DDDDDDDDDDDiiiiiiiiaaaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrriiiiiiiiiiioooo...

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D D D i i i a a a r r r i i i o o o d d d i i i B B B o o o r r r d d d o o o s s s t t t r r r a a a l l l c c c i i i O O O r r r c c c h h h e e e s s s t t t r r r a a a e e e C C C o o o r r r o o o P P P a a a s s s c c c a a a l l l I primordi, brodo compreso Anno Scolastico 2004/2005 Prima prova di Maggio Verso la fine (non pensatela tragica) Sta per finire aprile, sta per iniziare maggio, e i brividi per le verifiche di fine anno e per la maturità si confondono solennemente con quelli provocati dall’aria condizionata dei pullman.. La qual cosa mi costringe a viaggiare con la mia chitarra sistemata contro il sedile a fianco al mio, vicino al finestrino (così si distrae un po’) e con il mio piede sinistro sotto la cassa, per impedire all’aria condizionata, che scaturisce da ogni anfratto della stramaledetta carcassa metallica, di far “ballare” il legno. Un giorno o l’altro scriverò una lettera come musicista indignata al ministero dei trasporti. Comunque.. Giunti a questo punto dell’anno, la sola cosa che mi induce a salire sulla linea San Giorio – Giaveno è l’Orchestra. L’eterogenea massa di suoni e cervelli completamente fuori da ogni schema che si ritrova ogni settimana a suonare.. si suona di tutto..dai triangoli, ai campanelli, ai cucchiai e alle teste vuote. Non per niente siamo tutti suonati, nel vero senso della parola. Il venerdì delle prove arranca tra un’ora e l’altra, tra i baffi del prof di storia e i radicali (non quelli liberi) di matematica.. Il Jova, pianista e chitarrista, la pensa esattamente come me sui radicali, ed è meglio non esprimersi, mentre DB non ci pensa affatto, con le sue instancabili battute e la chitarra al fianco del banco.. anche se poi alla lavagna ha capito tutto. E poi dicono che la musica è matematica.. per Alo e la sua chitarra si, ma per me e Tangorra, ennesimo ma non ultimo chitarrista, davvero non è così. La matematica impietosa devasta i nostri cervelli, ma alla fine, proprio quando il mondo sembra ridursi a foschia di gessi e pigrechi, ecco che suona la campanella della sesta ora.. meno male..stiamo tutti morendo di fame, più che mai Garbi e il suo clarinetto. Ognuno si carica il proprio strumento sulla spalla, assieme allo zaino e alla felpa (in classe si muore..ci sono i termo accesi!), e poi arranca fendendo la folla fino all’effimera pazienza delle bariste, al piano terra. Così ridotti dalle ore chilometriche, io troppo timida, DB troppo matto, Jova troppo sfrantumato, Marcello Tangorra troppo riccio, Alo troppo stizzito e Matteo Garbi troppo inebetito, chiacchieriamo (no, un momento: loro chiacchierano, io ascolto) di “St. James Infirmary Blues”, l’ultimo pezzo rifilatoci da Claudio (il nostro maestro, per chi non lo conoscesse) alla prova precedente. Si adatta incredibilmente al nostro organico, ed è uno di quei pezzi che si chiamano tirapplausi e che si suonano alla fine e al bisfine, per scaricare la tensione e avere l’opportunità di sfogarsi rompendo qualche corda o pestando troppo sui tasti di qualsivoglia strumento. Perfetto! Finalmente rifocillati, arriviamo in sala cinema, la nostra sala prove da qui all’eternità. I più piccini siamo noi, prima superiore, e tutti coloro che arrivano dopo sono i più grandi, Coloro Che Incutono Timore: Marco Ferrero alla tromba (e a giugno anche alla ..matura!), Marco Ferro (terzino, attenzione a non confondervi..) al clarinetto, con Matteo Garbi erede di seggio. Poi Monica Galli e Valentina Ricci flauti traversi molto lunatici e simpatici, Matteo Carbonaro e Federico Testa coi sax. Ecco Paul Silviu al piano come il Jova e il suo inseparabile Alo, e poi arriviamo agli archi, la serietà fatta violino di Maykol Crema (quello con gli occhiali, violino primo), Giuseppina Mastropaolo (per vostra informazione non ha occhiali, violino secondo) e Lorenzo Prelli (ha gli occhiali e i capelli rossi, violino secondo anche lui), e dulcis in fundo, con la “o” dell’ablativo, il completamento dell’amalgama generale di questo brodo primordiale orchestrale: le chitarre. Il grande Jova, che si diletta come polistrumentista, Alo che lo segue come dilettamento, e infine Ari (la scrivente), DB (nome intero Edoardo De Bernardi) e Tangorra Marcello, tutti con la chitarra nel cuore. Arriviamo in tempi diversi, con gradi di arrancamento diversi, con caratteri opposti e caleidoscopici, ognuno che affronta il suo anno suonandolo, giacché in questo mondo sentiamo la necessità di esprimerci per affrontare l’attimo successivo. Siamo solo agli antipodi, alla Notte dei Tempi, alla fine (o all’inizio?) delle Colonne d’Ercole, eppure c’è già quel sentirsi, quell’appoggiarsi, quell’aspettare, quel respirare, quel sottostare e quel sovrastare equilibrati che si percepiscono in un gruppo che è Gruppo. Beh, si sente appena appena, però c’è. Un accenno timido, fuggiasco, eppure desideroso di rispecchiarsi per assicurarsi di essere proprio vero e autentico. Desideroso di esclamare: “Cavolo! Questa sì che è una corona con gli attributi!”, oppure: “Questo sì, è davvero un crescendo cresciuto.”Così abbiamo scoperto che la musica non si può trascrivere. O per lo meno, non tutta. Il fatto che sia un sol, quello sul secondo rigo in chiave di violino, nessuno lo mette in dubbio. Però è come leggere un foglio di dati: nome, Arianna, cognome, Ferraudo, occhi, castani, capelli, castani, e via dicendo. Claudio ci ha insegnato la Base delle basi: così come non so praticamente nulla di un tizio se leggo la sua carta d’identità, così non so realmente nulla di un brano se leggo solo lo spartito nudo e crudo. Ogni brano è, e lo diventa completamente, solo suonato in quel modo, o con quello spirito, o ancora con quell’altro sentimento. Come una serie di fratelli molto simili, ma profondamente diversi. Mille cose e altre ancora.. Accordiamo la chitarra. La mia è..non lo so cos’è. E’ una classica ideata per montare corde di metallo. Ha circa trentacinque anni, e non saprei dire da dove viene, forse saprei dire di più cos’ha passato con la band di mio papà, visti i segni. Ma ha un suono commosso, mi piace, diavolo, io ho imparato a suonarci da sola, rubandola a mio cugino, perché il prof delle medie, buon’anima, era troppo occupato a tenere la classe. Poi c’è Debe, con la sua Ferrarotti classica che ispira pietà, però resiste agli assalti del mondo e alle schitarrate del suo umano, con un plettro blu marmorizzato da 1.00 mm incollato misteriosamente alla cassa. E Jova e Alo, marca a me ignota, due classiche .. classiche, marroncine (io mi diverto a trovare quel milligrammo di senape in più o in meno che mi permette di distinguerle per il colore), suonate davvero bene, con schitarrate moderate e arpeggi impegnati e Jova che vi cerca sopra “Shine on your crazy diamond” dei fenomenali Pink. Tangorra invece è insuperabile: ha imparato, come me, a non avere più paura dei pentagrammi suonati a prima vista, e con la sua classica rosso fuoco di marca nuovamente incognita si esalta un sacco, ma in senso buono, con quell’entusiasmo intramontabile che deve avere Steve Hackett quando suona “Horizons”.

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DDDDDDDDDDDDiiiiiiiiiiii aaaaaaaaaaaa rrrrrrrrrrrr iiiiiiiiiiii oooooooooooo dddddddddddd iiiiiiiiiiii BBBBBBBBBBBBoooooooooooo rrrrrrrrrrrr ddddddddddddoooooooooooo –––––––––––– ssssssssssss tttttttttttt rrrrrrrrrrrr aaaaaaaaaaaa llllllllllll cccccccccccc iiiiiiiiiiii

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I primordi, brodo compreso� Anno Scolastico 2004/2005

Prima prova di Maggio Verso la fine (non pensatela tragica)

Sta per finire aprile, sta per iniziare maggio, e i brividi per le verifiche di fine anno e per la maturità si confondono solennemente

con quelli provocati dall’aria condizionata dei pullman.. La qual cosa mi costringe a viaggiare con la mia chitarra sistemata contro il sedile a fianco al mio, vicino al finestrino (così si distrae un po’) e con il mio piede sinistro sotto la cassa, per impedire

all’aria condizionata, che scaturisce da ogni anfratto della stramaledetta carcassa metallica, di far “ballare” il legno. Un giorno o l’altro scriverò una lettera come musicista indignata al ministero dei trasporti. Comunque.. Giunti a questo punto dell’anno, la sola cosa che mi induce a salire sulla linea San Giorio – Giaveno è l’Orchestra. L’eterogenea massa di suoni e cervelli completamente fuori da ogni schema che si ritrova ogni settimana a suonare.. si suona di tutto..dai triangoli, ai campanelli, ai cucchiai e alle teste vuote. Non per niente siamo tutti suonati, nel vero senso della parola.

Il venerdì delle prove arranca tra un’ora e l’altra, tra i baffi del prof di storia e i radicali (non quelli liberi) di matematica.. Il Jova, pianista e chitarrista, la pensa esattamente come me sui radicali, ed è meglio non esprimersi, mentre DB non ci pensa affatto, con le sue instancabili battute e la chitarra al fianco del banco.. anche se poi alla lavagna ha capito tutto. E poi dicono che la musica è matematica.. per Alo e la sua chitarra si, ma per me e Tangorra, ennesimo ma non ultimo chitarrista, davvero non è così. La matematica impietosa devasta i nostri cervelli, ma alla fine, proprio quando il mondo sembra ridursi a foschia di gessi e

pigrechi, ecco che suona la campanella della sesta ora.. meno male..stiamo tutti morendo di fame, più che mai Garbi e il suo clarinetto. Ognuno si carica il proprio strumento sulla spalla, assieme allo zaino e alla felpa (in classe si muore..ci sono i termo accesi!), e poi arranca fendendo la folla fino all’effimera pazienza delle bariste, al piano terra. Così ridotti dalle ore chilometriche, io troppo timida, DB troppo matto, Jova troppo sfrantumato, Marcello Tangorra troppo riccio, Alo troppo stizzito e Matteo Garbi troppo

inebetito, chiacchieriamo (no, un momento: loro chiacchierano, io ascolto) di “St. James Infirmary Blues”, l’ultimo pezzo rifilatoci da Claudio (il nostro maestro, per chi non lo conoscesse) alla prova precedente. Si adatta incredibilmente al nostro organico, ed è uno di quei pezzi che si chiamano tirapplausi e che si suonano alla fine e al bisfine, per scaricare la tensione e avere l’opportunità di sfogarsi rompendo qualche corda o pestando troppo sui tasti di qualsivoglia strumento. Perfetto! Finalmente rifocillati, arriviamo in sala cinema, la nostra sala prove da qui all’eternità. I più piccini siamo noi, prima superiore, e

tutti coloro che arrivano dopo sono i più grandi, Coloro Che Incutono Timore: Marco Ferrero alla tromba (e a giugno anche alla ..matura!), Marco Ferro (terzino, attenzione a non confondervi..) al clarinetto, con Matteo Garbi erede di seggio. Poi Monica Galli e Valentina Ricci flauti traversi molto lunatici e simpatici, Matteo Carbonaro e Federico Testa coi sax. Ecco Paul Silviu al piano come il Jova e il suo inseparabile Alo, e poi arriviamo agli archi, la serietà fatta violino di Maykol Crema (quello con gli occhiali, violino primo), Giuseppina Mastropaolo (per vostra informazione non ha occhiali, violino secondo) e Lorenzo Prelli (ha

gli occhiali e i capelli rossi, violino secondo anche lui), e dulcis in fundo, con la “o” dell’ablativo, il completamento dell’amalgama generale di questo brodo primordiale orchestrale: le chitarre. Il grande Jova, che si diletta come polistrumentista, Alo che lo segue come dilettamento, e infine Ari (la scrivente), DB (nome intero Edoardo De Bernardi) e Tangorra Marcello, tutti con la chitarra nel cuore. Arriviamo in tempi diversi, con gradi di arrancamento diversi, con caratteri opposti e caleidoscopici, ognuno che affronta il suo

anno suonandolo, giacché in questo mondo sentiamo la necessità di esprimerci per affrontare l’attimo successivo. Siamo solo agli antipodi, alla Notte dei Tempi, alla fine (o all’inizio?) delle Colonne d’Ercole, eppure c’è già quel sentirsi, quell’appoggiarsi, quell’aspettare, quel respirare, quel sottostare e quel sovrastare equilibrati che si percepiscono in un gruppo che è Gruppo. Beh, si sente appena appena, però c’è. Un accenno timido, fuggiasco, eppure desideroso di rispecchiarsi per assicurarsi di essere proprio vero e autentico. Desideroso di esclamare: “Cavolo! Questa sì che è una corona con gli attributi!”, oppure: “Questo sì, è davvero

un crescendo cresciuto.”Così abbiamo scoperto che la musica non si può trascrivere. O per lo meno, non tutta. Il fatto che sia un sol, quello sul secondo rigo in chiave di violino, nessuno lo mette in dubbio. Però è come leggere un foglio di dati: nome, Arianna, cognome, Ferraudo, occhi, castani, capelli, castani, e via dicendo. Claudio ci ha insegnato la Base delle basi: così come non so praticamente nulla di un tizio se leggo la sua carta d’identità, così non so realmente nulla di un brano se leggo solo lo spartito nudo e crudo. Ogni brano è, e lo diventa completamente, solo suonato in quel modo, o con quello spirito, o ancora con quell’altro

sentimento. Come una serie di fratelli molto simili, ma profondamente diversi. Mille cose e altre ancora.. Accordiamo la chitarra. La mia è..non lo so cos’è. E’ una classica ideata per montare corde di metallo. Ha circa trentacinque anni, e non saprei dire da dove viene, forse saprei dire di più cos’ha passato con la band di mio papà, visti i segni. Ma ha un suono commosso, mi piace, diavolo, io ho imparato a suonarci da sola, rubandola a mio cugino, perché il prof delle medie, buon’anima, era troppo occupato a tenere la classe. Poi c’è Debe, con la sua Ferrarotti classica che ispira pietà, però resiste agli assalti del

mondo e alle schitarrate del suo umano, con un plettro blu marmorizzato da 1.00 mm incollato misteriosamente alla cassa. E Jova e Alo, marca a me ignota, due classiche .. classiche, marroncine (io mi diverto a trovare quel milligrammo di senape in più o in meno che mi permette di distinguerle per il colore), suonate davvero bene, con schitarrate moderate e arpeggi impegnati e Jova che vi cerca sopra “Shine on your crazy diamond” dei fenomenali Pink. Tangorra invece è insuperabile: ha imparato, come me, a non avere più paura dei pentagrammi suonati a prima vista, e con la sua classica rosso fuoco di marca nuovamente incognita si

esalta un sacco, ma in senso buono, con quell’entusiasmo intramontabile che deve avere Steve Hackett quando suona “Horizons”.

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Poi arriva Claudio Dina, probabilmente cento strumenti sperimentati come etnomusicologo e stesso peso in kg all’incirca

(l’esatto non lo sa nessuno), borsa che è a metà tra una valigetta Roncato e una ventiquattr’ore, violino in spalla, cembalo e maracas misteriosamente attaccati a lui, leggìo impiegabile che lo fa incespicare e un bisogno di caffè che gli si legge in faccia. “Buongiornoragazzi”, lo dice proprio così, tutto attaccato, con un mezzo fiatone, che poi è impossibile che abbia il fiatone perché è un armadio con una cassa toracica da far invidia ad un purosangue. Violino, borsa, leggìo e percussioni varie raggiungono la

cattedra, mentre gli ultimi di noi che ancora girellano per i corridoi (di solito fiati, così riescono a disturbare meglio i poveretti che cercano di accordare qualcosa) planano in classe. Mentre Claudio cerca di capire meglio perché è lì e dove ha messo il registro delle presenze, ognuno si guarda intorno cercando qualcosa da sistemare, anche se di solito a questo punto è tutto a posto: sedie disposte ad arco davanti alla cattedra, un leggìo ogni due posti (nei limiti del possibile), piano yamaha con la presa inserita, tastiera attaccata alla ciabatta verde e bianca, spartiti sui leggii, strumenti accordati alla meno peggio, un paio di persone che

cercano di far silenzio. Tutto questo sempre prima che arrivi Claudio, così si risparmiano tempo e pazienza. Claudio intanto è rientrato nel suo elemento, e chiacchiera con qualcuno mentre si rimbocca le maniche della camicia. Poi Lorenzo e Maykol danno il La. Pian piano, come un insieme di onde agitate da troppi venti che ritrovano la calma, ogni verso, ogni timbro, ogni nostra lunghezza d’onda, che poi rappresenta ciascuno di noi, si uniformano, si distendono nel La, si raccordano, si raccolgono, si

fondono, eppure sono ciascuno se stesso, un fascio di caleidoscopiche erbe armoniosamente sistemate da un paio di leggi della fisica inventate da chi non lo so, però dev’ essere un genio, presente ogni volta che si crea una cosa del genere. E poi stop. Claudio si raddrizza davanti a noi, dà il tempo, respira, e noi si suona. Finalmente concentrati, finalmente distesi, finalmente partecipi, finalmente musica. Siamo alla fine dell’anno e ci aspettano due concerti, uno fuori casa e uno l’ultimo giorno di scuola. Nessuno di noi sa se quest’orchestra andrà avanti, nessuno sa se rimarrà imperitura. Però ci siamo, siamo alla fine, siamo

all’esordio, al debutto, al primo decollo, in realtà siamo all’inizio. Come dice Claudio, “portiamolo a casa, questo concerto”.