazione, un ladro, forse uno dei più abili mai visti nelle venti colonie. Il giovane però non contraccambiava mai le attenzioni e l'affetto dei suoi concittadini, no, appena tornava a casa si chiudeva dentro e andava dritto a letto, dove consumava la cena che trovava solitamente all'ingresso, sempre se i cani randagi gli lasciavano qualcosa. Tutte le notti, da quando ne aveva memoria, sognava di lasciare il pianeta e abbandonarsi alle spalle il mondo in cui era nato, quello era l'unico momento bello della giornata. Ogni mattina, però, si risvegliava nel solito letto arrugginito e urlava di rabbia. Per chi lavorava al Mattatoio ogni giorno era uguale a quello precedente, soprattutto per Hugo, che non riusciva ad accettare l'idea di vivere in quel modo ed essere costretto a rimanere in quel pianeta a morire o, ancor peggio, a sopravvivere e vedere tutti morire. Il padre e la madre erano morti in un incidente... un incidente nel senso che un capo turno era uscito di senno e aveva colpito con un'ascia chi gli stava davanti; così i suoi genitori uscirono dal Mattatoio sigillati in sacchi di plastica della spazzatura e furono, sempre come spazzatura, abbandonati fuori dall'ingresso principale con i loro badge identificativi appoggiati sopra. Hugo aveva dieci anni quando lui e i suoi due fratelli maggiori divennero orfani. Dopo qualche mese, per vendicare la morte dei genitori, i due più grandi decisero di farsi giustizia da soli uccidendo quell'ubriacone psicotico che aveva portato via loro le persone a cui tenevano di più; una notte partirono per la casa dell'ancora capo turno e non fecero più ritorno, ma anche l'assassino sparì... ovviamente nessuno aveva sentito o visto qualcosa quella notte. Sul pianeta d'argento non c'era polizia al servizio del cittadino, ai secondini importava solo che non mancassi al lavoro e che pagassi le tasse, per il resto potevi fare quel che volevi, bastava che non andassi contro di loro e la loro autorità. Con la sola paga da operaio, Hugo non ce la faceva a pagare l'affitto del container storico della sua famiglia. Poteva venderlo e prendersene uno

Page 13: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

11

piccolo, “Loculi” li chiamavano, ma quella casa era l'unica cosa che gli ricordava la famiglia perduta prematuramente. Alla soglia degli undici anni, non avendo trovato un secondo lavoro che un ragazzino gracile com'era potesse fare, iniziò a prostituirsi. Nei bordelli minorili di Grisia, a qualche chilometro di distanza dal suo villaggio, giravano moltissimi soldi e venivi pagato bene dai coloni che scendevano apposta su Deep Silver per torturare, scopare (o entrambe le cose) dei poveri ragazzini disperati. Hugo fece questo secondo lavoro fino ai quindici anni e poi fu costretto a ritirarsi: i coloni volevano bambini o al massimo ragazzini fino, appunto, ai quindici anni, poi diventavano “Stopposi” e “Navigati” a loro dire. L'orfano dovette dunque ripiegare su un altro secondo impiego e iniziò così a lavorare per un ladro di organi, un certo Goose. Era stato assunto per pulire l'officina in cui operava il macellaio e per occuparsi della manutenzione dei “Prodotti” in giacenza. Quell'impiego gli piaceva e andava d'accordo con il nuovo capo, ma poi tutto finì quando un altro ladro di organi uccise Goose, confiscò i suoi averi e cacciò Hugo. Su Deep Silver, il problema della concorrenza, trovava sempre facili soluzioni. Il giovane aveva diciotto anni quando si ritrovò nuovamente ad avere un solo lavoro, ma intanto si accorse di essere diventato robusto, forte e incredibilmente resistente... gli venne in mente così di tentare la via dei combattimenti. Combatté nei circoli di Lockwood, di proprietà della malavita, fino a pochi anni prima dell'inizio di questa storia. Proprio il giorno dell'anniversario della morte dei suoi, durante questo triste giorno, finì anche questa sua ennesima seconda occupazione, chiamiamola così. Durante un incontro massacrò un pupillo della mafia e diciamo che quest'ultima non rimase molto contenta della sua vittoria... mentre stava tornando a casa, nel buio di un sentiero, venne accerchiato da una decina di scagnozzi della cosca e inutile fu per lui difendersi. Lo ridussero in fin di vita e lo lasciarono là, con la speranza di una morte lunga e dolorosa. Il lottatore fu trovato il mattino seguente da un vecchio che lo portò da un guaritore che abitava nei paraggi; persone così altruiste se ne vedevano poche su Deep Silver, ma diciamo che il vecchio “Si prese” la sua ricompensa frugando nelle tasche del giovane e rubandogli tutti i soldi vinti nel combattimento. Il ragazzo si ristabilì nel giro di un paio di mesi; il Mattatoio era stato informato della sua lunga assenza dal guaritore e così non fu licenziato e

Page 14: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

12

condannato a morte come prevedeva il regolamento di quel luogo. Una volta ristabilitosi se ne tornò a lavoro e il seme della fuga, che da sempre giaceva in lui, germogliò prepotentemente e inesorabilmente. Questa era, in breve, la storia di Hugo di Akaba. L'unica speranza per il trentenne, che ormai non era più in grado di vivere su quel pianeta, era la fuga... ma servivano molti soldi, troppi soldi, e di certo uccidere o catturare il più grande criminale in circolazione non era facile. Il Cambogiano, così chiamato a causa della carnagione e dei lineamenti del viso, non era solo un terrorista ma un guru, un astuto stratega militare, una persona dalla cultura fuori dal comune e dal carisma disarmante; migliaia di persone avrebbero dato la vita per lui e lo tenevano nascosto e protetto nel buco di culo dove si rifugiava assieme ai sui esplosivi e alle sue puttane. A tanta genialità e scaltrezza corrispondevano però crudeltà e strane abitudini. Con strane abitudini intendo il cannibalismo e il suo serale appuntamento con prostitute mutilate e sfigurate, la sua più grande passione. Hugo si trovava così a dover affrontare due grandi misteri: si poteva uccidere il Cambogiano? Si poteva veramente fuggire da Deep Silver? All'orfano di certo non importava. Con i debiti che aveva sarebbe di certo stato ucciso, tanto valeva rischiare di morire cercando la libertà, pensava. Quel giorno in cui tornò a casa, dopo aver rivelato la sua idea all'amico Levan, il giovane non riuscì a dormire; la scadenza dell'affitto era vicina e le tasse mensili non erano state ancora pagate; gli erano state tolte l'acqua e la corrente elettrica da mesi ormai, e, come se tutto ciò non bastasse, aveva chiesto dei soldi a un aguzzino del villaggio per tirare avanti da quando non poteva più combattere. Ogni giorno questo debito aumentava, doveva quindi fare qualcosa il prima possibile. Fu una scelta difficile, ma alla fine, dopo non poche ore di ragionamenti, decise di andare dal creditore e lasciargli la casa in cambio della totale chiusura del debito e del pagamento delle tasse arretrate. Jim il Giudeo, così si chiamava l'uomo a cui doveva tutti quei soldi, accettò senza pensarci sopra e addirittura ci guadagnò... la casa della famiglia di Hugo aveva un grande valore storico ed era di buona fattura, poteva ricavarci anche tre appartamenti modificandola. I due firmarono l'accordo e così il trentenne si ritrovò in mezzo alla strada con una manciata di soldi, uno zaino con qualche ricambio di

Page 15: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

13

vestiti, un tocco di pane e un fucile Sigma-F che risaliva ai tempi della prima colonizzazione, cimelio che la sua famiglia era solita tramandare di padre in figlio. Ormai la decisione era presa, non poteva più tornare indietro; con i debiti verso il governo e Jim pagati, non gli restava altro che andare a licenziarsi dal Mattatoio. Se la struttura non fosse stata informata, se avesse abbandonato il lavoro senza motivo o senza presentarsi dal boss, sarebbe stato giudicato colpevole di tradimento e condannato a morte, avrebbe quindi passato la vita come un ricercato. Su Deep Silver licenziarsi era facile ma poi non potevi più lavorare da nessuna parte, ti marchiavano a fuoco con una semplice “X”, ogni tuo bene veniva confiscato e tutti ti evitavano. In genere si licenziavano solo coloro che volevano farsi del male, i pazzi o quelli che pensavano di trovare luoghi di pace nelle sconfinate foreste dove vivevano orribili creature, oppure nei letali deserti o nelle paludi fangose. Hugo andò al Mattatoio, fece ciò che doveva fare e da quel momento fu “libero”, libero ma senza un piano preciso, senza cibo né acqua, aveva solo un fucile vecchio di qualche secolo. Levan non sapeva niente di ciò che aveva fatto l'amico ma lo intuì quando lo vide uscire dalla struttura. I due si incrociarono al cancello dove di solito entravano insieme a quell'ora per cominciare il turno serale... solo che questa volta uno dei due non avrebbe lavorato. Levan lo guardò e cercò di parlargli ma c'era troppa gente e c'erano scagnozzi dei secondini ovunque. Hugo fece capire all'amico di lasciar stare improvvisando un occhiolino e un sorriso. Vent'anni di amicizia finirono in quell'istante e i due non si sarebbero mai più rivisti. Così, l'anniversario del giorno in cui i suoi fratelli scomparvero, Hugo lasciò tutto e tutti per inseguire un sogno o trovare la morte... zaino in spalla s' incamminò senza una meta apparente. Era sera quando cominciò la sua avventura, il primo dei due soli stava per sparire dietro ai monti Agoe alle sue spalle, in luoghi che non conosceva e di cui aveva solo sentito parlare, male. Su Deep Silver la notte arrivava con calma e se ne andava di fretta, nessuno osava affrontarla da solo; poteva scendere il gelo più totale oppure potevano scatenarsi venti e tempeste indicibili, poteva fare caldo,

Page 16: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

14

grandinare... in quel pianeta nemmeno il tempo era prevedibile e le stagioni non esistevano, l'unica certezza era il pericolo che si nascondeva dietro ogni angolo. Hugo aveva paura, dio se aveva paura! di notte, a parte mutanti e strane creature, girava un po' di tutto e dappertutto: c'erano ladri di organi, cacciatori di feccia (coloni che pagavano per andare a caccia di silveriani), stupratori, cannibali e tossici in cerca di svago... senza parlare dei malavitosi che cercavano ogni scusa per far fuori qualcuno. Il trentenne era ormai ben lontano dal Mattatoio, era così piccolo visto da lontano... aveva attraversato gli ultimi due villaggi, Grisia e Sterl, che lo dividevano dalla foresta in cui intendeva entrare per cominciare la sua ricerca. Anche il secondo sole, Solitan, tramontò e allora fece capolino la timida luna di Xok. Questo piccolo satellite passava il suo tempo spiando il peggio di Deep Silver, ormai non gli faceva più effetto nulla. Il ragazzo osservò il pallido pianeta, trattenne il respiro, ed entrò in quel posto selvaggio e immenso dove pensava si nascondessero il Cambogiano e i suoi scagnozzi; era sicuro di trovarlo da qualche parte in quella foresta, era come se una voce dentro di lui gli dicesse che era lì che doveva andare ... di certo il Cambogiano non si sarebbe mai nascosto in una città, in casa di qualcuno come un codardo, no, da qualche parte, in quella zona non mappata dove si stava inoltrando, dove nemmeno i secondini entravano, il ricercato di sicuro viveva in qualche roccaforte circondato da ogni ben di dio. Hugo camminò tutta la notte, non aveva il coraggio di addormentarsi e poi l'adrenalina era talmente tanta da impedirgli di riposare. Il posto in cui si stava avventurando era una foresta, la “Foresta della Morte” per l'esattezza, da dove nessuno aveva mai fatto ritorno a parte un certo Flint che però ne era uscito con la lingua e gli occhi cavati e, inutile dirlo, si era poi tolto la vita. Nella Foresta della Morte si udivano costantemente versi di ogni tipo e si aveva sempre la sensazione di essere osservati, la puzza era ovunque, puzza di marcio, e gli alberi avevano forme orribili, sembravano persone contorte e scricchiolavano in una maniera che ti faceva accapponare la pelle. Diciamo che Hugo, già dalle prime ore in cui vagava in quei luoghi, si pentì amaramente della scelta fatta e si ritrovò a pensare in quale modo orribile sarebbe potuto morire. La prima notte sembrò lunghissima e più di una volta la paura lo bloccava, ma lui era l'ultimo e unico erede di una delle famiglie più

Page 17: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

15

antiche e rispettate tra i silveriani e fu questo orgoglio a fargli muovere le gambe e a dargli coraggio. Con suo grande stupore, al mattino, la luce irradiava tutto con insospettata potenza e allora si accorse che la Foresta della Morte non era morta, al contrario, era addirittura bella, rigogliosa e piena di vita. C'erano piccoli corsi d’acqua cristallina, volatili colorati che danzavano tra le fronde degli alberi, c'erano fiori, profumi, sembrava tutto un altro luogo. Il giovane, di fronte alla bellezza di quella natura selvaggia, si sedette ad ammirarla e in breve tempo, senza accorgersene, si addormentò e fu di nuovo notte. Al suo risveglio non era solo. Appena aprì gli occhi si ritrovò legato a un palo, nudo, con la bocca imbavagliata, e davanti a lui c'erano tre figure di nero vestite e dalla testa coperta da una sorta di maschera orribile. I tre sedevano attorno a un piccolo fuoco di fronte al giovane che si dimenava senza successo, sembrava ridessero e uno di loro stava affilando un coltello simile a quello che i macellai erano soliti usare per disossare una bestia. Hugo era disperato ma non poteva muoversi né urlare, non sprecò tempo a pensare chi fossero quelli, non aveva importanza, il non sapere cosa avessero intenzione di fargli era snervante. Uno dei tre, il più alto, si alzò e, con passo lento e barcollante, si mise di fronte al giovane cercatore di taglie. Levò a Hugo il bavaglio e lo invitò a parlare, l'ex operaio del Mattatoio iniziò a urlare: «Chi siete? Cosa volete da me?». Un altro dei tre, quello che stava affilando il coltello, si alzò e raggiunse il compagno, facendo capire al ragazzo impalato di abbassare il volume o gli sarebbe stata tagliata la lingua. Hugo obbedì, cercò di calmarsi inspirando profondamente, poi supplicò i due: «io non ho nulla da darvi, vi prego, abbiate pietà!». Tutti e tre gli uomini di nero vestiti risero fragorosamente e uno di loro, quello ancora seduto attorno al fuoco e che sembrava il capo, parlò: «Bello, muscoloso, pochi peli, carnagione bianca, occhi verdi, capelli castani... hai molto da dare invece». Vi fu il silenzio e in quel silenzio Hugo capì chi erano e cosa volevano da lui... quei tre tizi erano dei ladri di organi e della peggior specie. Ne aveva sentito parlare durante il suo apprendistato presso il povero Goose, si trattava dei cosiddetti “Frati neri”.

Page 18: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

16

Questo genere di mercanti non si limitava ad asportare gli organi dei malcapitati, no, i frati neri erano soliti abusare delle persone trovate, sia sessualmente sia tramite orribili torture, ne mangiavano la carne mentre la vittima era ancora in vita. Diciamo che la vendita degli organi era il loro ultimo pensiero. Si trattava di una sorta di setta dalle origini sconosciute e molti supponevano che non fossero esseri umani. Hugo realizzò dunque chi aveva di fronte e poi ricordò altre parole del suo vecchio datore di lavoro: “... i frati neri viaggiano in gruppo e vivono fuori dai centri abitati, si vestono e si truccano come spettri o demoni perché è quello che pensano di essere. Molti di loro sono sfigurati o menomati e sono soliti ridurre come loro le persone trovate prima di cavarne gli organi e di mangiarne i resti”. Il trentenne si sarebbe aspettato di tutto dentro la Foresta della Morte, di tutto ma non di trovare questo genere di ladri di organi. Di lì a poco svenne. Venne svegliato dai pizzichi alle gambe di uno di questi personaggi, si riprese subito e iniziò a urlare, ma era nuovamente imbavagliato e quindi sprecò solo il suo fiato. Era notte inoltrata, faceva freddo, di fronte a lui ancora il fuoco, ancora i frati neri... capì che sarebbe stato “Pulito”, lo capì perché delle bacinelle con dell'acqua e del ghiaccio secco erano state disposte sotto di lui pronte a ricevere i suoi organi. Hugo accennò un sorriso, scosse la testa, chiuse gli occhi... “È finita” pensò. Il tizio con il coltello si alzò, si mise di fronte al malcapitato e con del nastro adesivo gli bloccò le palpebre e gli sussurrò: «Voglio che tu veda tutto quello che ora ti farò. Tranquillo, cercherò di fare un lungo e accurato lavoretto con te... ma prima vorrei divertirmi un po', anzi, vorremmo divertirci tutti e tre con questo tuo bel corpicino...». Hugo iniziò a dimenarsi, tutti e tre erano ora davanti di lui ansiosi di poter cominciare a operare, sarebbe stata una lunga e interminabile serata di torture e crudeltà. All'improvviso però uno sparo. Ed ecco che il capo dei frati neri cadde a terra colpito in testa, gli altri due colleghi scapparono, sembravano sapere chi era stato, non si guardarono nemmeno tanto attorno, fuggirono e basta svanendo nella fitta vegetazione come volpi cacciate. Hugo rimase incredulo e quasi quasi tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo si ritrovò a pensare che forse chi era stato poteva essere qualcuno di ben più temibile. Lo avrebbe capito entro pochi istanti, visto

Page 19: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

17

che l'assassino comparve dal nulla a pochi metri da lui con un fucile a neutroni, il tipo di arma in dotazione ai secondini di alto rango. Era dunque uno di loro? No, era qualcosa di ben peggiore. Quando il nuovo arrivato gli arrivò vicino, il ragazzo poté notare che non aveva gli indumenti da secondino ma soprattutto non era umano, si trattava di un mutante e ciò non lo rassicurò. Su Deep Silver, nelle zone dove gli uomini non osavano dimorare, vivevano dei mutanti. Nessuno sapeva con precisione quanti ce ne fossero, ma c'erano, e incontrarli non era mai una bella cosa. Frutto di secoli di avvelenamento da radiazioni e prodotti chimici, questi esseri erano i discendenti dei primi addetti agli impianti di terraformazione (essenziali all’epoca per rendere abitabile il pianeta d’argento). Vivevano come necrofagi e dio solo sa in che altri modi; si dice che i secondini permettessero loro di vivere in totale libertà in alcune zone, tra cui la Foresta della Morte, in cambio dei loro, chiamiamoli, “Servigi”. Una sorta di trattato con i governanti garantiva a questi mostri di sopravvivere e donava loro anche una quasi totale immunità. Questi esseri si consideravano una vera e propria razza a sé, non volevano essere chiamati umani né mutanti, ma “Goblin”, come i mostri delle favole antiche. Ma torniamo al povero Hugo che si ritrovò faccia a faccia con uno di questi mostri. Era talmente vicino al mutante che ne sentiva il fetore, lo stesso odore che avevano le carcasse dei topi ai bordi delle strade. L'aspetto poi non era dei migliori, sembrava un quadro di Picasso ricoperto da pustole e secrezioni di ogni tipo, a dir poco orribile. Il goblin levò il bavaglio al giovane e gli chiese con voce gracchiante: «Che ci fai qua, umano?». Hugo, sapendo che non era il caso di dimenarsi o urlare, si prese un paio di secondi, si calmò e poi rispose: «Mi sono perso». Il mutante si mise a ridere in un'orribile maniera e poi: «Ti sei perso con un fucile di precisione Sigma-F?». Poi continuò: «Ti conviene dirmi la verità!». A quel punto Hugo non sapeva che rispondere e osò essere sincero, di sicuro un mutante non era dalla parte del Cambogiano, anzi, era nota una certa ostilità e rivalità. Il capo dei terroristi era infatti malvisto da tutti con la sola esclusione dei suoi uomini e di una parte della feccia che lavorava per i secondini; il ricercato occupava con la forza le postazioni dove lui e la sua marmaglia dimoravano e si rifugiavano, premere il grilletto ed estrarre le lame era

Page 20: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

18

per loro facile, si diceva che i goblin avessero perso molti fratelli a causa sua. Il ragazzo parlò: «Sono qui per uccidere il Cambogiano e prendermi la taglia, mi servono soldi». «Hai detto la cosa più giusta e io non ti ucciderò» annunciò il mutante che intanto si era presentato con il nome di Gnorl. Il goblin slegò e liberò Hugo, poi gli disse: «Ora vattene prima che cambio idea. Sappi che ti salvo la vita solo perché vuoi uccidere quel merdoso figlio di puttana, confido che tu riesca nel tuo intento». Il mutante poi estrasse dalla cinta un coltello dalla buona fattura e porgendogliela: «Questo è per tagliargli la testa. Oltre quelle colline a Nord troverai una casetta in legno, dicono che il topo si rifugi là, è talmente convinto di sé che ha solo una manciata di guardie a proteggerlo. Vai lì, dichiarati un volontario ribelle che vuole unirsi all'armata e il gioco è fatto, poi basta che lo ammazzi nel sonno...». Detto questo, Gnorl estrasse una piccola sacca che nascondeva all'interno dei calzoni, la porse al ragazzo, e disse: «Questa è polvere soporifera ricavata da speciali funghi dei monti Agoe, può far addormentare almeno dieci persone ma stai attento a non inalarla!». Gnorl se ne andò e sparì dietro la boscaglia mentre Hugo non ebbe nemmeno il tempo di rispondergli, sorpreso com'era dall'esito di quell'incontro. La fortuna era dalla sua parte, perciò si rivestì, si lavò in un torrente vicino e prese la direzione indicata dal mutante. Dopo due giorni interi di cammino, qualche graffio e tanta paura, ecco la famosa tana del Cambogiano. Era l'alba del primo sole, di Shunn, quando Hugo raggiunse l'ipotetica destinazione. Gnorl aveva avuto ragione, ma ora rimaneva l'ultimo ostacolo… riuscire a ingannare quella manciata di guardie all'esterno, dall’aspetto poco rassicurante, ed entrare, entrare e avere il sangue freddo di mantenere la calma e non fregarsi da solo. Le mani e le gambe gli tremavano, la paura gli rendeva persino difficile pensare, l'adrenalina gli faceva battere il cuore in una maniera insopportabile. Era in cima a una collina, la casetta era sotto, una manciata di metri lo divideva dal suo destino, dalla sua probabile salvezza. L'improvvisato cacciatore di taglie di certo non avrebbe mai sperato di riuscire ad arrivare a quel momento ma ora era lì, a un passo dal suo biglietto per il paradiso, e subito la paura fece largo alla felicità, alla voglia di procedere.

Page 21: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

19

Così, fiero di sé e convinto di farcela, fece un bel respiro e iniziò a scendere il dirupo mostrando il fucile e dimenando le mani per far capire alle guardie che voleva parlare. Queste non tardarono molto a notarlo e in breve si ritrovò accerchiato e costretto a posare l'arma a terra. «Hai tre secondi per darmi un buon motivo per non farti saltare questa testolina di cazzo» intimò la guardia che aveva di fronte, un bestione di almeno duecento chili sul cui volto c'era scritta una storia, una storia di violenza. Hugo non se lo fece ripetere due volte e rispose: «Voglio unirmi agli uomini del Cambogiano, sono scappato dal mio villaggio per seguire i ribelli...». Non riuscì a finire la frase perché le quattro guardie che lo circondavano e gli puntavano i fucili, gli risero in faccia e lo costrinsero a inginocchiarsi con le mani dietro alla nuca. Una di loro, che stava dietro all'avventuriero, gli urinò sulla schiena sudata senza tanti complimenti. Tra le risate e gli abusi, il ragazzo tirò fuori tutto il suo latente coraggio e chiese con tono deciso: «Portatemi dal Cambogiano, solo questo vi chiedo, portatemi da lui». Al che il tizio più grosso lo fece alzare in piedi e intimò ai colleghi di fare silenzio e poi: «Senti feccia, hai un fucile di precisione con te, non hai il tatuaggio di chi è stato in prigione... non sei credibile… dai ragazzo, non mi dire che non sei qua per la taglia sul nostro comandante, vero?». Hugo scosse la testa e affrontò lo sguardo vistosamente ubriaco del suo interlocutore e rispose: «Secondo te, se avessi voluto uccidere il Cambogiano, sarei venuto da solo e armato di un fucile della prima colonizzazione? Secondo te io oso sfidare una potenza come il vostro esercito per dei crediti sporchi, maneggiati dai tiranni secondini?». Fece poi notare la “X” impressa a fuoco sul petto, proprio sopra il cuore, il marchio di chi non aveva più nulla da perdere. A quella vista, le guardie si scambiarono un'occhiata. Vi fu un attimo di silenzio poi queste sembrarono credergli e infatti, a un cenno del bestione, i mastini del Cambogiano abbassarono le armi e con una pacca sulla spalla gli fecero capire di rilassarsi. Era dunque fatta. Sinceramente si sorprese di essere riuscito a farsi valere in quella maniera, sembrava fosse stato mosso dagli spiriti dei familiari caduti, forse non era destinato al fallimento ma a fare la storia di Deep Silver. Era l'inizio di una leggenda che sarebbe sopravvissuta alla sua morte? Gli scagnozzi del capo dei ribelli lo accompagnarono come fosse un ospite d'onore, la cosa aveva del surreale, il ragazzo faceva fatica a non

Page 22: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

20

sentirsi fuori luogo. Dopo un centinaio di metri, ecco finalmente l'ingresso della fantomatica tana del Cambogiano che altro non era che una capanna adagiata sul fango e dio solo sa che altro genere di sostanze organiche. C’erano solo due guardie a sorvegliare l'uscio del più ricercato di Deep Silver, la cosa aveva dell'incredibile. Il comandante era protetto in totale da sei uomini, se così si potevano chiamare, Hugo tra sé e sé rise… da oltre dieci anni i secondini lo avevano cercato, lo avevano temuto, lo avevano reso una sorta di leggenda vivente tanto che a un certo punto si era pensato che non esistesse veramente... e poi eccolo là, chiuso in una capanna fatta di legno marcio protetto da guardie ubriache che anche un bambino avrebbe potuto ingannare. Il biglietto per il volo della salvezza era ormai nelle sue mani, probabilmente lo avrebbe ucciso la notte stessa, gli avrebbe tagliato la gola con il coltello regalatogli dal goblin e poi, con tutta calma, gli avrebbe mozzato la testa per portarla come prova per riscuotere la taglia, ci sarebbero voluti solo una manciata di minuti. Quando entrò si ritrovò in un'unica e grande sala illuminata da un’enorme e grossolano lucernario. Solo un piccolo tavolo e due sedie, poste una di fronte all'altra, nel centro della stanza, arredavano quel luogo. Niente letti, niente credenze, niente di niente. Hugo venne invitato a sedersi sulla sedia che dava le spalle all'ingresso e poi le guardie uscirono lasciandolo solo. Dopo pochi istanti la porta si riaprì ma lui non si girò, non serviva, sapeva che quello che era entrato era il Cambogiano. «Buongiorno ragazzo» salutò il comandante mentre con passo deciso si avviava a prendere posto di fronte a Hugo. La poderosa figura si sedette sulla sedia vuota e si levò il passamontagna. Era un uomo anziano, con il viso deturpato, sembrava di origine asiatica ma i suoi lineamenti potevano essere benissimo il frutto di cicatrici e lesioni varie. Era vestito con ciò che restava di un'uniforme da ufficiale secondino, era il Cambogiano, il nemico della Nazione. «Dunque giovane, mi dicono che vuoi arruolarti nel mio esercito. Giusto?» chiese questi e l'altro, cercando di mantenere la calma e di sembrare un duro, rispose: «Sissignore». Il Cambogiano annuì e da un taschino della giacca mimetica estrasse una collana fatta di denti, la posò sul tavolo e disse: «Ogni dente equivale a un traditore, mi piace collezionare, creare dei ricordi... sai, ho dovuto

Page 23: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

21

fare cose orribili per mantenere una sorta di ordine e la compassione, la pena di fronte ad un uomo che sta per essere smembrato da vivo, non ho più idea di cosa siano. Sì, mio giovane avventuriero, fai bene a pensare che sono un fottuto sadico e fai bene ad aver paura di me. Io sono la resistenza, io sono un dio, io sono il Cambogiano. Tu però, tu... tu chi sei? Ti offro due possibilità: una morte veloce o una morte a data da destinarsi, niente gloria, solo morte. Penso che avrai capito che ormai non puoi più tornare indietro, ormai mi appartieni, appartieni a questa causa. Se invece sei venuto qua con intenzioni diverse, se sei una cazzo di spia o altro, ti consiglio di non dirmelo neanche, ammazzati prima che venga a scoprirlo io, credimi, sarà meglio per te». Hugo era paralizzato dalla paura ma riuscì a non mostrarlo, la posta in gioco era troppo alta. Dopo le parole di quel megalomane sfigurato, aveva iniziato a provare del disgusto misto ad ammirazione nei suoi confronti, di certo il poter segargli via la testa gli avrebbe procurato un orgasmo, il gioco sarebbe valso la candela. Il Cambogiano lo guardava con sguardo gelido e penetrante, sembrava attendere una risposta da parte del giovane che non tardò ad arrivare: «Signore, sarà per me un grande onore servirla». Il capo dei ribelli sembrò soddisfatto e annunciò: «Da ora sei dei miei, questa sera inizierai il primo turno di guardia. Fatti dare un fucile e vai a fare il tuo dovere! Ti sarai di certo accorto che non ci sono letti, cucina e altro… questo perché si dorme e si mangia qua sotto. Sotto questo tavolo c'è una botola ben nascosta e camuffata che porta alla vera tana, al luogo dove io dormo e passo i miei giorni, dove le guardie del turno di riposo possono trovare cibo, conforto e svago...». Hugo era al settimo cielo, aveva avuto le informazioni necessarie, il piano prese forma nella sua testa, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Durante il suo turno di guardia, fino a tarda notte, mentre il bastardo dormiva con le guardie, sarebbe sceso di nascosto nella stanza segreta e avrebbe addormentato tutti quelli che c'erano dentro con la polvere di Gnorl... dopodiché avrebbe agito con totale tranquillità senza fare rumore, senza urla che potessero causare l'intervento delle guardie fuori. Era fatta. Grazie alla sostanza soporifera regalatogli dal goblin non gli mancava niente per fare ciò che doveva fare; così, mentre guardava il Cambogiano spostare il tavolo e scendere nelle sue stanze per passare la notte, non poté trattenere quella che sembrava felicità nei suoi occhi. Quel giorno Hugo mangiò e riposò e quando venne sera le guardie di turno lo portarono all'aperto e gli mostrarono la parte di perimetro da

Page 24: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

22

seguire, lo vestirono come si deve e lo armarono, così iniziò il suo primo turno di guardia sotto il divertito occhio della luna. Lasciò passare circa tre ore prima di cominciare ad attuare il suo piano; nel suo turno sul perimetro esterno c'erano solo lui e tre scagnozzi del Cambogiano che praticamente stavano dormendo sul posto di guardia. Il giovane cacciatore di taglie poté dedurre che tutti in quel luogo, in primis il leader, si sentivano al sicuro, e questo sarebbe stato un punto a suo favore. Appurò che i suoi colleghi fossero nel mondo dei sogni e poi si diresse con passo leggero e silenzioso verso la tana. Appoggiò l'orecchio alla porta e tutto sembrava morto all'interno, solo la luce della stanza accesa dava una parvenza di attività. Una volta entrato, senza non poca paura e agitazione, vide una sola guardia, ovviamente dormiente, a sorvegliare la botola, rannicchiata nella parete in fondo. Ad Hugo non restava dunque che spostare il tavolo, aprire l'entrata alla vera tana e lanciare la polvere di Gnorl, confidando di non essere beccato dagli uomini rimasti fuori, ma soprattutto dalla guardia dentro il capanno che giaceva a pochi metri da lui. Filò tutto liscio, fu tutto fin troppo facile. Il giovane riuscì a sollevare la botola e a gettare il sonnifero. Aspettò un paio di minuti e poi, avendo avuto premura di coprirsi naso e bocca con un fazzoletto (una parte di questa polvere inondò anche il piano superiore e gettò KO anche la guardia nella stanza), scese nella vera e propria tana del Cambogiano e lo fece sperando di impiegarci poco, senza contrattempi. Non c'era un piano B. Le guardie erano addormentate e il leader perfino caduto dalla branda: fu dunque arrivato il momento di scrivere un pezzo di storia, della sua, di Deep Silver. Prese il coltello regalatogli dal goblin e, guardando da un'altra parte, gli recise prima la carotide e poi, con grande e inaspettata foga, lo decapitò. Ce l'aveva fatta, l'adrenalina lo mandava su di giri, gli rimaneva solo di raccogliere il capo amputato del ricercato e andarsene via, sperando che le guardie all'esterno fossero ancora “Rilassate” e che non si fossero accorte di eventuali rumori o della sua mancanza nel perimetro a lui destinato. Così fu. Hugo riuscì ad andarsene dalla capanna senza alcun problema e in breve, testa mozzata sottobraccio, iniziò a correre verso sud, verso la Piramide, per ricevere la taglia. Non si voltò mai indietro durante questa disperata

Page 25: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

23

fuga verso la liberà. Corse, corse per tutta la notte, la paura di avere le guardie infuriate dietro di lui era troppa, perciò non si fermò mai …. fino a quando non venne fermato da una figura che comparì dal nulla di fronte a lui. Era ancora troppo scuro per capire chi avesse di fronte ma bastò sentirlo parlare per capire con chi aveva a che fare: «Ragazzo, vedo che hai saputo usare per bene ciò che ti ho regalato!». A quel punto, Hugo, sorpreso, si rilassò e chiese alla figura: «Gnorl, giusto? Che ci fai qui?». E il goblin: «Sono venuto a prendermi la testa del Cambogiano». Il ragazzo si mise a ridere e si avvicinò al mutante con fare amichevole ma si accorse che quest'ultimo era serio, il viso era minaccioso, e perciò iniziò a indietreggiare ma sbatté in qualcosa, si girò e vide una decina di goblin armati dietro di lui. «Che significa?» chiese Hugo e Gnorl, sorridendo: «Secondo te? Dammi la testa e vattene. Che pensavi, che quel giorno ti avessi lasciato andare per bontà, pietà o altri patetici sentimenti? Da tempo cercavamo un idiota come te che facesse tutta la fatica. Molti sono morti prima, molti. Tu però, con questo bel visino, di sicuro saresti riuscito a far breccia nel cuore di pietra di quel bastardo e ho avuto ragione, grazie!». Poi il mutante e i suoi cominciarono a ridere, più che una risata però sembrava il gracchiare di qualche animale. Hugo tentò di estrarre il fucile che teneva infilato nello zaino, ciò che aveva di più caro, ma fu bloccato da uno degli scagnozzi di Gnorl alle sue spalle e rapidamente fu costretto a mettersi in ginocchio davanti al leader dei goblin che, avvicinandosi al volto del giovane, gli sussurrò: «Hai appena commesso una cazzata, un’enorme e stupida cazzata». Poi prese con la forza la testa del Cambogiano, si voltò e ordinò ai suoi: «Bene, ora fate del suo corpo ciò che volete ma badate, non lo fate morire subito e cercate di renderlo partecipe del suo dolore fino a ogni suo fottutissimo respiro!». «Gnorl! Gnorl! non farlo!» supplicava il povero Hugo, ma le uniche risposte furono risa. Gli uomini del goblin non se lo fecero ripetere due volte e in breve, uno alla volta, con sottofondo le urla del malcapitato, strapparono, lacerarono, mutilarono e usurparono il corpo del giovane mentre il loro capo, con la testa del suo acerrimo nemico sottobraccio, si dirigeva da solo verso la città dei secondini per riscuotere la taglia. Avvisò i suoi che sarebbe tornato a breve con i soldi. L'ultima cosa che riuscì a dire Hugo, con ciò che gli rimaneva di una bocca, fu: «Tornerò dall'inferno e avrò la mia

Page 26: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

24

vendetta!».Ma questa frase non venne ascoltata da nessuno. In breve tempo del ragazzo non rimasero che pezzi di corpo sparsi qua e là. La testa venne sepolta nel fango insieme alla sua dignità, ai suoi sogni. Gli uomini di Gnorl, annoiati e delusi dal fatto che Hugo fosse morto così presto, se ne tornarono nel loro covo ad aspettare il ritorno del capo e già pregustavano i giorni di festeggiamenti che sarebbero seguiti a esso. Hugo, come Icaro della mitologia greca, aveva speso tutte le energie con la speranza di volare, di andarsene, di elevarsi sopra la mediocrità dei suoi simili. Come Icaro aveva visto le proprie ali sciogliersi sotto gli occhi e il corpo schiantarsi al suolo senza alcuna poesia, come una semplice goccia di pioggia destinata a mescolarsi al fango che ricopriva il terreno ove vide la morte. Così, mentre Gnorl camminava tronfio verso la ricompensa, il corpo fatto a pezzi di un giovane sognatore divenne cibo per la terra stessa che voleva abbandonare.

Page 27: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

25

2 Non so come far cominciare questa storia, la mia storia. Non saprei quando è cominciato tutto questo, perché troppi anni sono passati da quel giorno in cui ho fatto credere a tutti di essere morto per dedicarmi a questa eterna ricerca di me stesso. Chi sono io? Non lo so, non lo saprò mai. Sto camminando senza meta, sto battendo questi sentieri pericolosi, perché un giorno mi sono svegliato e la mia famiglia era morta e la casa, costruita con i sacrifici di una vita, andava a fuoco e io in qualche maniera sono sopravvissuto a quell'orrore. Per qualche volere superiore io non morii quel giorno e di certo non potevo permettere che questa seconda possibilità, questa nuova vita donatami, andasse sprecata, perciò presi coscienza del fatto che ero stato risparmiato per qualcosa e non mi rimase altro che cercare quel qualcosa. Così, mentre le fiamme bruciavano la mia casa e i corpi dei miei familiari, crebbe in me la consapevolezza che là fuori il mio destino mi stesse attendendo e così abbandonai quell'inferno di fuoco, senza che nessuno, in tutta la cittadina di Enver, se ne accorgesse. Venni dato per morto anch'io, sebbene nessuno trovò mai il mio corpo, ma non fu un problema per i miei concittadini che ebbero premura solamente di verificare che qualcosa di valore fosse stato risparmiato dall'incendio. Portai con me solo la mia valigetta contenente i ferri, un computer e alcune medicine; avrete capito che sono un medico, anzi, lo ero. Ero un chirurgo specializzato in impianti biomeccanici e lavoravo nell'Arena, un luogo dove la vita vale meno dello sterco di vacca, un posto nel profondo sud, nella pianura dei secondini. Venivo pagato per creare dei mostri mezzi uomo e mezzi macchina da far combattere in quella struttura infernale, in scontri sempre letali per il perdente, che attraevano visitatori da tutte le colonie. Giravano tanti soldi in quei luoghi … e dove ci sono i soldi c'è sempre ingiustizia, invidia e violenza. Ora guardatemi, mi aggiro tranquillo e beato per questa foresta quasi fosse un parco e questo è possibile perché la morte continua a evitarmi, è come se non potessi morire.

Page 28: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

26

Quanti anni ho? Mah, ho smesso di contare i giorni di questo mio vagabondare ma presumo di essere vicino ai quarantacinque anni. Quarantacinque anni e neanche un capello bianco. Credetemi che vorrei tanto porre fine a tutto questo nulla e ricongiungermi a mia moglie e ai miei tre figli ma… ma sono costretto a questa attesa, a questa chiamata. Ho provato ad ammazzarmi e a farmi ammazzare più di una volta all'inizio, ma niente da fare… una forza agiva e mi salvava, guariva il mio corpo, mi faceva capire che dovevo aspettare; in qualche modo, questa strana forza, mi teneva e mi tiene in vita per qualcosa, ne sono certo. Forse avrei dovuto utilizzare questo mio essere praticamente immortale per uno scopo, uno scopo che spero avrebbe portato alla mia morte, al mio ricongiungermi con i miei cari. E ora eccomi qua, costretto a vagabondare senza certezza alcuna … a parte il mio nome, Hiven, e la voglia di morire, non mi è rimasto altro. Non mi ricordo che giorno è, o che stagione, che anno... fatto sta che è sera, fa freddo, e io come al solito cerco conforto nell'oscurità e nei pochi ricordi sopravvissuti. All'improvviso, sovrappensiero, inciampo in qualcosa che sembra un sasso. Non cado e continuo il mio cammino verso il nulla ma poi, appena percettibile, sento qualcosa. Mi blocco e mi giro in direzione di quel suono che sembra provenire proprio da dove ero inciampato, da quel sasso... mi avvicino piano piano ed ecco che quella sorta di rumore assume sempre di più l'aspetto di un rantolo, un rantolo di dolore. Sono arrivato alla fonte, abbasso lo sguardo, e la luce lunare illumina quello che sembra un sasso ma che in realtà è una testa... com'è possibile che una testa mozzata possa essere ancora viva? Mi chino, la esamino, sembra il capo di un ragazzo, completamente sfigurato; non muove le labbra, poco gli resta della bocca, eppure lo sento lamentarsi e come medico rimango sconvolto, ma anche affascinato. Raccolgo la testa, la pulisco, la tengo stretta a me come un figlio, poi inizio a guardare bene attorno al ritrovamento ed ecco comparire qua e là delle dita, una gamba, delle ossa... una scena a dir poco raccapricciante che non consiglierei neanche al mio peggior nemico. Raccolgo tutte le parti del corpo che trovo, mi viene naturale, è come se dovessi farlo; mi levo l'impermeabile, quello che definisco la mia divisa ufficiale da ramingo, che ha un colore indefinito a causa dell'usura e dello sporco, e avvolgo tutto in esso ma la testa la tengo fuori... la considero viva e perciò non mi va di metterla in quella sorta di sacco

Page 29: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

27

improvvisato assieme ai suoi resti, è come se non volessi far capire al ragazzo che è morto. Sembro ridicolo, lo so, pazzo forse, ma mi sembra naturale. Voglio portare tutto quanto in un luogo sicuro, lontano da occhi indiscreti e vedere che posso fare per lui. Ecco, solo ora, trasportando i resti di un umano sezionato violentemente, mi rendo conto che forse è proprio ciò che cerco, forse la chiave per ottenere la pace sta nel salvare questo povero ragazzo! ma con me ho solo una valigia con dei ferri, un computer, qualche medicinale e delle cose racimolate qua e là... però sento dentro che questa è la prova che aspettavo, l'ultimo atto della mia vita, perciò mi faccio coraggio e mi rifugio in una grotta per darmi da fare. Dopotutto io ricostruivo corpi, qualcosa riuscirò a fare, no? Fuori piove, piove e fa freddo. Mi devo muovere perché il barlume di vita che brucia in questa testa mozzata non durerà molto, anzi, ancora non riesco a concepire come sia possibile questa cosa… ma poi penso al mio caso, alla mia sopravvivenza, quindi lascio domande e risposte agli altri, a chi inutilmente pensa di sapere. Una cosa rende simili me e questo ragazzo: una morte scampata. È notte inoltrata e perciò accendo un fuoco, stendo l'impermeabile a terra vicino a esso e sopra sistemo tutto ciò che ho trovato; la testa del ragazzo la posiziono nel mezzo di questa macelleria improvvisata avendo però cura di spostarne lo sguardo verso l'alto, così che non veda ciò che resta di lui. La prima cosa a cui devo pensare è come far sopravvivere il cervello di questo povero uomo e devo farlo subito ma... ma non ho le attrezzature adatte ma soprattutto non sono in grado di dargli un corpo di qualsiasi tipo. Rido di me stesso, cosa avevo in mente di fare? Una zanzara mi punge, mi gratto dietro la nuca ed ecco che mi illumino all'improvviso e il mio ingegno si riaccende. Sento con le dita l'impianto fisso in cui un tempo era innestato il mio chip di controllo (sparito durante l'incendio), con cui i secondini governavano noi scienziati e che fungeva anche da memoria esterna, una sorta di secondo cervello, un'anima artificiale se vogliamo metterla sul lato romantico. Non posso dare un corpo al ragazzo, costruirne uno per lui, ma posso dargli il mio! Ecco, ora il puzzle si sta completando da solo: io sono sopravvissuto per permettere all'anima di questo povero sventurato di vendicarsi, la soluzione sta nel fonderci l'uno con l'altro. Rido come un pazzo, sono sicuramente pazzo, nessuno, che io sappia, ha mai tentato il trasferimento di un “Io” estraneo all'interno del proprio

Page 30: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

28

corpo ma so che è possibile codificare l'attività celebrale di un essere umano in un circuito. Ho un computer medico a disposizione e questo ha in sé una scheda centrale dello stesso tipo di quella che i secondini avevano innestato dietro la mia nuca, posso dunque provare, in ogni caso non ho nulla da perdere! Smonto il computer, improvviso dei cavi di trasferimento usando delle fibre ottiche in esso racchiuse, sto creando qualcosa di estremamente semplice e che spero funzioni; la testa sembra capire che sto facendo qualcosa per lui e gli parlo: «Amico mio, la tua vendetta per la mia morte! sono il dottor Hiven Duvall, tu come ti chiami?». Parlo a questo come se potesse sentirmi, convinto che in lui ci sia qualcosa di più di un impulso elettrico involontario e poi, mentre nemmeno aspetto una risposta e continuo il mio creare, ecco che sento una parola provenire dal capo amputato: «Giustizia...». Mi fermo, mi blocco, mi avvicino alla testa, l'accarezzo e gli chiedo: «Puoi ripetere?». E questa, di nuovo, sibilando: «Giustizia...». Sembra spegnersi mentre io mi accendo di passione, di curiosità, di sicurezza in ciò che sto facendo. Inizio a muovermi perché ormai questo ragazzo sta per andarsene e io non posso perdere questa opportunità. Tra una saldatura e la creazione di un circuito, mi chiedo se è tutto vero, se veramente sto cercando di fondermi con un altro uomo e cosa ne rimarrà di me in quel che spero sarà un breve periodo di convivenza. Sono passate due ore, lui non emana più alcun suono ma ogni tanto sembra accennare a un sorriso, a un'orribile sorriso. Chi è, anzi, chi era costui? È ovvio che è stato vittima di un’immane crudeltà, chissà per cos'è finito in queste condizioni, chissà se aveva una famiglia... di sicuro la mia intuizione sul fatto che sia mantenuto in vita solo per sete di vendetta è ora ancor più giustificata da quella parola, da quell'unica parola da lui pronunciata: giustizia. Lasciate stare chi dice che l’odio non serve a nulla, tutte cazzate. L’odio è l’unica cosa che riesce, paradossalmente, a tirare fuori il meglio di te, ti porta a sfruttare al pieno le energie e ti rende più forte. Punto. Dopo un po' il circuito sembra pronto e perciò collego a esso i due cavi e ne impianto uno per ogni tempia del mio assistito, creando delle entrate con un bisturi da amputazione. Faccio tutto senza troppi complimenti, anestesie o altro... di sicuro non potrà sentire dolore il mio amico decapitato. Ora è tutto pronto. Prendo il tastierino per il comando remoto del computer, sintonizzato sulla scheda madre, schiaccio il tasto “download”

Page 31: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

29

e all'improvviso una scintilla, poi due, poi fumo e la testa del ragazzo comincia a prendere fuoco. Disperato strappo letteralmente i cavi dal cranio del giovane ma ormai è troppo tardi, le ustioni lo hanno definitivamente ucciso. Sospiro, neanche questa volta è stata la volta buona, la morte mi ha beffeggiato nuovamente. Sono stufo, fuori piove, voglio dormire, ma sento un rumore: è il tastierino che mi avvisa che il download è stato completato. Non ci posso credere. Prendo la scheda madre, la stacco dai cavi grondanti sangue e pezzi di cervella, la sento calda e vibrante, la spia nel mezzo è accesa, verde, è attiva! Non c'è tempo da perdere, prendo un bel respiro e, aiutandomi con uno specchietto, la installo dietro la mia nuca nella sede apposita, poi prendo il tastierino e schiaccio il tasto “transfert”. Vengo colto subito da violenti spasmi, un male indicibile mi sta distruggendo, riesco a malapena a pensare, a rendermi conto di cosa mi sta succedendo e poi… poi buio… la mia testa batte su una roccia, perdo i sensi. Non può essere questa la morte, questo ritrovarmi in una fredda oscurità non può essere ciò che desideravo da anni, il premio per le mie sofferenze… no, cazzo, non può finire così! Forse è il limbo, forse sono entrato in coma e basta. È una sensazione strana quella che provo e spero solo che non sia questa l'agognata fine cui ambivo da tempo, non riesco a realizzare che la morte non sia altro che la continuazione perpetua della solitudine e del vuoto che hanno caratterizzato questi ultimi miei anni di vita. Dio, se ci sei, dammi una risposta! Almeno dimmi che sono morto per niente, che mi hai portato qui solo per prendermi per il culo… dimmi qualcosa! L'agitazione e la rabbia passano all'improvviso perché sento di nuovo il mio corpo, riesco a toccarmi, sento il battito del mio cuore e posso parlare... poi, con calma, riacquisto la vista e torna la luce, non sono morto allora. Tutto ciò mi rassicura, perché ho ancora la speranza che l'aldilà sia diverso e che in esso potrò ricongiungermi ai miei familiari e trovare la pace meritata; con calma riesco a rialzarmi, avevo solo perso i sensi, l'inserimento del chip mi aveva messo KO, ma sono vivo, cazzo se sono vivo! Mi tocco dietro la nuca e sento la scheda vibrare, con il vetrino vedo la

Page 32: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

30

luce ancora verde, il trasferimento deve essere avvenuto ma io mi sento come prima, cioè, sono sempre io, Hiven, sono come ero ieri. Mi inchino di fronte alla testa mozzata e chiedo scusa a questa, poi riavvolgo tutti i resti di quel povero ragazzo e vado fuori, scavo una buca sotto la pioggia, nel fango, gli dono una parvenza di sepoltura e di funerale. Intanto si fa giorno e io riprendo il mio cammino, verso dove non lo sa nemmeno Dio, sempre se esiste Dio. Sono sicuro di girare a caso per queste terre schifose eppure sembro dirigermi verso un luogo ben preciso e me ne accorgo fin da subito, è da ore che punto a est, forse ho preso troppo sole… fatto sta che sto certamente andando in direzione di una collina e ciò mi diverte visto che so bene chi vive in quella zona: il Cambogiano. Sto camminando nelle terre infestate dai goblin, ma stranamente ancora nessuno di quei malformati figli di puttana si è presentato. In ogni caso me la caverò, come tutte le volte, non so se ve l'ho detto ma non posso morire, purtroppo. C'è troppa calma in questi luoghi, troppa calma. Dietro la collina, laggiù, a circa un'ora di cammino, vivono gli unici esseri umani, oltre a me, che osano dimorare in questa foresta maledetta; non sono il benvenuto in quella “Casa” perché non sono voluto diventare la troia del suo padrone, di questo fantomatico Cambogiano, una sorta di ex secondino alcolizzato che aveva di certo letto troppo “Cuori di tenebra” di Conrad. La mia filosofia di vita mi impone di andare dove sento di andare, in cerca di uno scopo, di una prova, di una missione, di qualcosa che mi dia in premio la morte... questa volta, però, sono le mie gambe a guidarmi. Un nome, che mi pare di aver già sentito in passato, mi rimbomba sempre più forte nella mente: Gnorl. Perché sto andando verso la tana del Cambogiano e perché in mente ho questo nome? Rido, scuoto la testa, penso che non può essere possibile che sia la memoria del ragazzo decapitato, non può essere, avevo azzardato un trasferimento di dati cerebrali in una grotta! Voglio fermarmi ma non posso, le gambe continuano a muoversi e sempre più forte, sento dentro quel nome. Con il passare dei minuti ecco che poi a quel nome associo un volto, un volto goblin, lo vedo nella mia mente, provo terrore e rabbia. Ora sono sicuro che è la memoria dello sfortunato ragazzo, ciò mi

Page 33: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

31

sciocca e mi affascina in egual modo, ma poi lascio stare lo scienziato che è in me e mi eccito come un ragazzino perché il destino ha voluto che tutto andasse a buon fine la notte scorsa, sto finalmente camminando verso la mia ricompensa, verso la morte! Sì, la morte. Ora che è così vicina, certa (se Dio è corretto), posso dire che mi fa paura. La guerra che combatterò, per questa testa mozzata, di sicuro, mi farà male fisicamente, già mi vedo mutilato come lui... di sicuro però io riuscirò a dare pace alla sua anima e anche alla mia, non importa con quale risultato finale: lui è già morto e io desidero esserlo. Mentre mi avvicino alla collina, ecco che i ricordi del mio ospite si fanno sentire, seppur confusi, mi danno un'idea di ciò che è successo, lo sento dentro di me, sta prendendo coraggio e spazio, sembra aver capito cosa sto facendo per lui. Non so come spiegarlo, è qualcosa che va al di là della scienza, è semplicemente inspiegabile e sono felice. La Foresta della Morte di giorno è un luogo a dir poco bello, pieno di vita, pochi pericoli perché la feccia esce solo di notte; mi fermo in mezzo a una radura, allargo le braccia, il viso rivolto alla bianca luce di Solitan, assaporo ogni suo raggio... non è da me, forse è da lui, in ogni caso mi piace. Mi fermo solo per alcuni istanti e riprendo il mio cammino, non mi sento a mio agio quando il ragazzo prende il controllo del mio corpo, non mi piace per niente quella sensazione ma purtroppo lo sento sempre di più farsi spazio, è frustrante, innaturale e di passo in passo mi ci abituo. Non sono solo dati quelli che ho impiantato dentro di me, ma un'anima che vuole vendetta e sangue, una guerra, violenza pura, il male più assoluto. Tutto questo come veleno conquista il mio corpo respiro dopo respiro, metro dopo metro. Sono arrivato ai piedi della collina e mi tremano le gambe, non sembra essere un mio volere, no, è il suo. Ora riesco pure a vedere ciò che era un tempo questo povero giovane, lo vedo con i suoi capelli castani, alto, muscoloso ma non per niente felice, anzi, riesco a sentire il nero che si cela nel suo cuore, riesco a intravedere i suoi ricordi più intimi … è chiaro che sta acquisendo potere dentro di me e tristemente mi domando se alla fine, a vendetta raggiunta, ci sarà solo lui qua dentro, dentro il mio corpo. Mi chiedo se alla fine morirò senza saperlo. Poco importa comunque, l'importante è l'esito, l'importante è la fine di questo mio supplizio.

Page 34: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

32

Mentre penso a questo ecco che mi ritrovo fermo, immobile di fronte alla collina, la fame e la sete mi hanno abbandonato, non sento più nulla a parte il mio ospite. Ora conosco il suo nome: Hugo. Conosco anche molti particolari della sua vita e della sua morte… più passa il tempo e più la situazione si rovescia: ora sono io dentro di lui e non viceversa. I miei pensieri cominciano a mescolarsi ai suoi ed è insopportabile questa cosa, fa male, brucia dentro come aver ingoiato pallottole fresche di sparo. Sembrano passati solo alcuni minuti ma in realtà sono passate ore. Sono sempre ai piedi della collina, in ginocchio, tremante, con lui che ormai è parte di me, sì, ormai non lo sento nemmeno più, è dentro, è in me. È me. Merda, ci bruciano gli occhi, ci fanno male le ossa, abbiamo la nausea. Parlo in plurale, sì, ormai siamo in due anche se apparentemente si vede solo un pagliaccio occhialuto vestito con un impermeabile. Puliamo le lenti degli occhiali, in esse ci specchiamo, non siamo cambiati nell'aspetto. Vediamo sempre un uomo sui quarantacinque anni, con la barba incolta e i capelli neri tenuti assieme da una coda improvvisata con un laccio emostatico. Non ci sentiamo diversi ma solo stranamente completi nell’essere uniti, altri non possono dire altrettanto. Ora ci sentiamo fortunati, ricchi, ci sentiamo forti, sia dentro che fuori, minuto dopo minuto. La confusione è stata soppiantata da una sublime e lucida sete di vendetta. Cosa siamo ora? Non lo sappiamo, ma sappiamo cosa vogliamo. Immersi nei nostri pensieri, neanche ci accorgiamo di essere arrivati alla casa oltre la collina, laddove Hugo ha voluto portarci. Con enorme stupore il luogo è abbandonato. Entriamo dentro la tana, tutto è come lui ricorda. Il tavolo è ancora spostato e la botola aperta. Scendo e anche là sotto nessuno ha toccato niente. Il corpo del Cambogiano giace ancora decapitato e solo le mosche della carne sembrano interessate a quella salma. A quanto pare le guardie se la sono data a gambe oppure sono andate a cercare il colpevole, a cercare aiuto... poco importa. Hugo dice che in questa stanza interrata ci sono un sacco di armi, c'è da fare il pieno di bombe, ci serve un buon fucile di precisione e una mitra per gli scontri ravvicinati, ci serve un coltello e, perché no, qualche bottiglia di liquore. Ci dobbiamo preparare a una guerra, a un genocidio forse… Gnorl e la

Page 35: Deep Silver libro I - L'ultimo Dio

33

sua stirpe maledetta hanno ormai le ore contate ma, si sa, la vendetta è un piatto che va servito freddo e quindi il piano è di aspettare qualche giorno per avere la sicurezza che il goblin abbia riscattato la taglia e sia tornato dai suoi, nel nido dei goblin poco più lontano, da dove sicuramente proviene. Nell'attesa ci sediamo sopra il corpo del più famoso criminale di Deep Silver, sorseggiando ciò che sembra un Cognac o piscio fermentato, boh, comunque è buono… Qualsiasi cosa sia questo intruglio sembra funzionare. Vediamo l'aria muoversi e posarsi sul nostro corpo come la mano di una madre, sembra strano, lo sappiamo, ma stiamo bene, siamo rilassati e poi il corpo su cui posiamo è piuttosto comodo. Usciamo dalla botola e andiamo a prenderci una boccata d'aria ma attorno a noi c'è solo l'oscurità della sera, perciò optiamo per ritornare a sederci sopra il criminale e finire la bottiglia. I nostri occhi fissano il vuoto cercando di vedere il futuro, quello che succederà al nido dei goblin nessuno può ancora saperlo. Due anime in un corpo, contro centinaia, forse migliaia, di esseri orribili e tenaci … li faremo fuori tutti, donne e bambini, impaleremo vivo Gnorl e poi, una volta ottenuta la vendetta qualcuno ci darà la morte che meritiamo? Fine anteprima.Continua...