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2°/ 2°/ 2°/ 2°/2010-11 Don Franco Mosconi DAL TEMPO DI DAL TEMPO DI DAL TEMPO DI DAL TEMPO DI GESù GESù GESù GESù AL TEMPO DELLA AL TEMPO DELLA AL TEMPO DELLA AL TEMPO DELLA CHIESA CHIESA CHIESA CHIESA Lettura spirituale degli ATTI DEGLI APOSTOLI Atti 2 Villa Elena - AFFI, 6 novembre 2010

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2°/2°/2°/2°/2010-11

Don Franco Mosconi

DAL TEMPO DI DAL TEMPO DI DAL TEMPO DI DAL TEMPO DI GESùGESùGESùGESù

AL TEMPO DELLAAL TEMPO DELLAAL TEMPO DELLAAL TEMPO DELLA CHIESACHIESACHIESACHIESA

Lettura spirituale degli ATTI DEGLI APOSTOLI

Atti 2

Villa Elena - AFFI, 6 novembre 2010

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N.B. : Il testo risente del linguaggio parlato, essendo tratto direttamente

dalla registrazione e non è stato rivisto dal relatore.

Stampato in proprio ad uso interno

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Don Franco Mosconi Affi, 6 novembre 2010

Iniziamo con il canto e la preghiera. È una preghiera di Ignazio IV, dei primi secoli:

Senza lo Spirito Dio è lontano, Cristo resta nel passato,

l’Evangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione,

l’autorità dominio, la missione propaganda, il culto un’ evocazione e

l’agire cristiano una morale da schiavi. Ma, in Lui, il cosmo si solleva e geme nelle doglie del regno,

Cristo Risorto è presente, l’Evangelo è potenza di vita,

la Chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità è servizio liberante,

la missione è Pentecoste, la liturgia è memoria e anticipazione,

l’agire umano è deificato. Amen.

Questa preghiera ci introduce molto bene nel testo degli Atti che mediteremo. Riprendiamo il cammino

della lettura spirituale degli Atti e ci soffermeremo sul questo capitolo 2, che è di una grande ricchezza spirituale per tutti noi.

Vorrei proprio che dall’incontro di stamani uscissimo tutti come da una nuova Pentecoste, come l’hanno vissuta gli Apostoli: non possiamo rileggere questi testi senza sentirci toccare dentro. Sosterremo sul capitolo 2 perché sono convinto che lo Spirito Santo è sempre in atto, anche ora, e continua la sua presenza in noi, nella Chiesa e nel mondo proprio attraverso di noi.

In questo capitolo secondo viene presentato l’evento fondante: il compimento del tempo. Potremmo

dire che qui veramente iniziano gli Atti degli Apostoli. Il capitolo primo è un’introduzione, una specie di strascico del Vangelo, l’anello di congiunzione con il passato.

Atti 2

1Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi.

5Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. 6Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. 7Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, 11Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: «Che significa questo?». 13Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto».

14Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: «Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto e fate attenzione alle mie parole: 15Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino. 16Accade invece quello che predisse il

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profeta Gioele: 17Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. 18E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno. 19Farò prodigi in alto nel cielo e segni in basso sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. 20Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore, giorno grande e splendido.21Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. 22Uomini di Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, 23dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. 24Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. 25Dice infatti Davide a suo riguardo: Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; poiché egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. 26Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua; ed anche la mia carne riposerà nella speranza, 27perché tu non abbandonerai l’anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. 28Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.29Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e la sua tomba è ancora oggi fra noi. 30Poichè però era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, 31previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide corruzione. 32Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. 33Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. 34Divide infatti non salì al cielo, tuttavia egli dice: Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, 35 finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi. 36Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!». 37All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». 38E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. 39Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». 40Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa». 41Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone. 42Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. 48Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. 1-La prima Pentecoste cristiana

Nella nostra traduzione abituale questo versetto primo del cap. 2 è tradotto proprio male: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire». Chiunque legga questo testo, immagina che siamo alla sera; invece, viene detto subito dopo che sono le nove del mattino. Allora il giorno di Pentecoste non sta assolutamente per finire. In greco la frase dice, nella traduzione letterale: Nel riempirsi il giorno di Pentecoste, vuol dire: giunto il giorno di Pentecoste; quando finalmente si compì, arrivò il giorno di Pentecoste, «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo».

L’ espressione iniziale è quella di un greco erudito, ma non consueto, Luca vuol dire con quella espressione: il tempo di Pentecoste era già stabilito dal calendario giudaico, c’era già la Pentecoste giudaica.

“Pentecoste” vuol dire cinquantesimo giorno: è la festa di conclusione della Pasqua perché cade cinquanta giorni dopo la Pasqua, ed era, ed è una festa giudaica. Si celebrava la Pasqua ebraica e la Pentecoste giudaica, quindi l’autore intende dire che si compie il periodo di tempo che separa la Pasqua dalla Pentecoste, essendo arrivato il cinquantesimo giorno, ed erano tutti insieme.

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2-Il compimento del tempo Nel Vangelo di Luca la stessa frase ritorna anche al cap. 9, 51, dove si dice che «Gesù incomincia a

dirigersi decisamente verso Gerusalemme». Anche in tale versetto c’è un compiersi. Il testo italiano suona più o meno così: “mentre stavano per compiersi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù indurì la sua faccia e partì verso Gerusalemme”.

È l’inizio del grande viaggio verso Gerusalemme, è il momento della decisione di Gesù, che parte per Gerusalemme sapendo che lo attende la croce.

Ora stanno per compiersi i giorni della Sua Assunzione e gli Atti degli Apostoli iniziano proprio ripetendo

quelle stesse parole. All’Assunzione Gesù fu elevato in alto, adesso si compie un altro giorno. Luca voleva creare il collegamento fra il mistero della Pasqua di Gesù e il mistero della Pentecoste

attraverso questi due sistemi: cioè, far riferimento alla decisione di Gesù di andare a Gerusalemme dove sarebbe morto, e il riferimento al ciclo pasquale dei cinquanta giorni che si compie a Pentecoste.

C’è un certo parallelismo dal momento che Luca vuol sottolineare ed evidenziare il tema della

‘promessa che si compie’. Quale miglior verbo allora del verbo “compiersi”? Nel compiersi della Pentecoste si compie anche il mistero. Gesù ha detto: “attendete il giorno in cui il Padre realizzerà la promessa” e la promessa del Padre si realizza nel compimento pasquale.

Non è semplicemente un fatto letterario, ma è un fatto anche teologico. Luca vuole insegnare che la

Pasqua di Gesù si realizza pienamente nella Pentecoste. La Pentecoste nella nostra Chiesa non ha lo stesso valore che noi diamo al Natale, alla Pasqua, eppure

nella liturgia, nel pensiero di Luca, la Pasqua di Gesù si compie e si realizza pienamente nella Pentecoste. Cioè la resurrezione di Gesù trova la sua realizzazione piena, la sua efficacia nel confronto degli uomini, proprio nell’evento della Pentecoste.

Potremmo dire, semplificando un dato teologico: la Resurrezione di Gesù resta un fatto personale,è il mistero di Pasqua di Gesù, mentre nel mistero della Pentecoste l’evento personale diventa evento della Chiesa.

A Pasqua è Gesù solo che risorge; a Pentecoste il Risorto trasmette il suo Spirito ai suoi discepoli per cui ciò che è stato di Gesù, ciò che è avvenuto in Gesù, viene donato ai suoi. La promessa del Padre che si compie: cioè la consegna agli uomini della vita stessa di Dio. Questa è la Pentecoste! Ciò che si è realizzato nella Pasqua per Gesù, si realizza per i discepoli nella Pentecoste.

La separazione cronologica fra Pasqua e Pentecoste è di sette settimane, sette per sette. Siamo in uno schema simbolico, orientale, dove il numero è importantissimo. Se il sette è la perfezione, il sette per sette è veramente la grandezza della perfezione.

Quindi la Pentecoste è la pienezza della Pasqua. 3-La festa giudaica di Pentecoste

La festa di Pentecoste già esisteva nel mondo ebraico, non è una creazione cristiana. Nell’ A.T. è presentata con regole ben precise ed è strettamente legata alla festa di Pasqua.

Che cosa celebravano gli Ebrei nella festa di Pentecoste? Il dono della Legge fatto da Dio a Mosè sul Monte Sinai. Nella Pasqua gli ebrei celebravano l’uscita dall’Egitto, cinquanta giorni dopo si ricorda l’arrivo del popolo di Israele al Sinai e la stipulazione dell’Alleanza con Dio. La liberazione dall’Egitto era finalizzata all’incontro di Dio con il suo popolo, all’entrare in relazione con Lui. Ecco perché la Pentecoste completa la Pasqua. Luca ci tiene molto a fare il parallelismo.

Nella sua struttura liturgica per Israele la Pasqua è la libertà iniziale; la Pentecoste rappresenta la realizzazione della libertà nella relazione dell’Alleanza con Dio. Quindi a Pentecoste il popolo di Israele celebra l’Alleanza, ricorda la stipulazione del patto fra il popolo e Dio, infine ricorda il dono della Legge.

Dio ha scelto di porre un segno all’inizio della vita della comunità cristiana, proprio in quel giorno festivo, esattamente come aveva scelto di porre un altro segno nell’altro giorno festivo.

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Cioè la morte e resurrezione di Gesù coincidono con una festa di Pasqua, il dono dello Spirito coincide con una festa di Pentecoste. E le due feste diventano cristiane, per cui la comunità le riprende e le vive, certamente con un'altra motivazione.

Per noi la Pasqua è la liberazione dell’umanità dalla morte, è la vittoria di Cristo Gesù, e la Pentecoste

diventa il dono della nuova Alleanza. Al dono della Legge(A.T.), subentra il dono dello Spirito. Luca racconta l’episodio facendo continui

riferimenti al dono della Legge sul Sinai. Appare molto chiaro questo confronto. Non possiamo fare riferimento ai soli testi biblici che conosciamo, ma occorre far riferimento anche a

tutta una tradizione, compresa una fantasia popolare creata dai rabbini nei primi secoli. I racconti popolari per la Pentecoste parlavano proprio di un popolo radunato nello stesso luogo. La

voce di Dio venne dal cielo, come un rombo, così come l’immagine della tempesta, del temporale, che viene raccontato nell’Esodo: il vento si abbatte gagliardo, tutto il Monte è riempito della presenza di Dio, Dio parla con voce di fuoco.

Ciò che è caratteristico e che non troviamo nel testo biblico ma è documentato dalla tradizione giudaica,

nelle traduzioni popolari per il popolo chiamate ‘net targum’, nelle leggende che circolavano, è che al Sinai Dio parlò e la voce di Dio si divise in sette voci e le sette voci divennero settanta lingue, per cui Dio parlò in tutte le lingue.

Sembra che nel mondo giudaico anche i bambini sapessero queste cose nel primo secolo, perciò quando

Luca racconta l’evento, utilizza tutte le parole cardine del racconto popolaresco del dono della Legge sul Sinai, per cui insiste: -sull’essere insieme, -sui fenomeni della teofania, -sull’apparizione di Dio nella tempesta, -sulle lingue di fuoco che si dividono e si posano, -sull’evento delle lingue, -sul fatto che adesso gli apostoli parlano tutte le lingue, -tutti i popoli sono presenti per ascoltare, quindi è il dono della nuova Alleanza, è il dono dello Spirito Santo che compie la trasformazione dell’uomo e crea una nuova comunità.

Come al Sinai era nato il popolo di Israele, così adesso in Gerusalemme nasce il nuovo popolo di Israele: lo Spirito fa nascere la nuova comunità, stipula la nuova Alleanza.

Ecco perché è importante inserire questo evento straordinario nella festa di Pentecoste ed è la prima

Pentecoste cristiana quella che racconta Luca. Ogni successiva Pentecoste ricorda il fatto che in quella prima Pentecoste la realtà della comunità è cambiata.

Da quel giorno gli apostoli sono stati trasformati, -hanno maturato la scelta definitiva, -si sono sentiti pienamente investiti dalla forza della grazia, -hanno capito che la promessa di Dio si era realizzata, -hanno sentito che lo Spirito di Gesù Cristo era in loro, -hanno capito che quel gruppo di persone erano chiamate a continuare l’opera di Gesù Cristo, -erano la sostituzione di Gesù sulla terra. Questa consapevolezza forse l’abbiamo persa, ma dovremmo recuperarla.

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4-Un evento straordinario proprio in quel giorno «Al compiersi del giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo».

L’espressione di Luca, più che indicare una presenza fisica nello stesso ambiente, indica soprattutto una unione di cuore, una concordia, una fusione personale fra le persone. Non dice infatti: ‘insieme nello stesso luogo’, dice: ‘erano nello stesso…nello stesso, erano una cosa sola’.

«Venne all’improvviso dal cielo un rombo», quindi il vocabolo “rombo” è la traduzione della parola greca

‘eco’ che è rimasto anche in italiano. Eco: un suono strano, prodotto da una entità non facilmente determinabile;

«come di vento che si abbatte gagliardo», di per sé non si dice che ci fu il vento. Il vento è un termine di paragone: si sentì un rumore strano come se ci fosse un forte vento, anche se non c’era il vento;

«e riempi tutta la casa dove si trovavano», è il rumore che riempie, ma è un rumore trascendente, è una voce, è una presenza; all’immagine dell’udito si aggiunge l’immagine della vista:

«Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» [al v.3]: volutamente Luca gioca sul doppio senso di “lingua”: lingua come organo anatomico, un oggetto che sembra una lingua di fuoco, una fiammella. Ma perché Luca la chiama una lingua di fuoco e non una fiammella? Perché sta già preparando l’idea delle lingue parlate come linguaggio umano. La visione comporta un insieme di fuoco che si divide in tante fiammelle; è una unità che si divide, e la forma che assume questo fuoco è la forma di una lingua.

Sono tipiche e tradizionali le immagini dello Spirito come vento, come fuoco. Qui si aggiunge l’elemento lingua, proprio perché dipende dal racconto popolare della teofania del Sinai, cioè la voce di Dio si divide in settanta lingue.

«Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo» [al v.4]; come la casa si riempì di quel rumore, così le persone

si riempirono di Spirito Santo «e cominciarono a parlare in altre lingue», cioè le lingue come di fuoco produssero negli apostoli una capacità nuova di comunicazione. Difatti le altre lingue dipendono dallo Spirito: «come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi».

Cioè parlare in lingue (in questi anni avviene in alcuni movimenti), era un termine tecnico. Nella

comunità primitiva si utilizzava per indicare un particolare fenomeno liturgico spirituale carismatico, un atteggiamento di entusiasmo per cui si canta e si prega producendo dei suoni che non hanno un senso logico; era una prassi abituale nella regione antica mediterranea, soprattutto con l’accompagnamento di strumenti musicali. Si creava un’atmosfera di eccitazione.

Paolo dirà che non è il caso di sottolineare queste cose proprio alla comunità di Corinto che ne era appassionata. Nel cap.14 della 1 Cor. troviamo le regole precise con cui Paolo dice a quella comunità che non deve assolutamente esagerare. Queste cose non sono utili per l’edificazione della Comunità, sono esagerazioni, perciò raccomanda: “se vuoi pregare in lingue fallo a casa tua, quando sei in comunità dì qualche parola, ma che tutti possano capire”.

Forse Luca fa riferimento anche a questo episodio.

Troviamo negli Atti degli Apostoli altri due racconti in cui si parla del dono dello Spirito. 1�Al cap.10 viene raccontato il dono dello Spirito fatto al pagano Cornelio e alla sua famiglia, e il successivo intervento di Pietro (Atti 10 e 11): [At 10,44] «Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi (ebrei), che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani (gli incirconcisi), si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio».

Che è sceso lo Spirito su quella gente lo hanno capito perché il gruppo di fedeli circoncisi glorificava Dio. È un fenomeno abbastanza simile a quello che era successo nella prima Pentecoste con il gruppo degli apostoli; qui , però, è successo con un gruppo di pagani.

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2�Un racconto simile lo troviamo al cap.19 ad Efeso. Paolo, dopo aver predicato ad un gruppo di persone, circa dodici uomini, impone loro le mani e Luca scrive: [At 19,6] «non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano». Quindi altro episodio molto simile all’evento della Pentecoste. Sembra chiaro che Luca abbia voluto ripetere almeno tre volte lo stesso episodio per sottolineare la continuità. Quando celebriamo la festa di Pentecoste non so se ripensiamo a queste cose. Eppure é quello che continua a ripetersi nelle nostre comunità. Se noi credessimo veramente al mistero quando celebriamo la nostra Pentecoste! Nel caso della prima Pentecoste c’è il riferimento ad altre lingue; quindi, piuttosto che il semplice fenomeno dell’entusiasmo, sembra di poter vedere un autentico prodigio di comunicazione.

Luca ha fuso insieme questi due riferimenti: il fenomeno liturgico dell’entusiasmo, della glorificazione di Dio, della preghiera, della professione della Chiesa, con l’episodio, di tradizione giudaica, delle voci che si dividono e di Dio che parla nelle lingue di tutti i popoli. Vuol fare riferimento a un fatto prodigioso che ha segnato l’inizio della comunità e lo racconta in un modo brillante facendo presentare l’evento dagli spettatori stessi.

A questo punto cosa avviene? Avviene la reazione stupita dei giudei cosmopoliti.

5-La reazione stupita dei giudei cosmopoliti

Siamo di fronte a un testo letterario, scritto da un letterato. Per dire che cosa è successo, ha messo in scena un discorso da parte degli spettatori e li presenta: «Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo».

Il verbo che qui Luca adopera non è il verbo del pellegrino, ma è il verbo di chi risiede. Noi diremmo: “avevano residenza in Gerusalemme in quei tempi, questi giudei che provenivano un po’ da tutte le parti del mondo”. Quindi dal punto di vista etnico e religioso sono tutti ebrei, ma dal punto di vista della provenienza civile, vengono da tutto il mondo; erano tutti ebrei ma di lingue e provenienze diverse.

L’episodio della Pentecoste non è l’annuncio ai pagani, ma solo agli Ebrei; però, il fatto prodigioso sta in questa molteplicità della comprensione, nonostante la diversità delle lingue.

Venuto quel fragore (quella voce), la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua: «Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore».

Poi al v.12 ripete la stessa idea: «Tutti erano stupiti e perplessi» (fa parte della narrativa greca sottolineare lo stupore).

Luca ripete diverse volte espressioni che mostrano gli abitanti come perplessi, stupiti, incapaci di

rispondere. Essi vedono un fenomeno che non rientra in quelli abituali, non capiscono che cosa vuol dire e, al v.12, l’autore fa porre loro proprio questa domanda: «chiedendosi l’un l’altro: Che significa questo?» Qual è il senso di questo episodio?

Ancora in bocca agli uditori stessi mette quest’altra serie di domande: «Costoro che parlano non sono

forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?». È chiaro che un discorso del genere non è realistico, perché in una folla uno non fa l’elenco delle

popolazioni. Pertanto è un modo letterario per presentare lo stupore, la domanda che anticipa la ricerca del senso.

L’elenco dei popoli di per sé non è stato composto da Luca. Gli esegeti sono abbastanza unanimi nel

dirlo, perché è un elenco un po’ disordinato, Luca è troppo preciso per aver composto questo testo, probabilmente circolava un elenco del genere e lui lo ha inserito come una citazione indiretta:

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«Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi» cioè un po’ tutte le parti del mondo, «eppure tutti li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio».

Le grandi opere di Dio, le meraviglie di Dio: è un’espressione abituale dei canti di celebrazione, le grandezze di Dio, annunciare le grandezze di Dio vuol dire celebrare il Signore.

Pensiamo al cantico di Maria nel Vangelo: non inizia proprio con il Magnificat: “L’anima mia dice che il

Signore è grande”, e gli apostoli all’inizio fanno la stessa cosa: dicono le grandezze di Dio. Maria ricolma di Spirito Santo dice: “Dio è grande”; gli apostoli ricolmi di Spirito dicono: “Dio è grande”.

L’insieme viene presentato come una celebrazione liturgica dell’opera storica di Dio. Ecco Luca ritorna ancora a sottolineare lo stupore, la perplessità e, finalmente, può raccontare la risposta di Pietro, quando l’apostolo spiega qual è il senso dell’evento. 6-Il senso dell’evento di Pentecoste

Ci fermiamo ancora un momento sul senso dell’ evento di Pentecoste perché è troppo importante per la nostra vita, anche oggi.

Proviamo a riassumere quello che abbiamo finora detto: Luca presenta il dono dello Spirito Santo come la nuova legge. Dobbiamo dire che l’unica legge del N.T. è lo Spirito Santo, come la nuova Alleanza, come il dono del cuore nuovo. Nella Pentecoste viene cambiato il senso della festa ebraica. La Pentecoste cristiana si presenta, dunque, come la festa della nuova Alleanza, della trasformazione del cuore. Questa nuova festa riguarda tutte le nazioni che sono sotto il cielo. Non è più la festa esclusiva di un popolo privilegiato, ma il gruppo che riceve lo Spirito viene abilitato a parlare le lingue di tutti i popoli. Mentre la tradizione giudaica festeggiava un privilegio unico, la sottolineatura del racconto di Luca mostra il dono per una molteplicità, quindi non più per una esclusione, ma per una apertura. La nota della universalità è importantissima, anche se è solo accennata. L’altro elemento importante è il miracolo delle lingue, cioè la possibilità della Chiesa di esprimersi nelle lingue di tutti i popoli. Un grande esegeta, Jacques Dupont, in un articolo fondamentale da cui ha derivato idee qui presentate, cosa scrive? “Al mattino della Pentecoste l’universalità della Chiesa trova la sua concreta espressione nel dono concesso agli apostoli di parlare in altre lingue, nel linguaggio particolare di ciascuno dei popoli ai quali dovranno portare la loro testimonianza”.

Leggende rabbiniche immaginavano che un prodigio analogo si era verificato al Sinai, ma esse non potevano negare il fatto che la legge giungeva agli uomini mediante un rivestimento ebraico. La lingua ebraica, la lingua da rivelazione diventava come una lingua sacra e, di fatto, gli ebrei non accettano come libri canonici quelli che non sono scritti in ebraico,ad es quelli scritti in greco, anche se fanno parte dell’A.T.0 Dio può parlare solo in ebraico per gli Ebrei.

La Chiesa, invece, non sarà legata ad una lingua: né all’ebraico biblico, né all’aramaico parlato da Gesù e

dai primi apostoli, né al greco del N.T. Lo Spirito dona agli apostoli e per essi alla Chiesa, la lingua e la cultura di tutti i popoli. L’economia dello Spirito non accetta più la supremazia di una lingua o di una cultura sulle altre. La nuova Alleanza nello Spirito assume tutte le culture.

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Anche noi cattolici abbiamo stabilito che il latino sia la lingua ufficiale, quella opportuna per parlare di Dio, ma dalla Pentecoste questo non dovrebbe più essere.

Luca voleva dire questo? Come dal NT in poi non sarà più necessario farsi giudeo per godere dei privilegi dell’Alleanza, così non

sarà più necessario adottare la lingua o le usanze di un popolo piuttosto che di un altro. Sarà sufficiente accogliere ciò che dice lo Spirito e seguire i suoi suggerimenti, in qualunque lingua, a qualunque popolo si appartenga.

Ed è un’idea fondamentale dell’apertura della Chiesa. E anche se poi la tradizione cristiana è ricaduta in questo errore: come noi occidentali siamo ricaduti nel latino come lingua sacra, gli orientali sono caduti nel greco classico, nel paleoslavo, nel copto antico, nel siriaco religioso, e così via. Tutti i cristiani sono ricaduti nel vecchio schema.

Lo Spirito libera da questo schema e da tutti gli schemi. Sembra strano, ma in un famoso discorso, lo stesso Pio XII, nel ’55, prima ancora del Vaticano II, così

scriveva: “La Chiesa Cattolica non si identifica con nessuna cultura, la sua stessa essenza glielo impedisce, tuttavia essa è pronta a intrattenere rapporti con tutte le culture”.

Sembra incredibile, ma Pio XII scriveva queste parole nel ’55. Mi pare un’idea molto importante: non c’è una cultura cristiana, il messaggio cristiano è aperto per

tutte le culture. Nel racconto della Pentecoste, sostanzialmente l’evangelista Luca ha voluto dire proprio questo: [Al v.12] «Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: Che significa questo?».

Quindi alla domanda dei presenti ‘cosa significa questo episodio strano’, risponde Pietro con un

discorso, che va dal v.14 al v. 36. È il primo discorso missionario fatto ai giudei proprio a Pentecoste. Accenniamo al problema letterario.

Luca fa parte della seconda - terza generazione cristiana, ed è vissuto un po’ all’ombra di Paolo. A Pentecoste non era presente, non ha ascoltato, per cui presenta alcuni discorsi come modello della predicazione apostolica. Sono discorsi tipo, dove sintetizza il messaggio fondamentale della primitiva comunità apostolica. Sono discorsi scritti letterariamente da Luca, ma il contenuto corrisponde a quello della prima predicazione.

A noi l’ispirazione garantisce, in quanto credenti, che questo testo corrisponde alla primitiva

predicazione. Infatti gli Atti degli Apostoli è un testo riconosciuto canonico, cioè ispirato. 7-Il primo discorso di Pietro

Il discorso di Pietro che si articola in tre grandi parti. Ci sono degli indizi letterari che sottolineano queste tre divisioni del discorso e sono tre vocativi. [al v.14] inizia «Uomini di Giudea», siamo al mondo giudaico; [al v.22] «Uomini d’Israele», incomincia ad allargare il discorso; [al v.29] conclude « Uomini Fratelli », qui il traduttore ha omesso Uomini ma nel greco c’è, quindi è bene conservarlo. Notiamo l’allargamento: -all’inizio sono uomini di Giudea, una della dodici tribù; -poi sono uomini d’Israele, cioè sono già le dodici tribù, quindi un ampliamento; -alla fine sono uomini Fratelli: è l’allargamento totale.

La prima parte è incentrata sull’A.T. L’idea che vuole comunicare l’apostolo è questa: “stiamo vivendo il compimento delle profezie dei nostri profeti antichi”. Ecco perché si rivolge ai giudei. [al v.13] «Altri invece li deridevano e dicevano: Si sono ubriacati di mosto».

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L’apostolo spiega: «Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino» (ecco perché non è il compimento del giorno della Pentecoste ma era all’inizio della giornata, cioè le nove del mattino). «Qui (dice Pietro), sta accadendo quello che predisse il profeta Gioele».

È un processo teologico, molto importante, usato dagli studiosi giudei. Pietro dice: noi stiamo vivendo quello che Gioele molti secoli fa aveva previsto, ricordate quel testo profetico? E lo cita per esteso [Gl 3,1-5]: Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve In quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno. Farò prodigi in alto nel cielo E segni in basso sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore, giorno grande e splendido. Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.

Questo testo antico, dice l’apostolo, si realizza adesso, nel giorno della Pentecoste; adesso accade quello che fu predetto.

La comunità antica legge la propria storia come il compimento delle profezie. Non solo a proposito di

Gesù si realizza ciò che era stato detto, ma anche a proposito della Chiesa, perché la Chiesa rientra nel progetto di Dio.

Pietro dice: voi avete assistito ad un segno a un prodigio, avete assistito a una manifestazione dello

Spirito. Gioele aveva predetto proprio quello che questa mattina è successo. Voi siete i primi testimoni, voi vivete il compimento di una profezia. Ma allora questi sono gli ultimi giorni, quelli definitivi? Se il profeta diceva che allora «chi invocherà il nome del Signore sarà salvato», adesso chi invoca il nome del Signore può essere salvo, e il nome del Signore è Gesù!

Pietro nella prima parte della sua omelia, del suo discorso, vuol creare l’aggancio con le antiche Scritture, che si realizzano adesso.

Poi inizia la seconda parte: «Uomini di Israele, ascoltate queste parole» Il vocativo è un elemento retorico per segnare il passaggio ad una parte successiva, qui vuol attirare

l’attenzione dell’uditorio. Questa seconda parte è tutta concentrata sulla figura del Gesù storico. Abbiamo un Vangelo in miniatura, c’è la sintesi dell’annuncio evangelico.

«Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte».

Qui c’è veramente il cherigma, il primo annuncio del mistero pasquale. Luca (Pietro diciamo) ha raccontato gli elementi essenziali della vita pubblica di Gesù con i miracoli, i

prodigi, i segni, la consegna, la crocifissione, la morte, la risurrezione. Notiamo anche l’inciso: Luca sottolinea che non è stato per caso, ma che esiste un progetto «secondo il

prestabilito disegno e la prescienza di Dio». Dio lo sapeva in partenza, Dio lo aveva stabilito. Voi lo avete ucciso, ma non è un’iniziativa vostra. Voi siete colpevoli di quello che è avvenuto, però questo fatto rientra nel progetto di Dio: «Dio lo ha risuscitato, non era possibile che questa (la morte) lo tenesse in suo potere».

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Ecco di nuovo il ragionamento della necessità: c’è un progetto di Dio, antico, che si sta realizzando. Ed ecco riportata un’altra citazione dell’ A.T.: Davide in un Salmo dice: Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; poiché egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua; ed anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai l’anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza [è il Sal 15]

Cioè l’apostolo sta interpretando questo Salmo, e si domanda: Davide questa frase la dice per sé? Certamente no! non poteva dirla per sé, perché Davide è morto, è stato sepolto e la sua tomba è fra di noi.

Ancora oggi, andando a Gerusalemme, si può visitare la tomba di Davide nell’edificio vicino al Cenacolo.

Il Cenacolo è una grande sinagoga di proprietà ebraica, ed è chiamata ancora la tomba di Davide. Quindi Pietro su quella piazzetta può indicare con la mano il monumento antico che contiene la tomba di Davide.

Dice (Pietro): Davide mille anni fa ha detto“non lascerai che il tuo Santo veda la corruzione”, invece lui è

morto, è stato sepolto ed è ancora lì, quindi ha visto la corruzione, questo significa che Davide non parlava di sé ma parlava di qualcun altro, chi è quest’un altro? È Gesù! Dio aveva ispirato molti secoli fa a Davide quelle parole perché prevedeva la morte di Gesù e ne prevedeva la resurrezione. Cioè rientra tutto nel progetto di Dio.

Quando Gesù incontra i discepoli di Emmaus cosa dice? «E cominciando da Mosè, dai profeti e i Salmi,

spiegò loro ciò che lo riguardava in tutte le Scritture»; ecco qui c’è una interpretazione, una lettura di questo Salmo che fa Pietro, profeticamente: la profezia che si è realizzata proprio con Gesù. Tutto rientra in questo progetto di Dio.

E poi c’è la terza ondata del discorso in cui ormai Pietro tira le conclusioni: « Uomini Fratelli »,

[al v.29] : «mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e la sua tomba è ancora oggi fra noi. Poiché però era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò (di nuovo l’insistenza sull’A.T.): questi (Gesù) non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide corruzione. [al v.32] Questo Gesù Dio l’ha risuscitato (quindi l’insistenza proprio sull’evento storico del Gesù morto e risorto) e noi tutti ne siamo testimoni». Quindi terzo elemento, poi qui, la vita della Chiesa.

Il discorso di Pietro a Pentecoste è stato studiato da Luca in modo perfetto secondo i tre tempi della storia della salvezza: ~ la prima parte è la profezia antica, la preparazione; ~ la seconda parte è il compimento nella pienezza dei tempi con il mistero pasquale di Gesù; ~ la terza parte è la conseguenza: la vita della Chiesa, la testimonianza apostolica. E il v.33 mostra il senso di tutto questo: «Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, (Gesù) lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

Pietro dice a quei giudei: l’episodio che avete visto è la prova che noi abbiamo ricevuto lo Spirito; se noi abbiamo ricevuto lo Spirito è chiaro che qualcuno ce l’ha dato, e l’unico che poteva dare questo Spirito di Dio era Gesù che è stato intronizzato alla destra di Dio; lui stesso ha ricevuto da Dio questo Spirito. Cioè è stato risuscitato, ha avuto la vita di Dio; avendola avuta ce l’ha trasmessa. Ce l’aveva promesso e adesso si è realizzato.

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Ultima citazione del Salmo 109: Oracolo del Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi.

Pietro dice: questo versetto non si attribuisce a Davide, ma si attribuisce al Cristo Risorto, è il Signore Dio che ha detto a Gesù Signore “siedi alla mia destra”, cioè lo ha accolto nella gloria.

Ed ecco la conclusione solenne o kerigma . v.36:

«Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!». Questo è il contenuto più sacro della predicazione antica. Notiamo i termini che sono molto importanti: * Gesù è il nome dell’uomo, * Signore e Cristo sono i titoli funzionali, messianici: Cristo dice il compito del Messia, Signore è la sua qualità divina.

Dio ha costituito Signore e Cristo quell’uomo concreto, quel Rabbì che veniva da Nazaret, che voi concretamente qualche giorno fa avete appeso ad una croce. Adesso quell’uomo è il Kyrios, è Dio stesso, nella stessa gloria di Dio ed è il Cristo (Messia), è colui che ha in mano la storia di Israele e del mondo intero. Capite l’importanza di questo v.36? «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio (il Padre) ha costituito Signore (il Risorto) e Cristo (il Messia) quel Gesù (quel pover’uomo che veniva da Nazaret) che voi avete crocifisso!». Quindi sono termini che sono molto, molto importanti, perciò vanno analizzati. 8-L’effetto del discorso E qual è l’effetto del discorso? Che cosa fa lo Spirito? Rende l’apostolo capace di parlare di Gesù.

Avendo ricevuto lo Spirito di Gesù, Pietro con gli altri undici continua la predicazione di Gesù e fa capire chi è Gesù, qual è il senso della sua missione. Gli ultimi versetti ci presentano la reazione. Infatti i giudei presenti: [al v.37] «All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». Quindi al vocativo ‘fratelli’, rispondono con l’altro vocativo ‘fratelli’. Pietro risponde: “cambiate mentalità. È più forte di pentitevi, perchè non basta pentirsi. Cambiate mentalità: cambiate modo di pensare, poi fatevi battezzare «ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo». È una scelta della singola persona quello di farsi immergere nel nome di Gesù per la remissione dei peccati, per ricevere il dono dello Spirito Santo.

Dovremmo rivalutare il nostro Battesimo, poiché nel Battesimo ci hanno messo dentro una scintilla di Dio, lo Spirito Santo, che però va fatta crescere, maturare, sviluppare con la consapevolezza che ci viene dalla lettura delle Scritture.

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Quindi ricordiamo che nella prima ondata del discorso Pietro aveva citato il profeta Gioele dicendo: “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”; ora il Signore è Gesù! Volete essere salvati? Dovete essere immersi nel suo nome. Adesso è possibile. Ci sono tuttavia delle condizioni: cambiare mentalità, rendervi conto che per avere la salvezza dovete essere immersi nel nome di Gesù, nella sua persona, entrare in stretto rapporto con lui.

Qui si capisce l’insistenza sulla lectio divina, sulla preghiera. Stiamo leggendo in questi giorni la lettera ai Filippesi, famoso cap.3, quando Paolo dice: «la mia

osservanza l’ho buttata via, è spazzatura per la conoscenza del mio Signore». In genere Paolo dice ‹il nostro Signore›, lì in quel passo dice ‹il mio Signore›. Perché? Perché prima di diventare ‹il nostro Signore›, deve diventare ‹il mio Signore›. Paolo l’ha sperimentato personalmente.

Continua Pietro: “ per voi infatti è la promessa (ancora una volta ritorna la parola ‘promessa’) che si è

compiuta; adesso questa promessa è una realtà, è per voi giudei, è per i vostri figli , ma Pietro aggiunge [al v.39]: «é per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».

È una frase chiaramente di Luca, messa all’inizio, dopo che sa già l’esito della storia. La promessa non è

solo per voi, ma se il Signore ne chiamerà degli altri lontani, è anche per loro, è per tutti. Quindi il libro degli Atti ci racconterà come questa promessa, lo Spirito, non si ferma ad un gruppetto,

ma è destinata al mondo intero. Gesù stesso l’aveva già detto. «Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila

persone».

Anche questo versetto è un sommario, uno dei primi ritornelli della crescita. La crescita iniziale subisce subito un grande avanzamento, tremila persone in un colpo. Non sappiamo fino a che punto questi numeri debbano essere presi alla lettera. Luca vuole indicare un grande salto di quantità. La Parola cresceva, cioè l’evento dello Spirito cambia gli apostoli, fa cambiare mentalità ad una grande folla di persone.

Noi ci chiediamo: fino a che punto la nostra mentalità a contatto con le Scritture è cambiata? L’opera del Cristo continua, anche se il Cristo è assunto in cielo, perché c’è il suo Spirito e, attraverso il suo Spirito, Gesù continua la sua opera negli apostoli.

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MEDITAZIONE ≈ II PARTE

Con l’effusione dello Spirito incomincia l’ultima fase della Storia della Salvezza prima della parusia o ritorno del Signore.

Non è un inizio assoluto, indipendente, cioè, dal tempo di Gesù, perché la figura escatologica, ultima, primaria, è proprio Gesù di Nazaret, sul quale discende lo Spirito, che gli consente di aprire il tempo definitivo della salvezza, che non termina con lui, ma continua nella Chiesa.

In altri termini, il tempo del compimento si articola in due fasi distinte (è un po’ il titolo che abbiamo

dato al corso di quest’anno) : -il tempo di Gesù, nella cui persona e vita storica si realizzano in modo definitivo le promesse dell’A.T.; -il tempo della Chiesa, nel quale lo stesso Gesù, diventato per la sua Resurrezione Signore della storia, continua per mezzo dello Spirito la sua attività salvifica, allargata ad una prospettiva universalistica.

Quindi il tempo della Chiesa è in continuità con il tempo di Gesù. Ecco perché la Chiesa dovrebbe assomigliare sempre di più a Gesù. È il tempo della signoria di Cristo esercitata per mezzo dello Spirito. 1-La relazione tra Gesù e lo Spirito Santo

Secondo Luca la relazione tra Gesù e lo Spirito è unica e irripetibile; non ha precedenti nel tempo di Israele, né può essere imitata nel tempo della Chiesa.

Lo Spirito in Gesù non è una presenza temporanea ma è permanente - ricordate la profezia quando si

presenta nella sinagoga di Nazaret: «lo Spirito del Signore è su di me» . Non agisce su di Lui in momenti particolari, ma è una realtà continua. Lo Spirito è a disposizione di Gesù, che si serve dello Spirito per svolgere il suo ministero; non è Gesù subordinato allo Spirito, ma è lo Spirito in funzione di Gesù. È il Signore dello Spirito. Agisce come soggetto attivo di un’ opera compiuta proprio nel possesso pieno e permanente dello Spirito (Lc 4). Lo Spirito non è una realtà esterna a Gesù, ma é legata alla sua condizione di Figlio. Generato per intervento dello Spirito, Gesù è il Figlio dell’Altissimo, in possesso pieno e permanente dello Spirito. Gesù manifesta e realizza nella sua persona, nella sua attività profetica, proprio la venuta dell’Anno di Grazia. Nella potenza dello Spirito, vince la potenza del maligno. Perché portatore dello Spirito, Gesù può comunicarlo anche ai discepoli. Anche la Chiesa vive della presenza permanente dello Spirito, dono che riceve dal Signore Risorto. La signoria di Cristo sullo Spirito, già presente nel Vangelo di Luca, è affermata di nuovo dall’autore degli Atti nella narrazione della Pentecoste, al v. 33. In questo versetto: Glorificazione di Gesù ed effusione dello Spirito appaiono come due aspetti intimamente associati del mistero pasquale, cioè lo Spirito Santo, comunicato agli apostoli in forma visiva e uditiva, è un dono di Cristo Risorto che, esaltato da Dio, riceve dal Padre quello Spirito che poi effonde sugli apostoli e su tutti i credenti.

Solo dopo essere stato esaltato alla destra di Dio, il Risorto può effondere sulla comunità cristiana quella forza dall’alto che aveva promesso. Anche dopo la Resurrezione Gesù promette lo Spirito, ma non lo può comunicare, perché secondo la teologia di Luca è ancora sulla terra. Solo dopo essere salito al cielo può effondere lo Spirito che riceve dal Padre.

È lo Spirito Santo che anima la vita della Chiesa. É dunque lo stesso Spirito di Gesù. Se la Chiesa è una comunità di salvezza, lo è non indipendentemente da Cristo e dal suo Spirito, ma solo nella misura in cui è sottomessa all’uno e all’altro.

Dovremmo richiamarcelo sempre, ricordarcelo sempre.

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2-Lo Spirito Santo, nuova legge del cristiano

Secondo Atti 1, il compimento della promessa del Risorto, cioè il battesimo nello Spirito Santo, avviene nel giorno della festa giudaica della Pentecoste. Tale precisazione, di carattere cronologico, è subordinata alla preoccupazione teologica di Luca di stabilire proprio un parallelo tra legge mosaica e lo Spirito Santo.

Il fatto che la descrizione lucana della Pentecoste abbia molteplici riferimenti con la narrazione della

teofania al Sinai (Es 19) significa che Luca ha voluto presentare proprio l’effusione dello Spirito a Pentecoste, in parallelo alla Pentecoste ebraica. Ma il dono dell’Alleanza sinaitica era la Legge,il dono dell’Alleanza cristiana è lo Spirito.

Come Mosè è salito sul monte e ha ricevuto da Dio la Legge che ha donato agli uomini, così Cristo,

esaltato alla destra di Dio, ha ricevuto dal Padre lo Spirito che ha effuso nella Chiesa. Come la Legge era principio di unità del popolo di Israele nato dopo l’esperienza del Sinai, così lo

Spirito è principio dell’unità del popolo cristiano nato dopo l’esperienza della Pentecoste. Dovremmo incominciare a percepire di più la presenza dello Spirito nella Chiesa e in ciascuno di noi.

La festa di Pentecoste è localizzata a Gerusalemme, con sfondo giudaico; il discorso di Pietro è sì rivolto a un pubblico formato da giudei, tuttavia il fenomeno delle lingue e il catalogo delle nazioni danno alla Pentecoste un’apertura (almeno simbolicamente) universale. Lo Spirito appare come principio di unità di una Chiesa dalle dimensioni universalistiche.

La divisione dei popoli, rappresentata dalle lingue diverse nell’episodio della Torre di Babele, cessa,

finisce per l’attività dell’unico Spirito che permette agli apostoli di esprimersi in tante lingue quanti sono i popoli rappresentati alla festa della Pentecoste.

Questo Spirito ha una funzione profetica. 3-Lo Spirito Santo e la sua funzione missionaria e profetica

Quando Luca scrive gli Atti degli Apostoli, il cristianesimo era già diffuso nel bacino del Mediterraneo. Il sorprendente sviluppo, che esso ha avuto nei primi cinquant’anni di vita, esigeva una spiegazione.

Per l’autore degli Atti non ci sono dubbi: l’anima di tutta l’azione missionaria della Chiesa è lo Spirito

Santo. Il successo missionario ottenuto dai predicatori del Vangelo deve essere attribuito alla forza dello Spirito. Il primo frutto dello Spirito disceso a Pentecoste è infatti l’annuncio missionario: «compiendosi il giorno della Pentecoste, tutti furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare come lo Spirito dava loro di esprimersi».

L’iniziativa e il contenuto dell’annuncio è opera dello Spirito e, l’affermazione del v. 4, ha un valore programmatico per tutto il libro degli Atti: in esso tutta l’azione missionaria della Chiesa, dall’Ascensione alla Parusia appare animata dallo stesso principio di azione: lo Spirito é presente: primo negli apostoli, poi in Stefano, Filippo, i primi diaconi e, infine, in Paolo e nei suoi collaboratori. Lui è la forza motrice, è l’indicatore di marcia della missione della Chiesa.

Nell’ambito della comunità di Gerusalemme, lo Spirito agisce nella persona di Pietro, degli altri apostoli,

ai quali dona non soltanto la capacità di comprendere, di proclamare, di testimoniare Gesù, Signore e Messia, ma infonde anche la forza, il coraggio, la parresia, la libertà di parlare per superare tutte le difficoltà che si oppongono all’annuncio.

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L’iniziale rottura tra il cristianesimo e il giudaismo viene operata da Stefano, ma è attribuita, almeno implicitamente, all’azione dello Spirito che dona a Stefano il coraggio e la sapienza di saper confondere i suoi avversari.

Anche in seguito, in tutti i momenti più decisivi per la storia della missione cristiana, quando Paolo inizia il suo lavoro missionario in Europa, lo Spirito Santo entra come indicatore di marcia nei piani di viaggio dell’apostolo.

I missionari e il campo di azione apostolica cambiano, ma l’anima della missione rimane sempre la

stessa: è lo Spirito Santo. A volte penso e mi domando: E noi da chi siamo mossi? Quale fuoco ci brucia dentro? Qui emerge veramente che lo Spirito Santo effuso a Pentecoste ha una funzione profetica «tutti furono

pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare come lo Spirito dava loro di esprimersi». Con questo stesso termine Luca introduce anche il discorso di Pietro. Luca aggiunge al v.18 il verbo ‹profeteranno›, per accentuare ancora maggiormente il carattere profetico dell’azione pentecostale dello Spirito.

Tale esperienza profetica della vita della Chiesa non è un fatto assolutamente nuovo, aveva già i suoi antecedenti al tempo di Israele, al tempo di Gesù, con le differenze corrispondenti ai diversi stadi della Storia della Salvezza. Al tempo di Israele lo Spirito svolge una funzione esclusivamente profetica: presente in Giovanni «fin dal seno di sua madre» e «profeta dell’Altissimo», per cui, nello spirito del profeta Elia, spiana la strada al Messia.

Lo Spirito (da ricordare i “Vangeli dell’Infanzia” in Luca) ispira Elisabetta a confessare la grandezza di

Maria: «Beata te che hai creduto»; suggerisce a Zaccaria di benedire il Dio di Israele fedele alle sue promesse e a profetizzare la futura missione del Battista. Ispira anche Simeone a profetizzare la futura opera di Gesù.

Quindi l’irruzione dello Spirito profetico (cap. 1 e 2 di Luca) ha una certa analogia con l’effusione dello Spirito a Pentecoste.

Bisognerebbe fare un parallelismo fra i primi due capitoli del Vangelo (i Vangeli dell’Infanzia, dove c’è l’annunciazione a Zaccaria, a Maria, a Simone ed Anna), e gli Atti degli Apostoli: è presente l’analogia dell’effusione dello Spirito a Pentecoste come un fatto fondamentalmente profetico.

Ma tra la duplice effusione dello Spirito profetico c’è una differenza: mentre nella storia dell’infanzia di

Giovanni e di Gesù alcuni personaggi come Zaccaria, Elisabetta e Simeone sono profeti, nel libro degli Atti -benché il titolo di profeta sia attribuito soltanto ad alcune persone guida della comunità - è detto che: ‘ogni cristiano può profetare’; ormai lo Spirito Santo non è più appannaggio di qualcuno, ma ha invaso tutta la Chiesa.

Come Gesù anche la Chiesa vive della presenza permanente dello Spirito. Si tratta di un dono che riceve dal suo Signore Risorto. Lo Spirito profetico comunicato agli apostoli permette loro di annunciare le grandi opere di Dio.

La dimensione profetica dello Spirito effuso a Pentecoste appare soprattutto nel discorso di Pietro. È soltanto il secondo dei ventiquattro discorsi che troveremo negli Atti, il secondo degli otto discorsi di Pietro e il primo dei sei discorsi missionari degli Atti.

Il discorso di Pietro intende anzitutto interpretare un dato di esperienza, proprio alla luce della fede. Il contenuto centrale ha per oggetto il Cristo.

Di Gesù, Pietro menziona il ministero pubblico, la morte, la resurrezione, la glorificazione: l’aspetto più sviluppato è quello della resurrezione e glorificazione; poi quello della sua vita pubblica e, infine, l’accenno alla sua morte. Morte e resurrezione sono evocate assieme, in modo tale, però, che l’accento del discorso cada sulla resurrezione.

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In altri termini Pietro fa una lettura profetica della storia e scorge in essa una Epifania di Dio che, mentre supera il carattere fenomenico negli eventi, dona ad essi il loro significato più profondo. Potremmo dire che tutta la dinamica del discorso tende a porre gli uditori di fronte ad una consapevolezza: quel Gesù che essi hanno ucciso, Dio l’ha costituito Signore e Messia.

Cosa dire? Israele deve decidersi! (anche Pietro era un giudeo).

Non si tratta di comprendere intellettualmente una verità di fede, ma di decidersi esistenzialmente sulle conseguenze concrete contenute nella dichiarazione finale del discorso di Pietro.

Il discorso di Pietro suona come un messaggio di speranza per tutta l’umanità che ha la possibilità di fruire della salvezza attraverso l’adesione di fede a Cristo Signore, ma soprattutto segna una svolta decisiva nella storia del popolo di Israele.

Luca ha inquadrato l’evento della Pentecoste e il discorso di Pietro in uno scenario di folla immensa: soltanto i convertiti erano circa tremila persone. Alla effusione dello Spirito e alla predica di Pietro hanno assistito tutti i giudei che abitavano a Gerusalemme «uomini devoti di ogni nazione che è sotto il cielo», quindi una folla sterminata di gente appartenente a tutto il mondo giudaico: giudei e proseliti, abitanti di Gerusalemme e venuti dalla diaspora.

Ecco perché c’erano lingue diverse. Questa scenografia così imponente ha un preciso significato teologico: la testimonianza di Pietro deve

interpellare tutto Israele. Per essa, infatti, incomincia un’ora decisiva della sua storia. Sin dal primo momento della missione cristiana, Luca segnala il coinvolgimento totale del popolo di

Israele all’annuncio cristiano, e i risultati sono positivi: circa tremila persone si convertono e il numero crescerà sempre di più.

La Chiesa è per Luca non una realtà statica, ma una realtà dinamica, che è presente e costituita sin dal

primo momento della missione cristiana. 4-Come nasce la prima comunità cristiana Le prime conseguenze: come si strutturano le prime comunità cristiane. Ai vv. 37-41 è possibile individuare il processo genetico del primo gruppo dei neoconvertiti. Come nasce una comunità cristiana? Ci sono sei momenti. 5-I sei momenti a) Annuncio della Parola; b) Ascolto; c) Nascita della fede; d) Conversione; e) Battesimo f) Aggregazione a) Il primo è dato dall’annuncio della Parola. Potremmo dire, secondo i vv. 14-40, che la morte e la resurrezione di Cristo rientrano nel disegno salvifico di Dio. E questo va annunciato come salvezza. L’annuncio della Parola é un’attività essenziale della vita della Chiesa, anzi, sembra essere l’unica attività che riempia tutto il suo tempo.

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L’autore degli Atti qualifica il discorso di Pietro come cherigma, come testimonianza; per Luca l’annuncio della Parola è un evento salvifico, non solo in senso oggettivo, in quanto proclama che la salvezza è apparsa in modo definitivo nella persona di Gesù (2,21), ma in senso dinamico, in quanto annuncia la via della salvezza.

In questo senso la predicazione cristiana diventa la testimonianza della resurrezione del Signore, in

quanto indica che l’evento e la situazione salvifica creata da Cristo si perpetuano nella predicazione. L’opera redentiva da Lui compiuta resterebbe inefficace se essa, nel corso della storia, non divenisse l’annuncio del Signore, ossia l’ attività profetica che Cristo glorioso continua ad esercitare per mezzo dei ministri della Parola, con la quale interpella costantemente gli uomini. Il primo elemento da sottolineare, quindi, è l’annuncio della Parola. Guai se non ci fosse nelle nostre liturgie! b) Il secondo momento è dato dall’ascolto. Al v.37: «All’udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore». All’udire tutto questo; se non si annuncia, non c’è nemmeno l’ascolto.

Quindi il secondo momento è dato dall’ascolto. Con questa parola Luca intende un processo, anche psicologico, che accuratamente descrive nella parabola del ‹Seme› (cap. 8 di Luca): la Parola è un seme che cade in vari terreni; ciò è possibile coglierlo anche in At cap. 2.

È interessante anzitutto constatare che l’annuncio della Parola non è fatto sulla testa degli uditori, ma

essi sono frequentemente coinvolti e direttamente interpellati da essa (cap. 2). Al discorso di Pietro: -gli uditori prestano questa benevola attenzione: all’udire tutto questo, -sono intensamente toccati: si sentirono trafiggere il cuore, -manifestano un’effettiva disponibilità alla conversione : che cosa dobbiamo fare?

Ecco perché dopo l’annuncio ci deve essere l’ascolto: un ascolto non superficiale. Vorrei che le cose che stiamo dicendo e che sono fondate su questa Parola, toccassero anche il nostro cuore e anche noi dicessimo: adesso che cosa dobbiamo fare? c) Il terzo momento è dato dalla fede.

Gli ascoltatori del discorso di Pietro incominciarono a credere. Secondo Luca la fede non è una situazione religiosa statica, ma è un’esperienza dinamica che nasce, che cresce, che raggiunge la maturità. Può anche venir meno, come è successo purtroppo nel caso di Giuda, di Ananìa e Saffìra (cap. 5 degli Atti).

La fede implica non solo l’adesione intellettuale al cherigma, all’annuncio dell’apostolo, del missionario cristiano, ma anche l’accettazione pratica, concreta, delle condizioni poste. Quindi 3 sono i passaggi: l’annuncio della Parola, l’ascolto, la fede. Ma l’adesione di fede implica la conversione. d) Il quarto momento è dato dalla conversione. Tu ci credi? Credi nelle cose che hai capito? La tua vita cambia. Convertitevi: cambiate mentalità! L’adesione di fede implica anche la conversione che è la quarta tappa di questa iniziazione cristiana.

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In tutto il libro degli Atti la conversione a Cristo implica la consapevolezza di aver peccato e la volontà decisa di abbandonare le opere sbagliate per iniziare un orientamento positivo verso Dio. La conversione non è un affare di un istante: comporta un lungo cammino fatto anche di sofferenza, ma vissuto nella fedeltà e perseveranza.

Nel testo della Pentecoste la conversione è espressa proprio col verbo ‹pentitevi›, che abbiamo

sottolineato: cambiate mente, cambiate direzione di vita. Quindi da una parte sottolinea la consapevolezza di aver sbagliato strada, dall’altra essere disposti ad

abbandonare tale strada, la condotta precedente. Dalla fede si arriva alla conversione e poi al Battesimo. e) Il quinto momento è dato dal Battesimo. Al v. 38: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare». In un contesto religioso come quello del N.T. , nel quale la prassi battesimale era largamente diffusa, Luca si preoccupa di indicare la natura specifica del battesimo cristiano, che non può essere confuso con lavacri di purificazione presenti nelle comunità di Qumran, perché è unico nella vita e presuppone sempre un ministro che conferisce al battezzando il battesimo.

Non può essere confuso col battesimo del Battista che aveva una funzione previa, preparatoria all’avvento imminente del Messia, perché il battesimo cristiano suppone il riconoscimento che il Messia atteso è Gesù di Nazaret, morto e risorto, e viene appunto dato dalla potenza salvifica legata al suo nome che produce la remissione dei peccati. Il battezzato è così aggregato alla Chiesa. f) Il sesto momento è dato dall’aggregazione.

Al v. 41: «coloro che accolsero la parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone» . É l’ultima tappa: l’aggregazione alla Chiesa.

È il punto terminale del processo di iniziazione cristiana nel quale Luca suppone un intervento attivo di Dio. È Lui che crea la comunità cristiana nel suo primo nucleo e negli sviluppi ulteriori che essa avrà nel futuro.

Le tappe sono molto semplici, dovrebbero veramente entrare in un cammino pedagogico di educazione alla fede: dall’annuncio, all’ascolto, alla fede, alla conversione, al battesimo e all’aggregazione alla comunità. Allora, parliamo di questa: “La vita dei neoconvertiti”. È l’ultima parte del nostro testo. 6-Vita dei neoconvertiti [Atti 2,42-47]: a) Insegnamento degli Apostoli; b) La frazione del pane; c) Le preghiere; d) Sentirsi comunità e condivisione dei beni.

La fede e il battesimo generano la comunità, generano la Chiesa.

Dopo il discorso di Pietro incontriamo il primo dei tre sommari, che sono presenti nella prima parte degli Atti, sulla vita della comunità cristiana di Gerusalemme. Questi così detti ‹sommari› hanno elementi tematici comuni: -il motivo della crescita della comunità, -il tema della messa in comune dei beni, -quello del favore del popolo.

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Il primo dato teologico da rilevare nella lettura globale di questa pericope di 2,42-47, è la considerazione che ‘il giorno della salvezza’ diventa storia, si concretizza, si storicizza. L’evento dell’effusione dello Spirito dà origine a un’esperienza pneumatica, spirituale, permanente di vita cristiana.

Luca vuol far capire che la Pentecoste diventa storia, e intende manifestare come l’irruzione della forza divina dello Spirito genera nei credenti una situazione permanente di vita nuova che, pur vissuta sulla terra, ha la sua sorgente nella potenza dello Spirito che viene dall’alto.

Non c’è dubbio che Luca, intenzionalmente, lascia sfociare la storia della Pentecoste nella descrizione

della vita dei neoconvertiti. Per lui la vita cristiana, con la perseveranza nell’insegnamento degli apostoli, nella koinonia (la comunione), nella frazione del pane, nella preghiera, nella gioia, nel fatto di sentirsi comunità, non può che essere il frutto dello Spirito.

Nell’opera lucana lo Spirito Santo non opera soltanto nell’azione di sfondamento all’esterno, ma anche

nel lavoro di consolidamento all’interno. Rileggiamo questi versetti: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere». Qui c’è veramente un tenersi fortemente agganciati con Spirito di verità e di perseveranza alla dottrina degli apostoli, alla koinonia, alla frazione del pane e alla preghiera.

Luca non intende descrivere soltanto degli aspetti della vita dei neoconvertiti, ma le componenti essenziali di tutta la vita cristiana.

Prima Luca ha presentato le varie fasi per arrivare all’aggregazione, alla comunità, adesso spiega cosa dobbiamo fare per mantenere viva questa comunità. La prima cosa è questa: a) l’ Insegnamento degli Apostoli.

Luca intende indicare tutto il contenuto della predicazione del Collegio Apostolico, dato sotto le diverse forme del servizio e della Parola: la catechesi, la testimonianza, la profezia.

Nella concezione lucana del ministero apostolico, la fedeltà e la perseveranza alla dottrina del Collegio

Apostolico garantiscono la continuità tra Gesù e la Chiesa del periodo post-apostolico. Ecco perché dice devono essere testimoni della resurrezione del Signore.

Anche Paolo dirà: anch’io ho visto il Signore a Damasco! Anche se non l’ha visto come l’hanno visto concretamente gli altri apostoli, tuttavia afferma che a Damasco ha visto il Signore.

Questa è l’importanza dell’insegnamento degli apostoli: mantenerci agganciati a loro. La koinonia, la comunione, include certo la messa in comune dei beni, la libera volontà di vendere gli

stessi per venire incontro ai bisogni dei fratelli più poveri. Quando si dice (in altro sommario) ‹nessuno di loro era bisognoso›, non si parla della povertà per la povertà, ma per la carità: in modo che nessuno sia bisognoso, in modo che nessuno muoia di fame.

Koinonia: indica soprattutto la comunione profonda dei credenti, cementata dal possesso del

medesimo Spirito, dell’identica fede, che si esprime a livello liturgico, spirituale e anche sociale. Quindi prima della condivisione dei beni c’è la condivisione delle esperienze, la fusione delle vite. b) La frazione del pane; anche questa è un’espressione tecnica della Chiesa primitiva, riportata negli scritti di Luca. Pensiamo al cap 24: Emmaus, con “frazione del pane” si fa allusione al memoriale della Cena del Signore.

Purtroppo il testo degli Atti non ci dice niente di preciso sulla modalità di questa celebrazione, se cioè veniva celebrata ogni giorno come potrebbe suggerire il v. 46: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane»; oppure al cap. 20 quando nel famoso discorso Paolo parla del giorno del Signore: sembra che in quella comunità la celebrazione avvenisse solo la domenica.

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Comunque l’Eucarestia veniva celebrata di sera, in un luogo appositamente scelto per la preghiera, con un’atmosfera di festa data dalle lampade accese (cap. 20). Più che insistere sui particolari, Luca sottolinea negli Atti il fatto stesso della frazione del pane in cui erano perseveranti i neoconvertiti, il clima di intensa gioia e di profonda comunione.

Questo clima dovrebbe animare anche le nostre Eucarestie: davvero c’é intensa gioia e profonda

comunione? Un altro aspetto: c) Le preghiere. Sono il quarto tratto caratteristico della vita della comunità cristiana, presenti in At 2,42.

Già al primo capitolo Luca aveva presentato il gruppo degli apostoli e dei discepoli come «perseveranti nella preghiera». C’era anche Maria assieme, in attesa dell’effusione dello Spirito Santo. Erano in comunione di preghiera prima di eleggere Mattia: tutta la comunità aveva rivolto al Signore Gesù una preghiera.

Qui al v. 46 si aggiunge che i neoconvertiti «erano ogni giorno concordemente perseveranti nel tempio».

Due aspetti sono dunque sottolineati da Luca: l’assiduità dei primi cristiani nella preghiera e la dimensione comunitaria della stessa (concordemente perseveranti).

Il termine ‹preghiere› è l’unico plurale (v. 42). È possibile, cioè, che l’autore degli Atti pensi non soltanto

al fatto della preghiera, ma anche ai diversi tempi di preghiera. Potremmo dire noi: la “Liturgia delle Ore”. Le preghiere già ai quei tempi potevano essere fatte al mattino, a mezzogiorno, a sera, o anche in altri

momenti della giornata, secondo i tempi della preghiera. Quindi le ‹preghiere› vorrebbero dire questo. In ogni caso Luca intende far rilevare ai lettori che il monito di Gesù di «pregare insistentemente» [Lc 18)

trova una conferma nella vita della comunità cristiana primitiva. Il tipo di preghiera menzionato esplicitamente nel sommario è «la lode verso Dio» (v. 47). In tutta l’opera lucana la preghiera non ha mai come oggetto la domanda dei beni materiali, bensì la

lode di Dio. d) Sentirsi comunità e condivisione dei beni. Un altro elemento caratteristico della vita dei neoconvertiti è il fatto di ‘sentirsi comunità’. Per due volte, dai vv. 42-47, Luca utilizza una sua formula caratteristica che indica, appunto, la dimensione comunitaria della vita cristiana, cioè ‘l’essere insieme’, soprattutto nella dimensione spirituale profonda.

Non c’è un solo momento nella storia del cristianesimo delle origini in cui la vita cristiana appaia come un’esperienza religiosa individuale: -i dodici come gruppo hanno preso coscienza della realtà del Risorto; -agli apostoli, uniti assieme ad altri discepoli, Gesù è apparso e ha dato un supplemento di istruzione sul Regno di Dio; -uniti insieme hanno atteso la venuta dello Spirito; -i convertiti alla loro predicazione hanno fatto insieme esperienza di vita cristiana.

Quindi è fondamentale il fatto del sentirsi uniti, del sentirsi comunità. Noi ci radichiamo qui. Potremmo dire: non solo le comunità religiose, il monachesimo nascono su questi testi degli Atti degli Apostoli (cap. 2), ma anche le nostre famiglie cristiane, che vivono momenti di comunione, devono trovare qui la loro ispirazione.

Un’espressione non secondaria della comunione fraterna fra i cristiani era il pasto comune:

«prendevano cibo in esultanza e semplicità di cuore». Praticamente la vita liturgica della comunità nella sua dimensione pubblica e privata, nei rapporti con

Dio e con il popolo, ha il suo perno anche nel pasto in comune fatto con esultanza e semplicità di cuore.

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Si tratta dunque di un sentimento, che unito alla gioia, è caratteristico dei tempi messianici. Il pasto in comune dei primi cristiani è il banchetto della comunità messianica che vive la salvezza nella gioia della presenza del Signore Risorto. La «semplicità di cuore» è un sentimento religioso che regola la vita dei credenti proprio in rapporto a Dio e tra di loro, e che implica una grande sincerità e generosità.

Paolo (1 Cor) rimprovera i Corinti perché non celebrano condividendo: “quella che voi celebrate non è un’Eucaristia perché chi arriva primo mangia tutto e per chi ritarda non c’è più niente. Voi non celebrate l’Eucaristia! Esaminate voi stessi:attenti a non mangiare la vostra condanna!”. Un ultimo aspetto. Il quadro della Chiesa alle origini che Luca ha dipinto nei vv. 42-47, esprime senz’altro una situazione reale della Chiesa primitiva. Se c’è stato un periodo della vita della Chiesa in cui l’azione dello Spirito è stata particolarmente forte, questo deve essere stato senz’altro il periodo dell’età apostolica. Luca ha utilizzato certamente tradizioni storiche preesistenti, tuttavia ha voluto tracciare anche un traguardo ideale per i cristiani della seconda generazione, cui egli e la sua comunità appartenevano, e per tutti i cristiani che sarebbero succeduti nella storia, sino alla parusia, sino al ritorno del Signore.

Infatti, questo quadro idilliaco della vita di comunione dei cristiani è in contrasto con quanto lo stesso libro degli Atti ci dice sulle tensioni che erano presenti nei primi trent’anni della vita della Chiesa.

Quando noi diciamo: «erano un cuor solo e un’anima sola», è vero per i primi cristiani ma deve valere anche per noi, però vediamolo sempre come un ideale cui mirare, perché anche tra di loro c’erano Ananìa e Saffìra che avevano venduto tutto, però si erano tenuti qualcosa per loro.

Luca, è un uomo della seconda generazione cristiana e scrive la sua opera quando l’età apostolica sta

per terminare e comincia l’epoca post-apostolica. Tale periodo è caratterizzato da una profonda incertezza nel campo dottrinale (basta leggere le lettere

di Paolo), Infatti in Atti 20, 29-31, nell’unico discorso rivolto ai cristiani, l’apostolo Paolo dice: “Io so che dopo la mia partenza si introdurranno in mezzo a voi temibili lupi, che non risparmieranno il gregge, e anche in mezzo a voi insorgeranno degli uomini che faranno discorsi perversi per trascinare dietro di loro dei discepoli. Perciò state vigilanti, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho mai cessato di ammonire con lacrime ciascuno di voi” .

In questa situazione si rende obbligatorio il ritorno alle origini, un richiamo all’autentica tradizione degli apostoli, la fedeltà all’insegnamento degli apostoli, alla frazione del pane, alle preghiere, al sentirsi comunità e alla condivisione dei beni. Luca scrive queste cose per dare ai cristiani del suo tempo la certezza del contenuto della fede. Egli vede nella adesione al comune e concorde insegnamento di tutto il Collegio Apostolico una garanzia sicura della fede cristiana. Gli apostoli, infatti, dal battesimo di Giovanni fino all’Ascensione sono sempre stati con Gesù, sono stati testimoni dei fatti pasquali, sono stati irrobustiti dalla forza dello Spirito, perciò la perseveranza nel loro insegnamento permette ai cristiani dell’età post-apostolica di entrare in comunione con l’autentico messaggio di Gesù.

Quindi anche noi non possiamo staccarci dai Vangeli, dalle lettere di Paolo: restiamo fedeli alla Parola di

Dio. Occorre restare fedeli all’insegnamento apostolico, che è la Tradizione La testimonianza degli apostoli garantisce e stabilisce una continuità tra Gesù e le successive

generazioni cristiane, supera la distanza cronologica che ci separa dall’evento Cristo, perché il Vangelo, attraverso la testimonianza degli apostoli, passa nel tempo della Chiesa e tutte le generazioni cristiane si trovano nella stessa situazione religiosa della comunità primitiva, attraverso la testimonianza degli Apostoli che hanno aderito al Cristo stesso e poi ci hanno lasciato i loro testi.