Dal Vangelo Secondo Tommaso - Se Fossi Nero

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DAL VANGELO SECONDO TOMMASO Tommaso De Benetti Uno che i VG preferisce discuterli S entivo qualche settimana fa questo specifico episodio di Rebel.fm, noto podcast vi- deoludico americano. Un ascolta- tore si lamentava con gli speaker della trasmissione a proposito del loro discutere sul razzismo pre- sente (o meno) in Resident Evil 5. L’argomento dell’ascoltatore era grossomodo questo: non puoi parlare di razzismo (dicendo qualcosa di intelligente) senza esserne una vittima. Che signi- fica, tradotto per quelli lenti, non puoi parlare di razzismo se non sei nero. È un po’ come dire, e non credo che il paragone sia fuori luogo, che non puoi parlare di politica senza essere un poli- tico (o un perseguitato politico), o di femminismo se non hai la patata (o se non sei una donna caduta dalle scale). Qualche tempo addietro, anche il noto N’Gai Croal (Newsweek, Edge) ha espresso la sua mortifi- cazione per alcuni degli stereotipi presentati nel primo trailer pub- blico del titolo Capcom. “Il pro- blema non è che non ci possono essere zombie neri, ma che que- sto video riproduce stereotipi di stampo coloniale. [...] Posso ga- rantirvi che se Capcom avesse fatto assomigliare il protagonista di Resident Evil 4 ad un soldato fascista, e gli zombie a ribelli na- zionalisti, in Spagna sarebbe scoppiato un casino, vista la sto- ria della nazione. [...] Un certo immaginario è storicamente pro- blematico.” Così si era giustifi- cato Croal e probabilmente non ha torto, anche se, come dimo- stra il bellissimo Il Labirinto del Fauno di Del Toro, la Spagna non sembra avere particolari precon- cetti nel trattare in un film argo- menti tutto sommato simili. Fast forward di qualche mese. Microsoft presenta Natal all’E3 2009. La folla esulta, i forum crashano, il futuro del videogioco sembra alle porte. Qualche giorno dopo, filtra la notizia che Natal ha (allo stato attuale) seri problemi a rilevare i movimenti di persone dalla pelle scura, per una qualche misteriosa proprietà riflettente legata alla melanina. Come un utente di NeoGaf ha prontamente fatto notare: “...e voi che pensavate che il bollino indicante la necessità di avere spazio nell’hard disk sul retro delle confezioni dei giochi fosse già abbastanza discriminatorio”. Se fossi nero inizierei a pen- sare ad una cospirazione ariana. O forse no. Perché, mettiamo caso che il problema di Natal fosse stato l’inverso, e cioè che il colore della pelle non rilevato fosse stato quello più chiaro, si sarebbe incazzato qualcuno? Onestamente: avremmo al mas- simo classificato Natal come do- omed, e fine del discorso. Facciamo un piccolo gioco di ruolo, saltando da una persona- lità all’altra. Se fossi un nazista scaraven- tato nel futuro, mi sentirei vaga- mente offeso dal fatto che, come saggiamente Vitoiuvara ha fatto notare in un suo recente Esco di Rado (Babel 014), i nazisti non vengono più considerati esseri umani da nessuno, in particolare proprio dai videogiochi. Se fossi un russo avrei le palle che girano a mille ogni volta che esce un nuovo Modern Warfare. Se fossi un giapponese non mi sentirei a mio agio parlando di Call of Duty: World at War. Se fossi un francese avrei i te- sticoli saturi quando in un car- tone animato mi rappresentano necessariamente come un cuoco, un pittore o un ricchione, sempre con questi baffetti alla Dalì. Se fossi il tecnovichingo che balla per la pace (cfr. YouTube), non sarei contento di assomig- liare al protagonista di Mercena- ries 2, che mette a ferro e fuoco il Sud America. Se fossi cristiano avrei dei pro- blemi con Xenogears e con la saga di Silent Hill. Se fossi arabo odierei ogni gioco di guerra uscito finora, e pure Little Big Planet per tentata offesa al profeta. Se fossi inglese mi vergognerei di Bully e se fossi greco vedrei God of War sotto una luce più cupa. Aspetto con ansia di ve- dere che effetto farà essere ita- liano dopo Assassin’s Creed II. Non vorrei deludervi, ma le pubblicità Nintendo mentono. Le famiglie con un nero, un giappo- nese e un americano sotto lo stesso tetto non esistono, e se esistono ce ne sono 8 in tutto il mondo. I neri sono un gruppo et- nico sottorappresentato sia nel mondo dell’editoria videoludica che in quello dei giocatori veri e propri: questo è un fatto. Detto questo, che la reazione a inizia- tive sfortunate, scarsa indagine culturale (perché, davvero, per i giapponesi i neri sono solo “zom- bie di un colore diverso”, senza altre implicazioni) o problemi tecnici diventino un problema per un’interna etnia, non ha senso. È quasi paradossale come i neri si sentano discriminati diversa- mente dagli altri: gli zombie di RE5 sono più offensivi dell’on- data di giochi reazionari ambien- tati in Medio Oriente? L’unica cosa che la comunità nera dovrebbe fare è questa: ri- dere di sé, smetterla di fare la vittima ad ogni sospiro e dimo- strare che i neri in primo luogo considerano quegli stereotipi con la stessa noncuranza con cui un italiano vede il famoso “pizza, mandolino, mamma“. Con Obama a riscattare gli an- tichi torti, è tempo che anche i neri inizino a considerarsi delle persone normali. Lo ammetto, non sono sicuro di come ci si senta ad essere nero, ma se potessi reincarnarmi vorrei essere una figa imperiale (nera). Così, per tirarmela un po' Se fossi nero Tommaso De Benetti è stato membro fondatore e colonna portante di Ring, la rivista più amata dai videogiocatori meno rincoglioniti. Qualche tempo fa, esasperato dall’ignavia invincibile degli ormai depressi ringhici, ha lanciato da solo il progetto RingCast (reperibile su iTunes), primo podcast italiano a tema videoludico, a cui comunque la vecchia guardia partecipa a corrente alternata. Gatsu, secondo il nick con cui è solito firmarsi su Internet, attualmente vive e tromba ad Helsinki, tra frotte di bionde ninfomani e sferzate di gelo più o meno devastanti. 004

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DAL VANGELO SECONDO TOMMASO

Tommaso De Benetti

Uno che i VG preferisce discuterli

Sentivo qualche settimana faquesto specifico episodio diRebel.fm, noto podcast vi-

deoludico americano. Un ascolta-tore si lamentava con gli speakerdella trasmissione a proposito delloro discutere sul razzismo pre-sente (o meno) in Resident Evil5. L’argomento dell’ascoltatoreera grossomodo questo: nonpuoi parlare di razzismo (dicendoqualcosa di intelligente) senzaesserne una vittima. Che signi-fica, tradotto per quelli lenti, nonpuoi parlare di razzismo se nonsei nero. È un po’ come dire, enon credo che il paragone siafuori luogo, che non puoi parlaredi politica senza essere un poli-tico (o un perseguitato politico),o di femminismo se non hai lapatata (o se non sei una donnacaduta dalle scale).

Qualche tempo addietro, ancheil noto N’Gai Croal (Newsweek,Edge) ha espresso la sua mortifi-cazione per alcuni degli stereotipipresentati nel primo trailer pub-blico del titolo Capcom. “Il pro-blema non è che non ci possonoessere zombie neri, ma che que-sto video riproduce stereotipi distampo coloniale. [...] Posso ga-rantirvi che se Capcom avessefatto assomigliare il protagonistadi Resident Evil 4 ad un soldatofascista, e gli zombie a ribelli na-zionalisti, in Spagna sarebbescoppiato un casino, vista la sto-ria della nazione. [...] Un certoimmaginario è storicamente pro-blematico.” Così si era giustifi-cato Croal e probabilmente nonha torto, anche se, come dimo-stra il bellissimo Il Labirinto delFauno di Del Toro, la Spagna nonsembra avere particolari precon-cetti nel trattare in un film argo-menti tutto sommato simili.

Fast forward di qualche mese.Microsoft presenta Natal all’E32009. La folla esulta, i forumcrashano, il futuro del videogioco

sembra alle porte. Qualchegiorno dopo, filtra la notizia cheNatal ha (allo stato attuale) seriproblemi a rilevare i movimentidi persone dalla pelle scura, peruna qualche misteriosa proprietàriflettente legata alla melanina.Come un utente di NeoGaf haprontamente fatto notare: “...evoi che pensavate che il bollinoindicante la necessità di averespazio nell’hard disk sul retrodelle confezioni dei giochi fossegià abbastanza discriminatorio”.

Se fossi nero inizierei a pen-sare ad una cospirazione ariana.O forse no. Perché, mettiamocaso che il problema di Natalfosse stato l’inverso, e cioè che ilcolore della pelle non rilevatofosse stato quello più chiaro, sisarebbe incazzato qualcuno?Onestamente: avremmo al mas-simo classificato Natal come do-omed, e fine del discorso.

Facciamo un piccolo gioco diruolo, saltando da una persona-lità all’altra.

Se fossi un nazista scaraven-tato nel futuro, mi sentirei vaga-mente offeso dal fatto che, comesaggiamente Vitoiuvara ha fattonotare in un suo recente Esco diRado (Babel 014), i nazisti nonvengono più considerati esseriumani da nessuno, in particolareproprio dai videogiochi.

Se fossi un russo avrei le palleche girano a mille ogni volta cheesce un nuovo Modern Warfare.

Se fossi un giapponese non misentirei a mio agio parlando diCall of Duty: World at War.

Se fossi un francese avrei i te-sticoli saturi quando in un car-tone animato mi rappresentanonecessariamente come un cuoco,un pittore o un ricchione, semprecon questi baffetti alla Dalì.

Se fossi il tecnovichingo cheballa per la pace (cfr. YouTube),non sarei contento di assomig-liare al protagonista di Mercena-

ries 2, che mette a ferro e fuocoil Sud America.

Se fossi cristiano avrei dei pro-blemi con Xenogears e con lasaga di Silent Hill.

Se fossi arabo odierei ognigioco di guerra uscito finora, epure Little Big Planet per tentataoffesa al profeta.

Se fossi inglese mi vergognereidi Bully e se fossi greco vedreiGod of War sotto una luce piùcupa. Aspetto con ansia di ve-dere che effetto farà essere ita-liano dopo Assassin’s Creed II.

Non vorrei deludervi, ma lepubblicità Nintendo mentono. Lefamiglie con un nero, un giappo-nese e un americano sotto lostesso tetto non esistono, e seesistono ce ne sono 8 in tutto ilmondo. I neri sono un gruppo et-nico sottorappresentato sia nelmondo dell’editoria videoludicache in quello dei giocatori veri epropri: questo è un fatto. Dettoquesto, che la reazione a inizia-tive sfortunate, scarsa indagineculturale (perché, davvero, per igiapponesi i neri sono solo “zom-bie di un colore diverso”, senzaaltre implicazioni) o problemitecnici diventino un problema perun’interna etnia, non ha senso. Èquasi paradossale come i neri sisentano discriminati diversa-mente dagli altri: gli zombie diRE5 sono più offensivi dell’on-data di giochi reazionari ambien-tati in Medio Oriente?

L’unica cosa che la comunitànera dovrebbe fare è questa: ri-dere di sé, smetterla di fare lavittima ad ogni sospiro e dimo-strare che i neri in primo luogoconsiderano quegli stereotipi conla stessa noncuranza con cui unitaliano vede il famoso “pizza,mandolino, mamma“.

Con Obama a riscattare gli an-tichi torti, è tempo che anche ineri inizino a considerarsi dellepersone normali.

Lo ammetto, non sono sicuro dicome ci si senta ad essere nero,ma se potessi reincarnarmi vorreiessere una figa imperiale (nera).Così, per tirarmela un po'

Se fossi nero

Tommaso De Benetti è stato membro

fondatore e colonna portante di Ring, la

rivista più amata dai videogiocatori

meno rincoglioniti. Qualche tempo fa,

esasperato dall’ignavia invincibile degli

ormai depressi ringhici, ha lanciato da

solo il progetto RingCast (reperibile su

iTunes), primo podcast italiano a tema

videoludico, a cui comunque la vecchia

guardia partecipa a corrente alternata.

Gatsu, secondo il nick con cui è solito

firmarsi su Internet, attualmente vive e

tromba ad Helsinki, tra frotte di bionde

ninfomani e sferzate di gelo più o meno

devastanti.

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