Dante a Verona 2015-2021 · 57. Dante a Verona 2015-2021 a cura di Edoardo Ferrarini, Paolo...

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57. Dante a Verona 2015-2021 a cura di Edoardo Ferrarini, Paolo Pellegrini, Simone Pregnolato Memoria del tempo Collana di testi e studi medievali e rinascimentali diretta da Johannes Bartuschat e Stefano Prandi

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57.

Dante a Verona2015-2021

a cura di Edoardo Ferrarini, Paolo Pellegrini,

Simone Pregnolato

Memoria del tempo

Collana di testi e studi medievali e rinascimentalidiretta da Johannes Bartuschat e Stefano Prandi

Atti del Convegno Internazionale di Verona(8-10 ottobre 2015)

Dante a Verona2015-2021

a cura di EDOARDO FERRARINI, PAOLO PELLEGRINI,

SIMONE PREGNOLATO

LONGO EDITORE RAVENNA

ISBN 978-88-8063-982-4

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PAOLO PELLEGRINI

I PRIMI PASSI DELL’ESILIO DANTESCO: VERONA 1302-1303

L’Ottimo Commento e Biondo Flavio

Nel giugno 13021 Dante si portò a San Godenzo del Mugello, impegnandosi conaltri sedici fuoriusciti fiorentini a risarcire ogni eventuale danno che toccasse allastirpe degli Ubaldini «occasione novitatis seu guerre facte vel faciende per castrumMontis Accianichi vel per aliquam aliam eorundem fortilitiam seu fideles vel peripsosmet»2. Era una delle iniziative che tra il 1302 e il 1303 i fuoriusciti Guelfi bian-chi e Ghibellini intrapresero nell’ambito delle due campagne di guerra contro Fi-renze – le cosiddette guerre mugellane – nel tentativo di rientrare armi in pugno incittà3. La prima cadde nella primavera-estate del 1302, la seconda nella primaveradel 1303. Una terza sarà avviata solo nel maggio 1306. Dopo un esordio fortunatoi fuoriusciti inanellarono una serie di pesanti rovesci culminati nell’estate del1302 con la perdita del castello di Pian tra Vigne, per il tradimento di Carlino de’Pazzi, su cui si tornerà. Il 12 marzo 1303 il forlivese Scarpetta Ordelaffi, nominatocapitano della parte bianca fiorentina ai primi dell’anno, subì una pesante sconfittaa Castel Puliciano. Del 18 giugno 1303, a Bologna, è un altro interessante docu-

1 Forse il giorno 8, sulla fede del Repetti e del Troya, gli unici e gli ultimi che, ricorrendo ai rea-genti chimici, lessero (o credettero di leggere) la data sulle imbreviature del notaio Giovanni di Butod’Ampinana (I. DEL LUNGO, Appendice XII. Le guerre mugellane e i primi anni dell’esilio di Dante,in ID., Dino Compagni e la sua Cronica, II, Firenze, Le Monnier, 1879, pp. 562-585: 569 n. 2).

2 Codice diplomatico dantesco, edito da R. PIATTOLI, sotto gli auspici della Società dantesca ita-liana, Firenze, L. Gonnelli & Figli, 1940, n. 92 [d’ora in poi CDD].

3 Così ancora DEL LUNGO, Dino Compagni, cit., pp. 563-564, nota ripubblicata alle pp. 71-84 (inpart. si vedano le pp. 42-43) ne Il canto XVII del Paradiso letto da Isidoro Del Lungo, ‘lectura’ pro-nunciata «il dí XXX di Aprile MCMIII», ma pubblicata a Firenze, Sansoni, probabilmente nel 1911(nelle note la bibliografia giunge sino al 1910; nella bibliografia di Del Lungo la scheda è collocatasotto l’anno 1911 ma reca curiosamente la data del 1910: vd. A. GIGLI-C. MAZZI, L’opera letterariae civile di Isidoro Del Lungo (1861-1921), Firenze. Tip. Ariani, 1922, n° 248; la bibliografia è ripro-dotta ora in appendice a Isidoro Del Lungo filologo, storico, memorialista (1841-1927). Atti della Gior-nata di studio. Accademia Valdarnese di Poggio-Montevarchi (20 novembre 1998), Firenze, Studio Edi-toriale Fiorentino, 2000). Di diverso avviso G. INDIZIO, Sul mittente dell’epistola I di Dante (e lacronologia della I e della II), «Rivista di Studi Danteschi», II, 2002, pp. 134-145: 139 (la «secondacampagna mugellana, assegnabile approssimativamente all’estate del 1303»).

Paolo Pellegrini

mento: i fuoriusciti bianchi contrassero un mutuo di 450 lire bolognesi «pro sti-pendiariis dicte partis equitibus et peditibus persolvendis», ma fra i 131 sottoscrittoridell’Universitas dei Bianchi non figura Dante4. Del 1304, probabilmente del-l’aprile, è l’Epistola I attribuita ormai unanimemente alla penna di Dante e inviatada Arezzo al cardinale Niccolò da Prato, allora a Firenze per trattare il rientro deifuoriusciti. Datata da Arezzo, 13 maggio 1304, è infine la promissio fatta da Fran-cesco Alighieri per il pagamento di un mutuo di dodici fiorini d’oro, contratto forseper sostenere le spese del fratello5. Com’è noto, le vicende dei fuoriusciti si con-clusero tragicamente il 20 luglio 1304, allorché la coalizione guelfo-ghibellina fuduramente sconfitta dai Neri di Firenze presso la Lastra, in val di Mugnone.

Per seguire gli spostamenti di Dante in questo arco di tempo soccorre l’impor-tante testimonianza dello storico forlivese Biondo Flavio, il quale narra di una ri-chiesta d’aiuto rivolta alla città di Verona da parte dell’esercito dei fuoriusciti at-testatosi a Forlì6:

At apud Florentiam, pulsis Albarum partium civibus, et Carolo Valesio ob eamindignitatem ad Bonifacium, sicut ostendimus, reverso, multa sunt secuta, quae DantisAldegerii, poetae florentini, verbis dictata certioris notitiae sunt quam a VillanoPtolemaeoque lucensi referri videamus. Dantes, in Alborum partibus adnumeratus, urbeFlorentia simul cum aliis profugus, Forum Livii se contulit, quo ceteri quoque Albi, etpaulo post Gebellini pridem Florentia extorres confluxerunt. Una enim ex duabusfactionibus est conflata, acceptusque est ab utraque in belli ducem Scarpetta Ordelaffus,vir nobilis et Gebellinorum in Foro Livio princeps. Eo quoque vocatus accessit UgutioFagiolanus, multa tunc in Apennino qui Foro Livio est proximior castella possidens,peritissimus ea aetate exercituum ductor, Bononiensesque parti tunc faventes GebellinaeForum Livii accessere. Et Canis Grandis Scaliger, Veronae tunc primum dominiopotitus, a praedictis omnibus Fori Livii agentibus per Dantis legationem oratus, auxiliaequitum peditumque concessit. Innuunt autem nobis Peregrini Calvi forliviensis,Scarpettae epistolarum magistri, extantes litterae, crebram Dantis mentionem habentes,a quo dictabantur, fuisse praedictis animum in agrum Mugellanum ad Ubaldinorumterram, et inde Florentiam se conferre.

Non c’è ragione di pensare che il Biondo si sia inventato tutto; per altro, fattosalvo lo scambio – venialissimo, per un forlivese che scriveva un secolo dopo – diCangrande per Bartolomeo7, il resto fila bene, perché Bartolomeo assunse effetti-

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4 Cito l’estratto da O. ZENATTI, Dante e Firenze. Prose antiche con note illustrative ed appendici,Firenze, Sansoni, [1901], p. 420, ricordando che al tempo un fiorino equivaleva a una lira (vd. F. ME-LIS, Fiorino, in Enciclopedia Dantesca [ED], ed. on-line).

5 CDD, n. 94.6 Cito il passo, con minimi interventi, dal testo critico in corso di preparazione da parte di Paolo

Pontari, che al soggiorno forlivese ha dedicato recentemente un’ampia ricostruzione (P. PONTARI, Sulladimora di Dante a Forlì: Pellegrino Calvi, Benvenuto da Imola e Biondo Flavio, «Studi Danteschi»,LXXX, 2015, pp. 183-241: pp. 198-199).

7 Si noti come il Villani faccia anch’egli riferimento a Cangrande (G. VILLANI, Nuova cronica, acura di G. Porta, I-II, Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 1991, IX XLVII): «E nel detto anno[1301] poco appresso mori messer Alberto de la Scala capitano e signore di Verona, e grande tirannoin Lombardia, e appresso di lui rimasono signori messer Cane e gli altri figliuoli del detto messer Al-

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vamente il governo nel settembre del 1301. Quanto a Forlì, di sicuro Rinaldo daConcoregio, «vicario per la Romagna di Carlo di Valois, […] nominato da Boni-facio VIII rettore in temporalibus delle province papali»8, fu gravemente ferito emesso in fuga da un tumulto popolare «provocato […] dai ghibellini Ordelaffi», il1° settembre 13029, che diventa necessario terminus post quem anche per l’arrivodi Dante a Forlì.

Nonostante questa rilevante testimonianza, nella biografia del poeta il triennio1302-1304 lascia sul terreno molti dubbi. Le notizie raccolte dal Biondo vengonocomunemente innestate sulla narrazione dei primi anni dell’esilio che Dante me-desimo affida alle parole dell’avo Cacciaguida nei notissimi versi centrali (46-78)di Pd XVII:

Qual si partio Ipolito d’Ateneper la spietata e perfida noverca,tal di Fiorenza partir ti convene. 48

Questo si vuole e questo già si cerca,e tosto verrà fatto a chi ciò pensalà dove Cristo tutto dì si merca. 51

La colpa seguirà la parte offensain grido, come suol; ma la vendettafia testimonio al ver che la dispensa. 54

Tu lascerai ogne cosa dilettapiù caramente; e questo è quello straleche l’arco de lo essilio pria saetta. 57

Tu proverai sì come sa di salelo pane altrui, e come è duro callelo scendere e ’l salir per l’altrui scale. 60

E quel che più ti graverà le spalle,sarà la compagnia malvagia e scempiacon la qual tu cadrai in questa valle; 63

che tutta ingrata, tutta matta ed empiasi farà contr’a te; ma, poco appresso,ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. 66

Di sua bestialitate il suo processofarà la prova; sì ch’a te fia bello

berto». Anche gli Annales Mediolanenses riferiscono ad Alberto della Scala gli aiuti da questi concessinel 1302 ai Della Torre nello scontro con Matteo Visconti, mentre trattasi evidentemente di Bartolo-meo (G.M. VARANINI, Della Scala, Bartolomeo, in Dizionario Biografico degli Italiani [DBI],XXXVII, 1989, ed. on-line).

8 A. POLONI, Ordelaffi, Scarpetta, in DBI, LXXIX, 2013, ed. on-line.9 A.M. PIAZZONI, Concoregio, Rinaldo da, beato, in DBI, XXVII, 1982, ed. on-line. Il 27 agosto

del 1302 era morto anche Maghinardo Pagani, capitano del Popolo di Forlì dal 1300, lasciando so-stanzialmente campo libero a Scarpetta (G. VIGNODELLI, Pagani, Maghinardo, da Susinana, in DBI,LXXX, 2014, ed. on-line). Dopo settembre va dunque collocata la notizia data dal Compagni dell’arrivoa Forlì dei fuoriusciti «dove era vicario per la Chiesa Scarpetta degli Ordalaffi». Sotto crux despera-tionis il curatore, Davide Cappi (D. COMPAGNI, Cronica, a cura di D. Cappi, Roma, Carocci, 2013, IIIii-iii, e vd. anche la nota alle pp. 308-309), ipotizza un possibile «aversario della C.».

Paolo Pellegrini

averti fatta parte per te stesso. 69Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello

sarà la cortesia del gran Lombardoche ’n su la scala porta il santo uccello; 72

ch’in te avrà sì benigno riguardo,che del fare e del chieder, tra voi due,fia primo quel che tra li altri è più tardo. 75

Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,nascendo, sì da questa stella forte,che notabili fier l’opere sue. 78

Si tratta di un passaggio tanto cruciale quanto problematico. Fra i versi più di-sputati vi sono senz’altro quelli relativi alla rottura tra il poeta e la «compagnia mal-vagia e scempia» (vv. 61-66). Secondo le letture più accreditate Cacciaguida ri-percorrerebbe le orme di Dante attraverso tre fasi: 1) congiura e abbandono diFirenze (vv. 46-57); 2) primi passi dell’esilio fino al distacco dai fuoriusciti (58-69); 3) approdo al «primo […] refugio» veronese (70-78). I punti critici di questaricostruzione riguardano proprio l’approdo veronese e le ragioni del distacco daifuoriusciti. Se si colloca l’ospitalità nella Verona di Bartolomeo della Scala, mortoil 7 marzo 1304, non si può datare il distacco dai fuoriusciti alla vigilia della La-stra (estate 1304), e si è costretti ad adottare quale ospite del poeta il fratello Al-boino, citato quanto meno non benevolmente da Dante in Cv IV xvi 610. Quantoalle ragioni di dissenso tra Dante e la pars Alborum si suole allegare una celebrechiosa dell’Ottimo commento11:

E quel che più ec. dice, che la mala compagnia di quelli della sua setta, con li quali elli

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10 Su questa prospettiva, già avanzata, in forme non sovrapponibili, da Isidoro Del Lungo e Fran-cesco Torraca, era tornato decisamente U. CARPI, La nobiltà di Dante, Livorno, Polistampa, 2004, I,pp. 73-74, per il quale «il “gran Lombardo” ospite cortese non [sarebbe], come in genere si ritiene,Bartolomeo, cioè − nel sistema della Commedia − il genero dell’usuraio Vitaliano del Dente, bensì Al-boino (criticato invero a suo tempo, ma nel Convivio e non già nella Commedia), a Cangrande cosìstrettamente associato nel comune vicariato dell’Imperatore. Alboino e Cangrande insieme signori diVerona (appunto «con lui vedrai colui che impresso fue…»): e col panegirico di Cangrande risulta coe-rente solo la celebrazione di Alboino, il più idoneo − quale vicario di Arrigo VII − ad essere designato,in modo così marcatamente ‘imperiale’, come il grande e il cortese (e liberale per capacità di donare)«che ’n su la scala porta il santo uccello». Così recentemente anche G. INGLESE, Cacciaguida, in Espe-rimenti danteschi. Paradiso 2010, a cura di T. Montorfano, Genova-Milano, Marietti 1820, 2010, pp.169-184: 181 («il poeta si separò, non consensualmente dai fuoriusciti ghibellini e “bianchi” nell’estatedel 1304, poco prima della battaglia della Lastra (21 luglio) in cui quelli ebbero “rossa la tempia” (v.66), cioè furono sanguinosamente sconfitti dai fiorentini neri. […] Il “primo […] rifugio” (v. 70) cheDante vuole ricordare, con gratitudine, è dunque Verona, la città il cui signore ha per insegna la scalasormontata dall’aquila. Ritengo che la sequenza narrativa (separazione dai Bianchi – rifugio veronese)sia cogente, e che pertanto il “gran lombardo” (v. 71) non si identifichi con Bartolomeo della Scala(morto il 7 marzo 1304) ma col fratello e successore Alboino»), che però ha decisamente scartato que-sta ipotesi nella sua più recente biografia dantesca (ID., Vita di Dante. Una biografia possibile, Roma,Carocci, 2015, p. 152). Su Bartolomeo, Alboino e Cangrande rinvio anche ai saggi di Varanini (pp.9-24) e Ledda (pp. 101-134) in questo stesso volume.

11 Da qui in avanti tutte le citazioni dai commenti danteschi, quando non dichiarato diversamente,sono tratte dal database del Dartmouth Dante Project (DDP).

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cadràe, la quale è tutta ingrata verso Idio delli ricevuti benificii, tutta malata per soper-chia prosperitade, ed empia sanza pietade, li graverà più ch’altro. E dice, ch’essa si fa-ràe contra lui, la qual cosa divenne quando elli se oppuose, che la detta Parte Bianca cac-ciata di Firenze, e già guerreggiante, non richiedesse li amici il verno di gente, mostrandole ragioni del piccolo frutto; onde poi, venuta la state, non trovarono l’amico com’elliera disposto il verno; onde molto odio ed ira ne portarono a Dante; di che elli si partìeda loro. E questo è quello che seguita, ch’essa parte della sua bestialitade e del suo pro-cesso farà la pruova; e certo elli ne furono morti e diserti in più parti grossamente, sìquando elli vennero alla cittade con li Romagnuoli, sì a Piano, sì in più luoghi, ed a Pi-stoia ed altrove.

Del passo esiste una versione compendiosa assegnata al cosiddetto Amicodell’Ottimo12:

Qui pone come l’auctore cadrae con la parte de’ bianchi, gente ingrata matta et crudele,la quale poi li si farae contraria. Et qui tocca come li bianchi ebboro a sospecto Danteper uno consiglio ch’egli rendee, che l’aiutorio delli amici s’indugiasse di prenderlo, neltempo di verno, alla seguente istate, più utile tempo a guerreggiare. Il quale consiglio,seguitato da’ bianchi, non ebbe l’effecto che l’autore credette, però che l’amico poi ri-chiesto non prestoe l’aiutorio, onde i bianchi stimaro che Dante, corrotto da’ fiorentini,avesse renduto malvagio consiglio.

Motivo della rottura sarebbe stato dunque un ‘cattivo consiglio’ dato dal poetaai fuoriusciti di parte Bianca, di attendere cioè la stagione estiva per avviare la cam-pagna militare e impiegare – evidentemente con maggiore profitto – gli aiuti mi-litari offerti «il verno» da un non ben precisato «amico». Sennonché, «venuta lastate», l’alleato non rinnovò la propria disponibilità; ne seguì l’accusa di tradimentonei riguardi di Dante e la separazione dalla sua parte.

In un primo momento Michele Barbi, pur giudicando «più comune e più pro-babile opinione» che il distacco di Dante dai fuoriusciti cadesse «dopo l’infeliceesito della spedizione mugellana» (marzo del 1303), aveva sottolineato il contra-sto tra Biondo e l’Ottimo giudicando quest’ultimo una «testimonianza abbastanzaautorevole per negare che Dante andasse ambasciatore a Verona»13. Successiva-mente, nel recensire la Vita di Dante dello Zingarelli, ebbe a ricredersi riconoscendoche il poeta potesse essere «tornato a Verona poco dopo la disfatta di Pulicciano»e ammettendo come «probabile» che avesse «cominciato le sue peregrinazioni perla penisola mentre era ancora legato coi compagni: andava e veniva, secondo il bi-sogno»; in ultima analisi riconoscendo che la «testimonianza» dell’Ottimo qui «nonè sicura»14. Se da un lato dunque si apriva la strada a una ricostruzione estrema-mente suggestiva e foriera di novità sul primo approdo veronese di Dante, dall’altro

12 Devo il testo alla cortesia di Ciro Perna che sta preparando l’edizione.13 M. BARBI, Sulla dimora di Dante a Forlì, «Bullettino della Società Dantesca Italiana», n.s. VIII,

1892, pp. 21-28, poi in ID., Problemi di critica dantesca. Prima serie 1893-1918, Firenze, Sansoni,1934 [= 1975], pp. 189-195: 189-192.

14 M. BARBI, Una nuova opera sintetica su Dante, «Bullettino della Società Dantesca Italiana»,n.s. XI, 1904, pp. 1-58, poi in ID., Problemi di critica dantesca, cit., pp. 29-85: 44-45.

Paolo Pellegrini

non si fugavano tutti i sospetti che anche la chiosa dell’Ottimo potesse celare unimpianto autoschediastico. Nel contempo Barbi apriva un credito all’ipotesi cheDante si ricongiungesse «agli altri fuoriusciti prima del marzo 1304» in forza dinuovi e straordinari eventi: la morte di Bonifacio VIII, l’elezione di Benedetto XI,la nomina a paciaro del cardinal Niccolò da Prato15:

Ma riuscite vane le trattative da questo iniziate, la parte dei più resoluti riprese forza, eDante è possibile che rimanesse solo a difender la politica di pace da lui propugnata,finché, sopraffatto dalla bestialità dei compagni, si distaccò da loro: poco appresso lasconfitta della lastra faceva le sue vendette.

La definitiva separazione di Dante dalla compagnia malvagia e scempia, dun-que, era collocata alla vigilia della Lastra, ma evidentemente Barbi dimenticò o nonvolle rivedere – così si deve pensare in assenza di una sua specifica dichiarazione– la lettura di Pd XVII 71-73 («il primo tuo refugio […]»): quella terzina infatti,se riferita a Bartolomeo della Scala, non poteva costituire allusione cronologica-mente successiva al tragico epilogo della Lastra perché a quella data Bartolomeoera già morto e sepolto.

Negli Atti del convegno su Dante e la cultura veneta (1966) Giorgio Petroc-chi, che doveva essersi reso conto del groviglio di problemi sollevato da questi ri-petuti interventi, provò a risolvere le aporie e propose una interpretazione com-plessiva dei versi 58-78. Pur accogliendo la scansione in tre fasi – congiura, esilio,ospitalità – sostenne che per ciascuna di queste tre sezioni Dante facesse riferimentosolo ai «momenti iniziali»16: non si tratterebbe dunque di una rigorosa successionecronologica ma topica, tre brevi quadri con un loro sviluppo autonomo17. In talmodo il critico giustificava lo hysteron proteron per cui l’abbandono della «com-pagnia malvagia e scempia», da collocare, come detto, alla vigilia della battagliadella Lastra (20 luglio 1304), cadeva (v. 62) prima della menzione del «primoostello» veronese (v. 70), dai più fatto cadere tra il tardo 1303 e i primi del 1304(«Non ci dobbiamo meravigliare, pertanto, che la citazione di Bartolomeo, mortoil 7 marzo, segua, anziché precedere il ricordo della Lastra, del 20 luglio»)18.Dante/Cacciaguida insomma, non procederebbe spedito nel narrare gli avvenimenticosì come si succedettero a partire dal suo esilio, ma ne riprenderebbe i momentiqualificanti riordinandoli, per così dire, secondo l’argomento. Tale ipotesi con-sentirebbe di spiegare il riferimento anticipato (vv. 53-54) a «la vendetta» che «fia

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15 BARBI, Una nuova opera, cit., p. 44.16 G. PETROCCHI, La vicenda biografica di Dante nel Veneto, in Dante e la cultura veneta. Atti del

convegno di studi organizzato dalla Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Padova, Verona, 30 marzo-5aprile 1966, a cura di V. Branca-G. Padoan, Firenze, Olschki, 1966, pp. 13-27: 18 (poi in ID., Itine-rari danteschi, Bari, Laterza, 1969, pp. 119-141).

17 PETROCCHI, La vicenda biografica di Dante, cit., p. 16. Ma la suddivisione dei versi risaliva giàa Isidoro Del Lungo nella citata Appendice XII al suo Dino Compagni, e fu accolta da Francesco Tor-raca nella recensione al volume di O. ZENATTI, Dante e Firenze. Prose antiche con note illustrativeed appendici, Firenze, Sansoni, [1901], «Bullettino della Società Dantesca Italiana», n.s. X, 1900, pp.131-139, il quale Zenatti (pp. 348-349) già aveva avvertito la non consequenzialità dei versi.

18 PETROCCHI, La vicenda biografica, cit., p. 19.

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testimonio al ver che la dispensa», probabile accenno all’oltraggio di Anagni, allamorte di Bonifacio VIII (7 settembre/11 ottobre 1303) e forse anche a quella diCorso Donati (1308)19, eventi che seguirono la rovinosa seconda campagna mu-gellana, conclusasi con la sconfitta dei fuoriusciti a Castel Puliciano (ricordo, 12marzo 1303). Il punto più delicato di questa ricostruzione riguarda una volta di piùla data e la motivazione dell’approdo veronese. Petrocchi sembra nutrire pochidubbi, e liquida sommariamente la testimonianza di Biondo Flavio. L’annotazionemuove dal citato documento bolognese del 18 giugno 130320:

Ma il 18 giugno del 1303 il nome di Dante non è tra i firmatari dell’atto d’obbligazionea pagare i mercenari della fortunata guerra del Mugello. I ragionamenti ex silentio, sisa, non sono mai perentori, ma orientativi sì, ove nel caso specifico possano trovare con-forto nella presenza del nome di Dante tra i radunati di San Godenzo. Dante era già aVerona? E v’era in qualità di ambasciatore presso gli Scaligeri, ovvero come «refugio»dopo l’allontanamento dai compagni? Siamo al nodo centrale della questione, la qualetrova naturale campo di apertissimo dibattimento sulle terzine di Paradiso XVII, non soloma anche sull’ordine narrativo ovvero cronologico delle terzine stesse. La notizia del-l’ambasceria veronese, data da Flavio Biondo, è fortemente inficiata dall’errore di de-stinare a Cangrande l’oggetto della missione diplomatica a favore dei Bianchi e dei Ghi-bellini; e tale viene ripetuta la notizia dallo storico veronese Girolamo della Corte. Népiù accettabile appare la circostanza che Verona (non importa se non da Cangrande «apreghiera di Dante») comunque inviasse aiuti all’esercito capitanato da Scarpetta, da poiche il fatto è ignorato dai cronisti fiorentini nel mentre che avrebbe dovuto ricevere benchiara conferma per l’importanza del soccorso militare e le conseguenze dell’accordopolitico. […] Mi par dunque assai probabile che la venuta di Dante a Verona non possaporsi che a spedizione mugellana infaustamente conclusa [marzo 1303], quando «i bian-chi e ’ ghibellini usciti rimasero rotti e sciarrati», tra il maggio e il giugno. E non soquanto l’arrivo possa essere determinato da incombenze diplomatiche: quel verso ama-rissimo, Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello, suona piuttosto come il ricordo del-l’arrivo di un esule solitario, senza mezzi (ostello) e senza protezione d’alcun altro (re-fugio), già ormai trascinato «dal vento secco che vapora la dolorosa povertade», comescriverà tra breve nel libro del Convivio.

19 G. PETROCCHI, Vita di Dante, Roma-Bari, Laterza, 20085, p. 95. Su questo si veda anche G.LEDDA, Paradiso, XVII, in Il trittico di Cacciaguida. Lectura Dantis Scaligera 2008-2009, a cura diE. Sandal, Roma-Padova, Antenore, 2011, pp. 107-145: 126-127 e n. 34.

20 PETROCCHI, La vicenda biografica, cit., pp. 15-16. Sul valore da attribuire a questo argumen-tum e silentio già lo Zenatti (Dante e Firenze, cit., pp. 422-427) ricordava che solo alcuni dei sotto-scrittori del documento di S. Godenzo prima, e, poi, dei sindaci dei fuoriusciti fatti venire a Firenzedal cardinale Niccolò da Prato nell’aprile e nel maggio 1304 per trattare il rientro in città, figurano neldocumento bolognese del 18 giugno, il che non implica che gli assenti avessero necessariamente la-sciato la compagnia. E così, documenti bolognesi che vanno dal 4 gennaio al 12 febbraio 1303 atte-stano come a «non meno di sessantaquattro toscani (tra cui quarantatré fiorentini, più quattro mugel-lani) fu concesso dal Podestà di Bologna di portare armi per propria difesa personale», assaiprobabilmente perché coinvolti nella seconda campagna militare mugellana; di questi, sette del do-cumento del 12 febbraio sono indicati esplicitamente come appartenenti alla pars Blancorum, ma solopochi di essi si ritrovano nel documento del 18 giugno (G. LIVI, Dante: suoi primi cultori, sua gentein Bologna, Bologna, Cappelli, 1918, pp. 155-156).

Paolo Pellegrini

Non c’è dubbio qui. Riprendendo tacitamente l’ipotesi già richiamata da Barbi,la condizione di esule – e non di ambasciatore21 – dichiarata nei vv. 70 ss. vienecollocata nell’estate del 1303, momento che segna l’approdo veronese dopo l’al-lontanamento dai fuoriusciti secondo questa scansione: congiura antidantesca(1300-1301), esilio (1301-1303), ostello veronese (1303-1304). In questo quadrova collocato il problematico ma documentato riavvicinamento tra il poeta e i fuo-riusciti nella primavera del 130422, con la già menzionata Epistola I dell’aprile diquell’anno23. Attingendo implicitamente ancora a Barbi, lo scoglio è superato, inforza dello straordinario e duplice evento: l’elezione di papa Benedetto XI e so-prattutto la missione pacificatrice in Firenze di Niccolò da Prato medesimo (otto-bre 1303-gennaio 1304): fu questo evento – e «non […] certamente la scomparsadi Bartolomeo, il 7 marzo» – che avrebbe indotto il poeta a rientrare in Toscana nellostesso mese di marzo per prestare, come in passato, il proprio aiuto, e indurre i fuo-riusciti ad accantonare le divisioni interne focalizzandosi sul nuovo obiettivo24. Lacitata chiosa dell’Ottimo viene brevemente ripresa e ricondotta alla vigilia della La-stra (20 luglio), come tessera utile «a comprendere la causa “politica” del distacco»,nient’altro25.

Dieci anni dopo, nella Vita affidata all’Enciclopedia Dantesca (1978), l’impiantorimane sostanzialmente il medesimo, ma si attenua la diffidenza verso la testimo-nianza di Biondo Flavio:

Dante era già a Verona? E v’era in qualità di ambasciatore dei Bianchi presso gli Sca-ligeri, ovvero come semplice rifugiato politico? Biondo Flavio dà notizia dell’ambasceriaveronese, e sebbene le sue affermazioni siano erronee in parte, perché sarebbe Cangrandel’oggetto della missione diplomatica a favore dei Bianchi e dei ghibellini (il che non èpossibile […] Cangrande aveva allora dodici anni) la testimonianza dello storico forli-vese è importante per confermare la venuta a Verona a spedizione mugellana infausta-mente conclusa quando «i bianchi e ’ ghibellini usciti rimasero rotti e sciarrati» tra il mag-gio e il giugno.

Nell’edizione laterziana in volume (1983) il testo cambia ancora, e accogliesenza riserve la notizia del Biondo26:

Egli era già a Verona? E v’era quale semplice rifugiato ovvero quale ambasciatore deiBianchi presso gli Scaligeri? Lo storico Biondo Flavio parla di questa ambasceria bianca,e anche se erra attribuendone la controparte a Cangrande della Scala (a quell’epoca an-

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21 Ma sul possibile doppio ruolo di Dante a Verona, ambasciatore ed esule, Barbi (Una nuovaopera, cit., p. 44) era stato meno reciso.

22 Lo notava già il Barbi (Ibidem).23 Sulla cronologia delle epistole vd. da ultimo INDIZIO, Sul mittente, cit.24 PETROCCHI, La vicenda biografica, cit., p. 19. Emilio Pasquini (Vita di Dante: i giorni e le opere,

Milano, Rizzoli, 2006, pp. 37-38) parla invece di un breve soggiorno veronese (evidentemente limi-tato alla notizia del Biondo), lasciando intendere che Dante possa essersi convinto a partire da Verona«all’indomani di una vittoria conseguita sui Neri di Firenze, il 19 novembre 1303».

25 PETROCCHI, La vicenda biografica, cit., p. 20.26 PETROCCHI, Vita di Dante, cit., p. 94.

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 33

cora giovinetto, così come ricorderà Dante in Par. XVII, 79-81), l’ambasceria sembrasicura, dopo l’infausta conclusione della guerra del Mugello, tra il maggio e il giugno,quando «i bianchi e’ [sic] ghibellini usciti rimasero rotti e sciarrati». […] l’ospitante nelprimo refugio, primo ostello del fuggiasco poeta […] fu certamente Bartolomeo dellaScala.

Petrocchi sembra non accorgersi, qui, che in questa parabola espositiva Danteambasciatore metta fuori gioco Dante esule, perché proprio con l’allontanamentodai suoi dopo la fallimentare seconda campagna mugellana si poteva forse spie-gare la sua ormai consolidata condizione di esule da cui discendevano le espres-sioni di ostello e refugio attribuite alla cortesia del gran Lombardo. E tuttavia solocosì per Petrocchi era possibile separare questa prima fase – che vedeva Dantegià diviso dalla sua pars – dalla seconda, a ricongiungimento avvenuto, segnatain sequenza da27:

contrasti tra il Poeta e i caporioni bianchi, morte di Benedetto XI [7 luglio 1304], defi-nitivo distacco di Dante, inizio delle ostilità, disfatta del 20 luglio: gli eventi di quelladrammatica estate sono però estranei alla vicenda veneta del Poeta, e dobbiamo evitaredi parlarne.

E, come si è anticipato, proprio a questa fase finale faceva riferimento, secondoPetrocchi, l’oscura chiosa dell’Ottimo. Ma Dante ambasciatore nella Verona di Bar-tolomeo «tra il maggio e il giugno» 1303 non avrebbe certo chiesto refugio e ostello(contraddizione che Petrocchi nella sua prima formulazione non aveva mancato dinotare): se Dante in quel momento non si era ancora separato dalla pars Alborum,ma lo fece solo alla vigilia della Lastra, ecco rientrare dalla finestra la contraddi-zione cronologica che si era fatta uscire dalla porta. Insomma, o si accetta la testi-monianza di Biondo, si sposta la rottura con la «compagnia malvagia e scempia»all’estate del 1304 e si fa approdare Dante tra le braccia ad Alboino; oppure si con-figura un percorso di Dante esule già in pieno 1303 e si può accogliere l’arrivo aVerona sotto Bartolomeo, e allora tempia rossa non può riferirsi alla Lastra.

A riprova del groviglio nel quale lo stesso Petrocchi era finito impigliato, se ap-pare convincente la sua scansione tripartita dei vv. 58-78, lo iato che in questa ipo-tesi si imporrebbe alla lettura della seconda sequenza (vv. 61-66) costringe a unadecisa forzatura del testo. Dante lega esplicitamente gli eventi dell’esilio al distaccodai fuoriusciti e li lega con una consequenzialità a breve termine che a mio avvisonon ammette dubbi (e infatti nessun critico ha mai separato questi due momenti):«E quel che più ti graverà le spalle, / sarà la compagnia malvagia e scempia / conla qual tu cadrai in questa valle; / che tutta ingrata, tutta matta ed empia / si faràcontr’a te; ma, poco appresso, / ella, non tu, n’avrà rossa la tempia». Insomma rot-tura ed epilogo sanguinoso sono eventi prossimi («poco appresso»); prima di essiDante è – nella mala sorte, beninteso – pur sempre compagno di viaggio («con laqual tu cadrai in questa valle»). E che rottura ed epilogo siano contigui credeva an-

27 PETROCCHI, La vicenda biografica, cit., p. 20. La convinzione è ribadita anche in PETROCCHI,Vita di Dante, cit., p. 97.

Paolo Pellegrini

che Petrocchi28, ma questa sua revisione degli eventi lo obbliga, implicitamente,a prolungare a ritroso la separazione dalla pars Alborum – necessaria, ripeto, alDante esule presso Bartolomeo – cui seguirà l’immediato riavvicinamento nella pri-mavera del 1304, separazione della quale non può ammettersi che Dante facciacenno in questi versi cruciali. Le stesse oscillazioni nella sua ricostruzione che,come si è visto, in un primo momento si fondava sul fallimento della seconda cam-pagna mugellana e sull’assenza di Dante dal documento bolognese del 1303, te-stimoniano di un certo disagio nel far combaciare tutte le tessere del mosaico.

Dalla Lastra a Castel Puliciano

Sull’argomento è tornato recentemente Mirko Tavoni in un denso contributo che,pur concentrandosi sull’episodio della Lastra, interessa inevitabilmente il primosoggiorno dantesco veronese e riprende in considerazione sia i versi di Pd XVII,sia la testimonianza di Biondo Flavio, sia quella, considerata chiave, dell’Ottimo29.Come si è detto, Petrocchi, e con lui la maggioranza dei commentatori, assegnanola contestata chiosa al biennio 1303-1304: nell’inverno 1303 Dante avrebbe per-suaso i Bianchi a rinviare all’estate seguente la richiesta d’aiuto all’ignoto alleato,il quale poi non si rese più disponibile30. Nella sua monumentale Vita di Dante Ni-cola Zingarelli aveva invece proposto di collocare l’episodio prima, tra inverno1302 ed estate 130331. Quest’ultima datazione è stata ripresa da Tavoni cheesclude tassativamente di posticipare al 1304: muovendo dalle due profezie di Fa-rinata (If X) e Cacciaguida (Pd XVII), Tavoni sottolinea come gli antichi com-mentatori non chiamino mai in causa l’episodio della Lastra in riferimento al di-stacco di Dante dalla compagnia malvagia e scempia alla successiva disfattamilitare (la tempia rossa di sangue e non di vergogna). L’unico a intervenire conuna chiosa puntuale, oltre all’Ottimo, è Benvenuto da Imola, che su Pd XVII 65-66 annota quanto segue32:

et subdit quod cito sequetur vindicta de hoc; unde dicit: ma poco appresso, quia scili-cet tertio anno a praesenti, ella n’avrà rossa la tempia, quia destruetur, et luet poenas

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28 E lo ribadiva implicitamente anche BARBI, Una nuova opera, cit., p. 44.29 M. TAVONI, La cosiddetta battaglia della Lastra e la biografia politica di Dante, «Nuova rivi-

sta di letteratura italiana», XVII/2, 2014, pp. 51-87 (da cui si cita), poi col titolo La biografia politicadi Dante (1303-1306) in ID., Qualche idea su Dante, Bologna, il Mulino, 2015, pp. 105-146.

30 PETROCCHI, Vita di Dante, cit., p. 98 e n. 8. BARBI, Sulla dimora di Dante, cit., pp. 191-192, che,come detto, ebbe poi a rivedere la sua posizione nella recensione a Zingarelli. Anche G. PADOAN, In-troduzione a Dante, Firenze, Sansoni, 1985, pp. 51-52, riportando gli eventi tra l’inverno del 1303 el’estate del 1304, ritenne che «se “l’amico” era lo Scaligero, il motivo del voltafaccia è ravvisabile nellamorte di Bartolomeo, cui successe il fratello Alboino (7 marzo 1304): il quale dovette avere Dante inscarsa simpatia». Su questa linea da ultimo anche E. FENZI, Dante ghibellino. Note per una discus-sione, «Per Leggere», 24, 2013, pp. 171-198.

31 N. ZINGARELLI, Dante, in Storia letteraria d’Italia scritta da una società di Professori, III, Mi-lano, Vallardi, 1912, pp. 190-191.

32 Traggo la citazione da TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 65.

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 35

dignas, non tu, quasi dicat: licet tu pellaris, sicut jam dictum est, tamen melius et ho-norabilius pertransibis.

Secondo Tavoni anche «Benvenuto rimanda a una battaglia rovinosa»33 e

questa battaglia non può essere quella della Lastra, perché «tertio anno a praesenti» ri-manda inequivocabilmente al 1303 (lo stesso anno, peraltro, al quale commentando l’In-ferno Benvenuto aveva assegnato l’esilio di Dante. […] Dunque la notazione cronolo-gica di Benvenuto concorda con l’unica possibile interpretazione del commentodell’Ottimo: se Benvenuto aveva una reale informazione in materia, può solo aver in-teso riferirsi alla guerra mugellana della primavera-estate 1303; probabilmente all’in-gloriosa rotta di Castel Puliciano, 12 marzo 1303, quando Fulcieri da Calboli mette infuga i bianchi e ghibellini capitanati da Scarpetta Ordelaffi e più di 500 bianchi vengonouccisi, presi, torturati e condannati a morte.

Da altre fonti si evince chiaramente come la Lastra non fu affatto un «episodiomilitare che Dante avrebbe sconsigliato, vedendone l’avventurismo, o che avrebbeconsigliato di rimandare, inascoltato, o per il quale potesse essere accusato di tra-dimento»: si trattò invece di un vero e proprio «blitz» del cardinale da Prato, det-tato dalla situazione particolarmente favorevole (i capi fiorentini convocati dal Papaa Perugia) e dalla necessità di agire in fretta prima che il nemico si riorganizzasse34.È in questo quadro dunque che anche la chiosa dell’Ottimo richiede d’essere an-ticipata35:

l’Ottimo allude a un episodio anteriore, agli inizi delle guerre bianco-ghibelline con-tro Firenze, come rivelano le parole: «[...] la detta parte bianca cacciata di Firenze, egià guerreggiante». Il consiglio di Dante di non chiedere a qualche alleato uomini inarmi d’inverno, ma di rimandare la richiesta all’estate seguente, non può che riferirsiall’inverno 1302-03 e all’estate 1303. Non si sa chi sia «l’amico» che non sarebbe statopiù disponibile in estate come lo era nell’inverno precedente, ma l’esito estivo certonon può riferirsi alla battaglia della Lastra, la quale […] non può in nessun modo es-sere la realizzazione di un piano concepito nell’inverno precedente, e peraltro vedràuno straordinario concorso di truppe da tutti i possibili alleati: aretini, bolognesi, pi-stoiesi e perfino pisani. La testimonianza dell’Ottimo dice che i fuorusciti bianchi sirivoltarono contro Dante, e di conseguenza lui si staccò da loro («onde molto odio edira ne portarono a dante; di che elli si partìe da loro»), in un’estate che non può essereche l’estate 1303.

Come corollario rilevante viene ripresa l’ambasceria citata dal Biondo, che lo

33 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 65.34 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., pp. 75-76, e ancora: «Non si vede di quale mai atto di tra-

dimento Dante potesse essere sospettato in riferimento a questa impresa, e non è verosimile che ci siastata su questo punto un’aspra discussione all’interno della Universitas Alborum, nella quale il sag-gio Dante si sarebbe trovato isolato rispetto agli stolti compagni (particolarmente assurda l’idea cheDante consigliasse di rimandare l’attacco a un momento più favorevole), perché si trattava di una ini-ziativa fuori dal controllo della Universitas, in mano a una regia superiore».

35 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 64.

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storico forlivese pone «prima della campagna militare culminante nella rotta di Ca-stel Puliciano (12 marzo 1303)» e «non può assolutamente identificarsi con il tra-sferimento a Verona avvenuto nel maggio-giugno 1303 e protrattosi fino all’aprile-maggio 1304, il quale dunque torna ad avere come unica possibile spiegazionequella significata dall’Ottimo». Pertanto occorre ipotizzare che prima del marzo1303 «sia esistita […] un’attività diplomatica tra Forlì e Verona, con lettere uffi-ciali di cancelleria, eventualmente accompagnate da una missione di Dante, perchiedere l’aiuto militare di Bartolomeo della Scala».

Sulla base di questa ricostruzione si impone una rilettura della profezia di Cac-ciaguida, in particolare dei vv. 61-66, dove la tempia rossa non conterrà più un ri-ferimento alla disfatta della Lastra, come si è quasi sempre pensato36, bensì al piùvolte menzionato scontro di Castel Puliciano del 12 marzo 130337:

La successiva terzina (vv. 61-63) introduce – terzo dolore ancora più gravoso del pre-cedente («e quel che più ti graverà le spalle [...]») – «la compagnia malvagia e scem-pia / con la qual tu cadrai in questa valle». La quale dunque, si dovrà intendere per ri-spettare la successione cronologica a cui il testo si attiene, «tutta ingrata, tutta matta edempia / si farà contr’a te» (vv. 64-65) in questi stessi primi anni dell’esilio, prima delprimo soggiorno veronese. Così come la giunta (vv. 65-66) «[...] ma, poco appresso, /ella, non tu, n’avrà rossa la tempia» rimanda molto più naturalmente a un rovescio mi-litare del 1303 che non alla battaglia della Lastra: possiamo pensare, in linea con il com-mento dell’Ottimo analizzato sopra, alla rotta di Castel Puliciano, probabile causa delprimo distacco dai fuorusciti, significato qui con le parole «averti fatta parte per te stesso»(v. 69). Il tutto anteriore al primo soggiorno veronese. Solo così si giustifica che tale sog-giorno compaia a questo punto: «Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello / sarà la cor-tesia del gran Lombardo / che ’n su la scala porta il santo uccello» (vv. 70-72), a con-clusione e ristoro di tutta questa prima fase per tante ragioni infelice dell’esilio.

L’interpretazione dei vv. 61-66 proposta da Tavoni è del tutto persuasiva38, an-che se i corollari meritano forse qualche osservazione. La chiosa di Benvenuto mipare un po’ fragile per poter sfuggire al sospetto di autoschediasma39: come notaTavoni stesso, a commento di If X 79 Benvenuto dice, erroneamente, che Dantefu esiliato nel 130340. Subito sopra, sulla replica di Farinata aveva notato: «prae-

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36 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 66 n. 32, segnala che «il riferimento alla Lastra diventaquasi incontrastato solo da Sapegno in poi», ma bisogna tener conto del peso che ebbe la citata lec-tura di Pd XVII di Isidoro Del Lungo, non a caso ripreso da altri commentatori, più o meno autore-voli, ma tutti concordi sull’indicazione della Lastra (Scartazzini-Vandelli, Grabher, Provenzal, e so-prattutto Casini-Barbi, ma si badi che l’indicazione è netta già nel commento del Casini del 1889, noncensito dal DDP).

37 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 86. 38 Per amore di verità, avevo sollevato seri dubbi sull’identificazione in questi versi della batta-

glia della Lastra proprio nello stesso momento in cui se ne occupava l’amico Tavoni, e li manifestaiin un proficuo scambio di mail nel giugno 2015 a Vittorio Celotto, che ha in preparazione il testo cri-tico dell’Ottimo Commento.

39 Così crede anche lo Scartazzini nella nota ad loc.: «Benv. Ramb., Buti, Land., Vell., Dan., ecc.non fanno che parafrasare più o meno felicemente i versi di Dante».

40 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., pp. 60-61.

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 37

nuntiat sibi quod in brevi ipse expelletur de Florentia numquam reversurus et adhae-rebit ipsis ghibelinis». Il poco appresso di Pd XVII 65, se è tale, non può che ap-poggiarsi all’unica data disponibile e dichiarata, cioè il 1303 («scilicet tertio annoa praesenti»), che Benvenuto commenta traducendo Dante: «destruetur», senz’al-tro; un’esegesi non così peregrina se anche nelle più antiche Chiose cassinesi silegge in proposito «quia peius succedet ei quam tibi»41. Insomma, pensare che fratutti i commentatori il solo Benvenuto sia in grado di rinviare con precisione allarotta di Castel Puliciano, per altro non esplicitata né qui né nell’Ottimo mi sembradargli un po’ troppa fiducia.

Anche con la chiosa dell’Ottimo, anticipato – come si è detto, e come già pen-sava Zingarelli – all’estate del 1303 («venuta la state»), non tutte le tessere vannoa posto. Nella prima parte l’Ottimo riprende referenzialmente il testo rispetto alquale non sembra disporre di notizie inedite («Dice, che la mala compagnia […]con li quali elli cadràe, […] li graverà più ch’altro»). La narratio del ‘cattivo con-siglio’ non reca collocazione cronologica precisa («E dice, ch’essa si faràe […]quando elli se oppuose»)42. L’unica indicazione puntuale e incontestabile, non ri-levata finora, è il riferimento al rovescio di Piano, cioè all’espugnazione del castellodi Pian tra Vigne o Pian di Sco del giugno 1302, che però viene collocato dopo:«E questo è quello che seguita, ch’essa parte della sua bestialitade e del suo pro-cesso farà la pruova; e certo elli ne furono morti e diserti in più parti grossamente,sì quando elli vennero alla cittade con li Romagnuoli, sì a Piano, sì in più luoghi,ed a Pistoia ed altrove». Pian tra Vigne fu preso dai Fiorentini dopo 29 giorni diassedio grazie al tradimento di Carlino de’ Pazzi, che perciò è atteso dal suo con-giunto Camicione fra i traditori dei parenti ricordati a If XXXII 68-69 («sappi ch’i’fu’ il Camiscion de’ Pazzi; / e aspetto Carlin che mi scagioni»)43. Che di questo siparli lo prova – se ve ne fosse bisogno – la chiosa dell’Ottimo al passo infernale:

E perchè non mi metta ec. questo parlatore, ch’hae palesato gli altri, palesa il suo nome,come dicemo di sopra. Nel quale palesamento fa tre cose: nell’una infama sè; nella se-

41 Codice cassinese, in DDP, Pd XVII 66.42 Non aiuta molto il cosiddetto Amico dell’Ottimo (o terza redazione) nella chiosa a Pd XVII 61

(il corsivo è mio): «Qui pone come l’auctore cadrae con la parte de’ bianchi, gente ingrata matta etcrudele, la quale poi li si farae contraria. Et qui tocca come li bianchi ebboro a sospecto Dante per unoconsiglio ch’egli rendee, che l’aiutorio delli amici s’indugiasse di prenderlo, nel tempo di verno, allaseguente istate, più utile tempo a guerreggiare. Il quale consiglio, seguitato da’ bianchi, non ebbe l’ef-fecto che l’autore credette, però che l’amico poi richiesto non prestoe l’aiutorio, onde i bianchi stimaroche Dante, corrotto da’ fiorentini, avesse renduto malvagio consiglio» (ringrazio ancora Ciro Pernaper avermi fornito l’estratto).

43 Le condanne in Firenze dei fuoriusciti bianchi per l’assedio di Piano risalirebbero al 2 luglio(DEL LUNGO, Dino Compagni, cit., p. 230 n. 20). Vd. anche VILLANI, Nuova cronica, cit., IX liii (pp.86-87). Del 25 giugno è una lettera di Firenze a Volterra sull’assedio, dunque non ancora concluso (R.DAVIDSOHN, Storia di Firenze, III. Le ultime lotte contro l’impero, Firenze, Sansoni, 1968, p. 319 n.1). La notizia della caduta del castello pare giungesse a Siena il 17 luglio (così G. PETROCCHI, Pazzi,Carlino de’, in ED, 1970, ed. on-line, che colloca dunque l’espugnazione a metà luglio). In linea ge-nerale si colloca l’assedio tra metà giugno e metà luglio (COMPAGNI, Cronica, cit., II xxviii e p. 281).Per altro, pur diffidando assai degli argumenta ex silentio, noto che l’Ottimo, ben informato su Piantra Vigne, ignora la rotta di Castel Puliciano.

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conda infama il suo consorto Carlino de’ Pazzi; nella terza tacitamente antidice il tra-dimento, il quale il detto Carlino fece nel MCCC d’uno loro castello chiamato Piano,nel quale molti della parte Bianca furono presi e morti; onde conciofossecosachè peg-gio operasse Carlino, che ’l detto Camicione, dice che lo aspetta con la grandezza delsuo peccato [e] amorzerà quello di colui: e questo dice, imperò che tra gli altri vi fu-rono morti entro più suoi consorti, e molti amici del detto Carlino.

Se l’Ottimo seguisse rigorosamente la cronologia («di che elli si partìe da loro.E questo è quello che seguita […]») Dante avrebbe lasciato i compagni prima delgiugno 1302. Il che cozza col documento redatto nello stesso mese (forse, si diceva,il giorno 8) a San Godenzo del Mugello44, che lo vede impegnarsi con altri fuo-riusciti a risarcire gli Ubaldini per gli eventuali danni subiti nella imminente cam-pagna militare contro Firenze45. Nemmeno il passo contestuale («quando elli ven-nero alla cittade con li Romagnuoli, […] ed a Pistoia ed altrove») aiuta a sciogliereil nodo: potrebbe alludere alla definitiva presa di Pistoia da parte del «vapor di Valdi Magra» (If XXIV 145), Moroello Malaspina, nell’aprile 130646, e in questo casoil commentatore condenserebbe eventi distanti fra loro. D’altro canto è possibilericondurre tutto alle più volte ricordate prime due campagne mugellane, ricordandol’entrata in gioco proprio del ‘romagnolo’ Scarpetta Ordelaffi che nel marzo 1303attraversò l’Appennino «credendo prendere Puliciano, e quindi venire alla città»47.Quanto a Pistoia, fu inutilmente posta sotto assedio nell’estate del 1302, dopodi-ché i Neri ripiegarono sull’importante castello pistoiese di Serravalle, espugnatoanch’esso da Moroello Malaspina il 6 settembre di quell’anno48.

Insomma, ne emerge un quadro in cui l’Ottimo rievoca una serie di eventi col-locabili tutti in un arco di tempo delimitato sì, ma la cui scansione cronologica ap-pare tutt’altro che sicura. Un piccolo aiuto potrebbe forse venire dalle Chiose a que-sti versi contenute nel Banco Rari 69 (già E.5.4.9) della Nazionale di Firenze (del1383) dove si legge49:

Notat ingratitudinem malignitatem et simplicitatem partis sue que facta est sibi infesta.Fertur enim cum esset exul cum ea parte dedisse consilium illi deliberanti de querendoconsilio et invadenda Florentia, quod morandum fuisset usque ad tempus veris quotempore bella commode geri solent. Quod consilium secuti alibi postea caruerunt

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44 Come s’è detto però, la data non si legge più.45 PETROCCHI, Vita di Dante, cit., p. 92.46 E. SALVATORI, Malaspina, Moroello, in DBI, LXVII, 2007, ed. on-line. 47 COMPAGNI, Cronica, cit., II xxx (p. 237). E anche VILLANI, Nuova cronica, cit., IX lx (p. 109):

«coll’aiuto de’ Ghibellini di Romagna».48 COMPAGNI, Cronica, cit., II xxvii (pp. 224-225) e VILLANI, Nuova cronica, cit., IX liii (pp. 86-

87). Ma Pistoia fu assediata dai Neri anche nel maggio del 1303, dopo la presa del castello di Mon-tale (VILLANI, Nuova cronica, cit., IX lxv, pp. 121-122). Su tutto questo vd. anche DAVIDSOHN, Storiadi Firenze, cit., pp. 314-316.

49 Faccio così ammenda della svista in cui ero occorso in PELLEGRINI, Dante tra Romagna e Lom-bardia, cit., p. 55, dove scioglievo col Palatino 315 la precedente segnatura (E.54.9) e rinviavo erro-neamente a F. PALERMO, Manoscritti palatini, II, Firenze, Biblioteca Palatina, 1860, p. 770 e a M. BO-SCHI ROTIROTI, Palatino 315, in Censimento dei commenti danteschi, a cura di E. Malato-A. Mazzucchi,I.1. I commenti di tradizione manoscritta (fino al 1480), Roma, Salerno, 2001, pp. 731-732.

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 39

effectu quem et ipsi prestolabant et auctor credebat, amicus enim in quo spem posueranteos destituit. Qua de re suspectus factus est Dantes ob consilium et extimatus quod aFlorentinis corruptus fuisset.

Il frammento palatino è molto esiguo ed è difficile dire se e in che misura possadipendere dall’Ottimo o attinga, come l’Ottimo da altra fonte. Fatto salvo il riferi-mento all’«amicus», emerge una maggiore laconicità in merito alla assicurazioneo pattuizione concordata con l’alleato, per cui si allude più genericamente a una«spem» che i fuoriusciti avrebbero concepito in un possibile sostegno. Anche il dif-ferimento delle operazioni militari al «tempus veris» va forse inteso come allusionepiù generale a un passaggio dalla stagione rigida a quella più mite, col che la datadel 12 marzo potrebbe conciliarsi meglio rispetto alla chiosa dell’Ottimo, in cui siparla esplicitamente di estate.

Guerre di primavera: tra Verona e Forlì

In merito ai tempi e ai modi del condurre le guerre in area padana nel corso delprimo Trecento non mancano studi specifici e approfonditi. Aldo Settia ha ben chia-rito come, pur non essendo possibile stilare una regola generale e dovendosi di-stinguere caso per caso, in linea di massima la stragrande maggioranza delle spe-dizioni militari si svolgesse da maggio a settembre. La «temperatura dovevaconsentire di vivere all’addiaccio o sotto le tende, era opportuno muoversi su stradesgombre da neve e da fango, era bene che gli animali da trasporto disponessero diforaggio fresco, che i mari e i fiumi fossero navigabili con sicurezza e che le gior-nate fossero sufficientemente lunghe, tutte condizioni che non si verificavanoprima dell’avanzata primavera»50. Da qui dunque nasce l’espressione ormai dive-nuta proverbiale di ‘guerre di primavera’. Alle considerazioni atmosferiche si ag-giungevano poi quelle legate alla stagionalità del ciclo agrario, per cui al recluta-mento dei soldati si opponeva la necessità del raccolto o della vendemmia all’inizioe alla fine dell’estate. Per l’organizzazione delle spedizioni, non è necessario pen-sare a tempi troppo lunghi: a titolo d’esempio, la documentazione di metà Duecentoraccolta da Settia mostra come le città di Pavia e Piacenza fossero in grado di mo-bilitare un esercito di cavalleria e fanteria in un paio di settimane. Ancora più in-teressante, nel 1174 la Lega lombarda era in grado di raccogliere un esercito «mi-litum et peditum» per fronteggiare Federico I nello spazio di otto giorni. Quantoai tempi di percorrenza le testimonianze cronachistiche riferiscono che la cavalle-

50 Resta celebre – e più volte e giustamente ricordata da Settia – l’epica spedizione invernale checonsentì a Ezzelino da Romano di piombare su Verona e di impadronirsene nel febbraio del 1226 (A.A.SETTIA, Rapine, assedi, battaglie: la guerra nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 211, per lacitazione a testo, e p. 234; A.A. SETTIA, Spazi e tempi della guerra nell’Italia del nord (secoli XII-XIV),in Spazi, tempi, misure e percorsi nell’Europa del basso medioevo. Atti del Convegno di Todi, 8-11ottobre 1995, Spoleto, CISAM, 1996, pp. 339-369: 339. Più in generale P. GRILLO, Cavalieri e popoliin armi. Le istituzioni militari nell’Italia medievale, Roma-Bari, Laterza, 2008 e F. CARDINI, Guerredi primavera. Studi sulla cavalleria e la tradizione cavalleresca, Firenze, Le Lettere, 1992).

Paolo Pellegrini

ria era in grado di coprire anche 50 chilometri in un giorno, mentre la distanza ot-timale coperta dalla fanteria senza inciampi e carriaggi al seguito era di 25 chi-lometri.

Questi elementi consentono di giudicare del tutto verosimili le due chiose del-l’Ottimo e del Palatino: non c’è da stupirsi che qualcuno in seno alla pars Alborum,tra cui Dante, avesse suggerito di posticipare le operazioni militari alla primaverao all’estate successiva. D’altro canto l’organizzazione di una spedizione militareda parte dei fuoriusciti non richiedeva l’invio di truppe con grande anticipo. La di-stanza da percorrere non era tale da richiedere una preparazione troppo onerosa:sarebbe stato sufficiente registrare la disponibilità di massima dell’«amico», at-tendendo poi il momento propizio per sferrare l’attacco. Se, come indica Biondo,l’alleato fu lo Scaligero, le truppe non avrebbero impiegato più di una settimanaper raggiungere Forlì, meno ancora trovandosi a Faenza per risalire lungo la valledel Lamone e raggiungere Castel Puliciano, via dalla quale era agevole scendereverso Firenze. L’assenza di documentazione a certificare tale alleanza, almeno aparte Veronae, in questo caso non significa nulla51, dal momento che su Verona pesala perdita dell’archivio comunale, di quello signorile e, in buona sostanza, anchedel notarile, e per eventi di portata ben maggiore che una richiesta di aiuti militarisi è costretti ad affidarsi a fonti documentare – e quando va male solo cronachistiche– non veronesi52. Da questo punto di vista anche il resoconto di Biondo può benrientrare in quel ventaglio di fonti cui lo storico dell’epoca scaligera deve gioco-forza appellarsi per gettare qualche lume su un’epoca avara di notizie, e partico-larmente avara proprio per quanto riguarda il primo quarto di secolo. La precisionenell’indicare i riferimenti documentari e la puntualità nella ricostruzione degli eventida parte di Biondo ne rendono la testimonianza assolutamente credibile, tanto piùche il ruolo di Pellegrino Calvi quale vicario di Scarpetta Ordelaffi, colui cheavrebbe registrato in uno zibaldone o in una cronaca la documentazione di cui

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51 PONTARI, Sulla dimora di Dante, cit., p. 208, ma, si è visto, già PETROCCHI, La vicenda biografica,cit., pp. 15-16 ribadiva «che il fatto è ignorato dai cronisti fiorentini nel mentre che avrebbe dovutoricevere ben chiara conferma per l’importanza del soccorso militare e le conseguenze dell’accordo po-litico». Il fatto non è ignorato da chi aveva contatti diplomatici coi veronesi, come dimostra il caso diBiondo, ma trattandosi di intervento che poi non ebbe luogo, poté benissimo non essere noto ai fio-rentini.

52 Per la politica militare scaligera e per le relative fonti documentarie vd. G.M. VARANINI, Mer-cenari tedeschi in Italia nel Trecento: problemi e linee di ricerca, in Comunicazione e mobilità nel Me-dioevo: incontri fra il Sud e il Centro dell’Europa (secoli XI-XIV), a cura di S. de Rachewiltz-J. Ried-mann, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 269-302; ID., La signoria scaligera e i suoi eserciti. Primeindagini, in Gli Scaligeri 1277-1387, a cura di G.M. Varanini, Verona, Mondadori, 1988, pp. 167-188;S.A. BIANCHI, Fanti, cavalieri e «stipendiarii» nelle fonti statutarie veronesi, in Gli Scaligeri, cit., pp.157-166: 167 per quanto concerne il discorso sulle fonti; EAD., Gli eserciti delle signorie venete delTrecento fra continuità e trasformazione, in Il Veneto nel Medioevo. Le signorie trecentesche, a curadi A. Castagnetti-G.M. Varanini, Verona, 1995, pp. 165-200; G.M. VARANINI, La crisi decisiva dellasignoria scaligera. Esercito e società nella guerra contro Padova (1386 e 1387), in La guerra scali-gero-carrarese e la battaglia del Castagnaro (1387), a cura di G.M. Varanini-F. Bianchi, Vicenza, Isti-tuto per le ricerche di storia sociale e religiosa, 2015, pp. 59-91: 69, tutti contributi in cui si sottoli-neano opportunamente le gravi lacune documentarie che rendono assai difficoltosa la ricostruzione dellavicenda diplomatico-militare scaligera.

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 41

Biondo si serve e il cui nome non era noto da altre fonti, ha ricevuto una recentee importante conferma documentaria, che lo attesta presente ad Arezzo l’8 gennaiodel 130453.

D’altro canto che lo scaligero cui fa riferimento Dante, in perfetta coerenza conle notizie di Biondo, non possa essere che Bartolomeo, testimonia Dante stesso neiversi 70-71 di Pd XVII quando parla del «gran Lombardo / che ’n su la scala portail santo uccello». Fino a ora la testimonianza più pesante a favore di questa iden-tificazione era costituita dalla relativa chiosa nel commento di Pietro Alighieri, cheribadiva come Dante «ibit ad illos de la Scala de Verona, dominante tunc dominoBartholomaeo de dicta domo, portante aquilam super scalam in armatura»54. Unostudio ampio e documentato sulle insegne scaligere ha rivelato come l’impiantoaraldico dell’aquila imperiale poggiata sulla scala sia tipico proprio del ramo fa-miliare che fece capo a Bartolomeo, in virtù del matrimonio contratto con Costanzad’Antiochia, pronipote di Federico II. Lo provano l’assenza di un simile impiantopresso gli altri monumenti scaligeri, ma soprattutto l’identico impianto presente nel-l’arca sepolcrale di Giovanni della Scala, nipote di Bartolomeo, che nella stessa arcanon mancò di apporre un’iscrizione commemorativa della propria discendenza im-periale55.

A questo punto il quadro tratteggiato dalla documentazione di Biondo, dalle te-stimonianze dell’Ottimo e delle chiose del Banco Rari 69, e dalla interpretazionedegli stessi versi danteschi mi pare acquisti una fisionomia decisamente coerente.Tuttavia, rispetto all’ipotesi di Tavoni che pensa a «un’attività diplomatica tra Forlìe Verona, con lettere ufficiali di cancelleria, eventualmente accompagnate da unamissione di Dante» prima di Castel Puliciano e a un trasferimento definitivo nelmaggio-giugno 1303, mi sentirei di proporre una scansione cronologica legger-mente diversa. I versi centrali del canto XVII mettono in fila due avvenimenti bendistinti. La situazione tratteggiata da Cacciaguida è già quella dell’esilio e in que-sta situazione, dice Cacciaguida a Dante, «quel che più ti graverà le spalle, / saràla compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle». Dal mo-mento che ci deve essere una ragione evidente per cui la compagnia «in questi stessiprimi anni dell’esilio» si rivolterà («che tutta ingrata, tutta matta ed empia / si faràcontr’a te») contro Dante (un Dante, si badi, ben inserito nelle dinamiche dei fuo-riusciti e inviato a Forlì e da Forlì a Verona)56, tale ragione non può che individuarsiin un evento puntuale e, a me pare, traumatico, garantito dal preciso riferimento cro-nologico – lo si è già notato – che segue («ma, poco appresso, / ella, non tu, n’avràrossa la tempia»). Diversamente Dante non avrebbe usato una temporale bensì unacausale o una dichiarativa (‘la compagnia ti graverà le spalle, perché…’, o ‘in-

53 PONTARI, Sulla dimora di Dante, cit., p. 227, su segnalazione di Giuseppe Indizio. 54 Così nella III redazione: «Item prenunciat quomodo auctor in dicto suo exilio primo applica-

bit Verone ad dominum Bartolomeum De La Scala, tunc ibi dominatorem». Da Pietro credo l’avrà trattaanche Benvenuto da Imola (PONTARI, Sulla dimora di Dante, cit., p. 207 n. 34).

55 Ho presentato gli esiti di questa ricerca – in corso di pubblicazione – nell’agosto del 2015, allaScuola Estiva Internazionale in Studi danteschi.

56 Mi pare vi acconsenta, sia pure con riserva, anche TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 68.

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fatti…’). Il distacco dovette dunque consumarsi prima della battaglia di Castel Pu-liciano, una volta preso atto della defezione dell’alleato cui accennano l’Ottimo eil Banco Rari 69, e proprio perché Dante in quella occasione fu accusato di tradi-mento: non fu la battaglia a causare la partenza del poeta57, ma quanto accadde pocoprima, ossia il ‘cattivo consiglio’ dato da Dante ‘qui cunctando’ – è il caso di dire– ‘perdidit rem’ e che in quella occasione gli fu rinfacciato. Diversamente do-vremmo pensare o che Dante rimanesse con i fuoriusciti altri tre o quattro mesi no-nostante le pesanti accuse ricevute o che migrasse ad altra sede a noi ignota.

In base ai tempi di spostamento e di organizzazione delle milizie sopra descritti,la notizia della defezione dello scaligero non dovette giungere a Forlì – a essere ot-timisti, data la stagione invernale – prima della metà di febbraio, per cui occorrepensare che l’attività diplomatica avviata dai fuoriusciti, e su cui a mio avviso nonsi possono nutrire dubbi, cominciasse in quello stesso inverno del 1303 se non ad-dirittura prima, nell’autunno del 1302, forse già all’indomani dell’approdo diDante presso Scarpetta. Se ne deduce in primo luogo che il poeta poté giungere aVerona e incontrare Bartolomeo una prima volta già nel tardo 1302, per farvi ri-torno poco dopo, ormai esule, nel febbraio dell’anno successivo; secondariamenteche a Verona Dante si trattenne consecutivamente un anno intero, quantomeno finoal marzo 1304. Le vicende dei fuoriusciti che guerreggiavano tra Mugello e Ca-sentino, infatti, non consentirono aperture a una prospettiva pacificatrice se nonmolto tardi: si sa che ancora nel novembre del 1303 si fronteggiavano in battagliaNeri e Bianchi, con Pisani, Aretini e Bolognesi, guidati da Aghinolfo di Romena58.Del 19 di quel mese è la sconfitta subita dai Neri per mano dei fuoriusciti a Cen-nina59. Fino a fine febbraio del 1304 gli scontri fra opposte fazioni cittadine man-tennero Firenze in una situazione critica scoraggiando qualsiasi speranza di con-ciliazione60, tanto che se la missione del cardinale Niccolò da Prato fu decisa giàil 31 gennaio 1304, l’ingresso in città poté avvenire solo il 2 marzo seguente, cin-que giorni avanti la morte di Bartolomeo Della Scala61. Dante non aveva motivodi muoversi da Verona troppo presto, e anzi proprio le espressioni che riserva a Bar-tolomeo in Pd XVII rendono del tutto improbabile che abbia lasciato la cittàprima che se ne celebrassero le esequie. Probabile è invece che abbia deciso di par-tire una volta resosi conto che l’atteggiamento del fratello Alboino era, nei suoi ri-guardi, assai meno benevolo, constatazione che dovette unirsi alle notizie prove-

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57 TAVONI, La cosiddetta battaglia, cit., p. 86, parla di «probabile causa».58 INDIZIO, Sul mittente dell’epistola I di Dante, cit., p. 139.59 COMPAGNI, Cronica, cit., II 166.60 Gli scontri cittadini tra le due fazioni dei Neri, quella di Corso Donati e quella di Rosso della

Tosa, portarono all’assalto del Palazzo della Signoria da parte di Corso il 4 febbraio 1304. Difeso daiTosinghi e dal popolo grasso il Palazzo non capitolò ma «la città rimase in assetto di guerra […] finoall’arrivo del cardinale Niccolò» (COMPAGNI, Cronica, cit., III ii-iii, e la nota alle pp. 308-309).

61 DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., p. 370. Come si è detto, Pasquini (Vita, cit., pp. 37-38) parladi un breve soggiorno veronese (evidentemente limitato alla notizia del Biondo), lasciando intendereche Dante possa essersi convinto a partire da Verona «all’indomani di una vittoria conseguita sui Neridi Firenze, il 19 novembre 1303», quando, si badi, la missione pacificatrice del cardinale Niccolò daPrato non era stata ancora decisa.

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 43

nienti dalla Toscana della speranza in una conciliazione. Se così stanno le cose ilprimo soggiorno veronese acquista per più aspetti una consistenza ben maggioredi quella sinora immaginata nei commenti danteschi. I rapporti con le figure di Bar-tolomeo e Alboino della Scala ne escono, a mio avviso, meglio tratteggiati: è piùfacile comprendere, senza dovere accusare Dante di servo encomio pronunciato expost, la sua profonda riconoscenza nei riguardi di chi, nel primo momento davverocritico del suo esilio, abbandonato anche dalla sua parte, seppe accoglierlo e ospi-tarlo con un calore tale per cui tra essi «del fare e del chieder» fu «primo quel chetra li altri è più tardo».

INDICE GENERALE

PAOLO PELLEGRINI

Premessa p. 7

GIAN MARIA VARANINI

“Corte”, cancelleria, cultura cittadino-comunale nella Verona del primo Trecento » 9

PAOLO PELLEGRINI

I primi passi dell’esilio dantesco: Verona 1302-1303 » 25

GIUSEPPE CHIECCHI

Dante «iuxta Sarnj fluenta»: a proposito dell’epistola a Moroello e della canzone montanina » 45

GUGLIELMO BOTTARI

Lo sfondo culturale nella Verona di Dante » 63

MARCO PETOLETTI

Circolazione di manoscritti e biblioteche nella Verona dantesca » 87

GIUSEPPE LEDDA

Il Cangrande di Dante: poesia, storia e profezia » 101

ENNIO SANDAL

Dante e l’editoria veneziana nei primi due secoli della stampa (1472-1555) » 135

LUCA MAZZONI

Dantisti veronesi del Settecento » 153

GIAN PAOLO MARCHI

Dantisti veronesi dell’Ottocento » 169

SIMONA BRUNETTI

Due esempi di drammatizzazione di Dante nell’Ottocento italiano » 183

GIUSEPPE SANDRINI

Ruskin lettore di Dante: la Commedia e le pietre di Verona » 199

CORRADO VIOLA

Concordanze, capovolti, emblemi: sul Dante di Mario Apollonio » 215

GIOVANNA IOLI

Dante, Singleton, Montale e il “Caso” » 225

MARCO BERISSO

Il Dante di De Robertis e il “Libro delle canzoni” » 247

FABIO DANELON

Una storia sbagliata. Su Pasolini e Dante » 267

Indice dei manoscritti, degli stampati e dei documenti d’archivio » 293Indice dei nomi e dei luoghi » 299Indice generale » 315

Indice generale 316