Data IL FOGLIO · Chiesa", ha detto il segretario personale Georg Gänswein. Si potrebbe partire...

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1 / 7 Data Pagina Foglio 12-12-2020 1+VI/ IL FOGLIO Il Concilio, le lotte in Germania, l'elezione a Papa. La monumentale biografia di Joseph Ratzinger, Glie disse due volte no a Giovanni Paolo II - crivere la biografia di un uomo ancora in vita è un lavoro com- plicato, figurarsi se quest'uomo è un Papa e per di più emerito. Peter Seewald l'ha fatto (Benedetto XVI. Una vita, Garzanti) mille- duecento pagine di aneddoti, confidenze, ricostruzioni, testimo- DI MAI 1E0 MATZUZZI nianze. L'autore premette che l'intenzione non era quella di conse- gnare alla storia un'opera così monumentale, ma che non s'è potuto fare altrimenti. E si scusa per gli errori - ce ne sono, anche fattuali - sfuggiti ai ripetuti controlli. La sostanza, però, non cambia. La voce narrante è quella di un amico che per quasi trent'anni ha dialogato con il Papa oggi emerito. A ogni modo, sconti non ne fa, parlando in più d'un punto della crisi del pontificato e della "man- canza di sensibilità di Ratzinger nella scelta del personale". Tutti gli elementi "cupi" del pontificato sono messi in fila, dalla lectio di Ratisbona al caso del vescovo negazionista lefebvriano William- son, dallo "scandalo del preservativo" a Vatileaks. Ostacoli che hanno fiaccato la tempra di Benedetto, che tutto desiderava meno che essere eletto al Soglio petrino. Ogni cinque anni, quando scade- va il suo mandato di prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, chiedeva il congedo a Giovanni Paolo II, venendo pun- tualmente confermato in carica. Quando capì che davvero si pensa- va a lui per l'elezione a Pontefice, liquidò in malo modo le pressioni dell'amico Joachim Meisner, cardinale arcivescovo di Colonia, che andò fino a casa sua pregandolo di non allontanare da il calice che si stava avvicinando. "Fuori di qui!", gli intimò. Chi è Joseph Ratzinger-Benedetto XVI? Di lui si conoscono il curriculum, le innumerevoli pubblicazioni, i discorsi. Ma oltre a ciò, cosa si staglia dietro al minuto profilo di questo intellettuale bavarese? Una figura enorme, che resistette ai tanti attacchi an- che personali subiti, ma che si irritava se un volume di Kafka era stato riposto al contrario nella sua fornitissima biblioteca dome- stica. "I suoi amici sono i libri. E se non c'è un libro a fargli compa- gnia, allora al suo posto c'è una grande figura della storia della Chiesa", ha detto il segretario personale Georg Gänswein. Si potrebbe partire dalla fine, dagli anni del ritiro nella quiete dei Giardini vaticani o dai drammatici mesi in cui l'anziano Papa dialogava con Dio sul passo fatale che stava maturando nel cuore, la rinuncia. Oppure, scandagliando le vicende del pontificato, dalle folle che a Colonia, Sydney e Madrid andavano ad ascoltarlo, agli scandali e ai momenti bui che travagliarono gli otto anni in cui governò la Chiesa dopo Karol Wojtyla. Ma è correndo ancora più a ritroso nel tempo, risalendo il corso dei decenni, che si possono capire parole scritte e pronunciate, gesti e decisioni di Benedetto XVI. Tornando agli anni Cinquanta e Sessanta, quelli dell'attesa per il grande Concilio, della sua celebrazione e delle sue conseguenze. Gli anni dell'insegnamento universitario e delle dispute teologiche in un contesto sociale e culturale che stava rapidamente mutando. Seewald va al principio di tutto, a quel Sabato santo del 1927, quando fu battezzato Joseph Aloisius, il figlio più piccolo del gendarme Joseph Ratzinger, nato solo il giorno prima. Ricorda l'episodio profetico, quando il futuro Papa, da bambino, vide per la prima volta il cardinale Michael von Faulhaber, arcive- scovo di Monaco e Frisinga, e disse "diventerò un cardinale". Ci sono le vicende dell'infanzia, gli anni del seminario, le letture. Una delle sue preferite era Il lupo della steppa di Hesse, di cui lo colpì "l'analisi spietata della disgregazione dell'Io, che rispec- chia quanto sta accadendo oggi all'uomo". Studiava Newman e Guardini, leggeva di tutto: da Sartre a Camus, da Huxley a Or- well e Bernanos. (segue nell'inserto VI) Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. 084806 Quotidiano Altre Segnalazioni Tiratura: 47.000 Diffusione: 25.000

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    Il Concilio, le lotte in Germania, l'elezione a Papa. La monumentale biografia di Joseph Ratzinger, Glie disse due volte no a Giovanni Paolo II -

    crivere la biografia di un uomo ancora in vita è un lavoro com-plicato, figurarsi se quest'uomo è un Papa e per di più emerito.

    Peter Seewald l'ha fatto (Benedetto XVI. Una vita, Garzanti) mille-duecento pagine di aneddoti, confidenze, ricostruzioni, testimo-

    DI MAI 1E0 MATZUZZI

    nianze. L'autore premette che l'intenzione non era quella di conse-gnare alla storia un'opera così monumentale, ma che non s'è potutofare altrimenti. E si scusa per gli errori - ce ne sono, anche fattuali- sfuggiti ai ripetuti controlli. La sostanza, però, non cambia. Lavoce narrante è quella di un amico che per quasi trent'anni hadialogato con il Papa oggi emerito. A ogni modo, sconti non ne fa,parlando in più d'un punto della crisi del pontificato e della "man-canza di sensibilità di Ratzinger nella scelta del personale". Tuttigli elementi "cupi" del pontificato sono messi in fila, dalla lectio diRatisbona al caso del vescovo negazionista lefebvriano William-son, dallo "scandalo del preservativo" a Vatileaks. Ostacoli chehanno fiaccato la tempra di Benedetto, che tutto desiderava menoche essere eletto al Soglio petrino. Ogni cinque anni, quando scade-va il suo mandato di prefetto della congregazione per la Dottrinadella fede, chiedeva il congedo a Giovanni Paolo II, venendo pun-tualmente confermato in carica. Quando capì che davvero si pensa-va a lui per l'elezione a Pontefice, liquidò in malo modo le pressionidell'amico Joachim Meisner, cardinale arcivescovo di Colonia, cheandò fino a casa sua pregandolo di non allontanare da sé il caliceche si stava avvicinando. "Fuori di qui!", gli intimò.Chi è Joseph Ratzinger-Benedetto XVI? Di lui si conoscono il

    curriculum, le innumerevoli pubblicazioni, i discorsi. Ma oltre aciò, cosa si staglia dietro al minuto profilo di questo intellettualebavarese? Una figura enorme, che resistette ai tanti attacchi an-

    che personali subiti, ma che si irritava se un volume di Kafka erastato riposto al contrario nella sua fornitissima biblioteca dome-stica. "I suoi amici sono i libri. E se non c'è un libro a fargli compa-gnia, allora al suo posto c'è una grande figura della storia dellaChiesa", ha detto il segretario personale Georg Gänswein.

    Si potrebbe partire dalla fine, dagli anni del ritiro nella quietedei Giardini vaticani o dai drammatici mesi in cui l'anziano Papadialogava con Dio sul passo fatale che stava maturando nel cuore, larinuncia. Oppure, scandagliando le vicende del pontificato, dallefolle che a Colonia, Sydney e Madrid andavano ad ascoltarlo, agliscandali e ai momenti bui che travagliarono gli otto anni in cuigovernò la Chiesa dopo Karol Wojtyla. Ma è correndo ancora più aritroso nel tempo, risalendo il corso dei decenni, che si possonocapire parole scritte e pronunciate, gesti e decisioni di BenedettoXVI. Tornando agli anni Cinquanta e Sessanta, quelli dell'attesa per

    il grande Concilio, della sua celebrazione e delle sue conseguenze.Gli anni dell'insegnamento universitario e delle dispute teologichein un contesto sociale e culturale che stava rapidamente mutando.Seewald va al principio di tutto, a quel Sabato santo del 1927,

    quando fu battezzato Joseph Aloisius, il figlio più piccolo delgendarme Joseph Ratzinger, nato solo il giorno prima. Ricordal'episodio profetico, quando il futuro Papa, da bambino, videper la prima volta il cardinale Michael von Faulhaber, arcive-scovo di Monaco e Frisinga, e disse "diventerò un cardinale". Cisono le vicende dell'infanzia, gli anni del seminario, le letture.Una delle sue preferite era Il lupo della steppa di Hesse, di cui locolpì "l'analisi spietata della disgregazione dell'Io, che rispec-chia quanto sta accadendo oggi all'uomo". Studiava Newman eGuardini, leggeva di tutto: da Sartre a Camus, da Huxley a Or-well e Bernanos. (segue nell'inserto VI)

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    La biografia di Joseph Ratzinger

    UN TRANQUILLOPROFESSORE

    DIVENTATO PAPALA VERA STORIADI BENEDETTO

    La Baviera, l'entusiasmo per il Concilio, le lotte a Tubinga.Quelle due volte in cui disse no a Giovanni Paolo IIe l'elezione al Soglio. "La mia vita non è fatta di

    coincidenze, ma qualcuno dirige la mia esistenza"

    di Matteo Ma tzuzzi

    (segue dalla prima pagina)

    Ma nulla lo colpì più delle Confessionidi sant'Agostino, santo che "sento comeun amico, un contemporaneo che parla ame". Se fosse rimasto solo su un'isola de-serta con due soli libri a disposizione,avrebbe scelto la Bibbia e le Confessioni,dirà anni dopo. "Proprio a causa dellasua passione per l'uomo ha necessaria-mente cercato Dio, perché solo nella lucedi Dio anche la grandezza dell'uomo, labellezza dell'avventura di essere uomopuò apparire pienamente". Annota See-wald che "è la lotta combattuta nella ri-cerca di Dio a commuoverlo, la pienezzadi conoscenze che non si acquisisconosemplicemente sui libri ma solo grazie aun profondo moto dell'anima. L'identifi-cazione con il maestro arriva al puntoche, secondo lo studioso del vescovo diIppona Cornelius Mayer, si potrebbe par-lare di Ratzinger come di un secondoAgostino, un Augustinus redivivus". Arri-vò Bonn, la cattedra universitaria a tren-tadue anni. Lì, "una voce come quella diRatzinger non s'era mai udita". Solo po-

    che settimane dopo il suo arrivo, si dovet-te cercare un'aula più spaziosa per con-sentire a tutti gli studenti di assistere allelezioni. E non bastò ancora: la folla eracosì numerosa che l'amministrazioneuniversitaria fu costretta ad attivare unaltoparlante per consentire a quanti af-follavano l'aula magna di poter ascoltarele spiegazioni del giovane professore.Ratzinger era nel suo elemento, quell'e-sperienza fu per lui come "una festa delprimo amore".Poi ci fu il Concilio. Il cardinale arcive-

    scovo di Colonia, Josef Frings, era rima-sto estasiato da quel brillante teologo diMonaco quando nel febbraio del 1961 as-sistette a una sua conferenza all'accade-mia Thomas More di Bensberg. "Un mo-dello costitutivo di origine profana vieneapplicato alla Chiesa e si perde di vistaciò che rende unica la Chiesa, vale a direla sua origine divina. Il Concilio non è unparlamento e i vescovi non sono deputatiche traggono la loro autorità e il loromandato esclusivamente dal popolo cheli ha eletti. Non rappresentano il popolo,ma Cristo, da cui ricevono la loro missio-ne e consacrazione". Frings subito lo pre-se con sé come ghostwriter, gli chiese discrivere un discorso che di lì a pocoavrebbe dovuto pronunciare a Genovasulla teologia del Concilio. Ratzinger ac-

    cettò, compose un testo che lasciò senzaparole la platea. Giovanni XXIII convocòFrings per ringraziarlo: "Lei ha detto tut-to ciò che ho sempre pensato e voluto di-re, ma che da solo non sono mai riuscito aesprimere". In quel documento, il trenta-quattrenne professore chiariva che ilcompito della grande assemblea che sisarebbe aperta di lì a poco era di formu-lare la fede cristiana come un'alternativareale, praticabile e degna di essere vissu-ta, nel dialogo con una modernità profa-na. Frings volle Ratzinger a Roma, dove-va seguirlo per l'apertura del Concilio. Ilteologo era entusiasta di quell'evento,convinto che il cristianesimo dovesse es-sere "molto più a contatto con la realtà,più dinamico e più originale. Arrivato aRoma, dovette sistemarsi in un ostello invia Zanardelli, ché al Collegio tedescoper lui non c'era posto: dopotutto era ungiovane consigliere e nulla più (perito losarebbe diventato dopo), che si portò invaligia un dizionario di italiano. Non ve-deva l'ora di incontrare i teologi che piùammirava, da de Lubac a Daniélou, daCongar a Philips. Incontrò anche KarlRahner. Si rallegrò di quello che il cardi-nale Suenens definì "felice colpo di statoe audace violazione del regolamento". Insostanza, il 13 ottobre 1962, giorno della

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    prima congregazione generale, tra gli ap-plausi dei tremila padri presenti, i cardi-nali Liénart e Frings guidarono la prote-sta contro l'elezione pro forma dei com-missari del Concilio, mandando un chia-ro segnale alla vecchia guardia curiale."Le sorti del Concilio sono state decise inbuona parte in questo momento", annotòSuenens nei suoi diari. Ratzinger esulta-va: "Il Concilio era determinato ad agirein modo indipendente e a non abbassarsia essere mero organo esecutivo dellecommissioni preparatorie". Anni dopo,ripensando a quanto accadde, l'entusia-smo di allora fu soppiantato dal rammari-co: "Ciò che per Frings era solo la conse-guenza implicita della convocazione delConcilio e un'espressione concreta dicattolicità interessò l'opinione pubblicasotto tutt'altro aspetto: il pubblico videnell'evento una ribellione, un atto di in-subordinazione alla curia e l'episodio ac-cese così i sentimenti antiromani e il de-siderio primordiale di sfidare l'autorità".Il Reno, come scrisse il giornalista RalphWiltgen, "iniziò a scorrere nel Tevere".Notò Ratzinger che ribellandosi "allacontinuazione unilaterale di una spiri-tualità antimodernistica", i padri "aveva-no deciso di intraprendere un nuovocammino e di portare avanti un pensieroe un linguaggio positivi".Insomma, quello che due decenni più

    tardi sarebbe stato definito sprezzante-mente come "l'Inquisitore" o il "Panzer-kardinal", era un teologo fortemente im-pegnato nel portare acqua al mulino delfronte novatore. "Certo che ero progressi-sta. A quei tempi progressismo non signi-ficava rompere con la fede, ma impararea comprenderla meglio e a viverla in mo-do più giusto, ripartendo dalle sue origi-ni", disse. Già nel 1960 aveva le idee chia-re su quale dovesse essere la strada con-ciliare: "Ciò che conta è ridare vita alleasserzioni di fede, rimuovendone la rigi-dità sistematica, ma senza intaccare ciòche in esse è veramente valido, riportan-dole alla loro vivacità originaria". Eraconsapevole che molto andava cambiato,senza però imporre storture ma rimanen-do fedeli al cuore pulsante della fede.Ratzinger - scrive il suo biografo - era di-sgustato da un cristianesimo piccolo-bor-ghese e fin troppo conformista che si cul-lava nella sua comoda sicurezza. Si eraformato in seno alla teologia riformista eallo stesso tempo si confrontava costrutti-vamente con la vita, il pensiero e la cono-scenza del presente". Era dunque con-vinto "che la sola intenzione di adeguarsial mondo, senza trovare un giusto equili-brio con la tradizione, avrebbe condottola Chiesa a non conquistare nuovi fedeli,

    ma a perdere se stessa".Ma già pochi anni dopo la chiusura del

    grande evento, Ratzinger avvertì gliscricchiolii: "C'era una grande differenza

    tra ciò che i padri volevano e ciò che veni-va trasmesso all'opinione pubblica e in-fluenzava il sentire comune. I padri vole-vano aggiornare la fede e con questo ag-giornamento intendevano restituire allafede tutta la sua forza". Invece, si era dif-fusa l'impressione che "la Riforma consi-stesse semplicemente nel liberarsi dainutili zavorre, in un alleggerimento: il ri-sultato fu che la riforma non apparve co-me una radicalizzazione della fede, macome una sorta di suo assottigliamento"."L'apertura al mondo - disse - non signi-fica per il cristiano una condizione piùconfortevole, nella quale ci si può tran-quillamente abbandonare al conformi-smo mondano di una cultura di massa al-la moda".

    Venivano in superficie tutte le deriveche sbrigativamente, nei decenni succes-sivi, sarebbero andate a ingrossare il te-ma della cosiddetta "interpretazione delConcilio". Se alla vigilia della terza ses-sione del Concilio Ratzinger diceva che"non c'era alcuna ragione di scettici-smo", prima della quarta sessione il suotono cambiò.

    I118 giugno 1965, in una conferenza al-l'Università di Münster intitolata "Vero efalso rinnovamento nella Chiesa", il futu-ro Pontefice elencò i pericoli che la Chie-sa rischiava di dover affrontare. Bisogna-va stare attenti da un lato all'irrigidimen-to della propria tradizione, dall'altro allasua disgregazione per adattarsi al mon-do. Un anno dopo, la sentenza: "Diciamo-lo apertamente: c'è un certo disagio, unclima di disincanto e delusione [...]. Se-condo alcuni il Concilio ha fatto troppopoco [...] secondo altri è stato uno scanda-lo, la resa della Chiesa all'assenza dellaspiritualità di un tempo in cui Dio si èeclissato, a causa della brutale ossessio-ne per le cose terrene. Sono sgomenti eferiti nel vedere che ciò che è più sacroper loro vacilla e voltano le spalle a unrinnovamento che ritengono una svendi-ta del cristianesimo e quindi una sua dis-soluzione; e questo accade in un momen-to in cui occorrerebbe invece avere piùfede, speranza e amore".

    Discorsi, scritti, commenti che fannoben comprendere la consapevolezza chesi fece largo in Joseph Ratzinger, la matu-razione di pensiero del giovane entusia-sta per il Concilio e il professore perples-so per le tante derive e interpretazionidello stesso. Tutti elementi che aiutano acapire che non ci fu alcuna svolta legata e

    limitata agli avvenimenti del Sessantotto,con la protesta a Tubinga che vide coin-volta la facoltà cattolica dove nel frattem-po si era trasferito. Si è molto favoleggia-to su un presunto "trauma" subito da Rat-zinger, sconvolto da quanto accadde nel-l'ateneo, tra le occupazioni, le proteste ele minacce ai docenti - "l'esistenzialismoandava in pezzi e la rivoluzione marxistasi accendeva in tutta l'università, la scuo-teva fin dalle fondamenta" -, scriverà piùtardi. Non pochi dissero che Ratzingerera a tal punto turbato da andarsene nel-la più tranquilla Ratisbona. Non fu perquella ragione, anche se gli eventi delSessantotto segnarono una cesura nellastoria e nella consapevolezza della stes-sa. Ne è dimostrazione il testo uscito unanno e mezzo fa e superficialmente pas-sato nella narrazione mediatica con titoliquali, ad esempio "Preti pedofili a causadel Sessantotto". Quando in realtà la te-stimonianza di Ratzinger voleva eviden-ziare come il problema reale e drammati-co dell'oggi sia l'assenza di Dio, la sua ne-gazione. E sì, gli anni Sessanta c'entrava-no, ma solo come dato fattuale: "Il proces-so di dissoluzione della concezione cri-stiana della morale, da lungo tempo pre-parato e che è in corso, negli anni Sessan-ta, come ho cercato di mostrare, ha cono-sciuto una radicalità come mai c'era stataprima di allora. Questa dissoluzione del-l'autorità dottrinale della Chiesa in ma-teria morale doveva necessariamente ri-percuotersi anche nei diversi spazi di vi-ta della Chiesa". Non ci fu insomma nes-suna svolta tra il Ratzinger progressistapre 1968 e il Ratzinger conservatore post1968. Chi lo pensa, non tiene conto del si-gnificato che dava al termine "progressi-smo" lo stesso Ratzinger. Nella posizionedi Ratzinger, Henri de Lubac vedeva lasalvezza "dalla melma di un progressi-smo che ci conduce alla disintegrazionespirituale e, al tempo stesso, il modo cor-retto di soddisfare il desiderio che moltihanno di un rinnovamento autentico". "Ilproblema vero era il compito che quellanuova epoca ci metteva di fronte, era l'ir-ruzione del marxismo e delle sue pro-messe", scriverà il futuro Papa in La miavita. Il pericolo grande, aggiungeva, erache "la distruzione della teologia, che av-veniva attraverso la sua politicizzazionein direzione del messianesimo marxista"potesse risultare affascinante perché"basata sulla speranza biblica". La con-seguenza possibile di ciò era che si con-servasse "il fervore religioso, eliminandoperò Dio, e sostituendolo con l'azione po-litica dell'uomo".

    Ratzinger non ha mai avuto alcun dub-bio sulla decisione di convocare il Vati-

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    cano II: "E' stato sicuramente giusto far-lo", dice a Seewald, aggiungendo che "cifu un momento nella storia della Chiesain cui ci si aspettava semplicementequalcosa di nuovo, un rinnovamento chepartisse dalla Chiesa stessa e la coinvol-gesse in ogni sua parte; non fu qualcosache venne unilateralmente stabilito aRoma. La convocazione del Concilio ven-ne a soddisfare esattamente quell'aspet-tativa generale". Le critiche di Ratzingeral post Concilio non erano isolate, VonBalthasar denunciò il fatto che "spiritimeschini" stessero sfruttando i docu-menti approvati durante la grande as-semblea voluta da Giovanni XXIII e con-clusa da Paolo VI per mettersi in mostra.Nelle università succedeva di tutto, unteologo della facoltà dove insegnava Rat-zinger si mise a "insegnare che le sue opi-nioni erano l'autentico cattolicesimo".De Lubac smise di collaborare con HansKüng, che nel frattempo veniva biasima-to da Von Balthasar: "Küng è un birbante,lo conosco molto bene. A Tubinga è cosìinsopportabile che il suo collega J. Rat-zinger, che vale cento volte più di lui, persfuggire alla sua presenza si è ritiratonella piccola facoltà di Ratisbona", scris-se in una lettera indirizzata a De Lubac.

    Intanto, il professor Ratzinger vedevaattuarsi "la distruzione di quell'inizio tan-to promettente che era stato il Concilio".A Tubinga, nella facoltà cattolica, com-parvero opuscoli che stigmatizzavano lacroce come simbolo di glorificazione sa-domasochistica del dolore. I teologi prin-cipianti inneggiavano a un "Gesù male-detto". Ricorda Thomas Moll: "Improvvi-samente si diffuse l'abitudine di celebra-re la messa negli appartamenti privati,mentre ognuno aveva in mano un bicchie-re di vino rosso". Scriverà Ratzinger: "Hovisto senza veli il volto crudele di questadevozione ateistica, il terrore psicologico,la sfrenatezza con cui si arriva a rinuncia-re a ogni riflessione morale, consideratacome residuo borghese, laddove era inquestione il fine ideologico". Nonostanteciò, da parte sua non vi fu alcuna abiuradella stagione conciliare: non si può in-dulgere "alla nostalgia di un passato chenon può tornare", disse mentre si appre-stava a mettere nero su bianco la sua In-troduzione al cristianesimo, libro pubblica-to nel 1968 e diventato un bestseller. NotaSeewald che "basta leggere" quest'opera"per vedere che prima del 1968 e dopo il1968, prima del Concilio e dopo il Concilio,prima del suo periodo romano e duranteil suo periodo romano, la teologia e il pen-siero di Ratzinger restarono gli stessi, fat-ta eccezione per alcune sfumature e qual-che approfondimento".

    Passarono gli anni nella tranquilla Ra-tisbona, fino a quando, nel 1977, giunseinaspettata da parte di Paolo VI la nomi-na ad arcivescovo di Monaco e Frisinga.La notte fu terribile, i dubbi lo assillava-no: accettare o no? Gli venne in mente ilSalmo 72: "Ero stolto e non capivo, davan-ti a te stavo come una bestia. Ma io sonocon te sempre, tu mi hai preso la mano de-stra". L'indomani mattina, disse dì sì. Co-me avrebbe detto sì a Giovanni Paolo II,che già pochi mesi dopo l'elezione lo vole-va con sé a Roma. Ratzinger si fece atten-dere a lungo: quando Wojtyla gli proposel'incarico di prefetto della congregazioneper l'Educazione cattolica, l'allora arci-vescovo di Monaco rifiutò spiegando chela conoscenza delle università tedescheera diversa da quella degli istituti situatinelle altre parti del mondo. Due anni piùtardi, nel 1981, Giovanni Paolo II lo convo-cò a Roma dicendogli che l'avrebbe volu-to prefetto dell'ex Sant'Uffizio. Anche sta-volta, Ratzinger disse no. O meglio, si mo-strò disponibile a patto di poter continua-re a pubblicare: "Avevo posto una condi-zione che sapevo non era possibile soddi-sfare". Il Papa rimase spiazzato, disse checi avrebbe pensato. Due mesi dopo, nuovaconvocazione: Wojtyla, raggiante, gli dis-se che avrebbe potuto continuare a scri-vere e pubblicare. "A quel punto non po-tevo più rifiutarmi".

    Seguì l'impegnativo trasloco, l'attesaper l'arrivo a Roma della sorella Maria, lecene solitarie alla trattoria "Cantina tiro-lese". E il rapporto con il Pontefice polac-co che si rafforzava. Non potevano esserepiù diversi, ricorda il biografo: "Grande egrosso l'uno, piccolo ed esile l'altro.Estroverso l'uno, introverso l'altro. All'e-motività di Wojtyla si contrapponeva larazionalità di Ratzinger. Il polacco erauno sportivo, cosa che il bavarese decisa-mente non era. Uno era devoto in partico-lare di Maria, l'altro di Gesù. Nessunoavrebbe potuto scambiarli per fratelli.Wojtyla era un personaggio appassiona-to, pieno di fascino e talento recitativo,che sapeva infondere euforia in coloroche cercavano Dio. Ratzinger era un uo-mo delicato e sensibile, un pensatore di-sciplinato e geniale, solido e fidato, masenza ambizioni, tranne quella di poterforse scrivere un giorno una grande cri-stologia".Eppure, la Storia avrebbe detto che

    quei due erano fatti per lavorare assie-me, fino alla fine. Ratzinger si districò trale tensioni a destra con i lefebvriani e asinistra con i teologi della liberazione,sempre con il sostegno del Papa. Il pro-blema vero non erano i gruppi che riven-dicavano chi un ritorno impossibile al

    passato e chi una fuga in avanti. Tutt'al-tro: "La mia impressione è che tacita-mente si vada perdendo il senso autenti-camente cattolico della realtà `Chiesa'senza che lo si respinga espressamente.Molti non credono più che si tratti di unarealtà voluta dal Signore stesso. Anchepresso alcuni teologi la Chiesa appare co-me una costruzione umana, uno strumen-to creato da noi e che quindi noi stessipossiamo riorganizzare liberamente aseconda delle esigenze del momento". Dinuovo tornano tutti i paletti fissati primae dopo il Concilio, quando Ratzigner sidefiniva progressista smarcandosi peròda quanti sbandieravano un progressi-smo devastatore, quello appunto dellemesse private con il bicchiere di vino inmano. E tale resterà l'orientamento neidecenni successivi; la diagnosi sempre lamedesima: "La cristianità ha subìto unatremenda perdita di importanza", c'è il"pericolo di dittature anticristiane", laChiesa è "soffocata dal su potere istitu-zionale", "si deve dire addio all'idea diuna Chiesa popolare". "La Chiesa ha bi-sogno di una rivoluzione della fede. Nondeve allinearsi allo spirito del tempo. Perpreservare il suo bene, deve separarsidai suoi beni materiali". Concetti chiarianche all'inizio del Terzo millennio,quando la Dichiarazione Dominus Iesusdella congregazione per la Dottrina dellafede sull'unicità e universalità salvificadel mistero di Gesù Cristo e della Chiesadiede fuoco alle polveri. Dalla Germaniasoprattutto, con Hans Küng che definivaGiovanni Paolo II "figura incartapecori-ta" che imponeva giuramenti di fedeltàsimili "alle lettere con cui si giurava lapropria fedeltà a Hitler". Il documento,che sarà poi difeso da Wojtyla all'Ange-lus, chiariva che per i cattolici "deve es-sere fermamente creduta l'affermazioneche la pienezza di Dio vive davvero in Ge-sù Cristo". Naturalmente, nel mirino finìl'allora prefetto che però chiarì di nonaver mai scritto quel testo: "Naturalmen-te ho collaborato, apportando alcune re-visioni critiche e cose del genere. Ma nonho scritto nessuno dei documenti, nem-meno la Dominus Iesus". Più di un colpo fuassestato contro Ratzinger. A propositodel concistoro per la creazione di nuovicardinali, la Zeit scrisse che "questo nonè stato solo il primo concistoro, la primacreazione di nuovi cardinali nel Terzomillennio appena iniziato; è stata anchela fine di un'epoca. E quest'epoca porta ilnome di Ratzinger". La storia sarebbe an-data in tutt'altra direzione. Martedì 19aprile del 2005 fu eletto Papa con il nomedi Benedetto XVI. "C'è stato un momentoin cui ha veramente preso in considera-

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    zione la possibilità di rifiutare?", doman-da Seewald. "Oh sì, sì. Veramente l'ho fat-to in continuazione. Ma in qualche modosapevo che semplicemente non mi erapermesso dire no". Neppure quella volta,soprattutto quella volta.

    Il resto è cronaca. Gli anni del pontifi-cato, quelli più conosciuti. I grandi di-scorsi, le folle, la trilogia su Gesù di Naza-ret, le encicliche profondissime. Il tem-po, anche, dei fendenti scagliati da unmondo pronto a colpire lui per colpire laChiesa di Cristo. Fino a quel 28 febbraiodi quasi otto anni fa, il viaggio in elicotte-ro verso Castel Gandolfo: "Ero moltocommosso. La cordialità del commiato,anche le lacrime dei collaboratori. Sullacasa ̀ Bonus Pastor' campeggiava l'enor-me scritta ̀ Dio gliene renda merito'... epoi le campane. In ogni caso, mentre milibravo lassù e sentivo il suono delle cam-pane di Roma sapevo che potevo ringra-ziare e che lo stato d'animo di fondo erala gratitudine". L'epilogo, l'ultimo di-scorso dalla villa pontificia, con il sipa-rio pronto a calare su 2.864 giorni di pon-tificato. Parole che, rilette ora, rendonomeno misteriosi tutti i gesti, gli inter-venti e gli scritti del Papa emerito: "Nonsono più Sommo Pontefice della Chiesacattolica: fino alle otto di sera lo sarò an-cora, poi non più. Sono semplicementeun pellegrino che inizia l'ultima tappadel suo pellegrinaggio in questa terra.Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con ilmio amore, con la mia preghiera, con lamia riflessione, con tutte le mie forze in-teriori, lavorare per il bene comune e ilbene della Chiesa e dell'umanità".

    Passò una notte terribile primadi accettare la nomina adarcivescovo di Monaco. Disse dino due volte a Giovanni Paolo II

    Non badavaagli attacchipersonali,ma si irritava se un libro di Kafbveniva riposto al contrario nella suafornitissima biblioteca domestica

    Leggeva di tutto, da Sartre aCamus, da Huxley a Orwell eBernanos. Manullalocolpìpiùdelle"Confessioni" di sant'Agostino

    De Lubac vedeva in RatzingerGli anni del Concilio, la salvezza "dalla melma di un

    l'entusiasmo per la ribellione "alla progressismo che ci conduce allacontinuazione unilaterale di una disintegrazione spirituale"spiritualità antimodernistica"

    Scrisse: "La sola intenzione diadeguarsi al mondo avrebbecondotto laChiesaanonconquistarenuovi fedeli , ma a perdere se stessa"

    Le polemiche per la "DominusIesus" , la profezia sbagliata dellaZeit: "E' la fine dell' epocache portail nome di Ratzinger". Era il 2001

    Le ultime parole da Papa: "Vorreiancora, con il mio cuore, con il mioamore, con la mia riflessione,lavorare per il bene della Chiesa"

    "Certo che ero progressista. A quei tempi progressismo non significava romperecon la fede, ma imparare a comprenderla meglio e a viverla in modo più giusto

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    Si intitola "Benedetto XVI. Una vita", la biografia dei Papa emerito scritta da Peter Seewald ed edita da Garzanti (1.296 pp., 40 euro) (foto Luciano del Castillo/Ansa)

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    "C'era una grande differenza tra ciò che i padri volevano e ciò che veniva trasmesso all'opinione pubblica e influenzava il sentire comune". scriverà Ratzinger dopo il Concilio Vaticano II (LaPresse/Publifoto)

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