DANNo RENALE ACuTo · mortalità in caso di insuffi cienza renale acuta è apparentemente sfuggita...

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Capitolo 34 581 DANNO RENALE ACUTO Non si possono risolvere tutte le difficoltà contemporaneamente. Paul A.M. Dirac (1903-1984) Fino al 70% dei pazienti UTI è affetto da una disfunzione renale di un qualche grado e il 5% circa di tali pazienti necessita di una terapia sostitutiva renale (1-3). La disfun- zione renale che si verifica nei pazienti critici è ora chiamata danno renale acuto. Questa condizione è simile alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) in quanto si verifica solitamente nel quadro di un’insufficienza multiorganica in pazienti con infiammazione sistemica progressiva (1). I pazienti affetti da danno renale acuto che necessitano di emodialisi hanno un tasso di mortalità del 50-70% (3) che non è variato negli ultimi 30 anni (4). L’incapacità da parte dell’emodialisi di contenere il tasso di mortalità in caso di insufficienza renale acuta è apparentemente sfuggita all’attenzio- ne dei fanatici della “medicina basata sulle evidenze” che sostengono che si debba rinunciare a un intervento se esso non migliora la mortalità. CRITERI DIAGNOSTICI Il termine “danno renale acuto” (AKI – Acute Kidney Injury) è stato introdotto oltre un decennio fa per tutte le disfunzioni renali che si verificano in pazienti critici. È stato anche introdotto un sistema di classificazione della gravità della malattia e del suo esito. Lo scopo era standardizzare la descrizione della disfunzione renale in pazienti critici, ma in realtà (come sarà illustrato) si tratta di un sistema di criteri in competizione tra loro che sembra complicare più che semplificare l’approccio alla disfunzione renale nei pazienti critici. Criteri RIFLE Nel 2002, un gruppo di esperti noto come Acute Dialysis Quality Initiative (ADQI) ha proposto un sistema di classificazione per definire gli stati progressivi del danno renale acuto (AKI). Il sistema include 5 categorie e gli è stato conferito il nome di RIFLE, acronimo di Risk (rischio), Injury (danno), Failure (insufficienza), Loss (perdi- ta), ed End-stage renal disease (malattia renale in fase terminale). I criteri RIFLE sono illustrati nella Tabella 34.1. Vi sono 3 categorie di gravità e 2 categorie di esito clinico.

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Capitolo 34

581

DANNo RENALE ACuTo

Non si possono risolvere tutte le diffi coltà contemporaneamente.Paul A.M. Dirac

(1903-1984)

Fino al 70% dei pazienti UTI è affetto da una disfunzione renale di un qualche grado e il 5% circa di tali pazienti necessita di una terapia sostitutiva renale (1-3). La disfun-zione renale che si verifi ca nei pazienti critici è ora chiamata danno renale acuto. Questa condizione è simile alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) in quanto si verifi ca solitamente nel quadro di un’insuffi cienza multiorganica in pazienti con infi ammazione sistemica progressiva (1). I pazienti affetti da danno renale acuto che necessitano di emodialisi hanno un tasso di mortalità del 50-70% (3) che non è variato negli ultimi 30 anni (4). L’incapacità da parte dell’emodialisi di contenere il tasso di mortalità in caso di insuffi cienza renale acuta è apparentemente sfuggita all’attenzio-ne dei fanatici della “medicina basata sulle evidenze” che sostengono che si debba rinunciare a un intervento se esso non migliora la mortalità.

CRITERI DIAgNoSTICI

Il termine “danno renale acuto” (AKI – Acute Kidney Injury) è stato introdotto oltre un decennio fa per tutte le disfunzioni renali che si verifi cano in pazienti critici. È stato anche introdotto un sistema di classifi cazione della gravità della malattia e del suo esito. Lo scopo era standardizzare la descrizione della disfunzione renale in pazienti critici, ma in realtà (come sarà illustrato) si tratta di un sistema di criteri in competizione tra loro che sembra complicare più che semplifi care l’approccio alla disfunzione renale nei pazienti critici.

Criteri RIFLE

Nel 2002, un gruppo di esperti noto come Acute Dialysis Quality Initiative (ADQI) ha proposto un sistema di classifi cazione per defi nire gli stati progressivi del danno renale acuto (AKI). Il sistema include 5 categorie e gli è stato conferito il nome di RIFLE, acronimo di Risk (rischio), Injury (danno), Failure (insuffi cienza), Loss (perdi-ta), ed End-stage renal disease (malattia renale in fase terminale). I criteri RIFLE sono illustrati nella Tabella 34.1. Vi sono 3 categorie di gravità e 2 categorie di esito clinico.

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582 Sezione X – Disordini renali ed elettrolitici

Le categorie di gravità dipendono dalla creatinina sierica e dalla produzione di urina. La prima categoria (Rischio) identifica i requisiti minimi per la diagnosi di AKI: aumento del 50% della concentrazione sierica di creatinina e riduzione della produzio-ne di urina a 0,5 ml/kg/h (che corrisponde alla definizione di oliguria) per un periodo di almeno 6 ore. Se i criteri relativi alla creatinina e alla produzione di urina non vanno nella stessa direzione, per determinare la categoria viene usata la misura “peggiore”. I criteri RIFLE hanno 2 limiti: (a) non è definito un periodo temporale per la variazio-ne della creatinina sierica e (b) la variazione minima della creatinina sierica necessa-ria per la diagnosi di AKI è considerata troppo ampia.

Tabella 34.1 Criteri RIFLE e AKIN per il danno renale acuto

Categorie Creatinina sierica Produzione di urina†

RIFLE:

Risk

Injury

Failure

della SCr a 1,5-<2 x basale

della SCr a 2-<3 x basale

della SCr a ≥3 x basale

PU: <0,5 ml/kg/h per 6 h

PU: <0,5 ml/kg/h per 12 h

PU: <0,3 ml/kg/h per 24 h o anuria per 12 h

Loss

ESRD

Perdita della funzionalità renale per >4 settimane

Perdita della funzionalità renale per >3 mesi

AKIN:*

Stadio 1

Stadio 2

Stadio 3

della SCr a ≥0,3 mg/dl o a 1,5-2 x basale

della SCr a >2-3 x basale

della SCr a >3 x basale o SCr ≥4 mg/dl con un aumentoacuto di ≥0,5 mg/dl

PU: <0,5 ml/kg/h per >8 h

PU: <0,5 ml/kg/h per >12 h

PU: <0,5 ml/kg/h per 24 h o anuria per 12 h

*I criteri AKIN richiedono che l’aumento della creatinina sierica avvenga entro 48 ore.†Per la determinazione della produzione di urina è raccomandato un peso corporeo ideale.

ESRD = malattia renale in fase terminale; SCr = creatinina sierica; PU = produzione di urina. Dai riferimenti bibliografici nn.1 e 2.

Criteri AKIN

A causa dei limiti dei criteri RIFLE sopra menzionati, l’Acute Kidney Injury Network (AKIN) ha introdotto criteri rivisti che sono illustrati nella parte infe-riore della Tabella 34.1. Per la diagnosi di AKI, i criteri AKIN richiedono una variazione della creatinina di minore entità (≥0,3 mg/dl) e impongono un limite temporale di 48 ore alla variazione della creatinina sierica. Sfortunatamente, i criteri RIFLE non sono stati abbandonati dopo l’introduzione dei criteri AKIN, per cui all’ora attuale esistono due sistemi in competizione per la diagnosi e la classificazione dell’AKI.

Che cosa accadrà ora?

Quali criteri devono quindi essere usati per diagnosticare e definire lo stadio dell’AKI? I criteri AKIN sembrano favoriti nelle rassegne critiche pubblicate, ma studi di confronto non hanno dimostrato alcuna differenza tra i criteri RIFLE e AKIN per predire gli esiti. Ciò è dimostrato nella Figura 34.1 che mostra che i due gruppi di criteri sono equivalenti nel predire i tassi di mortalità (5).

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Capitolo 34 – Danno renale acuto 583

Fonti di confusione

Malgrado l’obiettivo di semplifi care l’approccio all’insuffi cienza renale nei pazienti critici, la condizione recentemente coniata e nota come danno renale acuto ha creato le seguenti fonti di confusione: 1. La diagnosi di AKI include condizioni prerenali (ad esempio ipovolemia) in cui

non vi è alcun “danno” ai reni. 2. L’oliguria (cioè una produzione di urina <0,5 ml/kg/h) è necessaria per la dia-

gnosi di AKI, per cui vengono trascurati i casi di insuffi cienza renale acuta non oligurica (ad esempio nefrite interstiziale, insuffi cienza renale mioglobinurica).

3. Non vi è accordo sull’aumento minimo di creatinina sierica necessario per la dia-gnosi di AKI.

Rischio Stadio1

(14%)

(17%)

DannoStadio 2

(20%) (19%)

InsufficienzaStadio 3

(42%)(44%)

0

10

20

30

40

50

Tass

o di

mor

talit

à (%

)

Categorie RIFLE

Categorie AKIN

FIguRA 34.1 Confronto tra i tassi di mortalità ospedaliera per i corrispondenti criteri RIFLE e AKIN in 291 pazienti con AKI. La mortalità prevista dai due sistemi di classificazione non presenta alcuna differenza. Dati dal riferimento bibliografico n. 5.

CoNSIDERAzIoNI DIAgNoSTICHE

Categorie

I disordini clinici promossi dall’AKI possono essere classifi cati in base alla loro posi-zione, cioè prerenali, intrarenali o postrenali.

Disordini prerenali

Il danno nei disordini prerenali consiste in una riduzione del fl usso ematico renale. I disordini prerenali sono responsabili del 30-40% dei casi di AKI (6) e derivano principalmente da ipovolemia e bassa gittata cardiaca. L’AKI prerenale tipicamente risponde agli interventi che aumentano il fl usso ematico sistemico (ad esempio ripri-stino del volume), ma la risposta può andare persa quando il fl usso è gravemente ridotto (ad esempio nello shock ipovolemico).

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Disordini renali

Le patologie intrarenali che producono AKI sono la necrosi tubulare acuta (ATN) e la nefrite interstiziale acuta (NIA).

ATN L’ATN è responsabile di più del 50% dei casi di AKI (6). Inizialmente si riteneva che questa patologia fosse dovuta a ipoperfusione renale, ma vi sono ora prove con-vincenti che il processo patologico sia una lesione infiammatoria (ossidativa) del rive-stimento epiteliale dei tubuli renali (7). Le cellule danneggiate si sfaldano nel lume dei tubuli renali, dove creano un’ostruzione (si veda la Figura 34.2). L’ostruzione del lume crea una pressione di ritorno sul lato luminale del glomerulo e ciò riduce la pressione di filtrazione netta attraverso il glomerulo, che a sua volta riduce il tasso di filtrazione glomerulare (GFR). Questo processo è chiamato feedback tubulo-glomerulare (8). L’ATN non è una malattia renale primaria, mentre è solitamente una manifestazione di uno dei seguenti disordini: sepsi grave e shock settico, uso di mezzi di contrasto radiologici o di farmaci nefrotossici (ad esempio aminoglicoside) o rabdomiolisi con danno renale mioglobinurico.

FIguRA 34.2 Microfotografia di una necrosi tubulare acuta (ATN) che mostra un tubulo prossimale (delineato dalla linea tratteggiata) pieno di cellule dei tubuli renali esfoliate.

NIA La NIA è anch’essa dovuta a una lesione infiammatoria, ma la lesione è localiz-zata nell’interstizio renale invece che nei tubuli renali. La NIA è descritta più avanti in questo capitolo.

Ostruzione postrenale

L’ostruzione distale al parenchima renale è responsabile soltanto del 10% circa dei casi di AKI (6). L’ostruzione può coinvolgere la parte più distale dei dotti collettori renali (necrosi papillare), degli ureteri (ostruzione extraluminale da massa retrope-ritoneale) o dell’uretra (stenosi). L’ostruzione ureterale da calcoli non provoca AKI, a meno che non vi sia un solo rene funzionale.

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Capitolo 34 – Danno renale acuto 585

Cause comuni di AKI

La maggior parte dei casi di AKI è causata dai disordini clinici elencati nella Tabella 34.2. Le cause più frequenti di AKI sono elencate nella colonna di sinistra. La sepsi (cioè infezione più infiammazione sistemica) è responsabile anche del 50% dei casi di AKI ed è quindi la causa più comune (3,9). L’AKI è stato riferito anche nel 40% dei pazienti sottoposti a un intervento chirurgico maggiore, specialmente per bypass cardiopolmonare (3). L’AKI è stato riferito nel 30% delle vittime di traumi maggiori (3) e la rabdomiolisi è responsabile del 30% di questi casi (3). I farmaci nefrotossici e i mezzi di contrasto radiologici sono implicati nel 20% circa dei casi di AKI (9). L’aumento della pressione addominale sta emergendo come causa comune e spesso trascurata di AKI. Questa condizione è descritta più avanti in questo capitolo.

Tabella 34.2 Cause comuni di danno renale acuto

Cause più frequenti† Altre cause frequenti

Sepsi*

Intervento chirurgico maggiore

Ipovolemia

Bassa gittata cardiaca

Agenti nefrotossici

Aumento della pressione addominale

Bypass cardiopolmonare

Trauma

Rabdomiolisi

†Dal riferimento bibliografico n. 9.

*Causa principale di danno renale acuto.

Valutazione diagnostica

La valutazione dell’AKI inizia con un’ecografia dei reni effettuata al letto del paziente per evidenziare un’eventuale ostruzione postrenale. Se non vi è alcuna ostruzione, la valutazione successiva ha lo scopo di determinare se il problema è un disordine prere-nale (ad esempio ipovolemia o riduzione della gittata cardiaca) o un disordine renale intrinseco (ad esempio ATN o NIA). Le misurazioni della Tabella 34.3 possono aiutare a distinguere i disordini prerenali da quelli renali, ma solo nei pazienti con oliguria.

Tabella 34.3 Misurazioni delle urine per la valutazione dell’AKI

Misurazione Disordine prerenale Disordine renale

Sodio urinario estemporaneo <20 mEq/l >40 mEq/l

Escrezione frazionale del Na <1% >2%

Escrezione frazionale dell’urea <35% >50%

Osmolalità dell’urina >500 mOsm/kg 300-400 mOsm/kg

Osmolalità U/P >1,5 1-1,3

Sodio urinario estemporaneo

Nei disordini prerenali, l’ipoperfusione renale è accompagnata da un aumento del riassorbimento di sodio nei tubuli renali e da una conseguente riduzione della concen-trazione di sodio nelle urine. Le “tubulopatie” renali come l’ATN, invece, sono carat-terizzate da una riduzione del riassorbimento di sodio e da un aumento della perdita di sodio nelle urine. Pertanto, quando si ottiene un campione estemporaneo di urina (urina spot) in un paziente con AKI, una concentrazione di sodio nell’urina <20 mEq/l

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viene usata come prova di un disordine prerenale, mentre una concentrazione di sodio nell’urina >40 mEq/l è usata come prova di un disordine renale intrinseco (10).

ECCEzIoNI Un disordine prerenale può essere associato a un’elevata concentrazione di sodio nell’urina (>40 mEq/l) se è in corso una terapia diuretica o se il paziente ha una malattia renale cronica (in cui vi è una perdita “obbligatoria” di sodio nell’urina).

Escrezione frazionale del sodio

L’escrezione frazionale del sodio (FENa) è considerata una misura più accurata del funzionamento dei tubuli renali rispetto alla concentrazione estemporanea di sodio nelle urine. La FENa è equivalente alla clearance frazionale del sodio divisa per la clearance frazionale della creatinina, ed è espressa dalla seguente equazione:

FENa (%) = U/P [Na] (34.1) U/P [Cr]

(U/P è il rapporto urina/plasma delle concentrazioni di sodio e creatinina.) Nei pazienti euvolemici con funzione renale normale, la FENa è pari all’1% (cioè solo l’1% del sodio filtrato è escreto nelle urine). Nei disordini prerenali come l’ipo-volemia, la FENa è <1% (il che indica la conservazione del sodio) e nei disordini renali intrinseci come l’ATN, la FENa è tipicamente >2% (il che indica un aumento dell’escrezione urinaria di sodio) (11).

ECCEzIoNI Come il sodio urinario estemporaneo, la FENa può essere erroneamen-te aumentata (>1%) dalla terapia diuretica e dall’insufficienza renale (11). La FENa può essere inoltre erroneamente bassa (<1%) nei pazienti con insufficienza renale dovuta a sepsi (12), uso di mezzi di contrasto radiologici (13), emoglobinuria o mioglobinuria (14).

Escrezione frazionale dell’urea

L’escrezione frazionale dell’urea (FEU) è concettualmente simile alla FENa ed è equivalente alla clearance frazionale dell’urea divisa per la clearance frazionale della creatinina, come espresso dalla seguente equazione:

FEU (%) = U/P [urea] (34.2) U/P [Cr]

(U/P è il rapporto urina/plasma delle concentrazioni di urea e creatinina) La FEU è bassa (<35%) nei disordini prerenali come l’ipovolemia ed elevata (>50%) nei disor-dini renali come l’ATN. Tuttavia, la FEU non è influenzata dai diuretici (15), il che rappresenta il principale vantaggio della FEU rispetto alla FENa.

Incertezza

Può essere difficile distinguere le cause prerenali e intrarenali di AKI e spesso è necessario un carico di fluidi per distinguere queste due condizioni (si veda il pros-simo paragrafo).

TRATTAMENTo INIzIALE

Il trattamento iniziale dell’AKI deve includere le seguenti azioni: (a) infusione di liquidi per promuovere il flusso ematico renale; (b) sospensione di tutti i farmaci

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Capitolo 34 – Danno renale acuto 587

nefrotossici e (c) trattamento di tutte le condizioni che predispongono all’AKI (ad esempio sepsi).

Carico di fluidi

Se non è stata esclusa una causa prerenale di AKI, è giustificata un’infusione imme-diata di liquidi. Un ritardo nel correggere l’ipoperfusione renale può portare a danno intrarenale per cui è fondamentale prestare immediatamente attenzione al ripristino del volume. Le infusioni di liquidi possono essere somministrate in aliquo-te di 500-1000 ml per i fluidi cristalloidi e di 300-500 ml per i fluidi colloidali, per una durata di 30 minuti (16). Le infusioni di liquidi continuano finché vi è una risposta (cioè un aumento della produzione di urina) o finché non insorge un potenziale sovraccarico di volume (si ricordi che solo il 20-25% dei fluidi cristalloidi infusi resta nello spazio intravascolare per cui 500 ml di fluidi cristalloidi infusi aumentano il volume plasmatico solo di 100-125 m ). Le infusioni di fluidi cristalloidi, quindi, non vengono interrotte se un volume di 500 ml non produce una risposta favorevole. Non si devono mai usare diuretici per aumentare la produzione di urina finché non è stata esclusa la possibilità che vi sia una patologia prerenale.

Idrossietil amido

Diversi studi hanno dimostrato un’associazione tra le soluzioni di idrossietil amido e l’AKI (si veda a pagina 214). In caso di AKI è quindi preferibile evitare le soluzioni di amido per i carichi di fluidi.

Disordini intrarenali

Le seguenti considerazioni sono rilevanti nei pazienti con AKI dovuto a disordini intrarenali (cioè ATN e NIA). Sfortunatamente, l’unica opzione precoce disponibile per arrestare o invertire il decorso dell’AKI è sospendere i farmaci potenzialmente responsabili.

Furosemide

Malgrado la sua popolarità nell’AKI, la furosemide per via endovenosa non migliora la funzione renale in caso di AKI e non converte l’insufficienza renale oligurica in insufficienza non oligurica (3,17). La furosemide può aumentare la produzione di urina durante la fase di guarigione dell’AKI (18) ed è ragionevole tentarne la somministrazione durante questo periodo per ridurre l’accumulo di liquidi.

Dopamina a basse dosi

La dopamina a basse dosi (2 µg/kg/min) può agire da vasodilatatore renale, ma non migliora la funzione renale nei pazienti con AKI (19,20). La dopamina a basse dosi, inoltre, può avere effetti deleteri sull’emodinamica (riduzione del flusso ematico splancnico), sulla funzione immunitaria (inibizione della funzione dei linfociti T) e sulla funzione endocrina (inibizione del rilascio dall’ipofisi dell’ormone stimolante la tiroide) (20). Vista la mancanza di benefici combinata al rischio di effetti nocivi, l’uso di dopamina a basse dosi nei pazienti con AKI è considerato bad medicine (pren-dendo in prestito il titolo del riferimento bibliografico n. 20).

Agenti nefrotossici

Come menzionato prima, la sospensione dei farmaci potenzialmente responsabili è la misura precoce più efficace per arrestare o invertire il decorso dell’AKI. Svariati farmaci possono essere responsabili dell’AKI, come indicato nella Tabella 34.4.

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588 Sezione X – Disordini renali ed elettrolitici

Tabella 34.4 Farmaci implicati più frequentemente nel danno renale acuto

Meccanismo Farmaci responsabili

Emodinamica intrarenale

Più frequenti: Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)

Altri: ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina, ciclosporina, tacrolimus

Nefropatia osmotica

Più frequenti: Idrossietil amidi

Altri: Mannitolo, immunoglobuline endovenose

Danno ai tubuli renali

Più frequenti: Aminoglicosidi

Altri: Amfotericina B, antiretrovirali, cisplatino

Nefriteinterstiziale

Più frequenti: Antibiotici (penicilline, cefalosporine, sulfamidici, vancomicina, macrolidi, tetracicline, rifampicina)

Altri: Anticonvulsivanti (fenitoina, acido valproico),H2-bloccanti, FANS, inibitori di pompa protonica

Adattata dal riferimento bibliografico n. 21.

CoNDIzIoNI SPECIFICHE

Danno renale indotto da mezzo di contrasto

I mezzi di contrasto iodati possono danneggiare i reni in svariati modi, tra cui danno diretto ai tubuli renali, vasocostrizione renale e produzione di metaboliti tossici dell’ossigeno (21). Usando i criteri AKIN per la diagnosi di AKI, l’incidenza di AKI dopo studi con mezzo di contrasto è dell’8-9% (22). L’AKI solitamente compare entro 72 ore dallo studio con mezzo di contrasto. L’incidenza è maggiore nei pazienti con insufficienza multiorganica, insufficienza renale cronica o durante la terapia con altri agenti nefrotossici (23). La maggior parte dei casi si risolve entro due settimane e pochi richiedono una terapia sostitutiva renale (24).

Prevenzione

IDRATAzIoNE ENDoVENoSA La misura preventiva più efficace per la nefropatia indot-ta da mezzo di contrasto nei pazienti ad alto rischio è l’idratazione endovenosa (se per-messa). Il regime raccomandato è 100-150 ml/h di soluzione isotonica salina iniziata 3-12 ore prima della procedura e proseguita per 6-24 ore dopo la procedura (23). Per le procedure d’emergenza, si devono infondere almeno 300-500 ml di soluzione salina isotonica subito prima della procedura.

N-ACETILCISTEINA L’N-acetilcisteina (NAC) è un surrogato del glutatione con attività antiossidante che ha risultati contradditori come agente protettivo in caso di nefro-patia indotta da mezzo di contrasto (3). Un’analisi di 16 studi che hanno usato NAC ad alte dosi (superiori a 1200 mg al giorno) ha tuttavia dimostrato una riduzione del 50% del rischio di nefropatia indotta da mezzo di contrasto (24). Il regime a base di NAC ad alte dosi è di 1200 mg per via orale due volte al giorno per 48 ore, iniziando la sera prima della procedura con mezzo di contrasto. Per le procedure d’emergenza, la prima dose da 1200 mg deve essere somministrata subito prima della procedura. Anche se il dibattito continua, la NAC è un agente preventivo popolare grazie al suo basso costo e alla sua sicurezza.

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Capitolo 34 – Danno renale acuto 589

Nefrite interstiziale acuta (NIA)

La NIA è una condizione infiammatoria che interessa l’interstizio renale e si mani-festa sotto forma di insufficienza renale acuta. L’oliguria non è sempre presente in caso di NIA (25), il che significa che la NIA non è sempre correlata direttamente a una diagnosi di AKI. La maggior parte dei casi di NIA è dovuta a una reazione di ipersensibilità a farmaci, ma possono essere coinvolte anche infezioni (solitamente virali o da patogeni atipici). I farmaci più spesso coinvolti nella NIA sono elencati nella Tabella 34.4 (26). I farmaci più frequentemente responsabili sono gli antibiotici, specialmente le penicilline. La NIA indotta da farmaci è spesso (ma non sempre) accompagnata da segni di una reazione di ipersensibilità come febbre, eruzione cutanea ed eosinofilia. Il danno renale solitamente compare diverse settimane dopo la prima esposizione (26), ma può comparire anche alcuni giorni dopo una seconda esposizione. Manifestazioni comuni sono piuria sterile ed eosinofiluria (26). Una biopsia renale assicura la dia-gnosi, ma viene eseguita raramente. La NIA si risolve spontaneamente quando si sospende il farmaco responsabile, ma il processo di guarigione può impiegare mesi.

Insufficienza renale mioglobinurica

L’insufficienza renale acuta si sviluppa in un terzo circa dei pazienti con danno muscolare diffuso (rabdomiolisi) (27,28). La colpevole è la mioglobina, che viene rilasciata dal muscolo leso ed è in grado di danneggiare le cellule epiteliali dei tubuli renali. La causa del danno cellulare può essere lo ione ferro dell’eme (29) che è in grado di creare un danno ossidativo alle cellule attraverso la produzione di radicali idrossile (si veda la Figura 22.6 a pagina 401). Ciò potrebbe spiegare perché anche l’emoglobina è in grado di produrre danni ai tubuli renali. La diagnosi di AKI può risultare difficile nelle prime fasi della rabdomiolisi in quan-to il muscolo leso rilascia creatina, che viene misurata come creatinina e innalza erroneamente la concentrazione sierica di creatinina (29).

Mioglobina nelle urine

La mioglobina può essere rilevata nelle urine con lo stick reattivo all’ortotoluidina (Hemastix®), che viene usato per rilevare il sangue occulto nelle urine. Se il test è positivo, l’urina deve essere centrifugata (per separare gli eritrociti) e il surnatante deve essere passato attraverso un filtro micropore (per rimuovere l’emoglobina). Un test positivo in modo persistente dopo queste misure prova la presenza di mioglobi-na nelle urine. Un approccio alternativo consiste nell’ispezionare il sedimento urina-rio per eventuali globuli rossi; uno stick reattivo positivo per il sangue senza globuli rossi nel sedimento urinario può essere usato come evidenza di mioglobinuria.La presenza di mioglobina nelle urine non assicura la diagnosi di AKI, ma la sua assenza può essere usata per escludere la diagnosi di danno renale mioglobinurico (28).

Trattamento

Il ripristino aggressivo del volume per promuovere il flusso ematico renale è la misura più efficace per prevenire o limitare il danno renale in caso di rabdomiolisi. Anche alcalinizzare l’urina può aiutare a limitare il danno renale, ma è difficile da realizza-re e spesso non è necessario. I livelli di potassio e fosfato nel plasma devono essere monitorati attentamente in caso di rabdomiolisi in quanto questi elettroliti sono rilasciati dai muscoli scheletrici lesi e le loro concentrazioni nel plasma possono aumentare drasticamente, specialmente quando la funzione renale è compromessa. Il 30% circa dei pazienti che sviluppano un danno renale mioglobinurico necessita di dialisi (28).

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Sindrome compartimentale addominale

La sindrome compartimentale addominale (ACS) è la condizione in cui un aumen-to della pressione addominale determina la disfunzione di uno o più organi vitali (30,31). Questa disfunzione organica solitamente interessa l’intestino (ischemia splancnica), i reni (AKI) e il sistema cardiovascolare (ridotta gittata cardiaca).

Definizioni

Le definizioni relative all’ACS sono incluse nella Tabella 34.5 (30). La pressione intra-addominale (IAP) è solitamente pari a 5-7 mmHg in posizione supina (la misurazio-ne dell’IAP è descritta più avanti) e l’ipertensione intra-addominale (IAH) è definita come un aumento prolungato dell’IAP a ≥12 mmHg. L’ACS si verifica quando l’IAP sale al di sopra di 20 mmHg e vi sono evidenze di una disfunzione organica prece-dentemente non presente.

Tabella 34.5 Definizioni correlate alla pressione intra-addominale

Pressione intra-addominale (IAP)Pressione nella cavità addominale, che è solitamente pari a 5-7 mmHg in posizione supina.

Ipertensione intra-addominale (IAH)Aumento prolungato dell’IAP a ≥12 mmHg in posizione supina.

Sindrome compartimentale addominale (ACS)Aumento prolungato dell’IAP a ≥20 mmHg in posizione supina, accompagnato da disfunzione organica precedentemente non presente.

Pressione di perfusione addominale (APP)Misura della pressione di perfusione viscerale, equivalente alla differenza tra la pressione arteriosa media e la pressione intra-addominale: APP = MAP – IAP. L’APP desiderata è ≥60 mmHg.

Gradiente di filtrazione (FG)Forza meccanica attraverso il glomerulo, equivalente alla differenza tra la pressione di filtrazione glomerulare (o MAP – IAP) e la pressione tubulare prossimale (o IAP): FG = MAP – (IAP x 2).

Dal riferimento bibliografico n. 30.

Condizioni predisponenti

L’ACS è tradizionalmente associata a trauma addominale, ma diverse condizioni possono causare un aumento dell’IAP e predisporre all’ACS, tra cui distensione gastrica, ostruzione intestinale, ileo, emorragia peritoneale, ascite, edema della pare-te intestinale, epatomegalia, ventilazione a pressione positiva, posizione verticale del corpo e obesità (31). Diversi di questi fattori possono coesistere in pazienti critici, il che spiega perché l’IAH viene rilevata anche nel 60% dei pazienti di UTI mediche e chi-rurgiche (32).

RIPRISTINo DI gRANDI VoLuMI DI FLuIDI Una della cause più comuni e non ricono-sciute di IAH è il ripristino di grandi volumi di fluidi, che può innalzare l’IAP pro-muovendo edema negli organi addominali (specialmente l’intestino). In pazienti UTI con bilancio netto dei liquidi positivo >5 litri in 24 ore, è stata scoperta un’ICH nell’85% dei pazienti ed è stata diagnosticata ACS nel 25% dei pazienti (33). Questa

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Capitolo 34 – Danno renale acuto 591

osservazione si aggiunge al crescente consenso al fatto che evitando un bilancio positivo dei fluidi si riduce la morbilità e la mortalità nei pazienti UTI (si vedano le pagine 418-419).

Disfunzione renale

Un aumento dell’IAP può interessare virtualmente tutti gli organi (riducendo il ritorno venoso e di conseguenza riducendo la gittata cardiaca), ma sono i reni a essere più frequentemente interessati. L’influenza dell’IAP sulla funzione renale si può spiegare con le due variabili descritte qui di seguito.

PRESSIoNE DI PERFuSIoNE ADDoMINALE La pressione che guida il flusso ematico rena-le è la differenza tra la pressione arteriosa media (MAP) e la pressione media nelle vene renali. Quando l’IAP è superiore alla pressione venosa renale, la pressione che guida il flusso ematico renale è la differenza tra la MAP e l’IAP. Questa differenza di pressione è chiamata pressione di perfusione addominale (APP):

APP = MAP – IAP (34.3)

Nei pazienti con IAH, l’APP è equivalente alla pressione di perfusione renale per cui un aumento dell’IAP riduce il flusso ematico renale riducendo l’APP. L’APP necessaria per preservare il flusso ematico renale non è nota, ma, in studi sull’IAH e l’ACS, il mantenimento di un’APP >60 mmHg è stato associato a un miglioramento della sopravvivenza (30).

gRADIENTE DI FILTRAzIoNE Il gradiente di filtrazione (FG) è il gradiente di pressione attraverso il glomerulo ed è equivalente alla differenza tra la pressione di filtrazione glomerulare (GFP) e la pressione tubulare prossimale (PTP) (30):

FG = GFP – PTP (34.4)

Nei pazienti con IAH, la GFP è considerata equivalente a MAP – IAP e la PTP è considerata equivalente all’IAP, per cui l’equazione 34.4 può essere riscritta come:

FG = MAP – (IAP × 2) (34.5)

Secondo questa correlazione, un aumento dell’IAP avrà un impatto maggiore sulla filtrazione glomerulare (e sul flusso di urina) rispetto a una riduzione equi-valente della MAP. Ciò potrebbe spiegare perché l’oliguria è uno dei primi segni di IAH (30).

Misurazione della pressione intra-addominale

L’IAP dovrebbe essere misurata ai pazienti con AKI e con una condizione predispo-nente all’ACS (cioè la maggior parte dei pazienti UTI). L’esame fisico non permette di rilevare un aumento dell’IAP (34) che quindi deve essere misurata attraverso la pressione di una vescica urinaria decompressa (metodo intravescicale). Per misurare l’IAP sono disponibili speciali cateteri per il drenaggio vescicale (ad esempio da Bard Medical, Covington, GA). Per le misurazioni sono necessarie le seguenti condizioni (30): (a) il paziente deve essere in posizione supina, con il trasduttore di pressione azzerato lungo la linea ascellare media; (b) un piccolo volume (25 ml) di soluzione salina isotonica viene iniettato nella vescica 30-60 secondi prima di ogni misurazione e (c) l’IAP viene misurata alla fine dell’espirazione e solo quando non vi sono evi-denze di contrazione dei muscoli addominali. L’IAP è misurata in mmHg, non in cm di H2O (1 mmHg = 1,36 cm H2O).

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Trattamento

Le misure generali per ridurre l’IAP includono sedazione (per ridurre la contrazione dei muscoli addominali), mantenimento della testa sollevata a non più di 20° rispetto al piano orizzontale (35) e assenza di bilancio positivo dei liquidi. Misure specifiche sono dettate dalla causa dell’aumento dell’IAP e possono includere decompressione dello stomaco, dell’intestino tenue o del colon, drenaggio percutaneo del liquido peritoneale o intervento chirurgico (ad esempio per lesioni addominali od ostru-zione intestinale). Come menzionato prima, gli sforzi per mantenere un’APP >60 mmHg (con vasopressori per aumentare la MAP, se necessario) sono associati a un miglioramento degli esiti dell’ACS.La decompressione chirurgica è raccomandata per i pazienti con ACS mentre l’IAP non può essere ridotta mediante misure convenzionali (35). Questa procedura ha tuttavia dei considerevoli rischi (ad esempio l’addome è spesso lasciato aperto per un drenaggio continuo) che devono essere valutati nei confronti del rischio associato alla mancata esecuzione della procedura.

TERAPIA SoSTITuTIVA RENALE

Il 70% circa dei pazienti con insufficienza renale acuta necessita di una qualche forma di terapia sostitutiva renale (TSR). Le indicazioni usuali per la TSR nell’insufficienza renale acuta includono: (a) sovraccarico di volume; (b) iperkaliemia potenzialmente mortale o acidosi metabolica refrattaria alle misure tradizionali e (c) rimozione delle tossine (ad esempio glicole etilenico). Il momento ottimale in cui effettuare la TSR in caso di insufficienza renale acuta non è chiaro (36).Il numero di tecniche di TSR è in continua crescita e include non solo emodialisi ed emofiltrazione, ma anche emodiafiltrazione, dialisi ad alto flusso e plasmafil-trazione. Le descrizioni che seguono si limitano all’emodialisi e all’emofiltrazione. I meccanismi di rimozione di fluidi e soluti mediante ciascuna di queste tecniche sono illustrati nella Figura 34.3.

Emodialisi

L’emodialisi rimuove i soluti per diffusione, guidata dal gradiente di concentrazione dei soluti attraverso una membrana semipermeabile. Per mantenere questo gradiente di concentrazione, viene usata una tecnica chiamata scambio controcorrente, in cui il sangue e i liquidi da dialisi sono guidati in direzioni opposte attraverso la membrana dialitica. Una pompa per il sangue viene usata per spostare il sangue in una direzione attraverso la membrana dialitica a una velocità di 200-300 ml/min. Il liquido da dialisi sull’altro lato della membrana si sposta a una velocità quasi doppia, pari a 500-800 ml/min (37). Per l’emodialisi acuta sono necessari cateteri di grande calibro a doppio lume che sono descritti nel Capitolo 1 (si vedano la Tabella 1.5 a pagina 13 e la Figura 1.6 a pagina 13).

Vantaggi e svantaggi

Il principale vantaggio dell’emodialisi è la rapida eliminazione di piccoli soluti. Sono necessarie solo poche ore di emodialisi per eliminare l’accumulo potenzialmente mortale di potassio o acidi organici o per rimuovere le scorie azotate accumulate in una giornata. Gli svantaggi dell’emodialisi includono (a) una rimozione limitata delle molecole di grandi dimensioni (ad esempio citochine infiammatorie) e (b) la necessità di mantenere un flusso ematico pari a 200-300 ml/min attraverso la came-ra di dialisi. Quest’ultimo requisito crea un rischio di ipotensione, che si verifica in quasi un terzo dei trattamenti di emodialisi (37).

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Emofiltrazione

L’emofi ltrazione rimuove i soluti per convezione, mentre viene usato un gradien-te di pressione idrostatica per spostare un fl uido contenente soluti attraverso una membrana semipermeabile. Poiché il movimento in blocco dei liquidi “trascina” il soluto attraverso la membrana, questo metodo di rimozione dei soluti è anche noto come trascinamento del solvente (37). L’emofi ltrazione può rimuovere grandi volumi di liquidi (fi no a 3 litri all’ora), ma la velocità di eliminazione dei soluti è molto più lenta che durante l’emodialisi. L’emofi ltrazione deve quindi essere effettuata in continuo per ottenere un’elimina-

Sangue Dialisato

Sangue Ultrafiltrato

Emodialisi

Eliminazione del soluto guidata da un gradiente di concentrazione

Eliminazione del soluto guidata da un gradiente di pressione

Emofiltrazione

Pressione idrostatica

FIguRA 34.3 Meccanismi di eliminazione dei soluti mediante emodialisi ed emofiltrazione. Le particelle più piccole rappresentano i soluti piccoli (ad esempio l’urea), che possono essere eliminati con entrambe le tecniche, mentre le particelle più grandi rappresentano le molecole più grandi (ad esempio le citochine infiammatorie) che possono essere eliminate mediante emofiltrazione, ma non mediante emodialisi.

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zione efficace dei soluti. Poiché vengono eliminati con l’acqua, la concentrazione plasmatica di questi soluti (ad esempio l’urea) non diminuisce durante l’emofiltra-zione a meno che non venga infuso un liquido endovenoso privo di soluti per sosti-tuire parte dell’ultrafiltrato perso (ciò è spesso necessario a causa dei grandi volumi rimossi durante l’emofiltrazione).

Metodi

L’emofiltrazione era originariamente effettuata inserendo una cannula in un’arteria (radiale, brachiale o femorale) e in una grande vena (giugulare interna o femorale). Questo metodo, chiamato emofiltrazione arterovenosa continua (CAVH), usa la pressio-ne arteriosa media come pressione di filtrazione e non necessita di una pompa nel circuito. Non è però adatto per i pazienti con pressione sanguigna incostante.Il metodo più popolare all’ora attuale è l’emofiltrazione venovenosa continua (CVVH), in cui il sangue venoso viene rimosso e restituito attraverso cateteri di grande cali-bro a doppio lume come quelli usati per l’emodialisi. Questo metodo non necessita dell’inserimento di un cannula in un’arteria, ma di una pompa nel circuito per creare una pressione di filtrazione efficace.

Vantaggi e svantaggi

L’emofiltrazione ha due principali vantaggi. Innanzitutto, permette una rimozione dei liquidi più graduale rispetto all’emodialisi e quindi è meno probabile che produ-ca una compromissione emodinamica. In secondo luogo, l’emofiltrazione rimuove molecole di maggiori dimensioni rispetto all’emodialisi, il che la rende il metodo preferito per la rimozione di tossine come il glicole etilenico. Questa caratteristica permette anche la rimozione di mediatori dell’infiammazione, il che può rappresen-tare un vantaggio terapeutico per i pazienti con infiammazione sistemica e insuffi-cienza multiorganica (38).Il principale svantaggio dell’emofiltrazione è la lenta rimozione dei soluti, che non è molto adatta quando è necessaria una rimozione più rapida (ad esempio per iperka-liemia o acidosi potenzialmente mortali). Un metodo più recente di TSR noto come emodiafiltrazione (che associa le caratteristiche della dialisi e dell’emofiltrazione) è più adatto dell’emofiltrazione nei pazienti che necessitano di una rapida rimozione dei soluti e dei liquidi.

CoNCLuSIoNI

L’equazione di Dirac e il danno renale acuto

L’autore della citazione introduttiva, Paul Dirac, è stato un importante (ed eccentri-co) fisico teorico che ha introdotto il concetto di antimateria (39). La sua citazione si riferisce alla sua equazione (l’equazione di Dirac) per descrivere il comportamento degli elettroni, che successivamente ha mostrato alcune limitazioni. Come l’equazio-ne di Dirac, il concetto di danno renale acuto non ha raggiunto l’obiettivo di descri-vere l’intero spettro di insufficienze renali presentate dai pazienti critici. Le fonti di confusione create dal concetto di danno renale acuto sono descritte a pagina 583.Il concetto di danno renale acuto ha una caratteristica diversa rispetto all’equa-zione di Dirac, cioè l’equazione di Dirac ha aggiunto molto alla comprensione del comportamento degli elettroni, mentre il concetto di danno renale acuto aggiunge poco alla comprensione di come e perché si verifichi un’insufficienza renale nei pazienti critici.

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Capitolo 34 – Danno renale acuto 595

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