Dedicato a te, immaginario turista e ospite gradito. · in un paesaggio da fiaba imbrattato dai...

46

Transcript of Dedicato a te, immaginario turista e ospite gradito. · in un paesaggio da fiaba imbrattato dai...

Dedicato a te, immaginario turista e ospite gradito.

COMELICO

Comelico, è poesia il tuo nome, è poesia quel raggio di sole che filtrando fra i pini mostra l’incanto della montagna che ride all’ultimo sole. Arrampico il cuore sulle vette silenziose, dove non c’è più nessuno, dove non c’è più sentiero, dove c’è il mio rifugio. Io vado lassù e il mio sguardo si perde in un paesaggio da fiaba imbrattato dai mille colori. Imprigiono la tua immagine nei miei occhi. Quando li apro godo l’alba che tinge l’orizzonte lontano, quando li chiudo lodo chi ti ha creato.

Introduzione Lo scopo del presente lavoro è far conoscere, a chi non ha mai avuto l’opportunità di visitare il Comelico, le meraviglie naturalistiche e paesaggistiche della mia vallata, nonché alcune manifestazioni folkloristiche-culturali che nel corso dell’anno ripropongono antiche usanze paesane legate al carnevale. Attraverso un itinerario culturale-gastronomico vi farò conoscere alcuni dolci tipici del luogo e, con queste “dolci tentazioni”,vi aspetto per assaporarle insieme.

INDICE GENERALE

INTRODUZIONE pagina 5

1° CAPITOLO: Descrizione dell’area geografica considerata pagina 10

2° CAPITOLO: Da cosa ha origine il Carnevale pagina 12

3° CAPITOLO: Periodo di svolgimento pagina 14

4° CAPITOLO: Da cosa è composto il Corteo pagina 16

5° CAPITOLO: Tratti dei personaggi principali pagina 18 5.1 – “Maschere da bella e da vecchia” pagina 18 5.2 – Il Matazin e il Lachè – caratteristiche principali pagina 20 5.3 – Il vestito pagina 22 5.4 – Ruolo di Matazin e Lachè pagina 25 5.5 – La Matazera pagina 26 5.6 – Il pagliaccio pagina 28 5.7 – I Volti pagina 29

6° CAPITOLO: I cambiamenti nel corso degli anni pagina 32

7° CAPITOLO: Profumo di “Daburiò” pagina 34

9° CAPITOLO: Antiche leggende dai piacevoli sapori pagina 35

ALLEGATO numero uno – Dal ricettario della nonna pagina 38 ALLEGATO numero due – Intervista: “La vestizione del Matazin” pagina 39 ALLEGATO numero tre – Costalta guarda al passato pagina 42

1° CAPITOLO: Descrizione dell’area geografica considerata

Circondato da una meravigliosa catena di rocce dolomitiche, dalle scoscese pendici e morbidi declivi, sorge come d’incanto la vallata del Comelico, caratterizzata da terreni molto fertili che permettono ai prati di spingersi a notevoli altitudini, donando all’ambiente un aspetto particolare tale da far meritare alla zona l’appellativo di “Verde Comelico”.

La Val Comelico si trova in provincia di Belluno; confina a nord – est con l’Austria e si estende a nord – ovest fino al passo di Montecroce Comelico che la mette in comunicazione con la Val Pusteria in provincia di Bolzano.

Il collegamento con le zone più a valle è garantito dalla strada statale numero 52 che costeggia il fiume Piave. Il Comelico appartiene geograficamente alla regione Dolomitica del Cadore, occupandone l’estrema zona nord – orientale.

Disseminate in questo territorio, costituito da ripidi pendii prativi e assolati pianori, tante belle borgate contornate dal folto delle abetaie, raccolte in un’ansa di un torrente o distese nel fondovalle, alteree su un cocuzzolo aereo, rintanate sotto un dirupo o inerpicatesi a mezza costa, ridenti nei colori dell’arcobaleno, grandi o piccole, ricche o povere, offrono all’appassionato di montagna, all’escursionista, al villeggiante, all’amante della solitudine, ai patiti dello sport della neve e del ghiaccio o alla gaia spensieratezza in compagnia un gradevole soggiorno estivo o invernale.

Unico comun denominatore le caratteristiche della gente che li popola, li ama, li difende, li conserva per il forestiero in visita, così come ama, difende, conserva quel patrimonio culturale che per secoli è stata l’unica ricchezza di queste genti (vedi allegato n. 3).

Mi riferisco alle molteplici attività dell’uomo, alle strutture dell’organizzazione sociale, alla “cultura” nelle sue varie implicazioni economiche, etnologiche, artistiche e di costume. Le usanze più significative, ancora esistenti nell’area, sono le festività paesane e le manifestazioni folkloristiche legate spesso al carnevale.

2° CAPITOLO: Da che cosa ha origine il Carnevale

Gli studiosi da tempo si sono posti domande sulle origini del carnevale e del suo significato. Di questa festa sono state rilevate date ed origini diverse.

Agli inizi del secolo il carnevale era considerato un rito di propiziazione agricola. Vennero interpretati, da alcuni antropologi, i diversi aspetti di tale festa in chiave di riti di fertilità, intendendo come tali: � il complesso delle cerimonie di eliminazione del male e purificazione; � di rinnovamento e di propiziazione per la fecondità della terra e la prosperità dei partecipanti; � riti che venivano svolti in occasione delle feste di inizio di un ciclo di stagione o di un nuovo anno.

Per secoli il carnevale è stato la principale festa di Capodanno e, come in ogni festa di rinnovamento per l’inizio dell’anno, il primo momento è quello dell’eliminazione di tutto ciò che è male, vecchio e che potrebbe impedire il pieno sviluppo delle nuove forze. Esso rappresentava il momento della purificazione collettiva.

Il carnevale è uno dei periodi privilegiati per trasgredire alle regole giornaliere; si vive in un periodo di abbondanza alimentare, si ha un inversione dei rapporti naturali (gli uomini si travestono da donne) e sociali (i servi danno ordini ai padroni); viene vissuto come un periodo di libertà, gioia, riscatto.

Il carnevale viene identificato come un’esperienza diversa, ma reale di vita ed ha carattere di rinnovamento del mondo su principi migliori.

Quest’atmosfera di eversione, di libertà è tuttavia limitata al periodo della festa, un mezzo di controllo sociale che permette lo sfogo, controllato nel tempo e nei modi, degli istinti repressi che altrimenti potrebbero esplodere incontrollati.

3° CAPITOLO: Periodo di svolgimento

In Comelico il carnevale assume un’importanza rituale, radicata in una tradizione secolare. E’ una festa che coinvolge tutti i paesi della vallata, anche quelli dove non sfilano i carri mascherati ed è allegria di colori, di musica, di dolci fritture e di voglia di stare insieme.

Il carnevale inizia subito dopo l’Epifania e, a Comelico Superiore, consiste nel corteo mascherato che si svolge nelle quattro frazioni, nel corso di una domenica del periodo carnevalesco. Non sempre tutti i paesi riescono ad organizzare la festa in costume, ad eccezione del paese di Dosoledo che s’impegna per la preparazione della tradizionale mascherata in occasione di Sant’Apollonia, la Santa che si celebra nella giornata del nove febbraio e che da tempo immemorabile è la festa mista laico - religiosa della patrona del paese e della mascherata. In questo periodo l'aria di carnevale si espande tra le strade e si respira nelle case. Dentro, dietro le tendine ricamate, nelle "stue" rivestite di legno, mani abili confezionano i vestiti delle maschere che sfileranno nei cortei.

4° CAPITOLO: Da cosa è composto il corteo

Le caratteristiche principali del Corteo carnevalesco di Comelico Superiore è la suddivisione delle maschere in due categorie: le “Maskrì da Bela” (maschere da “bella”) e le “Maskrì da Vèca (maschere da “vecchia”).

Il Corteo

comprende inoltre una serie di personaggi tipici: il Matazìn, il Lakè, la Matazèra ed il

pagliaccio. Sempre presente è un gruppo di musicisti. Le maschere da “bella” e da “vecchia” sfilano a coppie,

un uomo e una donna. Il corteo è quasi sempre concluso dai carri allegorici che servono a rappresentare le scene e i balli che vengono svolti nel corso della giornata. In passato, all’incirca fino a prima della

seconda guerra mondiale, donne e bambini non potevano andare in maschera. I ruoli femminili venivano quindi ricoperti da uomini (attualmente la presenza delle

donne e dei bambini è consentita). Molto importante era che non si scoprisse l’identità del mascherato: le maschere erano tenute ben aderenti al viso, la voce era camuffata con il sistema del “bottone gemello” trattenuto tra le labbra. Si cercava inoltre di usare abiti dei quali non si potesse identificare il proprietario.

5° CAPITOLO: Tratti dei personaggi principali

5.1 - MASCHERE “DA BELLA” E “DA VECCHIA” Le maschere “da bella”, una volta, indossavano gli abiti della festa costituiti dai costumi tradizionali e volti lignei di delicata sembianza e raffinata fattura. Attualmente questo gruppo non è caratterizzato da mascheramenti tradizionali; vi si trovano personaggi di qualsiasi tipo e non s’indossano più le caratteristiche maschere di legno. Le maschere “da vecchia” avevano abiti fuori uso. Ora questo gruppo indossa per lo più vecchi abiti in “madalana” (lana e lino tessuti insieme) che in passato costituivano l’abbigliamento di tutti i giorni. L’elemento più caratteristico di

questo gruppo sono i volti, le maschere di legno con colorazione che tende al bruno, che raffigurano visi di vecchi solcati da profonde rughe e dai lineamenti volutamente deformi a sottolineare i danni causati dal duro lavoro e dallo scorrere del tempo.

5.2 - IL MATAZIN E IL LACHE’: Caratteristiche principali

Il Matazìn è la maschera più prestigiosa e rappresentativa del Carnevale Comelicese; in alcune frazioni è presente anche il Lachè.

In realtà il Matazìn e il Lakè sono maschere molto simili, impersonate sia da uomini che da donne, fondamentalmente identiche tra loro, molto eleganti e raffinate.

Entrambe le maschere, per la funzione che svolgono all’interno della struttura carnevalesca, possono essere definite maschere – guida. Per quanto riguarda il prestigio di cui godono, gli atteggiamenti e soprattutto l’abbigliamento, i due personaggi sono talmente uguali che solo alcuni elementi, come la diversa tonalità di colore del vestito e la statura, permettono di riconoscere le due maschere, quando sono vicine. In ogni corteo ci devono essere almeno due Matazìns, o un Lachè e un Matazìn. Il numero può variare, ma deve comunque essere pari per permettere l’esecuzione dei balli. Si

tratta di figure quasi sempre impersonate da un uomo; in passato i protagonisti erano soprattutto giovani, oggi è molto difficile trovare giovani disponibili per questo tipo di ruolo.

Questo ruolo è prestigioso, ma anche molto faticoso: dal mattino fino

alla conclusione della mascherata, i Matazins devono sempre procedere a passo di danza o saltellare a suon di musica perché non è consentito loro il passo normale, proprio per l’eccezionalità del ruolo; devono essere bravi ballerini poiché i momenti più spettacolari della mascherata consistono nei balli che compiono queste maschere, in particolare quando effettuano il salto d’incontro ponendosi uno di fronte all’altro e saltando contemporaneamente il più in alto possibile. Le caratteristiche di questi personaggi, il particolare modo di procedere, il comportamento e specialmente il vestito, contribuiscono a determinare il carattere raffinato, elegante, fuori dal comune; tra l’altro il Matazìn e il Lachè sono maschere che richiedono delle persone specializzate oltre che per la preparazione dell’abito, confezionato appositamente ogni anno, per la loro vestizione.

5.3 - IL VESTITO

Il vestito è molto colorato e risulta composto da elementi dell’abbigliamento maschile e da accessori di quello femminile che in passato erano prestati dalle donne del paese (oggetti d’oro – collane). Gli elementi del costume di queste maschere – guida che più colpiscono per bellezza e spettacolarità sono l’alto cappello e gli scialli che ricoprono quasi completamente la persona. L’alto cappello, detto anche calotta o canna, è formato da un cilindro di cartone rigido la cui altezza può variare dai quaranta ai cinquanta centimetri, a seconda del portatore.

La fodera esterna è di solito in velluto di colore intenso, onde valorizzare le numerose file di perle, spille, collane, paillettes, specchi, monili incastonati e che vengono montati di anno in anno, variando ogni volta il disegno in modo da formare complessi motivi decorativi, come figure geometriche, spirali e intrecci. La sommità è decorata con fiori e dal retro del cappello, trattenuti da un grosso fiocco, scendono numerosissimi nastri colorati che ricadono liberamente sulle spalle.

Il copricapo è foderato parzialmente anche all’interno e presenta, cucita alla base, una coppola di tela che serve a facilitare e a rendere più comodo l’appoggio della testa. Il suo peso (tre, quattro chili) è oneroso e comporta un notevole impegno sia per motivi di equilibrio che per fatica fisica.

Nella sua parte bassa posteriore, viene fissato un finissimo velo bianco che scende fino alle ginocchia e circa una sessantina di nastri di seta diversamente colorati e lunghi quanto il velo. L’ultimo nastro è più largo e dello stesso colore del grande fiocco che copre ed abbellisce il vertice.

Per motivi estetici, la testa del Matazìn è avvolta in un bianco fazzoletto lavorato a cappe, che va ben fissato e teso con lacci sotto il mento in modo da consentire un più comodo appoggio della calotta. Esso lascia intravedere solo l’ovale del viso che una volta veniva coperto da una maschera di legno.

Al giorno d’oggi i Matazìns riportano sul viso pizzetto e baffi con il carboncino e sulle guance i segni delle carte da gioco.

Il Matazìn indossa una maglia bianca dalle maniche posticce in seta, di colore diverso, coperte da sopra-maniche in pizzo, fermate appena sopra il gomito e, al polso, da due lacci colorati.

Sulla parte anteriore della maglia spiccano delle collane dorate. Posteriormente viene indossata una sonagliera che viene

ricoperta da un leggero velo che addolcisce il suono. Alle spalle vengono cuciti una serie di fazzoletti serici frangiati da colori vivaci,

che vanno a formare una grande mantellina multicolore. Vengono indossati dei pantaloni di seta lunghi e racchiusi sotto il ginocchio.

Il Matazìn femmina invece, porta una gonna, anch’essa di seta e lunga fin sopra il ginocchio.

Il maschio, all’altezza del bacino, è cinto da una fascia che richiama la calotta. Sotto di essa viene fissato un grande fazzoletto frangiato di colore bianco e con ornamenti floreali, piegato a metà in modo da formare un triangolo con il vertice verso il basso. Calzettoni bianchi ricamati e scarpe nere ornate sempre da fiori di carta concludono il suo abbigliamento. Il Matazìn porta i guanti bianchi e tiene, tra le mani, due oggetti significativi: nella destra, uno scettro leggero, la “bagolina” (segno di autorità e comando”) con punta sferica e l’asta ornata da strisce inclinate bicolori e un nastro, mentre a sinistra un contenitore d’argento valorizzato da un fazzoletto ricamato bianco, che risulta fissato per un vertice al guanto. Esso generalmente, contiene dei piccoli confetti che vengono offerti al pubblico.

5.4 - RUOLO DI MATAZIN E LACHE’

Il Matazìn è la maschera fondamentale del Carnevale senza la quale non sarebbe possibile la mascherata: è la guida e il responsabile del Corteo. Sono i Matazìns i primi a prepararsi e poi, in compagnia del Pagliaccio, in attesa che le altre maschere si radunino, compiono un iniziale giro dei bar del paese annunciando il Carnevale.

Lungo il percorso che compie la mascherata, il Matazìn deve essere costantemente alla testa del Corteo e, all’ingresso del paese, assieme al compagno esegue il salto d’incontro. Successivamente uno dei due parte di corsa e arriva per primo sulla piazza, avvisando dell’imminente arrivo del Corteo. Sulle piazze è loro il compito di aprire il momento dei balli, e poi, alla fine, di chiuderli. Essi hanno anche il ruolo di cerimonieri: sono loro che ricevono, all’ingresso della propria frazione, i Cortei delle altre frazioni che vengono in visita.

In tempi passati era frequente che in occasione dei matrimoni, celebrati nel periodo di Carnevale, il corteo nuziale fosse accompagnato da questa maschera.

5.5 - LA MATAZERA

L’abbigliamento della Matazèra è quantitativamente similare a quello dei Matazìns, ma va realizzato con materiali “scadenti”. I colori dominanti del vestito sono il nero, il marrone o comunque i toni cupi. Le collane sul petto sono povere, realizzate con materiali di poco costo. Sulla maglia e sulla calotta sono incastonati gusci di noci, nocciole bucate, tappi di bottiglia, bottoni, semi, fagioli o simili. La sommità della calotta spesso è guarnita con “pompon” di lana o mollette per la biancheria.

Al posto dei nastri, dal “cappello” cilindrico scendono vecchie cravatte o nastri dai colori spenti. In mano, al posto della bomboniera, la Matazèra porta la “bala da cafè”, un tostacaffè

annerito, nel quale sono contenute le caramelle che la maschera offre al pubblico. Questa figura rimanda a un idea di miseria e sciatteria. Anche la preparazione del suo vestito è molto laboriosa e necessita d’esperienza; la decorazione del cappello, per la complessità di motivi decorativi, non ha nulla da invidiare a quello del Matazìn. Se sul piano estetico il contrasto è così evidente, per quanto riguarda il ruolo svolto all’interno della mascherata, non c’è contrapposizione con il Matazìn: la Matazèra è una vera e propria maschera guida. Anch’essa mantiene durante tutta la mascherata un comportamento molto corretto e serio, procede sempre a passo di danza e i balli tra le due figure sono gli stessi. Questo personaggio può essere rappresentato da uomini e donne nonostante la denominazione sia femminile. È un personaggio che gode di un’originalità straordinaria.

5.6 - IL PAGLIACCIO Un altro personaggio tipico del carnevale Comelicese è il pagliaccio. Il suo compito principale è

scortare costantemente il Matazin, quasi che

l’elemento serio e raffinato debba sempre essere accompagnato da quello comico; inoltre, nel corso della mascherata, deve controllare che le maschere non siano disturbate dal pubblico, soprattutto nel momento dei balli. A tale scopo, l’accessorio fondamentale del costume di questo personaggio è la “canadindia”, un bastone da passeggio, che viene usato per tenere a distanza il pubblico.

Il suo abbigliamento è affidato alla fantasia degli interpreti salvo il fatto che, per consuetudine, i vestiti debbono essere abbondanti e larghi, anche per celare le sonagliere.

Il volto ligneo è oggi usato saltuariamente, ma un tempo era quasi obbligatorio per rendere impossibile l’individuazione dei protagonisti.

5.7 - I VOLTI

L'elemento che più caratterizza le Maschere "da vecchia" sono i "volti". Queste maschere rappresentavano volti di uomini e di donne. Sono ognuna diversa dall'altra essendo lasciata la fantasia dell'artista completamente libera. Nella loro grande varietà sono accomunate da alcuni caratteri tipici: rappresentano visi di vecchi, profonde rughe solcano la fronte e le guance; i lineamenti sono volutamente deformi, i nasi storti o con gobbe, le labbra atteggiate a smorfie o socchiuse per lasciare intravedere pochi denti, i menti sporgenti. Sono volti segnati dall'età, dalla fatica quotidiana e dal duro lavoro nei campi. Le maschere non sono pitturate: il colore, che è in genere scuro, per lo più nero, bruno, ocra, è ottenuto con un particolare trattamento del legno.

Benché queste maschere "da vecchia" rappresentino sempre visi dai tratti fondamentalmente brutti, in paese si parla spesso di belle maschere "da vecchia" e vivo è il ricordo di maschere particolarmente riuscite. Ciò significa che a questi lavori viene attribuito un valore artistico. Le maschere sono profondamente incise all'interno in modo che, una volta indossate, possano coprire completamente il viso. Quasi sempre, inoltre, la testa è avvolta in un fazzoletto per impedire il riconoscimento. All'interno le maschere recano spesso incisa la data di fabbricazione. Di fianco, all'altezza circa degli zigomi, vi sono due fori; un terzo è molto in alto sulla fronte. Nei fori laterali passa un elastico o una cordicella che tiene

ben ferma la maschera sulla nuca: nel foro frontale passa un altro elastico che è legato al precedente ed impedisce alla maschera di scivolare in basso e muoversi.

Quando in passato era molto importante che non si scoprisse l'identità del mascherato, si cercava di rendere irriconoscibile la voce. Soprattutto si ricorreva al sistema del bottone trattenuto tra le labbra: si usava un bottone gemello o altrimenti si passava una cordicella tra due bottoni normali e quando si indossava il "volto", un bottone era tenuto in bocca mentre l'altro era poggiato fuori, sulle labbra della maschera. Ciò era sufficiente per mutare la voce.

La maschera non era mai tolta durante tutta la giornata. Per bere, quando veniva offerto il vino nelle case visitate, i mascherati si rifugiavano in un angolo dove potevano sollevare la maschera senza essere visti. Pare che la maschera venisse tolta se il mascherato si tratteneva a lungo nelle case oppure, spontaneamente, per farsi riconoscere dalle famiglie visitate.

La produzione di maschere lignee non è affatto un fenomeno legato al passato. Ancora oggi si trovano in paese persone che, con maggiore o minore successo, intagliano maschere. In genere si tratta di falegnami o di persone che, pur non avendo una preparazione specifica, hanno dimestichezza con il legno e, durante il tempo libero, si dedicano alla produzione dei "volti". Il legno preferito è l'ontano, il tiglio, il cirmolo. Si lascia stagionare bene, altrimenti la maschera si creperebbe e poi si comincia a lavorare.

Prima di scavare la parte interna bisogna aver ben presenti diverse misure: la larghezza del naso, la distanza degli occhi e la bocca. E' importante che queste misure interne corrispondano al viso perché la maschera possa essere indossata tutta la giornata. Sul legno appena sbozzato si fanno subito gli occhi e poi si prosegue con il resto. Le forme esterne possono variare enormemente da maschera a maschera secondo il gusto dell'artista. Anche le dimensioni possono variare: alcune misurano quanto un viso normale, altre possono essere più grandi. Spesso è la forma stessa del legno a suggerire l'ispirazione oppure si cerca di riprodurre qualche viso particolare visto in paese.

Queste maschere sono usate solo per le Mascherate. La produzione di maschere, infatti, non è legata ad attività commerciali; i "volti" sono fatti da chi ne ha le capacità e poi rimangono di loro proprietà oppure prestati o regalati ad amici in occasione del Corteo. Gli artigiani sono generalmente molto affezionati alle loro creazioni, soprattutto a quelle più riuscite e le conservano con cura.

Le stesse maschere possono essere usate tutti gli anni. Tuttavia in ogni Mascherata ce n'è sempre qualcuna nuova fatta appositamente per arricchire il Corteo e non vedere sempre gli stessi "volti". Sebbene in qualche Mascherata compaiano ancora maschere di plastica o di cartapesta attualmente ci sono in giro a Comelico Superiore molti "volti"; conseguenza del rinnovato interesse e rivalutazione delle proprie tradizioni.

6 CAPITOLO: I cambiamenti nel corso degli anni Attualmente le maschere da bella, così come sono state

descritte, non esistono quasi più; al loro posto troviamo i mascheramenti moderni, che si possono ritrovare in qualunque altro carnevale. È da tenere ben presente, però, che queste maschere sono tutte riunite nel gruppo delle maschere da bella che, tradizionalmente, precede nel Corteo il gruppo delle maschere da vecchia.

Quest’ultimo gruppo è ancora oggi ben caratterizzato: tutti i partecipanti hanno i volti in legno che ora sono divenuti un elemento esclusivo di queste maschere. I vestiti sono alla “vecchia”: gli uomini indossano pesanti abiti in madalana e i personaggi femminili hanno lunghe gonne scure e, sopra la camicia bianca, un gilet o un giacchino; le spalle e la testa sono coperti da fazzoletti. Ai piedi compaiono spesso “li tarali” (zoccoli in legno) o “i scàrpeti” (calzature in stoffa).

Le coppie da vecchia portano ancora attrezzi da lavoro, ma si tratta sempre di oggetti che riguardano la vita quotidiana del passato e le attività economiche di una volta. Infatti, ciò che nella struttura carnevalesca era funzionale alla contrapposizione da bella – da vecchia ora è divenuto la testimonianza dell’antico modo di vita; gli elementi del rituale carnevalesco, inserendosi nel processo di rivalutazione della cultura popolare, in atto a Comelico Superiore, hanno subito una rifunzionalizzazione, per cui le maschere da vecchia

rappresentano ora per gli abitanti la memoria del proprio passato. Il caso della Matazèra e la trasformazione che ha subito il gruppo delle copie da vecchia, dimostra in modo chiaro come il Carnevale sia un complesso cerimoniale in cui elementi nuovi si inseriscono in una struttura preesistente e gli elementi tradizionali si trasformano, caricandosi di nuovi significati.

7° CAPITOLO: Profumo di “Daburiò”

L’aria di Carnevale si respira anche nel profumo di “Daburiò” che si sente nell’aria.

“Daburiò” in ladino del Comelico, significa frittura, e le fritture, a Carnevale, sono quelle dolci. Gustosi e fragranti, dalla sottile sfoglia cosparsa di zucchero, i “crostoli” sono per eccellenza il dolce tipico di Carnevale. La ricetta si tramanda a voce; ogni casato ha i suoi segreti per renderli più gustosi. Li mangiano i Matazìns e le Matazère, li gustano i Lachè e i Pagliacci, insieme alle altre maschere che popolano la piazza durante il ballo, assaporandoli nei chioschi improvvisati a margine della mascherata, con un buon bicchiere di vin burlè. Crostoli e “faveti”, le classiche castagnole fritte nell’olio, “faveti” e “nighi”, le piccole frittelle leggere che deliziano il palato.

Dolcezze del Carnevale Comelicese, che passa di casa in casa e trascina la gente in piazza a ballare al suono della fisarmonica sui ritmi della “vecia”. Dolcezze del “Daburiò”, dai sapori antichi che si rinnova ogni anno a metà dell’inverno, portando con sè il desiderio di primavera.

9° CAPITOLO: Antiche leggende dai piacevoli sapori Comelico, vallata di tradizioni secolari e squisite

dolcezze, ricco di antiche leggende e piacevoli e raffinati sapori da gustare non solo nel periodo Carnevalesco, ma durante tutto l’anno. Ecco perché non possiamo fare a meno di consigliare al nostro turista immaginario una visita ad un piccolo e magico forno che sforna dolci che fanno onore alla vallata e che vengono commercializzati nel mondo. E allora……… come rinunciare a visitarlo? Basta raggiungere Costalissoio, un paesino pittoresco quasi immerso nella grande corona dei boschi dolomitici che si estendono fino al di là del confine con l’Austria; luogo stupendo dal quale si godono spettacolari scenari paesaggistici e le montagne della Valle del Piave. È una delle tante “finestre” sul Comelico, grande e spalancata. Questo paesaggio, ricco di antiche tradizioni, di leggende tramandate di generazione in generazione, legate alla valle, alle montagne e ai boschi ha ispirato i fratelli De Mario Sartor, titolari del “magico forno”, nella creazione di numerosi biscotti dai nomi fantastici.

C’è “l’Anguana”, dal sapore intenso, con puro cioccolato colato che fissa mezza noce, un mix ricercato, intrigante e di piacevole effetto afrodisiaco. Questo dolcetto prende il nome dalle Anguane, le misteriose creature femminili che popolano, secondo la leggenda, i boschi vicini. Qui ce ne sono di bellissime.

Il guaio è che, sempre secondo la leggenda, hanno i piedi di capra, ma attenzione, perché ce ne sono di orribili, vere e proprie streghe.

E il dolcetto è un invito a peccare… di gola. C’è pure il biscotto “Punf – Punf”, leggero e veloce, come i folletti buoni e cattivi, amici dell’uomo o suoi antagonisti, che popolano ogni anfratto della montagna, ogni albero del bosco, ogni gorgo del torrente: piccoli essere folli, creature leggere, gonfiati d’aria che appaiono e scompaiono velocemente nel bosco, sorridendo, giocando a nascondino e talvolta facendosi vedere, divertendo i passanti.

Così è il dolcetto “Nspe – Nspe”, che vuol dire non si può, perché il biscotto è talmente buono che uno tira l’altro e, purtroppo, non se ne può mangiare troppi! E poi il “Puliò”, dal delicato e tonificante sapore di menta selvatica, che prende il nome dalla menta alpina che si trova nei boschi del Comelico.

E come non assaporare il “Sandla”, un biscottino rotondo con noce, molto apprezzato dai palati più delicati.

Attratti dallo scenario, mentre si gustano queste specialità che raccontano antiche storie di dolcezze ci si arrende alla moderna civiltà della fretta, e allora, un piccolo, ma irresistibile peccato di gola: è “l’Oriente”, dolce misterioso che porta con sé aromi ed essenze orientali, e poi “l’Espresso”, quale risposta ironica alla freneticità odierna: è infatti un ottimo ingrediente che allieta la compagnia, non solo durante le feste paesane, ma per tutto l’anno.

E come non dire al nostro turista che quello che sta gustando sono i Sartorelli, i biscotti che, partiti dal “magico forno” hanno attraversato in lungo e in largo l’Europa, lungo i binari che collegano Istambul a Parigi, via Vienna. Ed ora percorrono entrambe le rotte del nuovo Orient Express: Venezia – Londra e viceversa, via Innsbruck, Zurigo, Parigi, venti ore emozionanti di treno e Parigi – Istambull, passando per Venezia, Vienna, Budapest e Bucarest. Per quattro giorni, lo storico, romantico, avventuroso treno corre dalla Francia alla Turchia, con il suo carico di turisti e Sartorelli.

In questo treno, il cui nome rievoca avventure, spionaggio, fughe d’amore, tradimenti, i biscottini del Comelico portano con sé profumi e sapori, tradizioni e leggende di una terra che ci dà la possibilità di gustare con le sue tradizioni, i suoi sapori, le sue incontaminate bellezze, il sapore di una vita semplice, genuina e piena di ritrovato calore umano.

ALLEGATO numero uno

DAL RICETTARIO DELLA NONNA:

I “crostoli”

INGREDIENTI - 250 gr. di farina 00 - 100 gr. di zucchero - 25 gr. di burro - 2 uova - 1 bicchierino di Marsala - 2 cucchiai di zucchero a velo - 1 limone - 1 bustina di vanillina - olio o strutto per friggere (4 persone)

PREPARAZIONE - Verso sulla spianatoia la farina, lo zucchero, la vanillina e la scorza di limone grattugiata. Mescolo il tutto, dispongo l’impasto a fontana e nel mezzo vi rompo le uova intere, il burro ammorbidito a pezzetti e il Marsala. Dopo aver amalgamato il tutto stendo con il matterello la pasta fino a renderla sottile. Con la rotellina dentata ricavo dei rettangoli di circa 8 x 12 cm. e nel mezzo faccio 3 tagli verticali, lasciando unite le estremità. Friggo i "crostoli" a due o tre per volta nell'olio o strutto bollente. Li scolo con un forchettone e li pongo su carta da cucina per far assorbire l’unto. Infine li spolverizzo con lo zucchero a velo. I "crostoli" vanno serviti freddi con un buon bicchiere di vino.

ALLEGATO numero due

INTERVISTA: “La vestizione del Matazìn”Data: 10 febbraio 2003Luogo: CasamazzagnoPersona intervistata: D. S.D. Da quanti anni veste i Matazìn? R. Ho cominciato nel 1982. Il motivo principale era che la donna che

prima si occupava della vestizione era partita e non c’era gente disposta nella vestizione di queste maschere.

D. Il vestito viene recuperato o viene rifatto di anno in anno? R. Alcune parti le recupero, altre, come la calotta, le rimodernizzo di

anno in anno. I fazzoletti ed i nastri vengono serbati, ma ogni volta vengono scuciti e ricuciti per dare un nuovo aspetto al costume.

D. Gli oggetti sono suoi o sono stati prestati dalla gente come un tempo?

R. Gli oggetti sono stati comprati in maggior parte da noi come: fazzoletti, nastri, collane e spille. Ormai è tutta bigiotteria. Una volta la gente prestava monili d’oro. Il Matazìn viene in casa mia portando con sé le scarpe, la maglia e i sonagli. Del resto mi occupo io. Alla fine della mascherata il Matazìn ritorna qui, in modo che io possa riprendere le mie cose.

D. Il cappello viene rifatto di anno in anno e di che materiale è?

R. Una volta era fabbricato con il cartone del “Dixan”, che aveva già la forma rotonda, ma per problemi di adattamento al capo in seguito è stato sostituito da un cartone più leggero, facile da costruire. Su questo cartone, che prende la forma cilindrica, devono essere cuciti gli oggetti. Ogni anno la calotta deve essere per tradizione rinnovata.

D. Per quale motivo tutti i Matazìns hanno il pizzetto o i baffi? R. Non c’è un motivo particolare, è un simbolo proprio della maschera. D. Una volta portavano le maschere sul viso? R. Sì, una volta portavano le maschere, ma facevano molta fatica. Era

una maschera in legno, “da bella”, molto graziosa, ma è stata eliminata perché ballando si fatica a respirare e vedere.

D. Che stoffa viene usata per fare il costume? R. Una volta venivano usati i grembiuli delle signore per i pantaloni,

mentre adesso sono fatti con seta luccicante. D. Come si procede per la vestizione? R. Il Matazin viene qui molto presto, perché ci sono molte cose da

sistemare e occorre molto tempo, soprattutto per i fazzoletti che vengono attaccati ad uno ad uno e poi appoggiati sulla schiena. Alle braccia vengono attaccati dei veli e dei nastri colorati. Al collo vengono adattate alcune collane e oggetti preziosi. Viene messa una cintura ornata e sotto di essa un fazzoletto con frange. Tutto viene attaccato al momento, anche due nastri colorati posti sulle maniche per legarle. Sulle scarpe nere viene posta una rosa in

segno di bellezza e raffinatezza. Successivamente vengono messi i guanti, di solito al guanto destro attacco un fazzoletto ricamato.

D. Il Matazìn non va a prendere le maschere a casa? R. Un tempo si usava così, ma oggi la gioventù è più sbrigativa. Una

volta andavano nelle case, facevano un ballo e poi continuavano il giro.

D. Le donne potevano andare nel Corteo mascherato? R. No, le donne non potevano andare; adesso vanno anche le donne in

maschera come gli uomini, però una volta non le lasciavano S. travestirsi. Mi raccontava mia mamma che una volta sono state

scoperte due donne in maschera e dopo essere state rincorse sono state buttate nella fontana del paese.

ALLEGATO numero tre COSTALTA “GUARDA” AL PASSATO Un’idea di Costaltarte per rilanciare il look del centro del Comelico trasformandolo in un museo a cielo aperto.

C’era una volta… una statua di legno, in una casa di legno, in un paese di legno. Così potrebbe iniziare la storia di Costalta di Comelico, paese aggrappato a metà delle pendici del monte Zovo, dove fino alla metà del secolo scorso la gran parte delle case erano di legno, frutto del lavoro artigianale degli abitanti del paese. Case tradizionali, in stile Cadorino che gli incendi e gli edifici in muratura, sicuramente più funzionali e moderni, ma anche più asettici e anonimi, dopo la seconda guerra mondiale hanno sicuramente ridotto di numero (tali costruzioni sono ora una trentina o poco più).

Nel tentativo di rivalutare questo importante patrimonio architettonico l’Associazione Costaltarte ha deciso di creare un particolare percorso lungo le vie del paese.

Nasce così, quattro anni fa, “Una statua di legno, in una casa di legno, in un paese di legno”, una manifestazione che, ad ogni edizione, richiama tre scultori che scolpiscono il proprio tronco vicino a un’abitazione originaria che ospiterà la scultura. Così Costalta, si

sta trasformando lentamente in un museo all’aperto di statue di legno, un evento sicuramente unico nel panorama alpino.

L’iniziativa, accoglie artisti dell’intero panorama

scultoreo contemporaneo e richiama numerosi visitatori che non sono solo alla ricerca di un semplice svago dell’intelletto, ma che desiderano ritrovare le origini di una civiltà che affonda le sue radici in un’epoca lontana, dalla quale ognuno può apprendere dalle contorte formule estetiche ritmi di vita, e desideri di elevazione materiale e spirituale.

BIBLIOGRAFIA: Libri: Secco Gianluigi, “Mata”, Belumat editrice Belluno, dicembre 2001 (da pag. 184 a pag. 200)

Veronica Sint-Menzel, Ivano Alfarè Lovo, Alessandro Sacco, Cesare Lasen, Bruno Weiss, Michele Cassol, Federico Sgobino, Christian Fontana e Andrea Baito, Monica Dandrea, “Dolomiti Live”, editrice Comunità Montana Comelico e Sappada, novembre 2001

Riviste: Rivista di cultura e attualità della provincia di Belluno, “Dolomiti”, (p. 44) Rivista culturale di enogastronomia e turismo, “Sapori d’Italia”, (da pag. 50 a pag. 56) Siti internet: www.carnevalesappada.net