Dalla contabilità analitica

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Capitolo 3 Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale Bozza maggio 2011 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Carmine D’Arconte.- Aprile 2011

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Capitolo 3

Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla

contabilità direzionale

Bozza maggio 2011

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Carmine D’Arconte.- Aprile 2011

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Indice Introduzione 3 Parte prima: dal bilancio d’esercizio alla contabilità analitica e al controllo di gestione

1. Oltre il bilancio d’esercizio 8 2. Dalle misure globali a quelle parziali 9 3. Valutazione delle singole unità produttive. Standard, centro di costo e

aree di responsabilità 13 4. Pianificazione e budget, sistema informativo e controllo di gestione 17

Parte seconda: dal controllo di gestione alla contabilità dire- zionale

1. Premessa 25 2. Aspetti e concetti preliminari: costi, ricavi, margine di contribuzione e

conto economico riclassificato 27 • Costi 28 • Ricavi 30 • Conto economico, margine di contribuzione, risultato operativo 31

3. Il modello di base della break-even analysis 35

• Formule di base e rappresentazione grafica 36 • Il volume di indifferenza 40 • Il margine di sicurezza 43

4. L’estensione del modello 45

• Calcolo di un risultato operativo predeterminato 46 • Espressione algebrica e grafico del risultato operativo 48 • Relazione tra la retta dei ricavi, dei costi totali e del risultato

operativo 50 • Approfondimento sulla curva del risultato operativo 51 • Variazione del risultato operativo in funzione della quantità 54 • La leva operativa 55 • Valutazione di redditività degli investimenti pubblicitari 58 • I limiti del modello di base e concetto di intervallo di rilevanza 64 • Superamento dei limiti: verso un modello avanzato di contabilità

direzionale 67

Domande ed esercizi 75 Risposte 82

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Introduzione L’obiettivo di questo capitolo è decisamente ambizioso in quanto ci siamo

proposti in primo luogo di far comprendere come l’impresa abbia necessità di andare oltre la contabilità generale e il bilancio d’esercizio per poter disporre di un quadro chiaro e dettagliato sull’andamento della gestione. Infatti a tal fine è indispensabile avere non solo informazioni globali quali quelle che si evincono dal bilancio ma anche, e forse dovremmo dire soprattutto, informazioni di dettaglio sulle singole attività grazie ad un sistema contabile specifico definito appunto di contabilità analitica.

Inoltre, proprio illustrando tale tipo di contabilità, abbiamo avuto modo di evidenziare come l’impresa, a fronte delle previsioni di vendite, debba predisporre un piano preciso e dettagliato di impegno di risorse, sia in termini di materiali che di mano d’opera, sia a volume che a valore, e cioè il budget, in modo da valutare ex ante l’impegno finanziario previsto nel tempo nonché per fare in modo che le stesse risorse siano disponibili nella quantità, qualità e tempistica necessaria per la realizzazione del piano stesso.

Abbiamo poi illustrato, i presupposti fondamentali del budget e cioè i costi standard, i centri di costo e le aree di responsabilità; a seguire, abbiamo evidenziato come qualora sia presente un sistema informativo avanzato che consenta ai responsabili di disporre in tempo reale di informazioni esatte, tempestive e mirate in merito all’andamento della gestione, sia possibile realizzare un processo manageriale di primaria importanza, il cosiddetto controllo di gestione.

Per quanto riguarda l’approccio al tema ed in particolare alla metodologia di “costruzione” del sistema di controllo di gestione, abbiamo semplificato fortemente il quadro di riferimento sia per motivi di spazio che, soprattutto, per rappresentare un modello molto semplice, facilmente comprensibile per gli studenti e, speriamo, utile per l’imprenditore.

Ad esempio per quanto riguarda le “classificazioni di costo” abbiamo considerato solamente quella a “costi fissi e costi variabili” con un accenno sintetico ai costi diretti e indiretti, mentre per quanto riguarda la “configurazione dei costi”, abbiamo fatto riferimento solamente a quella a “costi variabili” (direct costing semplice) 1.

Tale scelta nasce anzitutto da motivi pratici, in modo cioè da evitare di complicare troppo il quadro di riferimento per i non addetti ai lavori che rappresentano proprio il target di tale pubblicazione; ovviamente nulla vieta, una volta compreso lo schema di base, di effettuare i dovuti approfondimenti ricorrendo successivamente a testi specializzati2.

Dobbiamo dire comunque che, a nostro avviso, è senz’altro opportuno che sia lo studente che soprattutto l’imprenditore non esperto sul tema si concentrino

1 Vedi. per approfondimenti F. Antoldi - Conoscere l’impresa , capitolo 4 - McGraw-Hill 2 Vedi in particolare Management. Budget e controllo di gestione, Il sole 24ore L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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proprio sugli aspetti elementari cui fa riferimento il testo in modo da acquisire un modello di riferimento, elementare ma funzionale, evitando approfondimenti eccessivi che possono portare ad ignorare ogni contributo teorico sul tema proprio perché troppo articolato e comunque troppo generico per poter essere applicato in una situazione concreta.

Quanto sopra è stato esposto, ci auguriamo in modo semplice e chiaro, in una prima parte, Dal bilancio d’esercizio alla contabilità analitica e al controllo di gestione”, che risulta così strutturata:

1. Oltre il bilancio d’esercizio 2. Dalle misure globali a quelle parziali 3. Valutazione delle singole aree produttive. Standard, centri di costo e

aree di responsabilità 4. Pianificazione, budget e controllo di gestione

In secondo luogo, oltre a sintetizzare con chiarezza elementi di certo

estremamente importanti ma anche ampiamente noti, abbiamo tentato di completare il quadro concettuale sottolineando a più riprese come il controllo di gestione non debba in nessun modo limitarsi a fornire informazioni dettagliate a consuntivo sull’andamento di gestione.

Tali informazioni, infatti, debbono essere in primo luogo utilizzate dal Management per individuare eventuali scostamenti rispetto alle previsioni durante le fasi del processo produttivo garantendo in tal modo un contributo fondamentale per la gestione d’impresa. Come si comprende facilmente, già tale approccio è ben diverso dal tirare le somme a consuntivo e costituisce un driver primario per una gestione d’impresa efficace ed efficiente, conditio sine qua non per raggiungere gli obiettivi prefissati ma, giova sottolinearlo, i compiti dell’imprenditore non finiscono certo qui.

Il management infatti è chiamato continuamente a prendere decisioni, sempre rischiose, effettuando scelte tra possibili alternative; per esempio avendo 3 prodotti su quale è preferibile investire? Conviene fare tutto all’interno o è il caso anche di esternalizzare almeno una parte della produzione? E’ meglio fare pubblicità in televisione o alla radio? E’ opportuno prendere il finanziamento A o il finanziamento B?.

E’chiaro che se è certamente di grande importanza ottimizzare la gestione a fronte di scelte già prese, di gran lunga più importante è effettuare a monte le scelte giuste che sono per lo più irreversibili e quasi mai equivalenti in termini di conseguenze per l’impresa. E’ bene sottolineare infatti che una scelta errata comporta sempre una perdita sia di denaro che, spesso, anche di opportunità e di immagine ma, a volte, può significare il fallimento di un prodotto o servizio o addirittura di un’intera impresa e, si badi bene, questo può avvenire anche disponendo del sistema di controllo di gestione più avanzato al mondo.

E’ proprio in tale ambito che un controllo di gestione evoluto può fornire il principale contributo; stiamo parlando, come vedremo meglio, di analisi di redditività e di analisi differenziale, che, in estrema sintesi, significa valutare le alternative disponibili e scegliere la migliore per l’impresa dal punto di vista L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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economico-reddituale, fermo restando la necessità di tenere nella dovuta considerazione anche altri aspetti anch’essi di fondamentale importanza, quali quelli strategici, sociali, politici ecc.

A tale riguardo dobbiamo dire che, in genere, la maggior parte delle pubblicazioni approfondiscono moltissimo il tema del controllo di gestione, a volte anche in modo eccessivo, mentre tendono viceversa a trascurare molto gli aspetti connessi alle scelte imprenditoriali che invece sarebbero di grande interesse per il Management dato che quest’ultimo, giova ricordarlo, nel “breve periodo deve confrontarsi quasi quotidianamente con l’analisi di convenienza tra alternative decisionali di utilizzo di una data capacità produttiva, nell’ipotesi che non sia modificabile nell’orizzonte temporale considerato3.

Nella fase iniziale di progettazione e di lancio di un nuovo prodotto o servizio si agisce evidentemente in ottica di lungo periodo ed è possibile effettuare ogni tipo di scelta, purché ragionevole, in merito a struttura, impianti, tipo di organizzazione, tecnologie, target, posizionamento ecc.

Una volta effettuate le scelte e avviato il processo, i cambiamenti sostanziali possibili si riducono ovviamente in modo drastico; per esempio una volta comprata una macchina da stampa o un qualsiasi altro bene ad utilità pluriennale non è pensabile di alienarlo dopo pochi mesi. Di conseguenza, dopo che sono state effettuate tali scelte, il management si trova a dover operare in ottica di breve periodo e questo significa sostanzialmente che dovrà essere in grado di ottenere il massimo possibile con i mezzi al momento a disposizione.

Nella prima fase abbiamo quindi la predominanza dell’elemento strategico, della visione imprenditoriale, della capacità di prevedere possibili scenari futuri ecc., ed è una fase sostanzialmente di breve durata; nella seconda predomina invece un approccio più pratico, quello cioè che l’imprenditore deve assumere ogni giorno per confrontarsi con i problemi dell’impresa riconducibili per lo più a scelte da effettuare. E’ ovvio che proprio qui si decide la sorte del business, in quanto errori ripetuti in quest’ultima fase portano inevitabilmente al fallimento anche le idee più geniali.

Di conseguenza, nella seconda parte abbiamo illustrato un modello, molto noto ma del tutto trascurato, che soprattutto se ampliato ed adeguato rispetto alla sua formulazione elementare, può a nostro avviso porsi come l’asse portante della contabilità direzionale o, come noi preferiamo chiamarla, del managerial accounting, una metodologia di supporto alle scelte manageriali che va ben oltre il semplice controllo di gestione in quanto mira appunto a supportare il Management nelle decisioni da prendere.

Ribadiamo che, data la sede, è stato possibile dare solo un primo cenno su un tema di gran lunga più complesso che il lettore potrà eventualmente approfondire consultando testi specializzati sul tema4.

3 F. Antoldi 107 - Conoscere l’impresa , capitolo 4 - Mc GrawHill 4 C.D’Arconte Metodi quantitativi per la gestione d’imresa. Dispensa e Anthony, Hawkins, Macrì e R. N. Anthony-

David F. Hawkings – D.M. Macrì – K. A. Merchant - Sistemi di Controllo - 1994 - Mc Graw Hill L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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La seconda parte “Dal controllo di gestione alla contabilità direzionale”, dopo una breve premessa, risulta così strutturata:

• Aspetti e concetti preliminari • Un modello di riferimento • L’estensione del modello

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Parte prima

Dal bilancio d’esercizio alla contabilità analitica e al controllo di gestione

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1. Oltre il bilancio d’esercizio Il bilancio d’esercizio è uno strumento contabile di primaria importanza per

rappresentare il risultato globale della gestione d’impresa relativamente ad un determinato periodo definito di norma “risultato d’esercizio”; consente inoltre di effettuare una valutazione in merito alla variazione del reddito rispetto ad un periodo precedente al fine di comprendere se la gestione abbia determinato o meno una variazione della “ricchezza” complessiva sia in incremento che in diminuzione.

Il bilancio assolve anche ad una funzione informativa di tutto rilievo nei riguardi degli stakeholder dell’impresa o “portatori d’interesse” e cioè di tutti coloro che a vario titolo hanno necessità, e a volte diritto, ad avere informazioni mirate sullo stato e sull’andamento della gestione d’impresa; parliamo ovviamente di clienti, fornitori, finanziatori e azionisti ma anche di manager, personale dipendente, sindacati, governo ecc.

Il bilancio è poi la base di riferimento per gli indispensabili adempimenti fiscali e infine, con i dati ed i risultati gestionali ed economici che evidenzia, è anche il punto di partenza in base al quale è possibile effettuare una valutazione del valore d’impresa sia per l’acquisto che per la vendita come pure per il reperimento di eventuali finanziamenti.

Tessute le dovute lodi al bilancio d’esercizio la cui redazione comporta a volte difficoltà di grandissimo rilievo, ci proponiamo ora di sottolineare come lo stesso, pur fornendo dati di fondamentale importanza, non esaurisca affatto il fabbisogno informativo necessario per comprendere in dettaglio come si sia pervenuti ad un determinato risultato. Per prima cosa infatti, partendo dalla costatazione che la maggior parte delle imprese produce più prodotti o eroga più servizi, dal Bilancio non si evincono dati dettagliati sulle singole attività svolte e quindi manca il presupposto indispensabile per poter effettuare un’adeguata valutazione del contributo di tali attività al risultato globale.

In tali condizioni, è evidente come non sia possibile analizzare e tantomeno valutare l’efficacia e l’efficienza della gestione in quanto può avvenire, e spesso avviene, che un’impresa pur essendo nel complesso in attivo anche in modo significativo, abbia comunque aree di gestione non ottimali e/o attività tutt’altro che redditizie.

Di conseguenza, proprio parlando di modalità ed efficacia di gestione, come vedremo con maggior dettaglio nel prosieguo, il Management ha necessità di disporre costantemente di dati precisi e aggiornati che consentano durante lo svolgimento delle attività, e non certo solo a consuntivo, di effettuare un monitoraggio continuo delineando un quadro dell’andamento produttivo dettagliato per ogni singola attività e questo anche al fine di poter intervenire tempestivamente “in corso d’opera” adottando gli opportuni correttivi.

Per sintetizzare, possiamo quindi dire che il Bilancio d’esercizio fornisce, una macrofotografia d’insieme di primaria importanza in merito alla situazione a

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consuntivo dell’impresa ad una data determinata ma che è poi fondamentale essere in grado di effettuare anche quanto segue:

• ripartire i macrovalori di sintesi tra le varie attività dell’impresa al fine di evidenziare come ognuna di queste abbia concorso alla determinazione dei ricavi, dei costi e quindi del margine di utile.

• valutare l’operato delle singole unità produttive, reparti o uffici o altro, coinvolti nella produzione di beni o nell’erogazione di servizi sia in termini di efficienza e di efficacia che di rispetto degli obiettivi dell’impresa, con possibilità di intervenire prontamente per indirizzare e ottimizzare la gestione

• predisporre il budget previsionale, partendo dalla previsione delle vendite e sulla base degli n sub-budget delle n unità organizzative dell’impresa stessa e realizzare il controllo di gestione, monitorando costantemente i risultati raggiunti in relazione agli obiettivi precedentemente stabiliti

Come si vede si tratta di tre diverse esigenze di capitale importanza che

andremo ora ad analizzare. 2. Dalle misure globali a quelle parziali Immaginiamo che l’imprenditore Rossi abbia 3 clienti e che desideri avere

ad una determinata data, per esempio alla fine dell’anno, un quadro esatto dello stato di salute economico-finanziario della sua impresa.

Per raggiungere tale obiettivo il nostro imprenditore dovrà ovviamente predisporre un conto economico, calcolando l’ammontare dei ricavi e dei costi relativi al periodo preso in esame e, per detrazione, potrà calcolare il Ro, cioè il cosiddetto risultato operativo lordo, o utile lordo.

Per fare questo, volendo banalizzare in modo estremo un processo in realtà di gran lunga più complesso, il nostro imprenditore, relativamente al periodo oggetto d’analisi, dovrà:

• calcolare il totale delle fatture cosiddette attive, cioè quei documenti contabili che riportano il totale dei ricavi sia relativi a importi già incassati che ancora da incassare da terzi (di norma clienti)

• calcolare il totale delle fatture cosiddette “passive” e cioè quei documenti contabili da dove si possono evincere i costi totali, in parte già sopportati e in parte ancora da sopportare, per il pagamento di terzi (di norma fornitori a vario titolo, materie prime, consulenze, affitti, utenze ecc. ecc.)

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• calcolare il costo totale sopportato per la mano d’opera interna, quindi stipendi e oneri vari connessi quali risultano dalle buste paghe, distinte versamento contributi vari ecc.

• valutare e valorizzare le rimanenze • detrarre dal totale ricavi il totale dei costi in modo da calcolare il

risultato operativo lordo Supponiamo ora che a seguito di tale analisi emergano i seguenti risultati

riferiti al periodo temporale in esame: • ricavi totali 100.000 euro • costi totali 70.000 euro • risultato operativo 30.000

E’ evidente come questo primo risultato, se non è stato effettuato a monte un

investimento spropositato, può sicuramente fornire una prima rassicurazione al nostro imprenditore in quanto la sua azienda, nel complesso, è in attivo e produce reddito in ragione del 30% sui ricavi, pari a 30.000 euro in valore assoluto.

Questi dati, pur importanti, sono tutavia valori aggregati che non consentono di avere una rappresentazione completa e dettagliata in merito all’efficienza e all’efficacia della gestione dell’impresa in quanto, a parte il risultato complessivo, nulla ci dicono circa la redditività delle singole attività e/o dei diversi clienti.

Immaginiamo infatti per semplicità che l’impresa abbia tre clienti, con una sola attività ciascuno, e che, effettuando l’analisi dei ricavi e dei costi per ognuno di questi, si evidenzi la seguente situazione:

Clienti A B C TOT Ricavi 60.000 20.000 20.000 100.000 Costi 40.000 8.000 22.000 70.000 Margine 20.000 33,33% 12.000 60% -2.000 -10% 30.000 % su ricavi tot. 60,00% 20% -0,02 % % margine tot 66,66% 40% -0,06%

Figura 1 Analisi redditività per singola commessa Come si vede, con un risultato nel complesso positivo, i 3 clienti concorrono

in modo molto diverso al risultato globale medio dell’impresa tanto è vero che il prodotto C è addirittura in perdita e “contribuisce” solo a peggiorare il risultato finale.

A parte questo, l’analisi consente anche di valutare adeguatamente l’importanza o per così dire il diverso “peso” che hanno le varie attività; infatti basandosi superficialmente sulle percentuali si potrebbe pensare che il prodotto L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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“ottimale” sia B visto che evidenzia il margine di commessa più alto (60%) mentre invece, a ben vedere, il prodotto trainante dell’impresa é A in quanto da solo assicura il 60% dei ricavi e il 66,66 % del margine totale .

L’esempio ci fa capire come sia indispensabile disporre di dati analitici, specifici per ogni singola attività e come non sia più sufficiente basarsi su valori aggregati per natura, cioè per costi e ricavi come avviene nella contabilità generale; occorrono invece dati e valori per “destinazione” rispetto all’oggetto di calcolo (v. figura 2), grazie ad un sistema contabile definito appunto di contabilità analitica.

Figura 2 Contabilità generale con valori aggregati per natura e contabilità analitica con valori aggregati per destinazione. Da F.Antoldi - Conoscere l’impresa - Mc GrawHill

Questo risulta ancora più importante se si considera che in base al principio di

Pareto5, l’80 % del fatturato aziendale viene di norma assicurato dal 20% delle attività (v. figura 3); tale principio empirico ha avuto ampie conferme nella realtà e sottolinea in modo ancora più marcato come sia impensabile di voler gestire adeguatamente un’impresa prescindendo da un valido sistema di contabilità analitica.

E’ per tale motivo che si è avvertita l’esigenza di andare anche oltre la contabilità analitica tradizionale e sono state sviluppate metodologie contabili evolute quali per esempio l’Activity Based Costing6.

5 Pareto Vilfredo Federico Damaso Pareto (Parigi, 15 luglio 1848 – Céligny, 19 agosto 1923) 6 Activity based costing: metodo di controllo strategico che imputa i costi in base alle diverse attività che si svolgono lungo la catena del valore dell’impresa per poi ripartirli tra i diversi output che l’azienda produce”. G. Metallo, (1995), Tipici strumenti di Analisi Finanziaria, Cedam L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Figura 3 Il contributo delle diverse attività ai ricavi aziendali secondo il principio di Pareto

ABC a parte, l’impresa deve quindi disporre di un sistema valido di contabilità analitica al fine di ripartire, con la massima precisione possibile, sia i ricavi che i costi tra le diverse attività ed è abbastanza intuitivo come le maggiori difficoltà si incontrino non già nella individuazione dei ricavi quanto proprio nella determinazione dei costi di competenza.

Si supponga a titolo di esempio di essere in una azienda grafico-editoriale e di analizzare il processo di produzione di un quotidiano o di una rivista; in tal caso i ricavi delle vendite, anche se con una certa semplificazione del quadro, saranno dati dalle quantità vendute moltiplicato il prezzo di vendita.

Il costo sarà dato invece necessariamente da una stima, spesso soggettiva, di molteplici fattori; per esempio quanta carta e quanto inchiostro, quante ore di lavoro del personale addetto, quanta energia elettrica consumata ecc., in sintesi il totale delle risorse consumate specificamente per la produzione di quel bene. E’ evidente che a tale fine occorre disporre di un sistema di rilevazione dei consumi molto efficiente che comunque, in nessun caso, ci consentirà di trovare il costo “vero” ma solo una stima approssimata dello stesso.

Solo per fare un esempio si immagini la difficoltà di calcolare con precisione la carta e l’inchiostro consumati per stampare una rivista, magari provenienti da forniture diverse pagate ad un prezzo differente, come valorizzare il costo del personale di due squadre turniste dove i singoli membri guadagnano in modo diverso da squadra a squadra ecc..

Si badi inoltre che a prescindere da tali difficoltà oggettive, esistono anche metodologie di calcolo diverse, tutte logiche e corrette ma che si basano su approcci diversi e quindi, ovviamente, portano a risultati differenti.

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3. Valutazione delle singole unità produttive. Standard, centri di costo e aree di responsabilità.

Per consentire una comprensione approfondita dell’andamento della gestione

e poter intervenire tempestivamente, non è sufficiente la conoscenza del consumo di risorse per destinazione; non basta cioè sapere a consuntivo che la macchina da stampa per una determinata rivista ha consumato x kg di carta o n litri di inchiostro, occorre infatti anche essere in grado di valutare se i consumi che risultano a consuntivo siano o meno “congrui”.

In sostanza, per ogni fase di tutte le possibili situazioni produttive che hanno luogo all’interno dell’impresa, occorre individuare specifici criteri in base alla propria esperienza e a quella di altre imprese che operino nello stesso campo e in situazioni analoghe, e cioè un valore standard ottimale di riferimento relativo all’impiego delle risorse, siano esse materiali o mano d’opera.

Per essere più chiari e tecnicamente più precisi, immaginiamo per esempio di dover stampare 30.000 copie di una rivista a 4 colori in bianca e volta di 48 pagine, nel formato 21 x 28 netto, avendo a disposizione una macchina offset 64 x 88; in un caso del genere evidentemente pregresse esperienze, nostre o di altre imprese, possono consentirci di disporre di parametri di riferimento per stabilire le quantità di risorse ottimali necessarie per stampare la rivista, per esempio i tempi di lavorazione, l’inchiostro e la carta da stampa necessaria.

Se consideriamo quest’ultima, è evidente come solo il parametro di riferimento o standard ci consentirà di giudicare l’efficienza del processo di produzione relativamente al consumo di carta in quanto, se lo standard fosse in tal caso x chili o y tonnellate è ovvio che i nostri consumi dovranno avvicinarsi a tale valore di riferimento e magari risultare inferiori.

La stessa cosa ovviamente dovrà essere fatta per tutte le altre “risorse” necessarie per la produzione del bene in oggetto, siano esse materiali o mano d’opera; in tal modo infatti, e solo in tal modo, sarà possibile valutare la congruità delle risorse consumate; possiamo quindi affermare che “il calcolo delle misure parziali richiede la preliminare definizione delle dimensioni di controllo rispetto alle quali effettuare le misurazioni7”, che potremmo definire il teorema centrale del controllo di gestione.

In sostanza non è sufficiente disporre di un sistema di rilevazioni dei consumi quanto più preciso possibile, è anche necessario avere parametri di riferimento o standard per ogni impiego di risorse, siano esse materiali o mano d’opera, che ci aiutino a valutare l’efficienza del sistema produttivo.

Tali parametri di riferimento, a ben vedere, possono essere considerati veri e propri obiettivi dei singoli processi di produzione o di erogazione di servizi e, ovviamente, tutti insieme concorrono alla definizione degli obiettivi dell’impresa.

7 F. Antoldi - Conoscere l’impresa, capitolo 4 - Mc GrawHill 2004 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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E’ovvio inoltre che, a parte la valutazione dell’operato di reparti ed uffici nell’impiego di risorse, gli stessi standard sono indispensabili anche nella fase di preventivazione e di determinazione del prezzo finale; infatti da un lato occorre uno standard di riferimento per stimare e quindi valorizzare i consumi, d’altra parte è ben noto come non sia pensabile, in particolare per un’impresa profit, di predisporre un prezzo adeguato per un prodotto o servizio senza avere un’idea precisa di quanto quest’ultimo verrà a costare.

Per completare il quadro serve ora un altro elemento di grande importanza e cioè individuare nella totalità dell’apparato dei processi produttivi o di erogazione del servizio, persone, macchinari e processi che, logicamente e funzionalmente, costituiscono un insieme omogeneo da un punto di vista produttivo.

Per esempio la macchina da stampa con il suo personale, la carta, l’inchiostro l’energia elettrica consumata ecc., può essere considerata un’unità produttiva funzionalmente omogenea che, in una fase ben definita della lavorazione complessiva (e cioè la stampa), “consuma” determinate quantità di risorse. Lo stesso dicasi degli altri reparti produttivi ma anche dell’ insieme degli addetti amministrativi, l’insieme dei venditori e così via; a tali unità o centri funzionalmente omogenei, afferiscono o per meglio dire sono imputabili i costi per la realizzazione di una determinata fase del processo produttivo e quindi possono essere definite “centri di costo”.

E’ evidente che ogni unità organizzativa dell’impresa genera costi che devono essere, o quantomeno dovrebbero essere, sia preventivabili che consuntivabili e in tal senso tutte costituiscono un centro di costo; tuttavia nell’ambito del controllo di gestione con tale espressione alcuni autori8 sottintendono, a nostro avviso in modo del tutto corretto, un significato particolare e cioè che sia possibile calcolare il rapporto tra input consumato e output prodotto sussistendo tra quest’ultimi una relazione nota ed oggettiva.

Questo, facendo un passo in più, significa dire che nei centri di costo è possibile mettere in relazione costi e ricavi e quindi determinare il contributo della singola unità produttiva al risultato globale.

Per quanto riguarda autonomia ed indicatori di performance i centri di costo hanno di norma una limitata autonomia nella gerarchia organizzativa e la loro performance viene valutata in base ad indicatori di efficienza.

Qualora viceversa non sia possibile stabilire un rapporto tra input consumato e output prodotto, si tende a parlare di centro di spesa; in tal caso i costi sono consuntivabili più a livello globale che in dettaglio e comunque, non essendo associabili ad output specifici, sono difficilmente prevedibili e spesso sono misurabili a corpo piuttosto che in dettaglio; l’autonomia è limitata e gli indicatori di performance sono ovviamente indicatori di spesa.

Esistono anche altri tipi di centri quali per esempio:

8 F. Antoldi - Conoscere l’impresa, capitolo 4 - McGraw-Hill, 2004 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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• centri di ricavi: quando l’unità organizzativa è responsabile dei ricavi e quindi di volumi, di mix dei prodotti e di prezzi; l’autonomia è elevata e gli indicatori di performance sono di fatturato

• centri di reddito (o di profitto): quando l’unità organizzativa è responsabile del profitto e quindi di ricavi e costi escludendo gli investimenti, l’autonomia è elevata e gli indicatori di performance sono di profitto

• centri di investimenti: quando l’unità organizzativa è responsabile degli investimenti e delle modalità di finanziamento; l’autonomia è molto elevata e gli indicatori di performance sono gli indici di redditività.

La delineazione e determinazione dei vari centri rientra nel tema

dell’organizzazione aziendale che si concretizza sia nell’organigramma, con la precisazione di ruoli e funzioni, che nella determinazione di flussi e processi; per tali aspetti, come pure per un approfondimento sulla funzione e utilità di tali centri, rimandiamo a testi specializzati.9

Il focus in tale sede vuole essere ovviamente sui centri di costo in modo da evidenziare la necessità per l’impresa di attribuire i “consumi di risorse” alle varie unità organizzative coerentemente con la loro funzione aziendale e quindi con il loro ruolo specifico nel processo produttivo e di valutarli in base a determinati valori standard.

Sempre per restare in tema grafico editoriale, possiamo immaginare di avere un ufficio acquisti che ordina la carta, un magazzino che la riceve e la tiene in deposito, un reparto stampa che richiede la carta nelle quantità idonee per stampare e restituisce al magazzino l’eccedenza e così via.

Ognuna di queste unità organizzative ovviamente evidenzia consumi sia di materiali che di mano d’opera che possono e debbono essere prevedibili e misurabili facendo riferimento ad un parametro di riferimento condiviso tra impresa e unità in questione e, affinché questo sia possibile, è necessario poter stabilire una relazione univoca tra input e output. In tal modo possiamo dire che l’unità organizzativa diventa un centro di costo vero e proprio, cioè nel senso del controllo di gestione, dove possono e debbono essere rilevati ed imputati i consumi ed i relativi costi ed è possibile mettere in relazione gli stessi con il valore generato. Inoltre, come dicevamo, i parametri di riferimento o standard sono la guida per monitorare e ottimizzare lo svolgimento delle diverse attività e sono anche la base di riferimento per determinare gli obiettivi aziendali.

Altro aspetto di fondamentale importanza, come giustamente evidenziano Brusa e Dezzani10, è che per definire correttamente e compiutamente un centro di costo non è sufficiente la relazione input-output ma è indispensabile che gli insiemi omogenei di produzione o unità produttive che dir si voglia, ricadano in un’area di

9 Vedi per esempio L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore 10 L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore

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responsabilità e di relativi poteri di gestione di risorse ben definita. Tale aspetto è una conditio sine qua non, sia per la predisposizione che, soprattutto, per la gestione del budget.

Va detto che il problema non si esaurisce qui in quanto l’obiettivo primario dell’impresa è in ultima analisi quello di realizzare un profitto tramite la vendita di un prodotto o servizio; quindi il passo successivo è quello di essere in grado di ascrivere e riportare i risultati dei singoli centri di costo alle varie attività o commesse in carico all’azienda e aggregare tali risultati in modo da avere la rappresentazione del costo totale di ogni attività e dei relativi ricavi.

Come si vede si tratta di due processi diversi ma strettamente connessi in quanto l’efficienza del primo (analisi dei centri di costo) condiziona fortemente il secondo (analisi dei margini di commessa); un’attività formalmente in passivo potrebbe essere in effetti in attivo qualora per esempio ci siano stati errori di rilevazione o si siano verificati eventi eccezionali e non ripetitivi che abbiano inficiato il processo produttivo; può avvenire ovviamente anche il contrario è cioè che un’attività risulti solo sulla carta in attivo in quanto il controllo di gestione non è riuscito ad imputare correttamene i costi relativi.

Come si vede il tema è complesso e, inoltre, resta ancora un problema da affrontare e cioè come comportarsi per i costi generati dagli altri tipi di centro cui abbiamo accennato precedentemente.

A tale riguardo, al di là dei problemi tassonomici che cercano, spesso invano, di rinchiudere in poche categorie i multiformi aspetti dell’impresa, va detto che non solo non è possibile in certi casi associare con precisione input ed output ma anche che gli stessi costi spesso non sono attribuibili con facilità e precisione a singole attività; è il caso per esempio del Direttore Generale e della Dirigenza in genere ma anche degli impiegati amministrativi, della segretaria e di tutte le funzioni aziendali che operino su “n” attività o che lavorino su processi generali.

Si parla spesso a tale riguardo di costi indiretti, in contrapposizione a quelli diretti che possono più facilmente essere attribuiti ad un determinato prodotto e/o servizio e, in questo caso, non essendo disponibile un parametro certo ed oggettivo per una precisa attribuzione dei costi di competenza occorre ricercare quella che viene chiamata una base di ripartizione, un indicatore che dovrebbe misurare in modo adequato, il grado di assorbimento dei costi indiretti da parte dell’oggetto finale di calcolo.

Il tema è complesso e non è certo questa la sede per approfondirlo; basti solo sottolineare come un simile indicatore non possa essere in nessun modo oggettivo ma, al contrario, il frutto di un’interpretazione soggettiva in merito alla stima del rapporto tra volumi di produzione del fattore diretto e concomitante consumo di fattore indiretto.

Spesso la soluzione più semplice che viene adottata è quella di “recuperare”, in quota parte i costi indiretti (come pure i costi fissi) applicando una maggiorazione percentuale predefinita sui costi diretti di produzione. Il tema è ovviamente molto

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complesso e anche per approfondire tali aspetti dobbiamo rimandare il lettore a testi specializzati sul tema11.

Compresa la necessità di misure parziali da definire per destinazione rispetto all’oggetto di calcolo, avendo chiarito il concetto di standard, di centro di costo e di aree di responsabilità, abbiamo gli elementi di base per definire altri aspetti fondamentali per la gestione d’impresa e cioè la pianificazione, il budget, il sistema informativo e il controllo di gestione.

4. Pianificazione e budget, sistema informativo e control-

lo di gestione Come si intuisce dalla formulazione del titolo del paragrafo, ancorché molto

sintetico, si tratta di temi di assoluto rilievo per l’impresa dove, a nostro avviso, possiamo individuare tre aspetti fondamentali strettamente correlati:

• un processo di pianificazione dove la chiave di volta è costituita dalla previsione delle vendite e di tutto ciò che occorre per la produzione e la vendita stessa; tale processo porta alla redazione di un documento amministrativo, contabile e gestionale, e cioè il budget dove si evidenziano i risultati che l’azienda intende raggiungere, declinati per aree di responsabilità e centri di costo e formulati sulla base di costi standard predeterminati. Il budget, ovviamente, deve riportare in modo dettagliato anche l’ammontare di risorse previsto per ogni centro di costo e la relativa valorizzazione.

• un sistema informativo12 adeguato per la rilevazione del consumo di risorse e la relativa valorizzazione monetaria per singola unità produttiva, in grado di produrre in tempo reale report precisi e mirati per i responsabili aziendali e strutturato in modo da fornire alla contabilità analitica i dati necessari per l’attribuzione dei costi alle varie attività.

• il controllo di Gestione, un vero e proprio processo direzionale volto a guidare la gestione verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione

Il processo di pianificazione può essere schematizzato in estrema sintesi

come riportato nella figura 4 dove si vede come l’idea di business maturata nella fase analitico strategica (fino all’analisi dei punti di forza e di debolezza), debba poi essere declinata, dal punto di vista quantitativo e temporale, in modo preciso e dettagliato in modo da consentire, dopo aver definito il piano degli investimenti e quello finanziario, di valutare i risultati globali a livello di conto economico e stato patrimoniale.

11 P. Miolo Vitali – Strumenti per l’analisi dei costi - Giappichelli 1997 12Per sistema informativo deve intendersi in senso lato “l’insieme di persone, procedure e apparecchiature il cui compito è quello di presidiare un adeguato flusso di informazioni all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Il sistema informativo, in particolare quando il volume di dati è modesto, prescinde dal suo livello di automazione. La parte automatizzata del sistema informativo è il sistema informatico” . F. Antoldi – Conoscere l’impresa – McGraw–Hill. 2004 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Non possiamo in tale sede approfondire il tema della pianificazione per la quale rimandiamo a testi specializzati13 qui ci basti aver ben chiaro come l’impresa, definiti i propri obiettivi fondamentalmente su una previsione delle vendite quanto più possibile accurata e precisa, debba poi prevedere per ogni singola unità produttiva il fabbisogno di risorse necessarie sia in termini di materiali che di mano d’opera avendo a riferimento precisi standard di produzione sperimentati e condivisi.

Figura 4 Fasi del processo di pianificazione L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore

Consideriamo per esempio un’azienda produttrice e venditrice di autovetture

che abbia come obiettivo la vendita di 3.000.000 di vetture l’anno sulla base delle previsioni effettuate dal Management.

Si comprende immediatamente quanto possa essere critica tale previsione in quanto è su tale base che l’impresa dovrà organizzarsi in termini di impianti, di personale e di materiali; subito dopo dovranno essere calcolati i costi totali necessari per produrre tale quantità di vetture partendo dai materiali, dal costo dello stabilimento, da quello del personale, dalla distribuzione, dalle spese pubblicitarie

13 L. Brusa, F. Dezzani – Budget e controllo di gestione- 1983 - Giuffrè Editore L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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ecc., e, ovviamente, tale costo totale dovrà essere per così dire “esploso” tra tutte le unità organizzative interne e gli eventuali fornitori esterni.

Ovviamente si dovranno poi valutare i ricavi e la manifestazione temporale degli stessi al fine di effettuare previsioni in merito al Ro, o risultato operativo lordo, valutando anche l’eventuale fabbisogno finanziario.

Non è difficile immaginare quali conseguenze devastanti potrebbero derivare per l’impresa nel caso le previsioni dovessero risultare nel tempo significativamente errate; a fronte di una stima sbagliata per eccesso (e quindi con vendite effettive inferiori al previsto) l’impresa non solo non raggiungerebbe gli obiettivi ma si potrebbe ritrovare con una struttura organizzativa sovradimensionata che comunque genera costi e con materiali in eccesso magari già pagati o comunque da pagare. D’altra parte nel caso contrario, di stima cioè per difetto, pur a fronte di una situazione certamente migliore della precedente potrebbe ritrovarsi nella condizione di dover trovare precipitosamente soluzioni alternative per fronteggiare l’eccesso di domanda e, di norma, la fretta e l’improvvisazione non portano i migliori risultati né in termini di redditività né d’ immagine.

Valutata con la massima attenzione la fattibilità degli obiettivi commerciali occorre poi, come già evidenziato, passare alla stesura del Budget vero e proprio che è la traduzione in termini analitici ed operativi della pianificazione; ogni reparto o ufficio interessato sarà chiamato a predisporre il budget di competenza dove i responsabili dovranno dichiarare le loro necessità in termini di persone e materiali per raggiungere l’obiettivo di competenza.

Figura 5. Schema di predisposizione del budget

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Gli n sub-budget dovranno poi confluire in modo logico e armonico nel budget mastro e cioè nel budget aziendale e questo sarà possibile solo seguendo un processo di tipo iterativo nel senso che saranno di norma necessari “ritorni di informazioni” ed aggiustamenti anche reiterati (processo di feedback) prima che il budget possa diventare esecutivo. La figura 5 può dare un’idea del processo di formulazione del budget coinvolgendo i reparti o uffici interessati.

Esaurita comunque la fase previsionale e deciso di entrare in quella operativa, si dovrà avere estrema cura di monitorare costantemente i risultati ottenuti e questo sarà possibile solo se sarà disponibile un adeguato sistema informativo che garantisca attività di reporting tempestive e mirate.

Ovviamente, strumenti a parte, saranno indispensabili procedure e flussi informativi (workflow management) che consentano di rilevare e analizzare i risultati della gestione, realizzando un raffronto sistematico tra obiettivi prefissati e risultati conseguiti; in tal modo, individuando rapidamente eventuali scostamenti, sarà anche possibile intervenire adottando gli opportuni correttivi (analisi degli scostamenti) .

In sostanza, se il prodotto finito del reporting si configura come un insieme di rapporti di gestione, la loro costruzione e la loro interpretazione deve necessariamente aver luogo sulla base di un adeguato processo organizzativo.

Non è possibile approfondire in questa sede tali aspetti ma è evidente come le varie funzioni aziendali abbiano bisogno non solo di informazioni approfondite, corrette e tempestive ma, soprattutto, “mirate” nel senso che ad ogni risorsa aziendale deve pervenire tutto ciò che occorre per verificare e gestire l’andamento dei processi produttivi di competenza con il livello di dettaglio adeguato allo specifico ruolo.

In tal modo sarà possibile confrontare i risultati ottenuti in relazione agli obiettivi stabiliti nella fase iniziale e, in caso di scostamenti, spesso inevitabili, si potrà procedere ad un’analisi approfondita in modo da individuare le cause ed intervenire tempestivamente, evitando di limitarsi a predisporre soltanto consuntivi

Figura 6 Il processo formale di programmazione e controllo F.Antoldi - Conoscere l’impresa - 2004 - Mc Graw Hill L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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quando ormai gli eventi hanno avuto il loro corso e non è più possibile modificarli.

Qualora lo scostamento sia dovuto ad errori/imprecisioni nella fase iniziale o a sopravvenuti cambiamenti nel contesto di riferimento, si dovranno necessariamente rivedere le attività, i programmi, gli obiettivi o addirittura le strategie effettuando se del caso anche le opportune revisioni di budget (vedi figura 6). .

Il processo che abbiamo descritto, sia pure in estrema sintesi, è appunto quello che viene denominato “controllo di gestione” la cui struttura si fonda, come indicato nella figura 7, su 3 elementi fondamentali e cioè:

• La contabilità analitica • Il budget • Il sistema di reporting:

Figura 7 Gli elementi fondamentali nell’architettura del controllo di gestione

Ricordando quanto detto al punto 2 (dalle misure globali a quelle parziali) e a quanto illustrato nella figura 1, si può ora comprendere come il controllo di gestione svolga davvero una funzione fondamentale.

L’impresa sopravvive e si sviluppa solo se, come regola generale, riesce ad avere per le attività che effettua per conto dei clienti un ricavo superiore al costo necessario per la loro realizzazione; è fondamentale quindi riuscire prima a prevedere e poi ad imputare con la massima precisione possibile il consumo di risorse alle singole attività perché solo in tal modo il Management, confrontando i costi ai relativi ricavi, potrà stabilire se una determinata attività x sia in attivo, in passivo o in pareggio e quindi determinare che “peso” abbia sul risultato globale.

Reporting tempestivo

mirato

Budget centri di costo costi standard

Controllo di

gestione

Contabilità

analitica

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D’altra parte il controllo di gestione non si pone come obiettivo solo un ruolo di tipo ragionieristico, complesso e preciso quanto si vuole ma di tipo passivo, come una sorta di notaio che registra, individua e avvalla i risultati. Al contrario interviene sia a monte, nella fase di progettazione e di valutazione ex ante di processi e flussi, che durante la realizzazione delle attività per segnalare scostamenti e anomalie rispetto al budget previsionale.

Si può intuire quale ruolo fondamentale possa avere il controllo di gestione sia nella definizione iniziale dei processi aziendali (process engineering) come pure nelle successive variazioni e/o ottimizzazioni (process re-engineering)

In sintesi, i dati rilevati sia in corso d’opera che a consuntivo per le singole attività, possono essere visti, nel caso di una funzione di controllo di gestione avanzata ed evoluta, come risultati conseguiti grazie ad un gioco di squadra dove il controllo di gestione, per usare una metafora calcistica, non si limita solo a fare l’arbitro o il segnalinee ma partecipa al gioco contribuendo attivamente al risultato finale.

Quanto detto fa comprendere come la condizione di successo del controllo di gestione nell’impresa riposi, oltre che sulla strutturazione adeguata e l’integrazione funzionale degli elementi riportati nella figura 7, anche sulla figura chiave del Controller e cioè del responsabile dell’intero sistema di programmazione e controllo insieme ovviamente ai suoi collaboratori.

Come giustamente evidenzia Antonella Cifalino14, il Controller non può essere e non deve essere visto soltanto come il progettista e il manutentore di una struttura tecnico-contabile ma come un manager che, oltre a conoscere bene il proprio mestiere, tecnicamente parlando, abbia anche elevate capacità relazionali giacché, nella realtà operativa, il processo del controllo di gestione si esplica e si manifesta in una continua e sistematica interazione tra i responsabili delle diverse unità organizzative.

Si tenga presente a tale riguardo come la funzione del Controller, pur molto variegata a seconda dei poteri conferiti dall’azienda, è spesso impopolare in quanto istituzionalmente tenuta ad intervenire per segnalare uno scostamento rispetto a quanto previsto nel budget richiedendo esplicitamente spiegazioni e/o giustificazioni in merito.

D’altra parte è sempre il Controller che confermando il raggiungimento degli obiettivi sia di singole persone che di uffici o reparti, magari di conserta col Responsabile Amministrativo, sancisce il successo o l’insuccesso, le promozioni o al limite anche i licenziamenti, la liquidazione di incentivi o meno ecc.

Un altro aspetto fondamentale, sempre riferendomi al contributo di Antonella Cifalino su tale tema, è quello comportamentale in quanto, di fatto, il controllo di gestione dovrebbe essere in grado di influenzare positivamente il comportamento umano all’interno dell’organizzazione in modo da rendere gli

14 F. Antoldi – Conoscere l’impresa - Capitolo 4 – McGraw–Hill. 2004 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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obiettivi individuali quanto più coerenti con quelli dell’organizzazione, la cosiddetta “goal congruence” come indicato già a suo tempo da Anthony e Govindarajan.

A tale riguardo si noti come la funzione di un buon Controller dovrebbe spingersi a propugnare o quantomeno ad evidenziare con forza e convinzione la soluzione migliore per l’impresa anche quando il Management o addirittura la Proprietà propendano per soluzioni alternative.

Si comprende quindi come il Controller, oltre ad essere molto competente dal punto di vista “tecnico” nonché un abile negoziatore per superare invitabili controversie e spesso veri e propri conflitti, debba anche essere in grado di porsi come un educatore capace di introdurre e valorizzare il sistema, portando i singoli individui, ovviamente portatori di interessi individuali, a ragionare quanto più possibile nell’ottica dell’azienda.

Per ricapitolare quanto già detto, diamo ora una definizione del controllo di gestione:

In un'azienda il controllo di gestione è il processo volto a guidare la gestione verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione operativa. Tale processo, basandosi su valori standard, centri di costo e di responsabilità, rileva, attraverso la misurazione di appositi indicatori, l’eventuale scostamento tra obiettivi pianificati e risultati conseguiti rendendo disponibili in modo tempestivo dati dettagliati sugli scostamenti stessi, affinché la Direzione e i responsabili possano intervenire immediatamente e attuare tempestivamente le opportune azioni correttive15. La figura del Controller riveste un ruolo fondamentale per il successo del sistema di controllo di gestione.

Quanto sopra indicato dovrebbe consentire di comprendere come il controllo di gestione non sia riconducibile ad un mero fatto contabile ma come si tratti invece di un vero e proprio processo manageriale di primaria importanza, da cui nessuna impresa che voglia sopravvivere e crescere nel tempo può pensare di poter fare a meno.

Abbiamo percorso gli step logici necessari per delineare il quadro d’insieme e possiamo ora focalizzarci sul tema centrale del nostro contributo che, prendendo le mosse proprio dal controllo di gestione, si propone di porre il focus su una metodologia manageriale che possa fornire un supporto per la gestione d’impresa in generale ed in particolare per effettuare le scelte più proficue.

15 Adattato da http://it.wikipedia.org/wiki/Controllo_di_gestione L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Parte seconda

Dal controllo di gestione alla contabilità direzionale

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1.Premessa A costo di sembrare superficiali, siamo stati estremamente sintetici sui temi

precedenti e questo, come già detto, per due ordini di motivi, intanto per lo spazio a disposizione che non ci consente di dilungarci molto sul tema ma, soprattutto, per una scelta precisa in quanto riteniamo che quanto finora detto sui temi precedenti sia già sufficiente per comprendere le dinamiche fondamentali dell’impresa in termini di pianificazione, budget, costi standard, centri di costo e di responsabilità e controllo di gestione.

Di certo ci auguriamo che chi voglia confrontarsi con l’avventura dell’impresa, senta il bisogno di approfondire tali tematiche riportandole tra l’altro al proprio contesto di riferimento e, a tale proposito, vogliamo formulare una raccomandazione importante e cioè quella di farsi supportare da professionisti per impiantare nella propria impresa un sistema funzionale e mirato di controllo di gestione senza cedere alla tentazione di improvvisarsi esperti sul tema, cosa che potrebbe avere anche gravi conseguenze.

Ciò premesso volevamo ora aggiungere che, a nostro avviso, non è solo in tale ambito che l’imprenditore si deve sentire chiamato primariamente ad esercitare le proprie capacità; se infatti prescindiamo dall’idea di business e dalla previsione delle vendite che comportano lumi imprenditoriali ed elevate capacità di previsione, tutto quello che abbiamo descritto, ancorché difficile complesso e impegnativo, è a ben guardare un lavoro di alta ragioneria che richiede una metodologia rigida e precisa costruita ad hoc sulla specifica struttura dell’organizzazione

Non è certo cosa semplice ma, a ben vedere, ben altri compiti e responsabilità attendono invece il nostro imprenditore che deve confrontarsi ogni giorno con scelte difficili e complesse a fronte di possibili alternative per di più in un contesto socio-economico altamente turbolento senza che, a nostro avviso, la pur consistente letteratura sul tema riesca ad offrirgli un supporto pratico e concreto.

Il passo successivo sarà di conseguenza proprio in questa direzione riportando gli elementi base di quello che a nostro avviso costituisce l’evoluzione del controllo di gestione tradizionale e cioè la contabilità direzionale o managerial accounting, secondo la nostra personale interpretazione.

A tale fine cominceremo con l’introdurre aspetti e concetti chiave quali tipi di costi, ricavi, modello di conto economico riclassificato a ricavi e costi variabile (margine di contribuzione).

Introdurremo poi un modello di riferimento, quello della break-even analysis, molto noto, ma in modo assolutamente ingiustificato del tutto trascurato, e partendo da questo, con i dovuti aggiustamenti e perfezionamenti, vedremo di ampliarlo in modo che possa essere effettivamente d’aiuto per l’imprenditore soprattutto nei casi in cui le valutazioni debbano e possano essere fatte sul piano quantitativo ed in particolare facendo riferimento alla redditività.

Avremo quindi nell’ordine:

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• Aspetti e concetti preliminari; costi, ricavi, margine di contribuzione e conto economico riclassificato

• Il modello di base della break-even analysis • L’estensione del modello

Nel corso dell’esposizione riporteremo esempi di come i temi ed i concetti

illustrati possano essere utilizzati come guida per effettuare le scelte appropriate.

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2. Aspetti e concetti preliminari; costi, ricavi, margi-ne di contribuzione e conto economico riclassificato

CONTO ECONOMICO

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2.1 Costi Il costo può essere definito come “l’onere, il sacrificio da sopportare per

ottenere la disponibilità di determinati beni e/o servizi”. In tal sede prenderemo in considerazione 3 tipi di costi. Costi fissi: sono i costi che non si modificano al variare del livello

produttivo almeno fino ad un determinato intervallo di produzione. Es. gli ammortamenti, il costo del personale dipendente, dell’affitto ecc.; in sostanza i “costi di struttura” che di norma hanno anche la caratteristica di “non essere evitabili” nel senso che vanno sostenuti anche se non si produce nulla. All’aumentare dei volumi di produzione si raggiunge un valore limite (X) superato il quale i costi fissi subiscono un incremento a “sbalzi” o a “gradino”, secondo una scala denominata “scala del Pantaleoni”, incremento di solito di notevole impatto. La rappresentazione grafica dei costi fissi, in un sistema di assi cartesiani con le quantità sulle ascisse e i costi sulle ordinate, sarà (v. figura 8) del tipo Y = K ed essendo nel nostro caso K = CF, avremo:

Y = CF

Figura 8. Andamento costi fissi Figura 9. Ripartizione costi fissi

Volendo invece considerare l’incidenza dei costi fissi sul prodotto questa

avrà un andamento decrescente in quanto è intuitivo che, all’aumentare della quantità prodotta e fino al limite massimo della capacità produttiva, i costi fissi verranno ripartiti su una quantità sempre maggiore. Indicando con Iu l’incidenza unitaria dei

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costi fissi (CF) e con Q il volume di produzione avremo una funzione di tipo iperbolico (v. figura 9), come segue:

Iu = CF/Q

Se Q sarà la massima capacità produttiva, il dominio della funzione sarà

compreso tra 0 e Q Costi variabili: sono i costi che variano al variare della quantità prodotta e

che inoltre si configurano come “costi evitabili” nel senso che, decidendo di non produrre, si può evitare di sostenerli. Si pensi per esempio ad una azienda tipografica che consuma carta e inchiostro solo se stampa, o ad una compagnia aerea che consuma carburante solo se gli aeromobili volano e così via.

Per la nostra analisi assumeremo inoltre che i costi variabili siano proporzionali alla quantità prodotta16; l’espressione algebrica dei costi variabili (proporzionali) sarà dunque:

Y = Cv x Q

In tale espressione Cv è il costo variabile unitario e Q la quantità prodotta;

quindi la funzione che esprime i costi variabili è una retta che parte dall’origine (v. fig. 10) con coefficiente angolare Cv; ovviamente la rappresentazione tramite una retta con “pendenza” costante (e quindi sempre lo stesso coefficiente angolare) significa che il costo variabile unitario Cv non subisce variazioni.

Costi semivariabili: sono i costi caratterizzati da un componente fissa ed

una che varia invece con il volume produttivo. Si pensi ad un canone periodico fisso, come nel caso di un’utenza telefonica o di un collegamento internet, da corrispondere anche in caso di non utilizzo, cui vada aggiunto un costo per ogni chiamata o contatto che si andrà ad effettuare. Algebricamente un costo del genere “misto” o semivariabile è rappresentabile nel modo seguente:

Dove CF è il costo fisso e Cv x Q il totale dei costi variabili che cresce in modo proporzionale alla quantità; la retta quindi rappresenta i costi totali, avrà pendenza Cv e intersecherà l’asse delle Y in CF (v. oltre figura 13).

Y = CF + (Cv x Q)

16I costi, oltre che proporzionali, possono essere “progressivi” o “degressivi” e cioè aumentare o diminuire rispettivamente all’aumentare delle quantità; difficile se non impossibile riscontrare nella realtà costi “regressivi” quelli cioè che diminuiscono proporzionalmente all’aumentare delle quantità salvo casi particolari come per es. i costi fissi la cui incidenza diminuisce con la quantità anche se non in modo lineare. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Fig. 10. Tipologie di andamento dei costi variabili

2.2 Ricavi Il ricavo è propriamente parlando il “compenso ottenuto da un soggetto

economico in seguito alla vendita di beni e/o servizi in precedenza acquistati o prodotti; i ricavi ai quali facciamo riferimento in tale sede sono il risultato della cosiddetta “gestione ordinaria e caratteristica” e cioè quelli legati alla realizzazione della “missione” specifica dell’impresa prescindendo da proventi finanziari, atipici e straordinari).

Il ricavo complessivo o fatturato, si ottiene semplicemente moltiplicando il prezzo di vendita del prodotto per la quantità totale venduta (in tale sede faremo riferimento solo ad aziende monoprodotto17). In formula:

R = P x Q

Anche in tal caso l’espressione, in assenza di variazione di prezzi, può essere

rappresentata con un retta che avrà P come coefficiente angolare.

17Ovviamente nel caso vengano venduti più prodotti, per esempio 3 nelle quantità q 1, q 2 e q 3 rispettivamente al prezzo p1, p2 e p3 i ricavi complessivi saranno dati da Rt = ( p1 x q 1) + ( p2 x q2) + (q 3 x p3 .). Per approfondimenti relativi ad aziende pluriprodotto vedi C.Darconte. Metodi quantitativi per la gestione d’impresa. Dispensa L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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2.3 Conto economico, margine di montribuzione, risultato operativo.

Il passo successivo è il riferimento al Conto Economico del Bilancio

d’Esercizio riclassificato a ricavi e costi variabili (margine di contribuzione) come segue:

Schema Conto Economico a Ricavi e Costi variabili18 Ricavi di vendita + Rimanenze iniziali di magazzino - Rimanenze finali di magazzino - Costi variabili Margine di Contribuzione - Costi fissi Risultato operativo ± Proventi e oneri finanziari ± Proventi e oneri atipici ± Proventi e oneri straordinari Risultato prima delle imposte - Imposte sul reddito Risultato netto (utile o perdita d’esercizio) Esaminiamo due definizioni importanti: Margine di Contribuzione. Dal prospetto si evince che è la differenza tra i

ricavi e i costi variabili (la nostra analisi prescinderà dalle rimanenze) e può essere complessivo o unitario ed essere espresso in valore assoluto o percentuale. Il primo sarà dato dal totale ricavi meno il totale dei costi variabili (e verrà indicato con Mct), il secondo dalla differenza tra prezzo unitario e costo variabile unitario (sarà indicato con Mc); entrambi possono essere espressi sia in valore assoluto che percentuale e, in quest’ultimo caso, saranno indicati con Mct% o Mc%.

Da notare che l’espressione nasce dal fatto che la differenza residua tra ricavi e costi variabili “contribuisce” appunto al recupero dei costi fissi.19 In sostanza se vendo 1000 prodotti a 3 euro l’uno e spendo 1,5 euro ciascuno per costi variabili di produzione, avremo 1,5 euro x 1000 = 1500 euro, diciamo “residui”, che andranno a contribuire alla copertura dei costi fissi (vedi fig. 11).

Quanto sopra ci aiuta a capire subito due aspetti di grande importanza è cioè che:

- finché il prezzo di vendita è superiore al costo variabile di produzione è di norma preferibile vendere piuttosto che non vendere perché

18 F. Bartoli, 2006, Tecniche e strumenti per l’analisi economico-finanziaria, Franco Angeli. 19 Si badi che tale affermazione è corretta fino al punto di pareggio; superato quest’ultimo il margine di contribuzione di ogni pezzo venduto contribuisce invece al profitto lordo L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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essendo Mc>0, ogni pezzo venduto contribuisce a coprire i costi fissi (ovviamente non dovrà essere la strategia di pricing prevalente ed inoltre occorrerà fare attenzione ai successivi oneri che l’impresa dovrà sopportare quali oneri finanziari, tasse ecc.)

- dovendo scegliere tra due prodotti, a parità di altre condizioni, (precisazione che chiariremo meglio in seguito) conviene di norma orientarsi verso il prodotto con margine di contribuzione più elevato.

Fig. 11. Ru rappresenta il ricavo unitario che “transita” nell’ impresa e in quota parte immediatamente “fuoriesce” a coprire il costo variabile di produzione Cvu; il residuo confluisce nel contenitore dei costi fissi e solo quando quest’ultimo è pieno (cioè i costi fissi sono stati coperti) “deborda” e perviene nel contenitore finale a costituire il risultato operativo positivo o profitto.

Vediamo ora un’applicazione di questi due aspetti. Notiamo anzitutto come il fatto che Mc>0 vuol dire che l’impresa riesce a

realizzare e vendere un determinato prodotto o servizio ad un prezzo superiore al costo totale di produzione e vendita; questa condizione è ovviamente la conditio sine qua non per la stessa sussistenza dell’impresa profit ma, è opportuno precisare che si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Il prezzo di un prodotto non può essere solo superiore al costo variabile di produzione ma deve anche consentire il recupero dei costi fissi di competenza e degli

Solo dopo avere riempito il “recipiente dei costi fissi “ il

R.O. è > 0 .

RICAVI

Costi Fissi

Margine di Contribuzione

Risultato operativo

Costi Variabili

Ru

Cvu Mc

Il margine di contribuzione*

* Sistemi di Controllo Analisi economiche per le decisioni Aziendali – Antony Merchant

McGraw-Hill

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Page 33: Dalla contabilità analitica

altri oneri, di tipo finanziario e legati alle imposte, e deve ovviamente consentire di generare utili. Di conseguenza il prezzo è parte integrante di un progetto imprenditoriale, complesso e completo e nello stesso tempo, con la sua congruità, è la condizione di successo del progetto stesso.

Decidere di vendere un prodotto ad un determinato prezzo solo sulla base del fatto che lo stesso prezzo è superiore al margine di contribuzione non può e non deve essere quindi una strategia stabile di pricing ma può essere viceversa una strategia valida in un determinato momento e per un determinato periodo. Si pensi ad un’impresa che abbia in produzione una macchina obsoleta che al costo pieno porterebbe l’impresa ad essere fuori mercato; in un caso del genere ha senso vendere ad un prezzo più basso purché si recuperino i costi variabili di produzione e resti comunque un margine di contribuzione positivo che aiuti l’impresa a coprire i costi fissi. E’ evidente tuttavia che non può essere la soluzione definitiva che potrà essere piuttosto la dismissione della macchina, con conseguente abbandono della relativa produzione, oppure la sua sostituzione con una più efficiente.

Ciò premesso vediamo ora una prima applicazione del secondo punto illustrato e cioè la scelta tra due prodotti sulla base del margine di contribuzione.

Si consideri infatti di dover scegliere tra due prodotti dalle seguenti caratteristiche e che abbiano entrambi una richiesta elevata da parte del mercato su questo punto saremo più chiari nel prosieguo, vedi oltre a pagina 39)

Dati Prodotto Prodotto

A B Costi fissi 500.000 650.000 Prezzo vendita 60 50 Cost variabile uni 25 20

In un caso del genere, cioè con una domanda elevata per entrambi i prodotti,

non c’è alcun dubbio che sia opportuno scegliere A in quanto ogni prodotto venduto apporta un Mc di 35 euro contro 30 di B; inoltre, nel caso di A, i costi fissi sono minori.

Ovviamente i casi possibili possono essere anche di altro tipo per esempio che il prodotto con margine di contribuzione unitario più alto abbia anche i costi fissi più alti e in tal caso il ragionamento da fare dovrà essere diverso. Ritorneremo su tale punto appena avremo introdotto i concetti necessari e cioè quello di risultato operativo e del modello del break even point.

Risultato operativo lordo (o reddito operativo lordo)20. E’, in termini semplici, la differenza tra ricavi totali e costi totali, differenza che, si badi bene, può anche essere - e spesso è - “negativa”; quindi il risultato operativo può coincidere

20 Si noti come il Ro si avvicini molto all’Ebit = Earnings before interests and taxes. L’Ebit si differenzia in quanto prende in considerazione anche i proventi e gli oneri non strettamente connessi alla gestione. Segnaliamo per completezza anche un altro indicatore molto usato e cioè il cosiddetto Ebitda o Mol (margine operativo lordo) che sostanzialmente corrisponde all’Ebit più gli ammortamenti. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Page 34: Dalla contabilità analitica

con il “profitto”, in caso il saldo sia “attivo” ma anche con la “perdita” in caso risulti un “disavanzo” tra ricavi e costo totale della produzione.

Per chiarezza tale valore sarà sempre indicato nel testo come “risultato operativo” o “Ro”; su tale risultato incideranno i proventi e gli oneri finanziari nonché quelli atipici e straordinari e avremo il risultato prima delle imposte; su quest’ultimo graverà poi la tassazione e avremo infine il risultato netto21.

Abbiamo ora tutti gli elementi di base per introdurre il modello di base della break-even analysis

21 Vedremo meglio che il risultato “netto” così calcolato coincide con quanto indicato di norma in Bilancio ma che, in realtà, dovrebbe essere ulteriormente ridotto per far fronte ad altri tipi di costi tra cui il “costo opportunità” ( vedi oltre, capitolo 4). Vedremo inoltre come il Ro, essendo sostanzialmente la differenza tra ricavi e costi totali, non tiene conto dei tempi di manifestazione degli stessi (cioè di flussi di cassa) e, di conseguenza, di norma non coincide con il saldo monetario. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Page 35: Dalla contabilità analitica

3. Il modello di base della break-even analysis

Il modello di un sistema esprime la conoscenza di un fenomeno e come tale consente di rispondere a

domande sul sistema senza la necessità di compiere un esperimento. Esso costituisce quindi un potente

mezzo di descrizione e di previsione del comportamento del sistema stesso.

area di perdita

area di profitto

CF Costi fissi

Volume di pareggio

Volumi di vendita

Costi Ricavi

Ricavi totali

Costi totali

Fatturato di pareggio

Totale costi variabili area di perdita

α β

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Page 36: Dalla contabilità analitica

3.1 Formule di base e rappresentazione grafica22 Chiariti i concetti di fondo possiamo ora scrivere la seguente espressione che

costituirà l’oggetto della nostra successiva analisi:

Risultato operativo = Ricavi totali – Costi totali

I ricavi totali, per quanto già detto in precedenza, saranno dati da P x Q; i costi totali saranno dati ovviamente dalla somma dei costi variabili (Cv x Q) e di quelli fissi e cioè: CT = (Cv x Q)+ CF e quindi, nel caso di un’azienda monoprodotto, avremo che:

Ro = PxQ – [(Cv x Q) + CF ] 1 Poiché stiamo cercando il punto di equilibrio e cioè la quantità tale per cui i

ricavi eguaglino i costi totali, dovrà essere Ro = 0

e quindi P x Q = CT cioè P x Q = (Cv x Q) + CF Portiamo a sinistra Cv x Q; mettiamo in evidenza Q e otteniamo

Q x (P-Cv) = CF da cui

Qbep = CF/(P-Cv) 2 Abbiamo ottenuto in tal modo la formula“madre” su cui costruire ogni

ulteriore passaggio o ragionamento; tale formula ci consente di rispondere facilmente ad una domanda fondamentale per l’imprenditore e cioè:

“dato un determinato prodotto/servizio qual è la quantità minima da vendere ad un prezzo x affinché vengano recuperati i costi sostenuti?”

Vediamo subito un esempio numerico e applichiamo la formula nel caso di costi fissi pari a 300.000, prezzo 100 euro e costo variabile unitario pari a 70; la quantità di equilibrio potrà essere calcolata immediatamente come segue:

300.000/(100-70) = 10.000

Ovviamente sarà possibile calcolare in modo analogo uno qualunque dei 4 elementi che compaiono nella formula purché siano noti gli altri 3. Esempio “che prezzo devo praticare per riuscire ad essere in pareggio con 10.000 prodotti

22Giova fin d’ora sottolineare, in particolare per coloro che dovessero limitarsi alla lettura di questa parte o che conoscessero solo il “modello di base”, che quest’ultimo si fonda su ipotesi semplificatrici che comportano ovviamente limiti alla sua applicazione (v. oltre, limiti del modello). L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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venduti, CF =300.000 e Cv = 70 ?” Con dei semplici passaggi ovviamente troveremo 10.000 = 300.000/(p-70); da cui p = 100

La 2 può essere inoltre formulata anche in un modo diverso; ricordando infatti che (P-Cv) = Mc o margine di contribuzione unitario e sostituendo nella 2 avremo:

Qbep = CF/Mc 2bis Da notare che un Mc = 30 si può ottenere da 100-70 ma anche da 130-100,

da 3500-3470 ecc. ecc.; in sostanza, a parità di costi fissi, la quantità di equilibrio Q, calcolata tramite la 2 bis, può rappresentare il punto di pareggio per situazioni di partenza diverse per quanto riguarda il prezzo e il costo variabile.

Ovviamente va tenuto presente che situazioni del genere, pur evidenziando elementi del tutto identici, e cioè lo stesso volume di pareggio e lo stesso margine di contribuzione unitario, sono in realtà molto diverse se consideriamo sia i ricavi che l’impiego di capitali (vedi figura 12).

CF € 300.000,00 € 300.000,00 € 300.000,00 P € 100,00 € 130,00 € 3.500,00 CV € 70,00 € 100,00 € 3.470,00 Mc € 30,00 € 30,00 € 30,00 Qbep 10.000,00 10.000,00 10.000,00 Ricavi € 1.000.000,00 € 1.300.000,00 € 35.000.000,00 Cvt € 700.000,00 € 1.000.000,00 € 34.700.000,00 CF € 300.000,00 € 300.000,00 € 300.000,00 CT € 1.000.000,00 € 1.300.000,00 € 35.000.000,00 Figura 12. Esempio di 3 situazioni che evidenziano la stessa quantità di equilibrio e lo stesso margine di contribuzione unitario ma che evidenziano ricavi e “impieghi” di capitale molto diversi tra di loro

La formula “madre” ci consente inoltre di rispondere anche ad un altro

quesito di primaria importanza che riguarda non più le quantità ma il fatturato o i ricavi di equilibrio e cioè: “qual è il fatturato minimo di un determinato prodotto/servizio che deve essere realizzato affinché i costi, sia fissi che variabili, siano integralmente coperti?”

Ovviamente, una volta nota la quantità di pareggio, è immediato trovare il fatturato di equilibrio; sarà infatti sufficiente moltiplicare tale quantità per il prezzo di vendita.

Esiste tuttavia una formula “ad hoc” che vale la pena di conoscere anche perché consente di evidenziare aspetti decisamente interessanti e inoltre diventa come vedremo imprescindibile in determinate situazioni; per trovare tale formula partiremo dalla 2 e moltiplicheremo entrambi i membri per il prezzo P e avremo:

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Page 38: Dalla contabilità analitica

P x Q = [CF/(P-Cv)] x P

Il primo membro corrisponde appunto ai ricavi o fatturato di equilibrio. Il secondo membro può essere scritto prima come: PCVPCF )( − e poi,

semplificando, avremo: Fbep =

PCv

CF

−1 3

Tale formula costituisce un altro importante punto di riferimento qualora si

cerchino i ricavi di equilibrio piuttosto che le quantità; la 3 inoltre è imprescindibile in caso si voglia calcolare il fatturato di pareggio e non siano noti i valori puntuali di P e Cv, ma solo il loro rapporto, per esempio Cv/P = 0,7.

In tal caso per trovare il fatturato di pareggio basta dividere i costi fissi per 1- 0,70 = 0,30

La formula introduce inoltre un aspetto nuovo; il denominatore infatti corrisponde al margine di contribuzione espresso in valore percentuale (essendo

PCvP − ).

Esempio se il prezzo di vendita è 100 e il costo variabile di produzione è 70 il rapporto Cv/P = 0,70 e 1 - 0,70 = 0,30 che corrisponde esattamente al margine di contribuzione percentuale (100 - 70 diviso il prezzo 100).

La 3 può quindi essere anche scritta come segue:

Fbep = CF/MC% 3bis Tale formulazione ci consente di effettuare una riflessione; infatti il rapporto

Cv/P, uguale nel nostro caso a 0,70, si può ottenere con un numero praticamente infinito di rapporti come per es. 700/1000 o 70.000/100.000 ma anche 63/90, 210/300 , 280/400 ecc. ecc., in definitiva da quell’insieme di coppie di numeri il cui rapporto sia pari a 0,70.

Per esempio se i costi fissi sono pari a 300.000 avremo lo stesso fatturato di equilibrio pari a 1.000.000 sia che P sia uguale a 100 e Cv a 70 sia nel caso P sia uguale a 10.000 e Cv a 7.000; ovviamente cambieranno le quantità in gioco.

In sostanza, in modo analogo alla “2bis” la “3bis ” porta ad un risultato che non rappresenta una situazione unica ma “n” situazioni e cioè tutte quelle in cui, a parità di costi fissi, sussista lo stesso rapporto Cv/P.

Riportiamo ora nella figura 13 il grafico del punto di pareggio con i valori

(ricavi e costi) in ordinate e le quantità in ascisse; da tale grafico si evidenzia che:

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Page 39: Dalla contabilità analitica

• I costi fissi sono rappresentati da una retta parallela all’asse delle ascisse.

• I costi variabili sono rappresentati da una retta che parte dall’origine con coefficiente angolare pari al costo variabile Cv (nel grafico la retta è tratteggiata) .

• I costi totali sono la somma dei costi fissi e dei costi variabili - sono quindi un costo semivariabile - e sono rappresentati da una retta, parallela a quella dei costi variabili, che interseca l’asse delle Y nel punto corrispondente al totale dei costi fissi.

• I ricavi sono rappresentati da una retta che parte dall’origine con il prezzo unitario P come coefficiente angolare.

• L’intersezione della retta dei ricavi con la retta dei costi totali individua un punto le cui coordinate forniscono:

1. sulle ascisse, la quantità di equilibrio 2. sulle ordinate, il fatturato di equilibrio

Il grafico del punto di pareggio

Figura 13. Il grafico del punto di pareggio

area di perdita

area di profitto

CF Costi fissi

Volume di pareggio

Volumi di vendita

Costi Ricavi

Ricavi totali

Costi totali

Fatturato di pareggio

Totale costi variabili area di perdita

α β

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Da notare, anche se del tutto ovvio, che la condizione per cui possa esistere il punto di equilibrio è che il coefficiente angolare della retta dei ricavi sia maggiore, anche di poco, del coefficiente della retta dei costi totali.

La retta dei ricavi dovrà avere quindi un’angolazione maggiore rispetto a quella dei costi variabili e di conseguenza l’angolo α formato dalla retta dei ricavi con l’asse delle ascisse (v. figura 13) dovrà essere sempre maggiore del corrispondente angolo β formato dalla retta dei costi totali; per dirla più semplicemente, dovrà sempre essere P > Cv e cioè il prezzo maggiore del costo variabile.

Considerazione ancora più importante è che, superato il punto di pareggio, il risultato operativo positivo, e quindi il profitto lordo, evidenzia un incremento più che proporzionale rispetto all’aumento dei volumi di vendita; tale effetto, denominato effetto leva (v. oltre, effetto leva, per i necessari approfondimenti) risulta massimo subito dopo il punto di pareggio e tende a diminuire man mano che aumenta la quantità venduta.

Si noti per quanto riguarda il margine di contribuzione che all’aumentare della quantità venduta il valore unitario resta immutato (sarà sempre il prezzo unitario meno il costo variabile unitario) mentre invece aumenterà il valore complessivo.

3.2 Il volume di indifferenza Ritorniamo ora sull’esempio già visto a pag. 33 in cui l’impresa, per

investire, doveva scegliere tra due prodotti A e B e dove avevamo visto che la scelta non comportava difficoltà in quanto uno dei due prodotti (A) evidenziava il margine di contribuzione unitario più alto e nello stesso tempo i costi fissi più bassi.

Consideriamo ora invece il caso in cui A abbia sempre il margine di contribuzione unitario più alto ma anche i costi fissi più alti, per esempio come segue:

Dati Prodotto Prodotto

A B Costi fissi 650.000 500.000 Prezzo vendita 60 50 Costo variabile uni 25 20

In tale caso si comprende come i volumi di vendita giochino un ruolo

fondamentale e vogliamo ora analizzare le varie possibilità che si possono presentare; cominciamo con l’evidenziare che qualora le vendite fossero illimitate sarà comunque A il prodotto da preferire in quanto ci sarà sempre un volume di vendite tale per cui il maggior margine unitario del prodotto A riuscirà a compensare i maggiori costi fissi. Qualora viceversa la domanda fosse contenuta, occorrerà stimare quale sia per entrambi i prodotti la massima quantità che potrà essere richiesta dal

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Page 41: Dalla contabilità analitica

mercato ed effettuare le opportune valutazioni calcolando appunto il cosiddetto volume di indifferenza

Con tale espressione si intende un volume di vendita tale per cui il risultato operativo apportato da entrambi i prodotti sarà identico; ovviamente tale volume potrà esistere solo nel caso che essendo Mc1>Mc2 sia anche CF1>CF2 come nel caso in oggetto (o anche Mc1<Mc2 ma con CF1<CF2) . In tale contesto, si comprende facilmente come prima di raggiungere tale volume di vendite sarà sempre più vantaggioso il prodotto con costi fissi minori (B nel nostro caso) mentre superato lo stesso volume di indifferenza sarà il prodotto A ad essere più conveniente e, tra l’altro, lo sarà sempre di più man mano che si continuerà a vendere (in altre parole la “forbice” tenderà ad allargarsi nel tempo, vedi figura 14).

Ciò premesso per calcolare il volume di indifferenza Qi, tale per cui le due alternative producano lo stesso reddito, dovrà essere necessariamente

Qi = Ro1 = Ro2 cioè (Q x Mc1 ) - CF1 = (Q x Mc2 ) – CF2 quindi

Qi = CF1 – CF2 4 Mc1 - Mc2

Dalla formula possiamo calcolare immediatamente il volume di indifferenza

che sarà dato da (650.000- 500.000)/ (35-30) = 30.000 Qualora la domanda di mercato sia quindi in un intorno di 30.000 pezzi i due prodotti producono esattamente lo stesso reddito e in tal caso potrebbe essere opportuno investire sul prodotto che richiede il minor investimento in quanto ha i costi fissi più bassi.

Si badi che nel caso il volume massimo di vendite per entrambi i prodotti fosse pari a 17.500 pezzi è facile vedere come A non raggiungerebbe neppure il volume di pareggio (650.000/35 = 18.571) per cui investire su A significherebbe una perdita in quanto avremmo [(35x17.500) - 650.000] = - 37.500; di conseguenza in tale contesto sarà preferibile investire su B che per 17.500 vendite apporterebbe invece un utile di 25.000 euro. Infatti [(30x17.500) - 500.000] = 25.000 euro.

Ovviamente A, anche dopo che le vendite avranno superato il punto di pareggio, pur in attivo, continuerà ad essere meno profittevole di B fino a che non sarà stato raggiunto il volume di indifferenza e, solo dopo, comincerà a produrre un reddito superiore.

Concludendo, nella scelta tra due prodotti che evidenzino una delle due situazioni:

1) Mc1>Mc2 e CF1>CF2 oppure

2) Mc1<Mc2 CF1<CF2

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Page 42: Dalla contabilità analitica

abbiamo le condizioni d’esistenza del volume d’indifferenza che può essere calcolato in base alla 4

In tal caso, i criteri generali per orientare le scelte saranno i seguenti:

• al di sotto del volume di indifferenza sarà preferibile il prodotto con costi fissi minori

• al volume di indifferenza, a parità di reddito prodotto, converrà di norma comunque il prodotto con costi fissi minori in quanto comporterà un minore investimento di capitale con un Roi23 più elevato

• al di sopra del volume di indifferenza sarà invece da privilegiare il prodotto A e il risultato in termini economici sarà tanto più elevato quanto più si procederà con le vendite oltre il volume di indifferenza stesso.

La figura 14 rappresenta graficamente quanto descritto; come si può vedere

B raggiunge il pareggio a 16.666 pezzi mentre A solo a 18.571 mentre il volume di indifferenza è a 30.000.

Marzo 2011 – Il controllo di gestioneCarmine D’Arconte Docente di Marketing e Comunicazione d’impresa . Università degli Studi Roma , Foro Italico

Ro = Mc x Q - CF

- CF

Volume di vendita

Risultato Operativo

18571

Ro16.666

€ -500000

Il “volume di indifferenza” tra due alternative

30000

Punto di indifferenza

€ - 650000

Ro

A

B

Figura 14. Il “volume di indifferenza” tra due alternative

23 Roi = Ro sul totale degli impieghi. Vedi oltre La Finanza cap. 4 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Page 43: Dalla contabilità analitica

3.3. Il margine di sicurezza In caso l’impresa si trovi a fronteggiare o preveda una significativa riduzione

delle vendite è spesso importante essere in grado di rispondere alla seguente domanda: “di quanto si possono ridurre le vendite attuali prima che l’azienda risulti in perdita?”

In queste circostanze può essere d’aiuto il margine di sicurezza e cioè un indice che si determina rapportando in termini percentuali le vendite eccedenti il punto di pareggio alle vendite effettive. Se indichiamo con Vbep il volume di vendite necessarie per il pareggio e con V il volume di vendite effettivo, avremo in formula:

Ms = (V- Vbep)/V 5

Se per esempio il volume attuale di vendite dell’azienda A fosse pari a 200 e il break-even venisse raggiunto a 160 pezzi, il margine di sicurezza in valore assoluto sarebbe pari a 40 e in percentuale al 20% (40/200). Quindi l’azienda può sopportare al massimo una contrazione delle vendite del 20%.

E’ decisamente più significativo esprimere l’indice in percentuale perché in tal modo si ha una chiara evidenza della situazione effettiva; per capire meglio tale aspetto si consideri un’altra azienda B che venda 2040 pezzi e abbia il punto di pareggio a 2000; anche in tal caso l’indice in valore assoluto sarebbe pari a 40 ma in percentuale 40 su 2040 è solo il 2%! Si comprende bene come la situazione di B sia decisamente meno rosea rispetto ad A24.

Da notare che V può essere inteso indifferentemente sia come quantità a volume che come quantità a valore e cioè i ricavi; il valore del margine di sicurezza ovviamente non cambia.

Aspetto interessante è che il margine di sicurezza può anche essere ottenuto dal rapporto tra il risultato operativo e il margine di contribuzione totale. Infatti partendo dalla 5 abbiamo:

Ms = (V- Vbep)/V dove V = vendite effettive>Vbep, con V = PxQ1, con Q1 = quantità effettivamente vendute; Vbep (e cioè le vendite di equilibrio) sarà uguale a (CF/Mc) x P. Se effettuiamo le sostituzioni e i relativi passaggi arriviamo alla seguente espressione: Ms = P x [(Mc x Q1) - CF]/ (Mc x Q1 /P. Semplificando per “P” ci ritroviamo al numeratore (McxQ1) - CF che (vedi formula 8) rappresenta proprio il risultato operativo mentre il denominatore, McxQ1, corrisponde al margine di contribuzione complessivo.

24 R. N. Anthony, David F. Hawkings, D.M. Macrì, K. A. Merchant, Sistemi di Controllo, 1994, Mc Graw Hill

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In sostanza il margine di sicurezza può essere espresso anche come segue:

Ms = Ro/MCt25 5bis Esempio: immaginiamo due imprese che evidenzino la seguente situazione e

calcoliamo il margine di sicurezza utilizzando la 5bis:

A B Ricavi 2000 2000

Costi variabili totali 600 800 Costi fissi 1000 800 Quali sono i rispettivi margini di sicurezza? Intanto sarà: Mc totale 1400 1200 Risultato operativo 400 400 Da cui Ms 400/1400 400/1200 0,28 0,33 Allo stesso risultato saremmo arrivati, ma in modo meno immediato,

utilizzando la 5. Verifichiamo per l’azienda A: il fatturato di pareggio sarà dato da Fbep =

PCv

CF

−1 ed essendo Cv/P pari a 600/2000 = 0,30 segue che Mc = 0,7 da cui

Vbep =1000/0,70=1428; di conseguenza Ms = (2000-1428)/2000 = 0,28 Da notare come le due imprese A e B riportano stessi ricavi e stesso risultato

operativo; tuttavia il margine di sicurezza di B, leggermente superiore, evidenzia una migliore capacità di far fronte ad un’eventuale contrazione della domanda rispetto ad A.

25Mct = Margine contribuzione totale L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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4. L’estensione del modello

Un “piccolo salto” per rendere il modello più utile e più realistico

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4.1 Calcolo di un risultato operativo predeterminato Il “punto di pareggio”, pur di grande rilevanza, non rappresenta certo

l’obiettivo finale dell’imprenditore che, ovviamente, mira a conseguire utili; in tale contesto quindi la domanda che sorge spontanea e alla quale ora vogliamo dare una risposta sarà: “qual è la quantità da produrre e vendere per avere in determinate condizioni di costi e ricavi un risultato operativo pari ad X ?

Il punto di partenza sarà la nostra formula 1 e cioè Ro = (P x Q) – [(Cv x Q) + CF]

Questa volta dovrà essere Ro # 0 (risultato operativo diverso da zero) e con semplici passaggi avremo:

Qro = (CF+Ro) /(P-Cv) Essendo (P-CV) = MC sarà ovviamente:

Qro = (CF+Ro)/MC Le formule ci consentono di rispondere immediatamente alla domanda. Infatti se fissiamo un profitto obiettivo lordo di 60.000 euro con costi fissi

pari a 300.000, prezzo di 100 euro e costo variabile unitario pari a 70, la quantità da vendere sarà pari a 12.000 dato da (300.000 + 60.000)/(100 -70).

In sostanza è sufficiente sommare il “risultato operativo obiettivo” ai costi fissi e dividere per il margine di contribuzione unitario e avremo immediatamente la quantità da vendere che, ovviamente, risulterà superiore a quella necessaria per l’equilibrio (infatti nel caso di Ro = 0, Qbep = 10.000).

Va detto che in determinati casi può essere utile saper calcolare anche un eventuale risultato operativo negativo o “perdita” anche se in prima approssimazione potrebbe sembrare un obiettivo strano. In realtà è noto che le imprese all’inizio della loro attività, come pure i singoli prodotti nella fase iniziale di lancio, molto difficilmente riescono ad essere immediatamente in attivo. La norma anzi è un notevole disavanzo a causa dell’entità degli investimenti iniziali che, anche in caso di successo, richiedono tempo per produrre ritorni economici.

Le domande nel caso specifico potranno essere del tipo: “qual è, in un determinato contesto, il volume di vendite per perdere al

massimo X?” Oppure nel caso si vogliano “sanare” situazioni di perdita: “di quanto devo incrementare le vendite, oppure di quanto incrementare il

prezzo, oppure di quanto ridurre i costi fissi o quelli variabili, per passare dalla perdita X alla perdita Y (con Y < X)?

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Sarà sufficiente per rispondere a questa domanda ripartire sempre dalla 1 ponendo semplicemente il segno meno davanti a Ro

- Ro = (PxQ) – [(Cv x Q) + CF]

da cui Q = (CF - Ro) / (PV-Cv) o anche Q = (CF - Ro) / MC

Possiamo sintetizzare entrambe le situazioni di risultato operativo, positivo e

negativo, in una sola formula avendo cura di utilizzare il segno positivo nel primo caso e negativo nell’altro come segue:

Qro = (CF ± Ro) / (P-Cv) 6

o anche

Qro = (CF ± Ro) / MC 6bis Esempio. L’azienda Rossi con 300.000 euro di costi fissi, prezzo pari a 100

euro e costo variabile unitario 70, evidenzia una perdita di 5000 euro; di quanto incrementare le vendite per ridurre la perdita a 2.000 euro? Calcoliamo per prima cosa le quantità attualmente vendute, sarà: [(300.000-5000)/30] = 9833 circa. Per ridurre la perdita a 2.000 euro dovrà essere: (300.000-2000)/30 = 9.933 circa) quindi 100 pezzi in più.

Di quanto incrementare il prezzo di vendita per ridurre la perdita a 2.000 euro mantenendo le stesse quantità vendute (9833)? Sarà: (300.000-2000/(P1-70) da cui segue che P1 =100,30 e quindi circa 0,30 euro al pezzo in più.

In modo analogo può essere necessario calcolare non più la quantità ma il

fatturato necessario per ottenere un determinato risultato operativo; in sostanza la domanda sarà “qual è il fatturato che in determinate condizioni ci consente di avere un certo risultato operativo (positivo o negativo)?”

Basta ripartire dalla formula 3 e cioè Fbep = CF/[(1-(Cv/P)] e sommare “algebricamente” il risultato operativo “obiettivo” ai costi fissi, cioè “sommare” in caso di reddito positivo e “detrarre” in caso contrario. La formula sarà quindi:

Fro = (CF ± Ro) / [(1- (Cv/P)] 7

o anche (ricordando che il denominatore corrisponde al margine di contribuzione percentuale MC%)

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Fro = (CF ± Ro) / MC% 7bis Esempio: quale fatturato è necessario con costi fissi pari a 300.000 euro, P

=100, Cv = 70 per avere un risultato operativo pari a + 60.000? Sarà sufficiente dividere 360.000 per 0,30 dato da (1 - 0,70) e avremo 1.200.000.

4.2 Espressione algebrica e grafico del risultato operativo Le formule del risultato operativo ci consentono di concentrarci su una

variante decisamente interessante rispetto al grafico del punto di pareggio e cioè il grafico del risultato operativo al variare delle quantità o del fatturato descritto a suo tempo da Leonard Doyle26.

Riprendiamo la 6bis con il segno positivo avremo:

Ro = (MC x Q) – CF 8 Tale espressione rappresenta appunto la retta del risultato operativo e quindi

la variazione dello stesso al variare delle quantità come evidenziato nella figura 15. Per quanto riguarda il fatturato, sempre considerando il Ro con il segno

positivo, la formula di partenza sarà la 7bis e avremo quindi che Ro = (MC%x F) – CF;:

Ro = (MC% x F) - CF 8bis

Espressione che possiamo anche scrivere Ro = (MC% x P x Q) – CF, ricordando che F, cioè il fatturato, è P x Q.

La 8 e la 8bis sono ovviamente equivalenti essendo MC xQ = MC% x PxQ. Fermiamoci ora un momento ad analizzare il grafico illustrato in figura 15

che evidenzia l’andamento del Ro in funzione delle quantità; la retta ha come coefficiente angolare MC e evidenzia due intersezioni una con l’asse delle Y a sinistra e l’altro con l’asse delle X a destra.

La prima intersezione con asse Y corrisponde al valore dei costi fissi ed è ovviamente un valore negativo; la seconda intersezione con l’asse X corrisponde invece al punto di pareggio.

Il grafico, in sostanza, consente di leggere immediatamente sull’asse delle Y il risultato operativo in funzione di ogni livello di quantità indicato sull’altro asse. Nell’ipotesi di costi fissi pari a 2000 euro, P = 100 e Cv = 60, come si vede il punto

26 L.Doyle, Economics of Business Enterprise citato in F. Gracioso, Marketing 1997, Atlas S.A. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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di pareggio corrisponde ad una quantità di 50 pezzi mentre per un volume pari a 40 unità abbiamo un Ro negativo o perdita di 400 euro; con 80 pezzi venduti si ottiene invece un Ro positivo o utile lordo (escludendo cioè oneri finanziari e tasse) pari a 1200; le coordinate X e Y di ogni punto della retta individuano rispettivamente le quantità e il risultato operativo corrispondenti.

E’ possibile ovviamente rappresentare il fenomeno con un altro grafico equivalente a quello già mostrato, riportando sulle ascisse i volumi di vendita a valore o ricavi mentre resteranno sulle ordinate i corrispondenti valori di risultato operativo. In tal caso avremo la rappresentazione grafica di Ro = (MC% x F) – CF.

area di perdita

Ro = MC x Q - CF

- CF

Volume di vendita

Risultato Operativo

area di profitto

Volume di pareggio

50

€ 1.200

80

40

Volume per Ro -400

€ -400

Volume per Ro + 1.200

Figura 15. Il grafico del Risultato operativo in funzione dei volumi

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4.3 Relazione tra la retta dei ricavi, dei costi totali e del risultato operativo.

Come già visto le rette dei ricavi, dei costi totali e del risultato operativo

hanno rispettivamente come espressione algebrica: R = P x Q CT = CF + (Cv x Q) Ro = (MC x Q) – CF La retta dei ricavi ha come coefficiente angolare P (cioè il prezzo unitario) e

parte dall’origine formando con l’asse delle ascisse un angolo che indicheremo con α (vedi figura 16).

La retta dei costi totali è parallela a quella dei costi variabili di cui ha di

conseguenza lo stesso coefficiente angolare Cv e forma con l’asse delle ascisse un angolo che indicheremo con β (nella figura la retta dei costi totali forma l’angolo β con la retta dei costi fissi Y = CF parallela alle ascisse).

La retta del risultato operativo, come evidenziato nella 8, ha come

coefficiente angolare MC (cioè il margine di contribuzione unitario e quindi la differenza tra prezzo e costo variabile); tale retta si può ottenere punto per punto come differenza tra la funzione dei ricavi Rt = P x Q e la funzione dei costi totali CT = CF + (Cv x Q).

Infatti se poniamo Ro = Rt – CT ed effettuiamo i passaggi necessari

otteniamo appunto Ro = (P X Q) - [CF + (Cv x Q)] = (P X Q) - (Cv x Q) - CF = Q (P - Cv) – CF = (Q x MC) - CF. cioè Ro = (Q x MC) - CF.

Se ora poniamo Ro = 0, come deve essere al punto di pareggio, sarà

ovviamente Q x Mc = CF; se invece poniamo Q x Mc = 0, come avviene quando non si è venduto nulla, il Ro, sarà ovviamente negativo e precisamente pari a – CF. Abbiamo in tal modo i due punti necessari per tracciare la nostra retta che formerà con l’asse delle Y in un punto, - CF, un angolo che indicheremo con γ (vedi figura 16).

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Figura 16. Relazione tra retta del risultato operativo, costi totali e ricavi 4.4 Approfondimento sulla curva del risultato operativo La rappresentazione di Doyle dell’andamento del Ro (vedi figura 15), pur

concettualmente corretta, ha comunque un limite non trascurabile in quanto non tiene conto degli aspetti temporali e, in particolare, ipotizza che i costi fissi vengano spesi, per così dire, istantaneamente tutti insieme al momento iniziale del lancio del prodotto.

Di norma invece si comincia ad investire e quindi ad essere in passivo prima che sia possibile iniziare la produzione e a maggior ragione le vendite e, inoltre, non è affatto detto che il massimo del passivo coincida con il lancio del prodotto, anzi è più frequente il caso in cui il passivo continui ad aumentare dopo la fase di lancio sia perché le spese promozionali sono di norma molto elevate nella fase iniziale sia perché occorre comunque far fronte ai costi fissi a fronte di vendite ancora contenute.

E’ quindi molto più realistica una rappresentazione dell’andamento del Ro di tipo sinusoidale come nella figura 17 che, tra l’altro, ci consente di fare due riflessioni importanti riguardo il momento in cui si raggiunge il massimo del passivo.

In tale momento infatti la gestione cessa di assorbire capitali e comincia a generare reddito; questo ovviamente non significa che l’azienda sia in pareggio né

area di profitto

0rigine

Volume di vendita

Costi Ricavi

Ricavi totalii

Costi totali

Fatturato di pareggio

CF

- CF

Risultato operativo

α β

γ

area di profitto area perdita

area perdita

Volume di pareggio

Relazione tra grafico del punto di pareggio risultato operativo

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tantomeno in attivo in quanto deve ancora recuperare il passivo accumulato nel periodo precedente, ma tuttavia da quel momento l’andamento del Ro inverte la rotta e incomincia a risalire verso l’asse delle ascisse che incrocerà quando sarà raggiunto il pareggio.

La “punta” massima del passivo inoltre ci dà ipso facto un’altra informazione fondamentale e cioè l’ammontare di capitale27 che è indispensabile investire nell’impresa per realizzare l’attività; tale aspetto riveste un’importanza critica in quanto è indispensabile formulare una previsione attendibile ex ante in modo da avere disponibili per tempo i capitali necessari.

Qualora le vendite seguano l’andamento classico del ciclo di vita del prodotto, la curva del Ro, dopo aver intersecato l’asse delle ascisse al momento del pareggio, continua poi a salire dapprima in modo esponenziale, poi, pur continuando a crescere, subisce una “flessione, continua a crescere fino a raggiungere un picco massimo dopo il quale inizia il declino.

Andamento cumulato del ro

y = -3243,4x3 + 108909x2 - 820506x - 82846

-2500000-2000000-1500000-1000000-500000

0500000

100000015000002000000

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23

Mesi anno

Valo

ri cu

mul

ati d

el R

o

Serie1Poli. (Serie1)

Figura 17. Andamento sinusoidale del risultato operativo Ovviamente formulare previsioni attendibili è un compito di una complessità

enorme ma, come detto più volte, la complessità non può divenire il pretesto per esimersi dal compito visto che ci riferiamo ad eventi che comunque andranno a verificarsi e avranno un notevole impatto sulla redditività aziendale.

Il modello aiuta a comprendere le difficoltà che si pongono al Management che oltre a previsioni di vendita quanto più possibili accurate dovrà anche essere in grado di tener conto dell’inevitabile sfasamento tra tempi di incasso di fatture attive e

27 In realtà, a ben vedere, in tal modo si individua il valore negativo più basso del risultato operativo; il capitale sarà di norma maggiore in quanto sarà dato dai saldi di cassa che per il naturale sfasamento temporale tra costi e ricavi a sfavore di questi ultimi, di norma non potrà che peggiorare la situazione. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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tempi di pagamento di fatture passive o, per dirla diversamente, costruire sulle ipotesi di vendite una stima del budget di cassa.

Si consideri a titolo di esempio il caso dell’avvio di una nuova azienda come di seguito indicato:

L’impresa Rossi inizia l’attività il 1° gennaio 2010 con impianti che possono produrre ogni mese 100 pezzi da vendere sul mercato a 100 euro l’uno. Si ipotizzi che i materiali necessari per la lavorazione possano essere forniti a vista dai fornitori e che l’impresa riesca a vendere 100 pezzi al mese, che i costi fissi siano pari a 3000 euro al mese e i costi variabili (materie prime, fornitori e quant’altro necessario per la produzione) ammontino a 4000 euro per ogni 100 pezzi prodotti e venduti. Si consideri che in media occorre un mese per la produzione di 100 pezzi e altrettanto tempo per la vendita e la consegna e che le condizioni di pagamento siano a 60 giorni data fattura, sia per i fornitori che per i clienti, con effettivo pagamento o incasso entro il terzo mese dall’emissione fattura. Proviamo ora a rappresentare in un foglio excel il budget di cassa e cioè una previsione delle entrate ed uscite monetarie per singolo mese, prevedendo inoltre il mese in cui sarà raggiunto l’equilibrio nonché l’ammontare del capitale necessario per l’avviamento dell’attività . Poiché le merci sono reperibili a vista e occorre un mese per produzione, vendita e consegna, si potrebbe pensare che l’impresa avrà sostanzialmente un fatturato annuo di 120.000 euro (10.000 x 12) e 84.000 euro di costo (7000 x 12), che sarà in pareggio già dal mese di febbraio e che il capitale occorrente per l’avvio dell’attività sarà di soli 3.000 euro come evidenziato nella tabella excel a seguire: gen febb mar apr mag giu lu ago sett ott nov dic totale Ri 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 110000 CF 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 36000 Cvt 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 44000 CT 3000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 80000

Rom -

3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 30000 Roc 0 3000 6000 9000 12000 15000 18000 21000 24000 27000 30000 165000 Figura 18 Rappresentazione di ricavi e costi di competenza

Avremmo in tal modo una rappresentazione realistica del budget di cassa? Evidentemente no in quanto il prospetto ci fornisce in realtà una rappresentazione temporale di ricavi e costi di competenza di ogni singolo mese ma ovviamente la situazione in termini di flussi di cassa è decisamente diversa.

Per cominciare il lotto di 100 pezzi prodotto a gennaio (dove per semplicità abbiamo ipotizzato che l’impresa riesca a produrre un intero lotto di 100 pezzi) sarà venduto e consegnato entro febbraio e questo vuol dire che i primi incassi avverranno il mese di maggio (entro tre mesi). Per quanto riguarda i costi, se il fornitore emetterà la prima fattura alla fine di gennaio, anche in tal caso il primo incasso e quindi la prima uscita per l’impresa sarà entro 3 mesi e quindi ad aprile; l’equilibrio di cassa ci sarà solo tra settembre e ottobre e il capitale occorrente per l’avvio

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dell’attività sarà di gran lunga superiore (16.000 euro e non 3.000) come si evince dalla successiva tabella gen febb mar apr mag giu lu ago sett ott nov dic totale Ri 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 10000 80000 CF 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 36000 Cvt 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 4000 36000 CT 3000 3000 3000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 7000 72000

Rom -

3000 -

3000 -

3000 -7000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 3000 8000

Roc -

6000 -

9000 -16000 -13000 -10000 -7000 -4000 -1000 2000 5000 8000 Figura 19. Rappresentazione dei flussi di cassa

4.5 Variazione del risultato operativo in funzione della

quantità. La 8, espressione del risultato operativo, può essere ulteriormente rielaborata

per snellire i calcoli nel caso si voglia valutare immediatamente l’impatto di un aumento dei volumi di vendita sul risultato operativo.

In sostanza la domanda potrebbe essere “di quanto varia il risultato operativo se la produzione aumenta di X?” (leggasi tra le righe: è conveniente?)

Si supponga di avere a fronte di determinati valori di Q1, CF e MC un determinato Ro1 pari a MCxQ1 – CF; portando la quantità a Q2 (con Q2 > Q1) come varierebbe il reddito lasciando inalterato sia MC che CF?

Sarà ovviamente ΔRo = Ro2 – Ro1 = (MCQ2 – CF) – (MCQ1 – CF) da cui segue che ΔRo = MCQ2 – CF – MCQ1 +CF = MC (Q2-Q1) cioè:

ΔRo = MCΔQ 9 Cioè la variazione del risultato operativo è data dal prodotto del margine di

contribuzione per la variazione della quantità; da notare che la formula prescinde dai costi fissi.

Se per esempio un’impresa avesse con Q1= 800, CF = 20.000 P = 100, CV 60 e MC = 40, Ro1 sarà dato da (40 x 800) – 20,000 = 12.000

Se raddoppiassimo le vendite portandole a 1.600 pezzi, la variazione del Ro, in base alla 9 sarà data da ΔRo = 40 x 800 = 32.000 che porterà il totale del risultato operativo a 44.000 euro; se consideriamo solo il valore dell’incremento vediamo che rispetto a quello iniziale è pari a circa 266 volte mentre se rapportiamo il Ro complessivo (e cioè quello iniziale più l’incremento) sempre rispetto al valore iniziale L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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troviamo che è 366 volte più elevato (44.000 su 12.000). In sostanza, come avevamo già anticipato, il raddoppio delle vendite ha comportato in questo caso un incremento di gran lunga superiore, fenomeno di grande rilievo che ora andremo ad esaminare.

4.6 La leva operativa Abbiamo già evidenziato che, superato il punto di pareggio, il risultato

operativo positivo e quindi il profitto lordo evidenzia un incremento più che proporzionale rispetto all’aumento dei volumi di vendita; tale effetto, denominato effetto di leva operativa, risulta massimo subito dopo il punto di pareggio e tende a diminuire man mano che aumenta la quantità venduta tendendo molto lentamente ad 1, valore limite.

Grazie alla 9 abbiamo ora anche una formula per calcolare tale variazione; volevamo ora approfondire tale aspetto per comprendere meglio il meccanismo che sta alla base di tale fenomeno.

La leva operativa (operating leverage) è appunto “una misura di quanto il reddito sia sensibile a cambiamenti dei ricavi28”; l’effetto leva è misurato dal grado di leva operativa, un indicatore calcolato in corrispondenza a ciascun volume di ricavi come rapporto tra il margine di contribuzione totale e il risultato operativo e cioè:

Lop = MCt/Ro 10 Esempio: CF = 400, CV = 6 P = 8,5 quindi MC = 2,5 Se calcoliamo il MCt per Q = 200 troveremo (2,5 x200) = 500; il Ro sarà

MCt – CF = 500 - 400 = 100. Per tale volume di vendite la leva operativa sarà (500/100) = 5

Tale indicatore é di grande importanza in quanto ci dice che se aumentiamo le vendite del 10% a parità di condizioni (cioè stessi costi e stessi prezzi) il risultato operativo sarà 5 x 10 = 50 e cioè superiore del 50%!

E’ facile verificare! Aumentiamo le vendite del 10% e avremo Q = 220; segue che Ro2 = (220x 2,5) – 400 = 150 e 150 su 100 equivale appunto a più 50% rispetto a 100, dove 100 rappresenta il Ro1 già calcolato per Q = 200; in alternativa si può usare la 9 (ΔRo = MCx ΔQ) che restituisce immediatamente l’incremento del risultato operativo ( 2,5 x 20 = 50).

Sulla base di queste considerazioni possiamo ricavare un’altra formula che lega il risultato operativo al grado di leva e all’incremento delle vendite; indichiamo con Roo il Ro iniziale e con Ro1 il nuovo Ro conseguente all’incremento vendite, con Iv% l’incremento delle vendite e con Lop il grado di leva operativa potremo allora scrivere che:

28 R. N. Anthony, David F. Hawkings, D.M. Macrì, K. A. Merchant, Sistemi di Controllo, 1994, Mc Graw Hill L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Ro1 = (Roo x Iv % x Lop) - CF 11 Si tenga presenta che se l’incremento delle vendite è del 10%, Iv % equivale a

1,10 ( infatti, tornando all’esempio iniziale, il Ro iniziale era 100 che moltiplicato x 1,10 e x 5, ci dà 550. Togliendo i costi fissi pari a 400 di CF avremo il nuovo Ro pari a 150.

La figura 21 riporta un altro esempio con una leva operativa paria 15 per cui un incremento delle vendite del 10%, a parità di altre condizioni, comporta un aumento del risultato operativo pari al a 15x10 = 150 e cioè 150% in più.

Puntualizziamo ora alcuni aspetti

• Il grado di leva operativa cambia al variare dei volumi (nel primo esempio con una quantità pari a 200 la leva operativa era pari a 5, con q = 220 il nuovo grado di leva operativa risulta essere (220 x2,5)/150 = 3,67 Al crescere dei volumi di vendita il grado di leva operativa diminuisce per cui, pur continuando ad avere un beneficio più che proporzionale rispetto al costo dei volumi extra prodotti, il beneficio stesso, elevatissimo subito dopo il punto di pareggio, tende a diminuire man mano che aumentano le vendite (si dimostra che il grado di leva operativa per Mc e Ro entrambi > 0, tende al valore limite 129, vedi figura 20). Questo fa capire come l’equazione maggiori vendite = maggiori profitti, vada attentamente verificata caso per caso.

0

100

200

300

400

500

600

700

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23

Serie1

Figura 20. Andamento del grado di leva operativa nel caso di un prodotto con CF = 90.000, p = 100 e Cv = 70. Al punto di pareggio, 3000 pezzi, il grado di leva operativa è “infinito, a 3005 pezzi vale 601, a 3050 62, a 600 pezzi solo 2 e poi tende lentamente al valore limite 1 (cosa che non si riesce ad evincere chiaramente dalla figura per motivi di scala).

29 G. Metallo - Tipici strumenti di Analisi Finanziaria - 1995 - Cedam L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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• L’effetto leva è strettamente connesso ai costi fissi, se un’azienda ha costi fissi elevati l’effetto leva è maggiore e quindi beneficia fortemente di un aumento delle vendite. Al contrario, in caso di diminuzione, la stessa azienda viene maggiormente penalizzata rispetto a quella che ha costi fissi minori. Si comprende meglio tale aspetto se si considerano aziende che abbiano gli stessi ricavi e gli stessi risultati operativi ma diversa struttura di costi fissi e costi variabili come indicato nella figura 21 e 22

Figura 21. Leva operativa pari a 15, a fronte di Figura 22. Relazione tra effetto incremento del 10% della produzione deter- leva e costi fissi termina un incremento del reddito di 10x15= 150

Per esempio l’azienda A (vedi anche fig.23) ha costi fissi più alti di C; poiché i risultati in termini di ricavi e di risultato operativo sono identici questo significa necessariamente che C avrà costi variabili più alti per cui, superando il punto di pareggio, il risultato operativo di C sarà sicuramente meno elevato di A. Infatti, raggiunto il punto di pareggio con recupero dei costi fissi, il margine di contribuzione unitario di A di 7 euro, contro i 5 di C, comporterà per ogni vendita oltre il punto di pareggio un utile di 2 euro in più. D’altra parte l’Azienda A, oltre ad avere costi fissi più elevati e aver bisogno di vendite più elevate per raggiungere il pareggio, paga rispetto a B anche un prezzo più elevato in caso di contrazione dei volumi di vendite.

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• Da ultimo si noti che la leva operativa MCt/Ro è esattamente l’inverso del margine di sicurezza Ro/MCt¸ per cui nota la prima è possibile calcolare il secondo e viceversa (se per es la leva operativa e 3; segue che Ms = 1/3 = 0,33. A B C

Prezzo unitario 10 10 10

Cv 3 4 5

Quantità 200 200 200

Ricavi 2000 2000 2000

Totale costi variabili 600 800 1000

Mct 1400 1200 1000

Costi fissi 1000 800 600

Totale costi 1600 1600 1600

Risultato operativo 400 400 400

Leva operativa 3,5 3 2,5

Figura 23. Dati di dettaglio relativi alla figura 22 dove si evidenzia, a parità di risultati in termini di fatturato e risultato operativo, una diversa struttura di costi fissi e variabili

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4.7 Valutazione di redditività degli investimenti pubblicitari Il modello della BEA può essere utilizzato come valido ausilio per un

calcolo di massima della redditività di un investimento pubblicitario, come uno spot televisivo, un’azione di Direct mail, di Telemarketing e così via.

Infatti abbiamo già visto nelle parti precedenti come partendo dalla 2, formula di base per calcolare i volumi di pareggio e cioè Qbep = CF/(P-Cv), si arrivi facilmente alla 6, Qro = (CF + Ro) / (P-Cv), con Qro>Qbep dove Qro ci dà la nuova quantità da vendere per avere non solo il pareggio ma un risultato operativo positivo Ro.

Se ora immaginiamo che tale Ro venga utilizzato integralmente per effettuare un investimento pubblicitario I, la nostra formula diverrà:

Qbep = (CF+I)/(P-Cv) 12

La 12 ci consente di calcolare il volume di vendite e quindi l’ammontare complessivo di ordini che devono essere generati dall’investimento per recuperare non solo i costi di produzione, fissi e variabili, ma anche il costo dell’investimento pubblicitario I; se invece del pareggio ci interessa calcolare un determinato Ro (positivo o negativo) basterà aggiungere ± Ro al numeratore della 12 e avremo:

Qro = (CF+I±Ro)/(P-Cv) 13 Consideriamo ora un’impresa che abbia 100 ordini in portafoglio, sia in

pareggio e voglia effettuare un investimento pubblicitario I; supponiamo inoltre che per recuperare il costo dell’investimento occorrano, tra vecchi e nuovi, un totale di 130 ordini. E’ ovvio che se l’investimento genererà almeno 30 ordini extra avremmo il completo pareggio dei costi, se tale quantità fosse minore di 30 saremmo in perdita (Ro negativo) mentre ogni ordine oltre i 30 genererebbe un utile (Ro positivo).

Questo ci suggerisce la possibilità di utilizzare il modello del punto di pareggio anche per una prima valutazione del valore degli investimenti pubblicitari purché si introduca un nuovo parametro e cioè la “redemption” dell’investimento stesso.

Nel nostro caso la “redemption” sarà solo il numero di ordini che verranno generati nell’immediato dall’investimento; siamo perfettamente consapevoli che si tratta di un approccio a dir poco semplicistico in quanto la redemption, in effetti, è complessa non solo da determinare ma anche da definire; ci si può riferire infatti ai contatti con clienti, alle visite della forza vendita, all’individuazione di hot prospect, ma anche al presidio e all’espansione della quota di mercato, all’incremento del fatturato e/o della redditività, alla creazione di posti di lavoro e così via.

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Tuttavia in tale sede, pur rischiando di sembrare “miopi”, ci limiteremo a considerare come redemption solo gli ordini generati dall’investimento e per di più, “nell’immediato”. Questa modalità d’approccio “limitata” ci consentirà infatti di definire alcuni modelli di base strettamente quantitativi che potranno essere d’aiuto all’imprenditore.

Riteniamo che tale approccio sia decisamente migliore rispetto a quello che, a fronte dell’elevata complessità della redemption, finisce per non offrire in ultima analisi nessun elemento di riferimento ai fini di una valutazione ex ante dell’investimento con il risultato che spesso si investe in pubblicità sulla base del budget disponibile, sulla parità competitiva (rifacendosi cioè al comportamento della concorrenza) o su altri criteri poco logici e poco razionali, come quando ci si “innamora” di una campagna particolarmente creativa e stimolante che però non produrrà necessariamente risultati tangibili.

Comprendiamo come le aziende che realizzano azioni promozionali per conto terzi tendano spesso a “glissare” sul tema della redemption ma, per l’imprenditore, valutare che ritorno economico sia possibile attendersi a fronte di un determinato investimento è viceversa un aspetto di primaria importanza.

Vale la pena inoltre di sottolineare come in tutti i casi in cui la peculiarità del business non preveda o renda difficile la reiterazione nel tempo dell’acquisto da parte del cliente, da un punto di vista economico-reddituale questo è l’unico approccio valido da adottare. Si pensi per esempio ad un’azione promozionale realizzata in un villaggio turistico affinché i clienti effettuino acquisti durante il soggiorno per lo più di una, due settimane al massimo; i ritorni dell’investimento da tali clienti possono essere solo gli ordini generati nel periodo di permanenza, poi i turisti partiranno e non potranno materialmente effettuarne altri.

Vediamo un esempio numerico in un contesto di questo tipo, ragionando cioè in un’ottica che potremmo definiremo di breve periodo; si consideri il caso di un’azienda monoprodotto con costi fissi 270.000 euro, Pv 100, Cv 70 e utile di 30.000 euro che effettui un investimento promozionale del costo di 90.000 euro che comporti un incremento una tantum di vendite del 15%. E’ profittevole l’investimento ragionando appunto in ottica di breve periodo, ipotizzando cioè che l’investimento genererà nuovi ordini una sola volta?

Per verificare calcoleremo per prima cosa l’attuale volume di ordini che sarà dato da (270.000+30000)/30 = 10.000; da questo segue che grazie all’azione promozionale avremo 1500 ordini in più pari ad un margine di contribuzione extra di 45.000 euro (1500 x30) che risulta inferiore all’investimento previsto; l’azione promozionale quindi, in ottica di breve periodo, non è da effettuare in quanto l’impresa, da un utile iniziale di 30.000 euro, andrebbe ad investire 90.000 euro di capitale per ritrovarsi in passivo di 15.000 euro.

Vediamo ancora un altro esempio sicuramente più interessante che ci consente inoltre di fare alcune riflessioni importanti: un’azienda vende un solo prodotto a 1000 euro, con costo variabile di 700, costi fissi pari a 200.000 e risultato operativo lordo di 40.000 euro. Per incrementare le vendite con il massimo profitto dobbiamo scegliere tra 3 investimenti in direct marketing con costi diversi e con L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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risultato finale differente per quanto riguarda l’incremento delle vendite attuali come indicato di seguito):

A B C Costo totale 35.000 28.000 23.000 % incremento vendite 14% 12% 9% In ottica di breve periodo qual è il canale più redditizio e perché? Se dividiamo 240.000 (CF+Ro) per 300 troviamo anzitutto la quantità

attualmente venduta pari a 800 pezzi per cui considerando la redemption in termini di ordini dei 3 investimenti, avremmo la seguente situazione:

A B C

Incremento ordini 112 96 72

Ordini totali 912 896 872 Totale ricavi 912.000 896.000 872.000 Costi fissi 200.000 200.000 200.000 Investimento Dm 35.000 28.000 23.000 Costi variabili 638.400 627.200 610.400 Totale costi 873.400 855.200 833.400 Ro 38.600 40.800 38.600 Roi 4,42 4,77 4,63 Come si vede, ragionando in ottica di breve periodo, nell’ipotesi cioè che dal

target oggetto dell’azione si abbia esclusivamente un ritorno una tantum e non pe- riodico, è evidente che è più conveniente l’investimento B che apporta un miglior risultato in termini di risultato operativo e che inoltre evidenzia il Roi più elevato (rapporto del Ro sugli impieghi).

Supponendo ora che per motivi di varia natura non sia realizzabile l’investimento B e che si debba scegliere tra A e C con lo stesso risultato in termini di risultato operativo, come comportarci?

Sempre in ottica di breve periodo conviene orientarsi su C che, a parità di risultato in termini di risultato operativo, richiede circa 40.000 euro in meno in termini di capitale investito; d’altra parte, in ottica di lungo periodo, occorre tener presente che la redemption di A, in termini di numerosità di ordini, è decisamente maggiore per cui, fatti i debiti calcoli in base al life time value del cliente, potrebbe risultare A più conveniente.

L’esempio fa capire quanto possa essere complesso riuscire a valutare tutti gli elementi in gioco ed effettuare le scelte ottimali tanto più che, giova ricordarlo, noi stiamo qui esaminando solo la prospettiva reddituale prescindendo da altri aspetti che pur hanno il loro peso nella gestione d’impresa (aspetti strategici, relazionali, sindacali ecc.) . L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Torniamo ora alla nostra formula Qbep = (CF+I)/(P-CV); è facile accorgersi che la formula considera esclusivamente investimenti come costo fisso, ma tutti sappiamo che molte tipologie di investimenti hanno anche una componente variabile (basti pensare per esempio ad un mail con un costo fisso di preparazione e un costo variabile per ogni pezzo, tra tipografia, carta, francobolli ecc.).

Non è difficile tuttavia modificare la formula di base per poter utilizzare il modello anche nel caso di investimenti con parte fissa e variabile; la parte fissa dell’investimento promozionale (CFp) non genera problemi e verrà sommata ai costi fissi dell’impresa; per la parte variabile (CVp) invece il discorso si complica in quanto occorre tener presente che la quantità di singole azioni necessarie per il raggiungimento di un determinato obiettivo sarà funzione della redemption delle azioni stesse.

In altre parole se la redemption di un mail fosse pari al 5% dovremmo inviare 100 lettere per avere 5 ordini, mentre se fosse pari al 10% basterebbero 50 lettere per avere lo stesso risultato; di conseguenza occorre disporre di un’informazione chiave è cioè la redemption percentuale dell’azione promozionale in termini di ordini che indicheremo con R1

30.

Ciò premesso si dimostra, ma non lo faremo in tale sede31 che il volume di pareggio può essere calcolato come segue:

Qbep = (CF+CFp)/ [Mc – (Cvp/R1 )] 14 Dove Cfp rappresenta la parte fissa dell’investimento, Mc il margine di

contribuzione dato come al solito da P-Cv mentre Cvp/R1 rappresenta l’ammontare di costo variabile necessario per la generazione di un singolo ordine che va sottratto dal margine di contribuzione originario; va da sé che qualora si volesse avere non il pareggio ma un determinato risultato operativo, sarà sufficiente aggiungere tale Ro al numeratore.

Vediamo un esempio per fare chiarezza: si consideri un’azienda

monoprodotto che evidenzi i seguenti dati: costi fissi 350.000 euro costo variabile di 700 euro prezzo di vendita di 1000

Si supponga che l’impresa non abbia già un portafoglio ordini e che decida

di investire in un’azione di telemarketing dalle seguenti caratteristiche: CFp = 5000, costo di ogni telefonata 2,5 e R1 = 5%.

30Per evitare di fare confusione tra R e R1 si tenga presente che due investimenti promozionali diversi A e B possono avere la stessa redemption R in termine di ordini complessivi (esempio generano entrambi 1000 ordini) ma diversa R1 (es mail 1% e telemarketing 2,5% il che significa che occorrono 100 lettere per generare un ordine e solo 40 telefonate per avere lo stesso risultato). 31 C. D’Arconte, Metodi quantitativi per la gestione d’impresa, Dispensa L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Calcolare a) Gli ordini necessari per il pareggio b) Gli ordini necessari per un Ro di 50.000 euro c) quantità di telefonate da effettuare nel caso del pareggio e nel caso di un

Ro pari a 50.000 euro Calcoliamo intanto mc1 che sarà dato da 300 – (2,5/0,05) = 250 Avremo poi

a) (CF+ CFp)/ Mc1= 355.000/ 250 = 1420 b) (355.000+50.000)/250 = 1.620 c) 1420/0,05 = 28.400 e 1620/0,05 = 32.400

Sarebbe inoltre opportuno distinguere i casi in cui si parte da zero (start up

di una nuova azienda o lancio di un nuovo prodotto) da quelli in cui invece sia già disponibile inizialmente un certo portafogli ordini.

Avremo quindi investimenti che si configurano esclusivamente come un costo fisso e investimenti che hanno invece anche una parte variabile e, in entrambi i casi, occorrerà effettuare un’ulteriore suddivisione a seconda che sia presente o meno un portafoglio di ordini iniziale. Si potranno quindi avere 4 situazioni diverse come segue:

a. Investimenti come solo costo fisso e senza portafoglio iniziale b. Investimenti come solo costo fisso e con portafoglio c. Investimenti con parte fissa e parte variabile senza portafoglio d. Investimenti con parte fissa e parte variabile e con portafoglio E’ evidente poi come sia necessario superare l’approccio di breve periodo

affrontando il tema della valutazione degli investimenti pubblicitari non solo in base alla redemption di ordini nell’immediato ma in base al ciclo di vita del cliente; infatti, se come spesso accade l’investimento consente di acquisire un cliente che continuerà nel tempo ad acquistare dall’organizzazione (si pensi ad una promozione di Sky o di Tim ecc.), allora il costo dell’investimento - ma anche di tutti quelli successivi necessari a garantirne la fidelizzazione - andrebbe rapportato, in modo più corretto ma anche decisamente più complesso, al life time value e cioè al totale del valore generato dal cliente per tutto il tempo che continuerà a servirsi dell’organizzazione. Il valore del singolo cliente sarà stimato caso per caso mentre per quanto riguarda il possibile tempo di “vita del cliente” si potrà in prima approssimazione fare riferimento alle medie storiche di ogni organizzazione in merito al livello di retention della clientela nell’impresa..

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Se torniamo con tale ottica all’esempio a pagina 60, potrebbe essere più interessante l’investimento A che genera un maggior numero di ordini rispetto a B ma va detto che occorrerà tener conto anche del tasso di retention (cioè quanti clienti riuscirà a conservare fidelizzandoli) nonché del costo necessario per la fidelizzazione.

Come si vede si tratta di tematiche di grande complessità per le quali dobbiamo necessariamente rimandare a testi specializzati32.

. 4.8 I limiti del modello e concetto di “intervallo di

rilevanza” Abbiamo accennato sin dall’inizio che il modello del break even point si basa

su alcune ipotesi semplificatrici che, ai fini di un’applicazione pratica, possono comportare limiti tutt’altro che trascurabili.

Le principali ipotesi semplificatrici sono le seguenti: 1. si suppone che i costi fissi restino costanti al variare delle quantità

(almeno fino ad un certo limite prefissato); questo in generale non sembra essere del tutto vero

2. non si tiene conto del fatto che di norma le quantità vendute tendono a crescere fino ad un certo valore limite per poi, di norma, subire una flessione (ciclo di vita del prodotto)

3. non si tiene conto degli oneri finanziari, della tassazione e del costo opportunità

4. costi e ricavi vengono rappresentati come rette; si assume cioè che abbiano una variazione lineare sull’intero asse delle ascisse e che crescano o diminuiscano proporzionalmente alla quantità prodotta; tale assunzione non è realistica visto che, all’aumentare dei volumi di vendita è prassi comune concedere sconti mentre i costi variabili dopo una iniziale diminuzione possono tendere ad aumentare

5. il prezzo finora è stato considerato, per così dire, come “autoreferenziale”, determinato cioè in modo assolutamente autonomo da parte dell’imprenditore mentre le vendite sembrerebbero essere sostanzialmente illimitate e indipendenti dal prezzo. In realtà le vendite sono “limitate” ed inoltre si modificano proprio in funzione del prezzo secondo una specifica funzione di domanda

6. si fa riferimento ad aziende monoprodotto cioè con un solo prodotto o servizio, cosa estremamente rara nella realtà

32 C. D’Arconte, Metodi quantitativi per la gestione d’impresa, Dispensa L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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E’ ovvio che tali aspetti debbono essere affrontati e risolti in modo da poter continuare ad utilizzare il modello con gli opportuni accorgimenti.

A tale riguardo, vogliamo intanto far notare, in particolare per quanto riguarda i punti 1, 2 e 4, come alcuni studiosi abbiano introdotto il concetto di “intervallo di rilevanza33; in base a tale prospettiva si può individuare un “intorno” limitato di volumi di vendita entro il quale le ipotesi di costanza di costi fissi, linearità di ricavi e costi variabili e parziale indipendenza dal fattore tempo possano avere maggior fondamento.

La figura 24 evidenzia ad esempio come il costo totale di un prodotto possa essere rappresentato in modo fondato e attendibile con una retta in un intervallo che va da 100 a 200 pezzi mentre per volumi inferiori o superiori subentrano fenomeni distorsivi e non facilmente controllabili.

Tale intervallo di rilevanza può essere esteso anche al fattore “tempo”; si può stimare per esempio che in un periodo limitato il comportamento d’acquisto da parte del consumatore sia sostanzialmente costante.

In sintesi purché applicato in un “intorno” quantitativo e temporale “limitato” anche il modello di base, cum grano salis, mantiene la sua validità e può fornire un contributo al Management aziendale ma è ovvio che per essere utilizzato in modo efficace nella vita corrente dell’impresa occorre ancora approfondire. molto il tema.

Figura 24. Concetto di intervallo di rilevanza. In un “intorno” quantitativo limitato i costi hanno un andamento lineare

33 R. N. Anthony- David F. Hawkings – D.M. Macrì – K. A. Merchant - Sistemi di Controllo 1994 Mc Graw Hill L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Per il punto 1 e cioè la variazione dei costi fissi in un determinato range di volumi di vendite, il problema esiste ma non è poi così serio da inficiare gravemente il modello; per quanto riguarda il punto 2 abbiamo mostrato come la predisposizione di un modello excel con previsione per singoli mesi di costi variabili, quota di costi fissi e ricavi, consenta di ovviare almeno in parte al problema come affrontato in modo approfondito altra pubblicazione alla quale rimandiamo34.

Il punto 3, e cioè oneri finanziari, tassazione e costo opportunità, è ampiamente trattato nel capitolo successivo al quale rimandiamo; nel punto successivo, superamento dei limiti: verso un modello avanzato di contabilità direzionale, illustreremo in modo estremamente sintetico le modalità per affrontare i problemi posti da

• aziende pluriprodotto • ricavi e costi non lineari • funzione di domanda al prezzo

34 C. D’Arconte, Metodi quantitativi per la gestione d’impresa, Dispensa L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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4.9 Superamento dei limiti: verso un modello avanzato di contabilità direzionale

a) Aziende multiprodotto Le imprese di norma tendono ad offrire al mercato una varietà di prodotti e

servizi sia per soddisfare più segmenti di mercato che al fine di fronteggiare l’inevitabile obsolescenza e declino degli stessi prodotti o servizi. Per affrontare il problema esistono due possibili soluzioni:

• la prima è quella di considerare ogni prodotto come un’area economica indipendente; questo però comporta la necessità di ricondurre correttamente tutti i costi ai singoli prodotti e in particolare saper allocare i costi fissi, cosa tutt’altro che semplice.

• la seconda è quella di ricorrere al cosiddetto “margine di contribuzione equivalente” dove il margine di contribuzione unitario deve essere calcolato come media ponderata con le quantità vendute, dei margini di contribuzione dei singoli prodotti35. Un esempio chiarirà meglio il concetto.

Supponiamo che la Rossi Spa con costi fissi pari 246.000 euro complessivi

abbia 3 prodotti con le seguenti caratteristiche come illustrato in figura 25:

A B C Prezzo unitario 1000 800 500 Mix vendite % 20 30 50 Mc unitario 250 160 50

Figura 25. Analisi mix prodotti Quale sarà la quantità di pareggio? Se scegliamo la prima strada, come già detto, occorre essere in grado di

allocare correttamente ad ogni attività la quota di competenza di costi fissi; in caso questo sia possibile sappiamo già come fare in quanto per ogni singolo prodotto potremo utilizzare formule e procedimenti già noti..

Se viceversa scegliamo la seconda, il primo passo sarà calcolare il margine di contribuzione equivalente sulla base della seguente espressione:

Mceq = [(Mc1 x Q1%)+ (Mc2 x Q2%) + (Mcn x Qn%)] 15

Nel caso in esame avremo quindi:

35 R. N. Anthony- David F. Hawkings – D.M. Macrì – K. A. Merchant - Sistemi di Controllo 1994 Mc Graw Hill L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Mceq = [(250 x 0,2)+ (160 x 0,3) + (50 x 0,50)] = 123

Potremo poi usare sostanzialmente la 2bis introducendo però il margine di

contribuzione equivalente come segue:

Qbep = CF/ [(Mc1 x Q1%)+ (Mc2 x Q2%) + (Mcn x Qn%)] 16 Oppure più sinteticamente:

Qbep = CF/Mceq 16bis Dove, si badi bene, Qbep deve intendersi la quantità totale dei tre prodotti che

saranno presenti esattamente con il peso percentuale inizialmente determinato (A 20%, B 30% e C 50%)

Di conseguenza, nel volume di pareggio di 2000 pezzi trovato in base alla 16bis (246.000/123 = 2000) avremo che il 20%, cioè 400, sarà la quantità di A, il 30% cioè 600, sarà B e il 50 %, cioè 1000 sarà C. Qualora ci fosse un cambiamento nel mix percentuale dei prodotti si modificherà anche il margine di contribuzione equivalente.

Ovviamente, qualora si voglia calcolare non la quantità di pareggio ma i

volumi di vendita che possono assicurare un determinato risultato operativo Ro, basterà aggiungere quest’ultimo al numeratore secondo le stesse modalità viste in precedenza per le aziende monoprodotto.

La formula è molto utile per orizzontarsi rapidamente nella complessità delle

aziende multiprodotto, tuttavia occorre tenere ben presente che: • i costi fissi vengono sostanzialmente ripartiti in modo paritetico

sui 3 prodotti (cosa quasi certamente non esatta) • sono indispensabili dati precisi sui singoli prodotti sia per il peso

percentuale che, soprattutto, per i costi relativi • nella realtà è molto difficile che il mix delle vendite resti

costante; se quest’ultimo si modifica cambia anche il margine di contribuzione equivalente

Per terminare è opportuno sottolineare come il margine di contribuzione

equivalente possa esser uno strumento di gestione manageriale di grandissima importanza in quanto spesso una modifica del mix dei prodotti volta a privilegiare quelli a margine di contribuzione più elevato, può comportare benefici economico-reddituali di grande rilievo (vedi a tale riguardo gli esercizi 51 e 54).

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b) Ricavi e costi non lineari Il prezzo P e il costo variabile all’aumentare dei volumi di produzione e di

vendita possono esistere in tre stati diversi, e cioè: • restare invariati • aumentare • diminuire

Di conseguenza saranno possibili ben 8 stati diversi in cui potranno trovarsi

contemporaneamente le due variabili P e Cv oltre l’ipotesi finora seguita di costanza sia di prezzo che di costo variabile (potremo avere cioè un aumento di costo variabile con prezzo costante, una diminuzione di prezzo ed un aumento di costo variabile ecc., per un totale complessivo di 9 stati, cioè 32)

L’altro ulteriore problema è che potremo avere variazioni sia su quantità identiche che su quantità diverse cosa che complica non poco lo scenario; in altre parole si immagini un lotto di 1300 pezzi con prezzo costante fino a 1000, con riduzione del 10% oltre tale quantità e contemporaneamente con un incremento del costo variabile a partire dall’801nesimo prodotto e poi costante per i pezzi successivi, come evidenziato nella figura 26.

Quantità 800 300 oltre ---------------------------------------------- Prezzo 100 100 90 Costo 70 75 75 ---------------------------------------------- Mc unitario 30 25 15

Figura 26. Variazione prezzo e costi variabili su quantità diverse

In tale sede dobbiamo necessariamente limitarci ad indicare in linea generale

come affrontare il problema rimandando per i necessari approfondimenti a testi specializzati36; distinguiamo innanzitutto tra variazione su quantità identiche e quantità diverse:

Caso di variazione su quantità identiche Si supponga che un imprenditore abbia un prodotto con determinati valori di

CF, P e Cv; nel caso i 3 valori restino costanti avremmo come al solito che Qbep sarà dato da CF/ (P-Cv).

36 C. D’Arconte, Metodi quantitativi per la gestione d’impresa, Dispensa L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Si supponga ora che prima di raggiungere il punto di pareggio Qbep che avremmo in assenza di variazioni del margine di contribuzione, a partire quindi da una quantità Q1 < Qbep, si verifichi una variazione del prezzo P e/o del costo variabile; si dimostra, qualunque sia la variazione di P e/o di Cv, che per raggiungere il pareggio occorrerà vendere oltre Q1 una quantità Q2 data da:

Q2 = (CF – Q1Mc1)/Mc2 17 Occorre tener presente che gli otto possibili stati del prezzo e del costo

variabile potranno produrre una diminuzione del margine di contribuzione (come spesso avviene) ma anche, sebbene più raramente, un aumento. La formula sarà sempre valida basterà solo tener presente che

In caso Mc1 >Mc2 sarà anche Q1+Q2 > Qbep In caso Mc1 <Mc2 sarà anche Q1+Q2 < Qbep Vediamo due esempi

Immaginiamo di avere un prodotto con i seguenti dati: CF = 60.000

Prezzo unitario vendita 100 Costo variabile produzione 70 Margine di contribuzione unitario = Mc sarà pari a 30 Quantità di equilibrio Qbep = 60.000/30 =2.000 Supponiamo ora che l’imprenditore venda i primi 1.100 pezzi a euro 100,00

e i successivi a euro 90,00 con una diminuzione quindi del margine di contribuzione di 10 euro; quale quantità da produrre oltre i 1100 per avere il pareggio? Grazie alla 17 avremo subito: Q2 = [(60.000 – (1100x30)]/20 = 1350

Infatti, (1100 x 100) + (1350 x 90) = 231.500 valore di ricavi che

corrisponde al totale dei costi 60.000 + (2450 x 70) = 231.500. In definitiva, per il pareggio, occorre vendere non più 2000 pezzi ad euro

100 ma 2450 pezzi di cui 1100 a prezzo pieno e 1350 al prezzo scontato; come si vede, in caso Mc1 >Mc2 (cioè con una diminuzione del margine di contribuzione) è anche Q1+Q2 > Qbep

Supponiamo ora invece che, sempre con gli stessi dati dell’esercizio

precedente, a partire dai 1100 pezzi l’imprenditore pratichi un aumento di 10 euro o che riesca ad avere una riduzione dello stesso valore sul costo delle materie prime con un incremento quindi del margine di contribuzione di 10 euro. Utilizzando la formula troviamo che Q2 = [(60.000 – (1100x30)]/40 = 675,

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In questo caso, come d’altronde era sensato attendersi, essendo Mc1 <Mc2, e quindi con un incremento del margine di contribuzione, avremo che Q1+Q2 < Qbep, cioè la quantità totale da produrre sarà 1.775 e quindi inferiore alla quantità di pareggio di 2000 pezzi come nel caso di margine di contribuzione costante.

Caso di variazione su quantità diverse Supponiamo ora invece, in un modo altamente più realistico, che i momenti

delle due variazioni non coincidano e che per esempio l’incremento del costo variabile avvenga a partire dall’801nesimo prodotto come evidenziato nella figura 26.

Quale quantità da vendere oltre i primi 1.100 pezzi per avere il pareggio? E’ evidente che in tale contesto non potremo usare la 17 e che dovremo

procedere diversamente; per prima cosa notiamo come a seguito dello sfasamento tra i momenti in cui avvengono le due variazioni si determinano 3 quantitativi che apporteranno tre diversi margini di contribuzione e cioè:

• i primi 800 pezzi Mc1 = 100-70 = 30 • i successivi 300 pezzi Mc2 = 100-75 = 25 • i pezzi successivi Mc3 = 90-75 = 15

In tali condizioni, per trovare la quantità di Q3 da vendere per avere il

pareggio, possiamo scrivere la seguente relazione che dovrà necessariamente essere verificata al volume d’equilibrio:

[(Mc1 x Q1)+ (Mc2 x Q2) + (Mc3 x Q3)] = CF

Da questo è facile ricavare Q3 come segue:

Q3 = CF- [(Mc1 x Q1)+ (Mc2 x Q2)] 18 Mc3

Da tale espressione troviamo che la quantità da vendere al margine di

contribuzione unitario di 15 euro è pari a 1900 mentre quella totale sarà pari a 3.000 (800 con mc1 pari a 30, 300 con mc2 uguale a 25 e appunto 1900 con mc3 di 15 euro).

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c) Funzione di domanda al prezzo Le vendite, come noto, sono per definizione limitate ed inoltre la quantità

domandata non è indipendente dal prezzo di vendita ma, al contrario, varia in funzione del prezzo stesso secondo una specifica funzione di domanda (di norma all’aumentare del prezzo diminuisce la quantità domandata e viceversa). Esistono molti tipi di funzioni di domanda quale quella iperbolica vedi figura 27 quella assimilabile ad una retta come nella figura 28.

Figura 27. Funzione di domanda iperbolica Figura 28. Funzione di domanda lineare

Q = 24.000/p Q = 2600 - 0,1p La funzione di domanda iperbolica è poco utile ai nostri fini in quanto, in

base a tale curva, al tendere del prezzo a 0 la quantità domandata diventa infinita mentre al tendere del prezzo all’infinito la domanda tende a zero. Inoltre, in base a tale rappresentazione ci sarebbero sempre acquirenti anche se il prezzo venisse portato a valori elevatissimi; inoltre, in base a tale funzione, la variazione di prezzo comporta una variazione sempre paritetica della quantità domandata (per es. se dimezzo il prezzo, raddoppia la quantità e così via) per cui non esiste un prezzo ottimale, tale cioè per cui la redditività sia massima.

Molto più realistica invece è la rappresentazione della domanda al variare del prezzo tramite una retta discendente di espressione generale Q = a-bP dove:

• a rappresenta l’intercetta sulle ordinate e cioè la massima quantità vendibile quando il prezzo tende a 0

• b il coefficiente angolare della retta • P il prezzo limite per il quale le vendite vanno a 0

La rappresentazione della domanda al prezzo tramite una retta evidenzia due

aspetti ricorrenti nella realtà e cioè che per quanto si abbassi il prezzo la domanda è sempre comunque limitata e che inoltre esiste un prezzo limite al quale le vendite vanno sostanzialmente a zero. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Inoltre con tale rappresentazione la quantità domandata varia in modo non proporzionale alla variazione del prezzo (la parte superiore evidenzia un’elasticità elevata mentre la parte inferiore è rigida) per cui esiste un prezzo ottimale che massimizza la redditività dell’impresa.

Per trovare tale prezzo possiamo impostare il seguente sistema: Funzione Costi Ct = CF + Cv x q Funzione Domanda Q = a – bP Funzione Risultato operativo Ro = (P x q) – CT Sostituendo la prima e la seconda espressione nella terza otteniamo una

funzione di profitto del tipo Y = ax2+bx+c, con a, b e c numeri reali, che come noto rappresenta una parabola; più precisamente otteniamo la seguente espressione Ro = -bP2+ (a+CVb)P – CF – CVa espressione che dato il segno di P2 corrisponde ad una parabola con concavità rivolta verso il basso.

Per trovare ora il prezzo P basta derivare rispetto a p la funzione del risultato operativo e porre la derivata uguale a zero; in tal caso indicando con Po il prezzo ottimale, arriviamo alla formula generale Po = ½ (a/b + Cv)

Nel caso avessimo: Funzione Costi Ct = 65.000 + 2 x q Funzione Domanda Q = 80.000 - 10.000 P Funzione Risultato operativo Ro = (P x q) – CT Avremmo la seguente espressione del risultato operativo:

Ro = - 10.000 P2+ 100.000P – 225.000

Da cui, essendo a = 80.000 e b = 10.000, sarà 80.000/10000 = 8+2=10/2 = 5. Per il calcolo del prezzo ottimale abbiamo quindi a disposizione la seguente

formula 37:

Po = ½ (a/b + Cv) 19

37 C. H. Springer-R.E Herlihy –R.I. Beggs Matematica per dirigenti – 1968 – Etas Kompass L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Tale espressione, nel caso la funzione di domanda sia quantomeno assimilabile ad una retta decrescente, consente di individuare in modo semplice ed immediato il prezzo che ottimizza la redditività della vendita.

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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Capitolo 3

Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla

contabilità direzionale

Esercizi

3 L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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1. Cosa si intende per contabilità analitica e quali sono i contributi specifici che apporta rispetto al bilancio d’esercizio?

2.Se un impresa, in un determinato intervallo temporale evidenzia i seguenti risultati con

un utile lordo del 30%, è lecito supporre che la gestione sia stata sempre altamente efficiente?

• ricavi totali 100.000 euro • costi totali 70.000 • risultato operativo 30.000

3. Cosa afferma il principio di Pareto e in che modo può essere illuminante per

comprendere la necessità fondamentale della contabilità analitica e del controllo di gestione?

4. Che differenza c’è tra dati aggregati per natura e dati aggregati per destinazione?

5. Che cos’è l’Actity based costing e su quale principi si basa?

6. Nel caso di un bene prodotto integralmente o parzialmente all’interno di un’impresa a

vostro avviso, è più difficile valutare con precisione il ricavo derivante da un’attività o i costi relativi?

7. Cosa si intende nel controllo di gestione per costi standard?

8. Cosa si intende in ambito del controllo di gestione per “centro di costo” e che relazione

c’è con i centri di responsabilità?

9.Secondo alcuni autori affinché un centro di costo sia effettivamente tale è sufficiente che consenta di rilevare con precisione le risorse consumate?

10. Per poter valutare l’efficienza di un processo produttivo quali elementi sono

indispensabili

11. Come è possibile individuare i costi afferenti ai singoli centri produttivi?

12. Cosa si intende per sistema informativo?

13. Una volta definiti i costi afferenti ai vari centri produttivi siamo in grado di valutare l’efficienza dei processi a livello dei centri stessi

14. Una volta definiti i costi afferenti ai vari centri produttivi siamo in grado di valutare la

redditività delle singole attività?

15. Rilevare che la produzione di un bene ha comportato consumi di gran lunga superiori rispetto agli standard previsti significa necessariamente che lo standard era errato o che i settori produttivi coinvolti non hanno operato al meglio?

16. Cosa sono i costi indiretti, quali problemi pongono nel caso del controllo di gestione e

qual è la modalità più semplice per risolverli?

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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17. Cosa si intende per budget e qual è il driver primario sul quale è possibile “costruirlo”?

18. Che cosa si intende per controllo di gestione e quali sono i 3 elementi fondamentali su

cui si basa?

19. Nel testo si parla di “teorema centrale” del controllo di gestione. Cosa si intende con tale espressione

20. Cosa si intende per “analisi degli scostamenti” e che importanza può avere per la

gestione d’impresa gestione d’impresa?

21. Nel testo si evidenzia come l’imprenditore debba confrontarsi quasi quotidianamente con l’analisi di convenienza tra alternative decisionali di utilizzo di una data capacità produttiva, nell’ipotesi che non sia modificabile nell’orizzonte temporale considerato e che a tale riguardo possa essere molto utile l’analisi differenziale. Spiegare brevemente

22. Che importanza ha il controller e quali caratteristiche deve avere perché il controllo di

gestione abbia successo?

23. Si dice che il Controller debba svolgere anche il ruolo di “educatore” i particolare in termini di “goal congruence”. Spiegare brevemente

24. Che cosa si intende per process re-engineering e che relazione può esserci con il

controllo di gestione?

25. Un costo si definisce variabile se: A. Viene periodicamente aggiornato a seguito dell’aumento del costo della vita B. Non è stabile e cioè può crescere o diminuire a seconda del contesto C. Varia in funzione dei volumi prodotti D. Nessuna delle precedenti

26. Che cosa è il margine di contribuzione unitario di un prodotto? E’ importante che il margine di contribuzione unitario sia maggiore di 0? In che modo il margine di contribuzione può essere importante per le decisioni aziendali?

27. Come si ricava per via algebrica la formula del punto di pareggio partendo dai costi

fissi CF, costo variabile cv e il prezzo P nel caso di aziende monoprodotto?

28. Disegna il grafico del break-even point nell’ipotesi di costanza di costi fissi, prezzo e costo variabile (vedi figura 13 nel testo)

29. Qual è l’espressione algebrica del Ro o risultato operativo e come si ricava?

30. Disegna il grafico del risultato operativo nella rappresentazione data dal Doyle

31. Dal grafico del break-even point illustra come è possibile ricavare il grafico del

risultato operativo nella rappresentazione di Doyle

L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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32. Quali sono i limiti della rappresentazione di Doyle del risultato operativo tramite una retta e quale rappresentazione conosci che meglio evidenzi l’andamento del risultato operativo nel tempo.

33. Se i costi fissi sono pari a 2000 euro e il margine di contribuzione è uguale a 80:

Qual è la quantità di equilibrio? Qual è il fatturato di equilibrio sapendo che il prezzo unitario è 200 e il costo unitario è 120 a parità di costi fissi?

Quale deve essere la quantità da produrre per un utile di 1200 euro? Quale quantità da produrre per limitare le perdite a 600 euro?

34. A quanto devo fissare il prezzo per raggiungere il break-even a 500 unità, avendo i costi fissi pari a 5000 e costi variabili unitari pari 9.50 euro.

35. Con 300.000 euro di costi fissi e margine di contribuzione pari a 20 euro e una

produzione mensile di 3000 pezzi, quanti mesi occorreranno per avere il pareggio?

36. Qual è il fatturato di equilibrio sempre con costi fissi di 2000 euro sapendo che il rapporto tra cv e p è pari a 0.70?

37. Se foste il manager di un’impresa quale tra i due prodotti scegliereste in condizioni di

vendite illimitate e con i dati appresso indicati? Dati Prodotto Prodotto A B Costi fissi 500.000 650.000 Prezzo vendita 60 50 Costo variabile uni 25 20

38. Quale sarebbe la vostra scelta tra A e B, sempre nel caso di vendite illimitate, ma nell’ipotesi che i costi fissi di A fossero maggiori di B come segue:

Dati Prodotto Prodotto A B Costi fissi 650.000 500.000 Prezzo vendita 60 50 Costo variabile uni 25 20

39. Con gli stessi dati dell’esercizio 30 quale sarebbe la scelta più conveniente se per entrambi i prodotti la massima quantità vendibile fosse pari a 17.500 ?

40. Nella scelta tra due prodotti alternativi può esistere il cosiddetto “volume di

indifferenza”. Spiegare brevemente di cosa si tratta e verificare se esiste tale volume nel caso dei due prodotti seguenti. In caso affermativo calcolarlo

Dati Prodotto Prodotto A B Costi fissi 350.000 500.000 Prezzo vendita 40 50 Costo variabile uni 25 20

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41. Cosa sono il margine di sicurezza e la leva operativa, come si calcolano e che relazione c’è tra loro?

42. Calcolare per le tre imprese A, B e C margine di sicurezza e grado di leva operativa

A B C Ricavi 2000 2000 2000 Costi var.tot. 600 800 1000 MCt 1400 1200 1000 Costi fissi 1000 800 600 Risultato op. 400 400 400

43. Riferendosi all’esercizio precedente quale tra le 3 imprese è da preferire in caso di domanda di mercato elevata e in crescita?

44. Si consideri l’impresa A del precedente esercizio. Nell’ipotesi che il prezzo unitario sia

di 10 euro per tutti e tre i prodotti e che il costo variabile, partendo da A, sia rispettivamente pari a 3,4 e 5 euro, si calcoli la variazione del Ro per un incremento delle vendite del 10% sulla base del grado di leva operativa e si verifichi il risultato ottenuto grazie alla formula ΔRO = MC x (ΔQ)

45. Un’impresa evidenzia i seguenti dati: costi fissi 90.000, prezzo vendita 100, cv 70 Sapendo che il margine di sicurezza è pari a 0,40 calcolare:

Il volume di vendite Il Risultato operativo La variazione del risultato operativo per un incremento delle vendite del 20%

46. Se i costi fissi sono pari a 2000, P e Cv sono rispettivamente 100 e 60, qual è il volume

di vendite che corrisponde ad una leva operativa di 1,33?

47. L’azienda Rossi, monoprodotto e senza ordini in portafoglio ha: • costi fissi 300.000 euro • prezzo vendita unitario 100 • costo variabile 70

Si propone ora di effettuare un’azione promozionale del costo di 90.000 euro Quale quantità di ordini è necessaria per: a) avere il pareggio dei costi b) avere un utile di 30.000 euro

48. Un’azione promozionale del costo di 90.000 euro, secondo stime attendibili, genererà

2000 ordini di un prodotto; tenendo presente che il prezzo di vendita è 100 euro e il costo variabile 70 euro, è profittevole l’investimento?

49. Si consideri un’azienda monoprodotto che evidenzi i seguenti dati:

• costi fissi 350.000 euro • costo variabile di 700 euro • prezzo di vendita di 1000

Si supponga che l’impresa non abbia già un portafoglio ordini e che decida di investire in un’azione di telemarketing dalle seguenti caratteristiche:

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CFp = 5000, costo di ogni telefonata 2,5 e R1 = 5%. Calcolare

• gli ordini necessari per il pareggio • gli ordini necessari per un Ro di 50.000 euro • la quantità di telefonate da effettuare nel caso del pareggio e nel caso di un

Ro pari a 50.000 euro

50. Si consideri un’azienda monoprodotto che evidenzi i seguenti dati: • costi fissi 200.000 euro • costo variabile di 700 euro • prezzo di vendita di 1000

Si supponga che l’impresa non abbia già un portafoglio ordini e che decida di investire un massimo di 200.000 euro in un mail con CFp = 1500, Cv = 2 e R1 = 1%. Quale risultato in termini di ordini e di Ro ?

51. Aziende pluriprodotto. Si immagini che un’azienda abbia 3 prodotti come segue :

A B C Prezzo unitario 1000 800 500 Mix vendite % 20 30 50 Mc unitario 250 160 50 Se i costi fissi sono pari a 246.000 euro qual è il volume di pareggio?

52. L’azienda di cui all’esercizio precedente vende ora 3000 pezzi e vuole aumentare le vendite per arrivare a 300.000 euro di risultato operativo Sapendo che la massima quantità vendibile è pari a 5000 è possibile raggiungere l’obiettivo di 300.000 euro di Ro?

53. Qual è la condizione fondamentale per poter utilizzare il margine di contribuzione

equivalente?

54. Riferendoci agli stessi dati dell’esercizio 51 si supponga che il Management decida di cambiare il mix dei prodotti come segue:

A B C Prezzo unitario 1000 800 500 Mix vendite % 20 40 40 Margine contr. un. 250 160 50

E’ possibile, senza neppure fare i calcoli, sapere se il risultato operativo sarà superiore o inferiore? Quale sarà il nuovo margine di contribuzione equivalente? Quale sarà precisamente il risultato operativo per 3.000 vendite?

55. Ricavi non lineari. Sola variazione di prezzo Si consideri il caso seguente:

CF = 60.000, prezzo unitario vendita 100, costo variabile produzione 70 Quantità di equilibrio Qbep = 60.000/30 =2.000 Supponiamo ora che l’imprenditore decida di vendere il suo prodotto come segue:

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primi 1.100 pezzi a euro 100,00, successivi a euro 90,00 Quale saranno i volumi di vendita oltre i 1.100 pezzi da vendere per il pareggio?

56. Variazione del prezzo (riduzione) e del costo variabile (aumento) su quantità identiche Riprendiamo l’esempio precedente che, ricordiamo, evidenziava i seguenti dati: CF = 60.000, prezzo unitario vendita 100 e costo variabile produzione 70.

L’imprenditore aveva deciso di vendere i primi 1.100 pezzi a euro 100,00 e i successivi a euro 90,00; immaginiamo ora che si verifichi anche un aumento del costo dei materiali o della mano d’opera che incida per 5 euro sempre a partire dal 1001nesimo prodotto. Quale sarà la quantità di equilibrio?

57. Variazione del prezzo (riduzione) e del costo variabile (aumento) su quantità diverse

Sempre con costi fissi pari a 60.000 l’imprenditore vende ancora i primi 1.100 pezzi a euro 100,00 e i successivi a 90. In questo caso però l’incremento di costo avviene a partire dal 801mo prodotto. Per avere il pareggio come calcolare la quantità da vendere oltre i 1100 pezzi a prezzo pieno di 100 euro, al prezzo scontato di 90 euro?

58. Nell’ipotesi che la funzione di domanda del prodotto x sia di tipo lineare (q = a-bp), tenendo presente che la massima quantità vendibile sul mercato per il prezzo che tende a 0 è di 80.000 pezzi e che il prezzo limite per cui la quantità venduta tende a zero è pari a 8 euro, risalite all’espressione della funzione di domanda.

59. Partendo dai seguenti dati: Funzione di domanda del bene X al prezzo Q = 500 – 2p Funzione costi Ct = 3000+ 20q Risultato operativo Ro = Px Q – Ct

Trovare il prezzo “ottimale” e cioè quello che massimizza il profitto per l’impresa.

60. L’impresa Rossi è in una situazione di questo tipo

Funzione Domanda Q = 80.000 -10.000p Funzione Costi Ct = 65.000+2q Poiché i prezzi della concorrenza oscillano tra 3,3 e 5,5 con un livello di differenziazione analogo, decide di vendere il proprio prodotto X ad un prezzo unitario di 4 euro che assicura un ampio margine sul costo (100%) Quale sarà il risultato operativo? E’ possibile a vostro avviso migliorare la redditività aziendale agendo sul prezzo? Se sì, come fare e di quanto potrebbe migliorare il risultato operativo?

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Risposte 1. Sinteticamente la contabilità analitica rispetto al bilancio consente di passare dalle misure globali a quelle parziali rendendo possibile la ripartizione dei valori di sintesi tra le varie attività dell’impresa e, contemporaneamente, l’analisi dei contributi delle singole unità produttive al risultato globale 2. Certamente no, in quanto, pur complessivamente in attivo, l’impresa potrebbe avere attività in perdita o comunque non gestite in modo ottimale 3. Il principio di Pareto afferma che l’80 % del fatturato aziendale viene di norma assicurato dal 20% delle attività e quindi pone in evidenza come sia fondamentale una conoscenza contabile approfondita delle singole attività in modo da determinare con precisione il contributo di ogni attività al risultato globale. 4. L’aggregazione è per natura se considera solo la tipologia della grandezza numerica oggetto di esame come nel caso del bilancio che mette insieme tutti i ricavi e tutti i costi; nell’aggregazione per destinazione viceversa una parte di ricavi e di costi vengono attribuiti ad un determinato oggetto di calcolo (per esempio questo o quel prodotto, questo o quel reparto produttivo ecc. ) come avviene a livello di contabilità analitica. 5. L’Activity based costing è un metodo di controllo strategico che imputa i costi in base alle diverse attività che si svolgono lungo la catena del valore dell’impresa per poi ripartirli tra i diversi output che l’azienda produce 6. Il ricavo di un bene, in linea di massima, è facilmente determinabile in quanto basterà moltiplicare le quantità vendute per il prezzo relativo. Molto più complesso è invece la determinazione dei costi relativi che presuppongono un efficiente sistema di rilevazione e di attribuzione dei costi. 7. Per ogni fase di tutte le possibili situazioni produttive che hanno luogo all’interno dell’impresa, occorre individuare la quantità ottimale di risorse, siano esse materiali o mano d’opera, che dovrà essere effettivamente consumata nel caso di processi efficienti. La valorizzazione di tali risorse in base al costo sostenuto o da sostenere da parte dell’impresa, fornisce il costo standard necessario per realizzare un determinato processo. 8. Un centro di costo è un insieme di persone, macchinari, processi ecc. che costituiscono da un punto di vista logico e funzionale un insieme omogeneo che in una ben determinata fase del processo produttivo consuma determinate quantità di risorse. La relazione dei centri di costo con le aree di responsabilità è fondamentale in quanto per essere funzionale ai fini del controllo di gestione il centro di costo deve rispondere ad un’area di responsabilità ben definita che vede avere il potere, e ovviamente la responsabilità, di gestire le risorse assegnate facendo riferimento a standard noti e condivisi. 9. No, in quanto si richiede che sia anche possibile calcolare il rapporto tra input consumato e output prodotto 10. Per valutare l’efficienza di un processo produttivo occorre essere in grado di monitorare e determinare i consumi di risorse afferenti ad ogni centro di costo (ma anche eventuali altri tipi di centro, quali quelli di spesa, di investimento ecc.) e valutarli in relazione a specifici standard noti e condivisi

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11. Per individuare i costi afferenti ai singoli centri produttivi occorre disporre di un adeguato sistema informativo che sulla base di un adeguato workflow di informazioni e dati garantisca un reporting adeguato, tempestivo e mirato 12. Per sistema informativo deve intendersi in senso lato “l’insieme di persone, procedure e apparecchiature il cui compito è quello di presidiare un adeguato flusso di informazioni all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Il sistema informativo, in particolare quando il volume di dati è modesto, prescinde dal suo livello di automazione. La parte automatizzata del sistema informativo è il sistema informatico” 13. No, una volta definiti i costi afferenti ai vari centri produttivi occorre essere in grado di valutarli e questo è possibile solo se si dispone di standard di riferimento per ogni fase del processo produttivo in modo da poter effettuare i necessari confronti. 14. No, una volta definiti i costi afferenti ai vari centri produttivi e averli confrontati con gli standard di riferimento occorre individuare quali centri produttivi siano coinvolti e in che misura nella realizzazione della specifica attività oggetto d’analisi determinando non solo il consumo di risorse assorbito ma anche gli output generati. Occorre cioè essere in grado di ascrivere e riportare i risultati dei singoli centri di costo alle varie attività o commesse in carico all’azienda e aggregare tali risultati in modo da avere la rappresentazione del costo totale di ogni attività e dei relativi ricavi. 15. Non necessariamente in quanto consumi anomali possono essere dovuti ad eventi eccezionali indipendenti dai settori produttivi. Per esempio le continue interruzioni di corrente nel caso di una rotativa di stampa possono comportare consumi di carta molto elevati, come pure una partita difettosa di carta può comportare continui fermi del processo di stampa con tempi di produzione molto più elevati 16. Sono costi che non sono attribuibili con facilità e precisione a singole attività e quindi a input ed output ben definiti; è il caso per esempio del Direttore Generale e della Dirigenza in genere ma anche degli impiegati amministrativi, della segretaria e di tutte le funzioni aziendali che operino su “n” attività o che lavorino su processi generali. Per affrontare il problema occorre ricercare quella che viene chiamata una base di ripartizione, un indicatore che dovrebbe misurare in modo adeguato, il grado di assorbimento dei costi indiretti da parte di un determinato oggetto di calcolo. 17. Il budget è un documento amministrativo, contabile e gestionale dove si evidenziano i risultati che l’azienda intende raggiungere, declinati per aree di responsabilità e centri di costo e formulati sulla base di costi standard predeterminati. Il budget, ovviamente, deve riportare in modo dettagliato anche l’ammontare di risorse previsto per ogni centro di costo e la relativa valorizzazione. Il driver primario su cui si costruisce il budget è la previsione delle vendite 18. In un'azienda il controllo di gestione è il processo volto a guidare la gestione verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione operativa. Tale processo, basandosi su valori standard, centri di costo e di responsabilità, rileva, attraverso la misurazione di appositi indicatori, l’eventuale scostamento tra obiettivi pianificati e risultati conseguiti rendendo disponibili in modo tempestivo dati dettagliati sugli scostamenti stessi, affinché la Direzione e i responsabili possano intervenire immediatamente e attuare tempestivamente le opportune azioni correttive. I 3 elementi fondamentali su cui si basa sono la contabilità analitica, il budget e il sistema di reporting.

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19. Il “teorema centrale” del controllo di gestione afferma che il calcolo delle misure parziali richiede la preliminare definizione delle dimensioni di controllo rispetto alle quali effettuare le misurazioni 20. Per analisi degli scostamenti si intende il raffronto metodico e sistematico tra obiettivi e risultati raggiunti reso possibile da un adeguato sistema di reporting e procedure di workflow management. Lo studio tempestivo dello scostamento consente di individuarne le cause e adottare se del caso gli opportuni correttivi. 21. Una volta effettuate le scelte strategiche a monte il management deve essere in grado di ottenere il massimo possibile con i mezzi al momento a disposizione per cui l’analisi differenziale che consente di individuare le soluzioni più vantaggiose dal punto di vista reddituale può essere di fondamentale importanza per il successo dell’impresa 22. Il Controller ha un ruolo fondamentale nel controllo di gestione. Infatti quest’ultimo, oltre ad essere molto competente dal punto di vista “tecnico” nonché un abile negoziatore per superare invitabili controversie e spesso veri e propri conflitti, deve anche essere in grado di porsi come un educatore capace di introdurre e valorizzare il sistema, portando i singoli individui, ovviamente portatori di interessi individuali, a ragionare quanto più possibile nell’ottica dell’azienda (goal congruence). 23. E’ corretto. Il Controller deve essere in grado di “educare” i dipendenti dell’impresa facendo in modo che si riduca quanto più possibile il gap tra gli obiettivi dell’impresa e quelli dei singoli individui. Il controller può aver buon gioco in tal senso facendo comprendere come una migliore efficienza e quindi una migliore redditività porterà benefici non solo all’impresa ma anche ai dipendenti. 24. Per process re-engineering si intende che un determinato processo, dopo essere stato analizzato, può essere modificato in modo rendere più efficiente il processo stesso. E’ evidente come il controllo di gestione, essendo in gr<zdo di fornire dati parziali a più livelli, è un presupposto fondamentale per un monitoraggio costante dell’efficienza degli stessi processi 25. Varia in funzione dei volumi prodotti 26. Mc>0 vuol dire che l’impresa riesce a realizzare e vendere un determinato prodotto o servizio ad un prezzo superiore al costo totale di produzione e vendita; questa condizione è ovviamente la conditio sine qua non, necessaria ma non sufficiente, per la stessa sussistenza dell’impresa profit. Inoltre, in linea generale e con le opportune verifiche caso per caso, si può affermare che finché il prezzo di vendita è superiore al costo variabile di produzione è di norma preferibile vendere piuttosto che non vendere mentre dovendo scegliere tra due prodotti, a parità di altre condizioni, conviene di norma orientarsi verso il prodotto con margine di contribuzione più elevato. 27. Al punto di equilibrio dovrà essere ricavi totali = Costi totali e quindi P x Q = CT cioè P x Q = (Cv x Q) + CF; portiamo a sinistra Cv x Q e, mettendo in evidenza Q, otteniamo Q x (P-Cv) = CF da cui Qbep = CF/(P-Cv) 28. Vedi figura 13 nel testo 29. Risultato operativo = Ricavi totali – Costi totali

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I ricavi totali saranno dati da P x Q; i costi totali saranno dati ovviamente dalla somma dei costi variabili (Cv x Q) e di quelli fissi e cioè: CT = (Cv x Q)+ CF e quindi, nel caso di un’azienda monoprodotto, avremo che Ro = PxQ – [(Cv x Q) + CF ] cioè Ro = McxQ –CF 30. Vedi figura 15 nel testo 31. Vedi figura 16 nel testo 32. La rappresentazione di Doyle dell’andamento del Ro (vedi figura 15), pur concettualmente corretta, ha comunque un limite non trascurabile in quanto non tiene conto degli aspetti temporali e, in particolare, ipotizza che i costi fissi vengano spesi, per così dire, istantaneamente tutti insieme al momento iniziale del lancio del prodotto. Di norma invece si comincia ad investire e quindi ad essere in passivo prima che sia possibile iniziare la produzione e a maggior ragione le vendite e, inoltre, non è affatto detto che il massimo del passivo coincida con il lancio del prodotto, anzi è più frequente il caso in cui il passivo continui ad aumentare dopo la fase di lancio sia perché le spese promozionali sono di norma molto elevate nella fase iniziale sia perché occorre comunque far fronte ai costi fissi a fronte di vendite ancora contenute. E’ quindi molto più realistica una rappresentazione dell’andamento del Ro di tipo sinusoidale come nella figura 17. 33. 2000/80 = 25, 25 x 200 = 5000 oppure 2.000/[1- (120/200)] = 5.000

(2.000+1.200)/80 = 40; (2.000- 600 )/80 = 17,5

34. 500 = 5000/((p-9,5); p = 19,5 35. 300.000/20 = 15.000 a 3000 pezzi al mese occorreranno 5 mesi 36. Se Cv/P = 0,70 segue che 1 – Cv/P = 0,30 da cui 200.000/0,30 = 6.666 fatturato di equilibrio 37. In caso di domanda elevata per entrambi i prodotti è sicuramente più conveniente il prodotto A in quanto il margine di contribuzione unitario è superiore ( 35 contro 30) e in più i costi fissi sono più bassi 38. Essendo anche in tal caso le vendite illimitate la scelta più conveniente sarà ancora A in quanto ci sarà sicuramente un volume di vendite tali per cui il maggior margine unitario del prodotto A riuscirà a compensare la maggiore incidenza dei costi fissi. 39. Se il massimo volume di vendite fosse pari per entrambi i prodotti a 17.500 sarà invece da preferire B in quanto per tale quantità A non raggiungerebbe neppure il pareggio (650.000/35 = 18.571 mentre B darebbe un utile lordo di 25.000 euro [(30x17.500) - 500.000]

40. La condizione di esistenza del volume di indifferenza è che qualora sia Mc1>Mc2 sia anche e CF1>CF2 o anche Mc1<Mc2 ma con CF1<CF2 come nel caso in oggetto. In tal caso sarà (350.000 -500.000)/ (15-30) = 10.000 41. Il margine di sicurezza è un indicatore che consente di calcolare di quanto si possono ridurre le vendite attuali prima che l’azienda risulti in perdita e si può calcolare in due modi. a) indichiamo con Vbep il volume di vendite necessarie per il pareggio e con V il volume di vendite effettivo, avremo Ms = (V- Vbep)/V. L’impresa. Creazione, gestione e sviluppo. Dalla contabilità analitica e dal controllo di gestione alla contabilità direzionale. Carmine D’Arconte, maggio 2011

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b) si dimostra che il margine di sicurezza si può anche calcolare come rapporto tra il Ro o risultato operativo e Mct, cioè il margine di contribuzione totale come di seguito indicato Ms = Ro/Mct La leva operativa è una misura di quanto il reddito sia sensibile a cambiamenti dei ricavi; l’effetto leva è misurato dal grado di leva operativa, un indicatore calcolato in corrispondenza a ciascun volume di ricavi come rapporto tra il margine di contribuzione cioè: Lop = MCt/Ro. Il margine di sicurezza e la leva operativa sono l’uno il reciproco dell’altro 42. A B C

Ms 0,28 0,33 0,40 Leva op 3,5 3 2,5 43. Evidentemente A che ha un grado di leva operativa più alto 44. Se la leva operativa è 3,5 significa che il risultato operativo per un incremento delle vendite del 10% sarà del 35% più elevato, quindi 400 x 1,35 = 540, quindi + 140. Se utilizziamo la formula ΔRO = MC x (ΔQ) il riscontro è immediato in quanto, essendo evidentemente 200 la quantità iniziale, l’incremento del 20% sarà pari a 20 che moltiplicato il margine di contribuzione unitario pari a 7 ci darà 140 ( 20 x7) 45. Il volume di pareggio o Vbep sarà 90.000/30 = 3000, Essendo Ms = (V-Vbep)/V sarà evidentemente 0,40 = (V-3000)/V da cui si ricava che V = 5.000 e Ro = (5000x30)-90.000 = 60.000. Se ms = 0,40 segue che la leva operativa sarà 1/0,40 = 2,5 da cui segue che l’incremento del Ro per un aumento delle vendite del 10% sarà del 10 X 2,5 = 25%. 46. 1,33 = MCt/Ro cioè 1,33 =(McxQ)/(McxQ – CF) . Sostituendo i valori numerici con brevi passaggi otteniamo che Q = 200,15 47. Utilizzeremo rispettivamente la 12 e la 13 e avremo a = (300.000 +90.000)/ (100-70) = 13.000 b = (300.000 +90.000+30.000)/ (100-70) = 14.000 48. L’investimento, in ottica di breve periodo, non è conveniente in quanto a fronte di un

costo di 90.000 euro genera un margine di contribuzione extra di soli 60.000 euro (2.000 x30 = 60.000)

49. Calcoliamo intanto mc1 che sarà dato da 300 – (2,5/0,05) = 250

(CF+ CFp)/ Mc1= 355.000/ 250 = 1420 ordini necessari per il pareggio (355.000+50.000)/250 = 1.620 ordini necessari per un Ro di 50.000 1420/0,05 = 28.400 telefonate necessarie per il pareggio e 1620/0,05 = 32.400 telefonate per avere un Ro di 50.000 euro

50. Calcoliamo Qp = (200.000 - 1500)/2 = 99.250 Essendo R = 1% gli ordini che genererà l’azione saranno 992 2/0,01 = 200 quindi Mc1 sarà 300-200 = 100 Il Ro sarà -102.400 in quanto 992 ordini generano 99.200 (992 x100) euro di margine di contribuzione complessivo contro 201.500 euro di costi

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Gli ordini necessari per il pareggio sono (200.000+ 1500)/ (300-200) = 2.015 Gli ordini necessari per un Ro di 50.000 euro saranno dati da 251.500/100 = 2.515

51. Per prima cosa si calcola il margine di contribuzione equivalente che sarà dato da (250x0,2)+(160x0,30)+((50x0,5) pari a 123. Poi divideremo i costi fissi per tale valore ed otterremo 2000, il volume di pareggio. 52. Sì, in quanto (246.000+300.000)/123 = 4.439 circa 53. La condizione fondamentale per poter utilizzare il margine di contribuzione equivalente è che il mix delle vendite non cambi nel tempo. In caso questo avvenga il margine di contribuzione equivalente va ricalcolato per ogni nuovo mix. 54. Sì, si può dire immediatamente che il risultato sarà superiore in quanto l’impresa ha aumentato il ”peso” di B con margine di contribuzione unitario pari a 160 e dimnuito invece il “peso” di C che ha margine di contribuzione unitario pari a 50. Se ricalcoliamo il margine di contribuzione equivalente troveremo (250x0,20)+(160x40)+(50x0,40) = 134 da cui avremo che (134 x 3000) -246.000 = 156.000 55. In base alla formula 17 avremo Q2 = (CF – Q1Mc1)/Mc2 da cui Q2 = [(60.000 – (1100x30)]/20 = 1350 56. Potremo usare ancora la 17 tenendo presente che in tal caso Mc2 sarà 15 e non più 20 e avremo Q2 = [(60.000 – (1100x30)]/15 = 1.800 57. Avremo in tal caso 3 quantitativi con 3 diversi margine di contribuzione:

• i primi 800 pezzi Mc1 = 100-70 = 30 • i successivi 300 pezzi Mc2 = 100-75 = 25 • i pezzi successivi Mc3 = 90-75 = 15

In tali condizioni per trovare la quantità di Q3 che dobbiamo produrre per avere il pareggio, potremo usare la 18 Q3 = CF- [(Mc1 x Q1)+ (Mc2 x Q2)] da cui avremo che Q3 = 1900

Mc3 58. A = 80.000; b = 80.000/8 = 10.000 da cui segue che Q = 80.000 -10.000p 59. Si utilizza la formula 19 p0= ½ (a/b +cvu) da cui segue che:

A = 500; b = 2; cv = 2 segue che p = ½ [(500/2)+20 ] = 135 60. Sostituendo 4 nella funzione di domanda, Q = 40.000, ricordando che il risultato operativo è Ro = (p x q) – Ct e svolgendo i calcoli avremo un utile lordo di 15.000 euro. Se utilizziamo la formula 19 troviamo che il prezzo ottimale è 5 a cui corrisponde un venduto di 30.000 pezzi e un Ro di 25.000 euro

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