Decio Scardaccione Nicola Damiano dalla Riforma ... · meridionalista convinto ed apprezzato, che,...

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Nicola Damiano Cosegretario CRPE Basilicata Decio Scardaccione dalla Riforma Agraria alla Programmazione regionale G L I A T T I D E L C O N V E G N O

Transcript of Decio Scardaccione Nicola Damiano dalla Riforma ... · meridionalista convinto ed apprezzato, che,...

Nicola DamianoCosegretario

CRPE Basilicata

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dalla Riforma Agraria alla

Programmazioneregionale

G L I A T T I D E L C O N V E G N O

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RRiiccoorrddaarree ooggggii DDeecciioo SSccaarrddaacccciioonnee ssiiggnniiffiiccaa ppeerrccoorrrreerree llaa ssttoorriiaa ddeeggllii uull--ttiimmii cciinnqquuaanntt’’aannnnii ddii qquueessttaa rreeggiioonnee, coincidendo la sua attività con que-sto periodo di profonde trasformazioni che egli ha vissuto da protagoni-sta. Una vita non breve ed un’attività operosa che non è facile racchiuderein pochi tratti.Seguirne compiutamente la vicenda in tutte le sue evoluzioni non èsemplice, per cui ritengo, nel tentarne una sintesi, concentrare l’attenzionesui quattro momenti che più la rappresentano:

1. la Riforma Agraria;2. il Piano delle Acque;3. la programmazione regionale;4. l’impegno politico.

Lo conobbi nella sua casa di Sant’Arcangelo nella primavera del 1965.Frequentavo ancora il Centro di Specializzazione e Ricerche Economicheper il Mezzogiorno di Portici diretto da Manlio Rossi-Doria e mi ero appassionatoall’idea che si potesse trasformare l’Istituto Professionale per l’agricoltu-ra di San Brancato in un centro pilota per l’assistenza tecnica in agricol-tura, ripetendo l’esperienza appena conclusa a Borgo a Mozzano dalla Shell.Era quello il periodo della grande emigrazione dal Mezzogiorno che tan-to segnò la mia generazione.Avendo egli saputo da alcuni amici comuni di questo mio interesse mi in-vitò a cena per conoscermi.Iniziò un’amicizia che si consolidò allorchè nel settembre decisi di anda-re a coordinare i nuclei di assistenza tecnica del Metapontino.Mi volle prima collaboratore all’Università di Bari e successivamente al ComitatoRegionale per la Programmazione Economica della Basilicata, del quale erastato nominato Presidente. Proprio a Bari mi fu possibile seguire la suaattività ed il suo modo di operare.Egli ricopriva allora l’incarico di Presidente dell’Ente Riforma e dell’EnteIrrigazione oltre che essere Professore di Economia Agraria e Presidentedel Comitato Regionale per la Programmazione Economica.

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Mi incuriosiva il suo attivismo, che ai disattenti poteva sembrare super-ficiale, ma che invece era il desiderio impaziente di cogliere il nuovo chematurava nella società.Pur nelle molteplici attività, seguiva da vicino ogni problema ed era in gra-do di formulare direttive ed indicare soluzioni operative, la cui congruitàveniva testata immediatamente e quotidianamente.In ciascun ruolo ha avuto non solo un peso, ma ha lasciato un segno, inquanto il suo modo di operare, consentendogli di cogliere con immedia-tezza i cambiamenti che quotidianamente si producevano, gli permette-va di adeguare le strutture e di adottare le direttive più opportune.Il suo modo di operare era una ricerca continua che rendeva il suo prag-matismo fortemente innovativo.La sperimentazione quotidiana, che egli definiva artigianale, gli consen-tiva di dare anche nei consessi scientifici contributi notevoli alla soluzio-ne dei problemi del Mezzogiorno.Per questo Scardaccione non è stato solo l’uomo della Basilicata, ma unmeridionalista convinto ed apprezzato, che, usando la Basilicata e la Pugliacome laboratorio di sperimentazione, è stato capace di individuare solu-zioni operative valide per l’intero Mezzogiorno.Scardaccione è stato prima di tutto l’uomo della Riforma Agraria,non so-lo per l’impegno che vi profuse ma per l’amore e l’attaccamento che eb-be col mondo contadino.Sia da Direttore Generale che da Presidente dell’Ente Riforma non fu maiuomo di apparato, della burocrazia, ma si propose come rappresentantedegli assegnatari, di cui sposò e condivise le ansie di riscatto.Egli fu interprete convinto dello spirito della legge di riforma che costituìun momento di rottura del mondo contadino e tese a dare non solo unlavoro più stabile e sicuro ai braccianti, ma a far crescere nuovi soggettiimprenditoriali, capaci di fornire all’agricoltura meridionale la spinta perla rinascita e lo sviluppo della società meridionale. L’assegnatario era con-siderato da Scardaccione non come il contadino o il bracciante affrancato,

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ma era il nuovo soggetto imprenditoriale capace di rompere il secolareimmobilismo delle campagne meridionali e segnare l’inizio di un rinno-vamento economico, fecondo di progresso per l’agricoltura del Mezzogiorno:basta ricordare l’attenzione con la quale seguiva quelli più dinamici edintraprendenti, ai quali di persona dava consigli e suggerimenti.Al centro di ogni possibile azione di sviluppo poneva sempre l’evoluzio-ne degli assegnatari della riforma, identificandosi quasi con essi.Quella esperienza lo segnò profondamente, tanto che anche nelle successivee molteplici attività ne propose il modello esaltando la capacità creativadell’uomo e le possibilità di riscatto, allorchè, eliminate le cause dell’ar-retratezza, si creano le condizioni per l’affermazione delle potenzialità diciascuno. A dimostrazione dei suoi convincimenti portava ad esempio i ri-sultati ottenuti.Anche quando, dopo pochi anni, le mutate condizioni economiche del Paeserendevano scettici molti sulla opportunità di continuare nell’azione di rot-tura della riforma agraria, i suoi convincimenti non vennero meno.Coerentemente si fece sostenitore della necessità di accompagnare l’azioneintrapresa con nuovi investimenti, più intensivi, quali la bonifica, la irri-gazione, la ricerca e la sperimentazione.Nutrendo grande apprezzamento per l’esperienza che i contadini maturavanonella trasformazione dei poderi egli trascorreva intere giornate in macchi-na spostandosi da un comprensorio all’altro: interrogando, discutendo, il chegli consentiva di conoscere i problemi veri dai diretti interressati ed esse-re in grado poi di individuare con i tecnici dell’Ente le misure da adottare.Egli apparteneva a quella generazione di uomini che credeva che solo chiconosce può amministrare e chi ben amministra può introdurre e facilitarei processi del cambiamento.In quanto Presidente dell’Ente Riforma fu contemporaneamente Presidentedell’Ente Irrigazione. Incarico questo che gli consentiva di avere a dispo-sizione uno strumento capace di eliminare, o quanto meno ridurre, unodei fattori limitanti dell’agricoltura meridionale.

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La carenza di acqua è infatti la causa principale dell’arretratezza e dellascarsa produttività dei territori meridionali. Di fronte al rapido evolversi della situazione economica italiana si rendevaconto che l’azione della riforma avrebbe potuto consolidarsi solo a con-dizione che si dotavano i comprensori di recente appoderati di quelle in-frastrutture capaci di esaltarne la produttività. E la infrastruttura essenzialeera l’apprestamento della risorsa idrica e la sua distribuzione su tutti i ter-reni dominabili.Fu sostenitore perciò del Piano Generale dell’Irrigazione che mirava a do-tare le campagne della Puglia e della Basilicata della risorsa acqua. Si am-pliò il programma di invasi già realizzati sul basso corso dei fiumi con quel-lo delle dighe a quote più alte, atte a servire territori più vasti ed a ridurrei costi del sollevamento.Tale impostazione valorizza le aree interne dove vive la gran parte dellapopolazione e soddisfa le accresciute esigenze idropotabili. Gli invasi a quo-ta alta inoltre consentono di regolare il regime dei corsi d‘acqua, di recuperareall’agricoltura i terreni golenali ed i fondovalli e di costituire un possen-te fattore di crescita dei territori interni, già dotati dei servizi civili essenziali,riducendo quanto più possibile i trasferimenti i popolazione.Acceso fu il confronto con gli organi dell’intervento straordinario, che inattuazione della nuova legge sul Mezzogiorno, la L.717 del 1965, sotto l’im-pulso dell’efficientismo tecnocratico, al fine di accelerare lo sviluppo deicomprensori di bonifica, aveva predisposto un piano di intervento che pre-vedeva la concentrazione degli investimenti nei comprensori irrigui e nel-le fasce latitanti di 10 chilometri, nei comprensori di sviluppo turistico enei nuclei industriali.Con tale impostazione restava escluso il territorio della Basilicata, ad ec-cezione del Metapontino basso, del Lavellese e dell’Alta Val d’Agri per l’a-gricoltura, della costa di Maratea per il turismo e dei nuclei industriali diFerrandina-Pisticci e di Potenza per l’industria. Il restante territorio era con-siderato area particolarmente depressa, per la quale si potevano preve-

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Il Senatore Scardaccione con l’on. Bonomi, segretario generale della Coltivatori Diretti, e con l’on. Pucci, segretario amministrativo della DC.

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dere solo le opere civili (acquedotti, fognature, asili ed edifici scolastici).Per contrastare tale piano fu utile il Piano delle acque: si potè dimostra-re che il territorio irrigabile della Basilicata, di circa 130 mila ettari, penetravadal metapontino verso l’interno per 50-60 chilometri lungo i fondovalli eche quindi, tenendo conto delle fasce latistanti, era da considerare per lamaggior parte oggetto dell’intervento.Divenne prioritario programmare una serie di invasi sull’alto corso dei fiu-mi che hanno consentito di disciplinare i corsi d’acqua, di recuperare legolene sia per l’estendimento irriguo che per l’allocazione delle reti infrastrutturalie di inserire in una strategia di sviluppo l’intera regione.Con la nascita della Regione questa impostazione continuò ad essere ri-tenuta prioritaria, tant’è che nel ‘78, con i fondi dell’articolo 7 della nuo-va legge sul Mezzogiorno, la L. 183 del 76, con l’allora Assessore all’Agri-coltura, Coviello, forzando le ultime resistenze di coloro che sosteneva-no la concentrazione degli interventi, fu varato quel programma di esten-dimento dell’irrigazione nelle aree interne, che ha consentito di portare l’ir-rigazione anche sul Sarmento, sul Sauro e sul Cavone.L’esperienza acquisita da Scardaccione nell’Ente Riforma e nell’EnteIrrigazione fu portata all’interno del Comitato Regionale per la ProgrammazioneEconomica, del quale era stato nominato Presidente nel 1965.Il suo dinamismo, la conoscenza puntuale del territorio e degli uomini chesu di esso vivevano, gli consentirono di dare un forte impulso al proces-so di programmazione che si avviava allora in Italia e di esprimere una vi-sibilità politica che fino a quel momento era rimasta nascosta o che i di-sattenti sottovalutavano. Fino a quel momento aveva operato presso laCamera di Commercio di Potenza il Comitato per lo Studio delle Prospettivedelle Province Lucane, che, istituito in attuazione del Decreto del 1959 delMinistro per l’Industria, Colombo, aveva prodotto lavori di notevole livelloprogrammatico. Questi studi costituirono un notevole apporto al lavoroche il nuovo Comitato si apprestava a compiere. Di particolare livello era-no quelli di Rossi Doria, concernenti le prospettive e le politiche di svi-

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luppo dell’agricoltura in Lucania; di Tocchetti sulle infrastrutture, diMazzarone sul settore sanitario.Ma diverso era il ruolo dei due Comitati: programmatico-decisionalequello del nuovo organismo, più specificatamente di indagine e di studioquello della Camera di Commercio.In particolare lo studio di Rossi Doria, accanto ad una analisi puntuale del-le caratteristiche dell’agricoltura lucana, contiene una seconda parte concernentele prospettive e le politiche di sviluppo dell’agricoltura nei vari comprensoriomogenei, tra cui la montagna, in cui è suddiviso il territorio regionale.Rossi Doria non vedeva possibile per via spontanea il riordinamento del-l’agricoltura montana come processo a sè stante. Ipotizzava, rifacendosia Francesco Saverio Nitti, una integrale ed organica riorganizzazione del-l’economia e dell’organizzazione sociale della montagna mediante la si-stemazione ed utilizzazione dei complessi pastorali e la sistemazione del-le aree che resteranno agricole.“Per via spontanea, affermava, avviene soltanto l’abbandono e il decadimentodella montagna e solo una limitata e disordinata utilizzazione della suaterra. Tale idea, continuava, non ha in sè nulla di collettivistico e di sta-talista, ma costituisce l’unico strumento capace di consentire un razionaleuso di risorse male e difficilmente utilizzabili in altro modo e di metterlea disposizione di imprese individuali o associate modernamente organizzate”.(M. Rossi Doria, Dati e considerazioni sulle prospettive e le politiche di svi-luppo dell’agricoltura in Lucania - Laterza, (1965).Questa tesi non poteva essere condivisa da Scardaccione, assertore del-le potenzialità creative dell’uomo e della possibilità di inserire l’economianel processo di sviluppo della regione.“Il problema della montagna non può e non deve essere visto, afferma-va a Matera, come un problema a sè stante. Questo è stato, a mio avvi-so, l’errore del passato, perché a forza di vederlo come problema isola-to e potenzialmente risolvibile nel suo stesso ambito, si è finito con il ri-tenere che il problema della Basilicata fosse solo un problema montano,

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come se l’avvenire della Basilicata fosse legato esclusivamente alla soluzionedel problema della montagna”. (Decio Scardaccione, Realtà del Mezzogiorno,Dibattito promosso dal Circolo La Scaletta, Marzo 1968).Il dibattito su questo tema fu acceso ed appassionato, tanto che nel giu-gno del 1967 presso il Circolo La Scaletta di Matera si organizzò un incontroad alto livello per discutere dei problemi specifici della montagna lucana.Vi parteciparono, accanto a Rossi Doria, il professor Ciarrocca, Scardaccione,Carlo Aiello, Aldo Morlino ed altri.Ciarrocca, esponente della corrente di pensiero liberista sosteneva che ”inun generale processo di sviluppo economico, la montagna entra in unaposizione di crisi nei confronti della fase storica e sociale preesistente, nel-la quale le condizioni di vita della montagna non erano sostanzialmentediverse da quelle di altre zone che oggi si definiscono privilegiate”.Le caratteristiche della montagna lucana, fredda d’inverno e secca d’estate,non consentono di ipotizzare riorganizzazioni produttive simili ad altre zo-ne montane dell’Italia Centro-Settentrionale. La frattura che si va appro-fondendo tra la montagna e le zone privilegiate non obbliga nessuno adescogitare soluzioni radicali se la soluzione non c’è. Non possiamo risol-vere ciò che non è risolvibile, né possiamo inventare per ogni situazionedifficile una soluzione assoluta, se la soluzione non c’è.Accontentiamoci delle piccole cose che ci possiamo consentire, quali le ope-re civili: viabilità, acquedotti, ecc., e concludeva:

1. sono impossibili soluzioni grandiose del tipo zootecnico e demaniale;2. nei riguardi dell’esodo e dell’emigrazione non c’è da stracciarsi i ve-

stiti. Poichè l’esodo e l’emigrazione sono una delle previsioni più fon-date della programmazione nazionale, è ineluttabile che avvengano;

3. non sono accettabili soluzioni che per il gusto di tutto preordinaredecretino: “tu te ne devi andare, perchè io qua devo fare le cose benfatte”;

4. una corretta politica per la montagna impone di agevolare l’esecu-zione di miglioramenti fondiari e di attrezzature per il territorio. Dette

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opere servono non tanto per consentire aumenti di reddito, quan-to per consentire l’inserzione del progresso tecnologico anche nel-le zone povere della montagna”. (Dibattito sulla montagna lucana -Realtà del Mezzogiorno, Marzo 1968).

Alle critiche del professor Ciarrocca, Rossi Doria rispondeva di non avervoluto fare un piano, ma solo illustrare una serie di considerazioni sui pro-blemi agricoli della Basilicata, in vista di un piano, perchè ritengo, sostenne,che la pianificazione regionale sia cosa da far maturare passo a passo.E continuava: “Riconfermo che nella montagna si pongono quattro ordi-ni di problemi:- il primo è quello di consolidare quella parte dell’agricoltura tradizionale

che, nelle nuove condizioni, può risultare ancora redditizia, prestandosiad un consolidamento e miglioramento;

- il secondo è quello di insediare in montagna con uno sforzo artificio-so,una serie di attività extragricole di carattere industriale capaci di in-tegrare l’attività primaria e di trattenere più popolazione;

- il terzo è rappresentato dal fatto che oltre il 70% della superficie mon-tana non può avere altra utilizzazione che l’incolto, il pascolo e il bosco;

- il quarto è quello di realizzare nella montagna la difesa del suolo in-dispensabile per difendere tutto ciò che stiamo creando a valle. E con-cludeva: il problema vero è quello di trattenere con una prospettiva di-versa da quella tradizionale i giovani.

Non c’era sostanziale disaccordo nei riguardi della montagna tra la posi-zione di Scardaccione e quella di Rossi Doria.La contrapposizione è più nel tono che nella sostanza. “A lui,dice Rossi-Doria nella sua lettera alla Scaletta del novembre 1966, interessa princi-palmente non lasciare attecchire la radice della rassegnazione, tenere i fo-colari di attivismo e rafforzare il potere contrattuale della regione. Il che,data la diversa posizione è più che naturale”. (M. Rossi Doria e laBasilicata: il Mezzogiorno difficile - Franco Angeli - QA).

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Ho voluto riportare alcune pagine di quel dibattito per dimostrare quan-to, accanto all’alto livello tecnico degli uomini che operavano in quegli an-ni, fosse forte la passione ideale e la preoccupazione per il futuro dellanostra regione.A distanza di quarant’anni il problema della montagna si pone ancora intutta la sua drammaticità, forse solo meno gravoso in quanto il suo pe-so demografico si è molto ridotto.Anche se non c’è stata la costituzione del grande Demanio silvo-pastorale,oggi, come ipotizzato da Rossi Doria, si auspica la trasformazione di quel-la vasta area in”parchi nazionali da servire oltre che ai fini forestali, a quel-li turistici e a quelle di conservazione della flora e della fauna”.L’intervento pubblico non c’è stato e nemmeno le forze imprenditoriali lo-cali sono state capaci di trovare una soluzione economicamente raziona-le. Sopravvivono ancora forme di imprese agricole completamente supe-rate, che fanno prevedere nel prossimo futuro un ulteriore abbandono.Il mercato col tempo troverà la soluzione ottimale, che in realtà segneràla sconfitta sia di Rossi Doria che di Scardaccione, difensori, in modi diversi,di quel mondo contadino, che, in quelle condizioni, non ha né la forza, néi mezzi finanziari per promuovere le trasformazioni che l’impresa richiede.La diversità di vedute era dettata da un diverso modo di vedere lo sviluppodella montagna, ma in entrambi vi era la passione e l’attaccamento a que-sta regione.Scardaccione, in quanto Presidente del Comitato per la ProgrammazioneEconomica si poneva il problema di prospettare il futuro della regione nel-la sua globalità e nel contesto economico meridionale, in cui era inseri-ta, esaltando il ruolo di regione cerniera tra la Campania, la Puglia e la Calabria.La realizzazione del sistema di invasi e la regimazione dei corsi d’acqua,consentendo la realizzazione della rete viaria di fondovalle, spezzava il com-plesso montano in tanti comprensori, attraversati dai fasci infrastrutturalilungo i quali era possibile localizzare quelle attività extragricole che ne pos-sono consentire lo sviluppo.

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Egli con un’immagine plastica paragonava la Basilicata ad una mano, dicui il Metapontino era il palmo e le fondovalle le dita.In tal modo ridisegnava l’assetto territoriale della regione rifacendosi, co-me diceva il compianto professore Adamasteanu, a quello magno-greco,in cui le vie fluviali costituivano il collegamento tra le colonie dello Jonioe quelle del Tirreno.Lo Schema di Sviluppo della Basilicata, oggetto di ampio dibattito nelleassemblee di area, nelle sedi dei partiti, delle organizzazioni sociali e dicategoria,è diventato il quadro di riferimento, ancora oggi valido, dell’interacomunità.Le sue linee guida ed il suo impianto programmatico restano ancora va-lidi, il che dimostra la grande intuizione di Scardaccione ed anche la bon-tà del suo metodo,volto a far crescere nella coscienza della popolazionegli obiettivi da perseguire.L’approvazione dello Schema di Sviluppo segnò per Scardaccione ancheil passaggio dal ruolo di tecnico dell’agricoltura a quello politico.Nel 1968 infatti fu eletto Senatore, continuando nel nuovo ruolo la sua bat-taglia a favore del Mezzogiorno e della Basilicata.Il suo messaggio concreto, propositivo, accessibile, accese entusiasmi edimpose a tutti un modo nuovo di far politica e ad affrontare i problemi ve-ri delle popolazioni, con le loro esigenze e i loro bisogni.

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