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85 84 Storia ecclesiastica 1. LA CRUDELTÀ DI DECIO E GALLO Decio non governô neppure due interi anni poiché Eu su- bito ucciso insieme con i suoi figli: gli succedette Gallo 2, A quel tempo mori Origene, all'età di sessantanove anni compiu- ti 3. Scrivendo a Ermammone 4, cOSI dice Dionigi a proposito di Gallo: «Gallo tuttavia non comprese l'errore di Decio, né si preoccupe di riflettere su cosa 10 rnandô in rovina 5 e inciampô nella stessa pietra che pur aveva davanti agli occhi a. Mentre il suo principato era prospera e le cose andavano secondo il suo desiderio, perseguitô gli uornini santi, colora che pregavano Dio per la sua pace e la sua salute. Cosi, insierne a questi uo- a Cf. Mt 21, 44; Le 20, 18. 2 La notizia di Eusebio è imprecisa: Decio, infatti, mori nel giugnollu- glio 251 ad Abritto, nella Dobrugia, durante la campagna che egli stava con- ducendo contro i goti e nella quale era morto anche il figlio maggiore Eren- nio Etrusco, già norninato, insieme col fratello Ostiliano, Cesare nel259 e Au- gusto nel maggio del251. Rimase imperatore il figlio minore di Decio Osti- liano Messie Quinto. I soldati proclamarono imperatore il legato delle Mesie Treboniano Gallo, che, per legirtimare la propria elezione, adottô Ostiliano, che tuttavia mori (si disse di peste) nel novembre del251. Nel frattempo Gal- lo si era associato nel governo il figlio Volusiano, nominato Augusto alla fine dello stesso anno. 3 Ancora una volta la cronologia di Eusebio poco precisa. Infatti, la è data della morte di Origene indicata dal Nostro solleva delle clifficoltà. In precedenza (cf. supra, VI, 2, 2 e 12), Eusebio ha detto che nel201l202 Ori- gene non aveva ancora compiuto i diciassette anni: dunque era nato nel 185/186. Tenuto conta che 10 scrittore alessandrino mori «a sessantanove an- ni cornpiuti», la sua morte andrebbe collocata nel254/255. Ma a quella data Gallo e Volusiano erano già stati rovesciati. 4 Era probabilmente un vescovo d'Egitto: il personaggio non comun- è que identificabile. 5 Decio, a giudizio di Dionigi, sarebbe morto per aver perseguitato i cristiani. In effetti sotto il regno di Gallo, si ebbero solo sporadici episodi per- secutori, i più notevoli videro coinvolti il vescovo di Roma Cornelio (251- 253), che fu esiliato a Centocelle dove mori e quello del suo successore Lucio (253-254), che subi la stessa sorte (cf. Cipriano, Lettere, 58-61). Libro VII, 1-3 mini, egli allontano anche le preghiere che si facevano per lui 6». Queste le cose che Dionigi dice a proposito di Gallo. 2. l VESCOVI DI ROMA sorro DECIO E GALLO Nella città di Roma, dopa che Cornelio concluse circa tre anni di episcopato, Lucio fu designato suo successore. Egli esercitô il rninistero per appena otto mesi e, morendo, trasmise la sua carica a Stefano. A lui Dionigi scrisse la prima delle sue lettere sul battesimo, poiché a quell'epoca fu sollevata un'irn- portante questione: se si dovessero purificare mediante il bat- tesimo colora che si convertissero da una qualunque eresia ï. In simili circostanze era in vigore l'usanza, senza dubbio antica, di ricorrere soltanto alla preghiera con l'imposizione delle mani. 3. CIPRIANO, INSIEME CON l VESCOVI SUOI SUFFRAGAl\'EI, PER PRIMO AFFERMQ CHE DOVESSERO ESSERE PURIFICATI CON IL BAGNO BATTESHvL\LE COLORO CHE SI COl'.'VERTISSERO DA UN ERRORE ERETICO Primo tra i suoi contemporanei, Cipriano, pastore della cristianità di Cartagine, pense che non dovessero essere am- 6 Gli anni di cui ci stiamo occupando furono caratterizzati da una serie di eventi che sconvolsero l'irnpero: la peste, la costante minaccia dei goti (ar- rivarono fino ad Efesol e dei persiani sulle frontiere orientali (Shahpur giun- se fino ad Antiochia), furono avvenimenti che la superstizione popolare attri- bui al rifiuto dei cristiani di sacrificare agli dei tradizionali. Dal canto suo l'a- pologetica cristiana li interpretô come giusta punizione divina nei confronti della condotta anticristiana degli irnperatori. ï È probabile che in questa circostanza Eusebio alluda al rescritto di Stefano (254-257) alle chiese africane e orientali e citato da Cipriano (Lette- re, 74, 1): con quest'ultirno Stefano si trovè in disaccordo a proposito della ri- petizione del battesirno amrninistrato dagli eretici e che a Roma, in Egitto e

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85 84 Storia ecclesiastica

1. LA CRUDELTÀ DI DECIO E GALLO

Decio non governô neppure due interi anni poiché Eu su­bito ucciso insieme con i suoi figli: gli succedette Gallo 2, A quel tempo mori Origene, all'età di sessantanove anni compiu­ti 3. Scrivendo a Ermammone 4, cOSI dice Dionigi a proposito di Gallo: «Gallo tuttavia non comprese l'errore di Decio, né si preoccupe di riflettere su cosa 10 rnandô in rovina 5 e inciampô nella stessa pietra che pur aveva davanti agli occhi a. Mentre il suo principato era prospera e le cose andavano secondo il suo desiderio, perseguitô gli uornini santi, colora che pregavano Dio per la sua pace e la sua salute. Cosi, insierne a questi uo­

a Cf. Mt 21, 44; Le 20, 18.

2 La notizia di Eusebio è imprecisa: Decio, infatti, mori nel giugnollu­glio 251 ad Abritto, nella Dobrugia, durante la campagna che egli stava con­ducendo contro i goti e nella quale era morto anche il figlio maggiore Eren­nio Etrusco, già norninato, insieme col fratello Ostiliano, Cesare nel259 e Au­gusto nel maggio del251. Rimase imperatore il figlio minore di Decio Osti­liano Messie Quinto. I soldati proclamarono imperatore il legato delle Mesie Treboniano Gallo, che, per legirtimare la propria elezione, adottô Ostiliano, che tuttavia mori (si disse di peste) nel novembre del251. Nel frattempo Gal­lo si era associato nel governo il figlio Volusiano, nominato Augusto alla fine dello stesso anno.

3 Ancora una volta la cronologia di Eusebio poco precisa. Infatti, la è

data della morte di Origene indicata dal Nostro solleva delle clifficoltà. In precedenza (cf. supra, VI, 2, 2 e 12), Eusebio ha detto che nel201l202 Ori­gene non aveva ancora compiuto i diciassette anni: dunque era nato nel 185/186. Tenuto conta che 10 scrittore alessandrino mori «a sessantanove an­ni cornpiuti», la sua morte andrebbe collocata nel254/255. Ma a quella data Gallo e Volusiano erano già stati rovesciati.

4 Era probabilmente un vescovo d'Egitto: il personaggio non comun­è

que identificabile. 5 Decio, a giudizio di Dionigi, sarebbe morto per aver perseguitato i

cristiani. In effetti sotto il regno di Gallo, si ebbero solo sporadici episodi per­secutori, i più notevoli videro coinvolti il vescovo di Roma Cornelio (251­253), che fu esiliato a Centocelle dove mori e quello del suo successore Lucio (253-254), che subi la stessa sorte (cf. Cipriano, Lettere, 58-61).

Libro VII, 1-3

mini, egli allontano anche le preghiere che si facevano per lui 6». Queste le cose che Dionigi dice a proposito di Gallo.

2. l VESCOVI DI ROMA sorro DECIO E GALLO

Nella città di Roma, dopa che Cornelio concluse circa tre anni di episcopato, Lucio fu designato suo successore. Egli esercitô il rninistero per appena otto mesi e, morendo, trasmise la sua carica a Stefano. A lui Dionigi scrisse la prima delle sue lettere sul battesimo, poiché a quell'epoca fu sollevata un'irn­portante questione: se si dovessero purificare mediante il bat­tesimo colora che si convertissero da una qualunque eresia ï. In simili circostanze era in vigore l'usanza, senza dubbio antica, di ricorrere soltanto alla preghiera con l'imposizione delle mani.

3. CIPRIANO, INSIEME CON l VESCOVI SUOI SUFFRAGAl\'EI,

PER PRIMO AFFERMQ CHE DOVESSERO ESSERE PURIFICATI

CON IL BAGNO BATTESHvL\LE COLORO CHE SI COl'.'VERTISSERO

DA UN ERRORE ERETICO

Primo tra i suoi contemporanei, Cipriano, pastore della cristianità di Cartagine, pense che non dovessero essere am­

6 Gli anni di cui ci stiamo occupando furono caratterizzati da una serie di eventi che sconvolsero l'irnpero: la peste, la costante minaccia dei goti (ar­rivarono fino ad Efesol e dei persiani sulle frontiere orientali (Shahpur giun­se fino ad Antiochia), furono avvenimenti che la superstizione popolare attri­bui al rifiuto dei cristiani di sacrificare agli dei tradizionali. Dal canto suo l'a­pologetica cristiana li interpretô come giusta punizione divina nei confronti della condotta anticristiana degli irnperatori.

ï È probabile che in questa circostanza Eusebio alluda al rescritto di Stefano (254-257) alle chiese africane e orientali e citato da Cipriano (Lette­re, 74, 1): con quest'ultirno Stefano si trovè in disaccordo a proposito della ri­petizione del battesirno amrninistrato dagli eretici e che a Roma, in Egitto e

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messi nella Chiesa se non coloro che in precedenza si fossero purificati dalloro errore mediante il bagno battesimale 8. Ma Stefano, ritenendo che non si dovesse fare alcuna innovazione contraria alla tradizione prevalsa fin dall'inizio, si sdegno profondamente contro di lui.

4. QUANTI LETTERE SCRISSE DIONIGI SU QUESTA QUESTIONE 9

Dionigi, dunque, si intrattenne a lungo con lui per lettera su questa questione e gli mostrè infine che, una volta cessata la persecuzione, le Chiese di ogni luogo, avevano rifiutato l'inne­vazione di Novato e ritrovato la pace tra loro. Egli scrive in questo modo.

5. LA PACE DOPO LA PERSECUZIONE

1. «Sappi ora, fratello, che si sono riunite tutte le Chiese d'Oriente e di più lontano ancora 10, che erano precedente­mente divise e che tutti i loro capi, dovunque, sono concordi e gioiscono oltre ogni limite per l'inatteso arrivo della pace: De-

in Palestina non si usava ripetere, al contrario invece di quanto avveniva in Si­ria, in Asia Minore e soprattutto in Africa. La questione decadde per la mor­te di Stefano e 10 scoppio della persecuzione di Valeriano.

8 Sulla posizione di Cipriano, cf. A. Aleès, La théologie de saint Cy­prien, Paris 1922, pp. 173-210; G. Bardy, La théologie de l'Eglise, de saint Irénée au concile de Nicée, Paris 1947, pp. 226-247; G. Mangelli, La Cbiesa di Cartagine contra Roma sotta san Cipriano, Milano 1960; L. Orabona, Etica "penitenziale" di Cipriano e aspetti politico-sociali del cristianesimo nel III se­cola, in «Vetera Christianorum», 27, Bari 1990, pp. 273-302.

9 In realtà il titolo del capitolo è inesatto: Eusebio, infatti, non indica affatto il nurnero delle lettere di Dionigi.

10 Probabilmente Dionigi si riferisce aile Chiese della Mesopotamia e dell'Osroene.

Libro VII, 3-5

metriano ad Antiochia; Teoctisto a Cesarea; Mazabane ad Elia; Marino a Tiro, dato che era morto Alessandro; Eliodoro a Lao­di cea, dove era venuto a mancare Telimidre 11; Eleno a Tarso e tutte le Chiese della Cilicia;Firmiliano e tutta la Cappadocia. Mi sono limitato a nominare soltanto i più famosi tra i vesçovi per non dare lunghezza eccessiva alla mia lettera e pesantezza al mio discorso. 2. Le due Sirie e l'Arabia, che voi aiutate in ogni circostanza e a cui ora avete scritto, la Mesopotamia, il Ponto, la Bitinia e, per dirla in breve, tutti, glorificando Dio, dappertutto gioiscono per la concordia e l'amore dei fratelli».

3. Questo è quanto ha scritto Dionigi. Dopo che Stefano resse il ministero episcopale per due anni, gli succedette Si­sto 12. A proposito del battesimo Dionigi scrisse a costui una se­conda lettera, nella quale gli espone l' opinione e la deliberazio­ne sia di Stefano, sia degli altri vescovi. Riguardo a Stefano co­sI si esprime. 4. «In precedenza a proposito di Eleno, di Firmi­liano e di tutte le popolazioni della Cilicia e della Cappadocia, ed evidentemente anche della Galazia e di tutte le popolazioni limitrofe, aveva scritto che non sarebbe più stato in comunione con loro per questa stessa ragione, perché- egli dice - ribat­tezzano gli eretici 13. 5. E tu considera attentamente la rilevan­za della circostanza. Effettivamente, per quel che ne so, sulla questione, nei più grandi sinodi episcopali 14, sono state adot­tate decisioni in base alle quali coloro che provenivano dalle

11 Le espressioni «dato che era morte Alessandro» e «dove era venuto a mancare Telirnidre» sembrano delle interpolazioni, non presenti nel testo di

Dionigi.12 La cronologia di Eusebio sui vescovi di Roma è a dir poco approssi­

mativa: Stefano muore il 2 agosto 257 13 Dal passo sernbra si debba dedurre che Stefano avesse scomunicato

realmente le Chiese di Cilicia, Cappadocia, Galazia ed altre ancora, come

quelle d'Africa.14 Si tratta dei sinodi di Iconio e di Sinnada, tenutisi intorno al 230. Cf.

Finniliano di Cesarea, Lettere, 75, 7, 5 (nell' epistolario di Cipriano); cf. Infra,

VII, 7, 5.

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eresie, dopo essere stati catechizzati, erano nuovamente lavati e purificati dal sudiciume dell'antico e peccaminoso lievito b. Ed io g1i ho scritto per interrogarlo su tutte queste questioni».

6. Dopo altre considerazioni, aggiunge: «Ai nostri diletti colleghi nel sacerdozio, Dionigi e Filemone 15, che inizialmente si trovarono d'accordo con Stefano e mi scrissero a questo ri­guardo, io ho risposto dapprima brevemente e adesso in ma­niera più estesa». Queste cose per quanto riguarda la questio­ne suddetta.

6. L'ERESIA DI SABELLIO

Nella stessa lettera, a proposito dei seguaci dell'eresia di Sabellio 16 che a quel tempo erano numerosissimi, cOSI si espri­me: «A Tolemaide, nella Pentapoli lï, è sorta una dottrina em­pia e assai blasfema riguardo a Dio onnipotente, Padre del Si­

b Cf. 1 Cor 5, 7.

15 Dionigi e Filemone sono due presbiteri romani (cf. infra, VII, 7, 1 e 6): nel259 il primo dei due succederà nella carica episcopale a Sisto.

16 Scarse sono le notizie che possediamo su questo personaggio che, originario dell'Mrica, visse a Roma al tempo dei papi Zefirino e Callisto, sot­to il cui pontificato (217-222) fu espulso dalla Chiesa di Roma insieme con Ippolito, suo principale accusatore, Sabellio non lascio scritti e la sua dottri­na ci è nota attraverso le testimonianze dei suoi oppositori Ippolito, Nova­ziano, Atanasio ed Epifanio. Già capo del patripassianismo romano, diede origine a un movirnento eretico che si rifaceva ad una forma di rnonarchiani­smo modalista: egli considerava Dio corne una Monade indivisibile che si ma­nifestava in modi diversi (corne Padre e legislatore nel Vecchio Testamento, corne Figlio e redentore nel Nuovo Testamento, corne Spirito Santo in quan­ta operatore della santificazione degli uornini). TI rnovimento ebbe Iarghissi­ma diffusione, ma spari ben presto a rnotivo delle scomuniche e della fiera opposizione di scrittori corne Atanasio e Basilio.

lï Era all'epoca ancora COS1 denorninata la regione libica formata dalle cinque città di Apollonia, Cirene, Arsinoe, Berenice e Tolernaide appunto.

gnore nostro Gesù Cristo <, notevolmente incredula a proposi­to del suo unico Figlio, il primogenito di ogni creatura d, il Lo­gos che si è fatto uomo, e insensibile nei riguardi dello Spirito Santo. Allorquando mi pervennero dalle due parti documenti su questa dottrina e dei fratelli ne parlarono [con me], io ho trasmesso alcune lettere, come ho potuto con l'aiuto di Dio, presentando l'argomento in maniera alquanto divulgativa; di esse ti mando le copie».

7. L'ABOMINEVOLE ERRORE DEGLI ERETICI,

LA VISIONE INVIATA DA DIO A DIONIGI

E LA REGOLA ECCLE5IA5TICA CHE EGLI RICEVETTE

1. Nella terza lettera sul battesimo che scrisse a Filemone, presbitero di Roma, 10 stesso Dionigi aggiunge queste cose: «An­ch'io ho letto gli scritti e le tradizioni degli eretici, macchiando per breve tempo la mia anima con le loro abominevoli idee, ma ricavandone, tuttavia, il vantaggio di ribatterle da me stesso e di disprezzar1e molto di più. 2. Me ne allontanà nn fratello presbi­tero, che temeva mi macchiassi col fango della loro perversità e contaminassi la mia anima; e quando capu che egli diceva il ve­ro, una visione inviatami da Dio mi temprô 3. e mi giunse una voce che chiaramente mi ordinava: "Leggi tutto cio che ti capi­ter à tra le mani, dato che tu sei in grado di correggere e giudica­te ogni cosa e questo fin dall'inizio è stato la radiee della tua fe­de". 10 accolsi la visione in quanto conforme al detto apostolico rivolto ai più forti: "Siate dei cambiavalute scaltri" 18».

cCf. 2 Cor 1,2; Ef1, 3; 1 Pt 1,3. cl Cf. Coll, 15.

18 TI detto non testamentario ed è un âgrapbon (=parola appartenen­è

te alla tradizione orale su Gesù) rra quelli più spesso citati dai Padri della Chiesa.

Pt .

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4. Quindi, dopo aver fatto diffusamente altre osservazioni sul problema, aggiunge dicendo: «Quanto a me ho ricevuto questa regola e questo modello dal nostro beato papa 19 Erada. Quanti infatti provenivano dalle eresie e si erano sicuramente separati dalla Chiesa, 0 piuttosto, non se ne erano separari, ma, pur facendone apparentemente ancora parte, erano stati accu­sati come fedeli di qualcuno dei falsi maestri 20, egli li allonta­nava dalla Chiesa e, quando essi 10 chiedevano, non li accoglie­va fin tanto che non avessero dichiarato pubblicamente tutte le cose che avevano udito dagli avversari; solo allora li riammette­va, senza pretendere per Ioro un nuovo battesimo: essi, infatti, avevano in precedenza ricevuto <il sacramento> da lui».

5. Dopo aver discusso ancora a lungo il problema, ag­giunge: «Ecco quanto io ho inoltre appreso, cioè che non solo ora gIi africani hanno diffuso quest'usanza, ma già da tempo, sotto i vescovi che ci hanno preceduto, essa fu deliberata nelle Chiese più popolose e nelle assemblee dei fratelli, ad Ïconio, a Sinnada 21 e in moIti altri luoghi. E io non oso rovesciare le 10­ro decisioni e gettarIi nella discordia e nell' antagonismo. Infat­ti è detto: Non sposterai i confini del tuo tncino, posti dai tuoi an­tenati -».

6. La quarta delle sue lettere sul battesimo fu scritta a Dio­nigi di Roma, che allora fu stimato degno del presbiterato e che, non molto tempo dopo, ricevette anche l'episcopato dei fedeli di quella Chiesa. Da questa lettera è possibile venire a sa-

e Dt 19, 14.

19 Fino quasi al IX sec., ma soprattutto nei secc. III-V, il titolo (dal gr. papas 0 pdppas = padre) fu dato ai vescovi quale segno di aHettuosa deferen­zao Cf. Atti di Cipriano, III, 4.

20 In questo casa non si tratta di persone che hanno ricevuto il battesi­mo da eretici, ma che sono diventari tali dopo averlo ricevuto. Per poter es­sere riammessi nel1acornunità dovevano dare chiari segni di ravvedimento.

21 Cf. supra, VII, 5, 5. Non abbiarno notizie precise su questo sinodo.

Libro VII, 7-9

pere come anch'egIi da parte di Dionigi d'Alessandria ebbe la testimonianza di essere uomo coIto e ammirevole,

Dopo altre considerazioni, ricordando la vicenda di No­vato, cosi egli saive:

8. L'ETERODOSSIA DI NOVATO

"È a ragion veduta, infatti, che noi siamo ostili a Novato, che ha operato divisioni all'interno della Chiesa e trascinato al­cuni fratelli neIl'empietà e nelle bestemmie, presentando su Dio un insegnamento assolutamente sacrilego 22 e accusando erroneamente il nostro dolcissimo Signore Gesù Cristo di esse­re disumano; aboIisce inoItre il battesimo, confutando la fede e la confessione che la precedono e allontana del tutto 10 Spirito Santo da coloro che l'hanno ricevuto, anche se c'era qualche speranza che vi restasse 0 che vi ritornasse».

9. IL BATTESIMO EMPIO DEGLI ERETICI

1. La quinta lettera fu da lui scritta a Sisto, vescovo di Ro­ma: in essa, dopo aver parIato a lungo degli eretici, racconta il seguente fatto avvenuto ai suoi tempi, dicendo: "In effetti, fra­tello, ho veramente bisogno di consiglio e, dal momento che m'è capitata una simile faccenda, temendo di sbagliare, chiedo il tua parere. 2. Tra i fratelli che si riunivano, infatti, c'era un uomo, considerato un anziano fedeIe anche prima della mia or­dinazione e credo anche prima dell'elezione del beato Era­

22 Gli errori attribuiti a Novaziano non riguardano, come a prima vista sembrerebbe, il dogma trinitario (la sua opera La Trinità, dimostra semmai il contrario), bensi l'estremo rigore nei confronti dei peccatori che egli attri­buisce a Dio.

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da 23; egli partecipava all'assemblea e, essendo accanto a colo­ro che stavano per essere battezzati, avendo udito le domande e le risposte 24, yenne da me singhiozzando, versando lacrime su se stesso e, prostratosi ai miei piedi, dichiarà e giurô che il battesimo con cui era stato battezzato dagli eretici non era co­si e che non aveva proprio niente in comune con questo, ma che al contrario era pieno di empietà e di bestemmie. 3. Egli disse che il suo cuore era adesso quanto mai contrito e non ave­va neanche il coraggio di alzare gli occhi verso Dio f, dal mo­mento che era stato iniziato con quelle parole e con quei riti sa­crileghi: egli chiedeva pertanto di ottenere questa vera purifi­cazione, ammissione 25 e grazia. 4. Ma io non ebbi il coraggio di fare ciô e gli dissi semplicemente che la prolungata comu­nione che aveva avuto [con la Chiesa] gli era sufficiente per questo. Aveva infatti ascoltato l'Eucaristia, aveva risposto l'A­men g 26, era rimasto in piedi accanto alla [sacra] mensa ed ave­va proteso le mani per ricevere il Santo Cibo, l'aveva ricevuro ed era stato a lungo partecipe del corpo e del sangue del Si­gnore nostro; io non avrei più osato battezzarlo di nuovo. Gli ordinai, invece, di farsi coraggio e con fede ferma e buona spe­

f Le 18, 13. g Cf. 1 Cor 14, 16.

23 Poiché Eracla fu consacrato vescovo di Alessandria nel231-232, da quanta dice Eusebio, è da ritenere che il battesimo ricevuto dal vecchio risal­ga ad un periodo precedente: cio porta ad escludere che l'eresia nella quale egli era stato battezzato fosse quella novaziana: il Bardy (cf. La théologie de l'Eglise, de saint Irénée au concile de Nicée, cit., p. 174) pensa «a una forma di gnosticismo 0 al marcionisrno».

24 Si tratta della protessione di fede che i catecumeni facevano prima di ricevere il battesimo 0 durante la sua sornministrazione. (Cf. Ippolito, Tradi­zione apostolica, 15-21; M. Metzger, Stonà della liturgzà. Le grandi tappe, trad. ital., Cinisello Balsamo 1966, pp. 68-ï8).

25 TI termine è di difficile interpretazione: escludendo che si tratti del­l'arnmissione alla Chiesa, di cui, in effetti, il vecchio fa già parte, sembra che designi l'accoglienza dello Spirito Santo.

26 Giustino, 1 Apologia, 66.

ranza di accostarsi ai sacramenti. 5. Ma egli, non cessando di piangere, temeva di avvicinarsi alla sacra mensa e, sebbene in­vitato, a fatica sopportô di assistere alle preghiere».

6. Oltre a que ste lettere di cui abbiamo parlato, sul batte­simo si conserva anche un'altra lettera dello stesso Dionigi, in­dirizzata da lui e dalla diocesi di cui era a capo, a Sisto e alla Chiesa di Roma, nella quale egli tratta a lungo, mediante un'ap­profondita dimostrazione, l'argomento in discussione. ültre queste, se ne conserva ancora un'altra indirizzata a Dionigi di Roma, cioè quella su Luciano 2ï.

Queste cose per quel che riguarda quest'argomento.

10. VALERIANO E LA SUA PERSECUZ10NE

1. Dopo che furono tolti di mezzo Gallo e i suoi fautori, i quali tennero l'autorità imperiale neppure per due interi anni, conquistarono il potere Valeriano e suo figlio Gallieno 28. 2.

2ï Malgrado tutti i tentativi compiuti e le ipotesi prospettate, il perso­naggio rimane di incerta identificazione,

28 Nella primavera deI 253 mentre l'impero era sconvolto dalla peste e dagli assalti di goti, persiani e germani, le truppe delle Mesie proclamarono imperatore illoro legato, Marco Emilio Emiliano. Gallo e il figlio Volusiano furono uccisi dai loro soldati presso Terni. Alla loro morte il senatore P. Lici­nio Valeriano, comandante di un esercito che doveva aiutare Gallo, fu pro­clamato imperatore dopo la morte di quest'ultimo. Tre mesi più tardi, Emi­liano fu ucciso a sua volta dai suoi soldati presso Spoleto. Nell'autunno Vale­riano restava unico imperatore e cooptava al trono il figlio Licinio Egnazio Gallieno. Le fonti cristiane (Cipriano, Dionigi d'Alessandria in Eusebio e Commodiano) attribuiscono a Valeriano due editti di persecuzione: il primo, del25ï, prescriveva l'obbligo del sacrificio, pena l'esilio, e vietava le riunioni nelle chiese e nei cimiteri; il secondo, dell'anno successivo, dispose la pena di morte per gli ecclesiastici, la riduzione in schiavitù per i cesariani (i funzio­nari imperiali) e la confisca dei beni e l'esilio per i membri dell'ordine sena­torio ed equestre che avessero abbracciato il cristianesimo (cf. Cipriano, Let­tere, 80, 2).

95 94 Storia ecclesiastica

Libro VIL 10

Cio che Dionigi racconta a questo riguardo, 10 si puô appren­dere ancora dalla lettera ad Ermammone, nella quale si espri­me nel seguente modo: «Analogamente a Giovanni fu rivelato: E alla bestia lu data una bocca per profferire parole arroganti e bestemmie e lelu dato il potere per quarantadue mesi h 29. 3. En­trambe le cose possono essere ammirate in Valeriano e, soprat­tutto, bisogna considerare come andavano le cose prima di lui, come eg1i fosse mite e amabile nei confronti degli uomini di Dio: infatri nessun altro degli imperatori che governarono pri­ma di lui fu cosi benevolo e disponibile nei loro confronri; neanche g1i imperatori che si diceva fossero stati manifesm. mente cristiani 30, li accolsero con la cordialità e la benevolen­za che egli dirnostrô all'inizio e tutta la sua casa era piena di uo­mini pii ed era una chiesa di Dio 31. 4. Ma il suo maestro, che era sinagogarca dei maghi d'Egitto 32, 10 persuase a sbarazzar­

h Ap 13,5.

29 TI passo giovanneo (Ap 13,5) che Dionigi applica a Valeriano è quel­10 relative alla «bestia che sale dal mare», famosa allegoria dell'Anticristo (cf. E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, Torino 1980, pp. 329ss.). Dalla citazione giovannea potrebbe dedursi che la persecuzione dura tre anni e mezzo.

30 È noto che nessuno dei predecessori di Valeriano (come pure poste­riori fino a Costantino) Eu cristiano. E probabile che Dionigi alluda alle leg­gende cristiane fiorire su Severo Alessandro e Filippo l'Arabo.

31 Questa affermazione di Dionigi appare al Bardy (La théologie de l'E­g!ise, de saint Irénée au concile de Nicée, cit., p. 177) una «manifesta esagera­zione».

32 TI personaggio in questione è Macriano, definito da Dionigi «sinago­garca dei maghi d'Egitto» forse in quanto capo di un'associazione pagana de­dira a pratiche magiche. Marco Fulvio Macriano, ricordaro da Commodiano (Carmen apologeticum) come ispiratore dei provvedimenti anticristiani di Va­leriano, Eu praepositus annonae, cioè direttoredel fisco per l'Egitto nel 259/260. Sfruttando la confusione seguita alla cattura di Valeriano (cf. infra, n. 38), scatenô una rivolta ad Alessandria e feee proclamare Augusti i suoi due figli cf. infra, VII, 10, 9. E probabile che i cristiani gli abbiano attribuito la re­sponsabilità della persecuzione nel tentativo di giustificare il padre di Gallie­no, irnperatore apprezzato dalla tradizione ecclesiastica (cf. infra, VII, 13).

sene, ordinandogli di uccidere e perseguitare quegli uomini pu­ri e santi in quanta avversari ed ostacoli delle loro blasfeme ed abominevole stregonerie (essi, infatti, con la loro presenza e il loro sguardo ed anche con il solo alito e il suono della voce, so­no ed erano capaci di mandare a monte le insidie dei demoni malvagi) 33. Egli gli consiglio inoltre di compiere cerimonie im­pure, sortilegi infami e riti infausti, di sgozzare sventurati fan­ciulli, di sacrificare figli di padri miserabili, di squarciare le vi­scere dei neonati, di trafiggere e fare a pezzi le creature di Dio, come se essi potessero diventare più fortunati in seguito a que­ste cose 34».

5. E a queste cose aggiunge dicendo: «Macriano, dunque, offri ai demoni magnifici sacrifici propiziatori per l'impero spe­rato, eg1i che, chiamato prima procuratore imperiale del fisco, non penso a nulla di razionale né di univers ale 35, ma cadde nel­la maledizione profetica che dice: Guai a coloro che profetizza­no dal proprio cuore e non vedono l'uniuersale i. 6. Egli infatti non capi la Provvidenza universale e non suppose il giudizio di colui che prima di tutti, in tutti e al di sopra di tutti i; percièè

da un lato egli divenne nemico della sua Chies a universale, dal­l'altro si allontanà e si separô anche dalla misericordia di Dio e fuggi il più lontano che poté dalla propria salvezza, confer­mando in questo modo il suo nome 36».

7. E ancora, dopo altre osservazioni, aggiunge: «Valeriano,

i Ez 13,3. i Cf. Ef 4,6; Coll, 17.

33 Sull'azione dei cristiani contro i demoni cf. Minucio Felice, Ottauio, 27; Tertulliano, Apologetico, 23.

34 Accuse simili non erano del tutto nuove (cf. supra, V, 1, 14; Minucio Felice, Ottauio, 9, 7; Tertulliano, Apologetico, 7-9; ecc.).

35 A proposito della carica di Macriano e delle sue funzioni, Dionigi, svolge un gioco di parole intraducibile in italiano,

36 Altro gioco di parole realizzaro da Dionigi a proposito del nome di Macriano, che egli fa derivare dal greco makrôs, vale a dire «lontano».

96 Storia ecclesiastica

infatti, indotto a queste azioni da costui 37, fu esposto agli 01­traggi e alle riprovazioni, secondo la parola di Isaia: E costoro hanno scelto le loro vie e le loro abomtnarioni, che la loro anima uolle e io sceglierà per loro la sventura e li ripaghero per i loro peccati k. 8. E costui, benché non ne fosse degno, si struggeva per il principato e poiché a causa deI suo corpo storpio non po­teva neppure ornarsi dell'abito regale, mise avanti i suoi due fi­gli 38, che si erano caricati dei peccati deI padre. Su di loro, in­fatti, si cornpi in maniera manifesta la profezia che Dio fece: Pu­nisco le colpe dei padri suifiglifino alla terza e alla quarta gene­rauone per coloro che mi odiano 1. 9. Le smanie personali che egli non poté soddisfare, le accumule sulla testa dei figli, sui quali trasmise la sua malvagità e il suo odio verso Dio».

Queste le cose che Dionigi scrive a proposito di Valeriano.

11. LE COSE CHE ALLORA ACCADDERO

A DIONIGI E A QUELLI D'EGITTO

1. Riguardo alla persecuzione che si accese con violenza terribile al tempo di Valeriano e a ciô che 10 stesso Dionigi do­vette sopportare con altri per la fedeltà nei confronti deI Dio dell'universo, 10 mostreranno le parole stesse che egli, rivol­

k Is 66, 3-4. IEs20,5.

37 Cioè da Macriano. 38 Ne1260, dopo la sconfitta e la cattura di Valeriano ad Edessa ad ope­

ra dei Persiani di Shahpur I, Macriano fece proclamare imperatori i suoi due figli Macriano il giovane (T. Fulvio Giunio Macriano) e Quieto (T. Fulvio Giunio Quieto) i quali ottennero il riconoscimento da patte dell'Oriente (cf. Scriptores Historiae Augustae, Tnginta Tyranni, XII, 12). Ne1261 Macriano e il figlio primogenito furono sconfitti e uccisi nel1'Illirico da Aureolo, cornan­dante della cavalleria di Gallieno; l'anno successivo Quieto fu sconfitto e messo a motte a Emesa da Odenato, principe di Palmira.

Libro VIL 10-11 97

gendosi a Germano, uno dei vescovi deI suo tempo, che tentô di diffamarlo 39, espone neI seguente modo: 2. «Corro real­mente il rischio di cadere in una grande follia e stupidità ID, as­secondando la necessità di raccontare la mirabile volontà di Dio nei nostri confronti. Ma poiché dice la Scrittura: È bene te­ner nascosto il segreto del re, ma cosa gloriosa rivelare le opere è

di Dio n, contrasterè la violenza di Germano. 3. Ero andato da Emiliano 40 non solo, ma accompagnato da Massimo, mio col­lega neI presbiterato 41 e dai diaconi Fausto 42, Eusebio 43 e Cheremone ed entrô con noi anche uno dei fratelli di Roma che erano allora presenti 44.4. Emiliano non mi disse in preceden­za: "Non riunire (i fratelli)". Cio infatti era per lui superfluo e veniva per ultimo, mentre egli puntè alla questione primaria 45.

Non disse, infatti, di non radunare altri, ma di non essere più cristiani noi stessi e ci impose di smettere di esserlo, pensando che, se io avessi cambiato opinione, anche gli altri mi avrebbe­ro seguito. 5. Ma io risposi neI modo adatto e in maniera con­eisa: Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agl/ uomini 0 e al suo cospetto resi apertamente testimonianza che adoravo il solo

ID Cf. 2 Cor 11, 17. nThI2,7. o At 5,29.

39 Un frammento della lettera a Germano è stato già citato da Eusebio in precedenza (cf. supra, VI, 40).

40 L. Mussio Emiliano sembra sia stato viceprefetto d'Egitto sotto Gal­lieno dal 257 al 259.

41 Si tratta del futuro successore di Dionigi nell'episcopato di Ales­sandria.

42 In età assai avanzata, Fausto subi il martirio .durante la persecuzio­ne di Diocleziano (cf. infra, VII, 12,26; VIII, 13,7). E probabile che sia sta­to tra gli accompagnatori di Dionigi durante la persecuzione di Decio, cf. su­pra, VI, 40.

43 Eusebio è il futuro vescovo di Laodicea in Siria (cf, infra, VII, 32, 5). 44 Si tratta senza dubbio di un cristiano di nome Marcello, norninato

un po' più avanti. 45 TI primo editto di Valeriano de1l'agosto 257 vietava ai cristiani l'in­

gresso nei cimiteri e la possibilità di tenervi le loro riunioni.

99 98 Storia ecclesiastica

Libro VII, Il

Dio esistente e nessun altro e che mai avrei cambiato opinione né avrei mai cessato di essere cristiano. Immediatamente ci or. dinô di recarci in un villaggio vicino al deserto chiamato Ke­fro 46. 6. Ma ascoltate le parole stesse come furono dette dall'u­no e dall' altro, tali quali furono annotate. Introdotti Dionigi, Fausto, Massimo, Marcello e Cheremone, Emiliano, che era il governatore, disse: "Ho disputato con voi a parole 47 sulla be­nevolenza che i nos tri signori usano nei vostri confronti. 7. Vi hanno dato, infatti, la possibilità di salvarvi, se vi volete con. vertire a ciô che è conforme alla natura, adorare gli dei che pro­teggono illoro impero e dimenticare quelli contrari alla natura. Che cosa dunque rispondete a questo? Spero, infatti, che non sarete ingrati nei confronri della loro benevolenza, dato che es­si vi esortano al meglio". 8. Rispose Dionigi: "Non tutti adora­no tutti gli dei, ma ciascuno adora quelli che reputa tali. Noi dunque veneriamo e adoriamo l'unico Dio, il Creatore di tutte le cose, colui che ha affidato l'impero agli amatissimi Augusti Valeriano e Gallieno ed è Lui che noi supplichiamo assidua­mente per illoro impero, perché esso duri stabilmente 48". 9. Emiliano, che esercitava le funzioni di governatore, disse loro. "E chi mai dunque vi impedisce di adorare anche lui, se è dio, insieme con gli dei che sono tali per natura? Vi è stato infatti ordinato di venerare gli dei e gli dei che tutti conoscono". Ri­spose Dionigi: "Noi non adoriamo nessun altro". 10. Emiliano, che esercitava le funzioni di governatore, disse loro: "Vedo che siete ad un tempo ingrati ed indifferenti alla benevolenza dei nostri Augusti. Pertanto non rimarrete in questa città, ma sare­

46 La località ci è sconosciuta. 47 Dal contesto sembra si debba dedurre che l'interragatorio vera e

proprio sia stato preceduto da un colloquio privato non verbalizzato. 48 Le preghiere dei cristiani per l'irnperatore e l'irnpero avevano una

lunga tradizione: cf. 1 Tm 2, 2; Clemente di Roma, 1 Cor 61, ; Giustino, 1 Apologia, 17; Tertulliano, Apologetico, 30-32; Origene, Contro Celso, VIII, 73; Teofilo, Ad Autolico, I, 11; Atti di Cipriano, 1,2; Atti di Apollonio, 6.

te inviati nelle regioni della Libia, in un luogo chiamato Kefro: questo infatti illuogo che io ho scelto in base all'ordine dei è

nostri Augusti. E non sarà mai consentito, né a voi né ad altri, di tenere assemblee 0 entrare nei luoghi chiamati cimiteri 49. Il. Se poi ci si accorgerà che qualcuno non si trova in questo Iuo­go che io ho comandato, 0 se sarà trovato in qualunque assem­blea, si metterà in pericolo da solo: non mancherà, infatti, il do­vuto controllo. Recatevi dunque dove vi è stato ordinato". E, pur essendo ammalato, mi obbligà a partire, senza neppure concedermi la dilazione di un solo giorno. Che possibilità ave­vo dunque di tenere 0 no una riunione?». Quindi, dopo altre cose, aggrunge:

12. «Tuttavia, con l'aiuto del Signore, noi non rinunciam­mo a tenere vere e proprie assemblee visibili, ed io riunii con estrema diligenza quelli che erano nella città, come se fossi con loro, assente col corpo, come dice la Scrittura, ma presente nel­la spirito P; ed anche a Kefro si riuni con noi una numerosa Chiesa, composta sia dai fratelli che ci vennero dietro dalla città, sia da quelli che vennero dall'Egitto 50. 13. E anche là Dio ci apri la porta della suaparola q. Inizialmente fummo persegui­tati e lapidati, ma successivamente non pochi pagani si conver­tirono a Dio, dopo aver abbandonato i loro idoli r. In quella cir­costanza, per la prima volta, per mezzo nostro, fu seminata la parola in coloro che non l'avevano ricevuta in precedenza s, 14. e come se Dio ci avesse condotto là in mezzo a loro proprio per

P 1 Cor 5,3. qCol4,3. r Ar 14, 15; 1 Ts 1, 9. s Cf. Lc 8, 11.13.

49 La precisazione del govematore si capisce ricordando che il termine cimitera (dal gr. koimetêrion) è parola cristiana: infatti i cimiteri (chiamati più tardi «catacombe») furono i luoghi di riunione dei primi fedeli cristiani poi­ché in essi erano seppelliti i martiri sulle cui tombe essi pregavano. Cf. Atti di Cipriano, r. 7.

50 Ancora una volta si fa differenza tra la città di Alessandria e I'Egitto.

100 Storia ecclesiastica

questo. Dopo che portammo a termine la nostra missione t, egli ci allontanà di nuovo. Emiliano, infatti, come gli sernbrô op­portuno, volle trasferirci in località più impervie e più libiche 51

e ordinà a quelli che si erano sparsi ovunque di confluire nella Mareote 52, assegnando a ciascuno villaggi diversi della regione. Quanto a noi, ci sistemè nelle vicinanze della strada pubblica in modo che potessimo essere i primi ad essere arrestati. Era in­fatti evidente che egli organizzava e preparava ogni cosa affin­ché tutti, quando egli desiderasse prenderci, fossimo facilmen­te catturabili. 15. Quanto a me, allorquando mi fu ordinato di partire alla volta di Kefro, ignoravo persino dove mai si trovas­se questa località, di cui a stento in precedenza avevo inteso il nome, ma mi ci diressi di buon animo e quietamente. Tuttavia, quando mi fu comunicato che avrei dovuto recarmi nella re­gione di Kollouthion 53, sanno bene i presenti quale fu il mio stato d'anime (qui, infatti, mi accuserè da solo). 16. In un pri­mo momento ne fui addolorato e grandemente irritato: anche se quei luoghi, infatti, ci erano più conosciuti e familiari, tutta­via dicevano che la regione fosse priva di fratelli e di uomini onesti e per di più soggetta alle noie causate dai viaggiatori e al­le scorrerie dei briganti. Tuttavia provai sollievo quando i fra­telli mi ricordarono che essa era più vicina alla città 54 e che, mentre Kefro ci aveva assicurato numerosi contatti con i fratel­li d'Egitto, al punto che si poté raccogliere una comunità più ampia, in quest'altra località, invece, considerato che la città era

t At 12,25.

51 Non molto comprensibile il comparativo libukotérous (= più libiche) usato nella circostanza da Eusebio: forse egli intende dire <Jepiù deserte».

52 La Mareote (cf. Atanasio, Apologia contro gli anani, 85; Epifanio, Haereses, 68, 7) è presentata come una sorta di campo di concentramento do­ve venivano inviati i cristiani.

53 il villaggio in questione ci è sconosciuto. 54 Si intende Alessandria.

LibroVII, 11 101

più vicina, avremmo esultato in maniera più assidua della vista di coloro che ci erano veramente cari, intimi e più diletti. Essi, infatti, sarebbero venuti li, vi avrebbero soggiomato e come nei suburbi situati più lontano vi sarebbero state assemblee parzia­li. E cosi avvenne».

18. Dopo altre notizie, cosi scrive inoltre su cio che gli ac­cadde: «Germano si gloria delle sue numerose confessioni ed ha molte cose da dire sulle cose che sono state fatte contro di lui, tante quante egli ne puè contare nei nostri riguardi: pro­cessi, confische, proscrizioni, spoliazioni di beni u, destituzioni da cariche, disinteresse per la gloria del mondo, disprezzo del­le lodi di govematori e senatori e del contrario di tutto questo, resistenza alle minacce, alle grida ostili, ai pericoli, alle perse­cuzioni v, alla vita errante, all'angoscia, alle pene di ogni gene­re, quali mi accaddero sotto Decio e Sabino 55 e ancor oggi sot­to Emiliano. 19. Dove, invece, è stato visto Germano? Quale storia si narra di lui? Ma adesso desisto dalla grande follia 56

nella quale sono caduto a causa di Germano: percio desisto dal dare ai fratelli, che già ne sono a conoscenza, la descrizione det­tagliata delle cose che mi sono capitate»,

20. Lo stesso Dionigi, nella lettera a Domezio e Didimo 5ï,

ricorda ancora in questi termini i fatti accaduti durante la per­secuzione: «Quanto ai nostri, che sono numerosi e a voi scono­sciuti, è superfluo elencarli per nome. Sappiate soltanto che uo­mini e donne, giovani e vecchi, fanciulle e donne anziane, sol­dati e civili, di tutte le classi sociali e di tutte le età, dopo aver riportato la vittoria alcuni con i flagelli e il fuoco, altri col fer-

u Cf. Eb 10,34. v Cf. Rm 8,35.

55 Cf supra, VI, 40, 2. 56 Cf. supra, VIT, 11,2 e 2 Cor 12, 11. 5ï l due personaggi non sono identificati: l'unica notizia certa èche es­

si non conoscono la situazione dei cristiani di Alessandria.

102 Libro VIL 11-12Storia ecclesiastica

ra, hanno conquistato la corona (del martirio), 21. Ad altri, in­vece, un tempo lunghissimo non fu sufficiente perché sembras­sera graditi al Signore, come sembra non essere sufficiente an­cor oggi neppure a me; mi ha riservato, infatti, per la circo­stanza adatta che egli solo conosce, egli che dice: l'lei memento faoorecole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccor­so w. 22. Infatti, dal rnomento che cercate di conoscere cio che ci riguarda e volete che vi si manifesti il modo in cui viviarno, certamente avete udito come io, Gaio, Fausto, Pietro e Paolo. siamo stati condotti via prigionieri da un centurione, da magi­strati e dai soldati e le guardie che erano con loro. Essendo so­praggiunti alcuni provenienti dalla Mareote, malgrado ci rifiu­tassimo di seguir1i, ci portarono via trascinandoci a forza 58.23. Ora io, Gaio e Pietro soltanto, dopo essere stati separati dagli altri fratelli, siamo stati segregati in una località deserta e deso­lata della Libia, distante tre giorni di cammino da Paretonio 59».

24. E un po' più oltre dice: «Nella città si sono nascosti dei presbiteri che visitano di nascosto i fratelli: Massimo, Diosco­ro, Demetrio e Lucio; coloro, infatti, che erano maggiormente conosciuti ne! mondo, Faustino edAquila, peregrinano per l'E­gitto. 1 diaconi poi che sono sopravvissuti a coloro che sono morti nella pestilenza 60 sono Fausto, Eusebio e Cheremone. Eusebio è colui che Dio fortificô x fin dall'inizio e prepare a compiere coraggiosamente i doveri dei confessori che erano in

w Is 49,8; 2 Cor 6, 2. x Cf. 1 Tm 1, 12.

58 Per la narrazione di questo stesso avvenirnenro cf. supra, VI, 40, 6. 59 Città costiera della Libia Marmarica distante circa 150 miglia da

Alessandria. 60 Contro la lezione en te nésoi (=: nell'isola) adottata dallo Schwartz

sulla scorta delle traduzioni latina e siriaca, preferiarno mantenere la lezione originale dei codici greci che registrano en te nosoi: nel primo caso, infatti, non si sa bene di quale isola si tratti, ne1 secondo è evidente l'allusione alla pestilenza che infurià ne1252 sotto il principato di Gallo e Volusiano nell'E­gitto e nell'intero irnpero e di cui parla Cipriano (cf. De mortaiùateï,

103

prigione e a praticare non senza rischio la sepoltura dei corpi degli splendidi e beati martiri. 25. Fino ad oggi, infarti, il go­vernatore, come ho già detto, non desiste dal far uccidere atro­cemente colora che sono condotti presso di lui, facendone tor­mentare alcuni con le torture e sfiancandone altri rnediante la prigionia e le catene; egli ordina che nessuno li vada a trovare e badare a che non si presenti nessuno; ciononostante, grazie al­10 zelo e alla perseveranza dei fratelli, Dio concede un po' di re­spiro ai perseguitati».

26. Queste le cose scritte da Dionigi. Ma occorre sapere che Eusebio, a cui egli dà il titolo di diacono, qualche tempo dopo fu eletto vescovo di Laodicea, in Siria; Massimo, che egli dice allora essere presbitero, suben_~r:2..a-Diooigistesso ncl mi­nistero dei fratelli d'Alessandria; mentre Fausto, che allora si mise ID tuce con lm nella confessione, risparmiato fino all'at­tuale persecuzione 61, assai vecchio e carico di giomi Y, è stato ora decapitato e ha portato a termine la sua vira col martirio. Queste le cose accadute a quel tempo a Dionigi.

12. COLORO CHE RE5ERO TE5TIMONIANZA COL MARTIRIO

A CE5AREA DI PALE5TINA

Durante l'anzidetta persecuzione di Valeriano, a Cesarea di Palestina tre uomini, dopo che brillarono per la loro confes­sione di Cristo, furono onorati del martirio divin 0, divenendo cibo di belve. Di costoro, uno si chiamava Prisco, un altro Mal­co e il terzo Alessandro. Si dice che essi, che abitavano in cam-

v Cf. Gn 25,8.

61 Eusebio si riferisce alla persecuzione di Diocleziano. il nome di Fau­sto è indicato dal rnartirologio geronirniano 1'8 settembre e nelle sinossi gre­che il 6 dello stesso mese,

L

105 104 Storia ecclesiastica

pagna, in un primo momento si dichiararono da sé colpevoli di negligenza e abulia, in quanto non si curavano delle ricompen­se (celesti), proprio nel momento in cui la circostanza favore­vole le distribuiva a coloro che le desideravano con ardore ce­leste e poiché non conseguivano la corona del martirio. Dopo aver preso questa decisione, si diressero velocemente a Cesarea e, recatisi insieme al cospetto del giudice, conseguirono la fine anzidetta. Si racconta inoltre che, nel corso della stessa perse­cuzione e nella stessa città, oltre a costoro, una donna affronta disperatamente un'identica lotta; riferiscono, tuttavia, che ap­partenesse alla setta di Marcione.

13. LA PACE SOTTO GALLIENO

Tuttavia, non molto tempo dopo, Valeriano Eu ridotto in schiavitù ad opera dei barbari 62, e suo figlio, rimasto solo al go­verno, resse il potere in maniera più saggia, pose immediata­mente fine mediante degli editti alla persecuzione contro di noi e ordino che coloro che presiedono alla Parola potessero attua­re liberamente le loro funzioni abituali mediante un rescritto 63

che ha il seguente tenore: «L'imperatore Cesare Publio Licinio Gallieno, Pio, Felice, Augusto, a Dionigi, Pinna, Demetrio e ai rimanenti vescovi. Ho ordinato che si espanda in tutto il mon­do il beneficio della mia generosità, affinché siano riaperti i luo­ghi di culto e perciè anche voi potete avvalervi della disposi­zione del mio rescritto, in modo che nessuno vi molesti. E

62 La prigionia di Valeriano ad opera dei persiani sembra si debba col­locare nell'autunno del260.

63 Eusebio non riproduce l'editto di Gallieno, ma si limita a citare (è l'unico scrittore a conservarlo) un rescritto imperiale inviato ai vescovi d'E· gitto e la cui datazione puè essere sia posteriore che anteriore alla disfatta di Macriano. TI teste è datato da alcuni al 262: sarebbe quindi posteriore di due anni all'abrogazione voluta da Gallieno della politica persecutoria patema.

Libro VII, 12-14

quanto da voi sarà possibile fare, è stato da me concesso già la tempo 64; di conseguenza Aurelio Quirinio, procuratore d 1fi­seo, farà osservare la disposizione da me emanata 65».

Era giusto citare qui questo rescritto, tradotto dallatino per maggior chiarezza. Dello stesso imperatore si conserva an­che un altro decreto indirizzato ad altri vescovi e che autorizza i cristiani a riprendere possesso dei luoghi chiamati cimiteri.

14. I VESCOVI CHE FIORIRONO IN QUEL TEMPO

A quel tempo 66 Sisto dirigeva ancora la Chiesa di Roma ci,

Dopo Fabio, Demetriano resse quella di Antiochia; Firmiliano quella di Cesarea di Cappadocia; inoltre Gregorio e suo fratel­10 Atenodoro, discepoli di Origene, guidavano le Chiese del Ponto. A Cesarea di Palestina, dopo la morte di Teoctisto, as­sunse la carica episcopale Domno: essendo morto costui poco tempo dopo, gli succedette Teotecno, nostro contemporaneo. Anch'egli era della scuola di Origene. Ma anche a Gerusalem­me, morte} Mazabane, gli succedette sul soglio Imeneo, che si distinse anch'egli per parecchi anni nella nostra epoca.

64 Si tratta non di un riconoscimento ufficiale del cristianesimo, ma del­la sua esistenza di fatto e, soprattutto, il riconoscimento della proprietà ec­clesiastica.

65 La menzione di Aurelio Quirinio, la cui cari ca di direttore del fisco (procurator rei summaei è identica a quella di Macriano, come autorità cui competeva l'applicazione delle norme emanate, indica che le proprietà eccle­siastiche menzionate erano state di fatto incamerate dal fisco.

66 Dei vescovi ricordati da Eusebio in questo capitolo, che è privo di qualsiasi riferimento cronologico, ci è nota, da altre fonti, soltanto la data di elezione di Demetriano (253), imprecisa e approssimativa quella degli altri.

6ï La notizia di Eusebio è inesatta: all'epoca Sisto era già morto marti­re sotto Valeriano nel 258 e gli era già succeduto Dionigi, che guidà la Chie­sa di Roma fino al 268.

106 5tonà ecclesiastica

15. COME MARINO RESE TESTIMONIANZA

COL MARTIRIO A CESAREA

1. All'epoca di questi vescovi 68, mentre c'era pace in tut­te le Chiese, a Cesarea di Palestina, Marino, uno di colora che erano stati onorati di un alto grado nell' esercito, uorno illustre per nascita e ricchezza, fu decapitato per la sua testimonianza di Cristo per il seguente motivo.

2. Presso i romani il tralcio è insegna di una carica milita­re e chi la consegue, dicono, diventa centurione. Era vacante un posto e l'ordine di avanzamento chiamava Marino a tale grado; egli stava già per ricevere la carica, allorquando un altro milita­re, presentatosi davanti alla tribuna, dichiarè che, secondo le antiche leggi, non era possibile che Marino, in quanto cristiano che non sacrificava agli imperatori, ricevesse una carica roma­na e che invece il grado toccavaa lui stesso. 3. il giudice (si chiamava Acheo) 69, scosso dal fatto, chiese per prima cosa a Marino quale fede professasse; poi, quando vide che egli con fermezza confessava di essere cristiano, gli concesse un inter­vallo di tre ore per riflettere. 4. Mentre egli era, dunque, fuori del tribunale, Teotecno, vescovo delluogo, dopo essersi avvici­nato per chiacchierare, 10 trascinô via e, presolo per mano, 10 condusse in chiesa; una volta entrati, postosi accanto a lui da­vanti al tabemacolo, gli sollevà un poco la clamide e gli indicà la spada appesa al suo fianco; contemporaneamente gli mise davanti illibro dei divini Vangeli che aveva portato, ordinan­dogli di scegliere, tra le due cose, quella che era conforme ai

68 All'epoca, dunque, di Gallieno, quindi intorno al 262-263: la vicen­da di Marino significativa de! fatto che, anche in periodo di pace, i cristia­è

ni non vivono in condizioni di assoluta sicurezza: l'episodio una conferma è

che l'irnperatore non emanà alcun editto di tolleranza nei confronti dei cri­stiani.

69 TI personaggio Eu governatore della Palestina ne! 262ca.

Libre VII, 15-17 107

suoi ideali. Poiché egli, tendendo senza incertezza la destra, scelse la divina Scrittura, Teotecno gli disse: «Allora mantieni­ti, mantieniti stretto a Dio e,fortificato da lui z, possa tu conse­guire cio che hai scelto: va' in pace». 5. Subito, mentre rientra­va di là, l'araldo 10 stava chiamando ad alta voce davanti alla tri­buna, poiché la proroga concessa era già scaduta. Presentatosi, quindi, al giudice, avendo mostrato l'ardore della fede più grande che mai, subito, cosr com'era, condotto a morte, rag­giunse la perfezione.

16. LA STORIA DI ASTIRIO

In quella circostanza anche Astirio ricordato per la sua è

religiosa franchezza: quest'uomo era membro del Senato di Ro­ma, caro agli imperatori e nota a tutti per la sua nobiltà e rie­chezza. Dopo aver assistito al martirio di Marino, presone il corpo sulle spalle, 10 porto via in una veste splendida e prezio­sa; quindi 10 seppelli con grande magnificenza e gli diede una sepoltura conveniente. Coloro che hanno conosciuto quest'uo­mo e che sono sopravvissuti fino ai nostri tempi, ricordano di lui innumerevoli altri fatti e tra essi il seguente prodigio.

17. (SENZA TITOLO) 70

Si narra che a Cesarea di Filippo, che i fenici chiamano Paneade 71, presso le sorgenti che si vedono alle pendici del

Z Cf. Coll, 11.

70 Questo capitolo senza titolo in quanto non risulta nell'indice del è

testa greco. 71 Nell'antichità Cesarea di Filippo era nota anche col nome di «Pa­

neade», in quanto sede del culto del dio Pan.

108 Storia ecclesiastica

monte chiamato Paneion, da cui sgorga anche il Giordano, in un certo giorno di festa si gettava una vittirna che, per la po­tenza del demonio, scompariva miracolosamente: il fatto era ri­tenuto prodigioso da coloro che vi assistevano. Un giorno, dun­que, Astirio era presente a1l'avvenirnento: egli, vedendo che la folla era colpita dal fatto, ebbe pietà delloro errore e, levati gli occhi al cielo, supplice, attraverso Cristo, il Dio che è al di so­pra di tutte le cose, di confutare il demonio seduttore del po­polo e di far cessare l'inganno di quegli uomini. Si dice a1lora che, mentre faceva questa preghiera, a1l'irnprovviso la vittirna yenne a galla nelle sorgenti e cosi per essi cessô il miracolo e in quelluogo non si verificô più alcun prodigio.

18. I SEGNI DELLA MAGNANIMITÀ DEL SALVATORE NOSTRO

AVVENUTI A PANEADE

1. Ma, dal rnomenro che ho richiamato a1la mente questa città, non reputo giusto dimenticare un racconto, degno di es­sere tramandato anche a coloro che verranno dopo di noi ï2: di là, infatti, si diceva che fosse originaria la donna sofferente di emorragia che Eu liberata dal suo male da! Salvatore nostro co­me abbiamo appreso dai santi Vangeli aa, e nella città se ne mo­strava la casa e vi si trovavano ancora ammirevoli monumenti della benevolenza del Salvatore nei suoi confronti. 2. Davanti al­le porte della sua casa, infatti, sopra un'alta pietra, c'era una scultura a bassorilievo di bronzo di una donna piegata sulle gi­

aa Cf. Mt 9, 20s.; Mc 5,25; Le 8, 43.

ï2 L'episodio narrato da Eusebio ebbe larga rinomanza nell'antichità e fu ripreso da altri scrittori (cf. Giovanni Damasceno, De imaginibus, 3). Gli scrittori ecclesiastici Sozomeno (cf.Stona ecclesiastica, V, 21) e Filostorgio (cf. Storia ecclesiastica, VIT,3) testimoniano che il bassorilievo fu distrutto per or­cline di Giuliano l'Apostata.

Libro VII, 17-19 109

nocchia e con le mani protese in atteggiamento di supplice; di fronte a questa scultura ce n'era un'altra, dello stesso materiale, che raffigurava un uomo in piedi che, avvolto sfarzosamente in un mantello, tendeva la mana a1la donna; ai suoi piedi, sul mo­numento stesso, spuntava un'insolita specie di erba, che arriva­va fino al bordo del mantello di bronzo ed era un antidoto con­tro malattie di ogni genere ï3. 3. Si diceva che questa scultura ri­producesse I'immagine di Gesù ed essa è esistita fino ai nostri giorni, cOSI che l'abbiamo vista personalmente, quando siamo stati in visita in quella città. 4. E non c'è da meravigliarsi se i pa­gani di un tempo, che avessero ricevuto dei benefici da parte del Salvatore nostro, abbiano fatto questo, dal momento che abbia­mo appreso che sono state conservate per mezzo di colori, su di­pinti, sia le irnmagini dei suoi apostoli Pietro e Paolo, sia quella di Cristo stesso ï4: il che naturale, poiché gli antichi in questo è

modo avevano la consuetudine di onorarli sconsideratamente come salvatori, secondo l'usanza pagana che esisteva tra loro.

19. IL TRONO DI GIACOMO

Fino ad oggi è stato conservato anche il trono di Giacomo, che per primo consegui dal Salvatore e dagli apostoli I'episco­pato della Chies a di Gerusalemme ï5 e che i libri divini chia­mano fratello di Cristo ab, e che i fratelli delluogo hanno cu­

ab Gall, 19; 1 Cor 15,7; Mt 13,55.

ï3 Sulla scorta di quest'uItimo particolare c'è chi pensa che in realtà la statua rappresentasse originariamente il dio greco della medicina EscuIapio e che solo in un secondo momento la sua figura sia stata assimilata a quella di Cristo Salvatore.

ï4 L'affermazione di Eusebio risulta assai interessante a proposito del culte delle immagini agli inizi del IV secolo.

ï5 Cf. supra, II, 23.

111 110 Storia ecclesiastica

stodito di successione in successione, e hanno mostrato in tal modo chiaramente a tutti quale venerazione nei confronti degli uomini santi che sono cari a Dio, nutrivano e conservavano sia quelli di una volta, sia quelli di oggi.

Queste cose bastino su quest'argomento.

20. LE LETTERE FESTALI DI DIONIGI,

NELLE QUALI EGU FISSA IL CANONE PASQUALE

Invero Dionigi, oltre alle lettere menzionate in precedenza, scrisse a quel tempo anche quelle festali che ci sono pervenute, nelle quali innalza il tono in formule solenni sulla festa di Pa­squa. Di esse, una la indirizzè a Flavio, un'altra a Domezio e a Didimo 76: in quest'ultima ha proposto un canone ciclico di ot­to anni e puntualizza che la festa di Pasqua non deve essere ce­lebrata in altro periodo se non dopo l'equinozio di primavera ri Oltre a queste lettere ne scrisse anche un'altra ai suoi colleghi presbiteri ad Alessandria, come pure ad altri in luoghi diversi e queste ultime mentre era ancora in corso la persecuzione.

21. Gu AVVENIMENTI DI ALESSANDRIA

1. Prima ancora che fosse ristabilita la pace, Dionigi ri­toma ad Alessandria, dove scoppiarono nuovamente una rivol­ta e la guerra 78, al punto che non gli era possibile esercitare le

76 Questa lettera a Domezio e a Didimo potrebbe essere quella da cui Eusebio ha in precedenza riportato degli straIci; cf. supra, VIT, Il, 20. Per­duta invece l'aItra lettera a Flavio.

ri La detenninazione della data della Pasqua ai tempo di Dionigi solle­vava ancora delle difficoltà, cf. infra VIT, 32, 13-20.

18 Senza dubbio si tratta dei disordini scoppiati ad Alessandria ai tem­po della rivolta di Macriano (cf, supra, VIT, 10), seguita da quella del prefet­to d'Egitto Mussio Emiliano.

Libro VII, 19-21

sue funzioni episcopali nei confronti di tutti i fratelli della città, che erano divisi tra l'uno e l'altro partito dell'insurrezione. Per la festa di Pasqua, come se fosse lontano da Alessandria stessa, si rivolse nuovamente loro per lettera. 2. Dopo questi avveni­menti scrivendo un'altra lettera pasquale a Hierace, vescovo degli egiziani, ricorda la rivolta degli alessandrini avvenuta al sua tempo mediante queste parole: «Per quanto mi riguarda, dal momento che mi è diventato impossibile dialogare anche con me stesso e consigliarmi con la mia stessa anima, che c'è di strano se mi è difficile comunicare anche per lettera con coloro che abitano lontano? 3. Alle mie stesse viscere, dunque, ai fra­telli che abitano la mia stessa dimora e hanno il mio stesso ani­mo ac, membri della stessa Chiesa, io debbo scrivere lettere e sembra impossibile fade giungere a destinazione. Sarebbe, in­fatti, più facile non solo passare oltre confine, ma anche anda­re da Oriente ad Occidente, piuttosto che andare da Alessan­dria ad Alessandria stessa. 4. La via che attraversa la città, in­fatti, più sconfinata e impercorribile di quel vasto e inaccessi­è

bile deserto che Israele ha attraversato per due generazioni ad e i porti una volta sereni e tranquilli sono divenuti l'immagine di quel mare che, divisosi in due ed elevatosi come una muraglia, gli ebrei trovarono praticabile ai cavalli, mentre gli egiziani fu­rono sommersi in quel percorso ae; (porti) che spesso sono di­ventati simili al Mar Rosso ai a motivo degli omicidi che vi fu­rono commessi. 5. E il fiume che attraversa la città 10 si è visto adesso più arido del deserta senz'acqua e più desolato di quel­10 nella cui traversata ag Israele soffrl talmente la sete, che Mo­sè invoco a gran voce Dio e, ad opera di colui che solo cornpie prodigi ah, dalla dura roccia zampillo per loro una bevanda ai; 6. adesso, invece, esso è straripato a tal punta da inondare tutta la

ai Es 15, 4. ac Fil 12, 20. ad Nm 14, 23. ae Es 14, 29. ai Sap 11,4.ag Nm 21, 1-11; Es 15, 11. ah Sai 135, 4.

113Libro VIL 21-22112 Storia ecclesiastica

regione circostante, le strade e i campi ed ha minacciato di pro­vocare un diluvio simile a quello dei tempi di Noè. Esso scorre sempre macchiato di sangue, stragi e annegati, come fu per il Faraone ad opera di Mosè, quando esso fu mutato in sangue ed esalè un fetido odore ai. 7. E quale altra acqua potrebbe purifi­care l'acqua che purifica tutto? Come l'Oceano, vasto e senza limiti per gli uomini, potrebbe riversarsi in questo aspro mare per purificarlo? 0 il grande fiume che sorge dall'Eden, anche se facesse confluire i quattro bracci in cui si divide in un solo corso, quello del Ghion ak, come potrebbe lavare questo sudi­ciume? 8. 0 come potrebbe mai diventare pura l'aria contarni­nata da sgradevoli esalazioni provenienti da ogni parte? Simili vapori, infatti, esalano dalla terra, i venti dal mare, le brezze dai fiumi, le emanazioni dai porti, al punto che la rugiada è il san­gue putrefatto dei cadaveri imputriditi in tutti i loro elementi costitutivi. 9. E poi si meravigliano e si domandano donde ven­gano le continue epidemie, donde le gravi malattie, donde le in­fezioni di ogni tipo, donde il vario ed enorme spopolamento degli uomini; e perché questa gigantesca città non ha più in sé, a cominciare dai bambini fino ai più avanzati in età, tanti abi­tanti, quanti vecchi innanzi tempo, come li si chiama, nutriva prima: ma colora che erano rra i quaranta e i settant'anni erano un tempo talrnente più numerosi, che superavano il numero di coloro che ara sono iscritti e immatricolati nelle pubbliche di­stribuzioni di grano 79, e che sono tra i quattordici e gli ot­tant'anni; e COS! colora che sembravano i più giovani sono di­

aj Es 7, 20-21. ak Gn 11,10.

79 il brano attesta l'esistenza ad Alessandria di elenchi di cittadini eco­nomicamente deboli ai quali erano corrisposte distribuzioni gratuite di fru­mento, un privilegio riservato agli abitanti di città come Roma ifrumentum publicum). Sappiamo che agli inizi del quarto secolo distribuzioni di pane fu­rono estese anche a città come Costantinopoli e forse Antiochia.

ventati coetanei di quelli che un tempo erano i più vecchio 10. E COS!, pur vedendo il genere umano diminuire sempre di più sulla terra ed esaurirsi, nessuno trema, mentre la loro totale scomparsa si avvicina sempre più».

22. L'EPIDEMIA SCOPPIATA A QUEL TEMPO

1. Dopo questi avvenimenti, allorquando una pestilenza fece seguito alla guerra e si avvicinava la Pasqua, Dionigi si ri­volse nuovamente per lettera aï fratelli e descrisse le sofferenze di quella calamità in questi termini 80: 2. «Agli altri uomini, il presente non potrebbe sembrare un tempo di festa, né 10 perè

essi questo che celebriamo 0 un altro, e io non parlo solo di co­loro che sono tristi, ma anche di quanti si credono i più colmi di gioia 81. Ora invero dappertutto è lamento funebre, tutti so­no in lutto e i lamenti echeggiano nella città per il gran nume­ro di colora che sono morti e di colora che continuano a mori­re ogni giorno. 3. Come, infatti, scritto dei primogeniti degli è

egiziani, COS! anche adesso uifu un grande lamento, perché non c'è casa dove non ci sia un morto al, e ve ne fosse stato uno so­lo! MoIti e terribili, infatti, furono anche gli eventi che prece­dettero questo. 4. In primo luogo ci scacciarono e, soli, pur perseguitati e minacciati di morte da tutti, anche allora cele­brammo la Pasqua ed ogni singolo luogo della nostra afflizio­ne è divenuto per noi successivamente luogo di celebrazione solenne: campagna, deserto, nave, taverna, prigione; ma la fe­

al Es 12,30.

80 il brano riferito da Eusebio è tratto da un' altra lette ra pasquale: dif­ficile stabilirne la datazione, impossibile sapere se è contemporanea a quelle a Ermammone e a Hierace.

81 il passaggio è di difficile lettura.

114 Stona ecclesiastica

sta più gioiosa di tutti l'hanno celebrata i martiri perfetti 82, quando presero parte al banchetto celeste. 5. Dopo questi av­venimenti sopravvennero guerra e carestia, che abbiamo sop­portato con i pagani, subendo da soli le terribili violenze che ci fecero subire, ma dopo aver tratto vantaggio anche da cio che essi patirono e si fecero l'un l'altro; e ancora una volta ci siamo rallegrati della pace di Cristo am, che egli ha dato a noi soltan­to. 6. Dopo che noi e loro ottenemmo un brevissimo periodo di sollievo, è piombata su di noi proprio questa epidemia, cosa per loro più orribile di ogni altro oggetto di paura e più cru­de1e di ogni altra sciagura; e come disse uno dei loro scrittori 83, "fu un avvenimento unico, il peggiore di tutti al di là di ogni previsione" 84; per noi, tuttavia, non fu tale, ma anzi fu un eser­cizio e una prova non inferiore a nessuna delle altre. Essa, in­fatti, non risparmiè neppure noi, anche se si diffuse maggior­mente tra i pagani».

7. Dopo queste parole, aggiunge: «La maggior parte dei nostri fratelli, dunque, senza avere alcun riguardo per se stessi, per un eccesso di carità e d'amore fraterno, accostandosi gli uni agli altri, visitavano senza precauzione gli ammalati, li ser­vivano meravigliosamente, li soccorrevano in Cristo e moriva­no assai gioiosamente con loro; contagiati dal male degli altri, attiravano su di sé la malattia del prossimo e ne assumevano volentieri le sofferenze. Molti poi, dopo aver curato e ridato forza agli altri, morirono essi stessi, dopo aver trasferito su se stessi la loro morte e il detto popolare, che era sembrato sem­pre di pura cortesia, allora essi 10 attuarono realmente: andan­

am Cf. Gv 14, ir.

82 Vale a dire colora che hanno reso testimonianza con la morte. 83 Sembrerebbe che Dionigi citi uno scrittore contemporaneo e testi­

mone degli avvenimenti accaduti ad Alessandria, in realtà la citazione è di Tu­cidide e si riferisce alla peste di Atene del43ü a.c.

84 Tucidide, Storie, II, 64, 1.

Libro VII, 22 115

dosene come spazzatura 85 dei loro fratelli an. 8. Dunque i mi­gliori dei nostri fratelli persero in questo modo la vita, alcuni presbiteri, diaconi e laici, furono grandemente lodati, al punto che anche questo genere di morte, frutto di grande pietà e fe­de coraggiosa, non sembrè per nulla inferiore al martirio. 9. Dopo aver preso tra le mani e stretto al petto i corpi dei santi, ne pulivano gli occhi e chiudevano loro la bocca, quindi li por­tavano in spalla e li sistemavano. Dopo averli stretti a sé, li ab­bracciavano e, dopo averli lavati, li ornavano con paramenti; poco tempo dopo essi ottenevano le stesse cure, dato che sen­za interruzione quelli che sopravvivevano seguivano coloro che li avevano preceduti. 10. Completamente opposta era poi la condotta dei pagani: essi allontanavano coloro che comincia­vano ad ammalarsi, evitavano le persone più care, gettavano per le st rade i moribondi, trattavano come rifiuti i cadaveri in­sepolti, cercando di sfuggire alla diffusione e al contagio della morte, che non era facile allontanare, nonostante prendessero tutte le precauzioni 86». ,

11. Dopo questa lettera, tornata la pace nella città, Dioni­gi inviô nuovamente ai fratelli d'Egitto un' altra lettera pasqua­le e, oltre a questa, ne scrisse ancora altre: se ne conservano una Sul sabato e un' altra Sul]'esercizio. 12. Intrattenendosi ancora per lettera con Ermammone e i fratelli d'Egitto, narrè molte al­tre cose sulla perversione di Decio e dei suoi successori e fece menzione anche della pace sotto Gallieno.

an 1 Cor 4, 13.

85 li termine peripsema (= spazzatura) da termine offensivo con cui ve­nivano inizialmente apostrofati i cristiani, divenne per essi un titolo di gloria; in seguito assunse un significato di cortesia, equivalente al nostro «servo vo­stro» 0 «vostro umile servitore».

86 Dionigi sottolinea la differenza esistente tra l'egoismo dei pagani e la carità cristiana, uno dei cui doveri quello di seppellire i defunti (cf. Aristi­è

de, Apologia, 15, 4ss.; Lattanzio, Istituzioni divine, VI, 12; supra, V, 1, Y] -61).

116 Storia ecclesiastica

23. IL PRINCIPATO DI GALLIENO

1. Ma non c'è niente di meglio che ascoltare direttamente come avvennero questi fatti 81. «Egli (Macriano), dunque, do­po aver tradito uno dei suoi imperatori e combattuto contro l'altro 88, scomparve assai presto, eliminato con tutta la sua stir­pe e Gallieno fu nuovamente proc1amato e riconosciuto da tut­ti imperatore vecchio e insieme nuovo, poiché era prima di es­si e continuo ad esserci anche dopo 89. 2. Secondo l'afferma­zione del profera Isaia, infatti: Ecco, le cose predette anticamen­te sono avvenute e quelle di adesso appariranno nuove ao. Come una nuvola, infatti, passa davanti ai raggi del sole e, nascon­dendolo per un attimo, 10 oscura e si mostra al suo posto, ma poi, una volta passata la nuvola 0 dissoltasi in pioggia, il sole già alto si leva di nuovo e riappare, cosi Macriano si era fatto in­nanzi e si era appressato al potere imperiale di Gallieno, ma ora non esiste più, dal momento che neppure esistette, mentre in­vece Gallieno è sempre come era prima, 3. e allo stesso modo il potere imperiale, come se si fosse tolto di dosso la vecchiaia e si fosse purificato dall'empietà precedente, fiorisce adesso in maniera più totale e 10 si vede ed ode più da lontano e si diffon­de dappertutto».

4. Proseguendo, inoltre, determina anche il tempo in cui scriveva con le seguenti parole:

«Anche a me è sembrato opportuno esaminare i giomi de­gli anni imperiali. Vedo infatti che i più empi, anche se sono

ao Is 42,9; 43, 19.

81 Eusebio riferisce ancora una volta un brano desunto dalla lettera a Ermammone già citata in precedenza, cf. supra, VII, 1 e 10.

88 Cf. supra, VII, 9. 89 Gallieno, che era stato proclamato Augusto nel253, dopo la sconfit­

ta di Macriano, che era stato riconosciuto imperatore in Egitto, fu nuova­mente acclamato nel 261.

Libro VII, 23-24 117

stati famosi, dopo poco tempo sono diventati oscuri, mentre in­vece colui che è più santo e più amato da Dio, superato il setti­mo anno 90, compie il nono anno di govemo adesso mentre noi celebriamo la festa 91».

24. NEPOTE E IL sua SCISMA

1. Oltre a tutte le opere che abbiamo ricordato, (Dionigi) compose anche due libri Sulle promesse, nei quali si occupava di Nepote, vescovo degli egiziani 92: costui insegnava che le promesse fatte ai santi nelle divine Scritture dovevano essere interpretate in modo più giudaico e prevedeva che vi sarebbe stato su questa terra un millennio di piacere fisico 93. 2. Egli, dunque, credeva di trovare conferma alla propria opinione nel­l'Apocalisse di Giovanni e su quest'argomento scrisse un libro intitolato Confutazione degli allegoristi. 3. Contro questa sua opera si scagliè Dionigi nei lib ri SuIle promesse, nel primo dei quali formula il giudizio che egli aveva su tale dottrina, nel se­condo, invece, tratta dell'ApocalzSse di Giovanni. All'inizio di questo libro, dopo aver ricordato Nepote, cOSI scrive di lui: 4. «Dal momento che presentano 94 un trattato di Nepote, sul quale fanno fin troppo affidamento quasi che in esso si dimo­strasse che il regno di Cristo sarà terreno, io invece apprezzo ed

90 il settimo anno di Gallieno corrisponde al 260: come noto, nell'0­è

pinione corrente, il settimo anno ritenuto un anno critico e il fatto che Gal­è

lieno 10 avesse superato era considerato un evento positivo. 91 Evidentemente di Pasqua. 92 Sembra sia stato vescovo di Arsinoe, città che diede i natali a Valen­

tino, uno dei maestri dello gnosticismo. 93 Cf. supra, III, 28. 94 Dal contesta si ricava che al momento in cui Dionigi scrive Nepote

era morto, ma aveva lasciato un certo numero di seguaci, di due dei quali si parla successivamente.

118 Storia ecclesiastica

ho caro Nepote per molte altre cose, per la sua fede, l'impegno nellavoro, 10 studio delle Scritture, la sua vasta produzione di inni 95 che dilettano ancora oggi molti fratelli e tratto quest'uo­mo con molta deferenza, tanto più che oramai è morto, Giac­ché tuttavia la verità mi è cara e da anteporre a tutto, è giusto lodare Nepote ed essere d'accorde con lui senza riserve quan­do diee qualcosa di vero, ma dobbiamo esaminarlo e correg­gerlo quando sembra non aver scritto in modo corretto. 5. Se poi egli fosse presente ed esponesse la sua dottrina con un sem­pliee discorso, sarebbe sufficiente uno scambio di vedute orale per persuadere e mettere d'accorde, per mezzo di domande e risposte, gliavversari; ma, dal momento che si presenta un libro secondo alcuni assai convineente, e poiché alcuni maestri non tengono in nessun conta la Legge e i profeti, non si curano di seguire i Vangeli, disprezzano le lettere degli apostoli e al con­trario proclamano che l'insegnamento di un simile trattato, co­me fosse un mistero grande 0 nascosto e non permettono che i nostri fratelli più semplici abbiano pensieri elevati e alti, né sul­la manifestazione gloriosa e veramente divina del Signore no­stro, né sulla nostra risurrezione dai morti, né sulla nostra unio­ne, né sulla nostra somiglianza con lui, ma li persuadono a spe­rare, nel regno di Dio, in beni di poco conto e mortali, come quelli presenti, allora è neeessario che anche noi discutiamo con il nostro fratello Nepote, come se fosse presente».

6. Dopo altre cose, continua dieendo: «Quando giunsi dunque nel distretto di Arsinoe, dove, come tu ben sai, questa dottrina era da tempo diffusa, al punto che si erano verificati scismi ed apostasie di intere Chiese, dopo aver convocato i pre­sbiteri e i maestri dei fratelli che abitano nei villaggi, alla pre­senza anche dei fratelli che 10 desideravano, suggerü di fare

95 Nepote ricordato come autore di numerosi inni, forse quelli cui è

Eusebio ha alluso in precedenza, cf. supra, V, 28, 5.

Libro VII, 24-25 119

pubblicamente un esame dell'opera. 7. Dopo che essi mi pre­sentarono questo libro come un'arma 0 un baluardo inespu­gnabile, rimasi a discutere con loro per tre giorni di seguito, da mattina a sera, sforzandomi di correggere cio che vi era scritto. 8. In quella circostanza ebbi modo di ammirare soprattutto l'e­quilibrio, l'amore per la verità, la facilità a seguire un ragiona­mento, l'intelligenza dei fratelli, mentre esponevamo in ordine e con moderazione le domande, le ambiguità, i consensi. Pur se non ci sembrava giusto, noi evitammo in ogni modo e ostinata­mente di rimanere legati ad opinioni un tempo ammesse e non evitammo le obiezioni, ma per quanto fu possibile eercammo di affrontare e controllare gli argomenti proposti, e non ci vergo­gnammo, quando ee n'era motivo, di cambiare parere e dare il nostro consenso. Ma scrupolosamente e sineeramente, con il cuore teso verso Dio, aceettammo cio che era stabilito dalle prove e dagli insegnamenti delle sante Scritture. 9. Alla fine il capo e promotore di questa dottrina, che si chiamava Coracio­ne 96, confessà in modo da essere udito da tutti i fratelli presenti e proclamà che non avrebbe più aderito a questa dottrina, né l'avrebbe considerata, ricordata 0 insegnata, dato che era stato sufficientemente convinto dalle critiche fatte. Degli altri fratel­li, alcuni gioirono del dibattito pubblico, come pure dell' ac­condiseendenza e dell' accordo di tutti... 97».

25. L'ApOCALISSE DI GIOVANNI

1. E poco dopo, continuando, a proposito dell'Apocalisse di Giovanni cosi diee: «Alcuni di coloro che sono vissuti prima di noi, dopo aver esaminato illibro capitolo per capitolo e do­po averlo dichiarato incomprensibile e incoerente e il suo tito­

96 TI personaggio è sconosciuto. 97 La citazione di Eusebio è mal copiata e la frase resta in sospeso.

120 Storia ecclesiastica

10 falso, 10 hanno rigettato e contestato in ogni modo. 2. Essi sostengono, infatti, che non è di Giovanni e che non è nemme­no una rivelazione, dato che è totalmente nascosta sotto il fitto velo dell'incomprensibilità e che l'aurore dell'opera non è cer­tamente uno degli apostoli e nemmeno uno dei santi 0 dei membri della Chiesa, ma Cerinto 98, il fondatore della setta chiamata dal suo nome cerintiana, il quale volle dare alla sua eresia un nome degno di fede. 3. il principio fondamentale del suo insegnamento è questo: il regno di Cristo sarà di questa ter­ra. E poiché egli era amante del corpo ed estremamente sen­suale, sosteneva che esso si sarebbe fondato su quelle cose che egli stesso desiderava: sulle soddisfazioni del ventre e su quelle che stanno sotto il ventre, cioè sui cibi, le bevande, le unioni sessuali e su cio che pensava potesse rendere il suo insegna­mento più degno di stima, cioè le feste, i sacrifici e le uccisioni di vittime. 4. Per quanto mi riguarda, io non oserei respingere questo libro che molti fratelli stimano degno di grande consi­derazione, ma poiché ritengo che le sue concezioni siano supe­riori alla mia intelligenza, credo che il significato di ogni singo­10 passo sia in certo modo nascosto e straordinario. Anche se non 10 comprendo, infatti, ritengo nondimeno che nelle parole si trovi un senso più profondo, 5. e non valuto né giudico que­ste cose con la mia intelligenza, ma attribuendo maggior im­portanza alla fede, ie considero troppo profonde perché possa­no essere capite da me, e COSl non rifiuto le cose che non ho compreso, al contrario le apprezzo di più perché non sono sta­to in grado di intravederle».

6. Inoltre, dopo aver analizzato per intero illibro dell'A­pocalisse ed aver dimostrato che non è possibile comprenderlo in base al senso evidente, Dionigi prosegue dicendo: «Dopo aver portato, per COSl dire, a termine l'intera profezia, il profe­

98 Cf. supra, Ill, 28, 4-5.

Libro VII, 25 121

ta 99 proclama beati coloro che la rispettano e anche se stesso: Beate, dice infatti, chi custodisce le parole della profezia di que­sto libro e io Giovanni, colui che ha udito e vista, queste cose ap.

7. 10 non negherè dunque che egli si chiami Giovanni e che quest'opera sia di Giovanni e concordo anche che si tratta di una persona santa ed ispirata da Dio. Cio nondimeno non mi troverei facilmente d'accordo sul fatto che egli sia l'apostolo, il figlio di Zebedeo, il fratello di Giacomo, di cui sono il Vangelo intitolato Secondo Giovanni e la lettera detta cattolica. 8. Dal carattere di entrambi gli scritti, dallo stile dei discorsi, dalla co­siddetta realizzazione dellibro, deduco che non si tratta della stessa persona: l'evangelista, infatti, in nessun luogo inserisce il proprio nome, né si dichiara, sia nel Vangelo sia nella lettera».

9. Poi, un po' più avanti, aggiunge ancora: «In nessun luo­go Giovanni parla di sè né in prima 0 in terza persona. Alcon­trario l'aurore dell'Apocalisse subito, sin dall'inizio, si mette in­nanzi: Rivelazione di Gesù Cristo, che gli ha dato per mostrare subito ai suoi servi ed egli ha manifestato inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, che ha testimoniato la pa­rola di Dio e la sua testimonianza secondo quanto egli vide ag. 10. In seguito egli scrisse anche una lettera: Giovanni alle sette Chiese che sono nell'Asia, grazia e pace a voi ar. L'evangelista in­vece non ha scritto il suo nome neppure all'inizio della lettera cattolica, ma ha cominciato soltanto col mistero stesso della ri­velazione divina: Cio che era fin da principio, cio che noi abbia­mo udito, cio che noi abbiamo veduto con i nostri occhi as. Fu, in­fatti, a proposito di questa rivelazione che il Signore chiamè Pietro beato, dicendo: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, per­ché non la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Pa­

ap Ap 22, 7-8. ag Ap 1, 1-2. ar Ap 1,4. as 1 Gv 1, 1.

99 Dionigi distingue il profeta dall'autore dell'Apocalisse, che egli chia­ma semplicemente Giovanni (cf. supra, Vil, 10,2).

122 Storia ecclesiastica Libro vn, 25 123

dre mio che sta nei cieli at. 11. E neppure nella seconda lettera, né nella terza, che sono attribuite a Giovanni, benché siano brevi, Giovanni è indicato col suo nome, bensi con quello ano­nimo di "presbitero", Costui, invece, non ha reputato suffi­ciente, dopo aver fatto il proprio nome una volta, proseguire il racconto, ma riprende nuovamente: Io, Giouanni, vostro [ratel­10 e vostro compagne nella tribolazione, nel regno e nella co­stanza in Gesù, fui nell'isola chiamata Patmos a causa della pa­rola di Dio e della testimonianza resa a Gesù au, E ancora verso la fine aggiunge: Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro, e io Giovanni. colui che ha udito e visto queste co­se 3\'. 12. Che sia dunque Giovanni che scrive queste cose, bi­sogna credergli dato che le dice. Ma chi egli sia, non è chiaro. Non ha detto, infatti, come ha fatto a più riprese nel Vangelo, che egli il discepolo amato dal Signore aw, né colui che si è

chinà sul suo petto ax, né il fratello di Giacomo ay, né colui che è stato testimone oculare e auricolare del Signore az. 13, Egli avrebbe detto, infatti, qualcuna delle cose indicate prima, se avesse voluto manifestarsi chiaramente; invece non ha precisa­to nulla di tutto cio, ma si dice nostro fratello e compagno ba,

testimone di Gesù e beato per aver visto ed udito le rivelazio­ni bb 14. Penso che vi siano stati molti omonimi dell'apostolo Giovanni, i quali, per amore e ammirazione per lui ed il desi­derio di essere amati dal Signore come lui, hanno assunto il suo stesso nome, come tra i figli dei fedeli si incontra spesso il no­me di Paolo e anche di Pietro. 15. C'è poi anche un altro Gio­vanni negliAtti degliApostoli, quello soprannominato Marco be,

che Barnaba e Paolo presero con sé e del quale sta scritto. E avevano anche Giovanni come aiutante bd. Se sia costui l'autore

at Mt 16,17. au Ap 1, 9. av Ap 22, 7. aw Gv 13, 23; 19,26; 20,2; 21, 20. ax Gv 13,25; 21, 20. av Cf. Gv 21, 2. az Cf. 1 Gv 1, 1; Gv 19, 35; 21, 24. ba Ap 1, 9. bb Ap 22, 7. be At 12, 25. bd At 13,5.

dell'Apocalisse, io non saprei dire, infatti, non scritto che sia è

andato con loro in Asia, ma: Salpati da Pafo, dice la Scrittura, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge di Pamfiiia; Giovanni, separatosi da loro, ritornô a Gerusalemme be, 16. 10 penso che (l'autore dell'Apocalisse) è un altro di colora che erano in Asia, poiché si dice che ad Efeso vi furono due tombe, e l'una e l'al­tra si dice che siano di Giovanni 100. 17. Dai pensieri, dallessi­co e dallo stile, è verosimilmente persona diversa da colui che ha scritto il Vangelo, 18. li Vangelo e la lettera concordano, in­fatti, l'uno con l'altra e cominciano in maniera simile. Uno di­ce: In principio era il Logos bE; l'altra: Cio che era al principio bg

Uno dice: E il Logos si è fatto carneed ha abitato in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre bh; l'altra ripete press' a poco le stesse cose: Cio che noi abbiamo udito, cio che noi abbiamo veduto con i nostri occbi, cià che noi abbiamo contemplato e cio che le nostre mani hanno toccato, 05­

sia il Logos della vita e la vita è stata manijestata bi. 19. Cosi, in­fatti, egli comincia, volendosi riferire, come mostra nelle paro­le seguenti, a colora che dicono che il Signore non venutoè

nella carne bi. Per questo motivo aggiunge accuratamente: Cio che noi abbiamo visto, noi 10 testimoniamo e vi annunziamo la vita eterna, che erapresso il Padree che ci stata manijestata; cioè

che noi abbiamoveduto e udito, noi l'annunziamo anche a voi bk .

20. Egli coerente e non si allontana dai suoi propositi, ma è

procede sempre mediante gli stessi terni e le stesse espressioni, di cui citeremo brevemente alcune. 21. D'altra parte, chi leg­gerà con attenzione, troverà spesso menzione in entrambe le opere della vita, della luce che scaccia le tenebre bl; costante­

be At 13, 13. bf Gv 1, 1. bg 1 Gv 1,1. bh Gv 1, 14. bi 1 Gv 1, 1. bj 1 Gv 4, 2-3. bk 1 Gv 1, 2-3. bl Cf. Gv 1,5; 3, 19; 11,

9-10; 12,46; At 26, 18.

100 Cf. supra III, 39, 4-6; Girolamo, Gli uomini illustri, 9.

124 Storia ecclesiaszica

mente citata la verità, la grazia, la gioia, la carne e il sangue del Signore, il giudizio, la remissione dei peccati bm, l'amore di Dio per noi, il comandamento di amarci gli uni gli altri, l'obbligo di osservare tutti i comandamenti, il biasimo del mondo bn, del diavolo, dell'Anticristo bo, la promessa dello Spirito Santo, l'a­dozione divina bp, la fede che ci è costantemente richiesta; il Pa­dre e il Figlio, dovunque. In generale poi, colora che ne osser­vano il carattere vedranno che unico e identico è il tono del Vangelo e della lettera. 22. Al contrario l'Apocalisse è del tutto differente e diversa da questi testi, in quanto essa non si colle­ga né si avvicina ad alcuno di loro e non ha, per cOSI dire, qua­si neppure una sillaba in comune. 23. La lettera non contiene alcuna citazione 0 pensiero dell'Apocalisse (per non parlare del Vangelo), né l'Apocalisse della lettera, mentre invece Paolo, nelle Lettere, ricorda qualcosa delle sue rivelazioni, che non scrisse autonomamente bq. 24. È inoltre possibile individuare dallo stile la differenza del Vangelo e della lettera dall'Apoca­lisse. 25. Queste opere, infatti, non solo sono state scritte in perfetto greco, ma anche in maniera assai colta per le espres­sioni, i ragionamenti, l'esposizione; in esse poi non si trova al­cun termine barbaro, solecismo 0 idiotismo: illoro autore in­fatti possedeva, come pare, l'una e l'altra parola, quella della conoscenza e quella dello stile, doni elargitigli entrambi dal Si­gnore. 26. Per quel che riguarda l'autore dell'Apocalisse, io non metto in dubbio che egli abbia avuto delle rivelazioni e che ab­bia ricevuto conoscenza e profezia br, noto tuttavia che la sua espressione e la sua lingua non sono propriamente greci, ma che usa idiotismi barbari e talora commette persino dei soleci­smi, che non è necessario elencare ora: non ho detto, infatti,

bm Gy 20,23; 1 Gy 1, 9; 2, 12. bn Cf. Gy 16, 8; 6, 70; 8, 44; 1 Gy 3, 8.10. bo Cf. 1 Gy 2, 18.22; 4, 3. bp Cf. Gy 1, 12; 11,52; 1 Gy 3, 1.2.10; 5, 2. bq Cf. 2 Cor 12, lss.; Gall, 12; 2, 2; EU, 3. br Cf. 1 Cor 14,6.

Libro VII, 25-26 125

queste cose per beffeggiarlo, ma semplicemente per stabilire la diversità esistente tra questi scritti.

26. LE LETIERE DI DIONIGI

1. Oltre a queste, esistono anche moltissime altre lettere di Dionigi, come quelle contro Sabellio ad Ammone, vescovo del­la Chiesa di Bernice 101, quella a Telesforo, quella ad Eufrano­re, ed un'altra ancora ad Ammone e ad Euporo. Sullo stesso te­ma scrisse anche altri quattro componimenti, che indirizzô al suo omonimo di Roma, Dionigi 102. 2. Oltre a queste, vi sono presso di noi anche nurnerose lettere ed opere più vaste scritte in forma di lettera, come quelle Sulla natura, dedicate al figlio Timoteo 103, e quella Sulle tentazioni, che dediee anch'essa ad Eufranore 104.3. Oltre a queste opere, scrivendo anche a Basi­lio, vescovo della Pentapoli, dice di aver scritto un commento sopra l'inizio dell'Ecclesiaste; oltre a quest'opera ci ha lasciato diverse lettere. Questi gli scritti di Dionigi. Ma, dopo il raccon­to di queste cose, è ormai tempo di passare a narrare, in modo da informare coloro che verranno dopo di noi, quale è stata la nostra generazione.

101 Con questo termine Eusebio intende riferirsi sieuramente a Bereni­ce, città della Cirenaica.

102 Negli anni 260-261 tra Dionigi di Roma (259-268) e Dionigi di Ales­sandria sorse una disputa teologica relativa al dogma trinitario, di cui inspie­gabilmente Eusebio non parla nella Storia ecclesiastica; le nostre fonti sono Basilio di Cesarea e, soprattutto, Atanasio (cf. De decretis Nycenae synodi, 26). Sulla problematica cf.J.ND. Kelly,Il pensiero cristiana delle origini, trad. ital., Bologna 1992', pp. 166ss.

103 A proposito di Timoteo, cf. supra, VI, 40, 4-5. Due lunghi fram­menti di quesr' opera sono riprodotti da Eusebio nella sua Preparazione evan­gelica, XIV, XXllI-XXVII.

104 L'opera in questione è perduta.

126 Storia ecclesiastica

27. PAOLO DI SAMOSATA E L'ERESIA

DA LUI FONDATA AD ANTIOCHIA

A Sisto, che guido la Chiesa di Roma per undici anni 105,

succedette Dionigi, omonimo del vescovo di Alessandria. A quel tempo, essendo morto ad Antiochia anche Demetriano, assunse l'episcopato Paolo di Samosata 106. 2. Poiché costui aveva su Cristo idee basse e banali contrarie all'insegnamento della Chiesa, quasi che Cristo fosse stato per natura uomo co­mune, Dionigi di Alessandria, invitato a intervenire al sinodo, adducendo come motivo la sua vecchiaia e insieme la sua de­bolezza fisica, rinunziè a parteciparvi ed espose mediante una

. lettera la sua opinione personale sul problema 107; gli altri pa­stori delle Chiese, invece, accorrendo tutti ad Antiochia, chi da una regione, chi da un'altra, si radunarono contro 10 stermina­tore del gregge di Cristo.

28. I VESCOVI ILLUSTRI ALLORA CONOSCIUTI

1. Tra costoro, quelli di gran lunga più noti erano Firmi­liano, che era vescovo di Cesarea di Cappadocia; i fratelli Gre­

105 Sisto II, che mori martire insieme a quattro diaconi (cf. Cipriano, Lettere, 80, 1) in seguito al secondo editto persecutorio di Valeriano, guido la Chiesa di Roma non per undici anni, ma per undici mesi circa, dal settembre 25ï al6 agosto 258 (cf. Depositio Martyrum, 6 agosto). Dal Liber Pontificalis (cf.1. Duchesne, Liber Pontificalis,I, Paris 1886, pp. 155-156) apprendiarno che dopo la sua morte la Chiesa romana Eu retta da un collegio di presbiteri e che uno di Ïoro, Dionigi, gli succedette nel luglio dell' anno seguente.

106 Nel 256 Demetriano Eu probabilmente costretto all'esilio dopo la conquista di Antiochia da parte dei persiani di Shahpur I. Mori nel260 e Pao­lo Eu designato corne suo successore.

107 Dato che la diocesi di Alessandria non faceva parte del correttora­to d'Oriente, Dionigi non prese parte a questo primo sinodo contro Paolo per motivi di competenza territoriale.

Libro VII, 27-28 127

gorio e Atenodoro, pastori della cristianità del Ponto, ed inol­tre Eleno, della diocesi di Tarso e Nicomas, di quella di Iconio; ed ancora Imeneo, della Chiesa di Gerusalemme e Teotecno, di quella della vicina Cesarea; inoltre Massimo, che dirigeva an­ch'egli brillantemente i fratelli di Bostra; e non sarebbe diffici­le enumerarne innumerevoli altri che si erano riuniti nella pre­detta città con presbiteri e diaconi per il medesimo motivo; ma i più illustri di costoro erano appunto quelli che or ora abbia­mo menzionato 108. 2. Riunitisi dunque tutti insieme in circo­stanze diverse e frequentemente, in ogni assemblea furono di­scussi motivi e questioni e, mentre i partigiani del samosateno tentavano in ogni modo di nascondere e dissimulare cio che era eterodosso, gli altri, al contrario, si sforzavano di scoprire e mettere in evidenza la sua eresia e la sua bestemmia nei con­fronti di Cristo.

3. A quel tempo, nel dodicesimo anno dell'impero di Gal­lieno 109, mori Dionigi, dopo aver retto l'episcopato di Alessan­dria per diciassette anni: gli succedette Massimo.

4. Dopo che Gallieno esercitô l'autorità imperiale per quindici interi anni, fu eletto suo successore Claudio 110. Co­stui, dopo due anni, lasciô il principato ad Aureliano lll.

108 Sul concilio di Antiochia, sul nurnero dei vescovi partecipanti e sui problerni sollevati dalla sua convocazione cf. G. Bardy, Paul de Samosate. Étu­de historique,Louvain 1929', pp. 283ss.

109 Considerato che Gallieno Eu associato dal padre al govemo dell'irn­pero nel253, il suo dodicesimo anno di regno è il 256.

110 Nel giugno del268, durante l'assedio di Milano, Gallieno cadde vit­tima di una congiura di ufficiali, mentre si apprestava a combattere Aureolo, il comandante della cavalleria che si era ribellato e aveva assunto la porpora appunto a Milano. Tra gli ufficiali congiurati, Aurelio Valerio Claudio (pro­babilmente nuovo comandante della cavalleria), ufficiale di origine dalmata, che, subito dopo l'uccisione di Aureolo da parte dei soldati, Eu acclarnato im­peratore, (comunernente nota corne Claudio il Cotice).

III Claudio II mori di peste agli inizi del 2ïO. Gli successe il fratello Quintilio, gradito al senato, ma odiato dai soldati i quali, dopo alcuni mesi di

129 128 Storia ecclesiastica

29. DEPOSIZIONE E SCOMUNICADI PAOLO

1. In quel tempo, essendosi riunito un ultimo sinodo cui prese parte il maggior numero possibile di vescovi 112, il re­sponsabile dell'eresia di Antiochia fu smascherato, riconosciu­to chiaramente da tutti colpevole di eterodossia e bandito dal­la Chiesa cattolica che sotto il cielo. 2. Colui che confutà i è

suoi tentativi di nascondersi, dopo averlo accusato pubblica­mente, fu innanzitutto Malchione, uomo di vasta cultura, che dirigeva l'insegnamento della retorica nelle scuole greche di Antiochia e che era considerato inoltre degno del presbiterato all'intemo della cristianità locale a motivo della straordinaria purezza della sua fede in Cristo. Egli si levà contro Paolo, men­tre dei tachigrafi annotavano il dibattito contro di lui, trascri­zione che sappiamo essere pervenuta fino ai nostri giomi: solo fra tutti, egli fu in grado di smascherare quell'uomo astuto e menzognero.

30. (SENZA TITOLO) 113

1. Dopo essersi riuniti, i pastori stesero di comune accor­do un'unica lette ra indirizzata al vescovo di Roma Dionigi e a Massimo, vescovo di Alessandria, e la inviarono a tutte le pro­vince, facendo conoscere a tutti illoro zelo e l'eterodossia per­versa di Paolo, le confutazioni e le domande che gli erano state rivolte e raccontando inoltre l'intera vita e il comportamento di

regno, 10 uccisero e proclamarono imperatore, nel maggio dello stesso anno, 1. Dornizio Aureliano, ufficiale illirico anch'egli cornandante della cavalleria.

112 Per quel che ne sappiamo l'ultimo sinodo contro Paolo di Samosa­ta si riuni nell' autunno del 268.

113 Corne si diceva sopra anche questo capitolo è privo di titolo poiché non figura nell'indice del testo greco.

Libro VII, 29-30

quell'uomo. Perché rimanga memoria di queste cose, potrebbe essere opportuno riferire adesso le loro parole: 2. «A Dionigi, a Massimo e a tutti coloro che sulla terra intera esercitano con noi il ministero, ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi e a tutta la Chiesa universale che è sotto il cielo, Eleno, Imeneo, Teofilo, Teotecno, Prodo, Nicomas, Eliano, Paolo, Bolano, Protogene, Hierace, Eutichio, Teodoro, Malchione, Lucio e a tutti gli altri che risiedono con noi nelle città e tra le popolazioni vicine, ve­scovi, presbiteri e diaconi e le Chiese di Dio, ai fratelli diletti sa­lute nel Signore 114».

3. A queste parole poco dopo aggiunge: «Abbiamo scritto ed invitato contemporaneamente anche molti vescovi lontani, come i beati Dionigi d'Alessandria e Firmiliano di Cappadocia, a venire per trovare una soluzione a questa letale dottrina: il primo di costoro invio una lettera ad Antiochia senza degnare di un saluto il capo dell'errore e senza rivolgersi a lui personal­mente, ma a tutta la cristianità; di questa lettera abbiamo anche fomito la copia 115. 4. Quanto a Firmiliano, è venuto per ben due volte ed ha condannato le novità insegnate da quest'uomo, come sappiamo e testimoniamo noi che eravamo presenti e co­me sanno anche molti altri; poiché (Paolo) promise di cambia­re opinione, egli, credendo e sperando che la cosa si sarebbe condusa nel modo più giusto senza alcun danno per la nostra dottrina, indugià, ingannato da quest'uomo che non solo nega­va il proprio Dio e Signore bs, e non manteneva neppure la fe­

bs Gd 4.

114 Rispetto al sinodo precedente alcuni vescovi sono cambiati: Firrni­liano di Cesarea, Gregorio il Taumaturgo e suo fratello sono nel frattempo morti; nuovo vescovo di Tarso è Eleno, Irneneo è vescovo di Gerusalernme, Teofilo di Tiro, Teotecno di Cesarea, Massimo di Bostra, Nicomas di Iconio; sconosciuti tutti gli altri.

115 La lettera è andata perduta.

130 Storia ecc!esiastica

de che aveva avuto in precedenza. 5. Firmiliano, poiché cono­sceva per averla sperimentata la malvagità negatrice di Dio di quest'uomo, stava ancora una volta per recarsi ad Antiochia ed era giunto fino a Tarso; ma nel frattempo, mentre noi, riuniti, 10 chiamavamo e attendevamo il suo arrivo, egli concluse la sua vita».

6. Dopo altre osservazioni essi delineano in questi termini la vita di Paolo e la condotta da lui tenuta: «Dal momento che, allontanatosi dalla regola, è passato a dottrine bugiarde e ille­gittime, noi non dobbiamo giudicare le azioni di colui che è al di fuori (della Chiesa), 7. né il fatto che in precedenza fosse po­vero e misero, che non aveva ereditato dai genitori alcuna rie­chezza, e che se l'era procurata con qualche arte 0 mestiere, mentre ora ha raggiunto grazie alle iniquità e ai sacrilegi una straordinaria ricchezza e di cio che chiede e strappa con l'in­ganno ai fratelli, ingannando colora che hanno subito qualche ingiustizia e promettendo di aiutarli dietro compenso; invece inganna anche costoro, traendo profitto temerariamente dalla facilità nel dare che hanno colora che si trovano in difficoltà, pur di essere liberati dalle difficoltà e in tal modo considera la religione una fonte di guadagno br 8. Non dobbiamo giudicare che sia orgoglioso bu e superbo poiché ricopre cariche mondane e vuole essere chiamato ducenarius 116 piuttosto che vescovo e cammina altezzosamente per le piazze leggendo e dettando let­tere in pubblico, circondato da guardie del corpo, assai nume­rose, che in parte 10 precedono e in parte 10 seguono, in modo

br 1 Tm 6, 5. bu 1 Tm 6, 17.

116 Paolo ricopriva dunque una carica secolare mentre era vescovo (cf. Cipriano, Lettere, 67, 6; De lapsis, 6). I ducenarii erano dei procuratori che esercitavano funzioni di natura finanziaria. Paolo aveva avuto tale carica dal re di Palmira, Odenato II, divenuto signore di Antiochia dopo la sconfitta di Valeriano da parte dei persiani (260).

Libra VIL 30 131

che la nostra fede è fatta oggetto d'invidia e di odio a motivo del suo lusso e dell'insolenza del suo animo. 9. Né tanto meno dob­biamo giudicare le bravate che ha escogitato nelle assemblee ec­clesiali per ottenere facile popolarità, sia per trarre in inganno, sia per sconvolgere le menti dei più semplici mediante simili spettacoli: si è fatto costruire un palco e un trono elevato, non certo come un discepolo di Cristo, e come i principi di questo mondo, ha un secretum llï e cosi 10 chiama; inoltre, si batte la coscia con la mana e batte i piedi sul palco e redarguisce e de­plora colora che non 10 lodano e non agitano il fazzoletto come avviene nei teatri, colora che non 10 applaudono e non si alza­no in piedi come i suoi fiancheggiatori, uomini e donne, che 10 ascoltano in modo cosi indecente, ma invece con rispetto e di­sciplina, come avviene nella casa di Dio. Per quanto riguarda gli interpreti della Parola che hanno lasciato questa vita 118, nelle assemblee li tratta in maniera disdicevole e invece vanta se stes­so, non come un vescovo, ma come un sofista e un venditore di fumo. 10. Ha vietato, inoltre, i cantici.in onore di nostro Signo­re Gesù Cristo in quanto recenti e scritti da uomini moderni, mentre invece, il giorno della festa solenne di Pasqua, in chiesa, ha fatto cantare in proprio onore delle donne che, solo ad ascol­tarle, chiunque avrebbe provato orrore. Come se non bastasse fa parlare al popolo i vescovi e i presbiteri delle campagne e del­le città vicine che 10 adulano nelle loro omelie.

11. «In realtà non vuole riconoscere con noi che il Figlio di Dio disceso dal cielo (per anticipare qualche notizia di è

11ï Si tratta dei gabinetto privato di alti magistrati. A giudizio di M. Ce­va iop. cit., p. 420) «la descrizione di questo e di particolari precedenti (pal­co e trono elevato), come pure delle successive acc1amazioni, mostra che dal punto di vista architettonico, e quindi dei cerimoniale, la "Chiesa" di Antio­chia non si configurava ancora come una chiesa propriamente detta, ma co­me un a/kas eleklesias (= casa di riunione), cioè come struttura tradizionale di residenza adibita a funzioni pubbliche connesse con le esigenze religiose e so­ciali dei cristianesimo».

118 Probabile allusione a Origene e ai seguaci dell' esegesi allegorica.

132 Storia ecclesiastica

quelle che siamo sul punta di scrivere, e questo non sarà affer­mata con una semplice affennazione, ma dimostrato in ogni è

modo dai documenti che vi abbiamo inviato e, soprattutto, dal passo in cui egli sostiene che Gesù Cristo nato dal basse): al è

contrario, coloro che levano canti in suo onore e 10 elogiano al cospetto del popolo, dichiarano che illoro empio maestro è un angelo disceso dal cielo; ed egli non impedisce tutto cio, ma al contrario, sprezzante qual è, assiste ai lora discorsi. 12. Quan­to alle donne "subintrodotte" 119, come le chiamano gli antio­cheni, le sue e quelle dei presbiteri e dei diaconi che vivono in­toma a lui, egli nasconde insieme con loro questo ed altri pee­cati, benché ne sia a conoscenza e ne abbia le praye, e si com­porta in tal modo per avere i colpevoli alla sua mercé e affin­ché, temendo per se stessi, essi non abbiano l'ardire di accu­sarlo delle parole che dice e degli atti ingiusti che commette; inoltre egli li fa arricchire ed è per questo che egli è amato ed arnmirato da coloro che apprezzano simili beni. Ma perché scrivere queste cose? 13. Sappiamo bene, 0 diletti, che il vesco­vo e rutta la classe sacerdotale devono essere di modello bv per illoro popolo in tutte le opere buone bw, e non ignoriamo nep­pure quanti sono caduti per avere ammesso delle donne con sé, e altri sono venuti in sospetto, in modo che, anche ammetten­do che egli non faccia nulla di disonesto, almeno, per non scan­dalizzare nessuno e non indurre altri ad imitarlo, dovrebbe cer­care di evitare il sospetto che scaturisce da un simile fatto. 14. Infatti, come potrebbe redarguire 0 esortare un altro a non fre­quentare più una donna e a non cadere nel peccato bx, come sta scritto, lui che non solo ha già ripudiato una donna, ma ne tie­

bv Cf. 1 Tm 4, 12. bw Cf. 2 Tm 2, 21; 3,17. bx 1 Cor 10, 12.

119 Alla lettera il termine vuol dire «introdotte di nascosto»: in effetti si accusava Paolo di praticare fonne di ascetismo che permettevano la vira in comune di uomini e donne.

Libro VII, 30 133

ne anche con sé due nel fiore dell' età e belle d'aspetto e che porta con sé ovunque vada, vivendo nel piacere e gozzoviglian­do? 15. È per questo motivo che soffrono e si lamentano tutti tra sé e sono diventati cosi timorosi della sua oppressione e del­la sua potenza, che non osano neppure accusarlo. 16. Ma, co­me abbiamo detto sopra 120, si potrebbe chiamare a rendere conto di tutto cio uno che abbia sentimenti cattolici e sia an­noverato tra i nostri, ma riteniamo che non si debba affatto chiedere conta di queste cose a uno che ha deriso il mistero by

e si è vantato di seguire l'empia eresia di Artemas 121 (perché ci sarebbe bisogno di dimostrare che costui è suo padrej')».

17. Successivamente, alla fine della lettera, aggiungono le seguenti parole: «Dopo aver scomunicato costui, che si oppo­neva a Dio e non cedeva, come convinti dalla divina Provvi­denza, siamo stati dunque costretti a designare quale vescovo della Chiesa univers ale Domno, figlio del beato Demetriano, che aveva govemato in modo eccellente la stessa diocesi prima di quello, egli che è un uomo dotato di tutte le buone qualità che si addicono a un vescovo; e noi ve la indichiamo perché gli scriviate e riceviate da lui lettere di comunione 122. E costui seri­

by 1 Tm3, 16.

120 Supra, VII, 30, 6ss. 121 Cf. supra, V, 28, 1. il nome Artemas è variante di Artemone, della

cui eresia, che affermava la piena umanità del Figlio, Paolo poté essere con­siderato seguace.

122 L'elezione di Domno a vescovo di Antiochia avvenne nel268, quan­do ancora Odenato, principe di Palmira, era in vita (0 era da poco morto). Costui, dopo aver sconfitto Shahpur I nel260, aveva esteso il suo dominio fi­no ai confini dell'impero persiano. Aveva inoltre sconfitto ad Emesa Quieto, figlio dell'usurpatore Macriano, e di fatto controllava tutta la regione orien­tale dell'impero, dall'Asia Minore alla Siria al confine coi persiani. In consi­derazione della situazione che si era venuta a creare, Gallieno dovette rico­noscere la sovranità di Odenato sui territori che egli aveva conquistato e no­rninarlo dux et corrector totius orientis. Alla sua morte assunse il potere in no­

134 Stonà ecclesiastica

va pure ad Artemas ed i sostenitori di Artemas siano in comu­nione con lui 123».

18. Dunque, dopo che Paolo decadde dall' episcopato, co­me pure dall'ortodossia della fede, come abbiamo detto in pre­cedenza, Domno ottenne il ministero della Chiesa di Antio­chia 124, 19. ma poiché Paolo non voleva lasciare la sede della Chiesa di Antiochia, l'imperatore Aureliano, al quale ci si ri­volse, prese sulla faccenda una decisione assai opportuna, ordi­nando che l'edificio fosse assegnato a coloro che erano in cor­rispondenza epistolare coi vescovi della religione cristiana in Italia e nella città di Roma. In tal modo l'uomo nominato in precedenza fu scacciato dalla Chiesa con la massima vergogna dal potere secolare.

20. A quell'epoca Aureliano si comporta in tal modo nei nostri confronti, ma in seguito, negli anni successivi, egli provô sentimenti diversi verso di noi e fu indotto da certi consigli a scatenare contro di noi una persecuzione, del che si parlava molto fra tutti. 21. Egli era già sul punto di avviarla e, per COS!

dire, aveva già quasi firmato gli editti contro di noi, quando la giustizia divina 10 raggiunse e quasi 10 trattenne per le braccia per distoglierlo da quell'impresa, mostrando con chiarezza a

me del figlio Vallabato la di lui vedova Zenobia. Costei, dopo aver conqui­stato l'Egitto, riaffermô il proprio dominio su tutto l'Oriente e nel271 pro­clama Augusto Vallabato, al quale Gallieno aveva riconosciuto in preceden­za la stessa posizione del padre. L'anno successivo tuttavia Aureliano distrus­se Palmira e catturô Zenobia e il figlio. Solo allora Domno poté prendere pos­sesso della sua sede episcopale.

123 Questa afferrnazione lascia intendere che Anemone sia ancora in vi­ta, cosa che crea non poche difficoltà.

124 Nonostante fosse designato fin dal268 a sostituire 10 scomunicato Paolo, Domno, come si è detto in precedenza (cf. supra, n. 122) non poté prendere possesso della sua carica se non nel271 0272, soltanto cioè dopo che i romani riconquistarono Antiochia. Infatti, malgrado fosse stato desti­tuito, forte dell'appoggio di Zenobia, Paolo riusci a conservare per diversi an­ni la dignità episcopale.

Libro VIL 30 135

tutti che non sarebbe mai stato facile per i principi di questo mondo procedere contro le Chiese di Cristo, a meno che la ma­no che ci protegge, con giudizio divino e celeste, non permet­tesse di farlo per nostra educazione e ammonimento, ogni vol­ta che 10 reputi opportuno 125.

22. Aureliano regna per sei anni, a lui succedette Probo e a quest'ultimo, che resse il govemo per circa un numero uguale di anni, Caro, insieme con i figli Carino e Numeriano 126. Dopo che costoro non durarono per tre interi anni, l'impero passa infine a Diocleziano e a coloro che egli si era associati nell'impero 12ï: sot­to di loro avvenne la persecuzione del nostro tempo, come pure

125 Secondo Lattanzio (La morte dei persecuton, VI, 1) Aureliano firmô l'editto di persecuzione poco prima di morire. Della stessa opinione Agosti­no e Paolo Orosio: in ogni modo egli non ebbe il tempo di rendere esecutivo l'editto.

126 Aureliano fu ucciso nell'ottobre del 275 a Cenofrurio, presso Bi­sanzio, mentre preparava una spedizione militare contro i persiani. 1'esercito affidô l'elezione del suo successore al Senato, che nominô Claudio Tacito: co­stui cadde vittima di un attentato di ritomo da una vittoriosa spedizione con­tro i goti nel maggio/giugno del276. Gli succedette il fratellastro Annio Flo­riano, ma le truppe d'Egirto e di Siria acclamarono imperatore un ufficiale di Aureliano, M. Aurelio Probo, originario di Sirmio, in Pannonia. Sconfitto Floriano nell'agosto/settembre del276, Probo rimase unico imperatore e res­se il principato fino al settembre 282. Dopo aver condotto una serie vittorio­sa di campagne militare contro vandali, burgundi, franchi e sauri, fu ucciso a Sirrnïo dai suoi stessi soldati che non gradivano l'impiego in opere di pace; in­tanto i soldati della Rezia e del Norico avevano già proclamato imperatore il suo prefetto al pretorio Aurelio Caro. Costui regna appena un anno poiché mori nel corso di una campagna militare contro i persiani: gli succedettero i figli Carino in Occidente e Numeriano in Oriente.

12ï Numeriano fu ucciso nel settembre 284 mentre conduceva la ritira­ta dalla campagna persiana intrapresa dal padre; un suo ufficiale di origine dalmata, Valerio Diocle (che poi assunse il nome di Diocleziano), fu accla­mato imperatore dai soldati a Calcedonia, presso Nicomedia. Contro di lui mosse nell' estate del285 Carino, che fu sconfitto dal rivale presso Margo nel­la Mesia superiore e ucciso dai suoi stessi soldati: Diocleziano rimase impe­ratore unico. Nominô quindi Cesare Massimiano, un ufficiale rozzo e igno­rante, ma deciso ed energico, che inviè nelle Gallie e che nell'aprile/maggio 268 si associa come Augusto. Nel 293 Diocleziano e Massimiano nominaro­

136 Storia ecclesiastica

la contemporanea distruzione delle chiese. 23. Ma, poco prima di questi avvenimenti, al posto di Dionigi, il vescovo che trascor­se a Roma nove anni, ottenne la carica episcopale Felice.

31. LA PERVERSIONE ETERODOSSA DEI MANICREI

INIZIATA PROPRIO ALLORA

1. In quel tempo anche il folle che ha dato il suo nome al­l'eresia 128 demoniaca si armava anch'egli della degenerazione della ragione dato che il demonio, Satana in persona, il nemico di Dio, istigava quest'uomo alla ravina di molti. Nella vita, egli era barbaro quanto a linguaggio e comportamento, per natura demoniaco e furioso e le sue azioni erano conformi a tali modi di Fare; si sforzava di atteggiarsi a Cristo, ora prodamandosi il Paradeto e 10 Spirito Santo in persona, accecato dalla follia, ora scegliendosi quali compagni, come Cristo, dodici discepoli della sua nuova dottrina. 2. A dire il vera aveva cucito insieme dottri­ne false ed atee messe insieme alla rneglio da eresie miscredenti, scomparse da tempo, e dalla Persia le inoculava come un veleno letale su tutta la terra: è a partire da lui che il nome empio di ma­

no due Cesari costituendo cosi la prima tetrarchia: Diocleziano nominè sua successore per l'Oriente Galerio; Massimiano nominô per l'accidente Co­stanzo Cloro.

128 Si tratta di Mani e del manicheismo. li gioco di parole cui ricorre il Nostro è intraducibile in italiano: Mani (in greco =Manes) chiarnato «folle» è

(in greco == maneis). TI manicheismo era una setta sincretistica gnostica fonda­ta in Mesopotarnia appunto da Mani (216·277), un principe persiano, arnico personale di Shahpur I, che, in seguito a una rivelazione divina, si converti ad una rigorosa disciplina di vita. In polemica col cristianesimo, col buddhismo e soprattutto col mazdeismo, si dedicô ad un'intensa attività missionaria che 10 porto a diffondere in Egitto, in accidente e nell'Asia centrale, dove soprav­visse per quasi un millennio, le sue dottrine, che si fondano sulla concezione secondo cui nella realtà il bene e il male operano costantemente come due principi distinti e contrapposti, quello della Luce e quello delle Tenebre.

Libro VIL 30-32 137

nichei è usato ancora oggi da molti, Tale fu quindi la radie- di questa scienza dal falso nome bz che sorse in quel tempo.

32. Gu UOMINI ECCLESIASTICl CHE SI SONO DISTINTI

NEL NOSTRO TEMPO E QUELU TRA LORO

CHE SOPRAVVISSERO FTNO AL1'ATTACCO CONTRO LE CHIESE

1. A quel tempo, dopo che Felice presiedette la Chiesa di Roma per cinque anni, gli succedette Eutichiano; costui non so­pravvisse neppure per dieci interi mesi e lasciè la carica a Gaio, nostro contemporaneo. E dopo che quest'ultimo la resse per circa cinque anni, fu designato suo successore Marcellino, mor­to anch'egli nel corso della persecuzione 129.

2. In quel tempo, dopo Dornno, Timeo resse l'episcopato di Antiochia: egli ebbe come successore il nostro conternpora­neo Cirillo. Sotto costui abbiamo conosciuto Doroteo, uomo dotto, onorato del presbiterato ad Antiochia. Interessato alle cose divine, studio con passione anche l'ebraico, in modo da poter leggere le Scritture ebraiche originali con competenza. 3. Inoltre non era ignaro degli studi liberali e dell'istruzione pri­maria greca; era anche eunuco per natura poiché era cOSI fin dalla nascita, tanto che per questo motivo l'imperatore, come fosse un fenomeno soprannaturale, se 10 fece amico e 10 onorè con la pracuratura della tintura di porpora a Tiro 130. 4. Noi ab­

bz 1 Tm, 6, 20.

129 In realtà Felice regnô dal 269 al 274; Eutichiano dal 275 al 283; Gaio dal283 al 296 e Marcellino dal296 al 304.

130 Dal tempo di Alessandro Severo la produzione della porpora a Ti­ro era divenuta monopolio imperiale ed era arnministrata da un procuratore. Nella circostanza da rilevare che Eusebio confonde il procuratore Doroteo, è

che Eu negli anni seguenti presbitero ad Antiochia al tempo del vescovo Ci­rillo (280-302), con un omonimo servo di corte di Diocleziano, che subi il martirio nel corso della persecuzione (cf. infra, VITI 1, 4; 6, 1-5).

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Storia ecclesiastica138

biamo ascoltar? quest'uomo spiegare con accortezza le Scrittu­re della Chiesa- Dopo Cirillo, ottenne l'episcopato della dioce­si di Antiochia Tiranno, sotto il quale raggiunse il culmine la persecuzione contro le Chiese.

5. Dopa Socrate, resse la diocesi di Laodicea Eusebio, ori­ginario della città di Alessandria. La causa del suo trasferimen­to Eu la facceo da relativa a Paolo, per cui andè in Siria e gli Eu impedito di tomare in patria dagli abitanti della regione, i qua­li avevano a ctlore le cose divine; egli fu cosi un amabile esem­pia di pietà fr~ i nostri contemporanei, come si puô facilmente notare dalle p~role di Dionigi ricordate in precedenza 131. 6. Fu designato sua successore Anatolio, buon successore, a quanto si dice, di un altro uomo buono. Anch'egli era originario di Alessandria e, a motivo della sua eloquenza, della sua cono­scenza delle discipline greche e della filosofia, è annoverato al primo posto rra i nostri più famosi contemporanei. In effetti egli si era disrinto nello studio dell' aritmetica, della geometria, dell'astronornië e di altre scienze, sia quelle dialettiche sia quel­le fisiche, e delle discipline retoriche: per questo motivo, a quanto narra [a tradizione, dai suoi concittadini Eu ritenuto de­gno di fondare ad Alessandria la scuola della tradizione aristo­telica. 7. Di lui si ricordano inoltre innumerevoli azioni illustri compiute dur~nte l'assedio del Bruchion ad Alessandria 132,

quando gli fu concesso, unico tra i curiali 133, un privilegio esclusivo e, a riprova, ricorderô questo solo fatto.

8. Si narrë che, allorquando yenne a mancare il frumento agli assediati, al punto che la fame era oramai per loro più in­sopportabile dei nemici esterni, il personaggio di cui stiamo parlando e che era con loro, imparti le seguenti disposizioni.

131 Cf. supriJ, VII, 11, 24, 132 TI Bruchion era il quartiere reale di Alessandria. 133 Con l'espressione hoi en télei Eusebio întende probabilmente affer­

mare che Anatolio fosse membro del senato municipale.

Libro VII, 32 139

Poiché una parte della città combatteva con l'esercito romano e non era di conseguenza assediata, Eusebio (egli, infatti, si tro­vava ancora là a quel tempo, prima del suo trasferimento in Si­ria), era tra quelli non assediati e la sua fama e il suo nome era­no noti anche al comandante romano: Anatolio mediante un messaggero 10 informè su quanti perivano di fame nell' assedio. 9. Informato di cio, egli chiese quale grandissimo favore al co­mandante romano di concedere la salvezza ai nemici che si fos­sero consegnati spontaneamente; avendo ottenuto ciô che chie­deva, 10 rese nota ad Anatolio. Costui, non appena ricevette la promessa, convocè il senato degli alessandrini e in primo luogo propose a tutti di tendere ai romani una mano amica; ma, quan­do vide che essi si infuriavano a causa delle sue parole, disse: «Credo almeno - egli disse - che non mi contraddirete, se vi consiglio di lasciar uscire dalle porte e andare dove vogliono coloro che sono di troppo e a noi nient'affatto utili, cioè vec­chie, bambini e vecchi. Per quale motivo dobbiamo tenerli inu­tilmente con noi, se non per morire? Perché tormentare con la fame gli storpi e coloro che hanno il corpo mutilato, mentre in­vece occorre nutrire solamente gli uomini e i giovani ed econo­mizzare il frumento necessario a beneficio di coloro che sono indispensabili alla difesa della città?».

10. Dopo aver convinto il senato mediante tali ragiona­menti, si alzè per primo e votô un decreto secondo cui tutta la gente inabile alle armi, sia uomini che donne, abbandonasse la città, dato che per coloro che fossero rimasti ed avessero conti­nuato ad abitare senza alcuna utilità nella città, non ci sarebbe stata alcuna speranza di salvezza e sarebbero morti di fame. Il. Avendo dato 10 stesso vota anche tutti gli altri riuniti in senato, egli Eu in grado in tal modo di salvare tutti gli assediati; provvi­de altresi che si allontanassero per primi coloro che appartene­vano alla Chiesa, poi anche gli altri che erano rimasti in città, qualunque fosse la loro età e non soltanto quelli dichiarati nel­la votazione, ma anche moltissimi altri con 10 stesso pretesto, i

140 Sioria ecclesiastica

quali, travestiti con abiti femminili, uscirono dalle porte di not­te grazie alla sua solerzia e si precipitarono verso l'esercito ro­mano. Qui li accoglieva tutti Eusebio che, come un padre ed un medico e, poiché erano stremati in seguito allungo assedio, li confortava con ogni espediente e rimedio.

12. Tali furono i due pastori che la Chiesa di Laodicea fu ritenuta degna di avere in successione. Essi per divina Provvi­denza vi si recarono quando lasciarono la città di Alessandria dopo la guerra di cui si è parlato.

13. Anatolio non compose molte opere, ma ne sono giun­te a noi a sufficienza perché sia possibile comprendere attra­verso esse compiutamente sia la sua facondia, sia la sua cultura. In queste opere egli espone prima di tutto le sue opinioni sulla Pasqua ed è forse necessario ricordare ora il seguente passo:

Dai canoni di Anatolio sulla Pasqua

14. «C'è dunque nel primo anno il novilunio del primo mese, che è l'inizio dell'intero cielo di diciannove anni e che per gli egiziani è il 26 di Phaménoth, mentre per i macedoni è il 22 di Distro 0, come direbbero i romani, 1'11 prima delle Calende di aprile. 15. Il 26 di Phaménoth ora menzionato, il sole non soltanto è entrato nel primo settore, ma l'ha persino già oltre­passato da quattro giorni: si è.. soliti chiamare questo settore primo dodicesimo, equinozio, inizio dei mesi, estremità del ci­elo, punto di partenza della corsa dei pianeti; quanto a quello che 10 precede, invece, fine dei mesi, dodicesimo settore, ul­è

timo dodicesimo, fine della rivoluzione dei pianeti. Per questo motivo sosteniamo che sbagliano non grandemente coloro che collocano in questo settore il primo mese e che conseguente­mente determinano il quattordicesimo giorno della Pasqua 134.

134 Sul cielo pasquale secondo Anatolio, cf. E. Schwartz, Christliche und jüdiscbe Osterta/eln, Berlin 1905ss.

-f...

Libro VII, 32 141

16. Questo calcolo non è nostro, ma era nota agli antichi giu­dei anche prima di Cristoed era da loro rigorosamente osser­vato. È quanto si puô dedurre da cio che detto da Filone 135,è

Giuseppe 136, Museo e non soltanto da essi, ma anche da altri ancora più antichi, i due Agatobuli 13ï, soprannominati maestri di Aristobulo il Grande 138, che è ineluso tra coloro che tradus­sero le Scritture sacre e divine degli ebrei per Tolomeo Fila­delfo e per suo padre e che dedico anche libri esegetici della Legge di Mosè a questi stessi re 139. 17. Questi autori, quando risolvono le questioni relative all'Esodo, dicono che tutti devo­no offrire ugualmente i sacrifici della Pasqua dopo l'equinozio di primavera, a metà del primo mese; e questo accade quando il sole attraversa il primo settore dell' eclittica 0, come alcuni di loro 10 chiamano, del cerchio dello zodiaco. Ma Aristobulo ag­giunge che sarebbe necessario per la festa della Pasqua che non soltanto il sole, ma anche la luna attraversasse il settore equi­noziale. 18. Infatti, dato che vi sono due settori equinoziali, uno di primavera e l'altro d'autunno, che sono diametralmente op­posti l'uno all'altro, e dato che il giorno stabilito per la Pasqua è il quattordicesimo del rnese, di sera, la luna si troverà nella posizione diametralmente opposta al sole, come si puô osserva­re durante i pleniluni e saranno rispettivamente, uno, il sole, nel settore dell' equinozio di primavera, mentre l'altra, la luna, si troverà necessariamente in quello dell' equinozio d'autunno.

135 Cf. De septenario, 19; Quaestiones et solutiones, in Exodus, I, 1; De vila Mosis, Ill, 29; De Decalogo, 30.

136 Antichilà giudaicbe, II, 10,5. Di Tanto Museo quanto i due Agatobuli sono personaggi sconosciuti. 138 Dotto ebreo di cultura ellenica, vissuto fra il II e il I sec. a.C, della

cui opera maggiore, Ïnterpretazione della legge sacra, Eusebio ci ha traman­dato frammenti in Preparazione euangelica.

139 In realtà Eusebio commette un errore: Aristobulo non fu contem­poraneo di Tolomeo II Filadelfo, ma di Tolomeo VI Filometore (cf. Cle­mente Alessandrino, Stromati, V, 14, 9ï; Eusebio, Preparazione euangelica, VIII, 9).

142 Stona ecclesiastica

19. So che sono state dette da loro anche moite altre cose, al­cune verosimili, altre derivate da dimostrazioni principali, me­diante le quali si sforzano di stabilire che la festa di Pasqua e degli azzimi deve assolutamente essere celebrata dopo l'equi­nozio. Ma io tralascio gli argomenti di queste dimostrazioni, chiedendo a coloro per i quali è stato rimosso il velo che è sul­la Legge di Mosè di contemplare ormai per sempre a viso seo­perto Cristo e cio che 10 riguarda, i suoi insegnamenti e le sue sofferenze ca. Che poi presso gli ebrei il primo mese sia verso l'equinozio quanto stabiliscono anche gli insegnamenti im­è

partiti dallibro di Enoch cb».

20. Lo stesso autore ha lasciato anche una Introduzione al­l'aritmetica in dieci interi trattati e altre prove del suo studio e della sua vasta esperienza nelle case sacre. 21. Egli fu il primo cui Teotecno, vescovo di Cesarea di Palestina, impose le mani per la consacrazione episcopale designandolo a succedergli do­po la propria morte nella stessa diocesi; per breve tempo, in­fatti, entrambi presiedettero la stessa Chiesa 140. Ma allorquan­do il sinodo contro Paolo 10 chiamo ad Antiochia, passando dalla città di Laodicea, vi fu trattenuto dai fratelli di quella Chiesa, poiché era morto Eusebio.

22. Allorché anche Anatolio rnori, fu designato Stefano, ultimo vescovo di questa diocesi prima della persecuzione, am­rnirato da moiti per le sue conoscenze filosofiche e anche per la sua cultura greca 141, ma che non aveva, tuttavia, un'uguale di­sposizione verso la fede divina, come dimostrè il progredire

ca 2 Cor 3, 16-18. cb Enoch 72ss.

140 Altro esempio di due vescovi alla guida di una stessa Chiesa. Cf. su­pra, VI, 11, 1-3 per la Chiesa di Gerusalemme.

141 Quando ne ha modo, Eusebio non manca di rilevare che, rra la fine del III e l'inizio del IV secolo, il numero dei fedeli colti cresceva in maniera considerevole.

Libro VII, 32 143

della persecuzione, che rivelô come fosse più un simulatore, spaurito e vile, che un vero filosofo. 23. In ogni modo le sorti della Chiesa non erano destinate a soccombere per causa sua ed anzi furono risollevate grazie a Dio stesso, Salvatore di tutti, da­to che fu senza indugio proc1amato vescovo di quella diocesi Teodoto, uomo che rnediante le sue opere mise in pratica il no­me che porta 142 e il titolo di vescovo. Egli ha raggiunto, infat­ti, il primo posto non solo nella scienza di guarire i corpi, ma anche in quella di curare le anime, dato che non era pari a nes­sun altro uomo per umanità, sincerità, compassione e zelo nei confronti di coloro che avevano bisogno dei suo aiuto; egli era per di più intensamente dedito anche alle discipline divine.

24. Tale fu Teodoto. In seguito a Cesarea di Palestina, a Teotecno, che esercitô l'episcopato con grande zelo, succedet­te Agapio; sappiamo che costui ha lavorato molto, avendo realmente a cuore di proteggere il popolo ed occupandosi con mana generosa di tutti in particolare dei poveri. 25. È proprio a quel tempo che abbiamo avuto modo di conoscere Panfilo, uomo assai colto e vero filosofo nella vita, ritenuto degno del sacerdozio dalla cristianità delluogo 143. Quale uomo egli fos­se e di dove provenisse, non sarebbe argomento da poco mo­strarlo, ma ogni particolare della sua vita e della scuola che egli fonda, le lotte che sostenne durante la persecuzione in diverse confessioni e la corona dei martirio che infine cinse, li abbia­mo narrati in dettaglio in un' opera particolare su di lui. 26. In verità egli fu l'uomo più ammirevole della città, eppure sap­piamo che tra i nostri contemporanei vi sono stati uomini ec­cezionali come Pierio 144, uno dei presbiteri di Alessandria, e

142 Teodoto signifiee, in greco, «dato da Dio». 143 Cf. supra, VI, 32, 3; e infra, VIII, 13,6; l Martin di Palestina, 13. 144 Il personaggio poco noto: sembra sia stato presbitero ad Ales-è

sandria al tempo degli imperatori Caro e Diocleziano (Girolamo, Gli uomi­ni illustri, 76) e che sia rnorto intorno al 300. E ricordato come maestro di Panfilo.

144 Storia ecclesiastica

Melezio 145, vescovo delle Chiese del Ponto. 27. li primo era straordinariamente stimato a motivo della sua vita povera e delle sue conoscenze filosofiche ed era assai esperto sia nelle ricerche e nei commenti relativi alle cose divine, sia nei pub­blici discorsi che egli teneva nella Chiesa. Per quanto riguarda Melezio (le persone colte 10 chiamavano "miele dell' Artica"), era tale che si potrebbe scrivere che era perfetto in tutto a mo­tivo dei suoi discorsi. Inoltre non solo non è possibile ammi­rare adeguatamente il valore della sua eloquenza, ma si po­trebbe anche dire che essa era in lui un dono naturale. Quan­to alla sua vasta esperienza e alla sua cultura, chi avrebbe po­tuto superarne la qualità? 28. In verità in tutte le scienze logi­che non si sarebbe potuto dire che egli era il più abile e colto? Sarebbe forse stato possibile acquisire la sua esperienza? In lui inoltre la qualità della sua vita corrispondeva al resto. Al tem­po della persecuzione noi abbiamo osservato quest'uomo, quando Euggiva per le regioni della Palestina, per sette interi anm.

29. Per quanto riguarda la Chiesa di Gerusalemme, dopo il vescovo Imeneo, che abbiamo nominato poco più sopra 146,

ricopri il ministero episcopale Zabdas. Costui mori poco tem­po dopo e Ennone, che fu l'ultimo vescovo prima della perse­cuzione del nostro tempo, gli succedette nel soglio apostolico che si conserva là fino ad oggi.

30. Anche ad Alessandria, a Massimo, che per diciotto an­ni dopo la morte di Dionigi resse l'episcopato, succedette Theonas. Al suo tempo era celebre ad Alessandria Achillas, ri­tenuto degno del sacerdozio contemporaneamente a Pierio; es­sendogli stata affidata la scuola della sacra fede, egli porto a

145 Di Melezio, che dovette essere vescovo di Sebastopoli, sappiarno so­lo cio che in questa circostanza ci dice Eusebio: incerta la notizia riferita da Filostorgio (cf. Storia ecclesiastica, l, 8) secondo cui partecipô al concilio di Nicea,

146 Supra, VII, 28, 1.

Libro VII, 32 145

compimento un'opera filosofica assai preziosa, non inferiore a quella di nessun altro, mostrando una condotta di vita autenti­camente evangelica. 31. Dopo Theonas, che esercitè il suo mi­nistero per diciannove anni, ricevette l'episcopato di Alessan­dria Pietro, che si distinse anch'egli in modo particolare per do­dici interi anni; resse la Chiesa per tre interi anni prima della persecuzione e trascorse il resto della sua vita nell' ascesi più ri­gida e con lealtà si occupe del bene comune delle Chiese. È proprio per questo motivo che Eu decapitato e cosi adornato con la corona del martirio.

32. Dopo aver descritto nei libri precedenti la materia del­le successioni, a partire dalla nascita del nostro Salvatore fino alla distruzione dei luoghi di preghiera, per un periodo di tre­centocinque anni 147, facciamo adesso in modo che coloro che verranno dopo di noi conoscano per iscritto quali e quanto nu­merose sono state nelle lotte del nostro tempo coloro che con coraggio hanno combattuto per la religione.

147 TI calcolo di Eusebio impreciso se si considera che la nascita di è

Gesù va collocata negli anni 6/4 a. C. e che l'ultimo dei quattro edirti di per­secuzione di Diocleziano risale ai primi mesi del304.