DAL Passato al presente in campo e in tavola · L’installazione di arari e le vere e proprie...
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DAL PASSATO AL PRESENTE IN CAMPO E IN TAVOLA
Alimentazione, pratiche e tradizioni in Oltrepò Pavese
CENNI STORICI
Il Medioevo inizia convenzionalmente nel 476 d. C.,
con la fine costituzionale dell’Impero Romano
d’Occidente.
Lo sciro Odoacre priva del trono Romolo Augustolo e
invia in Oriente le insegne imperiali.
Non è l’inizio dello sfascio di una civiltà, ma un
momento di un processo in atto già ai tempi di
Augusto, quando regioni sulla riva sinistra del Reno e
della Gallia erano state colonizzate da barbari.
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CENNI STORICI
La necessità di difendere confini tanto estesi aveva determinato l’ingresso di migliaia di barbari nell’esercito romano e il permesso di stanziamento all’interno dei confini imperiali.I barbari entrarono anche nell’amministrazione pubblica, lo stesso padre, Flavio Oreste, dell’ultimo imperatore romano dell’Occidente era barbaro di nascita.
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ECONOMIA
L’installazione di barbari e le vere e proprie invasioni
successive portarono non solo cambiamenti politici (regni
romano-barbarici, conquista longobarda, dominio franco e
passaggio dei territori del nord Italia all’Impero di
Germania) ma importanti conseguenze economiche:
la cessione, di solito, di un terzo dei terreni ai vincitori
la diminuzione della produzione agricola
la crisi annonaria
la decadenza di industria e commerci
la mancanza di sicurezza
la insostenibile pressione fiscale
la rarefazione della moneta.
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ECONOMIA
Nella rovina dell’amministrazione municipale, i capi
militari e i signori terrieri, spesso barbari, diventano i
nuovi centri di potere.
La legislazione non può fare nulla per impedire in
Occidente le tendenze feudali.
La società si semplifica, perde ogni mobilità e
l’economia muta le proprie caratteristiche,
diventando agro-silvo-pastorale.
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ECONOMIAL’agricoltura, decaduta nelle tecniche e ostacolate da incursioni e guerre, diventa di semplice sussistenza perché poco produttiva (i cereali ebbero un rendimento pari a 2,5/3 quintali per ettaro) e molti terreni si inselvatichiscono, lasciando spazi alle selve, alle paludi e ai pascoli, condizione aliena alla tradizione romana.
Al di fuori della campagna (agricoltura e
pastorizia), però, non c’è possibilità di
sopravvivenza per la popolazione che
per sottrarsi alle violenze, alla miseria e
alla rapacità fiscale finisce per
consegnare la propria libertà a un
signore o a darsi al brigantaggio. Anche
così fame e morte riducono
drasticamente il numero dei vivi.
In Europa, a seconda dei luoghi,
scomparve dal 30 al 50% della
popolazione.
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ECONOMIA
Nei possedimenti dei signori si
produce per l’autoconsumo, al più
barattando uova, pollame, ortaggi,
formaggio.
Il commercio- non essendoci eccedenze con cui essere effettuato si riduce al sale, alle spezie (per conservare e insaporire le carni) e a qualche manufatto per i signori.
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COSA SI MANGIACerealiGrano, farro monococco, farro spelta, segale, orzo, avena, miglio, panìco, sorgo
Legumi (originari del bacino mediterraneo)
Fagiolo (genere vigna-Il fagiolo dall'occhio o fagiolo con l'occhio o dolico dall'occhio nero),
cece, pisello, fava, soia, lupino, lenticchia , veccia
VerdureBrassica (con molte cultivar riferibili a cavolo, rapa, cavolfiore, colza ecc.),
Sinapis (senape), Raphanus (ravanello), Eruca (rucola), Cipolle, Agli, Porri,
Lattuga, Finocchi, Spinaci, Scalogni, Carote, Portulaca, prezzemolo, comino,
coriandolo, zafferano, zucche (diverse da quelle attuali arrivate dal sud
America) Cucurbita lagenaria.Utilizzati alla tavola dei poveri come piatto unico, a quella dei signori come contorni alle carni.
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Slow food Oltrepò Pavese 4/11/2019 9
Farro Monococcco
Farro Dicoccco
Farro Spelta
COSA SI MANGIAErbe selvatiche
• Borraggine• Malva selvatica• Tarassaco o Dente di cane• Landar• Ortica• Raperonzolo• Valeriana insalata• Tante altre
Definite anche piante alimurgiche
Incluse oggi in un progetto
(Sostenibilità che include), sostenuto
da Fondazione Cariplo che si pone
come obiettivo quello di realizzare un
distretto di economia solidale basato
sulla multifunzionalità dell’agricoltura
che riunisca aziende agricole, operatori
sociali, consumatori e soggetti fragili
per favorire l’inserimento lavorativo in
modo continuativo e stabile di questi
ultimi, tutelare l’agrobiodiversità del
territorio e incoraggiare pratiche di
consumo consapevole.
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PIANTE SPONTANEE
Malva selvaticaBorraggine
Tarassaco o dente di cane
Valeriana insalata
Raperonzolo
Cascellore o Landar
Ortica
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COSA SI MANGIA
Prodotti dei boschi: farina di ghiande, castagne e farina di castagne, frutta
selvatica, funghi
Pesci: luccio, barbo, lasca, anguilla
Poca carne allevata: pollame, suini, ovini
Prodotti dell’allevamento: latte, formaggio, lardo, strutto, uova
Frutta: mele, pere, fico, ecc..
Selvaggina proveniente dagli incolti
Miele: roba da nobili12
COSA SI MANGIA
La selvaggina è dei padroni dei boschi, cacciarla può comportare la
morte.
Gli animali da cortile vengono razziati.
Un’annata climatica sfavorevole determina immediate carestie e
quindi altra morte.
Le epidemie si diffondono con facilità su corpi indeboliti dalla
malnutrizione.
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COSA SI MANGIA
La presenza dei vincitori barbari
ridefinisce, per chi può, le
predilezioni alimentari, con una
nuova attenzione per selvaggina
e carne, che si impone come
valore superiore, perciò nelle
diete monastiche è sostituita nei
periodi di magro.
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COSA SI MANGIALa carne fondamentale è quella suina, anche
insaccata, tanto che le foreste sono misurate in
estensione per quanti maiali vi sono presenti; le
pecore sono allevate per la trasformazione del latte e
per la lana.
La cacciagione preferita dai nobili è di grossa
taglia. Cinghiali, cervi, bue selvatico (citato
per un banchetto in onore di Carlo Magno a
Pavia dopo la vittoria sui Longobardi), perché
richiamava battaglia e guerra.
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A Longobardi si deve la vera svolta con l’introduzione
di innovative tecniche di conservazione. In particolare,
a questo periodo si deve il passaggio dal cotto al crudo,
con una messa a punto dei sistemi di conservazione
della carne cruda.
COSA SI MANGIA
La polenta, il “puls” di farro in età romana,
continua a essere preparata con orzo, miglio,
panìco, sorgo, avena, segale.
Con tali cereali si fa il pane che solo ai ricchi è
concesso di frumento.
Il cereale più diffuso è il miglio.
Per il pane, la polenta e la minestra si
utilizzano anche legumi essiccati e macinati
(ceci, fave, fagioli, piselli) e castagne, a volte
anche ghiande.
Impasti di farine fritti in Olio o strutto
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MIGLIO
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PANÌCO
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COSA SI MANGIA
Dal panìco deriva il “panicium”, cioè la
panissa, nel genovese fatta con farina di ceci.
Simile alle future polente di mais.
Il panicium viene bollito con latte e lardo e
servito anche ai ricchi come
accompagnamento agli arrosti.
I sapori preferiti sono quello agro (aceto) e
salato (conservante delle carni).
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COSA SI MANGIA
Commercializzato dalla Liguria è il “garum” già
gradito ai Romani, una salsa di interiora di pesce
macerate in olio e sale, amato dai sovrani
longobardi e dal monastero di Bobbio; dalla
colatura di alici di Cetara, in Campania, al
machetto ligure, passando per la bagna cauda
piemontese, l'acciugata toscana e la salsa
veneta: ecco i lontani parenti di un piatto per il
quale i nostri antenati andavano matti
Alla corte di Teodorico è gradita la mescolanza
di miele e aceto (“Ossimele”) e di vino e garum
(“Enogaro”).
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I MONASTERI
Solo i monasteri nell’Alto Medioevo rappresentano oasi di relativa
civiltà. Dal V secolo si erano insediate le prime comunità di
monaci che, oltre alle pratiche di culto e preghiera, avrebbero
avuto importanza enorme nei secoli successivi nella salvaguardia
della cultura e nella pratica agricola, tutelata nei territori di loro
competenza e praticata con tecniche migliori.
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I MONASTERI
Entrare a far parte dei monaci divenne una sicura
garanzia di sopravvivenza e lavorare per loro un argine
alla morte per fame e all’insicurezza, perché i religiosi
promuovono nei loro possedimenti agricoltura,
allevamento e trasformazione di prodotti; nota è la loro
importanza determinante nella preservazione della
cultura.
In Oltrepò il monastero di Bobbio avrà numerose terre.
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MONASTERI
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Grazie al lavoro dei monaci si salvaguardano e si migliorano tecniche
agricole che rischiavano di scomparire:
• Coltivazione della vite e produzione del vino
• Apicoltura
• Orticoltura
• Rotazione
• Allevamento
• Produzione di formaggio
BASSO MEDIOEVODALL’ANNO 1000 AL 1492
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CENNI STORICI
L’anno Mille segna, per gli storici, il passaggio dall’Alto al Basso Medioevo. I popoli barbarici sono ormai stanziali e limitano, anche grazie alla conversione al Cristianesimo, la loro ferocia, l’agricoltura conosce profonde trasformazioni.
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ECONOMIA
Tante innovazioni:• aratro in ferro• il cavallo (più spedito dei bovini nel lavoro) è
dotato di bardatura a collare rigido, ferratura e attacco a tandem
• erpice e attrezzi in ferro anziché in legno• la rotazione agraria triennale• il mulino ad acqua.
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ECONOMIA
Mulino Pellegro di casanova Staffora Mulino di Cecima
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ECONOMIA
• Queste innovazioni risalgono a periodi anteriori, spesso a culture non latine, ma dopo il Mille si diffondono in modo marcato e rivoluzionario.
• L’agricoltura viene integrata dall’allevamento di razze selezionate via via in ragione della produttività o dell’energia.
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ECONOMIA
• Si determina un incremento della produttività, dunque un surplus che comincia a essere portato nelle città sedi vescovili per essere oggetto di scambio in mercati e fiere.
• La ripresa degli scambi stimola la rinascita dell’artigianato e la ripresa del commercio, sollecitando la rinascita della circolazione monetaria.
• Il collasso demografico si arresta e la popolazione comincia a crescere per la maggior quantità di cibo disponibile.
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ECONOMIAQuesto non impedisce che ci siano fluttuazioni incontrollabili dei raccolti, epidemie o carestie, come quella che colpì la Borgogna nel 1033, con numerosi episodi di cannibalismo, testimoniati dal monaco cluniacense Rodolfo il glabro
Le città riprendono vita, la società diventa più diversificata nelle classi, la cultura, preservata dagli ecclesiastici, rinasce e trova centri anche diversi da quelli religiosi.
I Comuni diventano realtà politiche di rilievo, insieme alle corti signorili.
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COSA SI MANGIA
• Il cibo diventa più disponibile.
• Si soffre ancora di denutrizione o di fame, ma l’alimentazione diventa meno precaria
e le tecniche di cucina meno elementari.
• Persiste un diaframma tra cibo popolare e quello dei ceti medio-alti, la povera gente
utilizza tecniche di cucina con cui i pochi vegetali e semi vengono trattati secondo
regole ormai diffuse in diversi territori.
• In ciò che si cucina e nel modo in cui si preparano i diversi piatti c’è sempre uno
scambio orizzontale tra città e territorio circostante e uno verticale tra ceti poveri e
alti (legati al gusto identitario dei territori).
• Del resto i cuochi a servizio dei ricchi portano traccia delle proprie radici insieme ai
nuovi sapori legati a prodotti che si possono trovare in città, provenienti da luoghi
lontani.
• Le ricette si legano saldamente alla famiglia, al casato, alla corte, al convento.
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COSA SI MANGIA
• Non solo pane, polenta, vegetali e carne, comincia a diffondersi
• la pasta, la “lagana” dei Romani (oggi lasagna).
• Nel Medio Evo prende varie forme ed è anche ripiena, fritta o bollita in acqua e in
brodo.
• In area padana prevale l’uso della pasta fresca , bollita a lungo, scotta e condita con
lardo tritato, formaggio e spezie pestate; mangiata da sola dal popolo e dalla piccola
borghesia, solo contorno per corti aristocratiche e addolcita a volte con zucchero e
cannella. Ricordo la «pestà»: lardo pestato con erbe aromatiche, ancor oggi usato come
condimento o da spalmare sul pane.
• Solo in età moderna sarà condita con salsa al pomodoro o con sughi di carne e dal
secolo XV il burro prenderà il posto del lardo.
• L’olio ha piccole aree di produzione in Oltrepò ed è usato nei periodi di magro.
• Gli è preferito il lardo e in seguito il burro.
• Il formaggio è di pecora , ma con la maggiore introduzione dell’allevamento vaccino gli
si affianca una tipologia a pasta dura, il Cacio parmigiano, citato a metà ‘400.
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COSA SI MANGIA
La pasta secca, diffusa dai mercanti genovesi dal sec. XII e
attribuibile agli Arabi (perché meno deperibile nel
trasporto attraverso il deserto), in area padana non avrà
grande diffusione nel Medio Evo.
Cominciano ad avere successo, anche nei menù dei
conventi, le paste fresche ripiene:
• pasticci (di pasta molto dura, senza sale ove cuocere
come in un contenitore orzo, riso, farro, miglio, panìco),
• crostate e torte (fatte di almeno tre strati di sfoglia alla
base, poi un ripieno, due strati di sfoglia e chiusura a
tortiglione; nella crostata il ripieno è di carne, pesce o
verdura a pezzi interi, nella torta l’impasto è
amalgamato. Possono contenere uova intere).
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COSA SI MANGIA • Nel Trecento possono comparire anche sei strati di
ripieno (pezzi di pollo fritti con cipolle e spezie, ravioli
al formaggio bianchi e verdi, salsicce, fette di carne di
maiale con formaggio e uova, ravioli con mandorle e
zucchero al formaggio bianchi e verdi, salsicce di
interiora), poi, chiusa la pasta e decorata di prugne, si
passa a cottura tra testi con aggiunta progressiva di
lardo.
• Si cucinano anche i tortelli (piccole torte bollite o
fritte e servite con miele; le prime tracce del tortello
risalirebbero a circa il 1100, e lo ubicano nella Padania
longobarda. ) e i ravioli (polpettine di maiale, interiora,
erbe aromatiche e spezie, grandi come uova, fritte
avvolte in coratella di maiale o pasta sottile e servite
con miele), anche nei conventi.
• Ovviamente sono preparazioni per i signori, ma anche
il popolo ha una sua versione con erbe e pasta con o
senza uova, anche come dono ai signori.
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COSA SI MANGIAVerdure molto apprezzate sono ancora erbe selvatiche
e radici, bietole, rape, porro, aglio, cipolla, scalogno,
zucca, cavoli, “gambussi” (cavoli cappucci?), asparagi
selvatici e non, lattuga, rapanelli, borragine, spinaci,
carciofi.
Semplici ingredienti di vivande di pregio o piatto forte
consumato crudo con grasso e aceto dai contadini.
Esempio di questa trasversalità è l’aglio, base
dell’agliata contadina, che in un testo veneziano del
‘300 è accostato alla cipolla solo come soffritto per la
carne, con olio, spezie, lardo, zafferano e uva passa.
Le aromatiche (soprattutto maggiorana, menta,
prezzemolo, acetosa, finocchio selvatico, nepitella) e le
erbe selvatiche ( tarassaco, malva, radicchi) sono poco
usate nei ricettari borghesi. 35
COSA SI MANGIA
• Si utilizzano funghi e tartufi.
• I frutti sono quelli locali: mele, pere, castagne,
mandorle, noci e nocciole, ciliegie, prugne.
• Per i signori della corte angioina viene
preparato il “compositum lombardicum”,
probabilmente analogo alla nostra mostarda.
Le radici di questa particolare salsa affondano nel Medioevo,
quando i monaci usavano conservare la frutta e la verdura
nel mosto cotto con l’aggiunta di farina di senape per
impedirne il deterioramento e assicurarsi così delle conserve
per il lungo inverno d’isolamento
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COSA SI MANGIA
Nelle corti e in città nel ‘200 e ‘300 si consumano:
• volatili selvatici (fagiano, pernice, quaglia, tordo, starna,
beccaccia, fagiano, cigno del Po, cicogna selvatica, lepre)
• allevati (oca, colombo, pollame, cappone, cicogna),
scollegati all’idea di guerra e di armi e percepiti come più
fini dai medici del tempo, e prima diffusi soprattutto nelle
mense dei monaci.
Il maiale perde centralità.
Cittadini e gente di corte gli preferiscono bovini, ovini, polli,
piccola cacciagione.
Anche il quinto quarto- vera sfida tra i cuochi- è apprezzato
(soprattutto le animelle). Ricordo un piatto attuale: frittura
di maiale.
Tra i pesci ci sono gli storioni del Po, lasche, lamprede,
tinche. Si cucinano anche le rane.
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• Per la conservazione si fa ancora uso di sale e
aceto.
• Per i pesci è diffuso il carpione di cipolla,
verdura, aceto, miele e olio
• Per la carne suina la bollitura con vino, latte e
zucchero.
• Dalla Liguria, lungo le vie del sale, giungono
acciughe e merluzzi conservati sotto sale,
scambiati con frutta e vino. Tuttora presenti
sulle nostre tavole!!
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I dolci sono semplici e
utilizzano farina, uova, uva
secca, frutta da guscio e miele.
Da fine ‘400 arriva anche lo
zucchero che sarà utilizzato sia
in pasticceria che nelle salse
unito alle spezie.
.
Nel 1450 circa Martino da Como, principe dei cuochi
del suo tempo, termina il libro “De arte coquinaria”,
primo trattato di cucina, diffuso in copie manoscritte e
fonte del “De onesta voluptate et valitudine” di
Bartolomeo Sacchi detto il Platina, stampato a Roma
nel 1475 e primo ricettario di cucina (in latino, lingua
universale) non manoscritto dall’invenzione della
stampa a caratteri mobili
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DAL 1492
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LE CONQUISTE COLONIALI
Innovazioni tecnologiche ed esigenze economiche spingono i sovrani europei
i cui Stati si affacciano sull’Atlantico a finanziare, a partire da fine ‘400,
esplorazioni geografiche che, nel secolo successivo, si convertono in
conquiste territoriali e nella nascita di veri imperi coloniali. A dividersi il
bottino saranno Spagna, Portogallo, Inghilterra, Olanda e Francia. A farne le
spese il continente americano, l’Africa e, in misura minore, l’Asia.
Inizialmente giungono metalli preziosi, successivamente prodotti agricoli che mutano le
abitudini alimentari di tutti e la vita dei ceti umili. Mais, patata, fagioli, grandi quantità di
merluzzo esportato dall’isola di Terranova e attraverso le via del sale finiscono anche sulle
tavole più povere grazie al basso costo e alla facilità di coltivazione e conservazione. E
ancora tacchini (che sostituiranno i pavoni) pomodori, tabacco, cacao, massicce quantità di
spezie. Il commercio diventa mondiale e si rinvigorisce ulteriormente, la moneta circola e
arricchisce il ceto borghese che investe i guadagni per aumentarne ulteriormente la resa.
I prezzi salgono l’inflazione impoverisce. I braccianti si impoveriscono. Una lunga serie di
guerre porta miseria e carestia. Per i ceti ricchi ci sono a disposizione abili cuochi e ricettari
sempre più raffinati, per i più poveri si tratta ancora di fare i conti con la fame, come, tra i
tanti esempi, ci attesta il romanzo manzoniano, ambientato nel Seicento. E sarà la fame,
conseguente alla distruzione dei raccolti per eventi climatici con aumento dei prezzi dei
cereali del 50% a fare delle masse popolari la testa d’ariete della Rivoluzione Francese.
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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALEDA FINE ‘700
• L’industrializzazione porta effetti anche in agricoltura, che lascia liberi
molti addetti (richiamati dalle richieste sempre maggiori di manodopera
e dal salario in denaro garantiti dalle industrie) sostituiti da mezzi
meccanici sempre più efficaci e a loro volta prodotto industriale.
• Inoltre l’industria chimica comincia a fornire anche concimi e
antiparassitari, che aumentano rapidamente la resa dei terreni. La scienza
studia nuovi incroci e nuovi prodotti di sintesi contro i patogeni.
• Risultato: aumento della produzione e dei guadagni dei proprietari
terrieri, più protezione dalle carestie.
Il piatto unico è diffuso tra il popolo e la piccola borghesia, presso i ceti più alti
inizia a diffondersi il servizio delle portate secondo un ordine gerarchico
predefinito, senza che il convitato possa più scegliere tra tutti i cibi disposti
contemporaneamente sul tavolo.
• Mangiare in modo moderato diventa segno di maggiore distinzione, anche per
ragioni di buona salute.
• Aspetto molto importante: la scienza provvede anche al miglioramento delle
tecniche di conservazione, con il metodo Appert 1749 (conservare cibi in
contenitori con chiusura ermetica) che stimolerà anche il commercio dei
prodotti alimentari sicuri. Cinquant’anni dopo arrivò Pasteur.
• Con successive tecniche si approderà ai ben a noti cibi in scatola, diffusisi nel
‘900.42
XX SECOLO
La scienza, in particolare la chimica e la biologia, nonché la tecnica fanno passi da
gigante e si alimentano in sinergia. L’industria alimentare diventa un tassello molto
importante dell’economia e sottomette alle proprie esigenze agricoltura e
allevamento, aiutata dagli studi di genetica.
• Il cibo diventa una merce che genera profitto, tra le tante.
• Si evidenziano però segnali di allarme e problemi chiari agli scienziati e ignorati
dal potere economico:
1. impoverimento del suolo,
2. inquinamento, squilibri climatici,
3. danni ambientali,
4. spreco di suolo e di cibo,
5. ricadute pesanti sulla salute,
6. perdita di numerose specie vegetali e animali con compromissione della
biodiversità.
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XX SECOLO
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Il riflesso a livello alimentare è costituito
• dalla perdita di tipicità
• dalla delocalizzazione produttiva
• dalla presenza costante sul mercato di prodotti indipendentemente
dalla loro stagionalità
• dall’allevamento di capi a rapida crescita e che necessitano di
farmaci per evitare morie su larga scala, a impatto non ancora
chiaro sulla salute umana.
• Se in passato si moriva di fame, ora può accadere che si muoia a
causa di un cibo che obbedisce alla logica del profitto, non della
salute degli organismi viventi, di un ambiente naturale forse
irrimediabilmente compromesso dall’uomo.
DAL XXI SECOLO
Segnali di cambiamento sono visibili da pochi decenni:
• diffusione di coltivazioni biologiche e biodinamiche
• comunque a basso impatto ambientale
• ritorno a specie autoctone, meno produttive ma più resistenti e salutari
• lotta alla logica dello spreco
• progetti di recupero non solo ambientale ma culturale in senso ampio cucina compresa
ecologia ambientale ormai materia di studio scolastico.
Il mercato si sta mostrando sensibile a questa esigenza di cambio di marcia; il fenomeno non
si caratterizza ancora non a livello di massa ma di gruppi socioculturali consapevoli, tuttavia è
un passo avanti.
I giovani, anche grazie alla scuola, ne stanno sollecitando uno ben più deciso.
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LA DIETA PUÒ SALVARE IL PIANETA
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AI GIORNI NOSTRIUN RICHIAMO E UN RITORNO
AL MEDIOEVO
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Vino e botti • La prima testimonianza sulla fabbricazione arriva da
Catone (95- 40 a.C.) che la descrive così” Lega le botti di
legno di quercia con il piombo e fasciale con tralci di vite
secca, poi introduci nelle fessure del mastice fatto di
cera….”.
• L’uso della quercia e la tradizione francese dei bottai,
grazie al popolo dei Celti, ha origini antiche poiché
Strabone (64- 24 d.C.) scrive che dalla Gallia Cisalpina si
costruivano grandi botti.
• Il Nord Italia e l’Europa Occidentale sede delle cultura
celtica sono grandi fabbricatori di botti.
• Con la fine dell’impero romano il vino diventa monopolio
di monaci e frati che grazie alle mura delle abbazie e
all’uso liturgico fanno sopravvivere la cultura dell’enologia.
• Le botti vengono prodotte nelle officine dove laboriosi
monaci perfezionano la loro costruzione.
• Il sapere della loro costruzione si diffonde e vi sono notizie
di maestri bottai in Piemonte, sopratutto nella val Maira, in
Sicilia e Sardegna. (Presenza storica di costruttori a
Voghera: oggi Marco Graziano)48
VINO
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Una delle più grandi zone vitivicole in Italia, sicuramente la più grande in Lombardia:
13,000 ettari di vigneti:
• Croatina Vinificata in rosso Bonarda e croatina
• Pinot Nero Vinificato in rosso
• Pinot Nero Vinificato in bianco
• Pinot Nero Spumante metodo Classico
Spumante metodo Martinotti
• Riesling Vinificato in bianco
• Barbera Vinificato in rosso
• Pinot grigio Vinificato in bianco
• Moscato Vinificato in bianco Tappo raso
Spumante
• Vitigni autoctoni
• Tanto altro
Olio di Oliva • In alcune zone (particolarmente protette dai rigori dell’inverno) c’è
sempre stata la coltivazione dell’Olivo (Mondondone, Livelli, Valle Coppa.
• Oliva Gessi è un nome che ci riporta a questa antica produzione
• Negli anni recenti qualche agricoltore ha iniziato a impiantare piccoli
oliveti e a produrre olio: Mornico Losana, Cigognola, San Damiano al
Colle….
Miele • È Zavattarello, comune in provincia di Pavia meglio conosciuto come “il
paese del miele”. A dominare la scena, infatti, è un apicoltore che porta
avanti il lavoro iniziato dal conte Luigi Dal Verme a metà Ottocento.
• È proprio il conte – il cui castello domina il paesino – a vincere i primi
premi nazionali di miele già nel 1869. Bisogna attendere il 1920 perché il
nipote Luigi fondi ufficialmente la società, stabilendo inoltre un decalogo
dell'apicoltura moderna.
Cereali AntichiNel 2017 nasce a Montesegale l’Associazione dei grani della tradizione
dell’Oltrepò Pavese. Coltivano una miscela di grani antichi con lo scopo
di produrre farine idonee alla panificazione e contenenti un glutine
molto più digeribile rispetto ai grani moderni.
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Olio di Oliva
Piante Alimurgiche Nel marzo 2019 grazie al finanziamento di Fondazione
Cariplo, parte un progetto che, partendo dalla coltivazione
e messa in vendita di piante alimurgiche, ha come
obiettivo creare opportunità lavorative per soggetti in
condizioni di svantaggio. Troveremo sui mercati e nei
ristoranti piante quasi dimenticate.
Razza bovina Varzese,
Ottonese, Cabellotta,
Tortonese
Arriva con i Longobardi. Razza da lavoro, rustica e adatta al
territorio collinare, sfama per secoli il territorio di quattro
province. A inizio anni ‘50: oltre 30.000 capi presenti; a fine
anni ’50: 45 capi e si rischia l’estinzione. Oggi recuperata, in
Lombardia oltre 350 capi: ottima la carne prodotta.
Pomella Genovese
Stoccafisso alla varzese
Due prodotti uniti dalle vie del sale: gli antichi mercanti liguri
e oltrepadani percorrevano le mulattiere dell’appennino ligure
- lombardo per scambi commerciali; da Genova arrivavano
sale, acciughe, stoccafisso – a Genova andavano cereali, carni,
frutta. Di quei tempi restano come tradizione: lo stoccafisso
alla Varzese, le acciughe salate, la bagna cauda. Resta la
Pomella Genovese (una mela tipica delle nostre valli; arrivata
con i Longobardi (?) e il nome: Pomella Genovese
(commercializzata sui mercati di Genova e messa come cibo
nella stiva della navi che partivano dal porto di Genova.
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MostardaPer quanto riguarda la mostarda così come la conosciamo oggi, ossia sotto forma
di salsa dolce con senape e frutta intera o in pezzi, è provato dai documenti che
una miscela di frutta candita e sciroppo venisse preparata nel Trecento dai
monaci lombardi.
La più antica citazione di una mostarda di frutta riguarda quella prodotta nella
zona di Voghera. Con una lettera del 7 dicembre 1397, il duca di Milano Gian
Galeazzo Visconti, tramite il suo cancelliere, chiedeva al podestà di Voghera di
ordinare uno “zebro” (mastello) di frutta candita senapata (“mostarda de fructa
cum la senavra”) allo speziale Pietro de’ Murri, graditissima alla duchessa
Caterina e alla sua corte e destinata ad accompagnare le carni della sua mensa in
occasione delle festività natalizie.
SalameL'origine di questo salame è incerta. Secondo alcune fonti, sembra che già i
Longobardi allevassero il maiale. Infatti i Longobardi, durante le loro varie
trasmigrazioni in tutta Europa (dal II al VI secolo) causate dalla mancanza di terre,
da una forte crescita della popolazione e da un irrigidimento del clima, in un'epoca
di problemi e ristrettezze economiche, avevano bisogno di un prodotto a lunga
conservazione. Già nel XII secolo era usato come pietanza prelibata: i marchesi
Malaspina, un'indiscussa famiglia longobarda , lo servivano agli ospiti durante pranzi
e cene. Nel corso dei secoli a venire, i contadini iniziarono a considerare il maiale
come una risorsa indispensabile per la loro sopravvivenza: avendo scoperto lungo il
corso del torrente Staffora una vallata dell'Appennino con un microclima perfetto
per la stagionatura di questo insaccato. I monaci ne perfezionarono la ricetta52
È difficile, per non dire impossibile, prescindere dall’Italia se si
desidera tracciare la storia del salume e ricercarne le origini.
Difatti, nel nostro Paese, la presenza di prosciutti e insaccati è
riferibile già all’epoca etrusca e romana, benché pratiche di
conservazione della carne siano riconducibili a tempi più antichi,
risalendo addirittura al Paleolitico. Ma partiamo dal termine. La
parola salumen deriva dal latino tardo, ma si diffonde solo a
partire dal medioevo e indica un qualsiasi prodotto conservato
sotto sale (quindi anche il pesce e la carne non suina)
Sembra siano stati preparati i primi veri insaccati, tra cui il
salame, come testimonia un iscrizione sulla tomba di Ramsete
III (1166 a.C.). Nell’Odissea (VII-VIII secolo a.C.) abbiamo la
prima descrizione di un insaccato realizzato con grasso e
sangue e lo stesso Aristofane (450 a.C. circa – 388 a.C. circa),
nelle sue commedie, cita più volte la “lucanica”.
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Pasta con farina di Senatore Cappelli: Az. Agricola Orlandini di Corana
Fa bollire il pane grattuggiato per un quinto de ora in
brodo di carne. Et tagli un pocho di caso grattuggiato,
sbattilo con ova, lassa alquanto refredare il pane
boglito. Et dapoi rigitta le dicte ova e caso, mescola
molto insieme. E tal menestra vole essere gialla di
zafarano e alquanto spessa.
Richiama molto un piatto
tradizionale: La Panada
Frittelle piene di vento
Togli del fiore di farina, dacqua, di sale, del zuccaro.
Distempererai questa farina facendone una pasta che
non sia troppo dura, falla sottile a modo di far
lasagne, distesa la dicta pasta sopra ad una tavola con
una forma di ligno tonda overo con un bicchiere la
taglierai frigendola in bono olio. E guarda che non ti
vinisse bucata in niun loco; a questo modo si
gonfiaranno le frittelle, che pareranno piene
Richiama molto:
• La schita
• Le frittelle
Lasche
Vogliono essere fritte at ascio che non li brusciano;
per suo sapore gli darai la salsa verde overo lagresto
verde (salsa fatta con succo d’uva acerba e aggiunte varie)
Lasche fritte
Ricette di Martino da Como 1430
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Machetto Ligure
In un vaso di vetro si stendono a strati i pesci, dopo aver strappato via la testa e con
essa le interiora (il ventrale); si ricoprono di sale grosso e, di nuovo, altro strato, fino
alla fine, lasciandoli macerare per circa un mese, schiacciati da un peso (solitamente un
sasso piatto).
Trascorso tale tempo, si riprendono le sardine sotto sale e si passano al tritatutto o
pestate nel mortaio; la pasta ottenuta si colloca in un vasetto, ricoperta di olio.
Ideale per piatti di carne e pesce bolliti, ma anche per condire paste, sopratutto
spaghetti, stemperando la salsa con altro olio.
L’acciugata toscana accompagna carni bollite, uova ed è
molto usata anche con le braciole fritte.
Ingredienti: 6 acciughe sottosale,2 cucchiai di capperi sottosale
mezzo bicchiere di olio extravergine d’oliva, uno spicchio
d’aglio
Salsa veneta
Molto semplice fatta con acciughe e
cipolle bianche lasciate appassire e disfare
molto lentamente in olio extravergine di
oliva. Per rendere il piatto ancora più
saporito, potete aggiungere del
pangrattato saltato in olio extravergine di
oliva oppure del prezzemolo tritato o
ancora con una spolverata di pepe nero.
Slow food Oltrepò Pavese 4/11/2019 56