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DECRETO DIREZIONE GENERALE SANITA' N. 12679 DEL 07/11/2008 OGGETTO: APPROVAZIONE DEL DOCUMENTO "LINEE GUIDA IN MATERIA DI BE- NESSERE ANIMALE NEGLI ALLEVAMENTI", IN OTTEMPERANZA ALLE DISPOSIZIONI DEL REGOLAMENTO (CE) N. 882/2004. IL DIRIGENTE DELLA UNITA’ ORGANIZZATIVA VETERINARIA VISTO il Reg. (CE) n. 882/2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali; VISTO il Reg. (CE) n. 854/2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano; VISTO il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 533 che stabilisce le norme minime per la protezio- ne dei vitelli. VISTO il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 534 che stabilisce le norme minime per la protezio- ne dei suini. VISTO il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 146 inerente alla protezione degli animali negli alleva- menti VISTO il D.Lgs. 29 luglio 2003, n. 267 per la protezione delle galline ovaiole e la registra- zione dei relativi stabilimenti di allevamento. CONSIDERATO che l’art. 6, lett. a) e b) del Reg. (CE) n. 882/2004 assegna all’autorità competente il compito di assicurare che tutto il suo personale che esegue controlli ufficiali si mantenga aggiornato nella sua sfera di competenze e riceva, se del caso, un'ulteriore formazione su base regolare; VISTA la Legge regionale 07 luglio 2008, n. 20 “Testo unico delle leggi regionali in materia di organizzazione e personale” e i provvedimenti organizzativi dell’VIII Legislatura; DECRETA 1. di approvare il documento "LINEE GUIDA IN MATERIA DI BENESSERE ANIMALE NEGLI ALLEVAMENTI", come Allegato A, parte integrante e sostanziale del presente provvedimento; 2. di prevedere la pubblicazione del presente provvedimento sul sito web della DG Sanità. IL DIRIGENTE DELLA U.O. VETERINARIA Mario ASTUTI

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DECRETO DIREZIONE GENERALE SANITA' N. 12679 DEL 07/ 11/2008

OGGETTO: APPROVAZIONE DEL DOCUMENTO "LINEE GUIDA IN MATERIA DI BE-NESSERE ANIMALE NEGLI ALLEVAMENTI", IN OTTEMPERANZA ALLE DISPOSIZIONI DEL REGOLAMENTO (CE) N. 882/2004.

IL DIRIGENTE DELLA UNITA’ ORGANIZZATIVA VETERINARIA

VISTO il Reg. (CE) n. 882/2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali; VISTO il Reg. (CE) n. 854/2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano; VISTO il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 533 che stabilisce le norme minime per la protezio-ne dei vitelli. VISTO il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 534 che stabilisce le norme minime per la protezio-ne dei suini. VISTO il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 146 inerente alla protezione degli animali negli alleva-menti VISTO il D.Lgs. 29 luglio 2003, n. 267 per la protezione delle galline ovaiole e la registra-zione dei relativi stabilimenti di allevamento. CONSIDERATO che l’art. 6, lett. a) e b) del Reg. (CE) n. 882/2004 assegna all’autorità competente il compito di assicurare che tutto il suo personale che esegue controlli ufficiali si mantenga aggiornato nella sua sfera di competenze e riceva, se del caso, un'ulteriore formazione su base regolare; VISTA la Legge regionale 07 luglio 2008, n. 20 “Testo unico delle leggi regionali in materia di organizzazione e personale” e i provvedimenti organizzativi dell’VIII Legislatura;

DECRETA 1. di approvare il documento "LINEE GUIDA IN MATERIA DI BENESSERE ANIMALE NEGLI ALLEVAMENTI" , come Allegato A, parte integrante e sostanziale del presente provvedimento; 2. di prevedere la pubblicazione del presente provvedimento sul sito web della DG Sanità.

IL DIRIGENTE DELLA U.O. VETERINARIA

Mario ASTUTI

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REGIONE LOMBARDIA DIREZIONE GENERALE SANITA’

UNITA’ ORGANIZZATIVA VETERINARIA

“Linee Guida” per il benessere degli animali

Stesura 2008.1

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PREMESSA

Due secoli or sono (1840) la sensibilità verso gli animali fu motivo per fondare associa-

zioni che si occupavano del loro benessere, denunciando all’opinione pubblica gli even-

tuali maltrattamenti di cui erano oggetto.

Questa sensibilità, sviluppatasi prevalentemente in classi sociali, di paesi europei (UK) e

di oltreoceano (USA), dai livelli di vita particolarmente elevati, avrebbe dovuto attende-

re oltre un secolo per potersi affermare come fenomeno di massa tuttora in espansione.

A far data dagli anni 80, l’UE ha codificato, in norme generali e speciali, questa sensibi-

lità che trova sostenitori anche nel mondo allevatoriale. I dati obiettivi, che confermano

la stretta correlazione tra animali “benestanti” e produzioni zootecniche, ha fatto il re-

sto.

Ma molta strada resterebbe ancora da fare: la “teoria dei casi marginali” sostenuta dalle

punte più avanzate degli animalisti vorrebbe gli animali portatori di diritti, dotati, so-

stenuti e difesi da tutori in grado di rappresentarli. Tutto ciò in analogia con quanto già

previsto dalla normativa vigente per le cosiddette categorie protette. Va da sé che una

tale scelta comporterebbe una radicale revisione della attuale impostazione giuridica

che annovera gli animali tra le “res” a pari di qualsiasi oggetto.

Del resto, la zootecnia intensiva e l’animale tecnologico, dalle altissime rese produttive

che ne è conseguito e che non esiste in natura, rendono improponibile almeno nella no-

stra sovraffollata Europa la realizzazione di scenari da vecchia fattoria o da mulino bian-

co tanto cari alle oleografie pubblicitarie.

E allora? Che cosa fare? Ognuno il proprio meglio.

Se la nostra veste di funzionari pubblici, ci esonera da responsabilità nelle scelte effet-

tuate dal legislatore, la medesima ci coinvolge nella loro applicazione in prima persona.

In questo senso la Regione Lombardia ha ritenuto opportuno realizzare queste “linee

guida” le cui finalità obiettivi e risultati attesi sono illustrati più avanti.

Dette linee guida si compongono di una “parte generale” che si propone di illustrare in

senso ampio la tematica del benessere e di varie “parti speciali” che di volta in volta lo

inquadreranno in relazione alle varie categorie di animali.

L’attuale edizione prende in considerazione la categoria vitelli a seguire, le linee guida

relative ai suini ed alle galline ovaiole ecc.

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I testi saranno oggetto di periodiche revisioni. Anche per questo le osservazioni pervenu-

te saranno gradito motivo di eventuale adeguamento del presente testo.

Milano, lì 23 dicembre 2004

Stesura 2004.1

Facendo fede alla precedente premessa si aggiungono oggi le linee guida relative ai sui-

ni.

Milano, lì 31 agosto 2005

Stesura 2005.1

Alle presenti linee guida, che sostituiscono ogni precedente versione, si aggiungono

quelle relative alle galline ovaiole

Milano, lì 8 gennaio 2007

Stesura 2007.1

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Hanno collaborato (IN ORDINE ALFABETICO) alla presente stesura:

Paolo CANDOTTI Centro di referenza nazionale per il benessere animale

Maurilio GIORGI ASL della provincia di Cremona

Franco GUIZZARDI ASL della provincia di Mantova

Elvira MANGINI ASL della Città di Milano

Claudio MANIERO Medico veterinario libero professionista

Claudia MENDOLIA ASL della provincia di Brescia

Carlo MOTTA Medico veterinario libero professionista

Alberto PALMA Regione Lombardia

Nicoletta SCHIAVINI ASL della Città di Milano

Gioia Maria VALTORTA Regione Lombardia

GianClaudio VICENZI ASL della provincia di Lodi

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INDICE:

PREMESSA............................................................................................. 2

PARTE GENERALE ................................................................................... 8

FINALITÀ, OBIETTIVI E RISULTATI ATTESI ..................................................... 9

PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI ............................................................ 9

IL “BENESSERE ANIMALE”.........................................................................11

MODALITÀ DI MISURAZIONE DEL BENESSERE. .................................................13

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI VITELLI..................................................16

1 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL VITELLO ..........................17

1.1 RIFERIMENTI NORMATIVI.............................. .........................................................17

1.2 VITELLO .........................................................................................................................17

1.3 REQUISITI STRUTTURALI.........................................................................................18 1.3.1 STABULAZIONE .....................................................................................................18 1.3.2 LIBERTÀ DI MOVIMENTO....................................................................................19 1.3.3 FABBRICATI............................................................................................................20 1.3.4 PAVIMENTAZIONI .................................................................................................20 1.3.5 RECINTI....................................................................................................................22 1.3.6 MICROCLIMA..........................................................................................................23 1.3.7 IMPIANTI..................................................................................................................24 1.3.8 ILLUMINAZIONE....................................................................................................25

1.4 REQUISITI PROCEDURALI........................................................................................25 1.4.1 ACCESSO DI VITELLI ALL’ALLEVAMENTO....................................................25 1.4.2 COLOSTRATURA....................................................................................................25 1.4.3 DIVIETI ESPRESSI ..................................................................................................26 1.4.4 CONTROLLO DEGLI ANIMALI ............................................................................26 1.4.5 REGISTRAZIONE DATI..........................................................................................27 1.4.6 TRATTAMENTI TERAPEUTICI E PROFILATTICI .............................................28 1.4.7 PULIZIA E DISINFEZIONE ....................................................................................28

1.5 REQUISITI FUNZIONALI ............................................................................................29 1.5.1 PERSONALE.............................................................................................................29 1.5.2 ALIMENTAZIONE...................................................................................................29

1.6 INDICATORI DI BENESSERE.....................................................................................32

1.7 SANZIONI........................................................................................................................34

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI SUINI .....................................................35

2 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL SUINO .............................36

2.1 PREMESSA......................................................................................................................36

2.2 RIFERIMENTI NORMATIVI.............................. .........................................................36

2.3 DEFINIZIONI..................................................................................................................37

2.4 REQUISITI STRUTTURALI.........................................................................................37

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2.4.1 STABULAZIONE .....................................................................................................37 2.4.2 LOCALI PER SCROFE E SCROFETTE..................................................................39 2.4.3 LOCALI PER LATTONZOLI...................................................................................42 2.4.4 SUPERFICIE LIBERA DISPONIBILE ....................................................................42 2.4.5 TIPO DI PAVIMENTAZIONE.................................................................................44 2.4.6 ABBEVERATA.........................................................................................................46 2.4.7 ILLUMINAZIONE E RUMORI ...............................................................................48 2.4.8 MICROCLIMA AMBIENTALE...............................................................................49

2.4.8.1 POLVERE..............................................................................................................50 2.4.8.2 TEMPERATURA DELL’ARIA............................................................................51 2.4.8.3 UMIDITÀ DELL’ARIA ........................................................................................52 2.4.8.4 VELOCITÀ DELL’ARIA .....................................................................................52 2.4.8.5 GAS NOCIVI.........................................................................................................53

2.4.9 IMPIANTI AUTOMATICI O MECCANICI ............................................................55 2.4.10 MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI..............................55

2.5 ASPETTI GESTIONALI ................................................................................................56 2.5.1 ATTACCHI PER SCROFE E SCROFETTE ............................................................56 2.5.2 FORMAZIONE DEI GRUPPI E CONTROLLO DELL’AGGRESSIVITÀ ............57 2.5.3 TIPO DI ALIMENTAZIONE....................................................................................58 2.5.4 ARRICCHIMENTO AMBIENTALE .......................................................................59 2.5.5 SVEZZAMENTO ......................................................................................................61 2.5.6 PERSONALE.............................................................................................................62

2.6 ASPETTI IGIENICI E SANITARI................................................................................63 2.6.1 IGIENE DEGLI AMBIENTI E DELLE ATTREZZATURE....................................63 2.6.2 INTERVENTI VETERINARI...................................................................................64

2.7 SANZIONI........................................................................................................................66

2.8 PARAMETRI PRODUTTIVI E RIPRODUTTIVI................ ......................................66

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI CONIGLI .................................................68

3 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL CONIGLIO .........................69

3.1 PREMESSA......................................................................................................................69

3.2 RIFERIMENTI NORMATIVI.............................. .........................................................69

3.3 EFFETTO DELLA MANIPOLAZIONE DA PARTE DELL’UOMO..... ..................71

3.4 CENNI DI BIOLOGIA E COMPORTAMENTO DEL CONIGLIO..... ....................71

3.5 ALCUNI PROBLEMI DI WELFARE ......................... .................................................74 3.5.1 REPERTORIO COMPORTAMENTALE.................................................................74 3.5.2 STEREOTIPIE...........................................................................................................75 3.5.3 INDICATORI DI BENESSERE (Marina Verga, 2000)............................................76

3.6 REQUISITI STRUTTURALI.........................................................................................77 3.6.1 FABBRICATI E LOCALI DI STABULAZIONE ....................................................77 3.6.2 PAVIMENTI..............................................................................................................78 3.6.3 GABBIE.....................................................................................................................78 3.6.4 DENSITÀ DEGLI ANIMALI ...................................................................................85 3.6.5 LIBERTÀ DI MOVIMENTO....................................................................................87

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3.6.6 MICROCLIMA:.........................................................................................................88 3.6.7 TEMPERATURA......................................................................................................88 3.6.8 UMIDITÀ RELATIVA .............................................................................................89 3.6.9 ILLUMINAZIONE....................................................................................................90 3.6.10 VENTILAZIONE ......................................................................................................91 3.6.11 IMPIANTI..................................................................................................................92

3.7 REQUISITI PROCEDURALI........................................................................................92 3.7.1 DIVIETI ESPRESSI ..................................................................................................92 3.7.2 CONTROLLO DEGLI ANIMALI ............................................................................93 3.7.3 REGISTRAZIONI .....................................................................................................93 3.7.4 PULIZIA E DISINFEZIONE ....................................................................................94

3.8 REQUISITI FUNZIONALI ............................................................................................94 3.8.1 PERSONALE.............................................................................................................95 3.8.2 ALIMENTAZIONE...................................................................................................96

3.9 SANZIONI........................................................................................................................97

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DELLE GALLINE OVAIOLE .................................98

4. IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DELLE GALLINE OVAIOLE............99

4.1 PREMESSA......................................................................................................................99

4.2 RIFERIMENTI NORMATIVI.............................. .......................................................102

4.3 DEFINIZIONI................................................................................................................102

4.4 REQUISITI STRUTTURALI.......................................................................................105 4.4.1 ATTREZZATURE DI STABULAZIONE..............................................................108 4.4.2 SPAZIO DISPONIBILE E DENSITÀ DI ALLEVAMENTO................................109 4.4.3 TIPO DI PAVIMENTAZIONE...............................................................................112 4.4.4 ARRICCHIMENTO AMBIENTALE .....................................................................112 4.4.5 ABBEVERATA.......................................................................................................116 4.4.6 INTERAZIONE VISIVA E ILLUMINAZIONE ....................................................117 4.4.7 MICROCLIMA AMBIENTALE.............................................................................118 4.4.8 RUMOROSITÀ AMBIENTALE ............................................................................119 4.4.9 SOMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI ........................................................120 4.4.10 IMPIANTI AUTOMATICI O MECCANICI ..........................................................121

4.5 ASPETTI GESTIONALI ..............................................................................................122 4.5.1 CONTROLLO DEGLI ANIMALI ..........................................................................122 4.5.2 PERSONALE...........................................................................................................123 4.5.3 ASPETTI IGIENICI E SANITARI .........................................................................124

4.6 REGISTRAZIONE DEGLI ALLEVAMENTI.................... .......................................125

4.7 SANZIONI......................................................................................................................128

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Parte Generale PARTE GENERALE

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FINALITÀ, OBIETTIVI E RISULTATI ATTESI

Relativamente alle presenti linee guida la finalità è rappresentata dalla omogenea ap-

plicazione su tutto il territorio regionale della vigente normativa in materia, ivi compre-

sa l’uniformità dei comportamenti della AA.SS.LL. in tutte le situazioni Lombarde pur

nella difformità del territorio di competenza di ciascuna di esse.

Tra le finalità, in particolare durante l’applicazione delle nuove normative, deve essere

annoverato il ruolo del medico veterinario che, con spirito di Servizio, funge da supporto

tecnico all’allevatore nella gestione di tali cambiamenti.

Gli obiettivi sono rappresentati dalla applicazione degli specifici requisiti di legge.

I risultati attesi sono rappresentati dall’esistenza in tutti gli allevamenti lombardi di tali

requisiti.

PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI

- Legge 14 ottobre 1985, n. 623, Ratifica ed esecuzione delle convenzioni sulla pro-

tezione degli animali negli allevamenti e sulla protezione degli animali da macello,

adottate a Strasburgo rispettivamente il 10 marzo 1976 e il 10 maggio 1979

- D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116 - Attuazione della Direttiva 86/609/CEE in materia di

protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici.

- Circolare n. 32 del 26 agosto 1992 “D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116 pubblicato sul

supplemento ordinario n. 33 alla G.U. n. 40 del 18 febbraio 1992”.

- Comunicato relativo al D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, attuazione della Direttiva

86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad

altri fini scientifici.

- Circolare n. 18 del 5 maggio 1993 “D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, articolo 7. Co-

municazione dei progetti di ricerca con impiego di modelli animali.

- Circolare n. 8 del 22 aprile 1994 Applicazione del D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, in

materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scienti-

fici.

- D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 532 - Attuazione della Direttiva 91/628/CEE relativa al-

la protezione degli animali durante il trasporto.

- D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 533 - Attuazione della Direttiva 91/629/CEE che stabili-

sce le norme minime per la protezione dei vitelli.

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- D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 534 - Attuazione della Direttiva 91/630/CEE che stabili-

sce le norme minime per la protezione dei suini.

- Circolare n. 14 del 25 settembre 1996 - Buone pratiche di sperimentazione clinica

negli animali dei medicinali veterinari.

- Decisione 97/182/CE della Commissione, del 24 febbraio 1997 recanti modifiche alla

Direttiva 91/629/CEE del Consiglio che stabilisce le norme minime per la protezione

dei vitelli.

- D.Lgs. 1 settembre 1998 n. 331 - Attuazione della Direttiva 97/2/CE, relativa alle

norme minime per la protezione dei vitelli.

- D.Lgs. 1 settembre 1998 n. 333 - Attuazione della Direttiva 93/119/CE, relativa alle

protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento.

- Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativo al Decreto Legisla-

tivo 1 settembre 1998 n. 331, recante: “Attuazione della Direttiva 97/2/CE del

Consiglio, del 20 gennaio 1997 relativa alle norme minime per la protezione dei vitel-

li”.

- D.Lgs. 20 ottobre 1998 n. 388 - Attuazione della Direttiva 95/29/CE in materia di

protezione degli animali durante il trasporto.

- D.Lgs 26 marzo 2001 n. 146, relativa alla protezione degli animali negli allevamen-

ti.

- Circolare n. 10 del 5 novembre 2001 - Chiarimenti in materia di protezione degli

animali negli allevamenti e definizione delle modalità per la trasmissione dei dati re-

lativi alla attività di controllo

- D.Lgs. 29 luglio 2003, n. 267 - Attuazione delle direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE,

per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di al-

levamento.

- D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53 - Attuazione della direttiva 2001/93/CE che stabili-

sce le norme minime per la protezione dei suini.

- Legge 20 luglio 2004, n. 189 - Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento

degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competi-

zioni non autorizzate.

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Tabella riassuntiva delle principali fonti normative:

Benessere animale nelle fasi di: D.Lgs. Direttive n. 532 del 30.12.1992 1991/628/CEE

Trasporto n. 388 del 20.10.1998 1995/29/CEE

Allevamento degli animali n. 146 del 26.03.2001 1998/58/CE n. 533 del 30.12.1992 1991/629/CEE

Allevamento dei vitelli n. 331 del 01.09.1998 1997/2/CE n. 534 del 30.12.1992 1991/630/CEE

Allevamento dei suini n. 53 del 20.02.2004 2001/93/CE

Allevamento delle galline ovaiole n. 267 del 29.07.2003 1999/74/CE e 2002/4/CE Macellazione n. 333 del 01.09.1998 1993/119/CEE

Sperimentazione animale n. 116 del 27.01.1992 86/609/CEE

IL “BENESSERE ANIMALE”

Nel corso dell’evoluzione, ogni specie si è dotata di caratteristiche fisiche, fisiologiche e

comportamentali adatte ad affrontare le difficoltà che potrebbe incontrare nel proprio

ambiente di vita.

I sistemi di adattamento che un animale mette in atto per meglio far fronte alle condi-

zioni ambientali in cui si trova, determinano la cosiddetta fitness o stato di adattamento

dell’individuo. Per poterlo definire bisogna però chiarire il significato da attribuire ai

termini di stress e welfare che si riferiscono rispettivamente al processo che interviene

nell’organismo quando i fattori ambientali hanno un effetto deleterio, ed allo stato fisio-

logico di un individuo valutato in funzione degli sforzi che fa per far fronte all’ambiente

in cui si trova (Broom, 1988).

La definizione dello stato di “benessere degli animali di allevamento” costituisce una

problematica di attualità nei paesi più sviluppati, dove le tecnologie di allevamento

sempre più sofisticate e le esigenze produttive crescenti costringono gli animali a per-

formance maggiori in condizioni sociali, ambientali, fisiologiche ed alimentari sempre

più lontane da quelle “naturali”. E’ infatti importante stabilire lo stato di eventuale sof-

ferenza che imponiamo agli animali sia per ragioni di carattere morale che produttivo

(Brugère e Morméde, 1988).

“Benessere: stato di salute, stato di soddisfazione interiore generata dal giusto equili-

brio di fattori psicofisici” (Zingarelli, 1998). Traduzione di welfare che meglio esprime il

concetto. “Il benessere di un organismo è il suo stato in relazione ai suoi tentativi di a-

dattarsi all’ambiente” (Broom, 1986).

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“Il benessere è uno stato di salute completo, sia fisica che mentale, in cui l’animale è in

armonia con il suo ambiente” (Hughes, 1976).

Kilgour e Dal Ton (1984) hanno raccolto un’utile selezione delle definizioni di benessere

che si trovano in letteratura.

Il benessere è quindi una condizione intrinseca dell’animale: il soggetto che riesce ad

adattarsi all’ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non

ci riesce (perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie, o perché ne

è impedito da fattori esterni) si trova in una condizione di non benessere.

Un primo approccio scientifico al concetto di benessere animale lo si può trovare nel

Brambell Report del 1965 (rapporto commissionato dal Governo Inglese in merito al be-

nessere degli animali allevati intensivamente).

Tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere a-

nimale, enuncia il principio (ripreso poi dal British Farm Animal Welfare Council nel

1979) delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:

1) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;

2) libertà dai disagi ambientali (possibilità di disporre di un ambiente fisico adeguato e

confortevole);

3) libertà dalle malattie e dalle ferite;

4) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;

5) libertà dalla paura e dallo stress.

Mentre le prime tre libertà si rifanno a condizioni evidenti e quindi verificabili, le ultime

due si rivelano argomenti complessi ed il dibattito scientifico sulle metodiche per la loro

valutazione è tutt’ora aperto (Miniero, 2003).

La valutazione del benessere animale coinvolge quindi una serie di discipline, dalla fisio-

logia all’etologia, che, interagendo tra loro, possono fornire evidenze sullo stato di adat-

tamento dell’animale all’ambiente.

Di seguito si riportano alcune definizioni particolarmente utili per la comprensione

del testo

ADATTAMENTO: il risultato dell’adeguamento di un organismo alle variazioni

dell’ambiente.

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STRESSORE: la sopravvivenza di un organismo dipende dal mantenimento della omeosta-

si. Tutte le sollecitazioni esterne che minacciano l’omeostasi sono considerate stressori,

ed i cambiamenti delle funzioni biologiche che intervengono in un animale per mantene-

re l’omeostasi, costituiscono la risposta allo stress (Moberg, 1985).

STRESS: interrelazione del tipo stimolo-adattamento.

Stimolo malgestito = stress. Può essere definito come la risposta adattativa di un anima-

le a condizioni avverse; è quindi un effetto dell’ambiente sull’individuo che supera i suoi

sistemi di controllo ed è in grado di ridurne la capacità di adattamento.

• Stress acuto = stimolo, possibilità di reagire

• Stress cronico (o di stress) = stimolo + timore + tempo d’attesa; non c’è possibilità di

interagire con l’ambiente per bloccare/evitare lo stimolo negativo.

STEREOTIPIE: comportamenti anormali, ripetitivi, senza fine o funzione, che si manife-

stano in modo prolungato

MODALITÀ DI MISURAZIONE DEL BENESSERE.

I termini “benessere” e “sofferenza” degli animali sono molto difficili da definire (Dun-

can e Dawkins, 1983). Essendo infatti parole di uso corrente, tendono ad essere impiega-

te ampiamente da differenti categorie di persone che attribuiscono loro, di volta in vol-

ta, un diverso significato. I ricercatori invece vorrebbero dare a tali fenomeni una defi-

nizione precisa e non ambigua, alla quale attribuire un valore scientifico. Duncan e Da-

wkins (1983) hanno definito genericamente la sofferenza come “un complesso di stati

emotivi spiacevoli”. La migliore valutazione di benessere o di sofferenza, considerati

come opposti di una stessa condizione, può essere ottenuta solo tenendo conto di tutti i

possibili indicatori disponibili come stato di salute, produttività, parametri fisiologici,

biochimici e comportamentali (Dawkins, 1980, Duncan, 1981)

“La scienza può in molti modi identificare, risolvere e prevenire problemi di benessere

per gli animali, ma non può “misurare” completamente il benessere in quanto non vi so-

no sistemi puramente oggettivi per unire le diverse misurazioni ed eliminare una serie di

contraddizioni con i valori etico-morali” (Fraser, 1995).

La misurazione del benessere animale è quindi un problema difficile: gli indicatori da

considerare sono molti e a volte possono contrastare tra loro (Verga e al., 1999), la con-

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cezione di benessere include valutazioni di carattere etico-morale difficilmente oggetti-

vabili.

La letteratura scientifica riconosce tre tipi di approccio alla ricerca sul benessere anima-

le (Duncan e Fraser, 1997):

1. l’approccio basato sui feelings, cioè sulle sensazioni soggettive degli animali.

Parte dal presupposto che gli animali possono avere delle esperienze soggettive,

quali stati affettivi ed emozioni, quindi possa percepire determinate situazioni

come piacevoli o spiacevoli.

Le misurazioni vengono effettuate con tests di preferenza (l’animale viene posto

davanti ad una scelta, si valuta quanto è disposto a spendere in energie per effet-

tuarla),:

- indicatori comportamentali: alterazioni del repertorio comportamentale nor-

male, stereotipie, attività sostitutive, ecc

- indicatori fisiologici di stati emotivi: frequenza cardiaca, respiratoria, saliva-

zione ecc.).

2. l’approccio funzionale basato sulle funzioni biologiche normali degli animali. Allo

stato di benessere deve corrispondere un funzionamento normale dell’organismo

e dei suoi sistemi biologici. Vengono valutati, ad esempio, lo stato di salute, la

longevità, il successo riproduttivo.

Alla base di tale modello vi è la teoria dello stress.

L’individuo risponde ad uno stimolo ambientale avverso, a livello fisiologico, me-

diante l’attivazione dell’asse simpatico-adrenomidollare, cui corrisponde una rea-

zione di lotta/fuga tramite la quale l’individuo riesce quindi a ripristinare lo stato

di benessere (stress acuto).

Se lo stimolo avverso permane e il soggetto non ha la possibilità di interagire con

l’ambiente per bloccare/evitare lo stimolo, alla componente specifica (stimolo

avverso) si somma una componente aspecifica (paura + tempo d’attesa), si passa

quindi all’attivazione dell’asse ipofisicorticosurrenale e dopo una prima fase di

resistenza, si arriva ad una fase di esaurimento, cioè di non adattamento, males-

sere (stress cronico o distress).

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A questa fase possono corrispondere alterazioni comportamentali quali stereoti-

pie, o patologie più o meno conclamate (immunodeficienza, patologie condiziona-

te ecc.).

3. l’approccio naturale: gli animali dovrebbero vivere in un ambiente naturale che

consenta loro di manifestare il proprio completo repertorio comportamentale.

Risulta però spesso difficile identificare il significato di “ambiente naturale”, in

particolare per le specie domestiche dove sono intervenuti secoli, se non millen-

ni, di selezione artificiale compiuta dall’uomo.

Indipendentemente dal tipo di approccio risulta utile, per valutare lo stato di benessere

di un animale, servirsi di diversi indicatori che possano integrarsi e dare un quadro gene-

rale ed il più possibile obiettivo.

In merito, si possono distinguere diversi tipi di indicatori legati a:

1. l’animale:

• indicatori fisiologici, biochimici e biofisici: livelli ormonali, frequenza

cardiaca, attività del sistema immunitario;

• indicatori patologici: presenza di patologie manifeste o latenti;

• indicatori produttivi: accrescimento, mortalità, fertilità, fecondità;

• indicatori comportamentali: risposta a tests comportamentali, grado di in-

terazione sociale, presenza di stereotipie, presenza e tipologia dei vocaliz-

zi;

2. l’ambiente: idoneità delle strutture.

3. la gestione: grado di pulizia e manutenzione, applicazione di piani di profilassi.

4. il rapporto uomo-animale: quantità e qualità delle interazioni, grado di prepara-

zione del personale.

In conclusione, per poter veramente sapere cosa piace ai nostri animali, cosa pensano e

cosa provano, dovremmo disporre di un mezzo di comunicazione che attualmente non

possediamo (Notari, 2001).

Possiamo però far riferimento a tutta una serie di indicatori, che, valutati nel loro com-

plesso, possono fornirci valide indicazioni sul loro stato di benessere.

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Parte Speciale Il benessere dei vitelli

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI VITELLI

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1 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL VITELLO

1.1 RIFERIMENTI NORMATIVI

- Legge 14 ottobre 1985, n. 623, Ratifica ed esecuzione delle convenzioni sulla pro-

tezione degli animali negli allevamenti e sulla protezione degli animali da macello,

adottate a Strasburgo rispettivamente il 10 marzo 1976 e il 10 maggio 1979

- D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 533, attuazione della Direttiva 91/629/CEE del Consi-

glio che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli.

- Decisione 97/182/CE della Commissione, del 24 febbraio 1997 recanti modifiche alla

Direttiva 91/629/CEE del Consiglio che stabilisce le norme minime per la protezione

dei vitelli.

- D.Lgs. 1 settembre 1998 n. 331, attuazione della Direttiva 97/2/CE del Consiglio,

del 20 gennaio 1997 relativa alle norme minime per la protezione dei vitelli.

- Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativo al Decreto Legisla-

tivo 1 settembre 1998 n. 331, recante: “Attuazione della Direttiva 97/2/CE del

Consiglio, del 20 gennaio 1997 relativa alle norme minime per la protezione dei vitel-

li”.

- D.Lgs 26 marzo 2001 n. 146, relativa alla protezione degli animali negli allevamen-

ti.

- Legge 20 luglio 2004, n. 189, Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento

degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competi-

zioni non autorizzate.

1.2 VITELLO

La vigente normativa in materia di benessere animale definisce “vitello” qualsiasi ani-

male della specie bovina di età inferiore ai sei mesi.

La presenti linea guida forniscono indicazioni circa l’applicazione delle norme minime

per la protezione dei vitelli detenuti negli:

- allevamenti di vitelli a carne bianca;

- allevamenti di bovini adulti da carne relativamente ai vitelli;

- allevamenti da riproduzione, relativamente ai vitelli, destinati alla rimonta / ri-

produzione.

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1.3 REQUISITI STRUTTURALI

1.3.1 STABULAZIONE

I requisiti relativi alla stabulazione dei vitelli sono individuati ai sensi dell’art. 3, comma

3, D.Lgs. 533/92 così come modificato ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. 331/98, che

recita:

“3. A decorrere dal 1 gennaio 1998, tutte le aziende di nuova costruzione o ristruttura-

te e tutte le aziende che entrano in funzione per la prima volta dopo tale data devono

rispettare le seguenti prescrizioni:

a) nessun vitello di età superiore alle otto settimane deve essere rinchiuso in un re-

cinto individuale, a meno che un veterinario non abbia certificato che il suo stato

di salute o il suo comportamento esiga che sia isolato dal gruppo al fine di essere

sottoposto ad un trattamento diagnostico e terapeutico. La larghezza del recinto

individuale deve essere almeno pari all'altezza al garrese del vitello, misurata

quando l'animale è in posizione eretta, e la lunghezza deve essere almeno pari alla

lunghezza del vitello, misurata dalla punta del naso all'estremità caudale della tu-

berosità ischiatica e moltiplicata per 1,1. Ogni recinto individuale per vitelli, salvo

quelli destinati ad isolare gli animali malati, non deve avere muri compatti, ma

pareti divisorie traforate che consentano un contatto diretto, visivo e tattile tra i

vitelli.”

b) per i vitelli allevati in gruppo, lo spazio libero disponibile per ciascun vitello deve

essere pari ad almeno:

- 1,5 m² per ogni vitello di peso vivo inferiore a 150 Kg.

- 1,7 m² per ogni vitello di peso vivo superiore a 150 Kg. e inferiore a 220 Kg.

-1,8 m² per ogni vitello di peso vivo superiore a 220 Kg.”

In deroga a quanto previsto dalla norma summenzionata in tutte le aziende di nuova co-

struzione o ristrutturate e attivate per la prima volta tra il 1° gennaio 1994 e il 31 di-

cembre 1997:

- i recinti e le poste, nel caso in cui i vitelli siano stabulati in recinti individuali o vin-

colati alla posta, devono essere costruiti con pareti perforate e devono avere una

larghezza non inferiore a cm 90, più o meno il 10%, oppure a 0,80 volte l'altezza del

garrese;

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- i vitelli stabulati in gruppo devono poter disporre di uno spazio libero di m² 1,5 per

ogni capo di kg 150 di peso vivo, sufficiente a consentire loro di voltarsi e di sdraiarsi

senza alcun impedimento

La suddetta deroga relativa termina il 31 dicembre 2006.

A far data dal 1 gennaio 2007 si applica l’art. 3, comma 3, D.Lgs. 533/92 così come

modificato ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. 331/98.

Tab. 1 – Quadro sinottico delle scadenze dei regimi transitori

DATA DI COSTRUZIONE DELL’AZIENDA fino 31/12/1993 Da 01/01/1994 a 31/12/1997

Termine del PERIODO TRANSITORIO 31/12/2003 31/12/2006

Applicazione dell’art. 3, c. 3, D.Lgs. 533/92 modificato dall’art. 1, c. 1, D.Lgs. 331/98

Dal 01/01/2004 Dal 01/01/2007

1.3.2 LIBERTÀ DI MOVIMENTO

I vitelli trascorrono in decubito circa il 90% del tempo dalla prima alla quinta settimana

di vita, tale percentuale scende fino a raggiungere il 69% a cinque mesi di vita.

Quando i vitelli non dormono, si dedicano ad attività quali pulirsi in decubito, grattarsi

la testa, giocare con altri vitelli, leccarsi reciprocamente ed esplorare l’ambiente.

Il sonno è indispensabile per la salute e il benessere dei vitelli ed in genere i vitelli as-

sumono durante il sonno la postura sternale con tutti gli arti raccolti e la testa girata in-

dietro sopra il corpo.

In situazioni di scarso benessere, il tempo passato in posizione di decubito si riduce ed i

vitelli trascorrono in stazione gran parte del tempo.

I vitelli non possono essere legati e devono disporre di un ambiente atto a consentire lo-

ro di coricarsi, giacere in decubito, alzarsi ed accudire a se stessi senza difficoltà.

Solo i vitelli stabulati in gruppo possono essere legati per un periodo massimo di un’ora

al momento della somministrazione del latte e succedanei del latte; gli attacchi utilizza-

ti devono permettere all’animale di assumere una posizione confortevole durante

l’assunzione dell’alimento ed anche non provocare strangolamenti o ferite.

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1.3.3 FABBRICATI

I materiali utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione, dei recinti e delle at-

trezzature con le quali i vitelli possono venire a contatto, devono essere facilmente la-

vabili e disinfettabili e non risultare nocivi per gli animali.

1.3.4 PAVIMENTAZIONI

Nella fase di progettazione della pavimentazione dell’allevamento va considerato che i

pavimenti devono:

� essere non sdrucciolevoli e privi di asperità, con superficie rigida, piana e stabi-

le per permettere ai vitelli di muoversi con sicurezza e di evitare inutili trauma-

tismi;

� essere adeguati alle dimensioni ed al peso dei vitelli;

� garantire che la zona in cui i vitelli si coricano sia confortevole, pulita e non

dannosa ai medesimi.

Le tipologie di pavimentazione più diffuse sono le seguenti:

1. Grigliato o fessurato in legno o cemento.

Il pavimento grigliato è la tipologia più diffusa negli allevamenti di vitelli e

rappresenta una buona soluzione dal punto di vista igienico ed economico, in

quanto permette il rapido allontanamento di feci, urine e foraggi ed una ridu-

zione dei tempi e dei costi legati alle operazioni di lavaggio dei recinti.

Il pavimento grigliato in legno è decisamente più confortevole e meno freddo

per i vitelli; necessita alla fine di ogni ciclo particolare cura nelle operazioni di

lavaggio e disinfezione, ma è certamente meno resistente all’usura.

Nella scelta del grigliato in cemento deve essere prestata particolare atten-

zione alla superficie affinché non sia troppo liscia per ridurre il rischio di rovi-

nose scivolate, né troppo ruvido per evitare l’eccessiva azione abrasiva sugli

unghioni dei vitelli. Dal punto di vista del confort certamente questa tipologia

di pavimentazione è più fredda del grigliato in legno.

Il pavimento grigliato si può presentare con fessure lineari o con fori circolari;

i primi permettono una migliore deambulazione agli animali, i secondi favori-

scono la rapida eliminazione dei liquami e mantengono il box più pulito.

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Le norme vigenti non forniscono indicazioni circa la dimensione dei travetti e

delle fessure del grigliato, ma in particolare le distanze tra i travetti o i dia-

metri dei fori devono sempre essere inferiori al diametro del piede dei vitelli

stabulati.

I bordi dei travetti non devono essere taglienti per evitare lesioni agli arti dei

vitelli.

2. Cemento pieno (opportunamente rigato per renderlo antiscivolo) con lettiera.

La lettiera in paglia fornisce ai vitelli maggiore confort e una buona protezione

contro il freddo invernale, inoltre assorbendo il contenuto liquido delle deie-

zioni, mantiene il recinto asciutto e poco sdrucciolevole.

La paglia riveste un ruolo importante come elemento di arricchimento ambien-

tale ed essendo a disposizione del vitello costituisce una fonte di fibra utile

per favorire lo sviluppo dei prestomaci.

La gestione degli allevamenti con questo tipo di pavimentazione risulta più co-

stosa sia per la necessità di più manodopera per la pulizia della lettiera dei re-

cinti, sia per i costi legati all’approvvigionamento della paglia.

Possono essere utilizzati altri tipi di lettiera, ad esempio:

� gli stocchi di mais che presentano un basso potere assorbente,

� la carta, che si inzuppa rapidamente,

� i trucioli di legno, di cui è determinante conoscerne la provenienza,

in quanto possono costituire un possibile rischio per i vitelli, (conte-

nuto in muffe, ottenuti da legni velenosi o trattati con oli o vernici

tossiche, ecc.),

� i cascami di cotone che sono molto economici e permettono

l’ottenimento di un buon letame.

3. Cemento pieno ricoperto da tappetini in gomma antiscivolo.

E’ consigliabile la predisposizione di un piano di manutenzione ordinaria a carico della

pavimentazione per correggere eventuali situazioni di rischio che potrebbero influire ne-

gativamente sulla salute dei vitelli (quali, travetti scheggiati o rotti, l’anima di ferro del

grigliato visibile, il cemento sbrecciato, ecc.).

Per tutti i vitelli di età inferiore alle due settimane deve essere prevista un adeguata

lettiera.

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Qualora i recinti siano posti al di fuori dei fabbricati sulla terra battuta è opportuno ga-

rantire il mantenimento dei requisiti della pavimentazione, indicati all’inizio del presen-

te capitolo, per tutta la durata della permanenza dell’animale in tale struttura.

1.3.5 RECINTI

I recinti dovranno, per quanto attiene alle dimensioni, essere rispondenti a quanto già

esposto al punto 1.3.1 ed essere costruiti con materiali idonei a venire a contatto con i

vitelli, essere privi di spigoli, margini taglienti o sporgenze tali da provocare lesioni agli

animali, ed inoltre essere pulibili e disinfettabili.

Le pareti dei recinti individuali dovranno permettere il contatto visivo, olfattivo e tattile

tra i vitelli dei recinti vicini.

È possibile disporre di recinti individuali con divisori privi di aperture destinati esclusi-

vamente agli animali malati e sottoposti a trattamenti diagnostici e terapeutici. È consi-

gliabile che tali recinti siano posizionati in un’area separata dell’allevamento (inferme-

ria).

Il medico veterinario, che dispone l’inserimento dei vitelli in questi recinti per sottoporli

a trattamenti diagnostici e terapeutici, appone nelle note del registro dei trattamenti,

previsto ai sensi del D.Lgs. 193/2006 e D.Lgs. 158/2006, oltre all’indicazione del tratta-

mento, la necessità dell’isolamento di tali soggetti.

Le pareti dei recinti multipli dovranno avere una altezza sufficiente per impedire agli

animali di superarle e di ferirsi.

Tutte le attrezzature utilizzate per la somministrazione di mangimi e di acqua devono

essere concepite, costruite ed installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di

contaminazione di alimento e acqua.

La mangiatoia può essere costituita da un unico vascone posto su un lato del recinto, su

modello degli allevamenti olandesi oppure da un secchio per ciascun animale.

Nel caso in cui la mangiatoia del recinto multiplo è costituita da un unico vascone e non

si provvede ad una alimentazione ad libitum o attraverso un sistema automatico di ali-

mentazione, ciascun vitello deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli

altri vitelli del gruppo, pertanto, la lunghezza della mangiatoia deve essere in rapporto

alla numerosità del gruppo e al peso dei soggetti.

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I vitelli apprendono alla nascita la capacità di alimentarsi dalla mammella della vacca,

poi con l’ingresso nell’allevamento devono imparare a ingerire il latte dal vascone o dal

secchio.

L’apprendimento del nuovo sistema di ingestione è certamente favorito dalla disponibili-

tà di tettarelle che garantiscono al vitello l’assunzione corretta e a piccoli sorsi del lat-

te.

Nelle aziende, dove i recinti sono posti al di fuori dei fabbricati, deve essere predisposto

un adeguato riparo per proteggere gli animali dalle intemperie.

1.3.6 MICROCLIMA

L’isolamento termico, il riscaldamento e la ventilazione devono consentire di mantenere

entro limiti non dannosi per i vitelli, la circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la

temperatura, l’umidità relativa dell’aria e la concentrazioni di gas (anidride carbonica,

ammoniaca, ecc.).

Certamente nella fase di progettazione dell’allevamento devono essere tenuti in consi-

derazione tra gli altri aspetti, quelli relativi alle modalità di controllo dei parametri so-

pra indicati. Infatti tali parametri variano in relazione alla posizione geografica, alle va-

riazioni stagionali delle temperature e dell’umidità dell’aria, alla presenza e alla dire-

zione dei venti, al numero di animali allevati, ai materiali di costruzione, al numero ed

all’ampiezza delle aperture, ecc.

La norma non fornisce limiti ai suddetti parametri, ma dispone che le condizioni micro-

climatiche siano tali da non essere nocive agli animali allevati.

E’ pertanto consigliabile disporre di apparecchiature (termometri, igrometri, ecc.) per

rilevare i parametri microclimatici dell’allevamento.

La circolazione dell’aria è garantita da:

� la sola ventilazione naturale a mezzo di finestre apribili, camini, cupoloni, ecc.;

� la sola ventilazione artificiale (ventole d’aspirazione, ecc.)

� i sistemi misti

Particolare attenzione deve essere posta nel controllo della circolazione dell’aria al fine

di evitare correnti d’aria o zone non ventilate con conseguente deterioramento delle

condizioni di salute dei vitelli.

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Nell’allevamento del vitello, la quantità di polvere nell’aria, valutato che

l’alimentazione è costituita da latte e alimento fibroso, che le feci sono allontanate o

attraverso la pavimentazione grigliata o con getti d’acqua, se la superficie è piena, e

che la ventilazione dei locali di stabulazione è controllata, in genere è tenuta sotto

controllo senza difficoltà.

La temperatura e l’umidità dell’aria rivestono fondamentale importanza nella corretta

gestione di un qualunque allevamento, ma in particolare di quello dei vitelli, poiché ad

esempio è particolarmente dannosa per tali animali la combinazioni di temperatura bas-

sa, elevata umidità e forte ventilazione.

Possono essere considerati ottimali valori di temperatura compresi tra i 15C° e 21C° con

tenori di umidità tra il 60% e l’80%.

1.3.7 IMPIANTI

Tutti gli impianti installati presso l’azienda devono essere conformi alle norme vigenti in

materia di sicurezza ed sottoposti periodicamente alla manutenzione ordinaria prevista

dalla ditta costruttrice.

Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il benessere dei

vitelli deve essere ispezionato almeno una volta al giorno.

Gli eventuali difetti riscontrati devono essere eliminati immediatamente; se ciò non e'

possibile, occorre prendere le misure adeguate per salvaguardare la salute ed il benes-

sere degli animali fino a che non sia effettuata la riparazione, ricorrendo a metodo al-

ternativi di alimentazione e provvedendo a mantenere condizioni ambientali soddisfa-

centi.

Se la salute ed il benessere degli animali dipendono da un impianto di ventilazione arti-

ficiale, deve essere previsto:

- un sistema di allarme che segnali il guasto; tale sistema deve essere sottoposto a

controlli regolari;

- un adeguato impianto di riserva per garantire un ricambio di aria sufficiente a

salvaguardare la salute e il benessere degli animali.

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1.3.8 ILLUMINAZIONE

I vitelli non devono restare continuamente al buio, ma per soddisfare le loro esigenze

comportamentali e fisiologiche, ed in particolare per consentire loro un maggior control-

lo dell’ambiente circostante e una migliore interazione sociale tra i componenti del

gruppo con conseguente riduzione dello stress, devono disporre di luce naturale, attra-

verso la presenza di una adeguata superficie illuminante oppure di una illuminazione ar-

tificiale, che sia almeno equivalente ad un’illuminazione naturale normalmente disponi-

bile tra le ore 9.00 e le 17.00.

Inoltre, per permettere una adeguata ispezione degli animali in un qualunque momento,

anche di notte, è necessario che sia disponibile una illuminazione fissa o mobile di inten-

sità sufficiente.

1.4 REQUISITI PROCEDURALI

1.4.1 ACCESSO DI VITELLI ALL’ALLEVAMENTO

Gli animali appena nati sono considerati idonei al trasporto quando l’ombelico sia del

tutto cicatrizzato (cap. I, lett. A, comma 1 del D.Lgs. 532/1992 e succ. modifiche).

La cicatrizzazione dell’ombelico esterno può intendersi, di norma, completata attorno al

10° giorno di vita.

1.4.2 COLOSTRATURA

Ogni vitello deve ricevere colostro bovino quanto prima possibile dopo la nascita e co-

munque entro le prime sei ore di vita.

Il vitello alla nascita non dispone di copertura anticorpale, in quanto gli anticorpi ma-

terni non sono in grado di raggiungere il sistema circolatorio del vitello a causa della

presenza della barriera placentare.

Pertanto, è necessaria l’assunzione del colostro da parte del vitello nelle prime ore di

vita perché:

- la capacità di assorbimento dell’intestino del vitello è massimo in tale periodo, di

seguito decresce sino ad annullarsi in corrispondenza del terzo giorno di vita;

- fornisce una valida difesa immunitaria passiva;

- riduce la % di mortalità.

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La somministrazione del colostro può avvenire direttamente attraverso la suzione del

latte materno da parte del vitello oppure con somministrazione del colostro raccolto da

parte dell’allevatore.

E’ stata segnalata dal Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale, a seguito

di una ricerca sulle caratteristiche del colostro delle bovine BLAP (bovine da latte ad al-

ta produzione), che il colostro di molte bovine BLAP è risultato scadente, in quanto ri-

sulta deficitario in y-globuline e ricco di citochine infiammatorie, dovute alla reazione di

anoressia che si evidenzia nelle bovine 2-3 giorni prima del parto.

Al fine di accertare che il vitello abbia ricevuto una adeguata colostratura, il Centro di

Referenza Nazionale per il Benessere Animale propone la quantificazione delle y-

globuline (tenori in y-globuline pari o superiori a 8 mg/ml sono indice di una colostratura

adeguata) con l’esecuzione del test della gamma-glutamil-transferasi e della elettrofo-

resi delle proteine sieriche.

1.4.3 DIVIETI ESPRESSI

È vietato:

• legare i vitelli (ad eccezione di quelli stabulati in gruppo che possono essere legati

per un periodo massimo di un’ora al momento della somministrazione del latte e suc-

cedanei del latte);

• mettere la museruola ai vitelli;

• tagliare la coda, se non a fini terapeutici certificati;

• cauterizzare gli abbozzi corneali sopra le 3 settimane di vita (tale pratica deve co-

munque avvenire sotto il controllo del veterinario aziendale);

• provocare, per crudeltà o senza necessità, lesioni o sottoporre a sevizie o a compor-

tamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche

dell’animale.

1.4.4 CONTROLLO DEGLI ANIMALI

I vitelli allevati in locali di stabulazione devono essere controllati dal titolare o da per-

sona responsabile almeno due volte al giorno; nel caso di vitelli stabulati all’aperto tale

controllo va eseguito almeno una volta al giorno.

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Gli animali che presentano sintomi di malattia o ferite devono essere immediatamente

curati, se necessario isolati in locali appropriati con lettiera asciutta e confortevole.

La stabulazione in recinti multipli comporta, per la persona responsabile del controllo

degli animali, maggiori difficoltà per la tempestiva identificazione dei vitelli-problema

(presenza di segni di malattia o meno ingordi).

Il sistema olandese prevede il mantenimento di gruppi di vitelli omogenei per peso vivo

all’interno di ciascun recinto, procedendo ad una continua (in genere a cadenza setti-

manale) ricomposizione dei gruppi. Quindi i vitelli che all’osservazione appaiono più leg-

geri vengono portati in un recinto con altri dello stesso peso, mentre nel recinto con

quelli più pesanti vengono aggiunti altri vitelli con le stesse caratteristiche.

1.4.5 REGISTRAZIONE DATI

Ciascun allevamento deve disporre di un registro di carico e scarico degli animali, previ-

sto dalla normativa vigente, sul quale vengono regolarmente registrate le movimenta-

zioni e i casi di mortalità.

Ogni animale introdotto in allevamento deve essere scortato da un documento di identi-

ficazione, quale:

- il passaporto (ai sensi del Reg. CE n. 1760/2002), oppure

- la cedola (per i vitelli di età inferiore ai 28 gg.)

Inoltre, ciascun vitello deve essere dotato di marche auricolari con il codice identificati-

vo corrispondente a quello contenuto nel documento di identificazione.

Nel caso dell’arrivo in allevamento di vitelli con passaporto, il titolare è tenuto a:

1. registrare i vitelli, entro tre giorni dall’ingresso, sul registro di carico e scarico

2. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL competente per territorio

l’avvenuta introduzione di animali per motivi sanitari;

3. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL o all’ente delegato (CAA, APA,)

competente per territorio l’avvenuta introduzione di animali per la registrazione nel-

la banca dati dell’anagrafe bovina.

Nel caso dell’arrivo in allevamento di vitelli con cedola identificativa, il titolare è tenu-

to a:

1. registrare i vitelli, entro tre giorni dall’ingresso, sul registro di carico e scarico

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2. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL competente per territorio

l’avvenuta introduzione di animali per motivi sanitari;

3. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL o all’ente delegato (CAA,

APA,) competente per territorio l’avvenuta introduzione di animali per la regi-

strazione nella banca dati dell’anagrafe bovina;

4. richiedere all’ente delegato la stampa dei passaporti.

1.4.6 TRATTAMENTI TERAPEUTICI E PROFILATTICI

I trattamenti terapeutici e profilattici devono essere prescritti da un medico veterinario.

In azienda possono essere detenuti ed utilizzati soltanto medicinali veterinari dotati di

AIC (autorizzazione all’immissione in commercio) e regolarmente prescritti da un medico

veterinario.

Qualunque altra sostanza non autorizzata o il cui uso non è consentito per la tipologia

dei animali ivi allevati, non può essere utilizzata e detenuta in allevamento.

I trattamenti effettuati sugli animali devono essere opportunamente registrati su un re-

gistro secondo le modalità previste dal D.Lgs. 193/2006 e D.Lgs. 158/2006.

Il registro dei trattamenti, ai sensi del D.Lgs. 158/2006, deve essere sempre detenuto in

azienda e conservato dal titolare dell’azienda, con le relative ricette, per almeno 5 anni

e messo a disposizione dell’autorità sanitaria nel corso delle ispezioni.

Il medico veterinario, che dispone l’inserimento dei vitelli nei recinti singoli per sotto-

porli a trattamenti diagnostici e terapeutici, appone nelle note del summenzionato regi-

stro dei trattamenti, oltre all’indicazione del trattamento, la necessità dell’isolamento

di tali soggetti.

1.4.7 PULIZIA E DISINFEZIONE

I fabbricati, i recinti, le attrezzature e gli utensili devono essere puliti e disinfettati re-

golarmente per evitare il diffondersi di potenziali organismi patogeni.

E’ consigliabile alla fine di ogni ciclo produttivo, dopo aver rimosso le deiezioni ed aver

effettuato un accurato lavaggio con acqua in pressione, procedere alla disinfezione dei

fabbricati utilizzando prodotti a base di ammonio quaternario o di formalina diluita,

quindi chiudendo le aperture per 48 ore e poi aerare e lasciare vuoti i locali per 7/8

giorni.

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E’ importante che secchi, poppatoi, mangiatoie siano puliti dopo ogni utilizzo, smontan-

do preventivamente le parti dove facilmente si depositano residui di alimento e siano

sottoposti periodicamente a disinfezione.

Si ritiene opportuno che ciascun allevamento sia dotato di un piano per il contenimento

della presenza delle mosche e per il controllo dei roditori e che gli addetti dispongano

delle necessarie informazioni relativamente al piano medesimo.

1.5 REQUISITI FUNZIONALI

1.5.1 PERSONALE

I vitelli devono essere accuditi da un numero sufficiente di addetti con adeguate capaci-

tà, conoscenze e competenze professionali.

Risulta determinante nella gestione di una azienda di allevamento, la competenza tecni-

ca degli addetti che operano a contatto con gli animali.

Infatti la tempestiva identificazione degli animali con i primi segni di malessere (anoma-

lie comportamentali, isolamento, diarrea, respirazione accelerata, tosse, lesioni, ecc.)

permette l’individuazione delle cause di malessere e, per la formulazione della diagnosi

e l’avvio della necessaria terapia, l’intervento del medico veterinario con la conseguen-

te rapida ripresa degli animali.

Ancora l’adozione da parte degli addetti di un buon rapporto uomo-animale (comporta-

menti ed atteggiamenti tranquilli, senza movimenti bruschi o urla, evitare calci, colpi o

pugni, ecc.) permette un progressivo adattamento degli animali all’ambiente circostante

e alla presenza degli addetti alle attività tipiche dell’allevamento.

L’addestramento del personale addetto in genere è mirato all’organizzazione di corsi

specifici di formazione inerenti l’uso di particolari attrezzature o l’esecuzione di proce-

dure, tuttavia è opportuno prevedere l’inserimento anche di nozioni relative al rapporto

uomo-animale ed al benessere degli animali.

1.5.2 ALIMENTAZIONE

Tutte le attrezzature utilizzate per la somministrazione di mangimi e di acqua devono

essere concepite, costruite ed installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di

contaminazione di alimento e acqua.

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L’alimentazione dei vitelli deve essere adeguata alla loro età e al loro peso e conforme

alle loro esigenze comportamentali e fisiologiche, onde favorire buone condizioni di sa-

lute e di benessere.

A partire dalla seconda settimana di età, il vitello deve poter disporre di acqua fresca in

quantità sufficiente.

Tutti i vitelli devono essere nutriti almeno due volte al giorno.

Se i vitelli sono stabulati in recinti multipli e non si provveda ad una alimentazione ad

libitum o attraverso un sistema automatico di alimentazione, ciascun vitello deve avere

accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri vitelli del gruppo.

L’alimentazione dei vitelli è costituita da:

1. mangime liquido a base di latte o derivati del latte;

2. alimento fibroso;

e deve avere un tenore in ferro sufficiente per raggiungere un tasso di emoglobina di

almeno 4.5 mmol/litro o 7,3 g. %.

1. Mangime liquido a base di latte o derivati del latte. L’alimento liquido, attraverso la

stimolazione dei recettori faringei, induce nell’animale il riflesso di chiusura della “doc-

cia esofagea” permettendo il passaggio diretto del medesimo nell’abomaso, ciò riveste

un ruolo importante nello stato di salute degli animali nella fase di allattamento,

E’ bene ricordare che durante la suzione, il vitello neonato posiziona, in modo naturale

la testa rivolta in su, verso la mammella della madre, ed inghiotte il latte a piccoli sorsi,

con la formazione nell’abomaso di coaguli di piccole dimensioni facilmente attaccabili

dagli enzimi digestivi.

È perciò consigliabile, in particolare nelle fasi di avvio del vitello all’alimentazione, uti-

lizzare le allattatrici automatiche o i secchi muniti di tettarella.

2. Alimento fibroso. Il protrarsi nel tempo della sola alimentazione liquida trasforme-

rebbe i vitelli, da animali poligastrici in monogastrici, sconvolgendone le funzioni ana-

tomiche e fisiologiche con conseguente ipotrofia dei prestomaci, in quanto non coinvolti

nel processo digestivo.

Inoltre, i vitelli privati della possibilità di ruminare manifestano con maggiore frequenza

vizi e stereotipie orali.

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Per ovviare a questi inconvenienti, dopo la seconda settimana di età, viene disposto che

ad ogni vitello deve essere somministrata una dose giornaliera di alimenti fibrosi ed il

quantitativo deve essere portato da 50 a 250 grammi al giorno per i vitelli di età com-

presa tra le 8 e le 20 settimane.

L’apporto degli alimenti fibrosi nella dieta dei vitelli ha pertanto un ruolo determinante

in quanto:

- fornisce all’animale la possibilità di masticare e ruminare;

- stimola lo sviluppo funzionale dei prestomaci e migliora l’attività digestiva;

- migliora l’indice di accrescimento ponderale (parametro legato al tipo di alimento

fibroso somministrato);

- induce un contenimento delle stereotipie orali.

Una particolare attenzione deve essere posta nella scelta degli alimenti fibrosi da som-

ministrare ai vitelli valutando le caratteristiche bromatologiche, la qualità igienico sani-

taria, le modalità di conservazione e di somministrazione, l’appetibilità, la digeribilità,

ecc.

Il livello di emoglobina è l’unico parametro ematico preso in considerazione dalla norma

per la valutazione del benessere, anche se di fatto è un indicatore dello stato di anemia

del vitello.

Il raggiungimento del livello minimo di emoglobina previsto dalla normativa è di grande

interesse per gli allevatori. Il suo mancato raggiungimento può dare atto a stati patolo-

gici con drastica caduta della produttività degli animali.

In tale ambito l’anemia dei vitelli è riscontrabile prevalentemente nelle fasi precoci del

ciclo di allevamento, e cioè a 30-60 giorni di vita circa.

La razza (più colpiti i vitelli frisoni), l'origine (discendenza di bovine ad alta produzione

lattea) e la stagione dell'anno sono tra i fattori predisponenti di tale patologia. Tali sog-

getti tendenzialmente anemici, se individuati in questa fase precoce, cioè al termine del

periodo in recinto individuale, possono essere sottoposti a trattamenti, per via orale o

parenterale, a base di “ferro”, in aggiunta a quello somministrato mediante l'integrazio-

ne di fibra della dieta prevista dalla normativa vigente.

Il significato del valore “soglia” (tasso di emoglobina di almeno 4.5 mmol/litro o 7,3 g.

%), previsto dalla norma, si intenderebbe indicativo per tutti i vitelli del ciclo di alleva-

mento.

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Da qui l’importanza di inserire, nell’ambito dell’autocontrollo aziendale, un programma

per il controllo sistematico su un campione di animali statisticamente significativo di ta-

le valore ematico, che indicativamente si rappresenta di seguito:

- 1° campionamento: al termine del periodo in recinto individuale (prima dell’ottava

settimana di vita);

- 2° campionamento: a ridosso del periodo di forzatura alimentare (70 - 90 giorni) per

verificare l'andamento del gruppo, la tendenza alla normalizzazione del parametro e

alla riduzione delle differenze di gruppo;

- 3° campionamento: nelle due settimane prima della macellazione come controllo.

Come consuetudine ai piani di autocontrollo aziendale possono essere affiancati even-

tuali controlli ufficiali da parte dell’ASL territorialmente competente per la sede

dell’allevamento o in alternativa, per la sede dell’impianto dove gli animali sono macel-

lati. Relativamente agli esiti analitici dei campioni effettuati al macello il valore di Hb

riscontrata potrebbe rivelarsi più elevato del valore reale in relazione ad eventuali fe-

nomeni di disidratazione avvenuti durante un trasporto prolungato.

L’eventuale riscontro al macello di valori Hb inferiori alla norma comporta la segnala-

zione alla A.S.L. di provenienza degli animali per l’attuazione dei controlli ufficiali a

campione sugli animali presenti in allevamento.

Tuttavia i vitelli malati e quelli sottoposti a condizioni atmosferiche di grande calore de-

vono poter disporre di acqua fresca in ogni momento.

Il Centro Nazionale di Referenza per il benessere animale presso l’I.Z.S.L.E.R. sede di

Brescia (www.bs.izs.it) nonché le sedi provinciali del medesimo possono forniscono in tal

senso, ogni necessario supporto tecnico scientifico ad AA.SS.LL., veterinari ed allevatori.

1.6 INDICATORI DI BENESSERE

Di seguito sono indicati alcuni indicatori di benessere DOCUMENTALI

- Consumo dei medicinali veterinari (a volte i medicinali sono utilizzati come

“succedaneo” alle carenze igienico sanitarie o di conduzione dell’allevamento)

- Trattamenti profilattici

- Consumo di alimenti (quantità e tipo)

- Esiti controlli emoglobina

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AMBIENTALI - Temperatura

- Luce

- Umidità

- Ventilazione

- Odori

ETOLOGICI - Vivacità

- Gioco

- Distanza dall’operatore

- Presenza di stereotipie comportamentali

Le stereotipie sono comportamenti anormali, ripetitivi e senza fine o funzione ovvia, che

si sviluppano in un certo periodo di tempo quando l’animale è frustrato in modo ripetuto

o cronico.

Le stereotipie orali rappresentano i comportamenti animali più comuni.

Esse comprendono il tongue-playing ed il tongue-rolling.

Sono entrambi giochi effettuati con la lingua: nel primo, il vitello estende e piega la lin-

gua lateralmente, facendola girare all’esterno della bocca, arrotolandola e srotolandola.

Nel secondo, la lingua viene arrotolata srotolata ripetutamente all’interno della bocca,

la quale può essere aperta o socchiusa. Generalmente la testa viene tenuta verso l’alto

e gli occhi possono roteare.

Il tongue-rolling in particolare, sembra svilupparsi per effetto di contatti sociali assenti e

di scarsa attività a scopo nutritivo: compare soprattutto in vitelli stabulati in recinti sin-

goli ed alimentati solo con latte.

Il tongue-playing invece, sembra derivare dalla mancanza di attività orali estremamente

importanti per il vitello, come l’allattamento, il pascolare, e la masticazione.

E’ stato osservato nei numerosi studi effettuati su queste stereotipie che il tongue-

playing in particolare viene manifestato soprattutto dopo i pasti e che le condizioni di

benessere del vitello sono da reputarsi “non buone” se il tempo occupato da comporta-

menti stereotipati è uguale o maggiore del 10% della vita “da sveglio” di un animale.

(Broom 1983).

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CLINICI Caratteristiche del pelo, presenza di imbrattamento fecale degli arti posteriori, stato di

nutrizione, temperatura, frequenza cardiaca, colorito delle mucose, parametri ematici

(emoglobina, ma anche altri parametri quali: emocromo, formula leucocitaria, emato-

crito, ecc. ).

1.7 SANZIONI

Il D.Lgs. 533/1992 prevede la possibilità, qualora non si configuri un reato, di elevare, a

coloro che violano il disposto dell’art. 3, comma 1 e 3, una sanzione amministrativa con

pagamento di una somma da Euro 1.549,37 a Euro 9.296,22.

Sono tenuti al rispetto di quanto disposto dall’art. 3 del D.Lgs. 533/1992:

- comma 1: i titolari delle aziende nuove o ristrutturate o attivate per la prima

volta nel periodo che intercorre tra 1° gennaio 1994 e il 1° gennaio 1998;

- comma 3: così come modificato dal D.Lgs. 331/1998, i titolari delle aziende nuo-

ve o ristrutturate o attivate per la prima volta dopo il 1° gennaio 1998.

Nel caso di riscontro da parte dell’autorità sanitaria, nel corso di un sopralluogo, del

mancato rispetto di requisiti in ordine al benessere dei vitelli allevati, diversi da quelli

di cui al comma 1 e 3 del D.Lgs. 533/1992 e succ. modifiche, è applicabile, se compati-

bile, in combinato disposto il D.Lgs. 146/2001, che stabilisce le misure minime da osser-

vare negli allevamenti per la protezione degli animali.

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Parte Speciale Il benessere dei suini

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI SUINI

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stesura 2008.1

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2 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL SUINO

2.1 PREMESSA

Il decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 53, pubblicato in G.U. n. 49 del 28.2.2004, re-

cependo le direttive 2001/88/CE del 23 ottobre 2001 e 2001/93/CE del 9 novembre 2001

ed apportando numerose e sostanziali modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 30

dicembre 1992, n. 534, ha profondamente innovato la normativa nazionale in materia di

benessere dei suini in allevamento ed ha, almeno temporaneamente, stabilito quali sono

i requisiti strutturali, manageriali e sanitari ai quali gli allevamenti suini devono rispon-

dere.

In effetti il limite temporale delle presenti disposizioni scaturisce dalla stessa direttiva

2001/88/CE laddove stabilisce che “di preferenza prima del gennaio 2005, ed in ogni ca-

so entro il 1° luglio 2005, la Commissione presenta al Consiglio una relazione elaborata

in base ad un parere del Comitato scientifico della salute e del benessere degli animali.

La relazione è elaborata tenendo conto delle conseguenze socio-economiche, delle con-

seguenze sanitarie, degli effetti ambientali e delle differenti condizioni climatiche

(...). La relazione sarà corredata, se necessario, di opportune proposte legislative sugli

effetti della regolamentazione delle differenti superfici disponibili e tipi di pavimento

per quanto riguarda il benessere dei suinetti e dei suini all’ingrasso”.

Non è quindi difficile prevedere, nei prossimi anni, ulteriori future modifiche della vi-

gente normativa, sulla base delle osservazioni e dei pareri che il Comitato scientifico

proporrà alla commissione Europea.

Poiché le modifiche e le integrazioni apportate dal decreto legislativo n. 53/2004 sono

state numerose e sostanziali, questa U.O. Veterinaria ha ritenuto opportuno elaborare le

presenti linee guida al fine di garantire una corretta ed omogenea applicazione della vi-

gente normativa sul benessere dei suini in allevamento.

2.2 RIFERIMENTI NORMATIVI

- Direttiva 1991/630/CEE del Consiglio del 19 novembre 1991 che stabilisce le nor-

me minime per la protezione dei suini. (G.U.C.E. L 340 dell’11.12.1991).

- D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 534 - Attuazione della direttiva 91/630/CEE che

stabilisce le norme minime per la protezione dei suini. (G.U. n. 7 dell’11.1.1993).

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stesura 2008.1

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- D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 146 - Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla

protezione degli animali negli allevamenti. (G.U. n. 95 del 24.4.2001).

- Direttiva 2001/88/CE del Consiglio del 23 ottobre 2001 recante modifica della di-

rettiva 91/630/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini.

(G.U.C.E. L 316 dell’1.12.2001).

- Direttiva 2001/93/CE della Commissione del 9 novembre 2001 recante modifica

della direttiva 91/630/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei

suini. (G.U.C.E. L 316 dell’1.12.2001).

- D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53 - Attuazione della direttiva 2001/93/CE che sta-

bilisce le norme minime per la protezione dei suini. (G.U. n. 49 del 28.2.2004).

- Nota del Ministero della Salute prot. n. DGVA/10/7818 del 2 marzo 2005 – Proce-

dure per il controllo del benessere animale negli allevamenti di suini – applicazio-

ne del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53.

2.3 DEFINIZIONI

SUINO: un animale della specie suina, di qualsiasi età, allevato per la riproduzione o l’ingrasso.

VERRO: un suino di sesso maschile che ha raggiunto la pubertà ed è destinato alla riproduzione.

SCROFETTA: un suino di sesso femminile che ha raggiunto la pubertà, ma non ha ancora partori-

to.

SCROFA: un suino di sesso femminile che ha già partorito una prima volta.

SCROFA IN ALLATTAMENTO: un suino di sesso femminile nel periodo tra la fase perinatale e lo

svezzamento dei lattonzoli.

SCROFA ASCIUTTA E GRAVIDA: una scrofa nel periodo tra lo svezzamento e la fase perinatale.

LATTONZOLO: un suino dalla nascita allo svezzamento.

SUINETTO: un suino dallo svezzamento all’età di 10 settimane.

SUINO ALL’INGRASSO: un suino dall’età di 10 settimane alla macellazione od all’impiego come

riproduttore.

(D.L.vo 534/92, art. 2)

2.4 REQUISITI STRUTTURALI

2.4.1 STABULAZIONE

“3) I locali di stabulazione dei suini devono essere costruiti in modo da permettere agli animali

di:

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a) avere accesso ad una zona in cui coricarsi confortevole dal punto di vista fisico e

termico ed adeguatamente prosciugata e pulita, che consenta a tutti gli animali di

stare distesi contemporaneamente;

b) riposare ed alzarsi con movimenti normali;

c) vedere altri suini; tuttavia, nella settimana precedente al momento previsto del par-

to e nel corso del medesimo, scrofe e scrofette possono essere tenute fuori dalla vi-

sta degli animali della stessa specie”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 3)

“I locali di stabulazione ed i dispositivi di attacco degli animali devono essere costruiti in modo

che non vi siano spigoli taglienti o sporgenze tali da provocare lesioni agli animali”. (D.L.vo

146/2001, allegato, punto 9)

In linea generale, le caratteristiche e la qualità delle strutture, attrezzature e materiali

utilizzati nell’allevamento contribuiscono al miglioramento delle prestazioni zootecniche

dei suini allevati.

Purtroppo alcuni aspetti quali l’usura, riparazioni maldestre, l’utilizzazione impropria

determinano soventemente disagio negli animali allevati, che in alcuni casi sfocia in le-

sioni anche molto gravi o privazioni di un normale stato di comfort.

Di seguito alcuni esempi.

Pavimentazione fessurata in calcestruzzo

La grande diffusione negli allevamenti suini del tipo di pavimentazione fessurata in cal-

cestruzzo a motivo della sua proprietà autopulente e dei più ridotti costi di gestione,

rende necessaria una valutazione delle caratteristiche fisiche e termiche di detto tipo di

pavimentazione in relazione alle condizioni di benessere dei suini sia in fase di movi-

mentazione che durante il riposo.

In linea di massima, si può ritenere che tale pavimentazione possa offrire alcuni punti di

rischio specie se associata a condizioni climatiche non controllate.

La più importante osservazione riguarda la congruità del peso dei soggetti all’ingresso in

riferimento alle dimensioni dei travetti e degli spazi (valutati nei punti di maggiore usu-

ra).

Il pavimento fessurato, specie se è nuovo, può causare dolore al piede degli animali,

contravvenendo temporaneamente alle disposizioni legislative, per ovviare a tale situa-

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zione è necessario che siano messi in atto tutti quegli accorgimenti che possano ridurre

l’impatto negativo sul piede, quali: l’introduzione di soggetti più “grossi” o di scrofette

o scrofe non gravide, l’aumento della superficie disponibile, il controllo del microclima,

ecc.

Gabbia Parto

La gabbia parto è senza dubbio l’attrezzatura più hard che è presente in allevamento.

Tale struttura tenta di conciliare l’esigenza di consentire un parto ed una lattazione a-

gevole e con la riduzione al minimo del numero di suinetti schiacciati.

Una cattiva gestione della gabbia può provocare:

- compressioni e gravi piaghe da decubito;

- sobbattiture e fiaccature a seguito dei scivolamenti della scrofa all’atto di alzarsi

e coricarsi;

Tali lesioni, in molti casi, potrebbero essere evitate agendo sulle strutture e sulle bar-

riere che spesso sono facilmente modulabili grazie a sistemi creati appositamente dal

costruttore, ma che sono sottovalutati dall’utilizzatore.

Anche la locazione del punto di rifornimento idrico, o l’alloggiamento e le dimensioni

della mangiatoia possono essere punti di rischio poiché non consentono alla scrofa di be-

re o alimentarsi agevolmente.

2.4.2 LOCALI PER SCROFE E SCROFETTE

“3. Nella settimana precedente al momento previsto del parto, scrofe e scrofette devono di-

sporre di una lettiera adeguata in quantità sufficiente, a meno che ciò non sia tecnicamente re-

alizzabile per il sistema di eliminazione dei liquami utilizzato nello stabilimento.

4. Dietro alla scrofa o alla scrofetta deve essere prevista una zona libera che renda agevole il

parto naturale od assistito.

5. Gli stalli da parto in cui le scrofe possono muoversi liberamente devono essere provvisti di

strutture (quali, ad esempio, apposite sbarre) destinate a proteggere i lattonzoli”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. B)

Al punto 3, cap. II, dell’allegato al D.Lgs. 53/2004 viene utilizzato il termine “lettiera”,

traduzione impropria di “nesting material” o “materiaux de nidification” di cui alla di-

rettiva 2001/93/CE

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Pertanto l’intento del legislatore comunitario è quello imporre che scrofe e scrofette,

nella settimana precedente al momento previsto del parto, dispongano di una quantità

sufficiente di materiale per la nidificazione, al fine di migliorare il rapporto tra ambien-

te e animale nell’imminenza e subito dopo il parto e di rispondere all’esigenza compor-

tamentale della scrofa di predisporre il nido per la covata.

Il materiale deve essere scelto tra quelli che inglobano le caratteristiche di assorbenza,

degradabilità, economicità, disponibilità e non nocività; la carta debitamente frantuma-

ta offre assieme tutte queste proprietà.

Numerosi i vantaggi zootecnici che l’allevatore vedrà realizzati, a fronte dell’unico one-

re di approvvigionamento del materiale; tra questi ricordiamo la riduzione della durata

del travaglio, un migliore adattamento alla gabbia, riduzione del numero degli schiaccia-

ti, riduzione della mortalità perinatale.

Il materiale per la nidificazione, inoltre, consentirà di ridurre le temperature delle sale

parto limitando i rischi di ipotermia dei suinetti, grazie all’effetto protettivo della carta.

(...) 3. Le scrofe e le scrofette devono essere allevate in gruppo nel periodo compreso tra 4 set-

timane dopo la fecondazione ed 1 settimana prima della data prevista per il parto. I lati del re-

cinto dove viene allevato il gruppo di scrofe o di scrofette devono avere una lunghezza superio-

re a 2,8 m. Allorché sono allevati meno di 6 animali i lati del recinto dove viene allevato il

gruppo devono avere una lunghezza superiore a 2,4 m.

4. In deroga alle disposizioni di cui alla lettera a), le scrofe e le scrofette allevate in aziende di

meno di 10 scrofe possono essere allevate individualmente nel periodo di cui alla lettera a) a

condizione che gli animali possano girarsi facilmente nel recinto.

(D.L.vo 534/92, art. 3 comma 3 e 4 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, comma 3)

Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:

- a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale

uso per la prima volta dopo tale data,

- a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.

E’ opportuno fare alcune considerazioni tecniche sull’obbligo imposto dalla normativa di

allevare in gruppo le scrofe e le scrofette dopo il primo mese di gestazione e fino alla

settimana antecedente il parto.

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Può infatti essere osservato che nel momento in cui si formano gruppi collettivi di scrofe

o scrofette gestanti provenienti da gabbie singole, si creano inevitabilmente interazioni

conflittuali che sono tanto più violente e prolungate quanto più precocemente avviene

la formazione di questi gruppi e quanto più corto è il periodo di gravidanza.

Al fine di ridurre l’aggressività in fase di imbastamento delle scrofe gestanti, si consiglia

di:

- creare gruppi collettivi piuttosto ridotti numericamente (6 scrofe o poco più). In

questo modo l’ordine gerarchico si stabilisce più in fretta e la conflittualità cessa

più rapidamente;

- creare i gruppi nelle ore precedenti la sera e nelle giornate meno assolate;

- immettere nello stesso gruppo scrofe che, per essere state vicine di gabbia, hanno

già avuto un contatto visivo, olfattivo ed acustico fra loro ed hanno stabilito un cer-

to ordine gerarchico;

- introdurre, prima dell’imbrancamento, un verro adulto e lasciarlo per qualche ora do-

po l’immissione delle scrofe;

- quando possibile ed in occasione di eventuali ristrutturazioni dei locali di gestazione,

considerare la soluzione tecnico-costruttiva che consente di liberare le scrofe dalla

gabbia e creare box collettivi, semplicemente togliendo lo sportello posteriore del-

la gabbia e lasciando le scrofe nel loro ambiente, libere di muoversi nel box collet-

tivo e di utilizzare, in caso di difesa o al momento del pasto, la loro gabbia;

- garantire ad ogni scrofa non solo box con lunghezza minima dei lati di 2,8 m. o con

superficie utilizzabile di 2,25 m2 e 1,64 m2 rispettivamente per ogni scrofa o scro-

fetta, ma anche un adeguato posto mangiatoia (50 cm/scrofa almeno), un idoneo

sistema di abbeveraggio (1 abbeveratoio per box con un flusso idrico di 1,5-2 li-

tri/minuto)

- fornire di nascondini o barriere per il rifugio delle scrofe picchiate o impaurite.

Occorre tenere presente che la creazione della gerarchia è un fatto naturale ed inevitabile;

tuttavia, è sempre la mancanza di una o più risorse (spazio, clima/comfort, alimento, ac-

qua, ecc.) che ne impedisce la stabilità o determina gravi ripercussioni sugli animali di sta-

to gerarchico inferiore.

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2.4.3 LOCALI PER LATTONZOLI

“1. Una parte del pavimento, sufficientemente ampia per consentire agli animali di riposare in-

sieme contemporaneamente, deve essere piena o ricoperta da un tappetino, da paglia o da altro

materiale adeguato.

2. Nel caso si usi una stalla da parto, i lattonzoli devono disporre di uno spazio sufficiente per

poter essere allattati senza difficoltà.(...)”

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. C

Nelle sale parto moderne, ai lattonzoli viene fornito un tappetino confortevole su cui ri-

posare.

Il riscaldamento dei suinetti può essere attuato attraverso:

- sistemi di riscaldamento del pavimento (ad acqua calda o elettrici)

- lampade solitamente a raggi infrarossi poste sopra il nido.

La valutazione del comfort termico fornito alla nidiata può essere desunta dal modo in

cui i suinetti si dispongono attorno alla lampada.

Quando la temperatura è ottimale, i suinetti si sdraiano in decubito laterale e si posizio-

nano uno accanto all’altro creando un assembramento continuo sotto il cono riscaldante.

Se la temperatura è eccessivamente alta i suinetti tenderanno ad allontanarsi dal cono

riscaldante e tra di loro assumendo una posizione sparsa, mentre, se la temperatura è

insufficiente, i suinetti si disporranno uno sull’altro sotto il cono riscaldante della lam-

pada.

L’assenza del tappetino, quindi, non deve essere presa come elemento obbligatoriamen-

te negativo, specie se le fonti di calore e la ventilazione sono adeguate.

Inoltre, molti allevatori, nonostante abbiano provato a mantenere il tappetino più a lun-

go, sono costretti ad allontanare il tappetino dopo alcuni giorni a causa del forte imbrat-

tamento fecale.

In questi casi sarà l’aspetto della nidiata a suggerire se le pratiche sostitutive attuate

dall’allevatore sono da considerare soddisfacenti.

2.4.4 SUPERFICIE LIBERA DISPONIBILE

“(...) a) le superfici libere a disposizione di ciascun suinetto o suino all’ingrasso allevato in

gruppo, escluse le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe, devono corrispondere ad almeno:

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b) le superfici libere totali a disposizione di ciascuna scrofetta dopo la fecondazione e di cia-

scuna scrofa, qualora dette scrofette e/o scrofe siano allevate in gruppi, devono essere rispet-

tivamente di almeno 1,64 m2 e 2,25 m2. Se i suini in questione sono allevati in gruppi di:

1. meno di sei animali, le superfici libere disponibili devono essere aumentate del 10%.

2. 40 o più animali, le superfici libere disponibili possono essere ridotte del 10%.”

(D.L.vo 534/92, art. 3comma 1 lettere a) e b), così come modificato da art. 1, comma 1, D.L.vo 53/2004)

Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:

- a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale

uso per la prima volta dopo tale data,

- a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.

Si osserva anche che per superficie disponibile si intende tutta l’area che il suino può u-

tilizzare per la movimentazione e per il riposo.

Per un computo corretto della stessa, potrà essere aggiunta alla superficie totale del

box, anche la superficie della corsia esterna di defecazione solo se conforme alle dispo-

sizione del D.L.vo 534/92 (vale a dire che i locali di stabulazione dei suini devono essere

costruiti in modo tale che vi sia una zona in cui coricarsi, confortevole dal punto di vista

fisico e termico ed adeguatamente prosciugata e pulita, che consenta a tutti gli animali

di stare distesi contemporaneamente, riposare ed alzarsi con movimenti normali).

Giova ricordare che la superficie occupata dal truogolo deve essere sottratta dalla su-

perficie disponibile.

Peso vivo (kg) m2 fino a 10 0,15

da 10 fino a 20 0,20

da 20 fino a 30 0,30

da 30 fino a 50 0,40

da 50 fino a 85 0,55

da 85 fino a 110 0,65

oltre 110 1,00

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VERRI

“1. I recinti per i verri devono essere sistemati e costruiti in modo da permettere all’animale di

girarsi, e di avere il contatto uditivo, olfattivo e visivo con gli altri suini. Il verro adulto deve

disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 m2

2.Qualora i recinti siano utilizzati per l’accoppiamento, il verro adulto deve disporre di una su-

perficie al suolo di 10 m2 ed il recinto deve essere libero da ostacoli.”

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. A)

Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:

- a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale

uso per la prima volta dopo tale data,

- a decorrere dal 1° gennaio 2005 a tutte le aziende.

2.4.5 TIPO DI PAVIMENTAZIONE

“5. I pavimenti devono essere non sdrucciolevoli e senza asperità per evitare lesioni ai suini e

progettati, costruiti e mantenuti in modo da non arrecare lesioni o sofferenze ai suini. Essi de-

vono essere adeguati alle dimensioni ed al peso dei suini e, se non è prevista una lettiera, costi-

tuire una superficie rigida, piana e stabile”

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 5)

“c) le pavimentazioni devono essere conformi ai seguenti requisiti:

1) per le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe gravide una parte della superficie di cui alla

lettera b) pari ad almeno 0,95 m2 per scrofetta e ad almeno 1,3 m2 per scrofa, deve essere co-

stituita da pavimento pieno continuo riservato per non oltre il 15% alle aperture di scarico;

2) qualora si utilizzino pavimenti fessurati per suini allevati in gruppo:

3.1. l’ampiezza massima delle aperture deve essere di:

1) 11 mm per i lattonzoli

2) 14 mm per i suinetti

3) 18 mm per i suini all’ingrasso

4) 20 mm per le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe

3.2. l’ampiezza minima dei travetti deve essere:

1) 50 mm per i lattonzoli ed i suinetti

2) 80 mm per i suini all’ingrasso, le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe”

(D.L.vo 534/92, art. 3, comma 1, lettera c) così come modificato da art. 1, D.L.vo 53/2004)

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Come disposto con nota del Ministero della Salute prot. n. DGVA/10/7818 del 02 marzo

2005 citata tra i riferimenti normativi, si precisa che i parametri relativi alle ampiezze

massime delle aperture e quelle minime dei travetti, sopra indicate, devono intender-

si riferite esclusivamente ai pavimenti fessurati in calcestruzzo, così come si evince

dal testo originale in lingua originale della direttiva 2001/88/CE, art. 1, punto 2, lettera

b).

Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:

- a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale

uso per la prima volta dopo tale data,

- a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.

La pavimentazione interamente fessurata rispetto a quella piena è senza dubbio una pa-

vimentazione dalle caratteristiche tecniche e di gestione decisamente favorevoli per

l’allevatore, mentre decisamente più svantaggiosa per il maiale.

Da un punto di vista allevatoriale, la pavimentazione fessurata offre come vantaggio il

completo drenaggio delle deiezioni nella fossa sottostante ed un conseguente controllo

più agevole dell’umidità ambientale.

Il suino, invece, si trova “sospeso” nell’aria e sottoposto alle correnti d’aria che lo cir-

condano, a contatto con i gas nocivi delle fosse di raccolta dei liquami sottostanti, con

una base d’appoggio del piede che può dare dolore, ecc.

Anche la pavimentazione piena, tuttavia ha punti di rischio quali l’eccessivo deposito di

deiezioni, la scivolosità e le eventuali asperità da usura.

In caso di pavimentazione fessurata è importante valutare e misurare sia l’ampiezza dei

travetti che la distanza tra i travetti.

Infatti il legislatore ha fornito, in base alle diverse categorie di suini (lattonzoli, suinet-

ti, suini all’ingrasso e scrofe), dei limiti di ampiezza minima dei travetti e di ampiezza

massima delle aperture, che come sopra indicato sono da applicarsi ai pavimenti fessu-

rati in calcestruzzo.

La norma non prevede specifici requisiti per le pavimentazioni fessurate, diverse da

quelle in calcestruzzo.

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Pertanto è opportuno sempre verificare che tali pavimentazioni siano comunque adegua-

te alle dimensioni ed al peso dei suini ivi allevati.

In particolare per i recinti dove sono allevati in gruppo lattonzoli, suinetti, suini

all’ingrasso, scrofette e scrofe a titolo puramente indicativo possono essere tenuti in

considerazione i parametri relativi alle pavimentazioni fessurate in calcestruzzo.

Un ulteriore aspetto della normativa, come già riportato, che per gli allevamenti preesi-

stenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 53/2004 dovrà trovare ap-

plicazione dal 1° gennaio 2013, è costituito dalla necessità di garantire ad ogni scrofa e

scrofetta gravida una parte di pavimentazione piena continua e precisamente 0,95 m2

per scrofette e 1,3 m2 per scrofa.

In questo ambito ricordiamo che la parte di pavimentazione piena può essere dislocata

nel box con qualsiasi criterio, mentre la porzione concessa per le aperture di scarico non

può essere sommata a quella di grigliato, ma, se utilizzata, deve essere posta all’interno

della porzione piena.

2.4.6 ABBEVERATA

“7. A partire dalla seconda settimana di età, ogni suino deve poter disporre in permanenza di

acqua fresca sufficiente”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 7)

“16. Tutti gli animali devono aver accesso ad un’appropriata quantità di acqua, di qualità ade-

guata, o devono poter soddisfare le loro esigenze di assorbimento di liquidi in altri modi".

(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 16)

La possibilità che ogni suino disponga “in permanenza di acqua fresca sufficiente” e che

“tutti gli animali abbiano accesso ad un’appropriata quantità di acqua, di qualità ade-

guata” presuppone che ogni animale può accedere ad abbeveratoi che garantiscono un

adeguato flusso idrico per ogni categorie di suini allevati.

Pertanto si ribadisce che in ogni box deve essere presente almeno un dispositivo di som-

ministrazione d’acqua ad libitum e non è consentita la somministrazione di acqua con

tempi prefissati.

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Si può ritenere che, in caso di utilizzo di abbeveratoi automatici, sia necessaria la pre-

senza di:

- in caso di alimentazione secca, almeno 1 abbeveratoio ogni 10-12 suini

- se l’alimentazione è umida, almeno 1 abbeveratoio ogni 25-30 suini.

Anche la velocità di erogazione dell’acqua (flusso idrico dell’abbeveratoio) deve essere

distinta in base alla categoria e deve tenere conto del bilancio idrico di ogni categoria di

suini.

Categoria Flusso idrico (litri/minuto)

kg 6 500 - 700 Suino post- svezzamento

kg 10 750 - 1.000

kg 50 - 100 1.000 - 1.500 Suini ingrasso

kg 100 - 150 1.000 - 1.500

Scrofe in gestazione 500 - 1.000

Scrofe in lattazione 1.000 - 2.000

I succhiotti dovrebbero essere posizionati alle seguenti altezze:

- suinetti di peso inferiore ai 5 kg: 100-130 mm

- suinetti di peso pari a 5-15 kg: 130-300 mm

- suinetti di peso pari a di 15-35 kg: 300-460 mm,

- suini di peso superiore ai 35 kg. pari all’altezza della articolazione scapolo-

omerale dei suini.

Un corretto flusso, che può essere agevolmente misurato determinando manualmente

l’erogazione dell’acqua per un minuto e misurando l’acqua fuoriuscita e raccolta in un

recipiente graduato, è fondamentale per una corretta abbeverata del suino.

Infatti se il flusso è troppo basso, il suino beve meno del necessario con una conseguente

minore ingestione di alimento; viceversa se il flusso è eccessivo il suino spreca la parte

dell’acqua che fuoriesce dall’abbeveratoio nel tentativo di dissetarsi con l’inutile au-

mento del volume dei liquami. Tale spreco, che avviene anche in condizioni di ridotta

erogazione può raggiungere il 25-30%.

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Infine per quanto riguarda l’aspetto relativo alla “qualità adeguata” dell’acqua si ritiene

che essa debba avere le caratteristiche di potabilità previste dalla normativa vigente per

il consumo umano o comunque essere esente da fonti di nocività per gli animali allevati.

2.4.7 ILLUMINAZIONE E RUMORI

“3. Per consentire l’ispezione completa degli animali in qualsiasi momento, deve essere dispo-

nibile un’adeguata illuminazione fissa o mobile”.

“11. Gli animali custoditi nei fabbricati non devono essere tenuti costantemente al buio o espo-

sti ad illuminazione artificiale senza un adeguato periodo di riposo. Se la luce naturale dispo-

nibile è insufficiente a soddisfare esigenze comportamentali e fisiologiche degli animali, occor-

re un’adeguata illuminazione artificiale”.

(D.L.vo 146/2001, allegato, punti 3) e 11)

“2. I suini devono essere tenuti alla luce di una intensità di almeno 40 lux per un periodo mini-

mo di 8 ore al giorno”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 2)

Illuminazione

L’illuminazione dei locali è indispensabile per garantire un normale accrescimento degli

animali e, soprattutto un corretto sviluppo delle gonadi ed un’importante stimolazione

della galattopoiesi.

Se un’insufficiente illuminazione degli ambienti può pregiudicare il corretto accresci-

mento ponderale ed una buona attività riproduttiva, è anche vero che un’eccessiva illu-

minazione dei locali può aumentare l’attività dei suini, determinando una riduzione del-

la resa, ed aumentare gli scambi sociali nel gruppo che in condizioni particolari potreb-

bero perfino sfociare in episodi di aggressività e cannibalismo vero e proprio.

Il legislatore ha posto la sua attenzione esclusivamente sul problema “carenza di illumi-

nazione” al punto che non solo vieta tassativamente che gli animali siano tenuti costan-

temente al buio, ma pone anche un limite minimo di luminosità degli ambienti di 40 lux

per almeno 8 ore al giorno.

Una tale luminosità (paragonabile alla minima luce necessaria a leggere un quotidiano

senza fatica) dovrebbe essere sufficiente per la vita di relazione degli animali, ma non è

sufficiente per svolgere una accurata ispezione degli stessi, pertanto è da prevedere

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l’istallazione di sistemi di illuminazione fissi o mobili che consentano, quando è necessa-

rio, agli operatori di svolgere la corretta identificazione e accurata ispezione degli ani-

mali.

Rumori

La valutazione del rumore negli allevamenti deve essere fatta in modo analitico tramite

l’utilizzo di un fonometro.

I rumori che possono causare alterazioni comportamentali nei suini allevati possono de-

rivare da molte fonti, alcune di queste difficilmente evitabili: mulino, idropulitrici, trat-

tori, porte, urla emesse dagli stessi animali durante la somministrazione del pasto, ecc.

Il limite di 85 dBA è paragonabile al rumore emesso al passaggio di una vettura civile

sull’asfalto, un trattore in accelerazione può raggiungere i 95 dBA, un mulino durante la

macinazione raggiunge i 110 dBA.

Dato che molte delle fonti di rumore fanno parte della comune operatività dell’azienda

più che la “sterile” quantificazione dei rumori nei fabbricati, vale la pena valutare se ef-

fettivamente gli animali mostrano segni di insofferenza al presentarsi del suono.

Può valer la pena, comunque, suggerire, per quanto possibile, la creazione di barriere

tra le fonti di rumori più acuti e i locali di stabulazione, nonché la chiusura delle porte

quando nei locali adiacenti si possano creare rumori molesti.

2.4.8 MICROCLIMA AMBIENTALE

“10. La circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la temperatura, l’umidità relativa

dell’aria e le concentrazioni di gas devono essere mantenute entro limiti non dannosi per gli a-

nimali”.

(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 10)

La necessità di mantenere i parametri microclimatici “entro limiti non dannosi per gli

animali” e la genericità della suddetta dizione normativa rendono opportuno meglio evi-

denziare e stabilire per ogni fattore microclimatico i limiti di accettabilità nonché le

modalità di rilevazione in sede di vigilanza veterinaria.

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2.4.8.1 POLVERE

La polvere che si riscontra negli allevamenti suini deriva essenzialmente dalle feci, dal

mangime e dagli animali presenti (squame cutanee, peli, ecc.). Essa risulta costituita da

piccole particelle che, in rapporto al loro diametro, vengono solitamente suddivise in:

- particelle respirabili: hanno il diametro inferiore a 5 µ, possono penetrare fino a li-

vello alveolare e rappresentano la frazione più cospicua (60-70%) della polvere to-

tale;

- particelle toraciche: hanno un diametro compreso tra 5 e 10 µ e, se inalate, pene-

trano fino a livello della trachea e dei grossi bronchi ove vengono captate dalla

struttura muco-cigliare;

- particelle inspirabili: sono quelle il cui diametro, superiore a 10 µ, ne determina

l’arresto a livello delle primissime vie respiratorie (narici, faringe e laringe).

Tratto respiratorio Diametro particelle (µm)

Narice e laringe > 7

Faringe 7

Trachea e bronchi primari 4,7

Bronchi secondari 3,3

Bronchioli terminali 2,1

Alveoli 1,1

Relazione tra diametro delle particelle di polvere e loro capacità di pene-

trazione nell’apparato respiratorio dell’uomo

(Perkins e Cocke, 1988; da Barbari e Gastaldo, 1993).

Tra i metodi più comunemente utilizzati per la rilevazione della quantità di polvere pre-

sente negli allevamenti si richiama quello costituito dal rilievo della concentrazione to-

tale della massa di polvere (T.M.C.), vale a dire della quantità totale di polvere presen-

te in un metro cubo di aria; tale valore viene espresso in mg/m3.

Si ritiene che possa essere ritenuto accettabile per un’esposizione continua dei suini e

superiore a 8 ore per gli addetti un livello di polverosità pari a 10 mg/m3, misurato tra

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un pasto e l’altro. Livelli superiori a tale limite-soglia possono avere ripercussioni sanita-

rie sia sugli animali che sugli operatori.

2.4.8.2 TEMPERATURA DELL’ARIA

Rappresenta uno dei fattori microclimatici più importanti ed a maggiore impatto sulle

condizioni sanitarie e di benessere degli animali. Infatti è ampiamente accertato che il

mantenimento dei suini a temperature diverse da quelle ottimali incide direttamente e

negativamente sul consumo di mangime, sull’accrescimento giornaliero, sull’indice di

conversione degli alimenti, sull’attività riproduttiva nonché sulla comparsa di patologie

dell’apparato digerente e respiratorio.

Il range di temperature consigliabile ed accettabile (zona di confort termico) varia in

rapporto alla categoria dei suinetti e, nell’ambito della stessa, in rapporto all’età degli

animali.

Categoria Temperatura consigliabile (°C)

Verri 16 - 18

Scrofe gestanti 16 - 18

Scrofe allattanti con nidiata 18 - 20

alla nascita 32 - 34

a 10-15 giorni 26 - 28 Suinetti

a 15-25 giorni 24 - 26

allo svezzamento (5-7 kg) 26 - 28 Suinetti

a 30 kg 22 - 24

Suini all’ingrasso 18 - 21

La tabella riporta valori di riferimento, tuttavia, oltre al valore in senso assoluto, è im-

portante anche come questo venga raggiunto; in sintesi, se per ottenere la temperatura

desiderata dovessimo eccedere o essere deficitari in altri parametri, il valore della tem-

peratura dovrà essere accettato con scostamenti anche importanti. Altrettanto impor-

tante è la correlazione tra pavimentazione e temperatura: sul fessurato, ad esempio, i

suini necessitano di temperature più alte di quelli alloggiati su pavimento pieno.

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È quindi molto importante valutare correttamente la temperatura degli ambienti con

l’ausilio di un termometro elettronico. In ogni locale (capannone, stalla) le misurazioni

devono essere effettuate in più punti ed almeno una al centro all’altezza dei suini ed

una per ogni lato del capannone e questo per rilevare la diversa perdita od assunzione di

calore che si ha in prossimità delle pareti per irraggiamento.

2.4.8.3 UMIDITÀ DELL’ARIA

L’umidità che si riscontra nei locali di allevamento deriva in parte da quella già presente

nell’aria esterna ed in parte dall’evaporazione dell’acqua dagli abbeveratoi, dall’acqua

di lavaggio, dalla superficie corporea dei suini.

Il livello di umidità che si ritiene accettabile è il seguente:

Categoria Umidità relativa ottimale (%)

Verri 65 - 75

Scrofe gestanti 65 - 75

Scrofe allattanti con nidiata 60 - 70

alla nascita 60 - 70

a 10-15 giorni 60 - 70 Suinetti

a 15-25 giorni 60 - 70

allo svezzamento (5-7 kg) 60 - 80 Suinetti

a 30 kg 60 - 80

Suini all’ingrasso 60 - 80 (da Chiumenti, 1991)

2.4.8.4 VELOCITÀ DELL’ARIA

La velocità dell’aria presenta una stretta correlazione con la temperatura ambientale

nel senso che quando la stagione è fredda si ritiene necessario ridurre la velocità

dell’aria mentre, nella stagione estiva, è necessario aumentarla per aumentare la di-

spersione del calore dal corpo dei suini. È stato stabilito che ad un aumento di 0,1

m/sec. corrisponde una riduzione della temperatura percepita dall’animale di circa 1°C,

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La velocità dell’aria varia in rapporto alle diverse categorie dei suini od al diverso stato

fisiologico degli stessi, nonché alle temperature ambientali (stagione).

Categoria Velocità dell’aria (m/sec)

Verri 2,0

Scrofe gestanti 0,4 - 2

Scrofe allattanti con nidiata 0,2 - 0,7

alla nascita 0,1 - 0,3

a 10-15 giorni 0,1 - 0,3 Suinetti

a 15-25 giorni 0,1 - 0,3

allo svezzamento (5-7 kg) 0,1 - 0,3 Suinetti

a 30 kg 0,1 - 0,4

Suini all’ingrasso 1,0 (da Chiumenti, 1991)

La misurazione della velocità dell’aria può essere effettuata in modo strumentale con

l’anemometro oppure, in alternativa, con il modo empirico della “cartina da sigarette”.

Tenendo un angolo della cartina tra due dita si osserva se essa viene mossa o meno

dall’aria. Se la cartina non viene mossa, si può ritenere che la velocità dell’aria sia infe-

riore a 0,2 m/sec. Se invece viene mossa, è possibile rapportare la velocità dell’aria

con l’entità dello spostamento della cartina stessa.

Gli anemometri ad uso zootecnico sono strumenti assai precisi per alte velocità

dell’aria, mentre per modiche velocità, in alcuni casi, possono far sorgere perplessità.

L’uso dell’anemometro è assai valido per quantificare l’aria che viene introdotta in un

determinato ambiente.

2.4.8.5 GAS NOCIVI

Tra i numerosi gas che si possono formare in un allevamento suino, quelli che più degli

altri possono avere ripercussioni negative sulla salute degli animali sono l’ammoniaca

(NH3), il biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2) e l’acido solfidrico o idrogeno

solforato (H2S).

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L’ammoniaca deriva essenzialmente dalla degenerazione delle sostanze organiche ed in

particolare dell’urea contenuta nei liquami.

È un gas la cui presenza si avverte già a modeste concentrazioni nell’aria (5-10 ppm) e

che, essendo più leggero dell’aria, solitamente si sviluppa dalle fosse e, passando dal

pavimento grigliato, viene inalato dagli animali e dagli operatori.

Modeste quantità di ammoniaca (2-3 ppm) sono praticamente inevitabili e si riscontrano

anche negli allevamenti in cui la ventilazione, naturale od artificiale, è buona, tuttavia

sono frequenti livelli ben superiori che portano grave danno alla salute del suino e degli

operatori.

Gli indicatori clinici di elevati livelli di ammoniaca, seppur non esclusivi, sono: rossore

delle congiuntive, lacrimazione, tosse, difformità del gruppo, starnuti.

La presenza di anidride carbonica (CO2) nell’aria è essenzialmente dovuta alla respira-

zione degli animali presenti. Infatti l’aria inspirata dal suino contiene lo 0,035% di CO2,

mentre quella espirata ne contiene il 5%.

Come già detto per l’ammoniaca, anche l’anidride carbonica si accumula in allevamento

allorché esistono deficit di ventilazione.

In condizioni normali di ventilazione si riscontrano livelli di CO2 pari a 1.000 ppm. Viene

comunque ritenuto accettabile un livello di CO2 pari a 3.000 ppm.

Gas nocivi NH3 CO2 H2S

Esposizione prolungata * 10 3.000 2,5

Breve esposizione** 25 5.000 10

Concentrazioni massime di gas nocivi negli allevamenti.

* Esposizione di circa 8 ore al dì per gli operatori (pari a 40 ore settimanali) e di 24 ore per gli animali.

** Esposizione temporanea, di breve durata.

(CRPA, 1993, citato da Barbari e coll., 1995)

La rilevazione dei gas ambientali viene fatta utilizzando strumenti che consentono di a-

vere il dato in pochi secondi e con ridotti margini di errore.

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2.4.9 IMPIANTI AUTOMATICI O MECCANICI

“13. Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il benessere dei suini

deve essere ispezionato almeno una volta al giorno. Gli eventuali difetti riscontrati devono es-

sere eliminati immediatamente; se ciò non fosse possibile, occorre prendere le misure adeguate

per salvaguardare la salute ed il benessere degli animali.

Se la salute ed il benessere degli animali dipendono da un impianto di ventilazione artificiale,

deve essere previsto un adeguato impianto di riserva per garantire un ricambio di aria suffi-

ciente a salvaguardare la salute ed il benessere degli animali. In caso di guasto all’impianto de-

ve essere previsto un sistema di allarme che segnali il guasto. Detto sistema di allarme deve es-

sere sottoposto a controlli regolari.

(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 13)

Nei moderni allevamenti suini, di norma, gli impianti automatici riguardano

l’alimentazione, il riscaldamento e la ventilazione.

Particolare riguardo deve essere dedicato alla ventilazione che può essere:

- naturale, quando il corretto ricambio dell’aria è assicurato da finestre e cupolini,

il cui controllo potrà essere o manuale o automatico.

- artificiale, se l’adeguata e completa aerazione è garantita da un sistema di ven-

tilatori.

Il blocco, anche temporaneo, di un impianto di ventilazione artificiale determina un ra-

pido accumulo dei gas ambientali che può causare la morte degli animali presenti.

Pertanto il legislatore ha previsto, in questo caso, la presenza di un impianto sostitutivo

che permetta un ricambio dell’aria sufficiente per garantire la sopravvivenza degli ani-

mali, che in caso di blocco dell’impianto principale possa essere attivato.

L’impianto di ventilazione artificiale deve essere dotato di un sistema di allarme che se-

gnali tempestivamente il guasto all’allevatore.

E’ compito dell’allevatore verificare regolarmente l’efficienza del sistema di allarme.

2.4.10 MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI

“6. Tutti i suini devono essere nutriti almeno una volta al giorno. Se i suini sono alimentati in

gruppo e non “ad libitum” o mediante un sistema automatico di alimentazione individuale, cia-

scun suino deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri suini del gruppo”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 6)

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“15. Tutti gli animali devono aver accesso ai mangimi ad intervalli adeguati alle loro necessità

fisiologiche”. (D.L.vo 146/2001, allegato, punto 15)

“17. Le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono essere concepite,

costruite ed installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di contaminazione degli ali-

menti o dell’acqua e le conseguenze negative derivanti da rivalità tra gli animali”.

(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 17)

Ogni suino deve avere la possibilità di accedere agli alimenti durante la somministrazio-

ne degli stessi. È pertanto necessario che, in caso di alimentazione razionata, venga ga-

rantito ad ogni suino presente nel gruppo un fronte mangiatoia sufficiente.

Il calcolo del fronte mangiatoia necessario per le varie categorie di peso è espresso dalla

seguente formula:

fronte mangiatoia per suino (mm) = 60 x peso vivo0,33

dalla suddetta equazione si evince, ad esempio, che

un suino di circa 10 kg di p.v. fronte mangiatoia di 13 cm.

un suino di 50 kg fronte mangiatoia di 22 cm.

un suino di 110 kg fronte mangiatoia di 28 cm.

un suino a fine ingrasso di circa 150 kg fronte mangiatoia di 40 cm.

2.5 ASPETTI GESTIONALI

2.5.1 ATTACCHI PER SCROFE E SCROFETTE

“2. È vietato costruire o convertire impianti in cui le scrofe e le scrofette sono tenute

all’attacco, nonché il relativo utilizzo”.

(D.L.vo 534/92, art. 3, comma 2 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, comma 2)

Si ricorda che in Italia tale divieto è vigente dal 1° gennaio 2001.

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2.5.2 FORMAZIONE DEI GRUPPI E CONTROLLO DELL’AGGRESSIVITÀ

“8. I suini che devono essere allevati in gruppo, che sono particolarmente aggressivi, che sono

stati attaccati da altri suini o che sono malati o feriti, possono essere temporaneamente tenuti

in recinti individuali

9. Il recinto individuale, di cui al comma 8, deve permettere all’animale di girarsi facilmente se

ciò non è in contraddizione con specifici pareri veterinari”.

(D.L.vo 534/92 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. I, punti 8 e 9)

SCROFE E SCROFETTE

“1. Vanno adottate misure per ridurre al minimo le aggressioni nei gruppi”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. B)

SUINETTI E SUINI ALL’INGRASSO

“1. Quando i suini sono tenuti in gruppo occorre prendere misure per evitare lotte che vadano

oltre il comportamento normale.

2. Essi dovrebbero essere tenuti in gruppi con il minimo di commistione possibile. Qualora si

debbano mescolare suini che non si conoscono, occorre farlo il prima possibile, di preferenza

prima dello svezzamento o entro una settimana dallo svezzamento. All’atto del rimescolamento

i suini devono disporre di spazi adeguati per allontanarsi e nascondersi dagli altri suini

3. Qualora si manifestino segni di lotta violenta, occorre immediatamente indagare le cause ed

adottare idonee misure, quali fornire agli animali abbondante paglia, se possibile, oppure altro

materiale per esplorazione. Gli animali a rischio o particolarmente aggressivi vanno separati

dal gruppo.

4. La somministrazione di tranquillanti per facilitare la commistione va limitata a condizioni

eccezionali e dietro prescrizione di un veterinario”.(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. D)

Ad ogni nuova formazione di gruppo di suini corrisponde uno stato di aggressività finaliz-

zato a stabilire la gerarchia di gruppo ed a determinare i soggetti dominanti e quelli ce-

denti.

Possiamo quindi ritenere che in questa fase l’aggressività tra i soggetti sia, per così dire,

fisiologica e necessaria, a condizione che essa non esploda in zuffe violente e che abbia

una durata limitata (1-2 giorni).

Per cercare di contenere, entro limiti di accettabilità, l’aggressività durante la forma-

zione di un nuovo gruppo è necessario:

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- il rispetto della superficie minima disponibile per ogni suino e ciò per consentire al

suino cedente di mantenere la distanza di fuga dal dominante e di rispettare l’ordine

di evitamento;

- la possibilità da parte dei soggetti deboli di nascondersi dietro barriere visive (na-

scondini), sfuggendo così al campo visivo dei soggetti aggressori e ponendo fine a

possibili conflitti;

- la formazione dei gruppi avvenga nelle ore del tramonto, allorché sopravviene il buio

della sera e della notte ed i suini trascorrono le prime ore di contatto senza conflitti;

- mantenere quanto più possibile stabile il gruppo nel tempo ed evitare frequenti ri-

mescolamenti, se non strettamente necessari, al fine di evitare nuovi confronti per

ristabilire gerarchie di gruppo;

- lo spostamento dei suini finalizzato alla formazione di nuovi gruppi deve essere fatto

in modo pacato e tranquillo, senza urla e, peggio ancora, senza l’utilizzo di pungoli

elettrici e deve consentire al suino di non vedere davanti a sé ombre o raggi di luce

eccessive.

Qualora, nonostante le suddette misure, lo stato di aggressività nel gruppo si protragga

per tempi lunghi, appare necessario rimuovere dal gruppo i soggetti più aggressivi e col-

locare i suini aggrediti e feriti in box appositamente dedicati.

2.5.3 TIPO DI ALIMENTAZIONE

“6. Tutti i suini devono essere nutriti almeno una volta al giorno. Se i suini sono alimentati in

gruppo e non “ad libitum” o mediante un sistema automatico di alimentazione individuale, cia-

scun suino deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri suini del gruppo”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 6)

“6. Le scrofe e le scrofette allevate in gruppo devono essere alimentate utilizzando un sistema

atto a garantire che ciascun animale ottenga mangime a sufficienza senza essere aggredito, an-

che in situazione di competitività

7. Per calmare la fame e tenuto conto del bisogno di masticare tutte le scrofe e scrofette a-

sciutte gravide devono ricevere mangime riempitivo o ricco di fibre in quantità sufficiente, così

come alimenti ad alto tenore energetico”.

(D.L.vo 534/92, art. 3, così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, commi 6 e 7)

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“14. Agli animali deve essere fornita un’alimentazione sana adatta alla loro età e specie ed in

quantità sufficiente a mantenerli in buona salute ed a soddisfare le loro esigenze nutrizionali.

(...”).

(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 14)

Lo stretto regime di restrizione alimentare a cui sono sottoposte le scrofe e scrofette in

gestazione, al fine di evitare un eccessivo ingrassamento prima del parto, determina un

“senso di fame” che, se non viene soddisfatto sul piano della qualità degli alimenti

somministrati, può costituire un fattore scatenante l’aggressività nel gruppo, peraltro in

una fase assai delicata quale può essere il 1°mese di gravidanza.

Per questa ragione è prescritto che il mangime somministrato sia affiancato da un ali-

mento ricco di fibra che, con la sua capacità riempitiva dell’apparato gastro-enterico,

può calmare la fame e rendere gli animali più tranquilli.

L’integrazione con alimento ricco di fibra della dieta delle scrofe riveste un ruolo deci-

samente importante nell’allevamento delle scrofe e delle scrofette in box multiplo, poi-

ché soltanto la corretta gestione degli spazi e dell’alimentazione consente una quieta

convivenza tra gli animali.

La scelta di fornire alle scrofe e scrofette, mediante appositi dispositivi (dispenser) fo-

raggio, quale erba medica, fieno, ecc. consente di soddisfare due necessità quella di

fornire l’alimento ricco di fibra e l’altra di mettere a disposizione materiale manipolabi-

le.

2.5.4 ARRICCHIMENTO AMBIENTALE

“4. (...)i suini devono avere accesso permanente ad una quantità sufficiente di materiali che

consentano loro adeguate attività di esplorazione e manipolazione quali, ad esempio, paglia,

fieno, legno, segatura, composti di funghi, torba od un miscuglio di questi, salvo che il loro uso

possa comprometterne la salute o il benessere”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 4)

“5. (...) le scrofe e le scrofette devono avere accesso permanente al materiale manipolabile che

soddisfi almeno i pertinenti requisiti elencati in detto allegato”.

(D.L.vo 534/92, art. 1 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, comma 5)

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Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:

- a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale

uso per la prima volta dopo tale data,

- a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.

La nota del Ministero della Salute citata nei riferimenti normativi precisa tra l’altro che

“(...) Molta attenzione deve essere posta nella scelta del materiale manipolabile . In-

nanzitutto dovrà essere presa in considerazione la mancanza di tossicità dei prodotti u-

tilizzati, ma per molte Aziende attualmente presenti sul territorio nazionale, di vec-

chia costruzione, nella scelta del materiale manipolabile, dovrà essere tenuto presente

anche il rischio che questo, se non idoneo, possa compromettere la funzionalità delle

strutture (per esempio l’intasamento del grigliato) e di conseguenza sia di nocumento

per la salute ed il benessere degli animali; in tali casi può essere consentito il ricorso a

materiali più grossolani o l’uso di materiali di arricchimento ambientale di altra natu-

ra. (...)”

L’introduzione di elementi di dissuasione ambientale (arricchimenti ambientali) per la

riduzione degli atteggiamenti di eccessivo interesse ai compagni e aggressività in genere

è universalmente riconosciuta assai utile.

E’ possibile consigliare l’immissione nei box di catene (al centro), ceppi di legno morbi-

do non resinoso, flaconi di materiali non nocivi esauriti, materiale fibroso (paglia, erba

medica, ecc.) tramite grandi ceste metalliche a maglia stretta appese ai muretti dei

box, ecc.

A fronte di un modico consumo, gli animali ripagano con una maggiore produttività.

L’approccio a questi materiali dovrebbe suscitare osservazioni positive negli allevatori

più scettici, che comprenderanno ben presto la necessità di adeguarsi alla normativa.

La pratica ancora oggi adottata da alcuni allevatori di mettere a disposizione dei suini

materiali con cui essi possano espletare quella parte di repertorio comportamentale che

consiste nel grufolare, scavare ed esplorare, trova nella pratica scarse motivazioni al fi-

ne di contenere episodi di cannibalismo tra i gruppi una volta che questi sono comparsi.

Per questa ragione l’arricchimento ambientale non può essere ritenuto l’unico strumen-

to per risolvere uno stato di aggressività nei gruppi, ma è da considerare propedeutico

alla attenta valutazione di tutte le cause possibili.

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2.5.5 SVEZZAMENTO

“3. Nessun lattonzolo deve essere staccato dalla scrofa prima che abbia raggiunto un’età di 28

giorni, a meno che la permanenza presso la madre influenzi negativamente il benessere o la sa-

lute del lattonzolo o di quest’ultima

4. I lattonzoli possono tuttavia essere svezzati fino a sette giorni prima di tale età qualora sia-

no trasferiti in impianti specializzati. Tali impianti devono essere svuotati ed accuratamente

puliti e disinfettati prima dell’introduzione di un nuovo gruppo e che siano separati dagli im-

pianti in cui sono tenute le scrofe, in modo da ridurre al minimo i rischi di trasmissione di ma-

lattie ai piccoli”.

(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. C)

Lo svezzamento rappresenta una delle fasi più delicate e complesse dell’allevamento del

suino: il lattonzolo viene allontanato dalla madre, con cui ha convissuto strettamente

dalla nascita per essere alloggiato in un locale diverso; viene messo assieme ad altri sui-

ni di nidiate diverse e viene alimentato con alimenti solidi diversi dal latte materno.

Per queste ragioni lo svezzamento, anche se fatto con la massima correttezza, deve

sempre essere ritenuto un momento stressante per il suinetto e per questo motivo è sta-

ta prevista un’età minima di svezzamento di 28 giorni, che può essere ridotta a 21 gior-

ni, quando i suinetti sono collocati in “impianti specializzati” di svezzamento, ben sepa-

rati dalle sale parto ed adeguatamente lavati e disinfettati prima dell’immissione dei

suinetti.

Appare necessario sottolineare alcuni aspetti:

a. è vietato svezzare i lattonzoli ad una età inferiore ai 28 giorni;

b. è possibile attuare lo svezzamento in età più precoce nei seguenti casi:

- la permanenza della covata presso la madre compromette il benessere o la

salute dei lattonzoli o/e della scrofa; questo comportamento deve essere

debitamente certificato dal medico veterinario aziendale;

- i lattonzoli di età non inferiore ai 21 giorni sono trasferiti in impianti spe-

cializzati (allevamenti c.d. “multisede”) o locali separati dalle sale parto e

dalle gestanti applicano la tecnica del “tutto pieno - tutto vuoto

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c. in caso di sale parto-svezzamento, nelle quali il suinetto viene svezzato dopo il

solo allontanamento della scrofa, lo svezzamento non può essere effettuato prima

dei 28 giorni;

Appare ovvio, che sulla base di situazioni contingenti (variazioni produttive stagionali,

patologie intercorrenti, ecc.) che hanno reso obbligatorio un aumento delle fecondazioni

per non compromettere la produttività dell’azienda, si valutino con senso critico even-

tuali svezzamenti precoci correlati ad un imprevisto incremento dei parti. D’altro canto,

con altrettanto senso critico deve essere giudicata l’impossibilità di raggiungere il nume-

ro di giorni di lattazione in condizioni di palese squilibrio tra animali e strutture per il

parto.

2.5.6 PERSONALE

“1. Gli animali sono accuditi da un numero sufficiente di addetti aventi adeguate capacità, co-

noscenze e competenze professionali”.

D.L.vo 146/2001, allegato, punto 1)

“1. Qualsiasi persona che assuma, o comunque impieghi, personale addetto ai suini deve garan-

tire che gli addetti agli animali abbiano ricevuto istruzioni sulle pertinenti disposizioni di cui

all’art. 3 e all’allegato.

2. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano organizzano corsi di formazione per gli

addetti del settore relativi, in particolare al benessere degli animali, facendovi fronte con le

risorse già stanziate nei propri bilanci”.

(D.L.vo 534/92 integrato da D.L.vo 53/2004, art. 5 bis)

Il personale addetto alla gestione ed al controllo degli animali gioca un ruolo fondamen-

tale nel garantire un corretto management aziendale.

Molto opportunamente il legislatore ha imposto che il personale:

- sia in numero adeguato;

- abbia adeguate capacità, conoscenze e competenze professionali;

- sia stato adeguatamente informato e formato prima del suo utilizzo in allevamento

sui requisiti minimi necessari per garantire il benessere dei suini.

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Il proprietario/detentore dell’allevamento fornisce al personale addetto alla gestione ed

al controllo degli animali una adeguata formazione.

La valutazione del comportamento del personale sarà effettuata durante l’espletamento

della normale vigilanza veterinaria od in occasione di specifici interventi in allevamento

da parte del Veterinario Ufficiale (mod. 4, prelievi per PNR, ecc.).

In queste occasioni gli addetti saranno valutati in particolare osservando se:

- le modalità od approccio agli animali sono corrette,

- l’atteggiamento è sereno o minaccioso,

- il comportamento è calmo oppure nervoso e violento,

- è ricorrente l’uso di modi e toni pacati

- gli animali sono aggrediti con urla, grida, colpi, calci o pungoli elettrici,

- trovano nel lavoro a contatto con gli animali soddisfacimento e gratificazione

- vivono momenti di insoddisfazione o di frustrazione dovuti al loro lavoro

2.6 ASPETTI IGIENICI E SANITARI

2.6.1 IGIENE DEGLI AMBIENTI E DELLE ATTREZZATURE

“8. I materiali che devono essere utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione e, in

particolare, dei recinti e delle attrezzature con i quali gli animali possono venire a contatto

non devono essere nocivi per gli animali e devono poter essere accuratamente puliti e disinfet-

tati”.

(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 8)

Un’accurata gestione igienica degli ambienti e delle attrezzature costituisce una condi-

zione necessaria per la riduzione del polimicrobismo ambientale ed il mantenimento dei

suini allevati nelle migliori condizioni sanitarie.

Per perseguire e conseguire detti obiettivi sanitari ogni allevatore deve gestire i locali

del suo allevamento applicando con rigore e con costanza alcuni principi igienici, ormai

consolidati da anni nell’allevamento intensivo dei suini:

- ogni locale deve essere, alla fine di ogni ciclo, svuotato dagli animali e riempito se-

condo il principio del “tutto pieno - tutto vuoto”;

- dopo che il locale è stato completamente vuotato, esso deve essere accuratamente

pulito, lavato e disinfettato;

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- ogni locale dovrebbe, tra un ciclo e l’altro e dopo la disinfezione, essere mantenuto

vuoto per almeno 7-10 giorni (riposo biologico).

“2. Le scrofe e le scrofette devono, se necessario, essere sottoposte a trattamento contro i pa-

rassiti interni od esterni. Esse devono, se sono sistemate negli stalli da parto, essere pulite”.

(D.L.vo 534/92, allegato, cap. II, paragrafo B, punto 2)

Il legislatore prescrive il lavaggio delle scrofe prima del parto, questa pratica ha un sicu-

ro effetto benefico sulla nidiata.

Il trattamento antiparassitario è certamente eseguito senza indugio nel caso in cui la pa-

rassitosi sia apprezzabile.

Questo non appaia superfluo, in quanto, specie in epoche ove il settore suinicolo versi in

condizioni economiche critiche, il trattamento antiparassitario viene procrastinato nel

tempo a causa degli elevati costi.

2.6.2 INTERVENTI VETERINARI

“ 8. Sono vietate tutte le operazioni effettuate per scopi diversi da quelli terapeutici o diagno-

stici o per l’identificazione dei suini e che possono provocare un danno o la perdita di una parte

sensibile del corpo o una alterazione della struttura ossea, ad eccezione:

a) di una riduzione uniforme degli incisivi dei lattonzoli mediante levigatura o della

troncatura, entro i primi sette giorni di vita, che lasci una superficie liscia intatta (…

omissis ..);

b) del mozzamento della coda;

c) della castrazione di suini di sesso maschile con mezzi diversi dalla lacerazione dei

tessuti;

d) (… omissis ..);

9. Né il mozzamento della coda né la riduzione degli incisivi dei lattonzoli devono costituire o-

perazioni di routine, ma devono essere praticati soltanto ove sia comprovata la presenza di fe-

rite ai capezzoli delle scrofe o agli orecchi o alle code di altri suini. Prima di effettuare tali o-

perazioni di devono adottare misure intese ad evitare le morsicature delle code e altri compor-

tamenti anormali tenendo conto delle condizioni ambientali e della densità degli animali. E’

pertanto necessario modificare condizioni ambientali o sistemi di gestione inadeguati.”

(D.L.vo 53/04, cap. I, punto 8, 9)

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Il mozzamento della coda e la riduzione degli incisivi possono essere eseguiti soltanto

qualora il medico veterinario aziendale ne certifichi la necessità, quando a seguito di in-

terventi mirati a modificare le condizioni ambientali e la densità degli animali, la pre-

senza di ferite agli animali permangono.

La riduzione, tramite la troncatura o, meglio, la levigatura degli incisivi, rispetta il be-

nessere del suinetto, e annulla la possibilità di pericolosissime infezioni in situ, mante-

nendo l’efficacia clinica dell’intervento

E’ vietata la riduzione degli incisivi attuata mediante la completa frantumazione del

dente.

“ 10. Tutte le operazioni sopra descritte devono essere praticate da un veterinario o da altra

persona formata ai sensi dell’articolo 5-bis che disponga di esperienza nell’eseguire le tecniche

applicate con mezzi idonei e in condizioni igieniche.

Qualora la castrazione o il mozzamento della cosa siano praticate oltre il settimo giorno di vita,

essi devono essere effettuate unicamente da parte di un veterinario sotto anestesia e con som-

ministrazione prolungata di analgesici.”

(D.L.vo 53/04, cap. II, punto 10)

La castrazione dei suini eseguita nei primi giorni di vita riduce la possibilità di infezioni e

quindi le mortalità ad essa correlate.

Effettuata in giovanissima età (entro 48 ore dalla nascita) consente una retrazione mec-

canica dei vasi lacerati con una più completa emostasi rispetto al taglio netto.

Tuttavia, è certo che la castrazione del suino con la tecnica della lacerazione eseguita

tardivamente causa un più intenso dolore.

In una ricerca effettuata da Candotti P. e coll. è stato dimostrato che le curve di cresci-

ta dei suinetti castrati a 3 giorni o a 8 giorni erano tra loro identiche, ma erano sovrap-

ponibili anche a quelle delle femmine che con questi coabitavano; da questo si desunse

una sostanziale indifferenza dei suinetti maschi all’atto chirurgico se effettuato preco-

cemente.

Si ricorda che, gli atti chirurgici, quali la castrazione o il mozzamento della coda esegui-

ti dopo il settimo giorno di vita dei suini, sono di esclusiva competenza veterinaria.

Se tali interventi sono effettuati da soggetti diversi da medici veterinari si configura il reato

di esercizio abusivo di una professione sanitaria.

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2.7 SANZIONI

Il D.Lgs. 534/1992 e succ. mod. e intergr. prevede la possibilità, qualora non si configuri

un reato, di elevare, a coloro che violano il disposto degli:

- articolo 3, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9; - articolo 4

una sanzione amministrativa con pagamento di una somma da Euro 1.550,00 a Euro

9.296,00.

2.8 PARAMETRI PRODUTTIVI E RIPRODUTTIVI

Una valutazione del benessere dei suini non può essere disgiunta da un’analisi dei dati,

quando disponibili, relativi ai parametri produttivi e riproduttivi.

Ormai quasi tutti gli allevamenti intensivi di suini hanno una gestione informatizzata di

tutti gli eventi che attengono la produzione e la riproduzione; occorre però rilevare che

l’azienda non ha l’obbligo di fornire al veterinario ufficiale i suddetti dati, anche se va

detto che generalmente gli allevatori sono ben disponibili a far conoscere le performan-

ce produttive e riproduttive dei loro animali.

Le schede sotto riportate possono essere utilizzate per valutare i dati produttivi e ripro-

duttivi dell’allevamento.

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SCHEDA DI VALUTAZIONE PER SUINI ALL’INGRASSO

Parametro Range

Accrescimento medio giornaliero da 30 a 160 kg. 650 - 700 g.

Indice di conversione da 30 a 160 kg. 3,51 - 3,75 kg.

Resa mangime da 30 a 160 kg. 26,6 - 28,5%

Numero di cicli animali in tutto pieno/tutto vuoto 1,8

Percentuale di mortalità 3,1 - 3,5%

Percentuale di scarti 3 - 4%

Numero di pareggiamenti nel corso dell’ingrasso 3

Variabilità nel peso finale (% oltre i limiti tollerati) 7,1 - 9%

SCHEDA DI VALUTAZIONE PER LA SALA PARTO

Parametro Range

Percentuale di scrofe grasse al parto 4 - 5%

Percentuale di parti con durata di 4 ore o più 4 - 5%

Percentuale di parti che necessitano di interventi manuali 4 - 5%

N° medio di iniezioni di ossitocina per scrofa 1,1 - 1,5

N° medio nati vivi per parto: scrofette scrofe

10 - 10,9 11 - 11,9

Percentuale di figliate con nati vivi e morti uguale o inferiore a 8 suinetti

11 - 13%

N° nati morti per parto: scrofette scrofe

0,5 - 0,6% 0,6 - 0,7%

Peso medio del suinetto alla nascita 1.300 - 1.400 g.

Percentuale di morti durante la lattazione 5,1 - 7%

Percentuale di morti schiacciati nei primi 3 giorni rispetto ai morti totali in lattazione

21 - 30%

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Parte Speciale Il benessere dei conigli

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI CONIGLI

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3 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL CONIGLIO

3.1 PREMESSA

Attualmente l’allevamento del coniglio non è sottoposto ad alcun vincolo normativo, fat-

to salvo i criteri di carattere generale relativi alla protezione degli animali negli alleva-

menti, previsti ai sensi del decreto legislativo n. 146/2001.

Tuttavia, poiché nel breve-medio periodo, anche la coniglicoltura sarà, con ogni proba-

bilità regolamentata (come già verificatosi per altre specie animali) si è ritenuto oppor-

tuno fornire alcune informazioni inerenti:

- l’attuale “stato dell’arte” della coniglicoltura lombarda;

- alcuni risultati di carattere scientifico anche se non sempre concordanti tra loro;

- alcuni orientamenti comunitari in merito ad una ipotetica disciplina della materia.

Queste informazioni che, in quanto tali, non hanno carattere prescrittivo (ad eccezio-

ne dei dettami di legge riportati in grigio nel testo) intendono costituire uno strumento

di riflessione per tutti gli operatori del settore, soprattutto nel caso in cui questi inten-

dano effettuare investimenti in coniglicoltura.

Sarebbe infatti di una gravità assoluta che gli eventuali investimenti effettuati si rivelas-

sero obsoleti nel giro di pochi anni con gravi danni per chi li ha effettuati.

Queste linee guida intendono quindi, oltre a mantenere alta l’attenzione degli operatori

del settore verso problematiche di attualità e fornire spunti di riflessione, costituire un

utile strumento di lavoro.

Starà al lettore ricercare poi tutti gli approfondimenti in merito che riterrà opportuno.

Infine si ritiene doveroso ringraziare, oltre a tutti i componenti il gruppo di lavoro, le as-

sociazioni di categoria dei coniglicoltori che hanno fattivamente contribuito e collabora-

to alla presente stesura.

3.2 RIFERIMENTI NORMATIVI

- D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 146, relativo alla protezione degli animali negli alleva-

menti

- Legge 20 luglio 2004, n. 189, disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento

degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competi-

zioni non autorizzate

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In Europa l’allevamento del coniglio, pur avendo uno sviluppo più limitato rispetto agli

allevamenti di altre specie animali rappresenta un fattore economico di non secondaria

importanza.

Più del 76% della totale produzione europea è concentrata nei paesi mediterranei (Italia,

Spagna e Francia), dove tradizionalmente anche l’allevamento a carattere familiare è

particolarmente diffuso.

Sempre in ambito comunitario il benessere di questi animali risulta oggetto di attenzio-

ne, con particolare riguardo ai sistemi di allevamento (in gabbia o in strutture alternati-

ve), quantità di spazio a disposizione e caratteristiche dello spazio stesso.

Al riguardo, la Commissione europea ha incaricato la EFSA di stilare un documento scien-

tifico indipendente riassuntivo di tutti gli ultimi dati scientifici disponibili sul benessere

del coniglio allevato.

Secondo tale Commissione i conigli allevati sarebbero geneticamente vicini ai conigli uti-

lizzati in laboratorio ed ai conigli selvatici. Ne conseguirebbe che le loro esigenze fisio-

logiche e comportamentali, nonché i fattori di benessere e la predisposizione alle pato-

logie sarebbero del tutto sovrapponibili.

Nell’ambito di tale Commissione tecnica sono emersi in tutta la loro evidenza le diver-

genze tra nord Europa dove tale allevamento sostanzialmente privo di significato ed i

conigli sono considerati animali da compagnia e l’Europa del sud, che considera i conigli

una fonte alimentare proteica e dove tale allevamento è sostanzialmente concentrato.

In tal senso si dovrà presumibilmente prevedere la mediazione delle varie posizioni al fi-

ne di poter soddisfate le cosiddette “cinque liberta” enunciate dal Farm Animal Welfare

Concil nel 1991 (secondo le quali gli animali devono essere protetti e quindi liberi:

1) dalla fame e dalla sete;

2) da una stabulazione inadeguata e dalle intemperie;

3) dalle malattie e dalle ferite;

4) dalla paura e dall’ansia

5) di esprimere il repertorio comportamentale tipico della specie.

In ogni caso, al tradizionale allevamento intensivo si sta affiancando in modo progressi-

vamente crescente la volontà di ricercare e sperimentare sistemi innovativi volti a mi-

gliorare la qualità di vita dei soggetti allevati e la sicurezza alimentare del consumatore.

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3.3 EFFETTO DELLA MANIPOLAZIONE DA PARTE DELL’UOMO

La manipolazione dei conigli da parte dell’uomo può condizionare il benessere degli a-

nimali dalla nascita fino al momento dell’avvio al macello. La manipolazione deve essere

condotta evitando ogni inutile stress e la trasmissione di patologie.

Sebbene siano state condotte poche ricerche nel settore, alcuni studi hanno dimostrato

che il comportamento del coniglio ed il suo benessere possono essere positivamente

condizionati da manipolazioni eseguite da persone familiari.

Il coniglio abituato fin da piccolo ad essere manipolato, mostra da adulto una ridotta

paura nei confronti dell’uomo. (Pongracz e Altbacker, 2003; Marai e Rashawn, 2004).

Metz (1983) ha mostrato che la manipolazione dei piccoli dalla nascita fino all’età di tre

settimane riduce la paura ed aumenta il comportamento esplorativo.

D’altro canto, procedure di manipolazione non corrette da parte degli operatori possono

avere effetti negativi sull’animale causando lesioni alla colonna o cadute, ed anche, vi-

sti gli arti posteriori del coniglio molto forti e provvisti di unghie robuste, provocare pro-

fondi graffi e lesioni agli stessi operatori.

La corretta manipolazione dei conigli prevede che si debbano sollevare prendendo la

pelle della parte posteriore del collo con una mano e sostenendo con l’altra il peso del

corpo nell’area addominale. I conigli devono essere maneggiati in modo tale da farli sen-

tire protetti e sicuri. La manipolazione deve essere svolta in silenzio ed in modo tran-

quillo ma deciso evitando inutili lotte che potrebbero causare lesioni agli animali.

Secondo l’AWI (Animal Welfare Institute) è importante ricordare i seguenti punti:

� durante le operazioni di manipolazione e cattura evitare rumori e movimenti im-

provvisi;

� i conigli non devono mai essere sollevati o trattenuto dalle orecchie;

� i tempi di cattura devono essere ridotti al minimo indispensabile.

3.4 CENNI DI BIOLOGIA E COMPORTAMENTO DEL CONIGLIO

Il coniglio domestico mostra molti comportamenti tipici del coniglio selvatico come

l’accoppiamento post partum, il comportamento materno, la costruzione del nido, le re-

azioni neonatali e l’organizzazione sociale.

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Le femmine costruiscono il nido dove partoriscono piccoli immaturi; sia in natura che in

allevamento la femmina allatta i piccoli pochi minuti al giorno.

Percezione dell’ambiente e organi di senso

Il coniglio possiede circa 100 milioni di cellule olfattive (l’uomo ne possiede circa 30 mi-

lioni) ed il loro olfatto è molto importante specialmente nella vita sociale e sessuale. In-

fatti molti segnali sono trasmessi mediante la produzione di feromoni. I feromoni secreti

dalle ghiandole anali durante la defecazione e quando l’animale si siede, consentono il

riconoscimento dei membri del gruppo e fungono da segnale per eventuali individui e-

stranei. Le feci sono depositate in punti specifici all’interno del territorio e sui confini.

Le secrezioni delle ghiandole mandibolari fungono da marcatori territoriali per l’ingresso

delle tane ed il confine del territorio (Myers e Poole, 1963) e da marcatori sociali per il

dorso delle femmine e dei piccoli (Bell, 1980). Lo sviluppo di queste ghiandole e la loro

attività variano in funzione dello stato di dominanza e del sesso del soggetto. Le fattrici

rilasciano un feromone mammario che stimola i piccoli a succhiare il latte (Hudsno e Di-

stel, 1983) mentre l’odore dei piccoli stimola la madre ad avvicinarsi al nido (Baumann

et al., 2005).

Le grandi orecchie che si possono muovere in modo indipendente consentono la rileva-

zione di fonti sonore senza muovere la testa.

Il battere ripetutamente il terreno con una zampa posteriore è segno di allarme per gli

altri componenti del gruppo.

La vista è buona anche se a distanza ravvicinata il cristallino ha una ridotta capacità di

accomodamento. Il tatto è molto importante poiché le vibrisse poste sul muso aiutano il

coniglio ad orientarsi nel buio della tana.

Cenni di etologia

Il coniglio si alimenta prevalentemente all’alba ed al tramonto e ad intervalli durante la

notte per evitare i predatori, specialmente quelli provenienti dal cielo. I loro incisivi

crescono di circa 1-2 mm alla settimana e se non vengono consumati regolarmente si

possono sviluppare gravi problemi. A seconda della qualità del cibo, un coniglio può con-

sumare circa 5-10% (di sostanza secca) del suo peso corporeo al giorno. L’enzima cellula-

si, prodotto dai batteri presenti nel cieco molto sviluppato, aiuta la conversione della

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cellulosa in glucosio e produce feci morbide (ciecotrofo) che , essendo ricche di batteri,

rappresentano una fonte di aminoacidi essenziali e di vitamine del complesso B e vita-

mina K. La ciecotrofia è un comportamento tipico del coniglio che consiste nella inge-

stione del ciecotrofo prelevato direttamente dall’ano; tale comportamento necessita

l’adozione di una particolare posizione.

In natura i conigli assumono la quota di acqua necessaria con l’erba fresca ma in cattivi-

tà è necessario somministrare acqua fresca per l’abbeverata.

Saltare è una tipica azione locomotoria dei conigli; un coniglio di medie dimensioni può

compiere balzi di 70 cm., correre fino a 30 Km/h e saltare fino ad 1 metro di altezza.

A seconda del grado di rilassamento il coniglio può riposare in posizione accucciata

(sdraiato allerta), con le zampe posteriori allungate lateralmente o posteriormente op-

pure in decubito laterale con le zampe estese. I conigli riposano per 12-18 ore al giorno

ad intervalli di tempo regolari (Kraft, 1979).

Per il grooming i conigli usano i denti, la lingua e le zampe. Si leccano il mantello con

movimenti della testa, si lavano il muso e le orecchie leccandosi le zampette anteriori.

A causa dell’alta pressione predatoria, il coniglio è un animale che sta sempre allerta ed

interrompe regolarmente l’attività per verificare l’ambiente, sedendosi od alzandosi sul-

le zampe posteriori con le orecchie tese in alto in direzione di eventuali stimoli.

Comportamento sociale

Gli adulti vivono in gruppi sociali stabili composti da 2-10 individui adulti ed un numero

variabile di piccoli sotto i tre mesi con una gerarchia lineare che si stabilisce tra le

femmine (Vastrade, 1984, 1986). In generale maschi e femmine adulti sono tolleranti nei

confronti dei soggetti giovani, ma a seconda della densità della popolazione, le femmine

possono diventare aggressive nei confronti dei giovani soprattutto verso la fine del pe-

riodo riproduttivo.

I conigli selvatici nel loro ambiente naturale e conigli domestici allevati in recinti allo

stato semi-naturale, vivono in gruppi familiari stabili di tipo matriarcale composti da 2-9

fattrici, 1-3 maschi adulti, i loro piccoli ed eventualmente, qualche giovane maschio

(Stodart e Myers, 1964; Bell, 1984; Lehmann, 1991). In caso di abbondanti fonti trofiche,

gruppi di conigli selvatici possono unirsi in vaste colonie di centinaia di animali occupan-

do un territorio di molti ettari (Myers e Poole, 1963). Sia i maschi che le femmine mo-

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strano una dominanza gerarchica lineare. All’interno dello stesso gruppo, i soggetti do-

minanti hanno un maggior successo riproduttivo rispetto ai soggetti subordinati dello

stesso sesso (Van Der Horst et al., 1999).

Una volta stabilita la gerarchia, essa rimane stabile per molti mesi ed è mantenuta da

comportamenti di minaccia e sottomissione.

In condizioni naturali il periodo riproduttivo coincide con il clima più favorevole che of-

fre anche una maggiore fonte di cibo. La femmina dopo aver partorito e pulito accura-

tamente la nidiata, copre i piccoli e chiude l’accesso alla tana e lascia i piccoli per tor-

nare nel gruppo. Questa strategia, utilizzata sia in natura che in cattività, protegge dai

predatori e da altri pericoli come improvvisi sbalzi di temperatura (Verga et al.,

1978).La fattrice allatta solo tre minuti al giorno e ciò è sufficiente ai piccoli per cresce-

re (Hudson et al., 1996).

Il comportamento dei piccoli e le loro interazioni con la femmina possono basarsi su di

un processo tipo imprinting in cui i feromoni della madre attraggono i piccoli (Verga,

2000). Nelle femmine allevate in gruppo non è stata evidenziata la capacità di ricono-

scere la propria nidiata e viceversa. Quando i piccoli lasciano il nido all’età di 12-15

giorni tenteranno di succhiare da altre femmine e le femmine regolarmente allattano

piccoli che non sono i loro (Stauffacher, 1988).Dal punto di vista evolutivo, non vi è ra-

gione per la femmina di sviluppare strategie per riconoscere la propria nidiata dal mo-

mento che viene partorita nella tana. In uno studio condotto da Verga et al. (1978) sono

state raccolte le osservazioni di alcuni allevatori rispetto al comportamento sessuale e

materno delle fattrici. I risultati indicano che bisogna porre particolare attenzione a

queste fasi di allevamento. A volte comportamenti materni anomali come la mancata

costruzione del nido, il parto fuori dal nido od il cannibalismo possono essere dovuti a

variabili ambientali come l’igiene, spazio disponibile, rapporto uomo-animale, tempera-

tura, umidità, luce, tranquillità, presenza di persone estranee nell’ambiente.

3.5 ALCUNI PROBLEMI DI WELFARE

3.5.1 REPERTORIO COMPORTAMENTALE

Secondo Mac Farland (1981) il coniglio ha un proprio repertorio comportamentale divisi-

bile in categorie:

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- l’alimentazione e il mantenimento, ad esempio il riposo attività prevalentemente

crepuscolare e notturna, che occupa la maggior parte delle 24 ore (dal 56% al 65% se-

condo Verga e Ferrante, 2002) con picco nella parte centrale della giornata.

- l’attività di “comfort”, come lo stiramento (il cosiddetto grooming degli autori anglo-

sassoni),

- le attività sociali, come attività agonistiche e sessuali,

- le attività esplorative, quali il fiutare ed il marcare l’ambiente,

- la locomozione.

3.5.2 STEREOTIPIE

Il problema della presenza o meno di stereotipie nella specie cunicola (grattare la gab-

bia, mordere, giocare con l’abbeveratoio) non è stato ancora ben chiarito.

Secondo alcuni autori queste manifestazioni non hanno il carattere di ripetitività e as-

senza di scopo apparente proprie delle stereotipie.

Risulterebbero quindi attività normali svolte in un ambiente “anomalo”.

Stauffacher (1992) ha evidenziato i fattori di welfare dei conigli allevati.

Tra i fattori sfavorenti, l’autore indica:

- la libertà di movimento (se molto limitata porta a modificazioni dell’apparato sche-

letrico e locomotorio),

- l’ipereccitabilità (alterazione di comportamenti alimentari e di comfort, evidente

stato di allerta ed isolamento dagli altri soggetti, alternati a locomozione),

- le alterazioni comportamentali legate alla preparazione del nido (portano a riduzio-

ne della fertilità, perdite nella nidiata),

- le alterazioni del comportamento materno (portano a cannibalismo e perdite nella

nidiata)

Tra i fattori favorenti il welfare, l’autore indica:

- superficie e altezza della gabbia adeguate al numero di soggetti detenuti,

- libertà di movimento, possibilità di eseguire sequenze di movimenti, negli animali in

gruppo possibilità di inseguimenti, salti, balzi,

- possibilità di manifestare il proprio repertorio comportamentale,

- partner sociali con cui interagire,

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- spazio “arredato” mediante strutture, quali ripiani e tunnel che consentano agli a-

nimali di fuggire eventuali aggressioni e rendano cioè meno “noioso” l’ambiente di

detenzione,

- ripiani e comparti separati hanno anche una funzione per il riposo e per l’esercizio

funzionale

- possibilità di alzarsi in posizione eretta con le orecchie diritte, sdraiarsi, e girarsi li-

beramente,

- arricchimento ambientale oggetti su cui esercitare attività (oltre al cibo, disponibili-

tà di fieno, paglia, erba ma anche oggetti da rosicchiare (bastoncini),

- disponibilità del nido per le femmine.

3.5.3 INDICATORI DI BENESSERE (Marina Verga, 2000)

Anche nel coniglio si possono utilizzare indicatori di benessere, quali:

- etologici, basati sia sulla valutazione dell’etogramma sia su test specifici comporta-

mentali, quali open field, e test di immobilità tonica che indicano particolari reatti-

vità indotte negli animali da situazioni stressanti,

- fisiologici (aumento del livello di corticosterone plasmatico in animali stressati, so-

prattutto a causa dell’eccessiva densità),

- patologici (tipo e quantità di farmaci utilizzati),

- produttivi (accrescimenti ponderali, fertilità, numero dei nati e degli svezzati, quota

di rimonta, mortalità al di sotto del 10% nel periodo di ingrasso).

Test comportamentali

Sono indicatori della risposta di “timore” (il coniglio è un animale “preda”, spesso sog-

getto a reazioni di evitamento, cioè di paura nei confronti di stimoli nuovi e della pre-

senza dell'uomo).

Open field (campo aperto) : utilizzato anche su altre specie di animali domestici quali

bovini e polli, permette di valutare la reattività su base emozionale ad un ambiente sco-

nosciuto; si basa su parametri quali:

- il tempo di latenza al movimento

- il comportamento di esplorazione

- i tentativi di fuga

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- il tempo di immobilità

- l’attività locomotoria

Test di immobilità tonica: è uno stato di immobilizzazione transitoria (ottenuta tramite

contenimento fisico) che mima la risposta indotta dalla presenza di un predatore.

La durata dell'immobilizzazione aumenta in seguito a sensibilizzazione e diminuisce in

seguito ad abitudine.

Da notare che l'aumento del tempo di immobilizzazione si correla positivamente con

aumento dei livelli di corticosterone ( indicatore di situazione dei stress).

3.6 REQUISITI STRUTTURALI

3.6.1 FABBRICATI E LOCALI DI STABULAZIONE

Ai sensi dei punti 8 e 12 dell’allegato del D.Lgs. 146/ 2001:

“8. I materiali che devono essere utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione,

in particolare dei recinti e delle attrezzature con cui gli animali possono venire a con-

tatto, non devono essere nocivi per gli animali e devono poter essere accuratamente

puliti e disinfettati”.

“12. Agli animali custoditi al di fuori dei fabbricati deve essere fornito, in funzione del-

le necessità e delle possibilità, un riparo adeguato dalle intemperie, dai predatori e dai

rischi per la salute”.

Poiché le prestazioni produttive e riproduttive dei conigli allevati sono il risultato della

interazione tra fattori genetici e fattori ambientali, nella scelta della zona in cui collo-

care l’allevamento, occorre considerare due aspetti fondamentali:

- condizioni climatiche,

- la “tranquillità”.

Il clima più idoneo per la specie cunicola è quello delle regioni temperate, con ridotte

escursioni termiche; zone con sbalzi di temperatura, umide e poco ventilate non rappre-

sentano sicuramente condizioni ottimali. Inoltre il coniglio è molto sensibile allo stress

rappresentato dal rumore; idealmente, quindi, l’allevamento dovrebbe essere collocato

lontano da fonti di rumore quali industrie, aeroporti, ecc.

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Altro requisito importante circa l’ubicazione, è la massima distanza possibile da altri al-

levamenti e da specchi d’acqua, per evitare il pericolo di patologie trasmesse da insetti

ematofagi.

Ovviamente nella pratica è difficile avere condizioni ideali per quanto riguarda

l’ubicazione dell’allevamento.

Per quanto riguarda la tipologia dei ricoveri, ci si può imbattere in due situazioni:

- locali preesistenti, che l’allevatore può utilizzare, ristrutturandoli a secondo delle

particolari esigenze e disponibilità finanziarie con modesti investimenti di capitale,

ma con condizioni spesso non ideali;

- nuovi capannoni.

La caratteristica principale del ricovero è una buona coibentazione, che si può ottenere

utilizzando materiali isolanti quali lana di vetro, polistirolo espanso, pannelli di sughero,

ecc.

La scelta del materiale può dipendere da motivi economici oppure dalla valutazione di

alcune caratteristiche dei materiali come resistenza, leggerezza, incombustibilità.

Tutte le aperture del capannone devono essere protette dall’entrata di insetti e roditori

I capannoni dovrebbero avere locali separati per le varie fasi di allevamento:

- riproduzione;

- rimonta;

- ingrasso;

- quarantena per animali malati, nuovi acquisti.

3.6.2 PAVIMENTI

Il pavimento dei capannoni dovrebbe essere sollevato e separato dal terreno mediante

uno strato di materiale drenante.

Se l’asportazione delle deiezioni avviene mediante lavaggio è opportuna una pendenza

(3 mm per metro lineare) per il regolare deflusso delle acque.

3.6.3 GABBIE

Attualmente la vigente normativa non disciplina tipologia e dimensioni delle gabbie

In ogni caso occorre ricordare che “la gabbia è il microambiente nel quale il coniglio

cresce e si riproduce; quindi, oltre a rispettare le esigenze economico-produttive, la

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gabbia deve permettere al coniglio di comportarsi secondo le sue caratteristiche di a-

nimale territoriale, abitudinario e ansioso”. (Grazzani e Dubini 1982).

Di seguito sono elencate le principali tipologie di gabbia attualmente più in uso.

GABBIE IN FERRO ZINCATO

Strutture chiuse mediante rete metallica, dispongono di un fondo a maglie rettangolari

sempre di rete metallica.

Sotto il profilo igienico sanitario rappresentano una buona soluzione in quanto:

� permettono alle deiezioni di cadere al suolo;

� sono facilmente pulibili e disinfettabili;

� consentono di ridurre le patologie legate all’apparato digerente.

La rete del pavimento può essere sostituita da barrette in plastica rigida, distanziate

l’una dall’altra in modo da permettere ugualmente la caduta delle feci, con un maggior

comfort, in particolar modo per le razze pesanti.

Al fine meramente didattico e di fornire una informazione il più completa possibile si ri-

chiamano le seguenti tipologie di gabbie ormai desuete:

� gabbie in cemento con lettiera in paglia: erano usate soprattutto in Francia

per l’allevamento di razze con le zampe particolarmente delicate;

� gabbie in legno o “casotti”: largamente utilizzati negli allevamenti a carat-

tere familiare nei ricoveri all’aperto, sono sconsigliabili sotto il profilo igienico

sanitario in quanto difficilmente pulibili e disinfettabili pur assicurando una

buona coibentazione termica.

PARCHETTI

Annoverati tra i “sistemi alternativi”, trovano ampia applicazione nell’allevamento da

ingrasso. possono presentano caratteristiche strutturali alquanto differenti:

� a terra

� sopraelevati con fondo di paglia

� sopraelevati con fondo in maglia di rete altri materiali;

Tra i principali vantaggi si richiama che:

� consentono l’allevamento in gruppo, che può essere costituito da un numero

variabile di capi,

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� consentono il crearsi di gerarchie e di rapporti sociali stabili,

� assicurano la libertà di movimento.

L’allevamento in piccoli gruppi rappresenterebbe poi una valida alternativa ai metodi

tradizionali, in quanto, a fronte di parametri produttivi sostanzialmente sovrapponibili,

gli animali allevati in gruppo presentano un repertorio comportamentale più vario rispet-

to a quelli allevati singolarmente e pertanto un maggior benessere.

NIDI

I nidi posso essere costituiti da vari materiali, di seguito i più utilizzati:

� nidi in legno, che mantengono il calore ma sconsigliabili sotto il profilo igieni-

co sanitario;

� nidi in cartone monouso, costo minimo ma si impregnano di urina

� nidi in lamiera zincata, idonei sotto il profilo igienico sanitario, ma forte di-

spersione di calore;

� nidi in plastica, idonei sotto il profilo igienico sanitario con buon potere coi-

bente.

I nidi possono essere:

� aperti, posti all’interno della gabbia,

� chiusi, generalmente agganciati all’esterno della gabbia.

Il nido deve essere:

� caldo (deve disporre di una buona coibentazione) in particolare durante i pri-

mi 12 giorni di vita; comunque i neonati di fino alla completa copertura del

corpo di peli dovrebbero essere mantenuti ad una T° superiore ai 25 °C;

� asciutto, con umidità non superiore al 75%;

� tranquillo, soprattutto sotto il profilo della assenza di rumori;

� facilmente controllabile e pulibile.

GABBIE DA SVEZZAMENTO

Durante la delicata fase di svezzamento i coniglietti sono sottoposti a stress a causa di:

� la separazione dalla madre,

� lo smembramento della nidiata,

� il cambiamento di ambiente

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� il passaggio dalla dieta lattea al mangime solido.

Durante lo svezzamento si possono verificare cadute degli incrementi ponderali per mi-

nore assunzione di alimento e comparsa di manifestazioni morbose a carico dello appa-

rato gastroenterico con picchi di mortalità anche del 9-14% (Facchin,1983).

E’ quindi opportuno individuare tempi e tecniche più idonee allo svezzamento.

- SVEZZAMENTO TRADIZIONALE

Si effettua a sei-sette settimane di vita.

La risposta allo stress è molto ridotta e i soggetti passano alla fase di ingrasso senza av-

vertire in modo significativo questo delicato momento.

- SVEZZAMENTO “INTENSIVO”

I soggetti vengono allontanati dalla madre verso i 28 –30 gg. di vita, in quanto la fattrice

viene riaccoppiata da 7 - 10 gg. dopo il parto.

Nel caso di svezzamento “intensivo”, per ridurre l’incidenza di fattori stressanti, è op-

portuno effettuare il trasferimento della fattrice.

La fattrice viene allontanata dai piccoli che rimangono invece nella stessa gabbia dove

sono nati fino a 40-45 gg.

Con tale sistema si evidenzia una significativa riduzione della mortalità (Facchin 1983 e

Costantini 1984), pur sottoponendo a stress la fattrice per il trasferimento.

GABBIE PER LA FATTRICE E PER LA RIMONTA

Sono utilizzate per:

� l’allevamento della coniglia,

� la gestione del parto,

� l’accrescimento delle giovani coniglie.

La seguente tabella riporta le dimensioni minime delle gabbie attualmente in uso per

l’allevamento delle fattrici in rimonta o allattanti con nidiata.

Alla luce delle attuali conoscenze e dell’esperienza maturata, risulta sconsigliabile

scendere al di sotto delle dimensioni e dei valori riportati in detta tabella.

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Fattrici Larghezza

(cm)

Profondità

(cm)

Altezza

(cm)

Superficie disponibile

(cm2)

in rimonta 38 43 35 1600

con nidiata 38 95 35 3600

GABBIE AUTOSVEZZANTI

I piccoli coabitano più a lungo con la madre in quanto il tipo di gabbia utilizzato comuni-

ca con un box di “presvezzamento” al quale possono accedere i soli coniglietti fino

all’età di 28 gg.

Successivamente tale comunicazione viene interrotta e i coniglietti rimangono, anche se

separati, vicino alla madre fino a 40-45 gg.

Prima della nascita della nuova nidiata i coniglietti verranno spostati nel reparto di finis-

saggio, senza eccessivi traumi.

La promiscuità dei reparti di allevamento ed ingrasso correlata all’impiego della gabbia

autosvezzante richiede una maggiore attenzione sotto il profilo igienico sanitario.

GABBIE PER L’INGRASSO

Durante la fase di ingrasso, vale a dire dallo svezzamento alla macellazione, le tipologie

delle gabbie sono essenzialmente di 2 tipi:

- GABBIE CELLULARI: in rete metallica e disposte solitamente a piani sfalsati, sono co-

stituite da box aventi dimensioni ridotte ( 20 x 35 cm o 30 x 35 cm) in cui vengono tabu-

lati 1 o 2 conigli.

Tali gabbie, in caso di macellazione dei soggetti di età superiore agli 80 giorni consente

di evitare conflitti che intervengono dopo la pubertà. nel gruppo.

- GABBIE TIPO COLONIA: sono di dimensioni maggiori (da 0.30 a 0.50 mq) sono utilizzate

per l’allevamento in gruppo.

La seguente tabella riporta le dimensioni delle gabbie per l’allevamento dei conigli da

ingrasso attualmente in uso. Alla luce delle attuali conoscenze e dell’esperienza matura-

ta, risulta sconsigliabile scendere al di sotto delle dimensioni e dei valori riportati in

detta tabella.

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Larghezza

(cm)

Profondità

(cm)

Altezza

(cm)

Superficie

totale

(cm2)

Conigli

per gabbia

Superficie

individuale

(cm2)

Densità di

allevamento

capi/m2

Peso alla

macellazione1

kg/m2

28 43 35 1200 2 600 16.7 41.8 1 Peso medio alla macellazione: 2.5 Kg

Alcuni autori hanno criticato l’uso delle gabbie provviste di pavimentazione in maglie di

rete metallica sostenendo che sono causa di lesioni podali di varia estensione soprattut-

to nelle fattrici (Drescher e Schlender_Bobbis, 1996).

Per alcuni anni sono state provate varie tipologie di pavimentazione alternativa come

rete a maglie rettangolari in materiale sintetico o pavimentazioni metalliche perforate.

Studi condotti nel 1996 da Rommers e Meijerhof hanno comunque concluso che le pavi-

mentazioni alternative, pur presentando il vantaggio di prevenire le lesioni podali, han-

no lo svantaggio di creare problemi igienici, oltre che essere molto più costose.

Recentemente sono stati proposti dalle ditte produttrici di gabbie per allevamento i

tappetini da applicare alla rete metallica che coprono solo in parte la superficie del pa-

vimento. In tal modo si riducono le lesioni podali ed allo stesso tempo si evitano i pro-

blemi igienici dati dalle pavimentazioni alternative. In particolare è stato dimostrato

che l’utilizzo di questi tappetini riduce in modo significativo il numero delle fattrici da

riforma e il numero delle lesioni podali (Tutela, 2004).

Per i conigli all’ingrasso non sono stati riportati problemi di lesioni podali dovute alla re-

te metallica.

L’uso di lettiera proposto da alcuni autori, pur rappresentando un arricchimento am-

bientale che stimola lo sviluppo di varie posture ed attività, determina una maggior in-

cidenza di coccidiosi (Lambertini et. Al, 2001).

Studi condotti da Princz et al., (2005) per confrontare gabbie e recinti con pavimenta-

zione in rete metallica o in materiale plastico, non hanno trovato una differenza signifi-

cativa per quanto riguarda i parametri produttivi (incremento ponderale, assunzione di

alimento, consumo di alimento) e le caratteristiche delle carcasse.

I dati di mortalità e le lesioni alle orecchie erano invece più alti nei conigli ricoverati nei

recinti con pavimentazione in materiale plastico rispetto a quelli in rete metallica.

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Recentemente sono stati condotti studi volti a valutare la preferenza dei conigli

all’ingrasso per gabbie di differenti altezze (20, 30, 40, e senza copertura).

Tali studi hanno evidenziato che la scelta di una tipologia di gabbia piuttosto che

un’altra dipende dall’attività svolta; infatti, quando i conigli sono attivi scelgono le gab-

bie di altezza maggiore, mentre per il riposo scelgono quelle di altezza inferiore (Princz

et al. 2005).

Le gabbie possono essere di forma quadrata o rettangolare e questo può condizionare i

comportamenti che il coniglio può espletare. Verso la fine del periodo di ingrasso, man

mano che il coniglio cresce, la gabbia rettangolare può consentire di attuare certi com-

portamenti come lo stirarsi ed il saltare. Dagli studi condotti sembra che per il benesse-

re dei conigli all’ingrasso il minimo di lunghezza delle gabbie sia 75-80 cm.

DISPOSIZIONE DELLE GABBIE

In merito alla disposizione delle gabbie all’interno dell’allevamento, sono possibili diffe-

renti soluzioni, in funzione della densità dell’allevamento e degli spazi a disposizione. Di

seguito si elencano quelle più comunemente adottate.

- Flat- deck: file di gabbie disposte su di un unico piano e separate da corridoi di circa

un metro: per allevamenti a bassa densità, permette un facile controllo degli anima-

li, migliore ventilazione ed illuminazione per tutti.

- California: gabbie disposte in file su due piani sfalsati, con gabbie della fila superio-

re munite di appositi piani inclinati per la raccolta delle deiezioni. Tale soluzione

consente una maggiore densità di animali, tuttavia le gabbie della fila più alta sono

sottoposte a minor controllo da parte dell’operatore.

- Batteria: disposte su due o tre piani completamente sovrapposti ed eventualmente,

con nastro trasportatore che allontana le deiezioni di ogni piano. La batteria consen-

te di allevare il numero massimo di animali per metro quadrato; le gabbie però risul-

tano poco ventilate, pulizia e manipolazione degli animali non risulta agevole.

- Gabbie per i riproduttori: gli animali possono essere alloggiati:

- in gabbie singole, con maschi alloggiati in una stessa fila

- in gabbie alterne a quelle delle fattrici

- in colonia dove 6-12 fattrici vengono allevate in grosse gabbie ad un piano insie-

me ad un maschio

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- in “colonia” o accoppiamento libero. consente risparmio di manodopera, ma

comporta peggiori prestazioni dei riproduttori dei quali non è possibile registrare

le date di accoppiamento

Al riguardo è il caso di precisare che tali gabbie sono impiegate prevalentemente a

livello sperimentale negli stabulari universitari e trovano scarso o nullo riscontro ne-

gli allevamenti.

3.6.4 DENSITÀ DEGLI ANIMALI

La vigente normativa in materia di benessere animale non disciplina dimensioni delle

gabbie e densità dei capi(cm2 /capo o numero di capi/ m2).

Nelle more delle eventuali disposizioni legislative si forniscono di seguito alcune indica-

zioni formulate in base alla letteratura scientifica in materia.

Al riguardo è il caso di precisare che i vari autori non sono concordi sui risultati inerenti

le performance zootecniche.

Taluni autori, relativamente ai soggetti maschi ed alle fattrici senza prole, riterrebbero

opportuno assicurare almeno uno spazio di 3500 cm2 per capo.

Per le fattrici con le loro figliate, di norma, si ritiene opportuno aggiungere agli 3500

cm2 uno spazio di 1500 cm2 per ciascun soggetto nato fino allo svezzamento.

Per i conigli all’ingrasso, di norma, si ritiene opportuno non superare i 16-18 capi per

mq; il superamento di tale densità può comportare una riduzione della crescita correlata

ad con ritardo della macellazione di 3-5 gg.

In particolare, secondo alcuni autori un peso vivo superiore a 40 Kg p.v./m2 determina

un effetto negativo sulla crescita.

Secondo altri, si possono allevare 38 Kg. p.v./m2 senza mai eccedere in ogni caso i 42

Kg. p.v./m2 alla fine del periodo di ingrasso.

Anche forti concentrazioni di animali (9-10 soggetti/gabbia) sono proibitive a causa della

forte riduzione della crescita e del consumo, con conseguenze negative sul peso vivo alla

macellazione. Inoltre, dal punto di vista sanitario, forti concentrazioni di animali rap-

presentano sempre un rischio, in quanto possono determinare una più rapida diffusione

degli agenti infettivi nonché un forte stress con conseguente aumento del tasso di mor-

talità e del numero di scarti al macello (Piattoni, 1994).

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Al riguardo le raccomandazioni del Comitato Permanente per la Protezione degli Animali

in Allevamento Istituito in seno al Consiglio d’Europa, auspicano un aumento della super-

ficie disponibile pari a 3500 cm2 per le coniglie in rimonta e per i maschi nonché un au-

mento, dell’altezza delle gabbie fino a 50 cm ( con maggiore possibilità di movimento).

Tabella riassuntiva

DENSITÀ CATEGORIA DI ANIMALI

cm2/capo capi/ m2

fattrici senza prole 3500 2,87

maschi 3500 2,87

fattrici e figliate (fino allo svezzamento) 3500 + 1500 -

conigli all’ingrasso1 600/500 16/18

conigli all’ingrasso1 800 12,5

conigli all’ingrasso1 660 15,2

conigli all’ingrasso massimo fine ciclo1 670 15

(1 i valori riportati in tabella si riferiscono a studi condotti da vari autori)

L’effetto negativo dell’eccessiva densità si manifesta anche nei conigli allevati in par-

chetti a terra.

Per spazi inferiori 800 cm2/capo, la crescita ponderale e quindi il peso finale risultano

inferiori se confrontati con gli stessi parametri di animali allevati in condizioni di minore

densità (Gallazzi, 1985 - Ferrante et al. 1997).

Ciò è ascrivibile ad una certa competizione per le risorse alimentari evidenziata anche

da una maggior presenza di lesioni negli animali allevati in condizioni di maggiore densi-

tà.

Ideale come alternativa all’allevamento tradizionale sembra essere quello in piccoli

gruppi.

A fronte di parametri produttivi sostanzialmente sovrapponibili, gli animali allevati in

gruppo presentano, dal punto di vista comportamentale, un repertorio comportamentale

più vario rispetto agli animali singoli.

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3.6.5 LIBERTÀ DI MOVIMENTO

Il punto 7 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:

“7. La libertà di movimento propria dell’animale, in funzione della sua specie e secondo

l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche, non deve essere limitata in modo ta-

le da causargli inutili sofferenze o lesioni. Ancorché continuamente o regolarmente le-

gato, incatenato o trattenuto, l’animale deve poter disporre di uno spazio adeguato al-

le sue esigenze fisiologiche ed etologiche, secondo l’esperienza acquisita e le conoscen-

ze scientifiche.”

Di seguito si riportano i pareri di alcun autori.

Stauffacher (1992), per il rispetto del welfare, tra le varie necessità del coniglio in gab-

bia, individua il movimento.

Quindi per mantenere in esercizio l’apparato locomotore è opportuno che superficie di

pavimento ed altezza risultino adeguate; risulta inoltre ottimale la presenza di un’area

sopraelevata e di una zona in cui il conigli possano rifugiarsi.

Drescher (1996) attribuisce alla scarsa attività locomotoria dei conigli in gabbia una serie

di alterazioni all’apparato scheletrico ed in particolare deformazioni alla colonna verte-

brale.

Tali deformazioni della colonna sarebbero causate da:

- posizione di seduta forzata, a causa della ridotta altezza delle gabbie

- ipoplasia del tessuto osseo, per la scarsa locomozione

- spostamento del centro di gravità del corpo in direzione caudale e variazione delle

forze dinamiche in seguito all’incremento ponderale dell’utero gravido

- elevato fabbisogno di calcio, nella gravidanza contemporanea alla lattazione, non

sempre soddisfatto.

Al riguardo è appena il caso di precisare che le deformazioni riscontrate sono state rile-

vate in stabulari dove gli animali vi rimangono per anni.

Di norma la durata dell’allevamento del coniglio non comporta, in relazione alla sua

brevità, alcuna malformazione.

Le stesse considerazioni valgono per i riproduttori che rimangono in allevamento meno

di un anno per evitare fenomeni di consanguineità.

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La locomozione ha quindi un’importanza particolare per lo sviluppo del tessuto osseo e

per la conservazione di una colonna vertebrale di normale struttura anatomica.

Ferrante (2003), sostiene che lo spazio a disposizione dovrebbe consentire sequenze di

movimenti ed essere vario in maniera da rendere meno “noioso” l’ambiente di alleva-

mento.

3.6.6 MICROCLIMA:

I punti 10 e 11 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recitano:

“10. La circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la temperature, l’umidità relativa

dell’aria e le concentrazioni di gas devono essere mantenuti entro limiti non dannosi

per gli animali”.

“11 Gli animali custoditi nei fabbricati non devono essere tenuti costantemente al buio

o esposti ad illuminazione artificiale senza un adeguato periodo di riposo. Se al luce na-

turale disponibile è insufficiente a soddisfare esigenze comportamentali e fisiologiche

degli animali, occorre prevedere un’adeguata illuminazione artificiale”.

Le condizioni microclimatiche all’interno dell’allevamento sono determinanti ai fini del

benessere e della produttività degli animali.

I parametri che condizionano il microclima dei ricoveri sono:

- la temperatura,

- l’umidità relativa,

- la luce,

- la ventilazione,

- la qualità dell’aria.

3.6.7 TEMPERATURA

Le temperatura ambientali ideali sono le seguenti:

- 12°C - i 15°C per i maschi, le fattrici senza prole ed i conigli all’ingrasso.

- 15°C - i 22°C per le fattrici e le loro nidiate fino allo svezzamento (poiché i coni-

glietti nascono privi di pelo e non sono in grado di mantenere costante la loro tem-

peratura corporea).

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Tabella riassuntiva

TEMPERATURA T min T max

fattrici senza prole 12°C 15°C

maschi 12°C 15°C

fattrici con figliate (fino allo svezzamento) 15°C 22°C

conigli all’ingrasso 12°C 15°C

Si ha inoltre:

- un coinvolgimento delle ghiandole surrenali con secrezione di adrenalina, che rallen-

ta la peristalsi intestinale favorendo turbe intestinali ed enteriti;

- la liberazione di corticosteroidi.

Si verifica in sostanza il quadro di una situazione di stress, con la seguente sintomatolo-

gia:

- crescita ridotta,

- incremento delle patologie dell’apparato digerente,

- difficoltà di accoppiamento,

- diminuzione del numero di coniglietti per nidiata,

- ridotta produzione lattea da parte della fattrice

- conseguente incremento della mortalità post-natale dei neonati.

Parimenti stressanti risultano essere:

- le temperature troppo basse, che favoriscono l’insorgenza e la diffusione di patolo-

gie respiratorie nonché la mortalità dei piccoli;

- le temperature troppo alte (oltre 28°C),in seguito alle quali si osserva un aumento

del ritmo respiratorio finalizzato alla dispersione di calore, nonché una diminuita as-

sunzione di alimento.

3.6.8 UMIDITÀ RELATIVA

L’umidità relativa è strettamente collegata alla temperatura.

Il tasso igrometrico ideale oscilla tra il 65% e il 75%, per temperature comprese tra i 15 e

i 20°C

È appena il caso di sottolineare che valori elevati di umidità relativa:

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- potenziano gli effetti delle alte temperature rendendo poco efficaci i meccanismi di

termoregolazione degli animali.

- accompagnati a basse temperature, determinano la formazione di condensa su:

- pavimento dei ricoveri,

- gabbie

- pelliccia degli animali, che in tali situazioni sono maggiormente predisposti a

malattie respiratorie.

Per contro, valori molto bassi di umidità relativa (<= 50 %) correlati:

- ad alte temperature favoriscono lo sviluppo di polveri che risultano irritanti per

l’apparato respiratorio;

- a basse temperature (freddo secco) determinano aridità delle mucose ed un consumo

elevato consumo di energia per mantenere costante la temperatura corporea.

3.6.9 ILLUMINAZIONE

L’illuminazione è un altro parametro fondamentale nell’allevamento del coniglio.

Le variazioni del rapporto luce/buio influenzano l’attività riproduttiva, soprattutto della

fattrice.

In natura, il periodo migliore per la riproduzione è rappresentato dai mesi primaverili,

quando aumenta il fotoperiodo.

Per i riproduttori è quindi opportuno predisporre un sistema di illuminazione che ricrei

le condizioni ideali per durata e intensità della luce.

Ottimale sarebbe poter assicurare nel reparto maternità 16 ore di luce giornaliere con

intensità luminosa di 30-40 lux.

I maschi hanno minori necessità, (8-10 ore) ma, essendo alloggiati nel reparto delle fat-

trici, vengono sottoposti allo stesso programma di illuminazione.

Per il reparto ingrasso sono sufficienti 8-10 ore a 10-20-lux che garantiscono tranquillità

agli animali senza deprimere il consumo di alimenti.

Tabella riassuntiva

ILLUMINAZIONE ore luce/die intensità in lux

fattrici senza prole 8-10 10 - 20

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maschi 8-10 10 - 20

fattrici e figliate (fino allo svezzamento) 16 30 - 40

conigli all’ingrasso 8-10 10 - 20

3.6.10 VENTILAZIONE

Mediante la ventilazione, che può essere naturale o forzata:

- si regolano temperatura e umidità del ricovero,

- si rimuovono i gas nocivi e le polveri.

La ventilazione naturale si ottiene attraverso finestre opportunamente ricavate sulle pa-

reti laterali che consentono l’ingresso di aria.

La fuoruscita della medesima avviene mediante cupolini posti alla sommità del capanno-

ne, di norma in corrispondenza del colmo del tetto (effetto camino).

La ventilazione forzata, sicuramente il sistema più efficiente pur comportando dei costi

energetici può essere:

- per depressione (i ventilatori, posti alla sommità del tetto o sulle pareti, estraggono

aria);

- per pressione (i ventilatori immettono aria nel ricovero, con possibilità di umidificar-

la, riscaldarla o raffreddarla).

Possono essere anche adottate soluzioni miste, affiancando gli estrattori alle finestre nel

periodo estivo.

Altro parametro importante, la velocità dell’aria, a livello delle gabbie, non deve supe-

rare:

- 0,3 m/sec durante il periodo estivo,

- 0,1 m/sec durante il periodo invernale.

I gas nocivi riscontrabili sono

- NH3, prodotta dalla decomposizione delle urine, altamente irritante per le mucose,

- H2S, prodotta dalla decomposizione e dalla fermentazione delle feci, altamente irri-

tante per le mucose,

- CO2. prodotta dalla respirazione dei conigli, accumulandosi a livello del suolo co-

stringe gli animali ad un ritmo respiratorio più intenso

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L’allontanamento regolare delle deiezioni permette di mantenere bassa la concentrazio-

ne di ammoniaca e acido solfidrico nell’ambiente.

Relativamente alle polveri si ritiene che le particelle fini non dovrebbero superare i 5

mg/m3.

La loro elevata concentrazione può essere responsabile di aumento di patologie a carico

dell’apparato respiratorio, in quanto in grado di veicolare agenti patogeni fino agli alve-

oli polmonari.

Per ridurre le polveri in allevamento, è consigliabile l’uso di pellettati ed evitare ali-

menti di consistenza farinosa.

È possibile anche utilizzare tecniche specifiche quali la ionizzazione dell’aria o la nebu-

lizzazione di acqua.

3.6.11 IMPIANTI

Il punto 13 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:

“13. Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il benessere

degli animali deve essere ispezionato almeno una volta al giorno. Gli eventuali difetti

riscontrati devono essere eliminati immediatamente; se ciò non è possibile, occorre

prendere le misure adeguate per salvaguardare la salute ed il benessere degli animali

........ ”:

La distribuzione dell’alimento può essere manuale o meccanica.

L’alimento viene somministrato mediante mangiatoie a canaletta o a tramoggia.

Dette mangiatoie devono essere facilmente pulibili, con posti di alimentazione separati

da divisori.

Ad ogni animale dovrebbe riservato uno spazio di circa 8 cm e la somministrazione

dell’acqua può essere manuale o automatica. Tale somministrazione automatica riduce i

costi di manodopera consente di procedere facilmente a terapie di gruppo

3.7 REQUISITI PROCEDURALI

3.7.1 DIVIETI ESPRESSI

Il punto 20 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:

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“20. Non devono essere praticati l’allevamento naturale o artificiale o procedimenti di

allevamento che provochino o possano provocare agli animali in questione sofferenze o

lesioni. Questa disposizione non impedisce il ricorso a taluni procedimenti che possono

causare sofferenze o ferite minime o momentanee o richiedere interventi che non cau-

sano lesioni durevoli, se consentiti dalle disposizioni nazionali.”

3.7.2 CONTROLLO DEGLI ANIMALI

L’art, 2, comma 1’ lettera a) del D.Lgs. 146/2001 dispone che:

“Il proprietario o il custode ovvero il detentore deve adottare misure adeguate per ga-

rantire il benessere dei propri animali e affinché non vengano loro provocati dolore,

sofferenze o lesioni inutili.”

I punti 2, 3 e 4 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recitano:

“2. Tutti gli animali tenuti in sistemi di allevamento, il cui benessere richieda

un’assistenza frequente dell’uomo, sono ispezionati almeno una volta al giorno. Gli a-

nimali allevati o custoditi in altri sistemi sono ispezionati a intervalli sufficienti al fine

di evitare loro sofferenze.

3. Per consentire l’ispezione completa degli animali in qualsiasi momento, deve essere

disponibile un’adeguata illuminazione fissa o mobile.

4.Gli animali malati o feriti devono ricevere immediatamente un trattamento appro-

priato e, qualora un animale non reagisca alle cure in questione, deve essere consultato

un medico veterinario. Ove necessario gli animali malati o feriti vengono isolati in ap-

positi locali muniti, se del caso, di lettiere asciutte e confortevoli”.

3.7.3 REGISTRAZIONI

I punti 5 e 6 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recitano:

“5. Il proprietario o il custode ovvero il detentore degli animali tiene un registro dei

trattamenti terapeutici effettuati. La registrazione e le relative modalità di conserva-

zione sono effettuate secondo quanto previsto dal Decreto legislativo 27 gennaio 1992,

n 119(*) e successive modificazioni ed integrazioni e dal decreto legislativo 4 agosto

1999 n 336 (**). Le mortalità sono denunciate ai sensi del decreto del Presidente della

Repubblica 8 febbraio 1954, n 320.

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6. I registri sono conservati per un periodo di almeno tre anni e sono messi a disposizio-

ne dell’autorità competente al momento delle ispezioni o su richiesta”

(*) ora D.Lgs. n. 193/2006

(**) ora D.Lgs. n. 158/2006

Lo svezzamento del coniglio prevede l’impiego di medicinali veterinari, sia a scopo tera-

peutico che metafilattico.

La carenza di prodotti autorizzati per questa specie animale costringe gli allevatori a ri-

correre sistematicamente al cosiddetto uso “improprio” (anche denominato uso in dero-

ga), previsto e così definito ai sensi dell’articolo 11, D.Lgs. 193/2006.

Ciò comporta il puntuale supporto tecnico dell’allevatore, da parte dei medici veterinari

anche al fine della corretta registrazione dei trattamenti, prevista dalla vigente norma-

tiva nazionale e comunitaria.

3.7.4 PULIZIA E DISINFEZIONE

Buone regole di profilassi igienica da rispettare sono senz’altro:

- evitare il contatto con un altro allevamento

- attuare il programma tutto pieno/tutto vuoto

- regolamentare l’accesso a cose e persone in allevamento e impedirlo ad animali

- applicare la quarantena agli animali in ingresso

Inoltre si deve porre grande attenzione alla pulizia e disinfezione di attrezzature e strut-

ture

Come norma generale, è bene asportare dapprima tutte le parti mobili presenti nei rico-

veri, allontanare lettiere e deiezioni, raschiare superfici e accessori risciacquando ab-

bondantemente, quindi applicare il disinfettante e risciacquare.

A tal fine risulterebbe opportuno che l’allevatore disponesse di un programma di pulizia

e disinfezione, (pulizia impianti di ventilazione e distribuzione acqua, locali, file di gab-

bie, asportazione deiezioni ecc.) e procedesse alla registrazione delle operazioni effet-

tuate.

3.8 REQUISITI FUNZIONALI

Per requisiti funzionali si intendono i seguenti requisiti:

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- personale

- alimentazione

3.8.1 PERSONALE

Ai sensi dell’allegato del D.Lgs. 146/2001:

“1. Gli animali sono accuditi da un numero sufficiente di addetti aventi adeguate capa-

cità, conoscenze e competenze professionali”.

La normativa di cui trattasi non stabilisce in materia alcun parametro.

Ciò nonostante si ritiene che il personale debba disporre di alcune nozioni di base asso-

lutamente inderogabili, quali ad esempio, tenuto conto che il coniglio è un animale abi-

tudinario ed emotivo, è opportuno evitare:

- ogni possibile fonte di disturbo, di qualsivoglia natura,

- i rumori improvvisi,

- l’eccessiva densità dei soggetti,

- gli alimenti “non idonei”, con particolare riguardo a quelli ammuffiti,

- il digiuno e bruschi cambiamenti del regime alimentare,

- la modifica degli orari di alimentazione, stabilendo quindi orari fissi di som-

ministrazione,

- le modalità non corrette di manipolazione dei soggetti.

Pertanto si riterrebbe opportuno che l’allevatore:

1. conseguisse una formazione, in materia di anatomia e fisiologia dei conigli, per

una maggiore consapevolezza delle manualità e delle operazioni da eseguire in al-

levamento con particolare riguardo alle tecniche di fecondazione artificiale rela-

tivamente alle quali attualmente non è previsto il patentino di fecondatore laico

(del DM 403/2000);

2. prevedesse un adeguato periodo di formazione dei nuovi addetti, riguardante:

- le modalità di manipolazione degli animali e le procedure di utilizzo

delle attrezzature,

- il benessere degli animali.

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3.8.2 ALIMENTAZIONE

L’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:

“14. Agli animali deve essere fornita un’alimentazione sana adatta alla loro età e spe-

cie e in quantità sufficiente a mantenerli in buona salute e a soddisfare le loro esigenze

nutrizionali. .Gli alimenti o i liquidi sono somministrati agli animali in modo da non

causare loro inutili sofferenze o lesioni e non contengono sostanze che possano causare

inutili sofferenze o lesioni.

15. Tutti gli animali devono avere accesso ai mangimi ad intervalli adeguati alle loro

necessità fisiologiche.

16. Tutti gli animali devono avere accesso ad un’appropriata quantità d’acqua, di quali-

tà adeguata ........

17. Le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono essere con-

cepite , costruite e installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di contamina-

zione degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze negative derivanti da rivalità tra a-

nimali”.

Due sono i principali criteri di alimentazione:

- ad orari fissi per consentire il controllo dei consumi ma soprattutto evitare di stressa-

re i soggetti;

- ad libitum che consente agli animali di avere sempre a disposizione dell’alimento u-

sufruendone a seconda delle singole necessità fisiologiche.

Il razionamento del mangime è in funzione dei fabbisogni dei vari stadi fisiologici

dell’animale ed in quantità costanti, in mangiatoie sufficienti per numero e dimensioni.

Nell’allevamento di tipo tradizionale i conigli sono alimentati con erba verde (medica) e

fieno, integrati con alcuni sottoprodotti aziendali (es. stocchi di mais).

La moderna coniglicoltura utilizza alimenti formulati in modo completo e bilanciato,

particolarmente graditi agli animali.

Questa scelta è stata dettata da:

- la diffusione degli allevamenti intensivi,

- la necessità di disporre di un alimento dalle caratteristiche il più possibile “costanti”

nell’arco di ogni ciclo produttivo,

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- l’esigenza di rispettare i tempi di mercato.

In tal senso gli alimenti pellettati si sono rivelati:

- particolarmente pratici nelle fasi di distribuzione,

- più “sani” degli alimenti tradizionali in quanti è più facile evitare muffe e fermenta-

zioni,

- in quanto alimenti duri, più rispondenti alle caratteristiche anatomiche e fisiologiche

di masticazione del coniglio in relazione all’esigenza di pareggiare gli incisivi in con-

tinuo accrescimento,

- più vantaggioso rispetto agli sfarinati che sono irritanti per le vie respiratorie.

Risultano meno indicati:

- il pastone, nel quale più rapidamente si sviluppano le muffe,

- la macinazione delle granaglie da parte dell’allevatore, infatti, se troppo fine, può

dare problemi di motilità intestinale, causando diarree, se troppo grossolana porta a

considerevole spreco di alimento.

L’acqua di abbeveraggio, deve essere a disposizione dei soggetti.

Minore è la sua assunzione, minore è l’ingestione di alimento solido

Deve essere fresca (a non fredda, ottimale 15°C) e pulita (occorre pulire sempre gli ab-

beveratoi)

Il fabbisogno giornaliero di acqua:

- dipende dalla quantità e dalla qualità dell’alimento somministrato,

- alla temperatura dell’ambiente di allevamento

- all’età dell’animale.

3.9 SANZIONI

Nel caso di riscontro, da parte dell’autorità sanitaria , nel corso di un sopralluogo, del

mancato rispetto da parte del proprietario, custode ovvero il detentore delle disposizio-

ni di cui all’articolo 2, comma 1 del D.Lgs. 146/2001, è prevista l’applicazione delle san-

zioni amministrative di cui all’articolo 7 del medesimo Decreto.

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Parte Speciale Il benessere delle galline ovaiole

PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DELLE GALLINE OVAIOLE

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4. IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DELLE GALLINE OVAIOLE

4.1 PREMESSA

La normativa sul benessere delle galline ovaiole è stata recentemente aggiornata con la

pubblicazione del “Decreto Legislativo n. 267 del 29 luglio 2003 che attua le direttive

1999/74/CE e 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei

relativi stabilimenti di allevamento”. Questo decreto, entrato in vigore il 05/10/2003,

abroga il “Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 233 che stabilisce

norme minime per la protezione delle galline ovaiole in batteria”.

Come vedremo meglio in seguito, numerose sono le modifiche introdotte, tra le quali:

- l’applicabilità agli stabilimenti con oltre 350 capi

- l’esclusione degli allevamenti di galline ovaiole riproduttrici

- la definizione degli attori, …

Si ritiene importante inoltre sottolineare fin da ora quanto sancito dal Decreto Legislati-

vo 267/03 all’articolo 1, punto 1: “ Il presente decreto stabilisce le norme minime da ri-

spettare per assicurare la protezione delle galline ovaiole”, quindi in qualsiasi modo al-

levate, e non più, come stabiliva il Decreto del Presidente della Repubblica 233/88 sem-

pre all’articolo 1, “…le misure minime per la protezione delle galline ovaiole in batteria

da sofferenze inutili ed eccessive.” Sono infatti regolati dal nuovo decreto oltre al si-

stema di allevamento in gabbie non modificate, cioè quelle tradizionalmente in uso oggi,

altri due metodi: le “gabbie modificate” ed i “sistemi alternativi” alla gabbia (cioè

l’allevamento “al suolo”, “all’aperto” e in “aviary sistem”).

Per meglio approfondire i contenuti della norma summenzionata è importante considera-

re che quanto da essa sancito si articola ed interagisce con altre disposizioni concernenti

o aspetti generali relativi al benessere degli animali allevati, - come ad esempio il “De-

creto legislativo 26 marzo 2001, n. 146, che recepisce la direttiva 98/58/CE relativa alla

protezione degli animali negli allevamenti”, - oppure aspetti relativi alla commercializ-

zazione del prodotto uovo, - come la normativa sull’etichettatura delle uova [Regola-

mento 2295/2003 della Commissione del 23 dicembre 2003 recante modalità di applica-

zione del Regolamento (CEE) n° 1907/90 del Consiglio relativo a talune norme di com-

mercializzazione delle uova,] – oppure, ancora, aspetti di carattere sanitario quali il Re-

golamento CE 2160/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003

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sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti,

in particolare per quanto previsto nell’Allegato II, paragrafo D.

Tali elementi non sono da considerare completamente fuori tema in questa trattazione,

essendo l’uovo un prodotto di origine animale che si presenta in natura già “preconfe-

zionato”, pertanto commercializzabile direttamente da un produttore opportunamente

autorizzato, e considerando che la norma oggi impone di indicare il metodo di alleva-

mento sulle confezioni e sulle uova stesse, richiamando espressamente le definizioni dei

metodi di allevamento sanciti dal Decreto Legislativo 267/2003.

È opportuno chiedersi: perché questa evoluzione legislativa? Perché già da alcuni anni in

Svizzera ed in Paesi dell’Europa comunitaria nord occidentale (es. Svezia), si avanzano

critiche al sistema di allevamento in gabbia della gallina ovaiola, in quanto l’animale

non avrebbe la possibilità di esprimere alcuni suoi comportamenti naturali, quali

l’appollaiarsi su un sostegno o ramo, il ripararsi in un nido, l’utilizzare dei materiali tipo

lettiera.

A queste osservazioni seguì l’orientamento verso l’allevamento in sistemi al suolo, even-

tualmente integrati con aree dotate di piani aperti sovrapposti (in questo caso chiamati

“aviari”), quindi più o meno modificati rispetto ai requisiti previsti dalla precedente

normativa italiana (Decreto Ministero Agricoltura e Foreste del 16 aprile 1986 per

l’applicazione in Italia del Reg. CEE n. 1943/85 [sui sistemi di allevamento]).

L’allevamento al suolo ha però evidenziato importanti limiti ed in particolare, secondo

Tauson, 2001 e Appleby, 1998 :

a) negli alti livelli di mortalità per cannibalismo, soprattutto quando la pratica del

debeccaggio non è permessa (come in alcuni Paesi del Nord Europa);

b) nel maggiore sviluppo di parassitosi e, di conseguenza,

c) nel ritorno alla necessità di ricorrere a terapie farmacologiche durante la deposi-

zione per il loro controllo;

d) nella maggiore polverosità e, talvolta, maggiore livello di ammoniaca

nell’ambiente di lavoro con effetti negativi sia per le galline ovaiole che per gli

operatori di allevamento.

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A tali aspetti negativi si può sicuramente aggiungere la maggiore difficoltà di controllo

di infezioni a ciclo oro-fecale negli animali e, tra esse, anche quelle sostenute da germi

zoonotici (salmonelle, campylobacter, …).

Se da un lato sono evidenti l’impatto sfavorevole e la sensazione di innaturalezza che si

provano al primo ingresso in un impianto di allevamento di galline ovaiole in batterie di

gabbie, e quindi la reazione istintiva di considerarle inopportune, è ora giusto chiedersi,

anche, perché l’allevamento della gallina ovaiola in tutto il mondo si è evoluto da un si-

stema a terra, in uso negli anni ’60 – ’70, ad un sistema a gabbia in batterie, dagli anni

’70 ad oggi.

Per il fatto che, tutto sommato, questa evoluzione, rispetto all’allevamento al suolo, ha

consentito il raggiungimento di ottimi livelli qualitativi ed igienico sanitari della produ-

zione (con conseguente buona tutela del consumatore), la riduzione a livelli contenuti

del malessere degli animali dovuto a problemi sanitari e cannibalismo e la limitazione

della mortalità delle galline ovaiole (quindi buona tutela della salute degli animali stes-

si), ancorché con un ridotto apporto di stimoli ambientali per la gallina, associato ad una

significativa riduzione del costo di produzione dell’uovo e quindi del prezzo alla vendita.

Inoltre, per un Paese in cui la densità di popolazione è mediamente alta, l’allevamento

con gabbie su più piani, ha consentito di limitare l’occupazione di suolo agricolo destina-

ta all’allevamento, permettendo di aumentare il numero di capi allevati per metro qua-

drato di suolo occupato, raggiungendo comunque, nel caso dell’Italia, il livello di auto-

sufficienza della produzione nazionale rispetto al fabbisogno.

Prendendo in considerazione la normativa sulla protezione dei suini ed ancor più quella

sulla protezione dei vitelli si può rilevare come l’applicazione di queste sia stata più a-

gevole, rispetto a quella in esame, in quanto ne è seguito, oltre ad un evidente miglio-

ramento delle condizioni di benessere degli animali, un positivo riscontro per gli alleva-

tori con un miglioramento nelle produzioni, purtroppo tali considerazioni non sono at-

tualmente applicabili alla normativa sul benessere delle ovaiole.

Rimane comunque il fatto che in base all’attuale normativa a partire dal 1° gennaio

2012 non sarà più possibile utilizzare gabbie non modificate.

Il Comitato scientifico per la salute ed il benessere animale dell’EFSA (European Com-

mission Food Safety) in una specifica Opinion del Novembre del 2004, pubblicata sul sito

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(www.efsa.eu.int), evidenzia quanto sia importante per le galline ovaiole la possibilità

di manifestare comportamenti quali razzolare, fare bagni di sabbia, appollaiarsi su un

sostegno, costruire e/o scegliersi un nido e come l’impossibilità di esprimere tali com-

portamenti possa indurre negli animali uno stato di deprivazione, frustrazione e quindi

più in generale di mancato benessere. Suggerisce inoltre che eventuali problematiche ri-

scontrate negli allevamenti in gabbie modificate e in sistemi alternativi possano essere

risolte mediante un’appropriata gestione degli animali, l’utilizzo di strutture appropria-

te nonché una adeguata selezione genetica.

Risulta comunque evidente quanto sia importante l’attuazione di studi scientifici volti ad

oggettivare lo stadio di mancato welfare delle galline ovaiole e a ricercare quale tipolo-

gia di allevamento sia in grado di garantire il benessere animale, l’igiene delle produzio-

ni, la sanità animale (vedi i recenti episodi di influenza aviare) e la sostenibilità econo-

mica.

4.2 RIFERIMENTI NORMATIVI

- Decreto Legislativo n. 267 del 29 luglio 2003 - Attuazione delle direttive 1999/74/CE

e 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabi-

limenti di allevamento (G. U. n. 219 del 20/09/2003) e successive modifiche.

- Decreto Legislativo n. 146 del 26 marzo 2001 – Attuazione della direttiva 98/58/CE re-

lativa alla protezione degli animali negli allevamenti (G.U. n. 95 del 24/04/2001).

4.3 DEFINIZIONI

a) proprietario o detentore: qualsiasi persona fisica o giuridica che, anche tem-

poraneamente, è responsabile o si occupa degli animali;

b) autorità competente: il Ministero della Salute e quali autorità sanitarie terri-

torialmente competenti: le regioni, le province autonome e le Aziende sanita-

rie locali;

c) galline ovaiole: le galline della specie Gallus gallus, mature per la deposizione

di uova, allevate ai fini della produzione di uova non destinate alla cova;

d) nido: uno spazio separato, i cui componenti escludono per il pavimento qualsia-

si utilizzo di rete metallica o plastificata che possa entrare in contatto con i vo-

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latili, previsto per la deposizione delle uova di una singola gallina o di un grup-

po di galline, così detto nido di gruppo;

e) lettiera: il materiale allo stato friabile che permette alle ovaiole di soddisfare

le loro esigenze etologiche;

f) gabbia: uno spazio chiuso destinato ad ospitare le galline ovaiole in un sistema

a batteria;

g) sistema a batteria: un insieme di gabbie disposte in fila su un unico piano o

incastellate;

h) zona utilizzabile: una zona avente una larghezza minima di 30 cm, una pen-

denza massima del 14 per cento sovrastata da uno spazio libero avente un'al-

tezza minima di 45 cm. Gli spazi destinati a nido non fanno parte della zona u-

tilizzabile;

i) unità produttiva: un capannone dove vengono allevate in tutto o in parte le

galline ovaiole;

j) allevamento: insieme di una o più unità produttive situate nella stessa area.

3. Il presente decreto non si applica agli stabilimenti con meno di 350 galline ovaiole e a quelli

di allevamento di galline ovaiole riproduttrici, nei confronti dei quali trovano comunque appli-

cazione le prescrizioni di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 146.

Decreto Legislativo 267/2003, articolo 1, comma 2 e 3

Le definizioni previste dalla norma sono aumentate dalle tre previste dal Decreto Presi-

dente della Repubblica 233/1988 alle dieci del Decreto Legislativo 267/2003.

Innanzitutto viene definito il proprietario o detentore, cioè la persona responsabile o

che si occupa degli animali, anche temporaneamente. Questa definizione, che non era

precedentemente prevista, individua in modo preciso chi ha il dovere di assicurare quan-

to previsto dalla legge.

Anche la definizione di “galline ovaiole” è stata modificata, nel senso che ora è stata

ristretta ai soli soggetti allevati per la produzione “di uova non destinate alla cova”,

mentre prima era estesa alla “produzione di uova” in senso lato. L’allevamento in gab-

bia di galline per la produzione di uova da cova viene pertanto ora espressamente esclu-

so dall’ambito di applicazione.

Il nido è uno degli elementi di novità previsto per i sistemi alternativi e per le gabbie

modificate. Poco c’è da aggiungere alla descrizione di legge, ma una considerazione i-

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gienico sanitaria è utile: ancora non è stato trovato il nido in grado di mantenere la qua-

lità delle uova analoga a quella prodotta dalle gabbie tradizionali. Ma considerazioni più

approfondite saranno esposte nei paragrafi successivi.

La lettiera è un altro elemento di novità previsto ancora per i sistemi alternativi e per le

gabbie modificate (scatola o vaschetta per il bagno di sabbia). Per queste ultime rimane

qualche perplessità, riportata anche in letteratura, sul fatto che - nelle gabbie modifica-

te - possano esservi deposte uova (Appleby, 2002), con difficoltà di raccolta e di mante-

nimento della loro buona qualità igienica. Anche su questo argomento verranno proposte

alcune considerazione più avanti.

La definizione di gabbia ci fornisce una descrizione “indiretta” dei sistemi alternativi, i

quali saranno quelli che non ospitano in limitati spazi confinati (chiusi) le galline ovaio-

le.

Anche la definizione di zona utilizzabile è di nuova introduzione e viene poi ripresa solo

nell’allegato B, quello che descrive i requisiti per i sistemi alternativi.

Negli allegati C e D (relativi ai sistemi di allevamento in gabbie) è invece utilizzato il

termine “superficie utilizzabile”, non previsto nelle definizioni, in relazione all’area mi-

nima da mettere a disposizione di ciascuna ovaiola.

La normativa non fornisce la definizione di “indicatore di benessere”, né un elenco di

quelli considerati “scientificamente validi” per le galline ovaiole, sebbene sulla valuta-

zione di essi si fondino tutte le considerazioni tecniche e si basi la stesura della normati-

va.

Tali indicatori si possono dedurre dallo studio della letteratura disponibile, anche se tal-

volta non vi è unanimità di vedute. Da essa, infatti, si evidenzia come i diversi Autori

abbiano dato il loro apporto al chiarimento dello stato di benessere delle galline ovaiole

interpretando la variazione di certi parametri derivante dall’applicazione di diverse

condizioni di stabulazione. Nella pratica però, spesso, dopo aver sottoposto gli animali

allo stesso fattore “stressante” o da studiare, si ottengono risposte, per i diversi indica-

tori osservati, contrastanti tra loro (alcuni si spostano verso livelli ritenuti di maggiore

benessere, altri si spostano verso valori ritenuti di minore benessere); oppure la variabi-

lità individuale dei valori di alcuni parametri non consente di ottenere correlazioni signi-

ficative tra i risultati delle diverse tesi (Appleby, 1998, Tauson, 2001).

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Ciò permette di dire che per le galline ovaiole, probabilmente, non si è ancora in grado

di definire con certezza quali siano i parametri corretti da sottoporre a valutazione ed in

quale modo analizzarli, al fine di stabilire con una buona attendibilità quale effetto in-

ducano sull’animale le condizioni che vengono studiate.

Tali difficoltà, forse, portano ad aumentare la rilevanza di elementi etici, valori umani

ed emozionali (sicuramente più esposti alla soggettività) nell’esprimere considerazioni

conclusive. La discussione si farebbe quindi molto ampia, dovendo tentare di stabilire il

peso relativo dei diversi elementi (scientifico, etico, umano ed emozionale) nella defini-

zione di benessere delle galline ovaiole.

4.4 REQUISITI STRUTTURALI

Art. 2. Obblighi del proprietario o del detentore di galline ovaiole

Ferme restando le disposizioni di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 146, il

proprietario o il detentore deve rispettare le disposizioni di cui all'allegato A al

presente decreto, nonché, a decorrere dalle date in essi indicate, quelle di cui:

a) all'allegato B, nel caso di utilizzo di sistemi alternativi;

b) all'allegato C, nel caso di utilizzo di gabbie non modificate;

c) all'allegato D, nel caso di utilizzo di gabbie modificate.

Art. 3. D i v i e t i

A decorrere:

a) dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è vietato costruire o

mettere in funzione per la prima volta le gabbie di cui al punto 1 dell'allegato

C;

b) dal 1° gennaio 2012, è vietato utilizzare nell'allevamento le gabbie di cui al

numero 1 dell'allegato C.

Allegato B

…. Omissis ….

3. A decorrere dal 1° gennaio 2007, tutti i sistemi alternativi devono applicare

i requisiti di cui al presente allegato.

Decreto Legislativo 267/2003

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In questi articoli viene stabilito il futuro dei sistemi di allevamento delle galline ovaiole,

prevedendo un termine temporale oltre il quale sarà vietata la possibilità di allevamento

in gabbie non modificate o tradizionali.

Per la prima volta si prevedono le gabbie modificate come possibile alternativa all’altro

metodo di allevamento relativamente diffuso: l’allevamento a terra.

Prima di proseguire nell’analisi della normativa vediamo, più da vicino, i metodi di alle-

vamento “innovativi” rispetto a quelli tradizionalmente diffusi nel nostro territorio.

GLI “AVIARY SISTEM”

Per limitare le conseguenze negative dell’allevamento attuato solo in sistemi a terra (al-

ternativi) - siano essi con o senza possibilità di accedere a spazi all’aperto -, conseguen-

ze rappresentate da un lato dall’aumento dei costi fissi di produzione e dall’altro dalla

necessità di destinare maggiori superfici di terreno all’allevamento, sono sorte tipologie

di allevamento che prevedono l’aumento della superficie conteggiabile come “zona uti-

lizzabile” tramite l’introduzione di superfici aggiuntive ottenute con piani aperti sovrap-

posti aumentando così il numero di capi allevabili per metro quadrato di edificio. Tali si-

stemi, sviluppati soprattutto in Svizzera a seguito della messa al bando delle gabbie av-

venuta nel gennaio 1992, sono definiti “aviary sistem”. In letteratura sono disponibili

diversi lavori che riportano dati zootecnici ottenuti con tali sistemi, tra questi Abraham-

sson et al., 1998; Tauson, 2002.

In particolare l’esperienza svizzera è, secondo Häne et al., 2000, complessivamente po-

sitiva. È giusto, tuttavia, tenere presente che la realtà economica e zootecnica descritta

da questo Autore si fonda su piccole unità di allevamento (in media poco più di 3000 ca-

pi) e la maggioranza degli allevatori di ovaiole svizzeri integra il reddito derivante dalla

vendita delle uova con altre attività, in quanto per ben il 79% di essi tale commercio non

costituisce più del 50% del reddito; nel nostro Paese la realtà produttiva di questo setto-

re è profondamente differente.

Ad oggi è molto difficile stabilire se tali metodi siano realmente apportatori di benessere

per la gallina ovaiola e se siano adottabili nella pratica da un imprenditore come fattore

produttivo; unanime è invece la conclusione sulla maggiore possibilità per la gallina o-

vaiola di esprimere un repertorio comportamentale più ampio.

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Alcune delle considerazioni riportate più avanti sui fattori di arricchimento ambientale

sono valide anche per i sistemi di allevamento a terra; qui si precisa solamente che la

mortalità da cannibalismo e le parassitosi a ciclo oro-fecale sono i due elementi più cri-

tici per tale metodo d’allevamento.

LE GABBIE MODIFICATE

Recentemente si è tentato quindi di associare gli aspetti positivi dell’allevamento in

gabbia ad un arricchimento dell’ambiente circoscritto in cui l’animale vive, proponendo,

appunto, le gabbie modificate. Queste dapprima furono concepite per contenere gruppi

numerosi (30 - 40 capi), ritenendo che la vita in gruppi sociali più complessi fosse motivo

di maggiore benessere, ma le evidenze di casi di cannibalismo verificatisi, associate alle

difficoltà di controllo degli animali ed alla ridotta qualità delle uova ottenute, hanno in-

dirizzato le sperimentazioni verso gabbie per gruppi più ristretti, fino ad otto - dieci capi

(Tauson, 2002). Questa ulteriore tipologia di gabbia modificata è in uso e sperimentazio-

ne da pochi anni soltanto ed è quindi ancora soggetta a frequenti modifiche con lo scopo

di migliorarne la funzionalità.

Dai primi dati disponibili ottenuti in condizioni sperimentali o da gruppi medio-piccoli

mantenuti in condizioni di campo (Tauson, 2002; Appleby et al., 2002), non sembrano

emergere importanti variazioni della produttività (numero e massa di uova prodotte, in-

dice di conversione) degli animali allevati in gabbie modificate, rispetto a quella di ani-

mali allevati in gabbie tradizionali, purché si considerino anche le uova deposte dai pri-

mi nelle scatole della lettiera, uova che sono però di ridotta qualità igienica e freschez-

za. Tuttavia non si ottiene nemmeno una riduzione del dato di mortalità rispetto alle

gabbie non modificate. Inoltre l’utilizzo da parte della gallina ovaiola dei fattori di ar-

ricchimento sembra essere rilevante per posatoio e nido, ma ridotto per la vaschetta

della lettiera.

Altro aspetto importante da menzionare: la qualità delle uova deposte in gabbie modifi-

cate risulta complessivamente diminuita, rispetto a quella ottenuta in gabbie tradiziona-

li, per aumento del numero di uova sporche, perciò con elevata carica batterica, e con

guscio incrinato, non integro. Sono causate, le prime, in particolare dal fatto che la pre-

senza del posatoio, impedendo il calpestio di tutta la superficie della gabbia, determina

la formazione di aree in cui stazionano le feci e con le quali le uova vengono a contatto

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prima di giungere al nastro di raccolta; le seconde invece al lungo tratto che le separa

dal nastro di raccolta e che consente loro di giungere con velocità contro le altre uova

già ferme sul breve tratto di nastro in corrispondenza del nido.

Questo ultimi dati non sono di scarso conto se si ricorda che la norma sulla commercia-

lizzazione delle uova (Regolamento (CE) 2295/2003, articolo 5) prevede che "le uova di

categoria A debbano presentare almeno le caratteristiche seguenti: guscio e cuticola:

normali, puliti, intatti [...]”.

4.4.1 ATTREZZATURE DI STABULAZIONE

Allegato A

… omissis ….

5) I sistemi di allevamento devono essere concepiti in modo da evitare che le

galline possano scappare.

6) Gli impianti che comportano più piani di gabbie devono essere provvisti di

dispositivi o di misure adeguate che consentano di ispezionare direttamente e

agevolmente tutti i piani, e che facilitino il ritiro delle galline.

7) La gabbia e le dimensioni della relativa apertura devono essere concepite

in modo tale che una gallina adulta possa essere ritirata senza inutili soffe-

renze o senza essere ferita

Decreto Legislativo 267/2003

Tra le caratteristiche comuni richieste per tutti i tipi di allevamento vengono menziona-

te:

- la certezza che gli animali non possano scappare dalle gabbie;

- la necessità che l’ispezione delle gabbie a più piani per il controllo degli animali

sia agevole;

- la necessità che l’architettura della gabbie e delle aperture consenta l’estrazione

degli animali senza causare loro traumi o sofferenze.

A questo proposito è bene evidenziare come sia da attendersi che la presenza del posa-

toio e di altri elementi di arricchimento nella gabbia renda, in realtà, più difficoltosa sia

l’estrazione degli animali che l’ispezione delle gabbie.

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stesura 2008.1

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4.4.2 SPAZIO DISPONIBILE E DENSITÀ DI ALLEVAMENTO

Allegato B – disposizioni applicabili ai sistemi alternativi

1. Gli impianti di allevamento di cui al presente allegato, nuovi, ristrutturati o

messi in funzione per la prima volta, devono:

[…]

c) avere un coefficiente di densità non superiore a 9 galline ovaiole per metro

quadrato di zona utilizzabile. Tuttavia fino al 31 dicembre 2011, quando la zo-

na utilizzabile corrisponde alla superficie al suolo disponibile, gli allevamenti

che applicano il sistema di cui al presente allegato, possono avere un coeffi-

ciente di densità di 12 volatili per metro quadrato di superficie disponibile.

2. Oltre alle prescrizioni di cui al numero 1:

a) nei sistemi di allevamento che consentono alle galline ovaiole di muoversi

liberamente fra diversi livelli:

1) il numero massimo di livelli sovrapposti deve essere pari a 4;

2) l'altezza libera minima fra i vari livelli deve essere di 45 cm;

3) […]

4) i livelli devono essere installati in modo da impedire alle deiezioni di cadere

sui livelli inferiori;

Allegato C – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie non modifica-

te

Tutte le gabbie di cui al presente allegato devono soddisfare almeno i seguenti

requisiti:

a) consentire a ogni gallina ovaiola di disporre di almeno 550 centimetri qua-

drati di superficie della gabbia, misurata su un piano orizzontale e utilizzabile

senza limitazioni; dal calcolo devono essere esclusi eventuali bordi deflettori

antispreco.

[…]

d) avere un'altezza minima non inferiore a 40 cm per il 65 per cento della su-

perficie e non inferiore, in ogni punto, a 35 cm;

Allegato D – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie modificate

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Tutte le gabbie di cui al presente allegato devono soddisfare almeno i seguenti

requisiti:

a) consentire alle galline ovaiole di disporre:

1) di almeno 750 centimetri quadrati di superficie della gabbia per ogni galli-

na ovaiola, di cui 600 centimetri quadrati di superficie utilizzabile, fermo re-

stando che l'altezza della gabbia, diversa dall'altezza al di sopra della super-

ficie utilizzabile, non deve essere inferiore a 20 cm in ogni punto e che la su-

perficie totale di ogni gabbia non può essere inferiore a 2000 centimetri qua-

drati.

[…]

d) essere separate, quando disposte in fila, da passaggi aventi una larghezza

minima di 90 cm per agevolare l'ispezione, la sistemazione e l'evacuazione

delle galline ovaiole, e tra il pavimento dell'edificio e le gabbie delle file in-

feriori deve esservi uno spazio di almeno 35 cm;

Decreto Legislativo 267/2003

Quelli contenuti negli allegati B, C e D sono tra i passaggi della nuova normativa con le

maggiori e più immediate ripercussioni pratiche, in particolare nei seguenti ambiti:

a) I capi allevabili. Il primo e notevole impatto è per i sistemi di allevamento in gabbie

non modificate, cioè il sistema di allevamento tradizionalmente utilizzato oggi, in Italia,

per circa il 95% delle galline ovaiole allevate negli impianti professionali.

In essi lo spazio minimo messo a disposizione di ogni gallina ovaiola sale, per i gruppi ac-

casati dopo l’entrata in vigore del decreto, da 450 cm2 a 550 cm2: ciò significa un au-

mento della superficie disponibile del 22,2%, ovvero, in altri termini, una riduzione del

18,2% del numero dei capi allevabili a parità di impianti attivi presenti.

Nel 2012 poi, divenendo obbligatorie le sole gabbie modificate ed i requisiti previsti per

esse, la superficie per capo accasato salirà a 750 cm2 portando ad una ulteriore riduzio-

ne, rispetto ai numeri di oggi, del 26,8% e, rispetto ai 450 cm2 di ieri, addirittura del

40%.

b) La produttività. I dati zootecnici di campo ottenibili nelle condizioni di disponibilità

di superficie previste dalla precedente normativa (450 cm2 per capo) sono già pros-

simi o equivalenti ai livelli di produttività teorici attesi da un certo genotipo, ciò

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probabilmente perché lo stato neuro-endocrino delle galline ovaiole così allevate non

è lontano dall’equilibrio naturale. Per questo motivo, non è pensabile che gli animali

sottoposti alle nuove condizioni di disponibilità di superficie possano produrre signifi-

cativamente di più avendo a disposizione 550 cm2. Ciò comporta una equivalente ri-

duzione della produzione interna disponibile.

c) Lo spazio utile. Una terza osservazione importante a proposito della superficie mi-

nima riguarda i tipi genetici utilizzati per la produzione di uova: essi possono variare

significativamente per caratteristiche morfologiche, in particolare nelle dimensioni

corporee; ad esempio per i genotipi utilizzati in Italia il peso corporeo oscilla indica-

tivamente da 1,7 kg a 2,2 kg per capo a fine ciclo (con variazioni quindi del 30% cir-

ca); ciò, evidentemente, dovrebbe richiedere l’attribuzione di differenti superfici

minime.

Una osservazione va fatta anche sugli spazi per capo previsti per i sistemi alternativi: la

densità massima prevista per l’allevamento a terra dal decreto MAF 16 aprile 1986 (e ri-

preso dal MPAF con nota prot. n. M/73 del 18 gennaio 2002) era di 7 galline per m2;

quella prevista dal DPR 267/2003 è invece incrementata a 9 capi/m2 di “zona utilizzabi-

le” per i nuovi impianti e si eleva, fino al 31-12-2011, per gli impianti che già applicano

questo metodo di allevamento e quando la zona utilizzabile corrisponde alla superficie

al suolo disponibile (non vi sono quindi superfici aggiuntive su livelli diversi come

nell’“aviary sistem”) a 12 capi per metro quadrato.

In questo caso la norma europea si muove nella direzione opposta di quanto fa per

l’allevamento in gabbia; infatti con l’utilizzo dei piani di rete o grigliato sovrapposti (fi-

no ad un massimo di quattro e mantenendo almeno un terzo di superficie del pavimento

a lettiera) si può giungere ad accasare oltre 20 capi per metro quadrato di capannone; le

uova prodotte in queste diverse opzioni di allevamento verranno però classificate, dal

punto di vista commerciale, nello stesso modo.

Conseguenza ovvia di cui sarà importante valutare l’impatto è l’aumento del costo di

produzione, quindi il conseguente aumento del prezzo di acquisto per il consumatore fi-

nale. Tale aumento si realizza con il rischio di non avere in cambio un reale aumento di

qualità del prodotto acquistato.

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stesura 2008.1

112

4.4.3 TIPO DI PAVIMENTAZIONE

Allegato B – disposizioni applicabili ai sistemi alternativi

[…]

4) posatoi appropriati, privi di bordi aguzzi e che offrano almeno 15 cm di

spazio per gallina ovaiola. I posatoi non devono sovrastare le zone coperte

di lettiera, la distanza orizzontale fra posatoi non deve essere inferiore a

30 cm e quella fra i posatoi e le pareti non inferiore a 20 cm;

5) una superficie di lettiera di almeno 250 cm quadrati per gallina ovaiola; la

lettiera deve occupare almeno un terzo della superficie al suolo;

b) essere dotati di pavimento che sostenga adeguatamente ciascuna delle

unghie anteriori di ciascuna zampa;

Allegato C – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie non modifi-

cate

[…]

e) essere dotate di pavimento che sostenga adeguatamente ciascuna delle un-

ghie anteriori di ciascuna zampa. La pendenza del pavimento non deve supe-

rare il 14 per cento ovvero 8 gradi; pendenze superiori sono consentite solo

per i pavimenti diversi da quelli provvisti di rete metallica rettangolare.

Decreto Legislativo 267/2003

Nei sistemi alternativi viene stabilita la superficie minima di lettiera da mettere a dispo-

sizione di ciascun capo e la quantità minima di superficie coperta da lettiera al fine di

limitare l’introduzione di superfici aggiuntive. Nessuna particolare novità viene introdot-

ta per le gabbie convenzionali e, addirittura, nulla è specificato riguardo al tipo di pa-

vimentazione per le gabbie modificate.

4.4.4 ARRICCHIMENTO AMBIENTALE

Allegato B – disposizioni applicabili ai sistemi alternativi

[…]

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stesura 2008.1

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3) almeno un nido per 7 galline ovaiole. Se sono utilizzati

nidi di gruppo, deve essere presente una superficie di almeno 1 metro

quadrato per un massimo di 120 galline ovaiole;

4) posatoi appropriati, privi di bordi aguzzi e che offrano almeno 15 cm di

spazio per gallina ovaiola. I posatoi non devono sovrastare le zone coperte

di lettiera, la distanza orizzontale fra posatoi non deve essere inferiore a

30 cm e quella fra i posatoi e le pareti non inferiore a 20 cm;

5) una superficie di lettiera di almeno 250 cm quadrati per gallina ovaiola; la

lettiera deve occupare almeno un terzo della superficie al suolo;

[…]

b) se le galline ovaiole dispongono di un passaggio che consente loro di uscire

all'aperto:

1) le diverse aperture del passaggio devono dare direttamente accesso allo

spazio all'aperto, avere un'altezza minima di 35 cm, una larghezza di 40 cm ed

essere distribuite su tutta la lunghezza dell'edificio; per ogni 1000 galline o-

vaiole deve essere comunque disponibile un'apertura totale di 2 m;

Allegato C – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie non modifi-

cate

[…]

f) essere provviste di dispositivi per accorciare le unghie;

Allegato D – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie modificate

[…]

2) di un nido la cui area non entra a far parte della superficie disponibile;

3) di una lettiera che consenta di becchettare e razzolare;

4) di posatoi appropriati che offrano almeno 15 cm di spazio per gallina ovaio-

la;

[…]

e) essere provviste di dispositivi per accorciare le unghie.

Decreto Legislativo 267/2003

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stesura 2008.1

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Lettiera

Oltre alle segnalazioni riportate in letteratura che riferiscono della difficoltà di distri-

buire il materiale per la lettiera in un numero elevato di piccoli siti quali sono i conteni-

tori delle gabbie modificate, e che, al momento, essa sembra essere il fattore di arric-

chimento ambientale meno utilizzato dalle galline, è bene sottolineare che la lettiera,

sia nell’allevamento al suolo sia nella cassetta delle gabbie modificate, favorisce il com-

pimento del ciclo oro-fecale di infezioni e infestazioni parassitarie, con due conseguen-

ze:

- la necessità di impiego di molecole farmacologiche per il controllo profilattico o

terapeutico di queste malattie,

- l’aumento del rischio che uova contaminate da batteri zoonotici giungano al con-

sumatore.

Questo aspetto risulta essere di grande importanza perché gli elementi sopra riportati si

pongono in contrasto con altri obiettivi della Comunità Europea:

a) la riduzione delle molecole ammesse sia per uso terapeutico che profilattico per

gli animali destinati alla produzione di alimenti per l’uomo. Ciò significa che, idealmen-

te, bisognerebbe arrivare a produrre gestendo così bene gli allevamenti e gli animali che

la necessità di somministrazione di molecole farmacologicamente attive dovrebbe dive-

nire un’eccezione. Ebbene, è da attendersi che questo sia più facilmente ottenibile uti-

lizzando l’allevamento in gabbie tradizionali che mediante i sistemi di allevamento pre-

visti in sostituzione delle stesse.

b) il controllo degli agenti zoonotici negli animali e nei prodotti di origine animale,

normativa recentemente aggiornata dalla “Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Euro-

peo e del Consiglio del 17 novembre 2003, sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e

degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/CEE del Consiglio e che

abroga la Direttiva 92/117/CEE del Consiglio”, (in G.U. L 325 del 12/12/2003), e dal

“Regolamento CE 2160/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 novembre

2003 sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli ali-

menti”.

A questo proposito è importante sottolineare che l’allevamento in gabbia della gallina

ovaiola pur avendo dei difetti, ha sicuramente anche il pregio di avere ridotto in modo

netto il problema delle parassitosi e infezioni oro - fecali, a tutto vantaggio della qualità

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stesura 2008.1

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igienica dell’uovo, del benessere fisico delle galline e della riduzione di necessità di te-

rapie farmacologiche, elementi che costituiscono i più rilevanti benefici di questo meto-

do di allevamento.

A ragione si potrebbe quindi osservare che in questo punto la normativa mette in con-

trapposizione il benessere dell’animale allevato con la sicurezza del consumatore, che si

auspica venga risolta in sede di revisione, facendo prevalere la sicurezza del consumato-

re e del prodotto.

È bene precisare poi che l’allevamento all’aperto certamente non mitiga l’aumento del

rischio di infezioni oro - fecali legato al contatto con la lettiera, anzi lo favorisce per il

più facile e frequente contatto delle galline ovaiole allevate con la fauna selvatica o

suoi prodotti, e conseguente possibile trasmissione di patogeni da parte di eventuali por-

tatori.

Posatoio

Nelle gabbie modificate fornire 15 cm di posatoio per capo con un fronte di gabbia di 10

cm (valore minimo di mangiatoia) significa che essendo un solo segmento longitudinale

di posatoio insufficiente, ne servono due o paralleli o perpendicolari tra loro.

Già abbiamo ricordato che la presenza del posatoio oltre a consentire la possibilità di

appollaiarsi all’animale,

- impedisce il calpestio di tutta la superficie del pavimento della gabbia, con per-

manenza di feci su essa e conseguente aumento delle uova imbrattate;

- rende più difficile l’estrazione degli animali dalla gabbia;

- aumenta l’incidenza di deviazioni allo sterno.

Nido

Se il fondo del nido è “pieno” facile è la permanenza di sporco e feci sulla sua superfi-

cie, con rischio di imbrattamento esterno dell’uovo e riduzione della qualità igienica

dello stesso.

I nidi oggi progettati per l’allevamento a terra (sistemi alternativi) prevedono un im-

pianto automatico per la pulizia degli stessi e di espulsione degli animali per la notte,

ma complicato, per motivi di spazio, sarà applicarlo alle gabbie modificate.

Altro elemento evidenziato dagli studi fino ad ora condotti (Tauson, 2001) è che la di-

stanza del nido dal nastro raccolta uova è direttamente proporzionale alla percentuale

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di uova incrinate; per questo motivo sono in corso valutazioni di altri sistemi che con-

sentano di preservare l’uovo da urti con altre uova.

Dispositivi per accorciare le unghie

Non ne sono ancora stati individuati come idonei.

4.4.5 ABBEVERATA

Allegato B – disposizioni applicabili ai sistemi alternativi

1. […]

a) essere attrezzati in modo da garantire che tutte le galline ovaiole dispon-

gano di: […]

2) abbeveratoi continui che offrano 2,5 cm di lunghezza per gallina ovaiola o

abbeveratoi circolari che offrano 1 cm di lunghezza per gallina ovaiola. Inol-

tre, in caso di utilizzazione di abbeveratoi a tettarella o a coppetta, deve es-

sere prevista almeno una tettarella una coppetta ogni 10 galline ovaiole e,

nel caso di abbeveratoi a raccordo, ciascuna gallina ovaiola deve poter rag-

giungere almeno due tettarelle o due coppette; […]

Oltre alle prescrizioni di cui al numero 1: a) nei sistemi di allevamento che

consentono alle galline ovaiole di muoversi liberamente fra diversi livelli: […]

3) le mangiatoie e gli abbeveratoi devono essere ripartiti in modo da permet-

tere a tutte le galline ovaiole un accesso uniforme;

[…]

2. b) se le galline ovaiole dispongono di un passaggio che consente loro di u-

scire all'aperto:

[…]

b) essere provvisti di riparo dalle intemperie e dai predatori e di abbeveratoi

appropriati.

Allegato C – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie non modificate

[…]

c) disporre, in mancanza di tettarelle o coppette, di un abbeveratoio continuo

della medesima lunghezza della mangiatoia indicata alla lettera b). Nel caso

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stesura 2008.1

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di abbeveratoi a raccordo, da ciascuna gabbia devono essere raggiungibili al-

meno due tettarelle o coppette;

Allegato D – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie modificate

[…]

c) disporre di un sistema di abbeveraggio appropriato tenuto conto, in parti-

colare, della dimensione del gruppo; nel caso di abbeveratoi a raccordo, cia-

scuna gallina ovaiola deve poter raggiungere almeno due tettarelle o coppet-

te;

Decreto Legislativo 267/2003

Non vengono introdotte novità sulla disponibilità di abbeveratoi o sulla loro disposizione,

elementi per i quali non servono particolari commenti.

4.4.6 INTERAZIONE VISIVA E ILLUMINAZIONE

Allegato A

3) Tutti gli edifici devono essere dotati di un'illuminazione sufficiente per

consentire alle galline di vedersi e di essere viste chiaramente, di guardarsi

intorno e di muoversi normalmente. In caso di illuminazione naturale le aper-

ture per la luce devono essere disposte in modo da ripartirla uniformemente

nei locali. Dopo i primi giorni di adattamento, al fine di evitare problemi di

salute e di comportamento, deve seguire un ciclo di ventiquattro ore com-

prensivo di un periodo di oscurità sufficiente e ininterrotto, a titolo indicati-

vo pari a circa un terzo della giornata, per consentire alle galline di riposarsi

ed evitare problemi quali immunodepressione e anomalie oculari. In concomi-

tanza con la diminuzione della luce deve essere rispettato un periodo di pe-

nombra di durata sufficiente per consentire alle galline di sistemarsi senza

confusione o ferite.

Decreto Legislativo 267/2003, Allegato A, punto 3

La luce ed il fotoperiodo sono elementi fondamentali per la maturazione sessuale dei vo-

latili e quindi della gallina ovaiola.

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118

Pertanto le strutture di allevamento sono certamente dotate di adeguati impianti di il-

luminazione e regolazione del ciclo giorno/notte.

Osservazioni recenti portano però a constatare che una intensità elevata di luce innervo-

sisce le galline e favorisce comportamenti anomali quali la pica ed il cannibalismo, con

conseguente aumento della percentuale di mortalità; questo avviene in particolare per

certi tipi genetici o in certi periodi della fase produttiva.

Intensità di 30-40 lux, ritenute ottimali qualche anno fa, sono ora considerate eccessive,

mentre ottimali sono considerati i 5-15 lux. Il valore di intensità luminosa corretto varia

però in funzione dell’intensità somministrata in fase di accrescimento (pulcinaia): se ta-

le fase si è svolta in capannoni oscuri con intensità fino a 10 lux, in deposizione sarà ne-

cessario assicurare intensità di pochi lux alla mangiatoia nei punti più distanti dalle lam-

pade, ciò al fine di evitare intensità eccessive vicino alle lampade stesse. Per tale moti-

vo è difficile stabilire per legge quale sia il giusto modo di somministrare la luce, mentre

c’è accordo sulla necessità che, qualunque siano il tipo di luce ed i tempi di sommini-

strazione utilizzati, la distribuzione sia uniforme e sufficiente perché l’animale possa in-

dividuare le attrezzature vitali: mangiatoia e, soprattutto, abbeveratoi. Sarà pertanto

meglio avere tanti punti luce con lampade a bassa intensità piuttosto che radi punti luce

con lampade ad elevata potenza.

Ancora una osservazione: nel periodo estivo, nel nostro clima, è di grande aiuto alimen-

tare anche nelle ore notturne gli animali, sfruttando il calo di temperatura tipico di que-

ste ore. Per far ciò è però necessario introdurre circa una - due ore di illuminazione not-

turna oltre il normale periodo di illuminazione giornaliero, interrompendo così il periodo

di oscurità. L’adozione di questo adeguamento tanto importante per l’animale, risulte-

rebbe però in disaccordo con la norma che prescrive di assicurare “un periodo di oscuri-

tà sufficiente e ininterrotto, a titolo indicativo pari a circa un terzo della giornata”. Na-

turalmente questa necessità non si realizza nelle regioni del nord Europa, nelle quali

d’estate non si raggiungono valori elevati di temperatura.

4.4.7 MICROCLIMA AMBIENTALE

La norma non fornisce prescrizioni a questo riguardo. Per tale motivo qui si riporterà so-

lo qualche osservazione.

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stesura 2008.1

119

L’apparato respiratorio degli uccelli ha caratteristiche anatomo - fisiologiche particolari,

con alcune importanti differenze rispetto a quello dei mammiferi (Boiti, 1995). L’intimo

rapporto anatomico tra apparato respiratorio nel suo complesso ed organi interni e cavi-

tà ossee, rende ragione dell’importanza di mantenere sano questo apparato e di quanto

possano essere debilitanti e rapidamente mortali le patologie batteriche che lo colpisca-

no. Al fine di perseguire questo obiettivo nell’ambiente di allevamento è importante av-

vicinarsi il più possibile alla composizione normale dell’aria.

La gallina ovaiola gradisce anche elevate velocità dell’aria (fino a 2m/sec) se la tempe-

ratura è superiore a 25-26°C, in quanto tale velocità favorisce lo scambio e

l’eliminazione di calore corporeo. Per quanto riguarda la temperatura (t°), è ritenuta

ottimale se compresa tra 19 e 25°C, anche se nelle prime settimane dopo l’accasamento

nell’unità di deposizione è bene mantenersi su valori simili a quelli presenti in alleva-

mento di accrescimento (pulcinaia); di rilievo è il mantenere costante la temperatura,

cioè evitare il verificarsi di oscillazioni superiori a 5-6°C nelle 24 ore. Temperature infe-

riori a quelle ottimali indurranno l’animale ad un maggiore consumo di alimento per

mantenere la temperatura corporea. Nella stagione calda largamente impiegati nelle

moderne strutture di allevamento sono i sistemi di raffrescamento evaporativo. È oppor-

tuno infine osservare che i capannoni completamente chiusi (oscurati), impedendo la

penetrazione di luce solare diretta, consentono un migliore e più uniforme mantenimen-

to di temperature confortevoli all’interno della struttura.

4.4.8 RUMOROSITÀ AMBIENTALE

Allegato A

Il livello sonoro deve essere ridotto al minimo possibile e si devono evitare

rumori di fondo o improvvisi. La costruzione, l'installazione, la manutenzione

e il funzionamento dei ventilatori, dei dispositivi di alimentazione e di altre

attrezzature devono essere tali da provocare il minimo rumore possibile.

Decreto Legislativo 267/2003, Allegato A, punto 2.

Nulla è da aggiungere a quanto indicato dalla norma, in quanto tali prescrizioni sono ab-

bastanza intuitive; significativo, in questa materia, il coinvolgimento dei produttori di

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stesura 2008.1

120

attrezzature nel costruire ed installare equipaggiamenti che soddisfino i requisiti previ-

sti.

4.4.9 SOMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI

14. Agli animale deve essere fornita un’alimentazione sana adatta alla loro

età e specie e in quantità sufficiente a mantenerli in buona salute e a soddi-

sfare le loro esigenze nutrizionali. […]

17. Le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono es-

sere concepite, costruite e installate in modo da ridurre al minimo le possibi-

lità di contaminazione degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze negative

derivanti da rivalità tra gli animali.

Decreto Legislativo 146/2001, allegato unico, punti 14 e 17

Allegato B – disposizioni applicabili ai sistemi alternativi

[…]

a) essere attrezzati in modo da garantire che tutte le galline ovaiole dispon-

gano di:

1. mangiatoie lineari che offrano almeno 10 cm di lunghezza per gallina o-

vaiola o di mangiatoie circolari che offrano almeno 4 cm di lunghezza per gal-

lina ovaiola;

[…]

2. Oltre alle prescrizioni di cui al numero 1:

a) nei sistemi di allevamento che consentono alle galline ovaiole di muoversi

liberamente fra diversi livelli:

[…]

3) le mangiatoie e gli abbeveratoi devono essere ripartiti in modo da permet-

tere a tutte le galline ovaiole un accesso uniforme;

Allegato C – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie non modificate

[…]

b) avere una mangiatoia utilizzabile senza limitazioni, di una lunghezza mi-

nima di 10 cm moltiplicata per il numero di galline ovaiole nella gabbia;

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Allegato D – disposizioni applicabili all'allevamento in gabbie modificate

[…]

b) avere una mangiatoia utilizzabile senza limitazioni, di una lunghezza mi-

nima di 12 cm moltiplicata per il numero di galline ovaiole in gabbia;

Decreto Legislativo 267/2003

Pur non essendo un elemento considerato dalla normativa specifica ma solo dal

Decreto Legislativo 146/2001, la somministrazione di alimenti conformi ai fabbi-

sogni specifici definiti per i principali ibridi in commercio e nelle quantità effetti-

vamente necessarie, in funzione del mantenimento della giusta curva di peso cor-

poreo (sia nel periodo di crescita che in quello di produzione), dell’andamento

delle curve di produzione percentuale e di peso dell’uovo, è elemento di grande

rilevanza per il mantenimento del benessere della gallina ovaiola, con ripercus-

sioni sul comportamento talvolta più evidenti di altri parametri ambientali consi-

derati dalla legge.

Se l’alimentazione è ben curata sia in termini di studio (formulazione) e produzio-

ne dell’alimento che nel metodo di somministrazione si può riscontrare la riduzio-

ne di prevalenza di determinati problemi d’allevamento.

4.4.10 IMPIANTI AUTOMATICI O MECCANICI

13. Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il

benessere degli animali deve essere ispezionato almeno una volta al giorno.

Gli eventuali difetti riscontrati devono essere eliminati immediatamente; se

ciò non è possibile, occorre prendere le misure adeguate per salvaguardare la

salute ed il benessere degli animali.

Se la salute ed il benessere degli animali dipendono da un impianto di venti-

lazione artificiale, deve essere previsto un adeguato impianto di riserva per

garantire un ricambio di aria sufficiente a salvaguardare la salute ed il benes-

sere degli animali. In caso di guasto all’impianto deve essere previsto un si-

stema di allarme che segnali il guasto. Detto sistema d’allarme deve essere

sottoposto a controlli regolari.

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stesura 2008.1

122

Decreto Legislativo 146/2001, allegato unico, punto 13

L’installazione di numerosi sistemi automatici (quali alimentazione, gestione microclima

ambientale, raccolta uova, evacuazione pollina, …) riduce la necessità per l’allevatore

di permanere all’interno dei locali di stabulazione e tende a spostare l’attenzione degli

operatori sul controllo degli impianti, a scapito dell’osservazione degli animali. Questo

costituisce una tentazione alla quale il bravo allevatore non deve cedere, confidando

non solo sui sistemi meccanici ma anche sui propri sensi, i quali molto spesso sono in

grado di rilevare situazioni non adeguate prima dei processi di controllo automatici.

4.5 ASPETTI GESTIONALI

Numerosi sono gli elementi gestionali che hanno ripercussioni sul benessere della gallina

ovaiola in deposizione e impossibile è il loro novero in un testo di legge. L’esperienza in-

segna a controllare ed orientare in un certo modo tali fattori; spesso il buon esito di un

ciclo produttivo, a parità di ambiente di allevamento, dipende da questi elementi.

4.5.1 CONTROLLO DEGLI ANIMALI

1) Tutte le galline ovaiole devono essere ispezionate dal proprietario o deten-

tore almeno una volta al giorno.

Decreto Legislativo 267/2003, Allegato A, punto 1

6) Gli impianti che comportano più piani di gabbie devono essere provvisti di

dispositivi o di misure adeguate che consentano di ispezionare direttamente e

agevolmente tutti i piani, e che facilitino il ritiro delle galline.

Decreto Legislativo 267/2003, Allegato A, punto 6

3) Per consentire l’ispezione completa degli animali in qualsiasi momento,

deve essere disponibile un’adeguata illuminazione fissa o mobile.

4) Gli animali malati i feriti devono ricevere immediatamente un trattamento

appropriato e, qualora un animale non reagisca alle cure in questione, deve

essere consultato un medico veterinario. Ove necessario gli animali malati o

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stesura 2008.1

123

feriti vengono isolati in appositi locali muniti, se del caso, di lettiere asciutte

o confortevoli.

Decreto Legislativo 146/2001, allegato unico, punti 3 e 4

L’azione di ispezione degli animali è ritenuta, dalla norma, un momento importante del-

la gestione degli animali: osservare i propri soggetti, valutare la presenza di sintomato-

logie o atteggiamenti anormali nel gruppo, verificare la regolarità della disponibilità e

del consumo di acqua e mangime, sono attività che offrono molte informazioni impor-

tanti sullo stato del gruppo.

4.5.2 PERSONALE

2. Per favorire una migliore conoscenza degli animali domestici da allevamen-

to, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto legisla-

tivo le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano possono organizza-

re periodicamente, per il tramite dei servizi veterinari delle aziende sanitarie

locali, corsi di qualificazione professionale con frequenza obbligatoria per gli

operatori del settore, allo scopo di favorire la più ampia conoscenza in mate-

ria di etologia animale applicata, fisiologia, zootecnia e giurisprudenza.

Decreto legislativo 146/2001, art. 2, punto 2

1. Gli animali sono accuditi da un numero sufficiente di addetti aventi ade-

guate capacità, conoscenze e competenze professionali.

Decreto legislativo 146/2001, allegato unico, punto 1

Praticamente nulla è più previsto in modo specifico riguardo al personale dal Decreto

Legislativo 267/2003, al contrario del DPR 233/1988 che, sia all’art. 4 che all’art. 7,

prevedeva una quantità adeguata di personale istruito e l’obbligatorietà della presenza

di personale che abbia conseguito un attestato di partecipazione a corsi formativi speci-

fici.

Rimangono comunque le disposizioni generali previste dal Decreto legislativo 146/2001

che, nell’allegato, prescrive che gli addetti, presenti in numero sufficiente, siano in pos-

sesso di adeguata capacità, conoscenza e competenza.

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stesura 2008.1

124

4.5.3 ASPETTI IGIENICI E SANITARI

IGIENE DEGLI AMBIENTI E DELLE ATTREZZATURE

4.Tutti i locali, le attrezzature e gli utensili con i quali le galline sono in con-

tatto sono completamente puliti e disinfettati con regolarità e comunque ogni

volta che viene praticato un vuoto sanitario e prima di introdurre una nuova

partita di galline. Quando i locali sono occupati, tutte le superfici e le attrez-

zature devono essere mantenute in condizioni di pulizia soddisfacenti. Occor-

re eliminare con la necessaria frequenza le deiezioni e quotidianamente le

galline morte.

Decreto Legislativo 267/2003, Allegato A, punto 4

Le corrette misure di profilassi igienica sono un presupposto basilare per raggiungere

due finalità dell’allevamento:

a) mantenere buoni livelli di salute (quindi di benessere) degli animali e

b) ottenere elevata qualità igienico sanitaria della produzione.

Cogliere tali obiettivi, però, non è frutto di azioni improvvisate, ma richiede l’adozione

e l’esecuzione di un razionale programma di igiene d’allevamento (Motta et al., 1996).

L’introduzione di nuovi accessori (posatoio, bagno di sabbia) e spazi chiusi (nido) nelle

gabbie comporta purtroppo maggiori difficoltà nel mantenere buone come ad inizio ciclo

le condizioni di igiene degli ambienti.

INTERVENTI CRUENTI

8. Fatte salve le disposizioni di cui al numero 19 dell'allegato al decreto legi-

slativo 26 marzo 2001, n. 146, è vietato qualsiasi tipo di mutilazione. Tutta-

via, al fine di prevenire plumofagia e cannibalismo, è consentito il taglio del

becco, a condizione che sia effettuata da personale qualificato su pulcini di

età inferiore a dieci giorni destinati alla deposizione di uova sotto la respon-

sabilità del veterinario.

Decreto Legislativo 267/2003, Allegato A, punto 8

In questo paragrafo vi è l’unico riferimento alla qualificazione del personale.

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L’esecuzione della spuntatura del becco è una pratica preventiva ritenuta necessaria per

il contenimento dei danni che possono derivare da episodi di cannibalismo in età adulta,

i quali, una volta scatenati, sono molto difficilmente controllabili.

Alcuni Paesi nord europei hanno già vietato questa pratica, ma ciò rende molto più com-

plessa la gestione dei gruppi in produzione come riportato da numerosi lavori inerenti il

benessere delle galline ovaiole.

L’intensità luminosa, sia naturale che artificiale è un fattore favorente l’entità del dan-

no legato a questo vizio comportamentale, quindi risulta ovvio che i Paesi mediterranei

hanno maggiori necessità di adottare questa pratica rispetto a quelli del Nord Europa.

L’esperienza insegna che le lesioni fisiche, le sofferenze e la mortalità degli animali de-

rivanti da un episodio di pica che degenera in cannibalismo sono estremamente più gravi

di quelle che derivano da un intervento di riduzione del becco correttamente eseguito.

Perché l’intervento abbia una buona e duratura efficacia, provocando solo un limitato e

temporaneo fastidio per l’animale, è importante l’asportazione di una giusta quantità di

parte cornea del becco: troppo poco comporta la normale ricrescita del becco e una

quantità eccessiva può causare difficoltà di prensione dell’alimento con ostacolo

all’alimentazione del soggetto e, se più rilevante ancora, la perdita del rivestimento

corneo della punta del becco e la formazione di un callo molle non di rado dolente.

4.6 REGISTRAZIONE DEGLI ALLEVAMENTI

Art. 4 Registrazione degli allevamenti

1. Colui che intende avviare uno stabilimento di allevamento di galline ovaio-

le chiede la registrazione dello stesso ai Servizi veterinari della Azienda sani-

taria competente per territorio, inviando per iscritto i dati di cui al numero 1

dell'allegato E al presente decreto, prima dell'inizio dell'attività.

2. Per i fini di cui al comma 1, i Servizi veterinari iscrivono in un registro gli

allevamenti attribuendo a ciascuno di essi un numero distintivo unico, in con-

formità a quanto prescritto all'allegato E al presente decreto; nel caso di uti-

lizzo di registri già in uso per i fini stabiliti da altre normative del settore ve-

terinario, tali registri devono comunque contenere tutti i dati necessari per la

registrazione degli allevamenti, nonché il numero distintivo attribuito a cia-

scuno di essi.

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3. […]

4. Il proprietario o il detentore deve notificare tempestivamente eventuali

modifiche dei dati di cui al comma 1 ai Servizi veterinari della Azienda sani-

taria competente per territorio, che provvedono all'immediato aggiornamento

del registro degli allevamenti.

5. I registri degli stabilimenti di cui al presente articolo devono essere messi

a disposizione nel caso di cui all'articolo 6, comma 1, nonché per il rintraccio

delle uova immesse sul mercato, destinate al consumo umano.

6. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nessun al-

levamento può iniziare l'attività qualora non sia stato registrato e non abbia

ricevuto l'assegnazione del numero distintivo conformemente a quanto pre-

scritto al presente articolo ed alle disposizioni di cui all'allegato E al presente

decreto.

7. Le spese derivanti dalle procedure connesse alle attività di cui al presente

articolo, sono a carico del richiedente sulla base del costo effettivo del servi-

zio reso, secondo tariffe e modalità da stabilire con disposizione regionale.

Decreto Legislativo 267/2003

Allegato E

Dati richiesti per la registrazione.

Per ogni stabilimento di allevamento devono essere comunicati dal proprieta-

rio o detentore al servizio veterinario dell'Azienda sanitaria competente per

territorio, e registrati, almeno i seguenti dati:

- allevamento:

- nome dell'allevamento;

- indirizzo;

persona responsabile delle galline ovaiole (detentore):

- nome;

- indirizzo;

- numero(i) distintivo(i) di altro(i) allevamento(i) che rientra(no) nel campo

d'applicazione dell'art. 4 del presente decreto gestito(i) o di proprietà del de-

tentore;

proprietario dell'allevamento, se diverso dal detentore:

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- nome;

- indirizzo;

- numero(i) distintivo(i) di altro(i) allevamento(i) che rientra(no) nel campo

d'applicazione dell'art. 4 del presente decreto gestito(i) o di proprietà del

proprietario;

altre informazioni sull'allevamento:

- metodo(i) di allevamento conformemente alle definizioni di cui al punto

2.2;

- capacità massima dell'allevamento in numero di volatili presenti contempo-

raneamente; se vengono utilizzati metodi di allevamento diversi, il numero

massimo di volatili presenti contemporaneamente per ciascun metodo di alle-

vamento.

Numero distintivo.

2.1 Il numero distintivo che l'azienda sanitaria locale assegna ad ogni alleva-

mento è composto di una cifra che indica il metodo di allevamento definito

conformemente al punto 2.2, seguita nell'ordine dal codice dello Stato italia-

no «IT», dal codice ISTAT del comune ove è ubicato l'allevamento (3 cifre),

dalla sigla della provincia e da un numero progressivo di tre cifre che consen-

ta di identificare in modo univoco l'allevamento.

Esempio: «3 IT 001 TO 036»

Può, inoltre, essere aggiunta una lettera («A . . . Z») in coda al numero di-

stintivo sopraindicato per l'identificazione di singoli branchi di galline ovaiole

o dei diversi locali dell'allevamento nei quali essi soggiornano.

Codice per il metodo di allevamento.

I metodi di allevamento come definiti nel regolamento (CEE) n. 1274/91, mo-

dificato, utilizzati nell'allevamento devono essere indicati con il seguente co-

dice:

«1» All'aperto;

«2» A terra;

«3» In gabbie.

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Il metodo di allevamento utilizzato in allevamenti la cui produzione avviene

secondo le condizioni specificate dal regolamento (CEE) n. 2092/91 deve esse-

re indicato come segue:

«0» Produzione biologica.

Decreto Legislativo 267/2003

Oltre alle disposizioni relative al benessere delle galline ovaiole, il Decreto Legislativo

267/2003 comprende delle prescrizioni riguardanti la registrazione degli allevamenti.

Di maggiore interesse in questa trattazione è la parte attinente l’attribuzione di un co-

dice di allevamento che contiene, per la prima volta, anche l’identificazione della tipo-

logia di allevamento, mediante una sigla. Questa sigla viene riportata sugli imballi delle

uova messe in commercio e stampata sul singolo uovo, al fine di consentire al consuma-

tore finale di scegliere coscientemente il tipo di prodotto acquistato.

Come anticipato nelle premesse, il metodo di allevamento come definito dal Decreto

Legislativo 267/2003 da facoltativo diviene elemento vincolante per la etichettatura del-

le uova messe in commercio, in qualunque modo ciò avvenga, anche nel caso di vendita

di uova sfuse, e dal 01 luglio 2005 anche per le uova non classificate in categorie di peso

vendute direttamente dal produttore su un mercato pubblico locale (Circolare MPAF n. 1

del 19 gennaio 2004).

4.7 SANZIONI

1. Salvo che il fatto costituisca reato, il proprietario o il detentore che violi

le disposizioni di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 2, e quelle di cui al

numero 8 dell'allegato A, nonché i divieti di cui all'articolo 3, è punito con la

sanzione amministrativa pecuniaria da 1.550,00 euro a 9.300,00 euro.

2. L'autorità competente, valutata la gravità delle carenze riscontrate nel

corso dei controlli, può sospendere l'applicazione della sanzione di cui al

comma 1 in caso di tempestivo e puntuale adeguamento alle prescrizioni det-

tate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a). La sospensione è automati-

camente revocata in caso di reiterazione delle violazioni e non può essere

concessa in caso di recidiva.

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stesura 2008.1

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3. Nel caso di reiterazione delle violazioni di cui al comma 1, la sanzione am-

ministrativa pecuniaria è aumentata fino alla metà ed è disposta la sospen-

sione dell'attività svolta, a fine ciclo, da uno a tre mesi con riferimento alle

unità produttive risultate non conformi; nell'ipotesi di sospensione dell'attivi-

tà, il proprietario o il detentore è tenuto comunque ad assicurare il benessere

delle galline ovaiole. Fermo restando che in tale periodo di sospensione del-

l'attività non vanno computati i periodi di vuoto biologico e di vuoto sanita-

rio.

4. Il proprietario o detentore che ometta di richiedere la registrazione previ-

sta all'articolo 4, commi 1 e 3, entro i termini indicati al medesimo articolo 4,

è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 515,00 euro a 3.090,00

euro, nonché la sospensione dell'attività fino all'avvenuta registrazione dello

stabilimento di allevamento; all'accertamento di tale violazione consegue

sempre la registrazione d'ufficio dell'allevamento, con spese a carico del sog-

getto interessato, determinate ai sensi dell'articolo 4, comma 7.

Decreto Legislativo 267/2003, articolo 7

Non servono molti commenti su questi punti, ma è giusto evidenziare che alcune impor-

tanti novità sono state introdotte:

- l’autorità competente può sospendere l’applicazione della sanzione in caso di

tempestivo e puntuale adeguamento alle prescrizioni dettate;

- tale sospensione è automaticamente revocata in caso di reiterazione delle viola-

zioni e non può essere concessa in caso di recidiva.

- nel caso di reiterazione delle violazioni in aggiunta all’incremento della sanzione

amministrativa pecuniaria è disposta la sospensione dell’attività svolta, a fine ciclo,

da uno a tre mesi per le unità produttive non conformi; in tale periodo di sospensione

non vanno computati i periodi di vuoto biologico e sanitario.

Vi sono poi le sanzioni previste per chi non ottempera alle indicazione dell’articolo 4,

che disciplina l’obbligo della registrazione, ovviamente non previste dal Decreto prece-

dente.