Declino o rinnovamento ?

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Viareggio, 21 maggio 2010 ernesto hofmann

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In questo saggio vengono esaminate le più recenti innovazioni tecnologiche

attinenti l’informatica e le telecomunicazioni, nel contesto della crisi che ha

investito l’economia. Non è ancora del tutto chiaro se questa crisi sia di

natura contingente o strutturale. Se fosse strutturale allora ci si potrebbe

chiedere se essa non sia un indizio del declino della nostra civiltà. Siamo

forse veramente di fronte al “Tramonto dell’ Occidente” ipotizzato quasi un

secolo fa da Oswald Spengler? Per rispondere a questa domanda bisogna

esaminare l’attuale crisi anche da un punto di vista più generale, ossia storico.

Perchè decadono le civiltà? Oggi si tende a non credere più a modelli ciclici

come quello di Vico o di Spengler. Si pensa piuttosto che le civiltà decadano

per carenze energetiche, per decrescenti ritorni marginali, perchè sono

sistemi complessi che operano in un provvisorio equilibrio tra ordine e

disordine. Siamo forse anche noi in queste condizioni? La risposta, in parte

ottimistica, è che forse non sia così. Nella nostra civiltà un quarto della

popolazione è costituito da una gioventù, diversa da quanto auspicato dai più

anziani, ma forse con delle qualità non del tutto comprese e quindi

potenzialmente produttiva. E poi c’è ancora tanta tecnologia, soprattutto ICT

(Information and Communication Technology), in costante evoluzione, che

potrebbe contrastare il meccanismo dei ritorni marginali. I sistemi di

comunicazione (TV, Web, telefono, libri, giornali,...) stanno evolvendosi e

convergendo. I maggiori beneficiari ne saranno non solo gli utenti ma anche il

marketing e la pubblicità. Ciò rappresenta un'enorme opportunità per le

piccole e medie imprese (PMI), che costituiscono la vera colonna vertebrale

dell’economia italiana, per ripensarsi, per ringiovanirsi, per rinascere. Diceva

Albert Camus: “Bisogna immaginare Sisifo felice!”. Dobbiamo anche noi

credere nel futuro, pur se ciò comporterà un enorme impegno da parte di tutti.

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E’stato già osservato come l’attuale crisi mondiale non sia solo una crisi

economica e finanziaria ma sia anche una crisi di fiducia e di moralità pubblica. Ma qual è la sua reale natura: contingente o strutturale? Si potrebbe ipotizzare che l’attuale recessione economica sia soltanto un

passaggio transitorio, tipico di un’evoluzione ciclica che alterna periodi di espansione a periodi di recessione.

L’economista Joseph Schumpeter aveva affermato, intorno al 1940, che un’economia vitale non è quella che cerca di ottimizzare le risorse esistenti in un ambiente stabile, ma piuttosto quella che viene costantemente pungolata da innovazioni tecnologiche che agiscono come onde di distruzione creativa. Secondo Schumpeter a partire dalla prima industrializzazione, più o meno alla metà del diciottesimo secolo, si sono susseguiti alcuni lunghi cicli economici caratterizzati dalla predominanza di particolari tipi di attività industriali.

Ciascuno dei cicli iniziava quando un nuovo insieme di innovazioni veniva a costituire una vera e propria infrastruttura tecnologica complessiva, come è accaduto alla fine del 1700 con energia idrica, industria tessile e ferro; a metà del 1800 con vapore, ferrovie e acciaio; all’inizio del 1900 con elettricità, motori a combustione intera e chimica; a metà del 1900 con industria petrolifera, elettronica e aviazione. Ogni ciclo economico, dopo aver raggiunto un punto di massimo ritorno degli investimenti, ha cominciato a declinare, fin quando non è stato seguito da una nuova onda di innovazioni tecnologiche che hanno creato nuove opportunità economiche, attirato nuovi investimenti, creato nuovi posti di lavoro e nuova ricchezza.

Durante tali cicli possono apparire crisi locali che toccano alcune nazioni piuttosto che altre. Ma nel corso dell’ultimo secolo si è venuta a creare, nell’ambito dell’economia mondiale, una fitta serie di relazioni tra le varie nazioni insieme a meccanismi che in qualche modo possono essere in grado di correggere le crisi locali.

La natura dell’attuale crisi risiede probabilmente nel fatto che troppi guasti si sono verificati contemporaneamente in punti diversi dello scenario mondiale, con un effetto complessivo non più controllabile. I meccanismi di controllo non hanno funzionato adeguatamente. Il mondo finanziario ha intrapreso attività puramente speculative quali i cosiddetti prodotti derivati; il commercio internazionale ha profittato delle differenze di potere di acquisto delle diverse valute; le imprese hanno spostato disinvoltamente impianti e competenze là dove minore era il costo del lavoro. Inoltre in virtù di una migliore tecnologia si sono create le premesse per un eccesso di capacità produttiva che ha inevitabilmente comportato una crescente disoccupazione. Al tempo stesso le risorse energetiche e ambientali hanno cominciato a mostrare palesi limiti di utilizzo, limiti che costituiscono oggi una delle maggiori fonti di preoccupazione.

Ci troviamo quindi di fronte a una crisi nella quale emergono difficoltà di vario genere, ma nella quale emerge soprattutto una profonda inquietudine sulle attuali prospettive della società occidentale, ovvero euro-americana. Viene allora in mente il ricordo delle grande crisi del 1929 che fu realmente superata solo dopo la seconda guerra mondiale che, a sua volta, rappresentò quasi un banco di prova per innumerevoli tecnologie che avrebbero poi costituito il fondamento della nuova economia del terziario, succeduto all’agricoltura e all’industria.

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Dopo la seconda guerra mondiale la quantità di beni e di servizi disponibili aumentò progressivamente, insieme al potere d’acquisto delle famiglie, producendo un’inarrestabile crescita dei mercati tanto da dare luogo in alcune nazioni, come per esempio l’Italia, a quelli che furono chiamati “miracoli economici”.

Ma oggi forse l’ampiezza dell’ attuale crisi potrebbe essere ancora più grande di quella del 1929. Per esaminare lo scenario attuale occorre quindi collocarlo in un contesto storico. Da solo esso sembra incomprensibile. Ci si deve domandare allora se questa crisi non sia in realtà un segnale di una crisi ben più ampia, quella che quasi un secolo fa veniva indicata da Oswald Spengler come Il Tramonto dell’Occidente.

L’analisi che segue si propone di fare luce su questa ipotesi cercando di valutare i vari aspetti, economici, tecnologici e sociali, che concorrono a definire l’attuale scenario. Forse la Storia mondiale e le varie civiltà che ne fanno parte si evolvono attraverso cicli più o meno identificabili, come vigorosamente sostenuto da pensatori quali Giambattista Vico e Oswald Spengler.

Si tratta allora di capire se la civiltà di cui facciamo parte possa ancora migliorare, o se piuttosto non sia iniziato un periodo di declino di cui l’attuale crisi è solo un prodromo.

A noi sembra tuttavia che ci siano ancora sostanziali opportunità non solo tecnologiche ma anche etiche che consentiranno a individui, imprese e comunità un più equilibrato e armonioso stile di vita. E per illustrare la nostra analisi abbiamo scelto alcune litografie (modificandone qualcuna assai lievemente) tra quelle indimenticabili che il grande vedutista scozzese David Roberts, insieme al giovane incisore belga Louis Haghe (cui mancava il braccio destro!), pubblicò a Londra, ricavandole dagli schizzi realizzati durante un viaggio da lui effettuato in Egitto intorno alla metà del XIX secolo.

La scelta non è casuale. Infatti proprio Oswald Spengler aveva affermato che quella egiziana “..è una metafisica pensata in pietra, presso alla quale quella scritta – quella di Kant – sembra un impotente balbettio”. Gli egiziani avevano un profondo sentimento del tempo e una visione della vita proiettata verso il futuro, che è proprio quanto noi dovremmo oggi condividere per superare i timori che la grande crisi economica sta incutendo. Le loro pietre sono ancora lì a parlarci e a dirci forse di avere fiducia.

cosa sono le società umane e perche decadono?

Una società umana è un consorzio di persone che collaborano per risolvere problemi comuni. Come tale essa può ricordare un organismo biologico, ed è quindi quasi naturale pensare che una società nasca, si sviluppi, invecchi e muoia.

Una società che si sviluppa al di là di un certo livello di complessità finisce col costruire modelli di comportamento e basi di conoscenza che vengono a costituire quella che viene denominata una civiltà. Quest’ultima nasce quando una comunità di persone sceglie un modello da imitare, modello che è costituito di conoscenze e comportamenti che vengono trasmessi attraverso le successive generazioni.

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Nel corso della Storia tante civiltà sono apparse, si sono evolute e poi hanno finito con lo scomparire.

L’analogia tra lo sviluppo di una società e un organismo biologico non deve però trarre in inganno. Potrebbe essere soltanto un’utile metafora. Un organismo biologico si sviluppa infatti secondo meccanismi ormai scientificamente conosciuti, meccanismi che per la società umana non hanno ancora un fondamento analogo.

Poiché inoltre le analogie biologiche non consentono previsioni realmente quantitative diventa ancor più difficile collocare l’evoluzione di una società in un contesto temporale di tipo generale. Eppure sin dal Medio Evo la ciclicità era stata proposta come modello evolutivo di una civiltà. Già nel XIV secolo il grande storico arabo Ibn Khaldun con il suo Muqaddimah (I Prolegomeni) aveva introdotto la nozione di una Storia ciclica basata sulla naturale tendenza a indebolirsi delle società che diventavano sedentarie e quindi avviate verso un’inesorabile decadenza dal loro stesso arricchimento.

Quello di Ibn Khaldun può essere considerato il primo tentativo fatto da uno storico di individuare i meccanismi preposti all’evoluzione delle società. Il suo approccio era decisamente razionale e analitico e rappresentava un deciso allontanamento dai tradizionali clichè storiografici puramente narrativi.

Molti secoli passeranno prima dell’apparizione, nel 1725, dei Principi di una Scienza Nuova intorno alla natura delle nazioni nei quali Giambattista Vico indagherà se esistano delle leggi che regolino l’evoluzione storica: “Poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; poiché tali cose ne

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potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni “.

La Scienza Nuova è un tentativo straordinariamente ambizioso, soprattutto per l’epoca nella quale venne proposto, di fornire una visione unitaria della società umana descrivendone la Storia, i miti e le leggi. Il libro esercitò un’enorme influenza sulla cultura europea fino al XX secolo quando venne a costituire il fondamento concettuale del romanzo più complesso che mai sia stato concepito, Finnegans Wake di James Joyce. Vico credeva nel progresso, ma non nel senso che ciò che segue è sempre migliore di ciò che precede, ma nel senso che la Storia si evolve verso uno stato ideale che però non viene raggiunto. Ogni civiltà arriva a un punto nel quale essa comincia a regredire verso una “seconda barbarie” per poi riprendersi: corsi e ricorsi storici. L’idea dei corsi e ricorsi storici in un certo senso riappare con Hegel per il quale la Storia è tuttavia un processo razionale: la Storia del mondo è una manifestazione della ragione divina, una delle particolari forme in cui essa si rivela. La visione di Hegel era quindi ottimistica perche: “ (è) la ragione (che) governa e ha governato il mondo; il quale non è abbandonato al caso o a cause esterne e accidentali ma lo regge una provvidenza ”. Il Tramonto dell’Occidente

Ma oggi l’opera storica forse più inquietante per la sua attualità è Il Tramonto dell’Occidente, di Oswald Spengler, che apparve alla fine della prima guerra mondiale e che era intrisa di un profondo pessimismo sul futuro della società occidentale.

Spengler proponeva una "morfologia della Storia" secondo la quale le grandi civiltà, che si susseguono attraverso i millenni, a cominciare dall' Egitto e dalla Cina, hanno tutte un ciclo vitale, come ogni organismo, e sono quindi destinate a perire. Spengler paragonava le civiltà alle piante: “Si mettono radici nel suolo stesso che si è coltivato. L’anima dell’uomo scopre un’anima nel paesaggio; si annuncia un nuovo sentire, una nuova connessione dell’esistenza con la terra”. La civiltà mette le radici, cresce e si sviluppa. Dal contadino si passa alla nobiltà e quindi al mondo dei commerci. Ma con lo sviluppo dei commerci e l’estendersi delle città appare inevitabilmente il declino. Spengler era dotato di un’immensa e stupefacente erudizione che gli consentiva di costruire, con un linguaggio quasi poetico, innumerevoli analogie tra culture diverse, come quella egiziane, ellenistico-romana, cinese, e vedeva nella Storia non il flusso di un progresso ma piuttosto diversi segni di declino che apparivano inesorabilmente in ogni civiltà. Anche la civiltà occidentale o euro-americana, che denominava faustiana, nata oltre mille anni or sono coi viaggi dei vichinghi, e costantemente protesa alla conquista di spazi infiniti, così com’era stata creatrice di opere meravigliose e di una tecnica prodigiosa, era ormai al tramonto: “La cultura faustiana, quella dell’Occidente europeo non è probabilmente l’ultima, ma di certo è la più potente, la più veemente e, a causa del conflitto interiore tra la sua intellettualità comprensiva e la mancanza di armonia spirituale, di tutte la più tragica. E’ concepibile che un qualche epigono venga a succederle (una nuova

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cultura potrebbe vedere la luce nelle pianure tra la Vistola e l’Amur) nel corso del prossimo millennio. Ma è qui, nella nostra propria civiltà, che lo scontro tra la Natura e l’uomo (il cui destino storico lo ha condotto ad ergersi contro di essa) si compirà una volta per tutte”. Non è ancora comparsa una civiltà tra la Vistola e l’Amur, eppure sembra che ci siano il risveglio della Cina e quello dell’India e quindi parrebbe avverarsi l’avvento di una nuova civiltà. Ma ciò potrebbe essere solo un effetto provocato dalla civiltà occidentale. La globalizzazione dell’economia ha coinvolto infatti anche quelle due grandi nazioni che stanno in parte occidentalizzandosi. I grattacieli di Shanghai sembrano ormai più numerosi di quelli di New York, mentre Bangalore in India si avvia a diventare la capitale del software. La lingua universale, quella che era il koinè dialectos di Alessandro Magno, sta diventando ora l’inglese, dalla Cina al Brasile, lingua che sta trasformando i linguaggi nazionali arricchendoli costantemente di neologismi, come per esempio ok, ormai presenti in quasi tutte le lingue dell’intero pianeta. Così Cina e India si avviano a diventare anch’esse civiltà dei consumi e anch’esse credono assolutamente nella tecnologia e nelle macchine. Quasi profeticamente lo stesso Spengler aveva detto in un’altra sua opera, Scienza e tecnica: “La meccanizzazione del mondo ha raggiunto uno stadio di pericolosissima ipertensione. L'immagine del mondo con le sue piante, i suoi animali e i suoi esseri umani è mutata. In pochi decenni sono scomparse grandi foreste. Un mondo artificiale invade e avvelena la natura. La civiltà è diventata una macchina.”

ci sono meccanismi comuni nel declino delle civiltà?

Nel XVIII secolo lo storico inglese Edward Gibbon in un capolavoro della storiografia, Storia del declino e della caduta dell'Impero romano, aveva indagato le ragioni del declino dell’impero romano. Un declino apparentemente molto lungo nel tempo e per molti aspetti quasi incomprensibile vista l’enorme potenza dell’impero romano.

Gibbon pensava che l’impero romano fosse collassato a fronte delle pressioni barbariche anche perché i romani avevano perso quel vigore che ne aveva fatto dei grandi soldati. Il Cristianesimo con la sua dottrina di pace e di speranza in un mondo ultraterreno, secondo Gibbon, aveva estinto quel senso di virilità che contraddistingueva lo spirito romano.

Nel paragrafo Osservazioni generali sulla caduta dell'Impero romano in Occidente, (aggiunto al capitolo 38) Gibbon nel delineare le cause che, secondo lui, determinarono la decadenza di Roma, affermava:

“ ... la decadenza di Roma fu il naturale e inevitabile effetto della sua smisurata grandezza. La prosperità maturò il germe della caduta, le cause della distruzione si moltiplicarono coll’estendersi delle conquiste,…...e anziché indagare perché l’impero romano fu distrutto dovremmo piuttosto meravigliarci che sia durato così a lungo. Le vittoriose legioni, che in guerre lontane acquistarono vizi degli stranieri e dei mercenari, prima oppressero la libertà dello stato, poi violarono la maestà della porpora… il vigore del governo militare fu indebolito e finalmente

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abbattuto dai parziali ordinamenti di Costantino, e il mondo romano fu sommerso da un’inondazione di barbari … Poiché la felicità di una vita futura è il grande oggetto di una religione possiamo sentire senza sorpresa, o scandalo, che l’introduzione o almeno l’abuso del cristianesimo esercitò un certo influsso sulla decadenza e caduta dell'impero romano. La chiesa predicò con successo la dottrina della pazienza e della pusillanimità, le virtù attive della società furono scoraggiate e gli ultimi resti dello spirito militare andarono a seppellirsi nei conventi. Una gran parte della ricchezza pubblica e privata fu consacrata alle speciose richieste della carità e della devozione e la paga dei soldati fu prodigata alle inutili truppe di ambo i sessi, che non potevano vantare che i meriti dell’astinenza e della castità…”.

All’inizio di questa citazione c’è però una frase sulla quale occorre riflettere: “La decadenza di Roma fu il naturale e inevitabile effetto della sua smisurata grandezza. La prosperità maturò il germe della caduta, le cause della distruzione si moltiplicarono coll’estendersi delle conquiste…”. Sembra quasi che Gibbon intuisse l’esistenza di un’intrinseca, crescente e al tempo stesso fragile, complessità dell’impero romano; complessità che alcuni storici moderni ritengono essere una delle vere cause della decadenza delle civiltà. Ma di questo avremo modo di parlare meglio tra poco. Qui occorre piuttosto rilevare che nella visione di Gibbon non c’era traccia di ciclicità storica, ma c’era solo il tentativo di comprendere attraverso i fatti le ragioni che avevano condotto al collasso la civiltà romana. Che valga o meno lo schema ciclico proposto da Vico e da Spengler resta comunque il fatto che il declino delle varie civiltà può essere forse determinato da meccanismi simili, che occorre comprendere per valutare se attualmente questi stessi meccanismi stiano operando nella nostra civiltà, condannandola quindi a un inesorabile declino.

le civiltà sono sistemi complessi

Una civiltà è un sistema in cui i vari elementi che la costituiscono subiscono

continue modifiche, forse singolarmente prevedibili, ma del quale non è possibile, o è molto difficile, prevedere l’evoluzione complessiva.

Maggiore è la varietà, e soprattutto l’asimmetria, delle relazioni fra gli elementi di una civiltà, maggiore è la sua complessità, a condizione che le relazioni fra gli elementi siano di tipo non-lineare.

Come in un sistema complesso le civiltà possono produrre comportamenti emergenti, ossia effetti non prevedibili dalla semplice combinazione degli elementi che la costituiscono. Le civiltà sono, dal punto di vista matematico, sistemi non-lineari, ossia sistemi tanto più complessi quanto maggiore è il numero di parametri necessari per la loro descrizione.

Per riassumere le caratteristiche di una civiltà potremmo quindi affermare che:

- le civiltà sono sistemi complessi nati per risolvere problemi comuni - questi sistemi richiedono energia per mantenersi ed evolversi - sono caratterizzati dall’interazione, spesso asimmetrica, di molteplici elementi - operano tra ordine e disordine senza un vero equilibrio stabile - una crescente complessità porta con sé crescenti costi pro capite

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- gli investimenti nella complessità sociopolitica spesso raggiungono un punto

dal quale i ritorni di investimento diventano marginali - una semplice perturbazione, se non controllabile da un sistema fortemente

adattativo, può causarne il tracollo Se questo schema fosse sostanzialmente vero il collasso dell’impero romano

sarebbe stato dovuto alla sua crescente complessità e al contemporaneo ridursi delle sue risorse. La gestione di un impero così vasto richiedeva un sistema di interconnessioni che in realtà funzionava sempre peggio, mentre le esigenze fiscali aumentavano a dismisura. Intanto l’agricoltura peggiorava costantemente, contribuendo in maniera decisiva al crollo dell’intera civiltà romana, poiché non produceva più quel reddito che serviva per sostenere eserciti professionali. C’è infine da aggiungere il contributo del caso, ossia di quella singola perturbazione che può far degenerare un sistema complesso non adattivo. Per la civiltà romana abbiamo qualche indizio su quali possano essere state le perturbazioni decisive.

Roma intorno al 350 dC era ancora forte ed enormemente estesa, dalla Spagna alla Britannia, alla Germania, ai paesi balcanici, a Costantinopoli, all’Egitto e al nord-Africa. Poi, spinti verso ovest dagli Unni, arrivarono i Goti, che nel 410 sarebbero entrati a Roma con Alarico. Eppure il problema gotico sarebbe forse stato risolto sul nascere se nel 378 l’imperatore Valente non avesse commesso un enorme errore strategico ad Adrianopoli, non attendendo i rinforzi di Graziano già in marcia e subendo una disastrosa sconfitta (egli stesso avrebbe perso la vita). Pochi anni dopo, nel 402, Stilicone avrebbe ancora potuto disperdere i Goti, da lui sconfitti in Italia, invece di lasciarli ritirare nei Balcani.

Di fatto Roma nel giro di pochi decenni tracollò, come vedremo meglio più avanti, e la subitaneità del tracollo ci è oggi molto più chiara di quanto non potesse essere per Gibbon. Le civiltà sono spesso sull’orlo del caos, come appunto i sistemi complessi, e per sopravvivere devono sapersi continuamente adattare alle mutevoli situazioni che spesso hanno un alcunchè di casuale.

Potremmo anche immaginare che se nel 1815 non ci ci fosse stata la più grande eruzione della storia moderna, quella del vulcano Tambora in Indonesia, non sarebbero avvenuti cambiamenti climatici tali da provocare persino in Belgio piogge di estrema intensità. Oggi si pensa che queste piogge modificarono completamente l'assetto della battaglia di Waterloo e soprattutto vanificarono la strategia di Napoleone, che agli odierni storiografi appare oggi quasi perfetta. La battaglia iniziò con grande ritardo, i fucili francesi non funzionavano a dovere per la grande umidità, il conseguente ricorso alle cariche di cavalleria costò enormi perdite, mentre i ritardi nelle operazioni consentirono ai prussiani di Blucher di rientrare in gioco. Chissà; se il vulcano fosse rimasto inattivo forse Napoleone avrebbe ancora vinto e la storia d’Europa avrebbe preso un altro corso: le vicissitudini del caso ovvero il cosiddetto effetto farfalla!

E oggi il paragone tra l’impero statunitense e quello romano viene riproposto con crescente frequenza, quasi a significare che il collasso della civiltà euro-americana se non è alle porte è anch’esso comunque possibile in ogni istante.

Considerando le sole esigenze energetiche ci accorgiamo immediatamente che la società nordamericana è in grado di accedere a risorse impensabili all’epoca

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dell’impero romano. Attualmente i consumi americani sono di circa diecimila Watt per ogni abitante. Immaginando che un uomo sotto sforzo prolungato è in grado di produrre circa un ventesimo di cavallo vapore, ossia all’incirca 35 Watt, ci si accorge che per fornire diecimila Watt durante 24 ore è necessaria una forza lavoro di circa trecento persone. Ciò vuol dire che se l’energia oggi utilizzata negli USA fosse prodotta solo da schiavi occorrerebbe una popolazione di circa novanta miliardi di persone. Numero che andrebbe moltiplicato per tre se gli schiavi fossero in grado di lavorare (come ovvio) solo per turni di otto ore. Ma questa analisi non è completa; dobbiamo anche calcolare i costi.

Oggi il costo dell’energia negli USA è di circa 1700 dollari all’anno per persona, ossia complessivamente 500 miliardi di dollari. Facciamo un calcolo approssimativo con un modello basato su lavoro muscolare umano. Un lavoratore percepirebbe non meno di 6 dollari l’ora che, moltiplicati per 24 ore e per il numero di persone necessarie (omettiamo i dettagli), porterebbero il costo pro capite dell’energia a 500.000 dollari l’anno!

E’ facile allora comprendere come l’impero romano e quello cinese non potessero industrializzarsi senza l’accesso a risorse energetiche quali quelle attuali: in sostanza energia fossile. Energia che potrebbe scomparire anche in breve tempo e quindi travolgere la civiltà che ne fa un uso così intenso.

Ma c’è anche un altro problema che è quello, cui abbiamo già accennato, dei ritorni marginali. la produttività marginale

Durante la loro evoluzione le civiltà tendono a diventare progressivamente più complicate. In generale si è assistito a un aumento della popolazione cui però non ha sempre corrisposto un aumento del territorio occupato.

I meccanismi di gestione della società diventano anch’essi inevitabilmente più complicati e per funzionare richiedono maggiori risorse sia in termini di energia sia in termini finanziari, ossia tasse. Tutto ciò determina il fenomeno della cosiddetta produttività marginale. Ossia a un incremento di risorse impiegate non corrisponde un uguale incremento della produttività, anzi spesso questa persino diminuisce.

In realtà il fenomeno è ancora più complicato perché non riguarda soltanto gli aspetti amministrativi ed energetici ma anche aspetti più genericamente sociali, quali soprattutto etica e cultura.

Nell’esaminare il declino dell’impero romano Gibbon aveva ritenuto che ci fosse stata una progressiva mutazione del carattere dei romani, e aveva anche sottolineato il crescente peso dell’imposizione fiscale. Ma non si era potuto rendere conto come il tracollo di Roma fosse stato un fenomeno molto rapido piuttosto che un lento declino, come oggi ci viene mostrato da ricerche archeologiche che al tempo di Gibbon non erano disponibili.

Anche se l’economia romana era prevalentemente agraria essa era pur tuttavia fortemente urbanizzata e orientata ai commerci. Era un’economia raffinata e di questa raffinatezza ci sono infinite tracce archeologiche nelle ceramiche rinvenute non solo nelle città o nelle residenze signorili, ma anche in umili siti di contadini. In pochi decenni, a partire dal V secolo, ossia poco dopo gli errori di Valente e Stilicone,

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questi manufatti, fabbricati al tornio da vasai di professione, sparirono e apparvero rozze ceramiche create a mano. La storia dei “cocci”, come li chiama Bryan Ward-Perkins costituisce un importante indizio, soprattutto perché è l’unico oggi reperibile.

“…Noi non sapremo mai esattamente perché l’economia evoluta che si era sviluppata sotto i Romani si dissolse. Le testimonianze archeologiche che sono tutto quanto possediamo realmente, ci possono dire che cosa accadde e quando; ma di per sé non possono fornire spiegazioni circa il perché…”

La società romana era una società raffinata anche negli strati sociali intermedi,

come si può constatare dagli straordinari rinvenimenti di Pompei: un documento storico di ineguagliabile valore.

Anche l’odierna società è raffinata società del benessere, ma in essa c’è qualcosa di più che è la crescente e incredibilmente vasta specializzazione delle varie attività.

Alla fine dell’ Ottocento Emile Durkheim, analizzando la crescente suddivisione del lavoro provocata dalla industrializzazione, osservava gli individui diventavano sempre più dipendenti gli uni dagli altri, perché ognuno aveva bisogno di beni forniti da altri che svolgono un lavoro diverso dal proprio. E pensava che tale suddivisione potesse prendere gradualmente il posto della religione quale fondamento della coesione sociale.

Ma se da un lato un’ampia diffusione di specializzazioni permette a una comunità di essere complessivamente più produttiva dall’altro lato può generare dei guasti sorprendentemente profondi e in un certo senso sconosciuti in società meno evolute.

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Circa un decennio prima che Spengler avesse dato alle stampe il suo Il

Tramonto dell’Occidente un professore americano, Edward Alsworth Ross, aveva pubblicato un libro, Sin and Society, oggi poco conosciuto ma ancora sorprendentemente attuale.

Proprio all’inizio del suo libro Ross affermavava: “ Il peccato resta tale ma esso sta modificando la sua natura durante lo sviluppo della società. E il peccato moderno è caratterizzato dal mutualismo della nostra epoca. Col nostro modo di vivere per quanti dei miei interessi vitali devo dipendere dagli altri…L’interdipendenza ci mette alla mercè degli altri e così essa può generare nuove forme di cattivi comportamenti”.

Al crescere dell’economia le imprese diventano sempre più impersonali, e conseguentemente esse sviluppano un più ridotto senso di responsabilità individuale. Se il comportamento di un’impresa danneggia un singolo individuo ciò non accade per malizia, ma soprattutto per effetto di una struttura di specializzazioni ciascuna delle quali persegue i propri profitti. L’effetto complessivo è quello di un impoverimento morale dell’intera comunità con conseguenze non facilmente e immediatamente individuabili.

Una parte crescente di uomini politici e di amministratori pubblici tende così inevitabilmente a diventare corrotta.

Ma c’è ancora di più. Intorno al 1970 un economista inglese, Fred Hirsch,

aveva scritto un libro anch’esso quasi profetico, I limiti sociali dello sviluppo. In questo libro Hirsch proponeva la tesi che non esistono possibilità di uno sviluppo illimitato e che i reali limiti dello sviluppo sono sociali e non fisici. Una volta che

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vengano soddisfatti i bisogni di base (mangiare, vestirsi, dormire in un’abitazione,..) i consumatori si orientano verso una quantità crescente di beni e servizi destinati a soddisfare bisogni non fondamentali.

Questi bisogni, che Hirsch definisce posizionali, non possono essere soddisfatti da tutti e contemporaneamente. Essi infatti sono caratterizzati da un'offerta che non può essere aumentata più di tanto nel tempo, perchè essi sono limitati in senso assoluto, come per esempio la vista di un certo paesaggio, o in senso sociale, perchè la loro fruizione è deteriorata dall'eccessiva domanda, come per esempio l’utilizzo di un’autostrada in una domenica pomeriggio.

Secondo Hirsch, poi, l’effettiva fruizione dei beni posizionali discende dallo status sociale e dal reddito individuale, ma ciò relativamente allo status degli altri. La mancata fruizione dei beni posizionali crea quindi nelle persone a più basso status sociale una crescente frustrazione.

L’accesso ai beni posizionali ha creato anche una psicologia consumistica che a sua volta ha spinto molte persone a cercare di guadagnare il più possibile, e ciò ha finito col creare un eccesso di disuguaglianze sociali, in una misura e in una dimensione che mai si era vista prima. Negli Stati Uniti l’uno per cento della popolazione detiene ormai il 40% delle ricchezze.

La sobrietà che viene chiesta alle classi medie, che costituiscono la colonna vertebrale delle nazioni occidentali, dovrà essere accompagnata da una profonda revisione del modello capitalistico, e quindi da innovazioni non solo tecnologiche ma anche etiche, perchè soprattutto queste ultime possono ridare vitalità a una società.

Il declino della moralità, in senso lato, contribuisce al declino di un’intera civiltà. E anche Spengler nella parte finale del suo Il Tramonto dell’Occidente, conscio evidentemente di questo problema, faceva appello al vigore di uomini straordinari affinché essi potessero traghettare la comunità oltre le secche della Storia. Ma lui stesso si rendeva conto che questi nuovi leader, forgiati sul tipo del Cesare romano, sono in definitiva individui soprattutto astuti che sanno utilizzare denaro, diplomazia e forza ai propri scopi. Nella visione di Spengler le civiltà sembrano terminare in un cesarismo ricorrente e spesso pericoloso.

Roma e Washington: rassomiglianze e differenze

L’attualità di Spengler è stata in un certo senso riproposta, anche se indirettamente, da uno storico americano, Samuel Huntington, recentemente scomparso, autore di un saggio che è stato poi ampliato nel 1996 in un libro molto controverso, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.

Come Spengler, Huntington dà notevole rilievo al ruolo della cultura e pensa che il mondo possa essere suddiviso in civiltà piuttosto che in Stati. Sotto l’impeto della globalizzazione la politica planetaria si sta ristrutturando secondo linee culturali di cui bisogna comprendere le possibili divergenze.

Huntington individua nove diverse civiltà che si stanno reciprocamente avvicinando o allontanando in funzione di somiglianze o differenze culturali. La civiltà occidentale potrebbe declinare se non fosse in grado di comprendere appieno questo fatto:

“ La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni

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dell'umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro. “

La tesi di Huntington può ricordare in parte Il Tramonto dell’Occidente, proprio per il ruolo dato alle civiltà e alle culture nello sviluppo della Storia. Ma alla fine la visione di Huntington, per diversi motivi, si è dimostrata incapace di resistere alla critiche e inadeguata a raccogliere in un unico modello l’enorme complessità delle storie delle diverse società di questa epoca.

Proponiamo allora una tesi diversa da quelle esposte da Vico, Spengler, Huntington, e altri. Il grande critico letterario Northrop Frye sosteneva che: ” Una concezione ciclica della realtà è essenzialmente una deificazione della macchina: cioè essa denota l’inamovibile tendenza della mente umana di inventare qualcosa e poi di sottomettersi a quest’ultima. Appena la mente umana ha inventato la ruota ha incominciato a immaginare proiezioni quali la ruota del fato o la ruota della fortuna, ossia di qualcosa di più ineluttabile, misterioso e forte dell’uomo stesso. Sembra paradossale che tali immagini proiettate vengano tratte quasi invariabilmente dalle stesse invenzioni dell’uomo” (Byblical and Classical Myths,14). Certamente la Storia resta ancora la nostra sola guida, e può insegnarci infinite cose, ma non possiamo estrapolare il futuro dal passato soltanto immaginando che ci siano cicli storici che si ripetono secondo un modello biologico ovvero meccanico quale quello di una ruota. Ci sono sicuramente molte e sorprendenti rassomiglianze tra l’impero di Roma e quello di Washington, ma occorre anche tenere conto delle sostanziali differenze. Caratteristica comune ai due imperi è certamente la grandissima estensione. Le frontiere di Roma erano sul Danubio e sul Reno mentre l’America di fatto è in grado di intervenire in qualunque parte del mondo sia commercialmente, sia diplomaticamente, sia militarmente. Ma ci sono anche grandi differenze. L’economia romana dipendeva sostanzialmente dall’agricoltura, e in parte dai commerci, mentre l’America dispone di un’enorme infrastruttura industriale che le permette di produrre almeno un quarto dei manufatti mondiali, ed è assolutamente in posizione dominante nel mondo dell’ ICT e dei servizi avanzati. Roma, nel periodo imperiale, era continuamente scossa da lotte intestine mentre l’America è politicamente molto più stabile. Roma subiva anche una crescente pressione militare sui propri confini, mentre l’America dispone attualmente di una tale supremazia militare che persino in un’epoca di evoluto terrorismo è tuttora in grado di travolgere militarmente qualunque avversario. La situazione complessiva è quindi meno negativa di quanto potesse immaginare Spengler. Inoltre, come si vedrà meglio più avanti, la società occidentale nel suo complesso, e soprattutto l’America, è tuttora in una fase di grande evoluzione tecnologica. L’ ICT non ha ancora perso la sua spinta propulsiva e sembra tuttora in grado di fornire ulteriori opportunità per una profonda evoluzione dell’economia. Se esiste un meccanismo di ritorni marginali un’economia complessa, ma anche adattativa, come quella nord-americana può ancora controllarlo e far tuttora crescere i ritorni di investimento, come ampiamente dimostrato soprattutto da Internet e da tutto

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ciò che ruota intorno a tale infrastruttura. Restano comunque ardui interrogativi sul futuro delle risorse energetiche, sugli effetti climatici che il loro uso indiscriminato può causare, e, occorre non dimenticarlo, un enorme problema di disoccupazione dovuto anche a un’iperproduttività raggiunta attraverso un prodigioso sviluppo tecnologico. Ma dobbiamo ricordarci che possiamo disporre di due risorse fondamentali: le giovani generazioni e la tecnologia.

le giovani generazioni.

Sembra che oggi ci sia come un'esasperazione nel credere che la comunità umana possa evolversi solo in funzione delle nuove tecnologie. Ma sembra anche che ci si dimentichi dell’uomo e del suo ruolo insostituibile.

Le litografie di David Roberts, che ci accompagnano in questa analisi, sono straordinariamente più belle di qualunque fotografia e dicono molto di più di quanto qualunque foto potrebbe raccontare. Non sono il frutto di un occhio tecnologico ma di un pensiero e di una riflessione profonda che interpreta la scena con la riflessione e l’emotività di un’intelligenza superiore e la riproduce con una mano infallibile. La società umana per non decadere e invecchiare ha costantemente bisogno di nuova intelligenza, nuova originalità, nuove forze, nuovo pensiero. E chi può darci tutto ciò se non la gioventù verso la quale gli anziani tendono a essere sempre così critici. Ma forse aveva ragione Salvador Dalì quando diceva che ciò che rende insopportabili i giovani agli anziani è proprio la consapevolezza di questi ultimi di non farne più parte.

Questa fresca linfa di giovinezza che ogni anno viene immessa nella società costituisce un apporto di insostituibile valore, per energia, originalità e nuovo sapere. E il nuovo sapere vuol dire qualità della vita di ognuno: nella famiglia, nel lavoro, nella salute, nella cultura, nell’ambiente e nel mondo intero. L’ottanta per cento della popolazione nei paesi occidentali è costituito oggi in gran parte di tre fasce d’età. I cosiddetti Boomers (nati tra il 1946 e il 1964) costituiscono il 25% della popolazione. La Generazione X (1965–1981) il 26%. E, infine, la Generazione Y (1982–2000) il 28%. E’ bene riflettere su di un fatto importante.

Le stesse condizioni economiche, politiche, tecnologiche e sociali agiscono in modo differente sulle varie fasce di età. In particolare la tecnologia viene vista e utilizzata in modo profondamente diverso. Se prendiamo a esempio quella dei telefoni cellulari possiamo facilmente constatare che l’ultima generazione, la generazione Y , sta sviluppando un nuovo linguaggio con il quale comunicare i propri messaggi. Ormai è tipico per un/a ragazzo/a che utilizzi la lingua più diffusa, ossia l’inglese, scrivere sul proprio cellulare CUL83 invece del tradizionale see you later: non solo è più breve ma diventa anche un simbolismo esoterico di appartenenza a una specifica comunità.

Le esperienze acquisite durante l’infanzia creano un’ulteriore linea di demarcazione tra le diverse generazioni. I Baby Boomers erano influenzati dall’avvento della TV, dal Rock and Roll, dalla guerra in Vietnam.

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La generazione X dall’avvento del Personal Computer, dall’ AIDS, dal

multiculturalismo, dalle famiglie monogenitore e dal downsizing delle imprese. L’attuale generazione Y è cresciuta nell’era di Internet, della televisione via

cavo, della globalizzazione e dell’ambientalismo. La generazione Y è sempre più preoccupata dalla crescente disoccupazione e instabilità dei posti di lavoro, dai crescenti costi delle abitazioni, dalle difficoltà di accesso ai mutui, e dal crescente livello di conoscenze che occorre acquisire per poter competere nel mondo del lavoro.

Dalle precedenti generazioni la tecnologia veniva vista come un toccasana in grado di favorire un sempre migliore futuro. Oggi non è più così. La generazione Y non possiede più valori assoluti e, più in generale, si afferma un relativismo multiculturale secondo il quale qualunque filosofia, religione o pratica è accettabile fintanto che essa non danneggi gli altri.

Nella società contemporanea le relazioni interpersonali sono governate da un continuo e crescente scambio di mini-transazioni quali sms, email, miniblogs, ..e ciò è vero per quasi tutte le fasce di età. Ma la generazione Y ha conociuto solo questo contesto comunicativo. Quasi da bambini attraverso la Tv e le carte di credito vedono se steessi come clienti in presochè ogni contesto. Questa attitudine diventa per loro quasi una seconda natura che si porteranno dietro anche là dove andranno a lavorare. Le imprese che li acquisiranno deveno tenere conto di questa mentalità transazionale che è presente in quasi tutti i comportamenti della generazione Y e dovranno quindi riprogettare persino il modo di assegnare obiettivi e di retribuirli se vorrano far leva sulle indubbie qualità di questi giovani.

La generazione Y è inoltre stranamente affascinata da qualcosa che è più della tradizionale amicizia. Essa desidera la comunità: essere compresi, accettati, rispettati e soprattutto inclusi. L’autostima nasce quando c’è accettazione da parte del gruppo di cui si voglia fare parte. Il travolgente successo di Facebook ne è un esempio eclatante.

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Inoltre la generazione Y manifesta una crescita di empatia, ossia di quella

che è la capacità di capire, sentire e condividere i pensieri e le emozioni di un altro in una determinata situazione: detto molto più semplicemente la capacità di mettersi nei panni degli altri. E questa empatia travalica città e nazioni, tanto che attraverso i social network si stabiliscono contatti e si condividono interessi ed emozioni con altri giovani, che quasi mai si sarebbero incontrati. Attraverso Internet, che questa generazione ha pienamente adottato, sembra anche che per la prima volta si crei un’unica famiglia allargata.

Aldo Manuzio aveva creato una biblioteca i cui confini erano il mondo, oggi Internet crea una famiglia di giovani i cui confini sono anch’essi il mondo.

La generazione Y ha visto i propri genitori ricompensati per l’impegno profuso: casa, vacanze, macchina, beni materiali,… Essa stessa in definitiva ne ha beneficiato. Eppure ha anche constatato che spesso tale benessere è stato acquisito al costo di matrimoni falliti, di genitori assenti, di compromessi che hanno casualmente scoperto, e di un crescente stress che i genitori non sono riusciti a mascherare.

E’ quindi abbastanza disillusa, come lo è sempre la gioventù quando scopre la faccia nascosta di una realtà complessa. Nasce quindi quasi spontaneamente la voglia di abbandonare il modello della crescita economica.

Del resto i giovani non amano l’autorità, non amano i partiti politici, non amano le organizzazioni centralizzate. E Internet consente loro di colloquiare tutti insieme e in tempo reale in una strana forma di democrazia tecnologica.

E questo ci porta a un aspetto molto importante per le imprese che nel prossimo futuro dovranno per forza contare su questa generazione. Quali sono le sue reali motivazioni? Da esse discendono sia la qualità del lavoro sia il senso di appartenenza all’impresa di cui faranno parte.

Da diverse analisi che sono state recentemente condotte si scopre che il salario è solo al sesto posto in ordine di importanza nella scelta di un lavoro.

Training, stile di management, flessibilità sul lavoro, attività di staff, e ricompense di tipo non economico sono più importanti.

Ma c’è soprattutto una diversa mentalità nell’approccio ai problemi che sembra caratterizzare questa generazione, parlando ovviamente dei giovani più attenti e che non sono pochi. Le imprese privilegiano lo studio e l’apprendimento, la generazione Y vuole piuttosto sperimentare. E’ questo un punto importante che richiede un’ulteriore riflessione. Finora l’approccio ai problemi è stato tipo riduttivo-meccanicistico. Un problema viene esaminato scomponendolo in elementi sempre più piccoli, in modo da poterne studiare le proprietà. I singoli elementi sono la parte più importante e dalla loro comprensione individuale si risale alla comprensione dell’intero problema. Questo approccio porta inevitabilmente a una proliferazione di specialisti, certamente indispensabili ma purchè non siano troppi e purchè siano affiancati a generalisti che siano in grado, affrontando un problema, di considerare non le singole parti ma piuttosto il loro insieme, visto quasi come un unico organismo; rivolgendo quindi l’attenzione alle relazioni tra gli elementi piuttosto che ai singoli elementi considerati individualmente. La rapida evoluzione della società e della tecnologia negli ultimi secoli è stata troppo travolgente per consentirci di comprendere la realtà che ci circonda nei suoi aspetti più complessi: energia, clima, società, etica,… Forse l’attuale complessità del mondo trascende una capacità di comprenderlo che si è evoluta geneticamente attraverso migliaia di generazioni e che

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oggi sembra palesemente inadeguata.

Questo fenomeno sembra avere ulteriori implicazioni sull’odierna gioventù. Mentre le generazioni precedenti puntavano sull’individuo in grado di reagire rapidamente, nel quale potremmo riconoscere proprio lo specialista-individualista, la generazione Y è costituita di giovani che vogliono integrarsi e che sono attratti dalla socialità. Potremmo allora sintetizzare alcune semplici regole di ingaggio da parte degli imprenditori per ottenere da questa generazione quanto essa può dare con generosità:

- un stile credibile: se si è meno che trasparenti il giovane Y se ne accorge - capire che la generazione Y utilizza le nuove tecnologie con una rapidità e una

disinvoltura difficilmente eguagliabili, ma apprezza molto la spontaneità - comprendere quale sia il loro stile comunicativo preferito, che può essere

tecnologicamente differenziato - considerare che la generazione Y apprende se l’ambiente li coinvolge ed è

aperto alla discussione economia, imprese e ruolo della tecnologia

La globalizzazione e la delocalizzazione, come anche l’attuale crisi dell’economia, indicano che nel mondo del business è necessario sapersi muovere in modo diverso, anche dal punto di vista dell’ ICT che è ormai parte integrante di ogni impresa. Ciò anche vero in Italia dove il tessuto connettivo economico è prevalentemente costituito di piccole e medie imprese (PMI).

Lo scopo di una PMI resta tuttora quello di vendere i propri prodotti o i propri servizi. E per vendere è necessario oggi saper colloquiare meglio, rispetto agli anni passati, con i propri clienti. Occorre quindi saper utilizzare tecniche di marketing più evolute rispetto a quelle tradizionali e in grado di coinvolgere più intensamente la clientela. Ma se ancora qualche anno fa un marketing d’avanguardia sembrava essere quasi oltre l'orizzonte economico di una PMI, perchè occorrevano capitali non irrisori per pensare di promuovere un prodotto, ora non è più così, almeno in certi contesti.

Sono disponibili nuove metodologie comunicative. Si può fare marketing estremamente creativo e a basso costo utilizzando il Web in generale e il cosiddetto Web 2.0 in particolare.

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Si è ormai ben compreso che è in atto una vera e propria rivoluzione nel modo

con il quale le persone individuano e scelgono le imprese con le quali fare business. Oggi, in pratica, quasi ognuno si rivolge innanzitutto a Internet per acquistare

un bene o un servizio. Si può iniziare con una ricerca attraverso Google o Yahoo, oppure si possono inviare messaggi per avere un consiglio a parenti o amici attraverso e-mail, Facebook, Twitter, o altro ancora.

E le imprese che otterranno attenzione non sono necessariamente le più grandi, o le più famose, o quelle che hanno più pubblicità in TV, ma piuttosto quelle che hanno la migliore visibilità sul Web. Durante il 2009 negli USA sono stati investiti oltre 1.2 miliardi dollari in pubblicità su social network. E non sottovalutiamo il fatto che la audience di Facebook è molto più grande di quella di qualsivoglia TV. In Inghilterra il 17% delle PMI utilizzano Twitter.

Nasce così un nuovo tipo di marketing, il cosiddetto inbound marketing (letteralmente marketing di ritorno), rispetto al tradizionale outbound marketing (ovvero marketing in uscita) che prevede risorse fisiche spesso inefficaci.

Non è più necessario ricorrere a dispendiose campagne pubblicitarie sui canali tradizionali, quali stampa e TV, come non è più necessario disturbare le persone con telefonate a casa nelle ore più inconsuete.

L’impresa che ha saputo creare intelligentemente la propria imagine (brand, prodotti e/o servizi), online, viene individuata attraverso motori di ricerca o siti come Facebook, Youtube, Twitter,…Siti che decine e decine di milioni di utenti visitano ogni giorno.

Nell’ambito dell’editoria il successo, dopo iniziali esitazioni, è stato travolgente. Amazon sta creando le basi per un’ulteriore rivoluzione, quella del libro virtuale che viene distribuito e letto online a un costo nettamente inferiore a quello tradizionale e con la possibilità di muoversi avendo con sè un’intera biblioteca (virtuale).

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Ma non è tutto. Amazon ha indicato come i lettori possano inserire commenti

online, giudicare la qualità del libro, confrontare recensioni, dialogare tra loro, individuare edizioni usate, rare o di pregio, ovunque nel mondo, potendo disporre al tempo stesso di una galassia di subfornitori che possono vendere a costi persino inferiori.

Internet è tutt’altro che la morte della lettura: chi lo sostiene non ha compreso nulla.

Le nuove possibilità di marketing sono in realtà molto complesse e in continua evoluzione e discendono in grande misura delle possibilità offerte dalla tecnologia ICT, in continua evoluzione, nella quale possiamo individuare almeno quattro macrotendenze particolarmemente significative.

- la ricerca delle informazioni digitali

La creazione di informazioni in forma digitale sta superando la nostra capacità di utilizzarle: nasce così un vero e proprio sovraccarico di informazione. Con continui aggiornamenti miliardi di pagine Web sono quasi in lizza per il nostro tempo. Come districarsi in un simile coacervo? Il grandissimo Borges, già nel 1941, aveva già compreso, con un intuito prodigioso, come l'uomo potesse andare incontro a una simile confusione nella ricerca delle informazioni. Infatti nella Biblioteca di Babele egli scriveva: " L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, forse infinito, di gallerie esagonali ... Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentivano padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v'era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse: in un qualche esagono. L'universo era giustificato, l'universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della speranza...Alla speranza smodata, com'è naturale, successe una eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d'un qualche esagono celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili, parve quasi intollerabile... Sappiamo anche d'un'altra superstizione di quel tempo: quella dell'Uomo del Libro. In un certo scaffale d'un certo esagono (ragionarono gli uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l'ha letto, ed è simile a un dio...Come localizzare l'esagono segreto che l'ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il libro A, consultare previamente il libro B; per localizzare il libro B, consultare previamente il libro C; e così all'infinito... In avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni.” Ma Borges non poteva immaginare che sarebbero veramente nati gli Uomini del Libro, ossia i motori di ricerca, come Yahoo o Google. I motori di ricerca stanno diventando uno dei pilastri della complessa infrastruttura ICT che sostiene l’odierna società mondiale. Il numero di richieste (search) giornaliere ha probabilmente superato i 400 milioni al giorno, ossia quasi 5000 richieste al secondo, delle quali oltre 3000 servite da Google. Occorre riflettere, e troppo spesso lo si ignora o lo si dimentica, sul fatto che l’utente desidera la risposta immediatamente, altrimenti si distrae. Ciò significa che la capacità elaborativa di un’impresa come Google è formidabile. Non si sa esattamente quanti siano i microprocessori contemporaneamente utilizzati (e distribuiti geograficamente in vari cluster), ma probabilmente il loro numero non si

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discosta di molto dal milione di unità. Questo già fa comprendere l’enorme strategicità di un simile soluzione ingegneristica, basata su di un algoritmo proposto in una tesi di laurea da due giovani studenti americani: questo è il progresso! E oggi le persone possono ottenere in pochi secondi informazioni di qualunque genere; informazioni che ancora qualche anno fa avrebbero richiesto lunghe ricerche in biblioteca, complicate riflessioni su come e cosa cercare, e via dicendo. E’ difficile valutare oggi quale possa essere l’impatto sulla società di una simile rivoluzione culturale. Un raffronto potrebbe sembrare azzardato ma potrebbe essere utile per un’ulteriore riflessione sulla natura di Internet e dei motori di ricerca. Com’è noto Gutenberg, per primo, aveva stampato alcune copie della Bibbia. Ma Gutenberg era un orafo e come tale non aveva la sensibilità culturale per comprendere veramente cosa fosse un libro e quale rivoluzione egli stesse avviando. Fu Aldo Manuzio che intuì veramente l’essenza di questa rivoluzione, la rivoluzione silenziosa, e inventò il libro quale oggi noi lo conosciamo. Gutenberg si era limitato a riproporre tipograficamente le Bibbie che già gli amanuensi copiavano faticosamente a mano. Aldo invece creò il libro nel formato portatile che noi conosciamo, diviso in capitoli, con maiuscole e minuscole, con le pagine numerate, con gli indici, con caratteri tipografici di straordinaria bellezza. E a piene mani attinse alla Biblioteca Marciana di Venezia per proporre all’Europa intera Platone, Aristotele,…donando così un tesoro culturale fino allora noto solo a pochissimi. Erasmo da Rotterdam, con straordinario intuito, comprese ciò che ad altri era sfuggito ed esclamò: “Aldus bibliothecam molitur, cuius non alia septa sint, quam ipsius orbis” (ovvero, Aldo crea un biblioteca le cui mura sono il mondo!). Internet e i motori di ricerca stanno creando premesse analoghe per una rivoluzione che è molto di più che non l’informatizzazione di paghe e stipendi, o del controllo della produzione o dei conti correnti di una banca. Vedremo meglio più avanti che proprio qui si gioca la partita del nuovo business. Il software applicativo gestionale resta fondamentale per le imprese, ma nascono ben altre opportunità. Le persone infatti utilizzano i motori di ricerca per un’ampia varietà di scopi tra cui anche quello di individuare e comprare prodotti e servizi. Anche durante l’attuale lunga recessione economica si è constatato che il commercio elettronico durante il 2008 ha generato negli USA 32 miliardi dollari. E non è tutto. Si è anche notato che l’interazione online (ossia le ricerche via Internet) generano esse stesse un business offline. Un recente studio di Yahoo ha indicato che per ogni dollaro speso per pubblicità online sono stati generati sei dollari di acquisti offline. Anche uno studio di Nielsen ha mostrato effetti simili. Sono ormai molti di più coloro i quali utilizzano motori di ricerca piuttosto che pagine gialle. Ma quello che sorprende è quanto queste analisi siano ancora in una fase embrionale e tuttavia spesso ricca di constatazioni sorprendenti. Si sa ormai che nelle ricerche la maggior parte degli utenti proprone una o al massimo due parole al motore di ricerca. Ma si vede anche che, anno dopo anno, crescono percentualmente molto di più le ricerche con più parole, e ciò soprattutto nelle classi più abbienti: questo è un chiaro indice di un nuovo tipo di alfabetizzazione di cui il business dovrà tenere conto. Ma si è anche studiato come si muovano gli occhi di chi osserva una pagina Web. E si è visto che quest’ultima appare in prima istanza come una grande F, con gli occhi che generalmente puntano subito al vertice in alto a sinistra, per poi muoversi

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prima verso il centro e poi lungo i due assi della lettera F, senza quasi mai puntare in basso a destra. E’ intuitivo che chi voglia catturare l’attenzione dell’utente dovrà tenere conto di questo fatto. Il tema dei motori di ricerca è un tema di enorme importanza per la società, per l’economia e per la cultura in generale e le conseguenze indotte da queesta tecnologia saranno certamente di grande rilevanza.

- le reti sociali

Un’altra importante conseguenza provocata dalla diffusione di Internet è la creazione per mezzo di opportune applicazioni software di molteplici social network (ovvero reti di relazioni sociali), che vengono a costituirsi tra individui per stabilire contatti in ambiti differenti, come professioni, amicizie, relazioni sentimentali,… Nell’ambito di queste reti si possono creare profili individuali, stabilire liste di contatti, inserire informazioni personali quali fotografie, e scorrere i contatti stessi. Le caratteristiche della specifica rete ne determinano l’utilità per le persone che ne fanno parte. Attualmente alcune di queste reti sociali, come Facebook, Myspace, Twitter, Linkedln, stanno crescendo vertiginosamente, tanto che il numero di contatti giornalieri su Facebook sembra abbia persino superato quelli di Google. Da molti decenni sono stati condotti diversi studi sulla natura delle reti sociali in generale, per comprendere la psicologia delle persone che ne fanno parte, le loro abitudini, i vantaggi, i pericoli, i limiti,… Si è anche cercato di comprendere come reti sociali diverse possano interagire. Le reti sociali sono ormai una realtà così concreta da richiamare anche l’attenzione del mondo del business in quanto le imprese possono utilizzarle sia per la gestione del propri personale sia per quella dei clienti, potenziali o acquisiti. Ci sono certamente aspetti negativi, tra cui soprattutto l’enfasi verso il protagonismo di chi vuol far parte di un rete. Su Facebook ci sono persone che elencano fino a 500 amici, quando l’ormai classica analisi di Robin Dunbar (tra i primati la dimensione del gruppo sociale è limitata dall'estensione della neocorteccia) limita a 150 il numero di persone con le quali un individuo può in realtà interagire normalmente. Un numero che l’antropologia indica come tipico di un villaggio e che sembra persino legato alla capacità mentale di riconoscimento dei diversi membri di un gruppo. Al di là di questi aspetti psicologici occorre però porre attenzione alle possibilità di business che le reti sociali online offrono oggi alle imprese. Da indagini recentemente effettuate si è constatato che le reti sociali sono ormai entrate a far parte della vita di imprese medie, grandi e piccole, perchè le imprese stesse sono consce delle opportunità che tali reti possono offrire nel rapporto con clienti attuali e potenziali. Le reti diventano una preziosa risorsa per conoscere preferenze e opinioni relative all’impresa e ai suoi prodotti/servizi. Ormai sembra che la maggior parte delle imprese esaminate nelle varie indagini conoscitive sia orientata a dedicare parte delle proprie risorse proprio alla comunicazione attraverso le reti sociali, tra cui soprattutto Facebook, ma anche piattaforme di microblogging quali Twitter. Sembra che ci sia una crescente consapevolezza nelle imprese sull’importanza delle reti sociali per ottimizzare la comunicazione con il mercato e per migliorare l’immagine d’impresa. La società americana di ricerca Forrester prevede per il software denominato Web 2.0, che include i social network, una crescita del 43% l' anno (dai 764 milioni di dollari del 2008 ai 4,6 miliardi nel 2013).

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Ciò rappresenta tuttavia meno dell' 1% rispetto alla spesa globale delle grandi imprese per il loro software. E’ pur vero che la strategia è ancora in gran parte in fase sperimentale perchè pur comprendendone le potenzialità non si sa ancora bene come metterla pienamente a frutto. Ci sono infatti anche dei fattori di rischio, soprattutto per l’immagine d’impresa, se la presenza sulle varie reti sociali non viene progettata adeguatamente.

- la realtà aumentata

La realtà virtuale è un mondo, alternativo a quello reale, nel quale si percepisce attraverso una stimolazione sensoriale, soprattutto ottica, simulata da un computer ciò che altrimenti non sarebbe possibile percepire. Di fatto la percezione viene ingannata dal computer che ci dà l’impressione di muoverci nella realtà virtuale come se fossimo immersi in un ambiente fisico reale. Il primo grande contatto di massa con la realtà virtuale, anche se si trattava in realtà di un ibrido tra reale e virtuale, è avvenuto probabilmente con il film Jurassic Park nel quale il realismo delle scene con i dinosauri ha raggiunto per la prima volta livelli di credibilità tali da coinvolgere completamente gli spettatori. E ciò è stato reso possibile da applicazioni software, appositamente costruite, che hanno permesso di trattare ogni dinosauro con una straordinaria fedeltà ai modelli scientifici. Nella memoria del computer sono state inserite migliaia di fotografie di dettagli fisici quali scaglie e rugosità del corpo di rettili, i loro riflessi, gocce d'acqua sulla pelle, occhi vetrosi, denti giallastri, e via dicendo. La capacità di elaborazione del computer è riuscita ad animare questi modelli consentendo una vera e propria smaterializzazione delle scene da filmare, con gli attori che recitavano in assenza dei dinosauri, i quali ultimi venivano opportunamente re-inseriti in una fase successiva. Così una società moderna ha potuto rivivere in parte l’illusione di coesistere per un paio di ore con quei mostri che tutti abbiamo fantasticato da bambini. Naturalmente la realtà virtuale può produrre ben altre applicazioni e può mescolarsi con la realtà fisica in modi assolutamente inimmaginabili prima dell’avvento del computer, e soprattutto prima della vertiginosa crescita della capacità di calcolo di quest’ultimo. Oggi però la sovrapposizione di elementi virtuali e multimediali a immagini video può favorire un ampio spettro di attività, che richiedono un’interazione dinamica tra l’utente e le informazioni di cui vuole fruire, dando luogo a un nuovo tipo di possibilità complessivamente denominate realtà aumentata (augmented reality). Nella realtà virtuale si osserva in definitiva su di uno schermo la proiezione di un mondo totalmente fittizio e costituito interamente di oggetti virtuali. Nella realtà aumentata, invece, non si è vincolati a una visualizzazione su di uno schermo, ma qualsiasi superficie può diventare un supporto per visualizzare il flusso video in realtà aumentata; ciò che viene ripreso, inoltre, è un’integrazione fra immagini reali e oggetti virtuali. Per esempio possiamo immaginare di guidare la nostra autovettura osservando la strada di fronte a noi. In realtà aumentata potremmo vedere oltre alla strada e al panorama informazioni digitali sulla velocità alla quale ci muoviamo, sulla larghezza della carreggiata, sulla temperatura e sull’umidità dell’aria,… senza staccare gli occhi dalla strada, ma ricevendo le informazioni proiettate sul parabrezza in forma quasi trasparente.

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Si può allora facilmente immaginare quanto queste applicazioni possano diventare ben più complesse e utili: basti pensare tra tutte alla chirurgia. Quante cose potrebbe vedere e utilizzare il chirurgo durante un’operazione. Ma ci sono enormi potenzialità, che si cerca di sviluppare e valorizzare, anche nel marketing e nella pubblicità. In tal senso, infatti, cominciano a diffondersi esempi di realtà aumentata che mirano alla promozione di prodotti (come automobili e cellulari), muovendosi in un ambito vastissimo nel quale la creatività può generare soluzioni funzionali e persino divertenti.

- il cloud computing

si assiste attualmente a una nuova forma di centralizzazione delle applicazioni software verso un’entità più complessa che, con un’azzardata metafora, viene denominata “cloud computing” ossia una vera e propria nuvola di risorse informatiche. L’evoluzione verso questo nuovo modello è una naturale conseguenza dell’attuale disponibilità di reti trasmissive sempre più efficienti e a buon mercato e di microprocessori di crescente capacità elaborativa a minor costo. Il nuovo modello di computing sembra molto attraente sia per gli utenti individuali sia per le imprese,soprattutto medio-piccole, sia infine per I fornitori di servizi IT. Gli utenti, infatti, potranno notevolmente ridurre le loro installazioni di software e conseguentemente i costi dei loro sistemi. Molti servizi offerti dal cloud computing verranno persino offerti gratuitamente in virtù di spazi pubblicitari. Al tempo stesso le imprese potranno ridurre la complessità e i costi di manutenzione dei loro sistemi dal momento che gran parte dei servizi richiesti dagli utenti verranno forniti attraverso un browser, e quindi dalla “nuvola”. Infine i fornitori dei servizi di cloud computing potranno fare leva sulle economie di scala che potranno ottenere dalla messa in comune di specifiche risorse. Uno dei servizi più tipici che oggi viene richiesto è quello della posta elettronica, le cosiddette e-mail. Perchè allora un’impresa o un’organizzazione, come per esempio un’università, dovrebbe installare un mail server quando questo servizio potrebbe essere fornito, in un modo non dissimile dalla fornitura della corrente elettrica, da aziende come Google o Microsoft.

Vengono così a crearsi molte nuove possibilità attorno alla tradizionale colonna vertebrale di una PMI; colonna vertebrale che resta ancora il software applicativo gestionale, il cosiddetto ERP (Enterprise Resource Planning). Fino a poco tempo fa era sufficiente far colloquiare l'ERP con le macchine a controllo numerico, mentre oggi la sfida tecnologica è piuttosto quella di far colloquiare le PMI con il mercato non solo attraverso le possibilità offerte da Internet, come appena visto, ma anche utilizzando più evolute tecniche di comunicazione multimediale interattiva. Le nuove tecnologie della comunicazione sono infatti molto più flessibili e innovative rispetto a quelle tradizionali della televisione e del telefono. E’ soprattutto in atto una complessa convergenza dei media che diventerà sempre più importante non solo dal punto di vista tecnologico ma anche da quello del business.

Cerchiamo allora di approfondire il tema della convergenza multimediale.

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Web e TV stanno convergendo

E’ diventato d’uso comune il termine piattaforma per indicare genericamente il dispositivo attraverso i quale si stabilisce un particolare canale comunicativo. Alcune piattaforme comunicative sono ormai ampiamente consolidate, anche se tuttora in evoluzione, come la telefonia e la televisione. Altre sono apparse più recentemente, come i Personal Computer, i telefoni cellulari e anche i dispositivi ibridi, quali i cosiddetti set- top box che consentono di utilizzare tecnologie tradizionali, come la TV, anche in ambito digitale.

Lo scenario complessivo risulta alla fine abbastanza complicato perché molte delle predette tecnologie possono sovrappporsi o convergere verso dispositivi comuni multifunzionali. Diventa così possibile entrare nel Web da un televisore, oppure guardare un programma televisivo sullo schermo di un Personal Computer o su quello di un telefono cellulare.

Come si articola, a grandi linee, questa evoluzione tecnologica e che impatto potrà avere sull’economia e sulla società?

Cerchiamo allora di descrivere in modo semplificato quale tipo di convergenza tecnologica potrà stabilirsi tra le varie piattaforme.

- l’evoluzione della televisione

Da molti decenni la televisione è diventata forse il principale canale di comunicazione della società. Il numero di ore che mediamente un individuo passa di fronte al televisore è oggetto di continue analisi da parte di sociologi, medici, politici e studiosi di vario tipo.

Per molti decenni la struttura tecnologica della televisione è rimasta sostanzialmente stabile, a parte una naturale evoluzione verso il colore e verso una programmazione di tipo commerciale.

Oggi però lo scenario può cambiare profondamente. Infatti da una parte la TV tradizionale potrebbe in qualche modo entrare nel Web, come un Personal Computer, e quasi simmetricamente diventa possibile trasmettere al Personal Computer programmi televisivi.

A ciò si aggiunge poi la disponibilità di un dispositivo multifunzionale, quale il telefono cellulare, che può esso stesso diventare un punto di accesso ai programmi televisivi.

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C’è da aggiungere che anche gli schermi si sono profondamente evoluti e sia

le loro dimensioni che la loro qualità di immagine si sono enormemente perfezionate. E con ciò si comprende come sia diventato possibile disporre su piattaforme diverse di una base tecnologica comune.

Infine c’è da considerare che la presenza di microprocessori in tutte le diverse piattaforme consente un utilizzo sempre più evoluto dell’altra componente fondamentale dell’ ICT, ossia il software.

Tutti questi dispositivi sono quindi in grado di partecipare di quella straordinaria infrastruttura che si sta rivelando Internet.

Allora ci si può domandare quali possano essere le probabili prossime evoluzioni e quali le opportunità che esse offriranno alla società in generale e all’economia in particolare.

Innanzitutto dobbiamo considerare la televisione tradizionale che viene ancor oggi utilizzata dalla quasi totalità degli utenti TV. E’ possibile trasformarla in un punto d’ingresso verso Internet?

All’inizio del 2010 Google, Intel e Sony hanno convenuto di sviluppare una comune strategia per portare Internet su nuovi modelli di televisore. In tale modo queste tre aziende pensano di estendere l’utilizzo di Internet anche agli utenti della televisione tradizionale.

Già esistevano alcune possibilità di fare ciò per mezzo di televisori e set-top box opportuni, ma in modo limitato.

La strategia di Google dei suoi partner è quella di utilizzare un software evoluto (il sistema Android già sviluppato per il cosiddetto smartphone) per offrire un’interfaccia televisiva che permetta di attivare le funzioni Internet, quali soprattutto le ricerche (search) e per scaricare sul televisore applicazioni diverse, quali video Youtube, giochi elettronici, social network e altro ancora,…

Se questa strategia avrà successo gli impatti sul mondo del marketing, e della publicità in generale, saranno certamente rilevanti.

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Dal punto di vista del dispositivo televisivo si può pensare all’utilizzo di un

set-top box intelligente che interfacci il normale televisore oppure a un televisore di nuova generazione che incorpori un microprocessore (quale per esempio il recente Atom di Intel). IPTV e Internet TV

Negli ultimi anni l’industria televisiva aveva già ampliato le sue possibilità attraverso l’utilizzo di servizi forniti via cavo o via satellite.

La disponibilità del protocollo trasmissivo IP (tipico di Internet) permette ora all’industria dei programmi televisivi ampliare ulteriormente la sua offerta.

Oggi vengono così ad aggiungersi due nuove possibilità denominate rispettivamente IPTV e Internet TV. Tra le due ci sono differenze tecniche abbastanza sottili che esulano però dagli obiettivi della nostra analisi.

Per dirla in modo semplificato possiamo affermare che l’IPTV può essere paragonato alla televisione via cavo mentre la Internet TV può ricordare in un certo senso la televisione tradizionale.

La reale differenza è nei contenuti trasmessi che non nelle tecniche di trasmissione.

La IPTV utilizza una rete privata con la quale i contenuti trasmessi (per esempio un film) sono di alta qualità e fortemente protetti da forme di pirateria o altro. In sostanza i canali di trasmissione utilizzano il protocollo IP attraverso una rete privata.

Invece la Internet TV utilizza la rete publica Internet che è evidentemente molto più capillare ma anche di minore qualità (per un più ridotto bandwidth) e meno protetta.

A prima vista potrebbe sembrare che la Internet TV sia più idonea per la cosiddetta long-tail economy (l’economia di coda lunga), ossia per raggiungere qualsivoglia nicchia di mercato. In altri termini, soprattutto per una PMI, il nuovo canale di comunicazione consente di adottare una strategia di coda lunga secondo la quale quale l’utente arriverà con maggior facilità e precisione a prodotti di nicchia meno ricercati, evitando così alla PMI stessa di competere su pochi prodotti di massa, in grado di generare sì grandi volumi ma sui quali la concorrenza è spesso elevatissima.

Utilizzare il PC come schermo per guardare i programmi TV può consentire poi all’utente di operare in multiprogrammazione, ossia può permettere di alternare (con la frequenza gradita dall’utente) attività di lavoro ad attività di intrattenimento, con una notevole flessibilità di utilizzo.

In generale, quindi, i video trasmessi su Internet TV sono più brevi e di minore qualità rispetto per esempio ai film trasmessi sullo schermo TV di una IPTV.

Ma la distinzione è abbastanza fluida e ambedue i modelli hanno ampie zone di sovrapposizione così come entrambi hanno notevoli opportunità di mercato. E’ difficile dire oggi quale potrà prevalere ed è piuttosto probabile che per un certo tempo almeno coesisteranno.

Inoltre la disponibilità di dispositivi sempre più versatili consente in effetti di poter fruire indifferentemente di programmi televisivi sul computer così come dei servizi Internet su televisori apparentemente tradizionali.

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In definitiva la società nel suo complesso si sta muovendo verso un ambiente

multipiattaforma che, almeno a breve, non convergerà verso un unico dispositivo multifunzionale.

C’è infine da osservare che le immagini potranno essere proposte anche in tre dimensioni. L’ultima generazione di televisori ad altissima definizione per mezzo di schermi più sofisticati, di riprese più complesse e di appositi occhiali, consente di vedere immagini che, come nell’ormai celebre fim Avatar, sembrano uscire dallo schermo dando allo spettatore la sensazione di entrare egli stesso nell’azione di un film o di partecipare a una partita di calcio, come se fosse presente a bordo campo.

E’ intuibile che il marketing e la pubblicità sapranno utilizzare questa tecnologia per applicazioni che oggi hanno un limite forse solo nella capacità della fantasia umana.

Le conseguenze per la società, almeno per il momento, non sono nemmeno ipotizzabili. Mobile Web 2.0

Le tecnologie del Web e dei telefoni cellulari sono in costante evoluzione. I cellulari, in particolare, incorporano sempre più funzioni tipiche di un computer.

L’obiettivo è chiaramente quello di assicurare alle persone una crescente mobilità non solo nella vita privata ma anche nel lavoro.

Si sta quindi diffondendo un nuovo paradigma, denominato Mobile Web 2.0 che sintetizza la strategia di distribuire dati e informazioni in rete consentendo al tempo stesso all’utente di prelevarli quando necessario.

Le maggiori aziende di telecomunicazioni hanno così visto crescere la domanda di sempre più evoluti servizi di accesso alla rete da parte dei telefoni cellulari. Le nuove generazioni di cellulari offrono quindi funzioni multimediali evolute che integrano Web e telefonia.

La maggiore difficoltà attuale è piuttosto nella mancanza di standard industriali sui telefoni cellulari e quindi nella incompatibilità di tali cellulari con specifiche applicazioni Web: spesso alcune pagine Web sono incompatibili con certi dispositivi.

Ma lo scenario è destinato a evolversi rapidamente e finiranno con l’affermarsi solo alcune architetture attraverso le quali sarà possibile una maggiore compatibilità con Internet.

Quali sono al momento le maggiori barriere tecnologiche? Innanzitutto le dimensioni dello schermo. Uno schermo di grandi dimensioni

comporta anche grandi dimensioni del telefono cellulare e viceversa un piccolo schermo riduce lo spazio disponibile per l’utente.

La navigazione attraverso le informazioni fa ora un ampio uso di tecniche touch-screen, ma le tecniche joystick/flicker sembrano tuttora più amichevoli (user friendly).

Le tecnologie fondamentali del Web, ossia Flash, Javascript e cookie, diventeranno standard in tutti i dispositivi mobili.

La larghezza di banda, infine, è maggiore su di un computer che non su di un cellulare.

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Le conseguenze dell’affermarsi di simili tecnologie sarà rilevante per il

business. Potendo disporre di applicazioni Web interattive su dispositvi cellulari le possibili offerte di prodotti e servizi diventano molto più articolate, flessibili e facili da utilizzare, La pubblicità stessa potrà utilizzare sempre meglio i cellulari fino a far diventare questi ultimi il suo canale privilegiato, soprattutto in vista di un’aumentata mobilità delle persone.

La convergenza di Web e telefonia mobile sta già avendo un rilevante impatto sul mondo della stampa. Giornali e libri possono ormai essere distribuiti via Internet a costi nettamente inferiori rispetto al tradizionale mondo della carta. E’ stato osservato recentemente che il New York Times potrebbe regalare ai suoi abbonati il dispositivo di accesso (per esempio Kindle) perchè il risparmio sul costo della carta ripagherebbe la testata del costo del dispositivo stesso.

mobilità: una rivoluzione copernicana

La tradizionale visione del mondo mutuato dalla rivoluzione industriale, ossia quella di persone che si spostano in un ambiente tutto sommato geograficamente ristretto, nel quale trascorreranno gran parte della loro vita, sta mutando.

Lo scenario viene per così dire ribaltato, quasi in modo copernicano, con gli

ambienti che ruotano intorno alle persone e non viceversa. Il mondo diventa più individualistico e anche più democratico e le persone aumentano la loro mobilità sino a diventare cittadini globali, ossia quasi degli apolidi che vivono là dove trovano le migliori opportunità.

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La gente cambia residenza, attività, e persino famiglia e molti cominciano a

lavorare da casa. Ma ciò non deve preoccupare chi si occupa di produttività. Il terremoto del gennaio 1994 in California aveva distrutto molte vie di comunicazione, soprattutto parti del sistema di highway che è il fondamento del sistema di trasporti intorno a Los Angeles. Una grande quantità di persone fu così costretta a restare a casa da dove comunque continuava a lavorare. Il risultato quasi sorprendente fu che la produttività di alcune imprese durante questo periodo persino migliorò poichè le persone perdevano meno tempo nei trasferimenti.

Ormai attività tradizionali come insegnamento, cure mediche, e funzioni di socializzazione avvengono attraverso un flusso elettronico di informazioni tra punti persino distanti.

La tecnologia ci aiuta così a modificare comportamenti acquisiti da migliaia di anni e ciò comporta evidentemente profonde mutazioni psicologiche. declino o rinnovamento ? La grande ondata di innovazioni tecnologiche cui stiamo per assistere e che si accompagnano ad altre significative innovazioni nella medicina, nella biologia, nell’agricoltura, nella generazione dell’energia, nella comprensione dei modelli climatici oltre che, più in generale, nella matematica e nella fisica, ci fanno pensare che la civiltà attuale non sia ancora realmente in declino. Se limitiamo il nostro campo di osservazione alla sola economia e alla tecnologia che più la influenza, ossia l’ICT, constatiamo che negli ultimi anni, e soprattutto in America, sono state realizzate alcune innovazioni, e quasi sempre da parte di giovani (se non di giovanissimi), come Amazon, eBay, Facebook, Google, Netflix, Twitter, Wikipedia, il cui impatto sulla società, soprattutto giovane, è stato travolgente. Si levano grida di allarme sul fatto che così si leggerà di meno e sul fatto che diminuirà la capacità di concentrazione. Sembra quasi di ascoltare le parole che il re egiziano Thamus, nel Fedro di Platone, rivolge a Theuth, inventore della scrittura: «Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza» In realtà si comincia a pensare in un modo forse diverso, ma si pensa e anche tanto. I ricercatori sono molti di più rispetto a un secolo fa. Un dato su tutti può dare la misura di quanto intense siano la ricerca e la innovazione nel solo software. L’ Iphone di Apple ha avuto un tale successo di mercato che dalla sua apparizione, a tutto aprile 2010, sono state sviluppate oltre 185.000 nuove applicazioni solo per questo dispositivo (disponibili su App Store). Se crediamo, come Spengler, che ci sia un declino intellettuale riflettiamo su alcuni fatti.

Dei 23 fondamentali problemi di matematica che erano stati presentati da David Hilbert al Congresso internazionale dei matematici di Parigi, nel 1900, e che avevano delineato gli obiettivi della ricerca matematica per il XX secolo, ne sono stati già risolti completamente o parzialmente 16. Dei rimanenti 7 quattro sono stati considerati troppo vaghi o irrisolubili. In effetti tra quelli che restano da risolvere solo

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la cosiddetta ipotesi di Riemann, relativa alla misteriosa distribuzione dei numeri primi, la vera balena bianca della matematica, sembra ancora del tutto inaccessibile.

Nella fisica, a sua volta, sembra che non si sia lontani dal comprendere uno dei

maggiori enigmi: come si generi la massa di una parte delle particelle elementari. E’ intuibile che nel frattempo altri problemi, cui nemmeno accenniamo, siano

sorti sia in matematica sia in fisica, e non si sa se e quando saranno risolti; ma la marcia intellettuale continua. Anche uno dei maggiori incubi dell’umanità, ossia il cancro, comincia a essere sempre meglio circoscritto. Ci vorrà forse ancora molto tempo ma gli aspetti generali di questa incredibilmente complessa fenomenologia, che veniva generalmente considerata intrattabile, cominciano a delinearsi. Si potrebbe dire che il nemico pur se non ancora sconfitto almeno è stato circondato.

Restano pur tuttavia ancora altri enormi problemi, di natura del tutto diversa, che occorre affrontare e risolvere. Paurose disuguaglianze, tra nazioni ricche e nazioni povere, tra ricchi e poveri nella stessa nazione, tra possibilità o meno di accesso alle cure mediche o all’istruzione, e altro ancora, rendono lo scenario mondiale molto disuguale.

C’è poi una grande inquietudine per il futuro dell’energia e del clima. Ottimisti e catastrofisti si fronteggiano animosamente. Come sempre chi ne fa le spese è l’etica. Di fronte a veloci mutazioni tecno-socio-politiche i comportamenti diventano aleatori, soprattutto perchè è difficile la rapida alfabetizzazione non solo tecnica ma soprattutto morale della popolazione.

Per quanto attiene all’impatto dell’ICT sulla società umana, quattro aspetti ci sembrano particolarmente importanti e degni di alcune osservazioni: la crescente

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omologazione culturale, l’apparente diffondersi del telelavoro, l’empatia, e il concetto stesso di democrazia.

- omologazione culturale: l’attuale fenomeno della globalizzazione mondiale spinge verso una forma di cultura che, attraverso una lingua quasi universale come l’inglese, favorisce anche il diffondersi della cultura nordamericana. Internet, a sua volta, coinvolge settori sempre più vasti con indubbi benefici ma anche con il rischio di mescolare, spesso in modo inopportuno, tradizioni locali con culture lontane ed eterogenee.

- telelavoro: molte persone potrebbero oggi lavorare a casa, ma soprattutto in un ambito abbastanza specialistico. Il telelavoro generalizzato potrebbe però rappresentare un rischio per le donne, perchè molte di esse ritornerebbero in quella dimensione casalinga dalla quale erano uscite, entrando nel mondo della produzione, secondo un fondamentale principio di pari opportunità con gli uomini. Se il telelavoro non venisse attuato con molta attenzione potrebbe dar luogo a un fenomeno di desocializzazione della donna, che costituirebbe un grave rischio per la società

- empatia: la maggior parte delle reti sociali, ossia delle comunità virtuali di cui si è parlato prima, nascono per empatia ossia attraverso comuni interessi di persone diverse verso particolari argomenti. Le persone che entrano in comunicazione condividono per lo più età, sesso, professione, interessi, problemi, rivendicazioni sociali, politiche, economiche. Ma tale condivisione di interessi è spesso anche un limite per quella che viene genericamente indicata come la democrazia del Web. Infatti una vera democrazia non si fonda su persone simili che condividono interessi comuni, ma quasi sull’opposto, ossia sul confronto di persone diverse persone che raffrontano idee, interessi, e valori differenti, per identificare possibili convergenze o eliminare eventuali divergenze.

- democrazia: se l’empatia dei social network favorisce la creazione di comunità virtuali non è detto che ciò crei di per sé una società democratica, persino globale. Potrebbe piuttosto sembrare che possa nascere una società globale frantumata in un coacervo di comunità vituali. Poiché allora è difficile che il singolo possa da solo tenersi informato sull’intera evoluzione della società di cui fa parte resta fondamentale il ruolo della politica. In un suo grande dialogo (Protagora, 322) Platone afferma che la tecnica più grande è proprio la politica, ossia l’arte di far coesistere secondo sapienza e temperanza (sofia kai sofrosune) una comunità umana. E politica vuol dire saper delegare ai rappresentanti istituzionali; i quali, a loro volta, potrebbero non essere all'altezza delle necessità e allora il Web sarebbe forse in grado di essere uno strumento efficace per richiamare l'attenzione della comunità verso l’inadeguatezza delle scelte.

Ecco allora che gli attuali comportamenti possono diventare inadeguati e difficili da inquadrare in uno schema normativo efficace. I Romani, cui più volte abbia fatto

riferimento, lo avevano già capito: quid leges sine moribus? Come si può legiferare se la coscienza individuale non ha ancora acquisito una corretta sensibilità di fronte al nuovo? La Storia ci insegna tanto, ma non possiamo leggere il futuro riproponendo

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successioni più poetiche che scientifiche come l’età dell’oro, dell’argento, bronzo e del ferro, e via dicendo. La conclusione è che il futuro ci proporrà soprattutto un grande impegno personale, anche in termini di ulteriore alfabetizzazione tecnica. Un paio di decenni fa al termine di un convegno sull’ICT, che era stato tenuto in una grande albergo romano, di fronte alla quantità di novità tecnologiche che erano state presentate durante un lungo pomeriggio, ci fu nella sala come un attimo di disorientamento. E allora nel silenzio che si era venuto a creare si potè udire distintamente una voce esclamare, quasi in romanesco: ”ma allora tocca lavorà!”. La tensione cadde di colpo e la sala scoppiò in una fragorosa risata seguita da un grande applauso.

Potremmo dire la stessa cosa: bisognerà lavorare, e anche tanto. Ma Freud sosteneva, con molta arguzia, che il lavoro è la miglior cura contro tante angosce esistenziali.

Oggi il lavoro però sembra mancare, soprattutto per i giovani. E questo è il vero dramma attuale della nostra civiltà, un dramma dalle proporzioni sociali quasi incalcolabili. Purtroppo questa è una fase storica di grandi trasformazioni tecnologiche e sociali. L’avvento di nuove tecnologie altera sempre la composizione del mondo del lavoro. Quando sta avvenendo ora può ricordare, anche se in modo diverso, la grande crisi avvenuta in Inghilterra all’avvento dei telai meccanici, degli opifici satanici, degli ospizi di mendicità; con tutto il loro carico di dolore e di sfruttamento del lavoro minorile, di miserie e di diseguaglianze sociali che avrebbero costituito un vero laboratorio di ricerca per le analisi socio-politiche di Marx ed Engels e per i meravigliosi romanzi di Charles Dickens; e che avrebbero fatto esclamare a William Blake: “ And was Jerusalem builded here, Among these dark Satanic Mills?”.

Il mondo attuale si sta rapidamente trasformando e occorre saperne seguire rapidamente le evoluzioni, comprenderne le contraddizioni e combatterne le ingiustizie.

Potremmo concludere ritornando proprio a Spengler col cui pensiero avevamo iniziato la nostra analisi. Ci piace allora ricordare le parole di Seneca, ancora profetiche, con le quali egli concludeva il suo Tramonto: “ ducunt fata volentem, nolentem trahunt”.

Il destino guida chi vuole lasciarsi guidare e trascina chi non vuole.

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