Damiano Garofalo La Rai e Le Radio...

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68 DAMIANO GAROFALO LA RAI E LE RADIO LIBERE ALTO GRADIMENTO TRA ROTTURA E CONTINUITÀ TRA RADIO E TELEVISIONE I primi anni cinquanta segnarono in Italia l’apogeo indiscusso della comu- nicazione radiofonica. Nel 1954, con l’avvento della televisione italiana, la radio perse però proporzionalmente d’importanza, non riacquisen- done più almeno fino alla fine del monopolio radiofonico e televisivo, che avvenne nel 1975 1 . Quando la Rai inaugurava le prime trasmissio- ni televisive, la radio italiana compiva trent’anni. A livello editoriale, l’offerta radiofonica istituzionale, articolata in tre canali, aveva garantito una qualità media delle trasmissioni che si allineava comunque al contesto europeo; ma la concorrenza televisiva spodestò quasi subito l’antenato radiofonico dal podio ideale dell’egemonia mediatica nazionale 2 . Di fronte ai travolgenti successi della televisione, alla fine degli anni cinquanta la programmazione radiofonica venne indebolita da scelte editoriali che potreb- bero essere definite “reazionarie”: in aperta controtendenza rispetto alle forme innovative di intrattenimento culturale proposte dalla televisione, oltre all’in- tensificazione delle trasmissioni di prosa aumentò infatti l’utilizzo di musica lirica nei programmi radiofonici 3 . La radio, quindi, quasi a voler apertamen- te «giocare in difesa» 4 , sembrò inizialmente chiudersi in se stessa, complice il sempre più scarso interesse nei confronti di un mezzo ormai obsoleto rispetto alle innovazioni televisive. Essa, probabilmente, «avvertì lo stesso trauma di un villaggio percorso da una grande strada piena di traffico, che all’improv- viso viene tagliato fuori da una variante autostradale» 5 . Ma il sorpasso vero e proprio avvenne soltanto dieci anni dopo: nel 1964, infatti, gli abbonamenti televisivi arrivarono a 5.215.503 contro i 4.444.179 radiofonici 6 . Verso la metà degli anni sessanta si manifestarono grandi cambiamenti e for- ti novità nell’ambito dei consumi culturali di massa, in Italia così come nel resto dei paesi dell’Europa occidentale. Esemplificativi di questo vento di rinnovamento furono proprio i primi tentativi di fare radio in modo altro da 1 Cfr. Francesca Anania, Breve storia della radio e della televisione italiana, Carocci, 2004, p. 80. 2 Cfr. Guido Gola, Tra pubblico e privato. Breve storia della radio in Italia, Effatà, 2003, pp. 82-83. 3 Cfr. Enrico Menduni, La radio nell’era della Tv. Fine di un complesso di inferiorità, il Mulino, 1994, pp. 31-32. 4 Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, 2009, p. 314. 5 E. Menduni, La radio nell’era della TV , cit., p. 10. 6 Se nel 1965 la radio aveva poco più di quattro milioni di abbonati, dieci anni dopo, nel 1975, gli abbonati alle radioaudizioni diventarono poco più di 700.000, quando la televisione ne aveva circa dodici milioni. Oltre alla dimensione culturale, la televisione spodestò la radio anche nell’ottica domestica, finendo spesso per far trasferire l’antenata dal centro del salotto alla cucina. Cfr. G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., p. 84.

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Damiano Garofalo

La Rai e Le Radio LibeRealto GraDimento tra rottura e continuità

tra raDio e televisione

I primi anni cinquanta segnarono in Italia l’apogeo indiscusso della comu-nicazione radiofonica. Nel 1954, con l’avvento della televisione italiana, la radio perse però proporzionalmente d’importanza, non riacquisen-done più almeno fino alla fine del monopolio radiofonico e televisivo, che avvenne nel 19751. Quando la Rai inaugurava le prime trasmissio-

ni televisive, la radio italiana compiva trent’anni. A livello editoriale, l’offerta radiofonica istituzionale, articolata in tre canali, aveva garantito una qualità media delle trasmissioni che si allineava comunque al contesto europeo; ma la concorrenza televisiva spodestò quasi subito l’antenato radiofonico dal podio ideale dell’egemonia mediatica nazionale2. Di fronte ai travolgenti successi della televisione, alla fine degli anni cinquanta la programmazione radiofonica venne indebolita da scelte editoriali che potreb-bero essere definite “reazionarie”: in aperta controtendenza rispetto alle forme innovative di intrattenimento culturale proposte dalla televisione, oltre all’in-tensificazione delle trasmissioni di prosa aumentò infatti l’utilizzo di musica lirica nei programmi radiofonici3. La radio, quindi, quasi a voler apertamen-te «giocare in difesa»4, sembrò inizialmente chiudersi in se stessa, complice il sempre più scarso interesse nei confronti di un mezzo ormai obsoleto rispetto alle innovazioni televisive. Essa, probabilmente, «avvertì lo stesso trauma di un villaggio percorso da una grande strada piena di traffico, che all’improv-viso viene tagliato fuori da una variante autostradale»5. Ma il sorpasso vero e proprio avvenne soltanto dieci anni dopo: nel 1964, infatti, gli abbonamenti televisivi arrivarono a 5.215.503 contro i 4.444.179 radiofonici6.Verso la metà degli anni sessanta si manifestarono grandi cambiamenti e for-ti novità nell’ambito dei consumi culturali di massa, in Italia così come nel resto dei paesi dell’Europa occidentale. Esemplificativi di questo vento di rinnovamento furono proprio i primi tentativi di fare radio in modo altro da

1 Cfr. Francesca Anania, Breve storia della radio e della televisione italiana, Carocci, 2004, p. 80.2 Cfr. Guido Gola, Tra pubblico e privato. Breve storia della radio in Italia, Effatà, 2003, pp. 82-83.3 Cfr. Enrico Menduni, La radio nell’era della Tv. Fine di un complesso di inferiorità, il Mulino, 1994, pp. 31-32. 4 Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, 2009, p. 314.5 E. Menduni, La radio nell’era della TV, cit., p. 10.6 Se nel 1965 la radio aveva poco più di quattro milioni di abbonati, dieci anni dopo, nel 1975, gli abbonati alle radioaudizioni diventarono poco più di 700.000, quando la televisione ne aveva circa dodici milioni. Oltre alla dimensione culturale, la televisione spodestò la radio anche nell’ottica domestica, finendo spesso per far trasferire l’antenata dal centro del salotto alla cucina. Cfr. G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., p. 84.

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quello tradizionale, anche e soprattutto in risposta all’avvento di un mezzo apparentemente rivoluzio-nario come quello televisi-vo. Per rimanere al passo con i tempi, la radio avvertì la necessità di descrivere in modo più diretto l’emerge-re della cultura giovanile, che andava intrecciando-si sempre più con i nuovi “movimenti”, fino a toccare il proprio apice agli inizi degli anni ottanta. I cosid-detti figli del miracolo economico, infatti, godettero di una maggiore possibi-lità di consumare cultura rispetto alle generazioni precedenti. In questo con-testo, oltre al cinema e alle letture “alternative” a quelle tradizionali, legate a doppio filo ai canoni estetici della cultura dominante, la musica svolse il ruolo fondamentale di diffusore di ideali nuovi e “liberi”, di provenienza soprattutto anglosassone7. Di qui, è facile comprendere come la radio fosse «il mezzo sul quale lo spirito del ’68 aveva avuto una notevole influenza. Nelle minoranze artistiche, intellettuali e politiche, nasceva l’attenzione a una nuova soggettivi-tà, a una più pronunciata autonomia, che rivalutava la coscienza e il ruolo dei singoli e la loro possibile azione»8. Il cosiddetto «spirito del ‘68» di cui parla Franco Monteleone diede luogo a un lungo decennio all’insegna della creativi-tà, che trovò nella radio il suo sbocco inevitabile. In quegli anni, il rapporto che si stabilì tra la radio e il pubblico fu basato essenzialmente su una relazione comunicativa, intrattenuta nella ripetitività del quotidiano. Di conseguenza, l’informazione si velocizzò e la musica acqui-sì sempre maggiore spazio e importanza all’interno dei palinsesti: si verificò, quindi, «un cambiamento del ruolo della radio che si trasforma da protagonista del tempo libero a colonna sonora, ininterrotto rumore di fondo della giornata che troverà la sua massima diffusione nella filodiffusione e negli apparecchi portatili»9. La centralità dell’esperienza musicale nella comunicazione radio-fonica incise profondamente nella definizione di una nuova socialità: di qui, «nell’immenso arcipelago della musica, che è lo specchio fondamentale del mutamento, trova certamente spazio anche una lunga e superficiale soggiacen-za ai riti del miracolo»10, elemento decisivo nella definizione di una modernità in espansione. Parallelamente allo sviluppo della televisione, infatti, l’industria

7 Cfr. Ivi, pp. 90-91.8 F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 392.9 F. Anania, Breve storia della radio e della televisione italiana, cit., p. 81.10 Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, Marsilio, 1992, p. 322.

Renzo Arbore, Gianni Boncompagni e Massimo Ventriglia duran-te la preparazione di una puntata di Bandiera Gialla (1965)

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discografica conobbe un vero e proprio boom, passando da 18 milioni di dischi venduti nel 1958 agli oltre 30 milioni del 196411. La novità tecnologica giunse comunque dall’estero con la diffusione dei nuovi lettori portatili, più economi-ci e leggeri, i cosiddetti mangiadischi, ma anche di registratori a nastro e vinili più piccoli, i 45 giri12.La svolta per la radio avvenne comunque con la diffusione del transistor: l’ap-parecchio radiofonico si miniaturizzava, svincolandosi da una dimensione domestica sempre più “invasa” dagli schermi televisivi. La radio diventava tascabile negli stessi anni in cui esplodeva il mito del rock e nasceva l’esigenza giovanile del «vivere all’interno di una permanente colonna sonora»13. A perce-pire i mutamenti strutturali in atto fu Renzo Arbore, osservando che «la radio moderna deve essere da accompagnamento. E infatti il processo di ringiova-nimento della radio è cominciato quando ci si è accorti proprio di questo fatto, che la radio poteva seguirci ovunque, in maniera discreta, senza disturbare»14.

le «fiGlie DeGeneri»

Nello stesso periodo, iniziarono in Europa i primi esperimenti di emit-tenza radiofonica privata, in aperta contrapposizione ai monopoli pubblici vigenti nella maggioranza dei paesi continentali. L’ispirazio-

ne a queste nuove forme di fare radio arrivava dalle prime esperienze “alterna-tive” affermatesi negli Stati uniti nel corso degli anni cinquanta. In particolare, vennero riproposti alcuni format che, indirizzandosi soprattutto a un pub-blico giovanile, offrivano una vasta selezione di musica contemporanea, per giungere poi alla nascita delle prime radio musicali15. Gli esordi italiani di tale fenomeno furono segnati, tra le altre, da Radio Montecarlo, emittente francese che a partire dal 1966 cominciò a trasmettere in lingua italiana una program-mazione commerciale ispirata al modo americano di fare radio: conduzione improvvisata e a braccio, tanta musica, giochi e sketch divertenti16.Già dalla metà degli anni sessanta con Bandiera Gialla, e poi decisamente dal 1970 con Alto Gradimento, Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, due giovani autori e conduttori radiofonici e televisivi, «avevano cominciato a smontare il meccanismo etnocentrico presentando brani originali di produzione inglese

11 Cfr. Michele Sorice, Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana, Editori Riuniti, 2002, p. 52.12 Cfr. G. Gola, Tra pubblico e privato, cit. p. 91.13 E. Menduni, La radio nell’era della TV, cit., p. 34.14 Renzo Arbore, Per me è una mamma. Colloquio con Alessandra Atti di Sarro, «L’Espresso», 24 aprile 1988, citato da E. Menduni in Id., La radio nell’era della TV, cit., p. 129.15 Faccio soprattutto riferimento all’americana Radio Top 40, Radio Veronica nei Paesi Bassi e soprattutto l’esperimento di Radio Caroline, rudimentale stazione installata su un cargo posto fuori dalle acque ter-ritoriali inglesi e che, dal 1964, cominciò a trasmettere in radio, per la prima volta, i Beatles. Cfr. G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., p. 92.16 Per quanto riguarda il territorio italiano, il segnale di Radio Montecarlo raggiungeva, inizialmente, il solo nord ovest e parte del litorale tirrenico, cfr. Ivi, p. 43.

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o americana, e la domanda discografica del pubblico giovanile andava ormai in un senso dichiaratamente più globale. […] In questo la radio mostrava una nuova vitalità, mentre la televisione sembrava andare in crisi come grande mezzo di promozione musicale»17. L’influsso sulla radio pubblica italiana delle radio estere e delle prime esperienze “libere” europee è comunque rintraccia-bile, oltre che nella presenza di musica giovanile e innovativa, nella velocizza-zione dei ritmi di conduzione, nel maggior dialogo con il pubblico e nei testi «meno paludati e inamidati»18.Di fronte a tali mutamenti, la Rai attuò delle riforme interne tese a snellire l’apparato burocratico, rinnovando al contempo la programmazione. Tra le trasmissioni tradizionali si inserirono, infatti, formule nuove volte soprattutto a catturare l’attenzione di un pubblico giovanile, coinvolgendo maggiormen-te e direttamente gli spettatori. Tra il 1965 e il 1970 la Rai lanciò una serie di trasmissioni memorabili, ancora oggi pietre miliari della storia dei palinse-sti radiofonici italiani: dagli appuntamenti sportivi di Tutto il calcio minuto per minuto a uno dei primi talk show, Cabaret alle 22, condotto da Maurizio Costan-zo; da Il Gambero di Enzo Tortora a Gran varietà di Antonio Amurri e Maurizio Jurgens; da Hit parade a Chiamate Roma 3131, che utilizzò per la prima volta il telefono come interfaccia diretta con il pubblico; da Bandiera Gialla di Gianni Boncompagni a Per voi giovani di Renzo Arbore. La crescente importanza rico-nosciuta alla musica non implicò, in ogni caso, l’abbandono del parlato all’in-terno delle varie trasmissioni. Questi programmi diedero, piuttosto, l’avvio a un’intelligente operazione di dissacrazione linguistica, sperimentata per la prima volta proprio da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni in Bandiera Gial-la, e portata a definitivo compimento, dagli stessi autori, in Alto Gradimento19.Se, da un lato, la radio cercò di aggiornare i propri palinsesti rispondendo alle domande e alle necessità di un pubblico nuovo – interpretando, quindi, a suo modo i bisogni di una società in evoluzione, pur non distanziandosi troppo dagli schemi tradizionali – dall’altro «non seppe o non volle misurarsi con una situazione socioculturale e mediatica che, a cavallo tra gli anni ‘60 e i pri-mi anni ‘70, appariva radicalmente mutata», non riuscendo a «elaborare una complessiva strategia d’attacco» di fronte a «uno scenario totalmente nuovo»20. Già nel 1976 Marco Gaido scriveva: «l’unico sostanziale mutamento previsto dall’avvento delle radio libere è stato proprio il palesare alla gente che la radio non è un ente “sacro” da cui tutto emana, quasi per imperscrutabile volere divino. La radio libera scende nelle piazze e si mostra ora nelle sue compo-nenti “profane” di cavi, microfoni, antenne. Il privilegio di un jus primae noctis

17 Fausto Colombo, Il paese leggero. Gli italiani e i media tra contestazione e riflusso, Laterza, 2012, pp. 26-27. Anche la “mitica” trasmissione Hit Parade, condotta a partire dal 1967 da Lelio Luttazzi, presentava la classifica settimanale delle hit con una presenza sempre maggiore di proposte musicali straniere. 18 E. Menduni, La radio nell’era della TV, cit., p. 36.19 La spinta alla creazione di nuovi veicoli comunicativi comincia a modificare il panorama del pubblico radiofonico. A tale programmazione, infatti, tra il 1967 e il 1974 corrisponde un forte incremento degli ascolti radiofonici Rai. Cfr. F. Colombo, Il paese leggero, cit., p. 97.20 G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., pp. 94-95.

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della Rai sta franando miseramente e di que-sto dobbiamo ringra-ziare le radio libere», che proprio per que-sto, continuava Gaido, non possono che esse-re considerate come «figlie degeneri» di un sistema moribondo21. A quasi quarant’an-ni, la suggestione del paradigma delle «figlie degeneri», pur afferrando in modo convincente i cambia-

menti in atto, sembra però non definire del tutto la complessità di una relazione sfuggente e aggrovigliata, tra rottura e continuità.

tra rottura e continuità

Riconosciuto dalla maggioranza della critica radiofonica come uno dei più grandi successi della storia della radio, Alto Gradimento rappresentò l’api-ce della crisi che aveva investito fino a quel momento il sistema radiofo-

nico tradizionale. La prima puntata del programma andò in onda su Radio 2, in diretta, il 7 luglio 1970, dalle 12:30 alle 13:30, e fu, fino alla fine della sua messa in onda – l’ultima puntata è del 2 ottobre 1976 – un riferimento culturale di sva-go e intrattenimento, soprattutto per il giovane pubblico nato nel dopoguerra. Per «la trasmissione giovane della Rai per eccellenza», il numero di ascoltatori si mantenne piuttosto costante, con una media di 2,4 milioni a puntata e con picchi di 3,5 milioni, oltre a un gradimento compreso tra il 56 e il 53%22.Alto Gradimento inaugurò lo stile di «chiacchiera radiofonica libera, divagatoria, scanzonata, trasgressiva, giovanilistica che avrebbe costituito la cifra inconfon-dibile delle radio private»23. Nel giro di pochi mesi la trasmissione di Arbore e Boncompagni diventò, pertanto, un appuntamento fisso per giovani e adole-scenti, spesso di ritorno a casa dopo la scuola. La messa in onda del programma generò, infatti, una serie di trovate linguistiche che diventarono subito dei tor-mentoni nonsense, per lo più composti da ridondanti neologismi che entrarono

21 Marco Gaido, Radio libere? La prima vera inchiesta e storia delle radio libere in Italia e nel mondo, Arcana, 1976, pp. 70 e 73.22 Cfr. Lorenzo Facchinotti, L’industria discografica tra produzione e consumo in F. Colombo (a cura di), Gli anni delle cose. Media e società italiana negli anni Settanta, Università Cattolica, 2000, p. 98.23 G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., p. 94.

Renzo Arbore e Gianni Boncompagni durante la conduzione di Alto Gra-dimento (1970)

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subito a far parte del linguaggio quotidiano, componendo una sorta di enciclo-pedia giovanile fatta di segni e simboli24.Come ricorda Renzo Arbore, «Alto Gradimento nacque per protesta contro le atmosfere del Sessantotto, che allora politicizzavano un po’ tutto. In quegli anni lì si rideva pochissimo. Rincontrandoci, io e Gianni dicevamo: perché non fare un programma di assoluta evasione, che non abbia né politica, né altro tipo di impegno? E quindi andammo dall’allora direttore della radio proponendo una ragione sociale del programma che naturalmente fu subito bocciata perché si chiamava Musica e puttanate. Ma questo era per far capire come sarebbe stato il programma! Il direttore trasecolò, disse “così non si può chiamare, cercate un altro titolo”. Io ero per Basso Gradimento, perché ho sempre avuto la tendenza a fare l’altra radio, l’altra Tv e le altre cose, non cercando di inseguire il succes-so. Boncompagni vinse perché disse “facciamo Alto Gradimento, così la gente crede veramente che abbia un alto gradimento”»25. Sorvolando sull’inevitabile e ormai cadenzata tendenza degli stessi autori a ripercorrere la loro esperien-za radiofonica sotto forma di un racconto mitologico – elemento soprattutto ricorrente in buona parte degli interventi di Arbore sul tema –, è comunque possibile provare a osservare come e quanto la struttura del programma abbia realmente inciso in un modo di fare radio “alternativo” alle istituzioni, che si svilupperà da Alto Gradimento in poi seguendo, però, canali ben più di “movi-mento”.Nato come un’operazione di puro umorismo demenziale, il programma non ebbe mai alcuna pretesa seriosa o impegnata, conservando sempre «un tono di divertissement collettivo: un gioco goliardico stucchevole, nelle puntate meno riuscite, una forma di surrealismo “fatto in casa”, nei momenti migliori»26. Gli slogan senza senso inventati da Arbore e Boncompagni («Patroclo!», «Li pecu-ri!», etc.) cominciarono, infatti, a diffondersi rapidamente tra i giovani, eviden-ziando un’intrinseca viralità. Ad esempio, il personaggio del colonnello Butti-glione, con la voce di Mario Marenco, diede vita, negli stessi anni, a una saga cinematografica che lo vide protagonista27. Lo stesso Marenco, che si celava dietro la voce del personaggio del “poeta”, incise per una grossa casa discogra-fica un 33 giri che raggiunse le 1.000 copie. La medesima sorte toccò al celebre «Patroclo!» di Enzo Bracardi, che oltre a incidere un 45 giri, venduto in 40.000 copie, approdò al cinema con un film con Pippo Franco28. Tutti i personaggi del

24 Cfr. F. Colombo, Il paese leggero, cit., p. 97. Secondo Marco Gaido la trasmissione ebbe il duplice scopo di generare fenomeni di proiezione e di ottenere feedback lessicali (M. Gaido, Radio libere?, cit., pp. 55-56), mentre per Enrico Menduni l’uso dissacrante del parlato permise di raggiungere «la punta più alta della creatività radiofonica della Rai» (E. Menduni, La radio nell’era della TV, cit., p. 36 e cfr. Id., Il mondo della radio. Dal transistor a internet, il Mulino, 2012, p. 96). 25 Stefano Dark, Libere! L’epopea della radio italiana degli anni ‘70, Stampa Alternativa, 2009, p. 38.26 P. Ortoleva, Alto Gradimento in P. Ortoleva, Barbara Scaramucci (a cura di), Enciclopedia della radio, Gar-zanti, 2003.27 Tra tutti i film si ricorda Un ufficiale non si arrende mai, nemmeno di fronte all’evidenza. Firmato colonnello Buttiglione, regia di Mino Guerrini (Italia, 1973).28 Si tratta del film Patroclooo!... e il soldato Camillone, regia di Mariano Laurenti (Italia, 1973). Cfr. Alto (S)Gradimento, «Radiocorriere TV», 5 maggio 1974.

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programma – il professore reazionario, il poeta, l’extraparlamentare ignorante, il giornalista, etc. – interpretati per lo più da Marenco e Bracardi, ebbero un enorme successo proprio perché altro non furono che «esasperazioni satiriche in cui chi ascolta può identificare esperienze a lui vicine»29.La «più stravagante galleria di personaggi del repertorio radiofonico»30 riuscì nell’impresa di mettere in scena «tutto l’armamentario linguistico, tutti gli effet-ti di stravolgimento, tutte le tecniche trasgressive proprie dell’avanguardia»31. Inoltre, «grazie all’uso sistematico del telefono cade la barriera, ancora invalica-bile nell’azienda pubblica, […] tra emittente e ricevente»32. Ribaltando i canoni radiofonici tradizionali, questo modo di fare radio permise allo spettatore di diventare parte attiva dello spettacolo: gli fu finalmente concesso, infatti, di far sentire la propria voce ed esprimere un’opinione, in pubblico, sugli argomenti più disparati33. Oltre all’utilizzo in pianta stabile del telefono, già introdotto per la prima volta da Chiamate Roma 3131 qualche anno prima, Alto Gradimento inventò anche i cosiddetti stacchetti, ovvero interruzioni sonore e siparietti goliardici dissemi-nati nel corso della trasmissione, composti da spezzoni di canti popolari, arie tratte da opere ed enunciazioni di alcuni tormentoni, tra cui anche il teorema di Pitagora recitato per intero. L’alternarsi di sketch e musica, selezionata con una certa dose di coraggio e creatività, velocizzavano il ritmo delle trasmissio-ni canoniche e tradizionali: il «continuo scherzo che dissacra le regole del mez-zo» – tra tutti parlare sopra le canzoni in onda – inaugurò in Rai «il modello del dj che è anche regista e tecnico del suo programma»34. L’ennesimo aspetto innovativo del programma fu anche il particolare sguardo verso la tradizione culturale americana, intesa stavolta come «territorio confi-nante in un ipotetico continuum temporale in cui i fenomeni culturali avveni-vano sempre “un po’ prima”»35. Per questo, Alto Gradimento non rappresentò un momento di discontinuità del tutto alternativo alla radio istituzionale, quanto piuttosto un tentativo della stessa di rinnovarsi dal suo interno. A distanza di anni, infatti, possiamo osservare come il programma sia parte di un laboratorio sperimentale, avviato in quegli anni della Rai, che assunse «un ruolo di primo piano nella rivoluzione delle tradizionali modalità comunicative»36. Contem-poraneamente e a seguito di Alto Gradimento nacquero, infatti, altre trasmissio-ni considerate in modo analogo “di rottura”: Music Inn, Hit Parade, Per voi giova-

29 M. Gaido, Radio libere?, cit., pp. 55-56.30 F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 392.31 Aldo Grasso, Regia radiofonica in Adriano Bellotto e Gianfranco Bettetini, Questioni di storia e teoria della radio e della televisione, Vita e Pensiero, 1985, p. 40.32 G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., p. 100.33 Secondo Giorgio Simonelli e Paolo Taggi, l’utilizzo del telefono in Alto Gradimento ruppe gli schemi della tradizione radiofonica, dando vita a un «tempo diverso», cfr. G. Simonelli e P. Taggi, I fantasmi del dialogo. Il telefono nella radio e nella televisione, Bulzoni, 1985, p. 72.34 S. Dark, Libere!, cit., p. 39.35 F. Colombo, Il paese leggero, cit., p. 89.36 F. Anania, Breve storia della radio e della televisione italiana, p. 81.

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ni, L’uomo della notte, Folk Jockey, Supersonic, Popoff, Dischi Caldi e Il mattinie-re37. Oltre alle numerose ripercussioni sull’emit-tente, Arbore e Boncom-pagni incisero indiretta-mente sulle produzioni radiofoniche e televisive private e commerciali degli anni seguenti. Lo stesso stile caratteristico delle radio libere – dalla conduzione informale al mescolamento istintivo di canzoni e chiacchiere in un clima di disinvol-ta improvvisazione – prenderà implicitamente spunto dall’esperienza di Alto Gradimento. Il coinvolgimento degli ascoltatori nella realizzazione del programma sarà, infatti, tra le eredità più grandi che quel modo di fare radio lascerà alle emittenti private38. Facendo particolare riferimento all’esperienza delle radio libere, Franco Monteleone ha osservato come «quella straordinaria trasmissione diventerà il modello di quasi tutte le radio libere apparse nel cor-so del decennio. Senza Alto Gradimento è impossibile capire nella sua totalità il fenomeno dell’emittenza privata, del suo linguaggio iterativo e afasico, del suo ascolto epidermico e trasversale. Più che nella televisione, è stato nella radio che la pratica dell’imitazione si è esercitata da parte delle radio libere, con una singolare mescolanza di competitività invidiosa e di spocchiosa distruttività»39.Nonostante la componente di surrealismo e innovazione, trasmessi in diretta e per lo più improvvisati, i meccanismi goliardici del gioco radiofonico di Alto Gradimento possono sembrare, a quarant’anni di distanza, a tratti persino stuc-chevoli. Ma il larghissimo consenso popolare, assieme alle opinioni pressoché

37 Nel 1974 Giancarlo Guardabassi, in riferimento al suo programma televisivo Musica in libertà, autodefinì la trasmissione «l’Alto Gradimento televisivo», «un helzapoppin della canzone italiana che cerca un filo con-duttore tra le diverse tendenze musicali del momento», L. Facchinotti, L’industria discografica tra produzione e consumo, cit. p. 99-100.38 Cfr. G. Gola, Tra pubblico e privato, cit., pp. 99-100. Non è un caso che una delle prime esperienze di radio privata, Radio Monte Stella, adattasse alle proprie trasmissioni, per stessa ammissione dei conduttori, la forma di dialogo tra i due speaker di Alto Gradimento, cfr. Marco Gaido, Radio libere?, cit., p. 32.39 F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 393.

Copertina della colonna sonora originale del film tratto dal perso-naggio di Alto Gradimento il colonnello Buttiglione (1973)

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entusiastiche della notoriamente feroce critica radiofonica40, convergono oggi nel decretare il successo di una trasmissione radio che, malgrado tutto, sembra ormai essere entrata di diritto a far parte dell’immaginario di un’intera genera-zione, soprattutto in virtù della sua capacità di trasformare i canoni della tra-dizione istituzionale e costruire un modello culturale nuovo, apparentemente “libero” e dichiaratamente “alternativo”.Se la trasmissione di Arbore e Boncompagni ha certamente inciso nella defini-zione di una struttura radiofonica inedita, basata soprattutto su un linguaggio rivoluzionario41 – per certi versi analogo a quello che sarà adottato prima dalle emittenti private e poi dalle radio libere42 –, bisogna anche sottolineare come molto poco sia stato fatto dal punto di vista dei contenuti veicolati, che non si svilupparono mai in modo altrettanto innovativo43. La forma del divertissement radiofonico tese spesso a schiacciare ancora di più il messaggio sul medium, finendo per identificare i due elementi della comunicazione in un vortice di nonsense. L’incidenza di Alto Gradimento sulle cosiddette «figlie degeneri» fu proprio nel lasciare inconsapevolmente in eredità le ricerche formali già spe-rimentate44, che saranno riattualizzate dalle prime esperienze di radio libere – finalizzate, nello specifico, a una libera ricerca di creatività intrecciata a un rifiuto ideologico del passato e dei suoi schemi – e sorrette dall’elaborazione di contenuti, stavolta sì, intrinsecamente sovversivi. Più che un’influenza diretta o un influsso reciproco tra le due esperienze, quindi, è possibile affermare che Alto Gradimento abbia sì fornito un modello formale per le radio libere, ma che i percorsi politici intrapresi da molte di queste – alcune delle quali persistettero negli anni – finirono per risultare in aperta conflittualità con gli esiti aperta-mente integrati ai modelli istituzionali cui giunsero Arbore e Boncompagni.

40 L’intero dibattito critico sulla trasmissione è riportato sinteticamente da S. Dark in Id., Libere!, cit., pp. 38-40. Le varie analisi, comunque, si limitano all’aspetto strettamente formale della trasmissione, non distanziandosi da un’esaltazione generalizzata dei soli canoni estetici e radiofonici.41 Fausto Colombo osserva come, mescolando «sapientemente musica e personaggi caratteristici avvolti nei propri tormentoni, nella forma di un surreale varietà», la trasmissione riuscì nella difficile opera di unire creatività rivoluzionaria e capacità di inventare forme comunicative «leggere», F. Colombo, Il paese leggero, cit., p. 96 e Id., La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni Novanta, Bompiani, 1998, pp. 272-273.42 Su questo, Goffredo Fofi sembra avere delle perplessità: secondo la sua opinione, infatti, le radio libere dalla «parrocchiona seriosità» e dal «diluvio di chiacchiere» avrebbero poco da contrapporre ad Alto Gra-dimento, G. Fofi, Le voci dell’epoca in F. Monteleone e P. Ortoleva (a cura di), La radio ieri oggi domani, Catalogo della mostra di Torino Lingotto, Eri, 1994, p. 96.43 A tal proposito, Peppino Ortoleva ha osservato come «il gioco delle macchiette e la stessa tecnica di produzione, basata su idee spesso inventate sul momento, finì col dare spazio ad alcuni dei processi di trasformazione del periodo, ad esempio la contestazione collettiva», P. Ortoleva, Alto Gradimento, cit., p. 21.44 Secondo Guido Crainz, il programma di Arbore e Boncompagni fu una rivoluzione del linguaggio e del costume che mutò «in un punto essenziale il rapporto fra radio e pubblico» (G. Crainz, Un archivio sonoro del mondo attuale in F. Monteleone, a cura di, La radio che non c’è. Settant’anni, un grande futuro, Donzelli, 1994, p. 115), mentre Umberto Eco osserva come con Alto Gradimento il dialogo surreale diventasse tecnica radio-fonica, facendo scuola per le trasmissioni successive, che sarebbero costrette a fare i conti con un nuovo canone (cfr. U. Eco, Dalla periferia all’impero, Bompiani, 1977, p. 330).

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