Dall'ago crinale alla sperada - MuseoBiassono...ricciolute affinchè i capelli bagnati di unguenti...

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Museo Civico - Carlo Verri - Biassono G.R.A.L. Gruppo di Ricerche archeostoriche del Lambro Dall'ago crinale alla sperada una corona d'argento per la donna della Lombardia Mostra Etnografica Museo civico “Carlo Verri”

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  • Museo Civico - Carlo Verri - Biassono

    G.R.A.L.

    Gruppo di Ricerche archeostoriche del Lambro

    Dall'ago crinale alla sperada una corona d'argento per la donna

    della Lombardia

    Mostra Etnografica Museo civico “Carlo Verri”

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    GUIDA ALLA M OSTRA

    E’ la prima volta che cerchiamo di guidare il visitatore consigliandolo di voler notare quelle cose che a noi si sono palesate solamente al termine della preparazione della mostra e dopo aver raggruppato i lavori dei vari autori. Se al primo approccio il tema si sarebbe potuto classificare solamente come folkloristico o etnologico, non appena steso il primo progetto ci siamo accorti che lo studio ci avrebbe portati molto lontani nel tempo ma senza per questo allontanarci di un sol passo dalla nostra Brianza. Nell’opera di Camillo Marinoni(1), in uno dei primi studi sulla preistoria lombarda, ci vengono mostrati gli aghi crinali, che tremila e più anni fa erano già il frutto di una lunga evoluzione tanto che non uno era identico all’altro. Avevano già subito tante diverse modellazioni che li rendevano ovviamente di forma utile allo scopo ma anche e principalmente belli ed accettati dalla donna che li usava. Non si può parlare di vanità ma di carattere, di scelta ben chiara e precisa, forse di segnali distintivi di rango. Uno dei più interessanti ritrovamenti è quello di Capriano (oggi frazione di Briosco) dove nella località Carìgg, in un antico laghetto morenico, scavando torba era emerso un corredo femminile completo dove, accanto alla fibula per chiudere le vesti, c’era anche l’ago crinale per assicurare l’acconciatura che pensiamo elaborata in trecce, fermate forse da spirali in bronzo; completavano l’abbigliamento braccialetti e cavigliera ed un pendente a cerchi concentrici di significato misterioso che l’autore non esita a chiamare amuleto. Anche il laghetto di Sartirana presso Merate ci ha restituito un ago crinale o spillone di disegno più elaborato. Numerosissimi poi quelli da tutta la Lombardia. Con un salto temporale di 1300/1500 anni troviamo a Biassono, in una villa romana, sita dove ora sorge cascina Sant’Andrea, una matrona attorniata dalle ancelle e da una ornatrix (pettinatrice) che le sta montando, è il termine più appropriato, una elaborata pettinatura. Uno spillone forse si spezza e con un gesto di stizza viene buttato via. Noi lo abbiamo ritrovato! L’interessante lavoro di Chiara Bianchi ci mostra come lo strumento simbolo dell’ornatrix era, con il pettine, l’acus discriminalis, una sorta di spillone con un’estremità a cucchiaio utilizzato per suddividere in ciocche i capelli e per ungerli con unguenti. Questo strumento dopo aver assolto alla sua funzione diventava la spadina più importante, ed a volte l’unica, per fissare tutta la capigliatura: perno attorno al quale si avvolgevano le trecce che rimanevano saldamente bloccate.

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    Ecco trovato l’antenato famoso

    del cugialit, simbolo delle sperade della

    nostra Brianza. La ricerca di Luigi Sara ci illustra tanti di questi cugialit tutti

    caratterizzati dalla presenza di

    un’impronta concava, anche di

    diverse dimensioni, così come dell’antico

    acus.

    Fig. 1- Costume brianzolo

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    L’E TÀ ROMANA

    In età romana gli spilloni (prodotti oltre che in osso, in avorio, bronzo, argento, oro e anche altri materiali come il giaietto - pietra nera adoperata per bottoni e ornamenti) svolgevano nell'ambito della toilette femminile tre funzioni principali:

    1. applicazione di unguenti ed altri prodotti cosmetici prelevati da unguentari ed altri contenitori;

    2. divisione dei capelli nelle operazioni di pettinatura allo scopo di separare le ciocche;

    3. fissaggio, sostegno ed elevazione dei capelli nelle diverse acconciature. Esistono delle fonti letterarie, iconografiche e archeologiche oltre a diverse e significative testimonianze dell'uso degli spilloni.

    L'uso come asticelle per prelevare da contenitori alti e stretti unguenti e per applicarli fra i capelli o in altre parti del viso era sicuramente molto comune e rendeva questi strumenti indispensabili nel necessaire da toilette femminile (come del resto ancora ai nostri giorni aste sottili servono per prelevare e applicare essenze di profumo). Tale funzione è già chiaramente documentata su due stamnoi (grosso recipiente in ceramica per vino) a figure rosse di produzione falisca, databili alla prima metà del IV sec. a.C., rinvenuti a Orvieto, sui quali è rappresentato un eroe che tiene in una mano un alabastron (piccolo recipiente per unguenti) e nell'altra uno spillone con testa sferoidale con il quale profuma i capelli di Arianna abbracciata da Dionisio. Non è possibile individuare specifici tipi di spilloni destinati a questo scopo, in quanto tutti gli spilloni di una certa lunghezza, ma abbastanza sottili, potevano egregiamente svolgere questa funzione, forse anche quelli con teste figurate. La presenza della testa poteva favorire la presa, ma non era indispensabile. Alcuni studiosi ritengono che la presenza di tracce di colore bruno scuro e di bruciato sulla punta di alcuni spilloni sia una prova a favore del loro uso per l'applicazione di unguenti o altri prodotti cosmetici, costituiti da sostanze che in alcuni casi dovevano anche essere riscaldate, come la cera applicata per tenere i capelli in ordine.

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    L'uso di spilloni per suddividere le ciocche di capelli da acconciare (con modalità simili alle code appuntite di alcuni pettini di età moderna) è documentato da fonti letterarie di età romana, che attestano chiaramente l'esistenza di acus discriminales o discriminalia; strumenti sovente collegati alle mansioni delle ornatrices (serve parrucchiere). Di questo tipo di acus, strumento usato dall'ornatrix (pettinatrice), abbiamo notizia da Ovidio che nelle sue descrizioni delle dame dell'alta società romana disapprova la signora capricciosa che punisce ogni minimo errore dell'ornatrix strappandole l'acus dalle mani e ferendole con esso le braccia (Ars am., III, 240), oppure loda un'altra signora che pur essendo stata pettinata davanti al poeta diverse volte, mai è stata vista ferire l'ornatrix con lo spillone (Amores, I, 14). Nel De lingua latina di Varrone (V, XIX, 129) è definito discerniculum lo strumento con il quale vengono divisi i capelli, mentre Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae (XIX, 31,8) spiega chiaramente che i discriminalia sono così chiamati perché con essi si suddivide la capigliatura. Potrebbe essere riferita a spilloni di questo tipo la scena di toilette incisa su uno specchio etrusco, nella quale una signora è circondata da tre ancelle intente a terminare la sua acconciatura, una delle quali ha in mano uno spillone piuttosto lungo senza la testa. La medesima funzione può essere supposta per lo spillone dello stesso tipo tenuto in mano da una donna inginocchiata che si specchia raffigurata su un altro specchio etrusco. Si ritiene che gli spilloni più funzionali a quest'uso fossero quelli con testa non distinta dallo stelo, piatta o a forma di calotta sferica o a forma di cono, soprattutto quelli più lunghi e voluminosi, ma non si può escludere che anche altri spilloni delle stesse dimensioni e con una testa figurata molto ingombrante (a pigna, a busto femminile, a figura umana intera, a mano, ad ascia) fossero più adatti a quest'uso che ad essere posti tra i capelli. Si ricorda anche un'epigrafe funeraria dall'agro romano, conservata ai Musei Vaticani, dedicata ad un'ornatrix, sulla quale sono raffigurati, quali insegne professionali, un pettine a doppia fila di denti e uno spillone, che presenta nella parte superiore un'incavatura allungata, che poteva essere utilizzato per mescolare e applicare prodotti cosmetici e anche per suddividere le ciocche di capelli. Passando ad esaminare l'uso degli spilloni per fermare i capelli e sostenere le acconciature, decisive sono le testimonianze delle fonti letterarie, che documentano chiaramente la funzione degli acus crinales (ago crinale) posti tra i capelli. Isidoro di Siviglia afferma chiaramente che gli spilloni sono gli strumenti che nelle acconciature femminili servono a trattenere la compagine dei capelli, affinchè essi non si spargano disordinatamente (Etym., XIX, 31, 9).

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    Il poeta Marziale sui bigliettini in versi che accompagnavano i regali presenta un'acus aurea esortando a fissare in testa lo spillone che sostenga le chiome ricciolute affinchè i capelli bagnati di unguenti non sporchino le preziose vesti (Epigr., XIV, 24). E lo stesso Marziale ritorna sul tema della terribile vendetta della signora che punisce istericamente la povera parrucchiera solo perché un unico ciuffo di tutta la chioma ha "sgarrato" perché fissato male incerta acu (Epigr., II, 66). Abbiamo poi notizia di usi impropri degli spilloni, che con una certa misoginia, vengono presentati come la tipica arma femminile. Lo storico Dione Cassio presenta Fulvia, moglie di Marco Antonio, che tenendo sulle ginocchia la testa di Cicerone assassinato, fora con uno spillone la lingua dell'oratore che aveva tuonato contro il marito. (XLVII, 8). Altro episodio narrato da Dione Cassio è una versione del suicidio di Cleopatra secondo la quale essa si sarebbe suicidata non con il morso di un serpente, ma pungendosi con uno spillone unto di veleno che era solita portare in testa. (LI, 14). In Apuleio una donna si vendica sull'assassino del marito accecandolo perforandogli entrambi gli occhi con un ago crinale (Metam., VIII, 13). Le testimonianze iconografiche dell'uso degli spilloni per fissare le ciocche di capelli sono rare e relative ad usi molto particolari e limitati perché gli spilloni nella maggioranza dei casi venivano accuratamente nascosti, in modo che svolgessero la loro funzione di sostegno senza essere visti. Si può ritenere che le elaborate acconciature femminili, attestate nei ritratti soprattutto di età imperiale , fossero realizzate mediante l'utilizzo di spilloni che fermavano riccioli e ciocche. Esemplare è il caso delle tipiche acconciature con alto diadema in voga nei decenni a cavallo tra il I e il II sec. d.C., realizzate mediante l'utilizzo di complesse intelaiature di spilloni rivestite di capelli, in alcuni casi posticci. Una prova di quest'uso è il ritrovamento, nella zona di El-Fayoum di un diadema attribuibile ad un'acconciatura di età traianea, costituito da capelli posticci con all'interno più di 60 spilloni in bronzo con teste sferoidali irregolari, che però fuoriescono in parte a formare una cresta che risultava visibile al vertice della testa.

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    Spilloni Rinvenuti nelle Tombe delle Necropoli di via Carloni a Como

    Gli spilloni rinvenuti nelle tombe 9 e 14 della necropoli di via Carloni a Como, databili al II sec. d.C., sono omogenei dal punto di vista tipologico e appartengono ad una variante molto semplice e comune. Presentano infatti tutti una testa ovoidale piuttosto piccola, con le sfaccettature di lavorazione spesso non levigate, esito di un metodo di produzione piuttosto corrente (variante del sottotipo A XX, 8 della classificazione impostata da J.C. Bèal). Gli spilloni in osso con testa ovoidale sono tra i più diffusi nel mondo romano (insieme a quelli molto simili a testa sferica e a quelli ancora più semplici con la testa non distinta dallo stelo e estremità a forma di cono molto basso o di calotte sferica), e sono stati rinvenuti in quantità rilevante in moltissimi siti. Nella necropoli della Tintoria Pessina a Como una tomba femminile rinvenuta nel 1921 restituì fra gli oggetti di corredo sei spilloni in osso rinvenuti sparsi intorno ad un astuccio cilindrico in bronzo.

    Fig. 2 Testa di spillone in osso a busto femminile

    dalla villa romana di Biassono Cascina Sant Andrea

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    Spillone Rinvenuto nello Scavo della Cascina S.Andrea a Biassono

    Nel 1975 nel corso di scavi effettuati a Biassono presso la cascina S.Andrea è stata rinvenuta una testa di spillone in osso configurata a busto femminile. Lo stelo, oggi mancante, era originariamente lavorato separatamente ed inserito nella cavità ricavata all'interno del busto. La testa femminile presenta un'acconciatura resa mediante pochi solchi disposti obliquamente intorno al viso che indicano la direzione dei capelli pettinati alti sopra la fronte e ai lati del volto, alla sommità del capo, in posizione lievemente rientrante, vi è una banda orizzontale, liscia e leggermente arcuata; sul retro della testa la direzione dell'acconciatura è resa mediante dei solchi che dall'alto, rispettivamente da destra e da sinistra, scendono obliquamente convergendo e incrociandosi in basso al centro. Sul busto sono indicate le morbide pieghe della scollatura della veste; sul retro due larghi solchi determinano un elemento triangolare. I lineamenti del volto sono indicati con pochi solchi incisi abbastanza superficialmente, ma molto incisivi ed efficaci nel rendimento dei tratti fisionomici essenziali. Gli spilloni con testa configurata a forma di busto femminile (sottotipo A XXI, 8 della classificazione tipologica di J.C. Bèal), costituiscono un gruppo molto significativo, per il quale sono possibili considerazioni stilistiche e iconografiche. In particolare l'osservazione della tipologia dell'acconciatura e della forma del busto permette in molti casi un inquadramento cronologico abbastanza preciso. Esemplari di questo tipo sono attestati a partire dall'età claudio-neroniana (I sec. d.C.) diventano particolarmente frequenti in età flavio-traianea (I-II sec. d.C.), e continuano seppure con una certa discontinuità fino all'età tardoantica (IV-V sec. d.C.), documentando di volta in volta le diverse acconciature in voga. Per l'epoca di massima diffusione tra l'età flavia e l'età traianea, nella quale si era diffusa la moda di complicate acconciature con alti diademi di capelli elevati sopra la fronte, è possibile seguire sulle teste degli spilloni le varianti di queste pettinature. Lo spillone di Biassono presenta invece un'acconciatura che può essere riferita ad una particolare foggia, nella quale i capelli erano fatti scendere ai lati del volto e poi sul retro raccolti in una larga treccia e fatti risalire dalla nuca fino alla sommità della testa e ivi fissati, formando una specie di cresta visibile sul lato frontale. Tale acconciatura trova confronto in ritratti femminili databili tra la seconda metà del III e il IV sec. d.C. (si veda ad esempio una figura

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    femminile di età tetrarchica ritenuta Eutropia, moglie di Massimiano, in un mosaico di Piazza Armerina). Lo spillone rinvenuto a Biassono trova confronto in diversi esemplari quasi identici e appartiene quindi a un tipo che conobbe una vasta diffusione. Spilloni simili sono infatti attestati in Italia ad Aquileia, in Francia a La Pegue (da livello tardoimperiale o paleocristiano), Orange, Tournus, Cimiez, Escolives-Sainte-Camille (da contesto datato tra la fine del IV e l'inizio del V sec. d.C.), in Svizzera ad Augst, in Germania a Mainz, in Portogallo a Coninbriga, in Gran Bretagna a Richborough e Colchester, mentre sono di provenienza ignota una testa conservata in Vaticano e due esemplari al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

    Costruzione dello Spillone Romano Durante gli scavi archeologici in piazza Erculea a Milano, ci si è imbattuti nell’officina di un fabbricante di spilloni in osso. Da ossa lunghe bovine si ritagliavano delle listarelle di sezione adeguata, che venivano poi assottigliate lasciando un ingrossamento ad una estremità. Per ultima veniva rifinita la testa dello spillone che poteva essere molto semplice o anche, ma raramente, elaborata.

    Conclusioni L'effettiva metodologia utilizzata nella realizzazione delle artificiose acconciature con altissimi diademi adottate dalle imperatrici e dalle donne dell'aristocrazia rimane tuttora poco chiara. È verosimile comunque che nella realtà tali pettinature fossero recepite e adottate nei diversi strati sociali con opportune semplificazioni in modo che le intelaiature di spilloni fossero meno alte e più stabili. Una ipotesi ricostruttiva della struttura di queste intelaiature di spilloni incrociati che rimanevano celati sotto i capelli è stata avanzata da J.C. Bèal (fig. 6). È logico ritenere che gli spilloni più adatti a questa funzione fossero di media lunghezza e con teste di forma semplice (conica, sferica, ovoidale), cioè gli spilloni dei tipi più comuni restituiti dagli scavi. La testa piuttosto piccola, pur rimanendo nascosta, permetteva stabilità una volta che lo spillone era fissato tra i capelli. Le testimonianze iconografiche dell'uso degli spilloni posti invece in modo da essere ben visibili tra i capelli sono estremamente rare, in quanto attestano mode che furono adottate in epoche specifiche e limitate. Ad esempio, tra la fine del I e l'inizio del II sec.d.C., all'epoca in cui erano in uso le acconciature con alti diademi di capelli sopra la fronte sopra citati, si

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    diffuse sporadicamente la moda di infilare nella ciambella sul retro della testa un lungo spillone posto orizzontalmente, che nelle rappresentazioni presenta una testa ovoidale appiattita con un'incavatura. Attestano quest'uso una testa in terracotta da Siviglia (fig. 7), una testa in marmo conservata a Roma, Palazzo Corsini (fig. 8), e una testa documentata graficamente da Apt (fig. 9). La stessa usanza è testimoniata anche da alcuni ritratti dipinti di mummie databili all'età flavia, traianea e antonina dalla zona di El-Fayoum in Egitto, sui quali sono riconoscibili spilloni infilati orizzontalmente o obliquamente nella grande crocchia a ciambella sul retro della testa (figg. 10-14) o anche posti a formare una raggiera con le loro teste sferiche emergenti sulla sommità della testa (fig. 15). La tipologia degli spilloni è estremamente varia, dai tipi più semplici con la testa non separata dallo stelo e terminante a forma di calotta sferica o cono, a quelli con la testa distinta dall'asta, di forma conica, sferica, ovoidale e altre forme geometriche semplici, e infine agli spilloni più elaborati con la testa figurata (a pigna, a mano, a busto femminile), che svolgevano sicuramente anche una funzione ornamentale. Una prima classificazione tipologica delle diverse forme di spilloni in osso è stata elaborata, sulla base degli oggetti in osso del Musèe de la Civilisation gallo-romaine de Lyon, da J.C. Bèal, che li ha raccolti in due tipi: A XX, spilloni senza decorazioni figurata, e A XXI, spilloni con decorazione figurata, suddivisi a loro volta in numerosi sottotipi (fig. 16). La tavola tipologica elaborata da Bèal è stata integrata e affinata in studi successivi.

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    Fig. 3 - Donne all’arcolaio , 1853 circa, litografia acquerellata di Giuseppe Elena, mm 215x295.

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    ORIGINI DELLA SPERADA

    Nel paragrafo dedicato alla “Guida alla mostra” abbiamo letto delle antichissime origini dello spillone o ago crinale, origini che si perdono nel buio della preistoria. Nello stesso buio ci stiamo trovando ora, non riuscendo a scoprire le origini della raggiera o sperada lombarda. Lasciamo ad Alessandro Manzoni la descrizione di Lucia agghindata per il giorno delle nozze:

    “....lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’ raggi d’un’aureola”.

    È una descrizione semplice e concisa che può adattarsi alle immagini più antiche che abbiamo dell’acconciatura brianzola. Cronologicamente primi sembrerebbero gli acquerelli dell’Aspari che nel 1811, su incarico di Napoleone Bonaparte, documentò i costumi popolari lombardi del Dipartimento dell’Olona. Sul capo di una popolana, una giovane contadina di Barlassina, pone una semplice raggiera formata da non più di dieci spadine che trattenevano un velo bianco. Una simile acconciatura viene riproposta in un’altra incisione coeva. Caratterizzate da un numero ridotto di spadine sono anche le raggiere ticinesi che sembrano rappresentare un’evoluzione colta dei costumi lombardo-comaschi più antichi. Anche per queste i disegni sono dei primi decenni dell’800. Le notizie sull’uso della raggiera prima di tale periodo sono molto scarne: L.Rigoli (1) scrive che su una tavola geografica stampata nel 1620, riguardante la parte settentrionale del Ducato di Milano e dedicata al Cardinale Federico Borromeo, appare una figuretta femminile che porta sul capo una raggiera con spontone molto vistoso e altre spadine: cinque con profilo ogivale ed uno molto largo e piatto. Anche Angelo Borghi (2) ci informa che tra gli oggetti donati nel 1684 alla Madonna del Rosario della Collegiata di Lecco si trova qualcosa di molto simile alla raggiera descritta per Lucia. Come si vede i ritrovamenti più antichi sono molto scarsi e tali da far affermare ad alcuni autori che la raggiera compare “in Lombardia in ambito borghese solo verso il 1800: li usarono (gli spilloni) prima le dame, poi imitate dalle donne delle classi più umili. … A livello popolare compare solo verso il 1840 e sarà solo verso il finire dell’Ottocento che le spadine si presentano fittissime, tanto da costituire un’argentea superficie continua” (3)

    È nostra convinzione che l’uso femminile di acconciare i capelli in lunghe trecce raccolte dietro la nuca e fissate con aghi crinali sia continuato dalla preistoria sino ai giorni nostri (o quasi). Gli spilloni hanno invece subito le

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    molte variazioni dettate da moda, tradizioni, simbologia e ricchezza. A volte dovevano essere appariscenti, in altri casi invisibili e nascosti. L’argento, per la sua preziosità e la sua naturale lucentezza, ha sicuramente riscosso molte preferenze. Il desiderio di “apparire” ha trasformato poi l’essenzialità del sistema, riscontrabile ancora nell’acconciatura della contadina di Barlassina disegnataci dall’Aspari, in una “vera coda di pavone spiegata a ventaglio”. (4)

    Fig. 4: logo del Gruppo folckloristico “Renzo e Lucia”

    1 RIGOLI L., in Lecco città manzoniana, E.P.T. Lecco, 1994. 2 BORGHI A., in Lecco città manzoniana, cit. 3 LURATI O., BOLLA S., L’immagine della tradizione. Ideologia e storia nel

    costume popolare con la riproduzione di rari esempi ticinesi e svizzeri, Milano 1990.

    LEVI-PISETZKY, Il costume e la moda nella società italiana, Torino 1978. 4 CALDERINI E., Il costume popolare in Italia, Milano, 1934.

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    TRADIZIONE M ODERNA DELLA SPERADA

    Non si hanno notizie di un impiego di acconciature simili alla sperada prima del XIX secolo. La donna di alto rango, soprattutto nel Settecento, portava acconciature molto elaborate, spesso con trecce inghirlandate, ricorrendo volentieri sia a tuopet (parrucche) che a copricapo dalle fogge e dalle dimensioni sempre più insolite, dettate dai sarti di Parigi e di Londra, come si legge nei giornali per dame di fine Settecento (per esempio ne “La donna galante ed erudita”, stampato a Venezia). Le raffigurazioni pre-ottocentesche di donne del popolo le mostrano quasi sempre con i capelli raccolti, coperti con un fazzoletto o con cuffie di varia foggia. L’uso di mostrarsi a capo scoperto (i maschi con i capelli anche cortissimi - alla Brutus, si diceva) è forse un retaggio che prende piede fra Settecento e Ottocento, e le nuove abitudini vengono prontamente registrate dagli artisti e dai ritrattisti. La donna si mostra pettenada in cavej, come si diceva rifacendosi al francese coiffée en cheveux. A partire dai primi decenni dell’Ottocento compaiono quindi le prime acconciature impreziosite da sperada nelle stampe e nei dipinti di soggetto profano, e in pochi anni la sperada sembra divenite un complemento irrinunciabile della donna lombarda: in alcuni quadri di Giovanni Migliara, per esempio, si vedono popolane ornate con modelli già simili a quelli che conosciamo. Nel quadro che rappresenta la filanda Mylius di Boffalora (1828) tutte le operaie raffigurate portano la sperada. Logico quindi che Alessandro Manzoni, in quegli stessi anni, immaginasse Lucia Mondella (anche lei filarina), con il capo acconciato con gli spadini d’argento. Da quel momento, grazie anche alla miriade di edizioni illustrate de “I promessi sposi”, la donna lombarda è immancabilmente immaginata e descritta con la sua bella sperada d’argento. Che non fosse solo un ornamento per le donne di condizione popolare lo si evince dal fatto che le suddite lombarde, nel 1857, donarono una sperada d’oro a Carlotta d’Asburgo, in occasione delle nozze con lo sfortunato Massimiliano.

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    Una descrizione ottocentesca Francesco Cherubini, nel suo Vocabolario milanese-italiano, edito a Milano nel 1839, tratta il tema alla voce speronada, che considera più diffusa di sperada: “Speronàda, che i Bergamaschi dicono Ràggia ed altri tra noi Gìr o

    Girón . La trecciera. Intrecciatojo. Fra Speronàda e Coo d’argent corre questa diversità, che la prima è numerosissima di spilli, stuzzicaorecchi, ecc., la seconda è poco numerosa di siffatte galanterie. La trecciera si compone di

    Spazzorècc = stuzzicaorecchi Spadìnn = spadine, spadini, fusellini Spontón o Guggión = Agone Ball = Bottoni?”

    Alle voci specifiche vengono meglio definiti anche questi componenti:

    “Spazzorècc. Stuzzicaorecchi. Specie d’ago lungo, piatto e colla capocchia a scodellino, col quale si nettano gli orecchi. Molti di questi cosetti fatti d’argento si ficcano ne’ capegli le nostre contadine onde insieme cogli spadini e coll’agone (spontón) formino quella specie di trecciera a corona colla quale raccolgono i capegli e le trecce presso il cocuzzolo. Lo spazzorècc è talora fatto servire anche per Dirizzatojo. Addirizzatojo. Drizzacrine. Discriminale, che gli antiquari dicono Ago crinale.”

    “Spontón. Agone. Fusolino d’argento con due bottoni a uliva dai due capi, il

    quale serve di base alla semicorona di spadini e stuzzicaorecchi di che le nostre contadine fansi trecciera in sul capo. Con Ball e Bacchetta.”

    “Guggión. Spillone. Spillo lungo col capo assai grosso e tondo. E’ anche nome

    di quegli spilli di ottone onde le contadine si fanno trecciera per fermare i capelli.”

    La differenza principale fra Spontón e Guggión consisteva probabilmente nel materiale: argento per il primo e d’ottone per il secondo. Ma anche nell’uso: solo lo Spontón si accompagnava agli spadini e agli stuzzicaorecchi, mentre il Guggión veniva usato da solo come fermacapelli.

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    La trecciera veniva montata sulla trecce (pettenade in trezz a la paisanna, dice il Cherubini): il Coàzz (o Covàzz, o Quàzz): “nome di quelle due trecce nelle quali le contadine bipartiscono la loro capellatura deretana, e che poscia vengono arrotolando sull’occipite”.

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    Invece della sperada: voci lombarde sull’arte di pettinarsi i capelli e di acconciarsi con il pettine

    Oltre che ricorrere a capigliature posticce, ovvero ad acconciarsi cont el toppè ci si poteva acconciare i capelli in diversi altri modi; sempre Francesco ne elenca diversi: i più semplici erano le pettinature: “a la bambinna: in treccia, in trecce. Coi capegli sparsi” “cont el coronìn: coll’acconciatura del capo avente un coroncino per

    cocuzzolo” “cont el zestìn: colla capellatura intreccata sul capo sì che nel cocuzzolo

    presenti come una panierina di capelli” “cont el bojòcch: coi capegli acconciati sì che ne risulti come un batuffoletto

    sul cocuzzolo” (bojòcch significa rapa)

    oppure

    “a canellón: coi capegli a riccioni (à tirebouchon de’ Francesi)”

    per veglie e balli ci si pettinava:

    “a gall: colla capellatura intermista di cappj e nastri” Oppure i capelli potevano venire fermati da pettini più o meno elaborati. Ve n’erano di tantissimi tipi: Pètten a la pajsanna (molto semplice e con la costola tonda); a arzella (scannellato e con la costola a valva); a bombé (con la costola ad arco); a cordòn (liscio e con costola semplice e piana); a diademma; a galla (con la costola a due o tre viticci che bloccano i capi dell’acconciatura); a la greca o a la baluard (con la costola ondulata, con trafori e occhielli), a l’ulana (con la costola sagomata a berrettone da ulano), a portaruff o revoltàa o a zestin (con la costola perpendicolare al piano dei denti); a serpent; de lastra o a lastrinna (con la costola bassa e piccoli occhielli), ma non erano rari pettini con costole ornamentali, piuttosto alte, che prefigurano l’acconciatura con la sperada: il pètten a la giraffa, a la rococò (con “grottesche”), a spadinna, ma anche quello a la bambinna (o a la ninon), un vero e proprio pettine a trecciera, per il quale il solito Cherubini rimanda alla Pettenèssa dei Napoletani.

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    L’E TÀ NAPOLEONICA

    Domenico Aspari e l’Inchiesta “Demologica” del Regno Italico

    Domenico Aspari nacque a Milano da genitori ticinesi nel 1745. Entrò dapprima nell’Accademia di Belle Arti di Parma come studente e poi alla Scuola d’Arti di Brera, a Milano, come professore di disegno. Quando Maria Teresa d’Austria creò ufficialmente l’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1776, l’Aspari venne nominato docente di elementi di figura. Il suo insegnamento all’Accademia continuò in età napoleonica ed ebbe termine nel 1826, anno in cui si ritirò in pensione. Morì a Milano nel 1831. Domenico Aspari fu architetto, pittore e soprattutto incisore. Famose sono le Vedute di Milano dove rappresenta, in grande formato, i monumenti più famosi di Milano (per esempio il Castello Sforzesco, le colonne di San Lorenzo, Piazza Belgioioso, Palazzo del Senato, il Teatro alla Scala, il Palazzo di Brera ecc.), fornendoci la minuziosa descrizione di piazze, palazzi e chiese e offrendoci, insieme, uno spaccato di vita milanese, nelle figure di nobili, borghesi e popolani, ben rappresentati nei loro costumi ancora settecenteschi. Nel 1811 Napoleone Bonaparte promosse un’indagine demologica, per documentare usi, tradizioni, costumi e dialetti delle popolazioni del Regno Italico. Quest’indagine comprendeva un questionario, a cui avrebbero dovuto rispondere i parroci e i sindaci dei vari paesi, e una serie di illustrazioni affidate a diversi artisti. Di questo ampio progetto è noto proprio il questionario che venne formulato e alcune delle risposte, oltre ad alcune serie di illustrazioni. Quest’indagine rientrava nel clima culturale dell’epoca: in età napoleonica infatti gli studiosi, soprattutto francesi, rivolsero le loro attenzioni alla cultura e alle tradizioni popolari, ponendo le basi per lo studio del folklore. La Francia, con la fondazione a Parigi nel 1804 dell’Academie céltique, si pose all’avanguardia degli studi. Nell’ambito dell’indagine napoleonica Aspari ebbe il compito di illustrare i costumi del Dipartimento dell’Olona. Dipinse sei acquerelli di cm 96x155: dai seguenti soggetti: - Contadino della Brianza - Paesano di Abbiategrasso - Paesano dei dintorni di Monza - Contadina di Fugino

  • Dall'ago crinale alla sperada

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    - Giovane contadina di Barlassina - Villana di Busto Piceno Nella Giovane contadina di Barlassina l’Aspari dipinse una sperada, sebbene in modo poco dettagliato e abbastanza inesatto: questa illustrazione è però estremamente importante perché costituisce, per ora, una delle più antiche rappresentazioni a noi note dell’uso di tale ornamento. Non si può comunque escludere che la mancanza di documentazione in merito per i periodi precedenti sia dovuta allo scarso interesse che il mondo popolare suscitava negli artisti e nei loro committenti.

    La Collezione “Emma Calderini” La Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” di Milano conserva il materiale della studiosa Emma Calderini, che si occupò, nella prima metà di questo secolo, di costumi e tradizioni popolari. La ricca documentazione è composta da fotografie, cartoline postali, ritagli di giornale, appunti, disegni, che in gran parte sono confluiti nell’opera Il costume popolare in Italia, edito a Milano nel 1934. In Mostra ne viene presentata una parte relativa alla Lombardia, con particolare attenzione alla Brianza e alle province di Como e Varese. La maggior parte delle illustrazioni sembra risalire agli anni 1920-1940. È da Emma Calderini che veniamo a sapere che un gran numero di sperade in argento venne “sacrificato”, quando Benito Mussolini invitò gli Italiani a donare “oro alla Patria”.

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    RINGRAZIAMENTI

    I testi sono stati redatti a cura di Marinella Salerno del GRAL. Le fotografie sono di Roberto Fumagalli del GRAL.

  • Dall'ago crinale alla sperada

    Pubblicazione non periodica a cura del GRAL – settembre 1998 Gruppo Ricerche Archeostoriche del Lambro c/o Museo Civico di Biassono "Carlo Verri" via San Martino, 1 - I-20853 BIASSONO MI sito: www.museobiassono.it e-mail: [email protected]

    INDICE GUIDA ALLA MOSTRA ....................................................................................... 2 L’ETÀ ROMANA ............................................................................................... 4

    SPILLONI RINVENUTI NELLE TOMBE DELLE NECROPOLI DI VIA CARLONI A COMO ..... 7 SPILLONE RINVENUTO NELLO SCAVO DELLA CASCINA S.ANDREA A BIASSONO ........... 8 COSTRUZIONE DELLO SPILLONE ROMANO ............................................................... 9 CONCLUSIONI........................................................................................................ 9

    ORIGINI DELLA SPERADA ................................................................................. 12 TRADIZIONE MODERNA DELLA SPERADA ......................................................... 14

    UNA DESCRIZIONE OTTOCENTESCA ....................................................................... 15 INVECE DELLA SPERADA: VOCI LOMBARDE SULL’ARTE DI PETTINARSI I CAPELLI E DI ACCONCIARSI CON IL PETTINE ............................................................................... 17

    L’ETÀ NAPOLEONICA ..................................................................................... 18 DOMENICO ASPARI E L’I NCHIESTA “D EMOLOGICA” DEL REGNO ITALICO .............. 18 LA COLLEZIONE “E MMA CALDERINI” .................................................................. 19

    RINGRAZIAMENTI ........................................................................................... 20