DAL CULTO DEL DENARO Economia del noi - Città...

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Anno LX-n.5 /Maggio 2016 www.cittanuova.it 20 /Massoneria 34 /Sindaco a Betlemme 38 /Stress e fedeltà Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/31/2012; “TAXE PERÇUE” “TASSA RISCOSSA” 5,00 euro contiene I.P. DAL CULTO DEL DENARO AL LEGAME SOCIALE Economia del noi

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A metà aprile con alcuni colleghi giornalisti ci siamo recati ad Atene, per un convegno di NetOne sulle migrazioni interdisciplinare, interconfessionale e interculturale (“inter” è il prefisso della globalizzazione). Abbiamo visitato campi profughi, abbiamo consultato deputati ed esperti, abbiamo cercato delle piste per un giornalismo responsabile e creativo. Abbiamo, soprattutto, cercato di “respirare l’aria” greca dopo la grave crisi con l’Unione europea e quella provocata dall’ondata di rifugiati.Ero stato in Grecia in occasione del referendum del 5 settembre 2015. Avevo trovato un Paese in ginocchio, umiliato dalla sfiducia del Nord Europa, incapace di rialzare la testa, in attesa della catastrofe finale, la Grexit (l’uscita dall’euro). Gli sguardi della gente erano sfuggenti, depressi, se non disperati. In quest’ultima breve tournée, invece, ho notato qualcosa di diverso. La situazione è tuttora gravissima, non si vedono grandi risalite degli indici della salute del sistema-Paese, continuano le vendite dei gioielli di casa. Eppure, negli sguardi della gente, ho notato un brillio vivace, direi di speranza. La ragione?Nel corso del convegno, un giornalista, un gesuita, un vescovo e un imam mi hanno aiutato a capire: ormai tutti ad Atene parlano infatti di “due crisi”, quella economica e quella dei migranti. È successo che molti greci, non solo gli abitanti delle isole dirimpettaie alla Turchia, si siano accorti che c’era gente che stava

peggio di loro. Si sono messi così ad alleviare le sofferenze dei migranti, sull’esempio dei panettieri di Lesbo che hanno sfornato il triplo del pane solitamente consumato.La Grecia non gode di una lunga e forte tradizione di volontariato, anzi: ma questa volta il risveglio dei singoli ha trovato anche le vie della società civile, con una serie di organizzazioni solidaristiche che si stanno impegnando in modo encomiabile per i rifugiati, a cominciare dalla Caritas Grecia (cattolica) e da Apostoli (ortodossa), ma anche da laici, musulmani e gente di buona volontà. Ho visto questa società civile all’opera al Pireo, nei campi profughi: gente intelligente, intraprendente, seria ma pure allegra.Cosa ci insegna oggi la Grecia? Che l’Europa dovrebbe avere una politica delle migrazioni comune, che non si può abbandonare un popolo in tali condizioni, che… che… che… Ma anche che dalla crisi si esce con… un’altra crisi. L’etimologia ci aiuta: il verbo greco krino vuol dire separare, discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa ma nell’etimo si coglie una sfumatura positiva: il discernimento può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, una rinascita, un rifiorire. Guardare ai bisogni degli altri ci aiuta a uscire dalla depressione e a rimettere in moto le energie creatrici, quelle dell’“economia del noi”.

Dalla crisi si esce con un’altra crisi

di Michele Zanzucchi

il punto

3cittànuova n.5 | Maggio 2016

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20 /MASSONERIA Un argomento tabù ma sempre

ricorrente quando si parla di potere in Italia e non solo.

64 /SCUOLA Il dibattito su educazione e nuove tecnologie.

34 /INTERVISTA In dialogo con Vera Baboun,

sindaco di Betlemme.

74 /REPORTAGE L’impronta araba nell’architettura del Sud della Spagna.

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Anno LX-n.5 /Maggio 2016 www.cittanuova.it

20 /Massoneria 34 /Sindaco a Betlemme 38 /Stress e fedeltà

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I.P.

DAL CULTO DEL DENAROAL LEGAME SOCIALE

Economiadel noi

10 /Il legame sociale può resistere al potere del denaro.

7 /PING PONG di Vittorio Sedini 27 /OLTRE IL MERCATO di Luigino Bruni

31 /SCENARI MONDIALI di Pasquale Ferrara 42 /PIANETA FAMIGLIA di Barbara e Paolo Rovea 55 /SE POSSO di Piero Coda 67 /PENSARE L’UNITÀ di Jesús Morán 93 /GIBI E DOPPIAW di Walter Kostner

In copertina

Opinioni

sommarioIl punto3 /Dalla crisi si esce con un'altra crisi.di Michele Zanzucchi

Editoriali8 /Energia e futuro.di Alberto Ferrucci

/Una Chiesa formato famiglia.di Paolo Gentili

9 /A parte il salame?di Giovanni Casoli

Le regioni

17 /Un seme per Enza e Tiberio.di Patrizia Labate

18 /Assistenza personalizzata ai piccoli malati.di Roberto Comparetti

19 /I 500 anni del ghetto di Venezia.di Chiara Andreola

Politica lavoro economia

24 /Non basta la “non” guerra. di Silvano Gianti

26 /Solidarietà.a cura di Tomaso Comazzi

Pagine internazionali

28 /Bruxelles non si piega al terrore.di Carlo Blengini

32 /Flash dal mondo.di Armand Djoualeu, Silvano

Malini, Mounir Farag, Bruno

Cantamessa, Javier Rubio

Famiglia e società

38 /Con te fino alla fine?di Pasquale Ionata

40 /Domande & risposte.di Marina Gui, Marco D’Ercole,

Riccardo Bosi, Ezio Aceti,

Federico De Rosa

Cantiere Italia

43 /Cultura delle relazioni.di Rosalba Poli e Andrea Goller

44 /La guerra è inutile.di Maria Chiara Cefaloni, Marco

Luchini

46 /Una scuola per tutti.a cura di Aurora Nicosia

48 /Aipec. Una rete per gli imprenditori.a cura della Redazione

49 /Uno scatto per l’ambiente.

Storie

50 /Vieni a casa mia.a cura di Aurelio Molè

53 /Storie brevi.di Vittorio Sedini, Stella Chiu

Yuen Ling, Giulia Francese

Spiritualità

56 /La misericordia è la bellezza di Dio.a cura di Maddalena Maltese

60 /Maria, donna del bell’amore.di Chiara Lubich

62 /Caterina sempre sulla notizia.di Lucia Velardi

63 /Parola di vita – Giugno.di Fabio Ciardi

Idee e cultura68 /Prosumer: fare affari su Internet.di Andrea Gallelli

SEGNALIAMO SU

FRONTIERE

Brennero: un passo

sempre al centro della

storia. di Mario Spinelli

FISCO

Breve guida al 730.

di Massimiliano Casto

TENDENZE

Il bar dei ragazzi con

la sindrome di Down.

di Giulia Martinelli

e.

Foto/ANSA

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Mensile di opinione del Movimento dei focolari fondato nel 1956 da Chiara Lubich con la collaborazione di Pasquale Foresi.

Direttore responsabile: Michele Zanzucchi

Caporedattore: Aurelio Molè

Redazione: Carlo Cefaloni, Sara

Fornaro, Maddalena Maltese, Giulio

Meazzini, Aurora Nicosia

Progetto Grafico: Humus Design

Impaginazione: Umberto Paciarelli

Segreteria di redazione: Luigia Coletta

Abbonamenti: Antonella Di Egidio,

Desy Guidotti, Marcello Armati

Promozione: Marta Chierico

Editore: Città Nuova della P.A.M.O.M.

Via Pieve Torina, 55 | 00156 Roma

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71 /Comencini e la commedia italiana.di Mario Spinelli

72 /Il piacere di leggere.a cura di Gianni Abba

73 /In libreria.a cura di Oreste Paliotti

Arte e spettacolo

80 /Fotografare il cambiamento.a cura di Maddalena Maltese

82 /Televisione. di Eleonora Fornasari

83 /Cinema.di Edoardo Zaccagnini

Moda. di Beatrice Tetegan

84 /Musica e teatro.di Elena D’Angelo, Mario Dal

Bello, Giuseppe Distefano

85 /Musica leggera. di Franz Coriasco

/Appuntamenti, cd, novità

Fantasilandia

86 /I semi dell’imperatoretratto da BIG

Pagine verdi

90 /Buon appetito con…di Cristina Orlandi

91 /Alimentazione. di Giuseppe Chella

/Educazione sanitaria. di Spartaco Mencaroni

/Diario di una neomamma. di Luigia Coletta

Dialogo con i lettori95 /La nostra città.a cura di Marta Chierico

96 /Guardiamoci attorno.

97 /Riparliamone.a cura di Gianni Abba

Penultima fermata

98 /Galanterie e cose d’altri tempi. di Elena Granata

88 /SPORT 62 anni fa Bannister

segnava il record della corsa del miglio.

Direzione e redazionevia Pieve Torina, 55 - 00156 ROMA

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Il numero 4 di Aprile 2016 è stato consegnato alle poste il -3-2016.

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8 cittànuova n.5 | Maggio 2016

editoriali

Fino a pochi anni fa 4 dei 7 miliardi di abitanti del pianeta utilizzava solo l’energia degli animali, dei vegetali, del vento e dall’acqua, tutte rinnovabili; migliorandone le condizioni di vita, la globalizzazione ha reso una parte di essi consumatrice di energie non rinnovabili: carbone, petrolio e gas naturale.Intanto noi che in passato abbiamo largamente abusato dei combustibili fossili, oggi stiamo rivolgendoci sempre più verso le varie forme di energia solare che la ricerca sta rendendo sempre più convenienti, anche rispetto all’energia nucleare che non provoca effetto serra ma pone altri problemi: mentre in Occidente si riduce il consumo di combustibili fossili – in 10 anni il consumo italiano di petrolio è sceso da 85 a 58 milioni di barili giorno –, a livello mondiale il loro consumo potrà crescere, perché la richiesta di energia di chi finora ne era escluso è superiore alla prevista disponibilità di energie rinnovabili.Tutto questo deve preoccupare, perché la salvaguardia dell’ambiente è il vero problema del XXI secolo:

se si rende invivibile il luogo in cui possiamo crescere, lavorare e cercare la pace e felicità, a che serve puntare ad altro?Che la sfida sia reale lo dice lo scioglimento dei ghiacci, che assieme alla siccità sta influenzando addirittura la rotazione terrestre: i ghiacci si sciolgono più del previsto anche in Antartico, dove è accumulato tanto ghiaccio che sciogliendosi farebbe crescere di 60 metri il livello degli oceani e molti di noi finirebbero sott’acqua.Da noi il problema non si affronta bloccando qualche anno prima la esigua estrazione di metano e petrolio dalle nostre acque o impedendo il completamento di investimenti già eseguiti: occorre trovare ingenti fondi pubblici, anche tassando il consumo di combustibili fossili, come sta inutilmente tentando di fare Obama negli Usa, per rendere sempre più conveniente l’adozione delle energie rinnovabili: una tale azione dimostrerebbe l’indipendenza del governo da ipotetiche lobby di petrolieri.

Possiamo definire l’Amoris Letitia come l’abbraccio del papa a ogni famiglia di questo mondo; un «prezioso poliedro» di 325 paragrafi, denso di ascolto, confronto, sguardo su Cristo, nell’orizzonte della sinodalità. È il frutto di un percorso di Chiesa di oltre due anni, un doppio Sinodo, arricchito da due ampie consultazioni del popolo di Dio, un lavoro collegiale sul documento. Vengono indicate le modalità per diffondere e attuare il Vangelo della famiglia nel contesto contemporaneo: «Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle».Si percepisce nel testo un linguaggio nuovo che raccoglie la freschezza e le differenti sensibilità della Chiesa universale. Particolarmente bella è la lectio in chiave familiare sull’Inno

alla Carità, dal n. 90 al n. 119. È un tracciato dell’«amore artigianale». L’ossatura del testo è costituita dalle Relatio Synodi che i padri sinodali hanno consegnato al papa; 54 citazioni della sintesi del 2014 e 84 citazioni della sintesi del 2015: ora però quelle indicazioni hanno l’efficacia del magistero pontificio. È un linguaggio all’insegna della concretezza che esce dai soliti schemi e chiede un cambio di volto dell’intera comunità cristiana, un aiuto da famiglia a famiglia, come ad esempio quando ci si riferisce a chi, dopo il matrimonio, si allontana dalla comunità. L’atteggiamento verso le fragilità dell’amore è privo di sentenze di condanna e assume come orizzonte la «legge della gradualità» di cui parla Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio al n. 34. È chiaro che è un atteggiamento che un papà e una

Ambiente

Energia e futurodi Alberto Ferrucci

Amoris Laetitia

Una Chiesa formato famigliadi Paolo Gentili

Direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale familiare della Conferenza episcopale italiana

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9cittànuova n.5 | Maggio 2016

Nel bellissimo racconto-documento per interviste della Nobel Svetlana Aleksievic Tempo di seconda mano (Bompiani), scorrendo le parole di mille intervistati traumatizzati tra il crollo dell’Urss e il tracollo morale dei nuovi rozzi ultraricchi cicciati dal neo-capitalismo russo rampante e completamente cieco, si può trovare a un certo punto una frase che, oltre ad avermi fatto ridere-piangere, ho trovato sconfinata (e perciò anche, in qualche modo, italiana): «Quale idea abbiamo, a parte il salame?».Bisogna sapere che al tempo dell’Urss il salame, quasi introvabile, era riservato a pochi e per gli altri, se mai l’avessero incontrato, era quasi un peccato (politico). Ora c’è, ma i nuovi russi poveri disorientati e smarriti, si sentono, loro, salami.In Italia, certo non è così, ma piano, piano: la forbice tra ricchissimi e poveri e indigenti si è ulteriormente allargata, meno del 20% della popolazione ha molto più del restante 80%, e correlativamente, e non a caso, i nuovi saperi (vedi statistiche ufficiali) universitari e non virano sempre più all’economico e tecnologico e sempre meno comprendono i fondamenti (fondamenti) storico-umanistici. E ciò accade, come mai?, anche in Russia.

Non basta certo, e anzi qui non ha senso, dire che tutto il mondo è Paese, e che è meglio abolire gli ideali, politici o altri, e stare ai fatti. È proprio stando ai fatti che offriamo ai figli politica in chiacchiere, false liberazioni (i “diritti”. E i doveri?) ed emigrazione lavorativa con la comoda falsa promessa di diventare cittadini (=sradicati) del mondo. E, così, tenendoci il salame. Ma il salame, da solo, senza ideali, non produce che salami.

mamma mettono quotidianamente in pratica, avendo verso i figli uno sguardo differenziato a seconda del periodo che ciascuno attraversa, avendo più comprensione per il figlio più debole e insegnando ai suoi fratelli ad avere nei suoi confronti lo stesso atteggiamento. Accompagnare, implica mettersi accanto nello stile di Emmaus, addirittura fingendo all’inizio di non sapere, come fa Gesù.Discernere, significa implorare la luce dello Spirito per poter avere uno sguardo che si lascia illuminare dalla Parola e diviene capace di cogliere la via da percorrere in quel particolare caso.

Integrare, vuol dire riportare al centro dalla periferia. È l’atteggiamento delle parabole della misericordia. Solo chi è in conversione può guidare l’altro nel cambiamento del cuore, altrimenti si è «ciechi e guide di ciechi». C’è ancora troppa solitudine alle spalle di tanti fallimenti matrimoniali; ed è evidente che chi si trova accanto relazioni umane ed ecclesiali feconde è maggiormente sostenuto nell’attraversare le crisi. La chiesa domestica può sorgere e sostenersi solo attraverso una vera esperienza di Chiesa, con la consapevolezza che la famiglia è «fabbrica di speranza».

Storia e letteratura

A parte il salame?di Giovanni Casoli

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in cui ci si riconosce? O non è in-vece il denaro il principale riferi-mento ideale affermatosi in pochi decenni nell’Italia del benessere? Il denaro, valore per definizione individuale».Come in effetti aveva sempre det-to su Città Nuova il nostro col-laboratore Roberto Mazzarella, la mafia si spiega solo con la di-sperata e insaziabile ricerca dei soldi. Si comprende così l’emble-matico disastro della Terra dei fuochi provocato in Campania dallo sversamento dei rifiuti tos-

10 cittànuova n.5 | Maggio 2016

economiadel noi

SOCIETÀl’inchiesta

Esiste un vero e proprio culto del denaro, un culto che non ha nulla di cristiano. Un manifesto che nasce sulla strada, da Slot Mob

«“Gioca responsabilmente” è come dire: annega con cautela! Sparati con prudenza!». Queste poche battute del comico Mauri-zio Crozza svelano l’ipocrisia di uno Stato che nei fatti incentiva l’azzardo rifiutandosi di bandi-re la pubblicità, ma solo ponen-do dei limiti in certe fasce orarie per la tv. L’avvertenza del “gioco responsabile” compare in fretta come quelle sui medicinali che «possono avere conseguenze an-che gravi, compresa la morte». Il messaggio è un capolavoro dell’“antilingua totalitaria” nar-rata da George Orwell. Come ha ribadito Luigino Bruni nell’edi-toriale di Città Nuova di aprile: «L’azzardo non va messo vicino alla bellissima parola “gioco”. Esso è un tipico caso di un enorme male istituzionale che viene presentato come virtù». L’econo-mista va dritto al punto: «Con-findustria-gioco, che rappresenta anche le lobby dell’azzardo, pro-tegge molto questo settore della nostra economia, al punto da non riuscire a far cambiare nulla, o solo aspetti irrilevanti».

Un mercato in crescitaIl proliferare dell’offerta dell’az-zardo in Italia (un flusso di 88 mi-liardi di euro nel 2015) è un’attivi-tà industriale che produce danni (dalla salute alla disgregazione sociale), pur generando ingenti profitti per una filiera che parte dall’ultimo concessionario loca-le e arriva ai vertici delle società transnazionali con proprietà e sedi difficilmente rintracciabili. Da 20 anni questo mercato cresce, da pri-ma della più grave crisi, non solo economica, del dopoguerra. Ma il problema dell’azzardo non può essere capito se non si guarda più lontano, all’avidità.Nel “manifesto dell’antimafia” pubblicato nel 2014, Nando Dalla Chiesa osservava la facilità di pe-netrazione delle cosche ‘ndraghe-tiste nel Nord Italia per chiedersi: «Qual è, ecco la domanda discri-minante, l’identità collettiva sotto le cui bandiere può raccogliersi e combattere l’odierna società set-tentrionale? Forse lo Stato? La patria? La comunità? La demo-crazia? O magari l’idea di società civile? Sono questi i valori più alti

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11cittànuova n.5 | Maggio 2016

sici provenienti da alcune fabbri-che del Settentrione. La partita è persa se non si ridisegna il campo passando «dall’io al noi», afferma Dalla Chiesa.

Capitalismo come religione«Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il de- naro, poiché accettiamo pacifi-camente il suo predomino su di noi e sulle nostre società – affer-ma papa Francesco nella Evangelii Gaudium –, abbiamo creato nuovi

idoli. L’adorazione dell’antico vi-tello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano».   Il caso della diffusione abnorme dell’azzardo ci fa capire, ripren-dendo il senso delle parole del papa, il predominio della finanza sulla società più di tante lezioni teoriche. È il trionfo delle teorie “monetariste” di Milton Friedman e del modello di impresa orientato alla massimizzazione del profitto,

ma che può parallelamente tolle-rare un mondo no profit separato e dedito alla beneficienza. Di fatto la finanza mondiale ap-pare un gigantesco macchinario dell’azzardo. Come spiega Andrea Baranes, di Banca etica, «circo-la più denaro in soli 5 giorni sui mercati finanziari che in un intero anno nell’economia reale».  Il de-naro «viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati allo sco-po di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro. In un crescendo patologico che ci

di Carlo Cefaloni

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Evento di Roma del 10 maggio 2014 con la partecipazione di mille persone.

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12 cittànuova n.5 | Maggio 2016

Se poi la stampa è libera, ma libera veramente…Toni MiraAvvenire

“ Azzardo, caporalato, ecomafie, inquinamento, ‘ndrangheta, sfruttamento,

Terra dei fuochi. Questo vado a raccontare in giro per l’Italia, soprattutto il

nostro splendido e martoriato Sud. Perché sono da sempre convinto che il

giornalismo si fa “coi piedi”, andando fisicamente sui luoghi. Non c’è sito web o

altro che possa sostituire i propri occhi e anche il proprio naso (il dramma dei

roghi dei rifiuti li puoi capire solo respirando l’aria che respirano nella Terra dei

fuochi). Ma io da anni ho deciso di fare un ulteriore passo. Non essere “sulla

notizia”, come si dice in gergo giornalistico, ma “nella notizia”, viverla, vivere

quel territorio accanto ai suoi abitanti. Così è possibile vedere e raccontare non

solo il negativo (che va molto sui media) ma anche il positivo. Che c’è sempre,

anche nei luoghi più neri. Perché c’è sempre chi anche nei fatti più neri accen-

de luci di speranza. Quei temi che ho elencato hanno sempre dietro un illecito

arricchimento, un ingiusto profitto, un’economia criminale che non sempre

vuol dire mafiosa. C’è distorsione del mercato e sfruttamento dell’uomo e

dell’ambiente. C’è spesso un’illegalità ammantata da legalità. Ma c’è anche chi

dice no. Non eroi ma persone normali, imprenditori, parroci, volontari e anche

politici. Dicono no coi fatti. Quelli che provo a raccontare assieme al troppo

male che attraversa il Paese.

l’inchiesta SOCIETÀ

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bio

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Foto ricordo tra Coni (Giovanni Malagò) e Lottomatica (Fabio Cairoli) per un progetto

sportivo a scopo benefico. Una promozione di immagine dell’industria dell’azzardo in Italia.

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appare sempre più fuori control-lo», come ha lucidamente denun-ciato Luciano Gallino, autorevole studioso del “finanzcapitalismo” come «mega-macchina creata con lo scopo di massimizzare il valore estraibile dagli esseri umani e dagli ecosistemi».Per affrontare e risolvere un pro-blema bisogna conoscerne le radici

profonde. Luigino Bruni propone di rileggere attentamente Walter Benjamin. Secondo l’intuizione del filosofo ebreo, nel capitalismo bisogna scorgere una religione sviluppatasi come un parassita sul cristianesimo ma in sé pagana. Tale capitalismo, per Bruni, è un idolo che «diventa eloquente nella cultura dell’azzardo, che è un vero

e proprio culto alla “dea fortuna”, divinità suprema della legione di “giochi” che sta possedendo nuove categorie di poveri». Lo conferma-no Marco Dotti e Marcello Espo-sito, di Vita, che hanno curato l’edizione italiana di Architetture dell’azzardo dell’antropologa sta-tunitense Natasha Dow Schüll, del Mit di Boston. Nello  studio, dura-

Chiediamo che venga rimesso in discussione l’affidamento del settore dell’azzardo alle società commerciali, strutturalmente interessate a farne profitto (dal manifesto Slot Mob).

SPESA GLOBALE DEGLI ITALIANI PER L'AZZARDO CONCESSIONARIE

2004

2006

2008

2010

2012

2014

2015

24,7 MLD

88,5 MLD

IGT (EX GTECH ED EX LOTTOMATICA),

SNAI

BPLUS

COGETECH

GAMENET

SISAL

HBG

GMATICA

CODERE

CIRSA

INTRALOT

NTS NETWORK

NETWIN ITALIA

Fonti: ministero dell'Economia e delle Finanze; Agenzia delle dogane e dei monopoli, dati 2014.

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14 cittànuova n.5 | Maggio 2016

to 15 anni, su macchine e luoghi programmati, si descrivono i “san-tuari” dove il “cliente” perde le di-mensioni dello spazio e del tempo per consumarsi davanti al “dio” della macchina.  Democrazia economica Senza troppe analisi, esistono tan-te persone libere e piene di digni-tà come i baristi che hanno detto

“no” rifiutando di diventare un terminale di questa piovra.Un meccanismo che sembra invin-cibile si è quindi infranto davanti a un’obiezione mite e decisa che è stata festeggiata pubblicamen-te, dal settembre 2013, in oltre 120 eventi di consumo critico colletti-vo (Slot Mob) organizzati in tutta Italia portando in piazza bande musicali, danze popolari, giochi

veri per riconoscere un legame so-ciale capace di resistere al potere del denaro. La pratica del “voto con il portafoglio”, come insegna l’economista Leonardo Becchetti, diventa leva del cambiamento e può aprire nuove strade. In questo caso si è generato, grazie a tante espressioni di cittadinanza attiva e responsabile, un movimento di democrazia economica che

l’inchiesta SOCIETÀ

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Abitanti della periferia di Ponte di Nona a Roma protestano dentro la sala casinò costruita al posto di un centro anziani.

Lancio dell’ennesimo SuperEnalotto, a inizio 2016, da parte del direttore

della Business unit lottery del gruppo Sisal, Mario Caccavale.

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15cittànuova n.5 | Maggio 2016

Non tutto è merce. Appello alla Costituzione.

“Caro Presidente Sergio Mattarella,con la scusa di legalizzare il cosiddetto “gioco” d’azzardo, i legislatori italiani si sono mossi come degli apprendisti stregoni trasformando il Paese in un casinò diffuso nel pieno della crisi economica e morale più dura del dopoguerra.La paura del futuro e la mancanza di prospettive hanno spinto fasce crescenti di popolazione verso un consumo compulsivo e disperato della promessa illusoria di una salvezza individuale dal progressivo impoverimento.Il fenomeno azzardopoli, che muove un giro di 88 miliardi di euro l’anno, non si può ridurre, come si fa di solito, ai casi di dipendenza patologica individuale da curare con i fondi insufficienti di un sistema sanitario pubblico messo già in grave difficoltà.Bisogna agire alla radice e riconoscere che è lo Stato che sta vivendo una pericolosa crisi di astinenza del denaro che arriva dal settore dell’azzardo appaltato a grandi società commerciali transnazionali. Occorre, perciò, recidere questo vincolo per rimettere in discussione l’intera materia in modo democratico e partecipato. Senza una diversa economia, capace di generare benessere per tutti, vinceranno sempre le lobby, come si è visto nel tentativo fallito di imporre il ragionevole divieto assoluto di pubblicità dell’azzardo.Esistono gruppi di potere trasversali capaci di cambiare le leggi dalla sera alla mattina umiliando le reti di cittadinanza attiva e le amministrazioni comunali che cercano di recuperare sovranità sui loro territori.Rivolgiamo, perciò, questo appello al custode della Costituzione democratica fondata sul lavoro perché faccia valere la sua autorevolezza, anche con un semplice messaggio al Parlamento, incapace di agire in questo campo, e al Governo che, sull’azzardo, dimostra di avere le idee confuse sul bene comune perché mette sullo stesso piano, in maniera contraddittoria, «le esigenze di tutelare la salute pubblica, combattere l’illegalità e dare un apporto all’erario».Si può rispondere all’effetto devastante dell’incentivazione legale dell’azzardo solo a partire dal legame sociale, dal riconoscere la scelta di libertà e dignità dei baristi che rifiutano di fare da terminale alla macchina dei soldi che vanno ad ingrassare i soliti noti. Lo Stato segua l’esempio di questi cittadini responsabili. Chiediamo al nostro Presidente di rispondere al nostro appello per far togliere la gestione dell’azzardo alle società commerciali che non possono far altro che incentivarlo per trarne profitto.Esiste un Paese reale che resiste e che ce la potrà fare perché rifiuta di ridurre tutto a merce o materiale di scarto.

chiede di rimettere in discussione l’intera questione azzardo con-testandone l’affidamento alle so-cietà commerciali perché, mosse dal profitto, non possono che incentivarne la diffusione.Una proposta difficile da sostenere nel Paese delle forti concentrazioni editoriali (ma si veda il box di Toni Mira). In molti sono disponibili, infatti, a cercare soldi per curare le ludopatie o a tollerare regolamenti comunali limitativi, da sostenere perché sempre esposti a ricorsi del-

le società davanti al Tar; ma pochi credono davvero che si possa arri-vare al cuore del problema. In tal modo, si lancia, di fatto, un messag-gio sull’impossibilità di cambiare un sistema ingiusto ma solo di ac-cettare “il principio di realtà” che obbligherebbe lo Stato a dipendere dalle entrate dell’azzardo (8 miliar-di di euro) senza ipotizzare politi-che alternative. È la stessa logica in base alla quale alcuni parlamentari hanno rispedito le istanze dei gio-vani del Movimento dei Focolari

per la sospensione della vendita di armi ai Paesi in guerra (cfr. articolo p. 44 di questo numero). Ci si può lamentare, allora, se nella nostra storia ricompare sempre lo spettro di poteri occulti? (cfr. l’articolo p. 20 sulla massoneria in questo nu-mero). Slot Mob, con pochi mezzi e un lavoro volontario di oltre 2 anni, esprime un variegato mondo dal-le solide radici culturali e civili che non ci sta a essere considerato come una nicchia consolatoria per

Se condividi, scarica il testo

della lettera da cittanuova.it

e spediscilo a: Palazzo

del Quirinale – 00187 Roma,

indicando l’indirizzo

del mittente.

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illusi e perciò propone un evento a  livello nazionale per il 7 maggio con il lancio del “manifesto di democrazia economica e giustizia sociale” accompagnato da una lettera al presidente della Repubblica che ognuno può fare

propria e spedire al Quirinale (vedi box p. 15).“Un popolo può liberare sé stes-so?”. Lo chiedemmo all’inizio di questa storia nel 2013 a Daniele Albanese, referente del primo Slot Mob, svoltosi a Biella, con centina-

ia di persone in strada. Un segnale da un tessuto civile dove, ci disse, «fruttano quegli elementi di dono, di scambio e di fraternità che sono stati il collante fondamentale del nostro distretto industriale e sono a mio avviso le pietre su cui fon-dare la rinascita del nostro terri-torio». Daniele è impegnato nella cooperazione, con i rifugiati, nella solidarietà internazionale con i Pa-esi del Mediterraneo. Il volto mi-gliore e autentico del nostro Paese da riconoscere e far crescere. L’e-conomia del noi.

l’inchiesta SOCIETÀ

Per conoscere il movimento Slot Mob, segnaliamo il libro “Vite in gioco. Oltre la slot economia” (Città Nuova).

Giorgio Borrelli, proprietario del Caffè Valentina,

scelto per il primo Slot Mob a Cagliari nel 2013.

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cittànuova n.5 | Maggio 2016

CALABRIAle regioni

un semeper enza e tiberio

a cura di Sara Fornaro

A Reggio, presidio civile per un imprenditore sotto scorta. Cittadini contro il racket sostenuti dalle istituzioni e dall’associazione Liberadi Patrizia Labate

«Mai più cittadini a intermittenza». Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, esordisce così nel giorno dedicato all’inaugurazione dei locali confiscati alla malavita organizzata e assegnati a un

imprenditore di Reggio Calabria. Tiberio Bentivoglio, titolare della sanitaria Sant’Elia, da un ventennio testimone di giustizia per essersi ribellato alle regole del racket, ha subìto vari attentati incendiari, una bomba

ha devastato il suo negozio ed è miracolosamente scampato a un tentativo di omicidio. L’ultimo incendio del suo deposito il 29 febbraio scorso. Gli aguzzini hanno atteso che Bentivoglio trasferisse la merce nell’immobile

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18 cittànuova n.5 | Maggio 2016

le regioni

prima di incendiare tutto. Dopo questo evento, l’imprenditore è stato sostenuto dalle istituzioni, ma anche dall’associazione Libera che, con un’azione lanciata mesi fa dal titolo “Un seme per Enza e Tiberio”, aveva già iniziato a raccogliere i fondi per ristrutturare il bene confiscato. Bentivoglio, da tempo sotto scorta, in questi anni ha dovuto iniziare daccapo tante volte: per mancanza di proprietari disposti ad affittargli i propri immobili, perché le banche non gli facevano prestiti, per i fondi a favore delle vittime del racket che giungono sempre troppo tardi... In questa cornice, assegnare un immobile ubicato in pieno centro cittadino, frutto dei proventi della malavita ma “libero” dal racket, è stato di un elevato valore simbolico. Dopo l’attentato del 29 febbraio, neanche Bentivoglio credeva che fosse possibile inaugurare la sede nella data prevista, a metà marzo. Invece, l’apertura del negozio si è potuta realizzare grazie ai fondi raccolti da Libera, all’apporto gratuito delle ditte che hanno realizzato i lavori e alla presenza di centinaia di persone, che insieme alle istituzioni e al vescovo Giuseppe Fiorini Morosini, il giorno dell’inaugurazione hanno formato un presidio civile per Tiberio, la moglie Enza e i due figli. Per la prima volta si è assistito a una dimostrazione unitaria di cittadini, istituzioni e forze dell’ordine. «Quest’immobile assegnato a Bentivoglio – ha detto don Ciotti – è il frutto di un sogno diurno collettivo che prelude la realtà». Adesso occorre continuità, con la corresponsabilità di istituzioni e cittadini e non solo con la postazione dei militari che per volontà del prefetto presidieranno giorno e notte la rivendita.

Assistenza personalizzata per i piccoli malati

L’Associazione bambini

cerebrolesi è un modello

di buone pratiche in campo

sanitario di Roberto Comparetti

sardegna

Uno scenario di guerra contro la malavita, certo, ma per un cammino verso la libertà.

Marco Espa è il presidente nazionale dell’Abc, l’Associazione bambini cerebrolesi, apprezzata in tutta Italia perché riesce a personalizzare le cure per ogni paziente. Persone che, grazie all’assistenza ricevuta, poi riescono – come Luca Parodi, neolaureato in Scienze della comunicazione – a reagire alla propria condizione di handicap grave.

Espa, come è nato il progetto di assistenza personalizzata?L’idea è nata in Sardegna, alla fine degli anni ’90. Le famiglie

dei bambini disabili gravissimi avevano una sola prospettiva, proposta dalle istituzioni: mettere i propri figli in un istituto, perché si diceva che la presenza di quei bambini avrebbe distrutto la famiglie. Ci siamo ribellati: nessun essere umano può vivere in un luogo segregante, privo di relazioni, e abbiamo reagito. È iniziata la sperimentazione per i primi progetti inclusivi personalizzati e co-progettati da famiglie, persone con disabilità e istituzioni. Un progetto, una persona, un budget da utilizzare per servizi a misura di quell’assistito dentro la sua famiglia, il suo territorio, la sua comunità. Progetti personalizzati, con assistenti fidati a cui affidare i figli, hanno permesso alle donne di tornare al lavoro.

Perché il vostro progetto è considerato un modello? Oggi circa 40 mila persone con disabilità grave usufruiscono di questi progetti solo in Sardegna: un numero altissimo, con un investimento di circa 150 milioni di euro. Molte regioni ci chiedono di iniziare l’esperienza in altri territori. Si è creata una grande occupazione per lavoratori di ogni qualifica (circa 15 mila) e una diminuzione del lavoro nero, sempre alto nel settore assistenziale. Nel resto d’Italia i progetti ci sono, ma solo una piccola percentuale di persone con disabilità gravi vi possono accedere: si preferisce mettere i bambini e gli adulti negli istituti e ciò non va bene. Non solo per i diritti umani, ma anche perché abbiamo dimostrato che ogni euro investito in questi progetti riduce la spesa pubblica da 3 a 5 volte rispetto ad altre forme tradizionali di assistenza.

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I 500 anni del ghetto di Venezia

Celebrazioni durante tutto

l’anno per raccontare la

segregazione razziale di Chiara Andreola

veneto

La minaccia terroristica ha obbligato a un’apertura delle celebrazioni – la Sinfonia 1 in re Maggiore di Mahler al Teatro La Fenice – in una città blindata; ma ciò nulla toglie al significato delle iniziative per ricordare i 500 anni del ghetto di Venezia, il più antico del mondo, nato il 29 marzo del 1516 quando il Senato decretò che tutti “li giudei debbano abitar unidi” in una zona recintata e sorvegliata della città. A questo scopo è stato costituito il comitato “I 500 anni del ghetto di Venezia”, con a capo il presidente della Comunità ebraica Paolo Gnignati, che in collaborazione con altre istituzioni ha organizzato una serie di iniziative: dalle mostre –

su tutte quella a Palazzo Ducale, Venezia, gli ebrei e l’Europa – al restauro del Museo ebraico, a spettacoli, conferenze, cicli di film. Al di là degli eventi che si snoderanno da qui a fine anno, l’importanza dell’anniversario risiede nel valore che il ghetto – dove risiedono circa 30 persone contro le 1.200 presenti prima delle leggi razziali del 1938, pur essendo oltre 500 i membri della Comunità – ha per la città e per il mondo. Non solo è da qui che tutti i ghetti del mondo hanno assunto questo nome – da gèto, la gettata, essendo la zona occupata da una fonderia –; ma gli ebrei che vi hanno risieduto hanno dato un contributo significativo alla città, dai rapporti economici che intrattenevano con l’Oriente alla vivacità intellettuale data dalla presenza di persone provenienti da tutta Europa e dall’Impero ottomano. «Il quartiere che ha fatto entrare la parola “ghetto” nel vocabolario di molte lingue come sinonimo di segregazione e discriminazione – affermano dal Comitato – può anche raccontare al mondo intero il contributo culturale e artistico che la comunità ebraica veneziana ha saputo fornire». Informazioni su

www.veniceghetto500.org

Veduta aerea del ghetto nuovo a Venezia.

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20 cittànuova n.5 | Maggio 2016

politica lavoro economia LOGGE

Partecipanti al congresso del Grande Oriente d’Italia a Rimini nel 2008.

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21cittànuova n.5 | Maggio 2016

Tra cronaca e storia, la massoneria, con le sue implicazioni nella vita pubblica, è spesso citata per la sua influenza esercitata a ogni livello (nazionale, sovra e internazionale). Comprensibili e doverose le curiosità che restano, però, difficili da appagare. Un semplice approfondimento ci può dire qualcosa sulla nascita della moderna massoneria, la “speculativa” (Inghilterra del 1700), sulla provenienza (le corporazioni dei costruttori, da cui deriva il nome), sul metodo (iniziatico) e sulle finalità (“perfezionamento ed elevazione dell’Uomo e dell’Umana famiglia” per usare le parole, del Grande Oriente d’Italia (Goi), la più numerosa tra le “Obbedienze” nostrane). Appena si esce dai rudimenti, tuttavia, ci si ritrova in un ginepraio inestricabile sia sotto l’aspetto formale che dei contenuti. Ma perché sia così sfuggente, lo si deve soprattutto alla “disciplina dell’arcano”, ovvero al vincolo di segretezza

cui sono strettamente tenuti i “fratelli” massoni. Da qui deriva quindi anche la possibilità di coesistenza del tutto e del contrario di tutto.È certo che negli ultimi 3 secoli la massoneria ha aggregato personalità di spicco della vita culturale, artistica, economica e politica mondiale, ben oltre quanto si immagini. Ecco cosa hanno in comune, tanto per dire, Mozart, Ford, Voltaire e Churchill. Vi è una priorità di impegno politico per il massone? Se si allude alla militanza politica, la risposta è negativa; è pur vero però che molti politici sono stati e sono espressione della massoneria e che la massoneria ha tutt’altro che rifuggito dall’impegnarsi in prima linea nelle vicende politiche e istituzionali di tanti Paesi. Valga per tutte la storia degli Usa, segnati nel loro nascere da ideali e personalità massoniche: una storia che inizia con Benjamin Franklin e George Washington e dura fino ai più recenti presidenti.

Un argomento tabù ma sempre ricorrente quando si parla di vita pubblica in Italia e non solo

massoneriae potere

di Iole Mucciconi

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22 cittànuova n.5 | Maggio 2016

La rilevanza politica delle finalità massoniche (l’elevazione dell’umanità) ha trovato espressione diretta nella politica sia istituzionale (il mondialismo che ha generato le istituzioni internazionali, dall’Onu all’Unicef ecc.), sia dottrinale, come la dottrina dei diritti umani. E in Italia? La recente celebrazione dei 150 anni dall’Unità d’Italia ha consentito la rivendicazione del ruolo delle società segrete e dell’appartenenza massonica dei “padri della patria”: Garibaldi e Mazzini su tutti, ma anche Goffredo Mameli, che ce ne ha lasciato orma nel nostro inno nazionale.Si è visto così cosa può essere (cosa è, nei fatti), la massoneria nella vita di tanti Paesi, come per il nostro: una specie di filigrana della storia, che si può omettere quando si racconta, ma senza la quale manca il timbro di autenticità. Intendiamoci, questo non accade solo per la massoneria e per i massoni. Accade per tutte le realtà umane portatrici di idee forti o magari di potenti mezzi di influenza. E la massoneria possiede entrambe le dimensioni; in più, ha la peculiarità di essere non una società segreta (si badi), ma una società i cui adepti sono tenuti al segreto, oltre che all’obbedienza al Gran Maestro.

Ci si può domandare: ma bisogna guardare con sospetto un aggregato umano di così elevato livello, che ha espresso personalità di spessore storico indiscutibile e ha dato un contributo enorme al progresso delle libertà umane? La risposta fa entrare in gioco due aspetti: quello culturale e quello dell’effettivo perseguimento degli ideali proclamati. Sotto il profilo culturale, per avere un orientamento di massima sulla direzione di marcia della massoneria, si può richiamare l’atteggiamento

del magistero cattolico che si è espresso chiaramente in senso negativo nei confronti del patrimonio spirituale (para-religioso, in verità) e filosofico della massoneria, rilevandone in innumerevoli circostanze la inconciliabilità con la dottrina della Chiesa e condannando senza mezzi termini l’adesione dei cattolici alla massoneria come confermato nel documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1983. Le concezioni antropologiche culturali sono radicalmente diverse. La

politica lavoro economia

Adepti delle maggiori massonerie d’Italia

Altri "fratelli" massoni sono conosciuti solo “all'orecchio del Gran Maestro”

20.000 Grande Oriente d'Italia

8.000 Gran Loggia d'Italia degli Antichi,

Liberi e Accettati Muratori

3.000 Gran Loggia Regolare d'Italia

4.000 Logge minori

LOGGE

Licio Gelli, maestro venerabile della P2. Giuseppe Garibaldi, anche lui massone.

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23cittànuova n.5 | Maggio 2016

fratellanza per i massoni non è universale: i non massoni sono considerati “profani”, mentre agli iniziati è riservato un destino di perfezione e di “luce”. È la ricorrente dottrina della “gnosi”. Esiste una spontanea contiguità di tanti temi cosiddetti “laicisti”, oggetto di grandi battaglie sociali degli ultimi decenni, con l’elaborazione antropologica e culturale della massoneria. E altro non si può dire, volendo evitare una fuorviante riduzione dualistica di un tema complessissimo.L’altro aspetto è relativo alle idealità e al loro effettivo perseguimento specie di coloro che, segretamente appartenenti

alla massoneria, calcano la scena pubblica. Sotto questo profilo, la nostra storia recente ci offre uno spaccato inquietante con la vicenda della Loggia P2 e con le inchieste della magistratura calabrese di qualche anno fa. Ci pare un segno ulteriore del degrado che ha colpito la società italiana. Specie la P2 resta un accadimento che continua a far suonare campanelli d’allarme (e infatti già si sono appalesate la P3 e la P4) per la schietta lucidità con

cui la loggia aveva elaborato un progetto politico e lo perseguiva dall’interno delle istituzioni, affiliando alte personalità sparse nei gangli strategici della società politica ed economica. La vicenda della P2 ha aperto la questione della massoneria “deviata”, questione che rimane centrale perché rimane aperta la domanda: era massoneria deviata o massoneria tout-court? La loggia Propaganda 2 era una loggia del Grande Oriente d’Italia, che ne ha disconosciuto l’operato ed espulso Licio Gelli; ciò non toglie che il rischio corso con la “devianza” della P2 possa essere corso anche con le altre logge. Inoltre, quella del Goi non è l’unica “comunione”

massonica italiana, è solo la più numerosa (ben oltre 20 mila adepti); seguono la Gran Loggia d’Italia degli Antichi, Liberi e Accettati Muratori (circa 8 mila) e la Gran Loggia Regolare d’Italia (3 mila). Ne seguono innumerevoli altre (anche di sole donne), persino fai-da-te. In totale, si stimano 35 mila appartenenti. In epoca di trasparenza e di siti Internet, accade che le più importanti si rendano conoscibili via web, per cui è possibile seguire, ad esempio, la loggia

La fratellanza per i massoni non è universale: i non massoni sono considerati "profani", mentre agli iniziati è riservato un destino di perfezione e di “luce”. È la ricorrente dottrina della “gnosi”.

annuale del Goi a Rimini o l’inaugurazione dell’ultima sede della Gran Loggia d’Italia Alam. Ma non potremo mai avere l’elenco degli appartenenti… Questione di privacy. L’elenco potrebbe essere richiesto dalle Prefetture e dalle Questure, ma quand’anche vi si accedesse, non si avrebbe mai la certezza della sua esaustività. Oltre agli elenchi, infatti, esistono i fratelli “all’orecchio del Gran Maestro”, coloro che non risultano in nessun elenco in ragione della rilevanza dei compiti ricoperti. Pertanto, saremo sempre fatalmente condannati alla dietrologia, esercizio che va compiuto, ma con intelligenza e molta competenza. Di massoneria, comunque, ne riparleremo.

Simboli di varie logge massoniche.

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24 cittànuova n.5 | Maggio 2016

Boves è un comune a 9 km da Cuneo. Siamo in compagnia di Enrica Giordano, da pochi mesi nuova coordinatrice della Scuola di pace. Parliamo e lasciamo che il nostro sguardo si perda sulle pendici della Bisalta, la montagna che con i suoi 2.231 metri ha tanto da raccontare, come i bovesani di una certa età. Sulle sue pendici, tante frazioni e borgate come Rosbella, Castellar, S. Giacomo, Madonna dei Boschi, quasi del tutto disabitate, ma un tempo ricche di popolazione. Sarà per la Bisalta, che da sempre è il marchio di queste terre, sarà per questa gente tenace, innamorata del territorio, ma è soprattutto per la sua storia che Boves ha tanto da raccontare. Questo comune, per il suo sacrificio nella guerra di liberazione ’43- ’45, ha conseguito il titolo di “Capoluogo di pace”, oltre a essere medaglia d’oro al valor civile e al valor militare. Lo ha fatto con una delibera del 1987 con questa motivazione:

«Perché la comunità bovesana continui il lungo cammino iniziato dai partigiani con la resistenza, proseguito con la scelta della vita democratica, sostenuto dagli ideali di lavoro, giustizia, libertà, fratellanza, cooperazione e progresso, sfociato nel gemellaggio con Castello di Godego e di istituire una scuola di pace per promuovere una cultura di pace». Promuoverla proprio qui, dove la ferocia dei nazisti si riversò il 19 settembre 1943 uccidendo 25 abitanti e incendiando 350 abitazioni.  L’antefatto che scatenò il tutto fu l’arrivo a Cuneo della divisione corazzata SS Adolf Hitler, mentre a Boves le costituende

formazioni partigiane catturarono due soldati del maggiore Peiper. Nonostante il patteggiamento, vennero uccisi tra gli altri anche un sordomuto, un’anziana donna non autosufficiente, bruciata viva nel suo letto, un giovanissimo prete, freddato mentre aiutava una paralitica, il parroco e un notabile del luogo. Ancora tra la fine dello

non basta la “non” guerra«Riflettere sul passato e analizzare l’odierno per dare indicazioni forti alla politica». È il compito della Scuola di pace di Boves secondo Enrica Giordano, la sua coordinatrice

politica lavoro economia PARTECIPAZIONE

Il maggiore Peiper con i suoi subordinati sovrintende al rastrellamento e alla strage di Boves.

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stesso anno e l’inizio del 1944 si ripeté un altro rastrellamento con altri 52 morti e 420 case date alle fiamme. Il 26 aprile 1945, infine, truppe tedesche in ritirata ammazzarono 7 persone, vendicando l’uccisione di un loro ufficiale. Celebrando i 40 anni dal primo eccidio, l’allora sindaco Piergiorgio Peano ebbe una intelligente intuizione: fare di questo comune il primo a istituire un assessorato alla pace e, sempre Peano, fondò la Scuola di pace, il cui intento è attualizzare il concetto di pace non solo nei termini riduttivi della “non” guerra, ma anche nel coinvolgere tutti i cittadini, con uno sguardo al futuro e alle sue sempre nuove sfide che esigono maggiore conoscenza per la formulazione di risposte adatte. Con la Scuola di pace l’amministrazione comunale ha inteso superare la semplice

dimensione della memoria della Resistenza, per affermare che tali ideali devono essere vissuti e rifondati in termini di sfida e di educazione anche per chi non è stato testimone di quel martirio. L’attività didattica è aperta a tutti. All’inizio era articolata in anni accademici, con corsi monotematici, le lezioni erano svolte da docenti universitari ed esperti in varie discipline provenienti da diversi Paesi, alle quali si affiancavano i protagonisti, noti e meno noti, con comprovata esperienza di vita e impegno sociale. «L’aspetto più bello di questa scuola – racconta Enrica Giordano – è scoprire che c’è ancora tanta gente che s’impegna per gli altri con gratuità e gioia, persone del mondo delle associazioni, ma anche insegnanti e giovani, con una visione e una prospettiva del futuro non a 5 o 10 anni, ma

alle prossime generazioni. La Scuola di pace riveste questo importante compito: riflettere sul passato e analizzare l’odierno per dare indicazioni forti per fare politiche concrete di pace, disarmo ed educazione alla legalità, realizzazione di un’economia giusta». Nel corso di questi anni sono venuti a Boves personalità da tutto il mondo. «Ricordo padre Renato Chiera con i suoi ragazzi della Casa do Menor, in Brasile, un’esplosione di gioia e di riscatto. Ci ha insegnato quella che lui chiama pedagogia dell’amore: dietro ogni deriva c’è una carenza d’amore. Prendendosi cura di un altro essere umano, anche chi aiuta rinforza i suoi principi, ne rinnova il credo». Quale il programma seguite quest’anno? «9 incontri su “Mafie e migrazioni”, un focus che vede l’incontro con personalità e associazioni impegnate nell’accoglienza e nell’educazione alla legalità, nella lotta alle mafie e al traffico di esseri umani. Da poco abbiamo incontrato Domenico Quirico, che ci ha trasmesso la drammaticità della realtà mediorientale e nordafricana, coi suoi esodi, le lotte intestine ed espansionistiche fra gruppi terroristici e criminali, il ruolo della grandi potenze in questo scacchiere così complesso».

di Silvano Gianti

25cittànuova n.5 | Maggio 2016

A luglio, come ogni anno, la Scuola di pace ospita un campo di educazione alla legalità per ragazzi da 18 a 30 anni. Info sulla pagina Facebook “Scuola di pace Boves”

L’incontro di apertura del ciclo “Mafie e migrazioni” con la comunità di Emmaus.

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FRANCIA

La cravatta solidale

L’Associazione “La cravatta solidale” nasce nel 2012 a Parigi ad opera di 3 giovani neo-laureati in economia. Un’iniziativa all’inizio molto semplice – raccogliere abiti eleganti da donare a poveri disoccupati per sostenere i colloqui di lavoro – e di grande successo. Ora l’associazione conta infatti 5 centri tra Francia e Belgio e fornisce agli aspiranti lavoratori anche consigli utili per sostenere i colloqui e avere fiducia in sé stessi. Ottimi i risultati: il 70% dei colloqui va infatti a buon fine.Per info: www.lacravatesolidaire.org

CON IL SUD

Sviluppo e creatività per il Meridione

Dal 2006, sono già oltre 800 le iniziative portate avanti dalla Fondazione Con il Sud: alleanza tra fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore che promuove l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno italiano. Tra gli ultimi progetti promossi, “La res”, volto a rendere produttivi i beni confiscati alla camorra col coinvolgimento di decine di organizzazioni del Casertano, e “l’Atelier dell’Ausilio”, dove i detenuti del carcere di Cerignola (FO) restaurano vecchi arti artificiali per persone non autosufficienti.Per info: www.fondazioneconilsud.it

famiglia e societàpolitica lavoro economia SOLIDARIETÀa cura di Tomaso Comazzi

COLOMBIA

Progetto “Diente de León”

Avviato nel 2013, il programma “Diente de León” (Dente di leone) si rivolge a bambini e adolescenti dei quartieri più poveri di Bogotà, capitale della Colombia. Già quasi 2500 di essi hanno avuto modo di essere coinvolti in iniziative ricreative, culturali, artistiche e sportive atte ad allontanarli da situazioni rischiose e ora l’amministrazione locale ha deciso di dare ulteriore sostegno a tale programma per garantire un futuro migliore ai minori della metropoli sudamericana.Fonte: www.fides.org

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L’economia dell’asparago selvaticoLuigino Bruni è docente di

Economia politica all’Università

Lumsa di Roma ed editorialista di

Avvenire. È tra i riscopritori della

tradizione italiana dell’Economia

civile e coordinatore del progetto

Economia di Comunione. Insieme

a Stefano Zamagni, è promotore

e cofondatore della Scuola di

Economia Civile.

Fin dalla mia prima infanzia, la primavera

è anche la stagione della raccolta degli

asparagi selvatici. Una piccola passione

ereditata da mio padre, che mia madre

esaltava con ottime frittate e gustosi risotti.

La campagna della mia residenza attuale

ne dona abbondanti e saporiti, alle pendici

delle rovine di Tuscolo, dove la gioia della

raccolta è amplificata dal paesaggio ricco

di rovine romane, teatro, tombe e i resti

della villa di Cicerone. Uno dei dilemmi

pratici dei raccoglitori è individuare la

misura minima che deve avere l’asparago

giovane per essere colto. Non ci sono norme

che lo stabiliscano, ma esiste una norma

etica tacita di non cogliere gli asparagi

appena spuntati dal suolo. Non esiste una

quantificazione in centimetri, ma anche qui

vale la regola dell’“abbastanza”: per cogliere

l’asparago cucciolo occorre che sia spuntato

abbastanza dal suolo.

Quali sono le ragioni alla base di

questa convenzione o norma etica, che

dall’asparago possiamo estendere ai funghi,

alla pesca, all’erba nei pascoli, e al consumo

e uso dei beni comuni?

Una prima giustificazione potrebbe trovarsi

nel semplice interesse personale: se

lascio crescere l’asparago, tra due giorni

ripassando nello stesso luogo lo troverò

cresciuto, e la mia raccolta sarà più ricca.

Ma nessuno mi può garantire che nel

frattempo non passino altri (soprattutto

nel Tuscolo, dove la popolazione dei

raccoglitori eguaglia in numero quella degli

asparagi) e si approprino di quanto io ho

lasciato maturare. Quindi il solo egoismo

non giustifica la non raccolta dei “boccioli”.

Per lasciare crescere i piccoli asparagi

di oggi occorre introdurre qualche altra

dimensione, più grande del solo interesse

personale. La più naturale è la dimensione

della comunità: se mi sento membro di una

comunità alla quale attribuisco un valore,

posso decidere di lasciar crescere i frutti

perché l’altro che li raccoglierà e consumerà

è qualcuno che mi interessa, perché rientra

in un orizzonte di “noi” che include anche

me. Se, ripassando di lì, mi accorgo che

qualcun altro lo ha raccolto nel frattempo,

non considero questo evento soltanto un

danno o uno spreco, perché una parte del

mio interesse dipende dal benessere dei

membri della mia comunità.

Oggi saremo capaci di salvare il pianeta e

tanti beni comuni che stiamo velocemente

e decisamente deteriorando (dall’acqua

potabile alla pesca degli oceani) se

riscopriamo un interesse più grande di

quello individuale, e ci sentiamo parte di

un Bene comune più grande e concreto

del solo bene privato. Proviamo poi ad

allargare l’appartenenza alla comunità fino

a farci rientrare ogni abitante presente e

futuro del pianeta. Gli asparagi possono

crescere finché restano vivi il bosco, il

sottobosco, le preziose asparagine che li

generano. La generatività di un bosco è una

faccenda complessa e delicata, e richiede un

atteggiamento custode e non predatorio da

parte dell’uomo. Ci sono zone nelle quali da

bambino andavo a cercare asparagi e funghi

che oggi si sono inaridite a causa di incendi,

avvelenamenti industriali, discariche a

cielo aperto, incuria e saccheggiamenti.

Lo spuntare di un asparago è un’azione

collettiva dell’intero bosco e dell’intera

comunità che lo circonda, che lo cura o lo

uccide. C’è bisogno di un accudimento non

predatorio del bosco da parte di tutti che è la

precondizione della possibilità della nascita

e della raccolta individuale degli asparagi. Se

non lasciamo crescere gli asparagi boccioli,

un giorno non ce ne sarà più per nessuno.

Il bosco non genererà più. Generare e

generosità sono due parole gemelle: la

vita ha bisogno di generosità, e quando il

solo registro che ci muove resta quello del

tornaconto personale, la generatività si

spegne per carestia di generosità. Dobbiamo

reimparare a lasciare crescere e maturare i

boccioli, nei boschi e nelle città, educando il

nostro istinto predatorio ad una logica di un

interesse più alto, quello di tutti. E quando

vediamo un bell’asparago maturo pronto ad

essere raccolto, impariamo a vederlo come

un bocciolo al quale qualcun altro ha dato la

chance di poter crescere.

oltre il mercato LUIGINO BRUNI

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bruxellesnon si piegaal terrore

29cittànuova n.5 | Maggio 2016

hanno riaperto le 12 stazioni della metropolitana, non però Maelbeek, dove i vagoni sfrecciano senza rallentare mentre dai finestrini si scorgono solo teli neri che nascondono il teatro del secondo attentato. C’è ancora una sorta di coprifuoco perché il trasporto pubblico viaggia solo dalle 7 alle 21. Il settore della ristorazione soffre perché la clientela è crollata, in alcuni casi fino all’80%. E lo stesso per i turisti. L’aeroporto di Zaventem sta tornando gradualmente operativo ma ci sono costanti controlli alle automobili, ai bagagli e alle persone, mentre una tenda bianca ospita il check in e i bagagli richiedono il trasporto a mano fino agli aerei. Qui si ha l’impressione di essere ancora in una zona di guerra, distante dalla nostra esperienza di Europa calma e pacifica.Bruxelles resta ancora una comunità crogiolo di nazionalità e di etnie le più diverse. Il problema è che spesso le differenze sono giustapposte e si toccano senza armonizzarsi. Interi quartieri sono

A più di un mese dall’attentato la città, sede delle principali istituzioni europee, è ancora blindata. L’ironia dei belgi sdrammatizza, ma serve ripensare l’identità di una comunità dalle mille culture

Bruxelles, ferita e tramortita, ricomincia a vivere. Aiuta la straordinaria capacità dei belgi di attraversare le crisi, anche le più gravi, con una dose di autoironia che rende le peggiori tragedie leggere e sopportabili. L’abbiamo vista, questa leggerezza, nella reazione composta e degna della cittadinanza nei giorni seguiti agli attentati del 22 marzo, coi tanti messaggi di pace tra i fiori e le candele alla Place de la Bourse. E abbiamo visto la generosità con cui hanno aperto le loro abitazioni a chi era rimasto bloccato in città quel terribile martedì, quando nessun mezzo di trasporto pubblico era in funzione e i social media hanno permesso di organizzare trasporti privati per riportare a casa i pendolari.Col bel tempo i parchi di Bruxelles – tantissimi, quasi cento – cominciano a riempirsi di gente e di bambini che giocano. In tanti si sono ritrovati in città perché hanno rinunciato alla partenza per le vacanze pasquali, decisi a restare coesi nel condividere la sofferenza. L’11 aprile

di Carlo Blengini - corrispondente

La presenza di oltre mille

soldati armati dispiegati per

le strade e di mezzi blindati

davanti ai palazzi delle

istituzioni europee è visibile e

contrasta con la grande voglia

di normalità dei cittadini.

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abitati quasi esclusivamente da un’unica nazionalità, specie tra gli arabi e i musulmani, e questo è assai visibile passeggiando per le strade di Molenbeek, di Schaerbeek, del quartiere africano di Matongé. Un blog ne dava questa fotografia: «Città cosmopolita certamente, multiculturale forse, ma in ogni caso non interculturale». Servono ponti tra le culture, servono persone coraggiose che li attraversino e incontrino l’altro, uomo e donna, dietro l’aspetto in apparenza totalmente altro dalla

propria e particolare identità.È già successo, in modo non miracoloso ma frutto di una volontà politica ben precisa a Vilvoorde, cittadina industriale alle porte di Bruxelles, dove si registra una forte presenza islamica. Qui i giovani musulmani a rischio di radicalizzazione sono stati individuati e accompagnati da una rete civica capillare formata da genitori, professori e attivisti del quartiere, oltre che da volontari adulti che li impegnano nello sport, facendoli sentire importanti per la comunità e soprattutto amati. La collaborazione con le realtà religiose locali rispecchia la convinzione che la fede non sia un problema, ma parte della soluzione. In questo modo si è tagliata l’erba sotto i piedi ai reclutatori estremisti, che spesso si rivolgono a ragazzi finiti in prigione per futili ragioni e trovando attorno a sé il vuoto e l’assenza di prospettive per il futuro vengono sedotti dall’ideologia del terrorismo. Le cellule terroristiche degli attentati di Parigi e di Bruxelles hanno queste origini.Serve invece rafforzare una convivenza non parallela tra le culture e la costruzione di un’identità comune che ammette le differenze. Un esempio è la vita di Loubna Lafquiri, di Molembeek, l’unica vittima musulmana degli attacchi del 22 marzo. Professoressa di ginnastica in una scuola privata musulmana, madre di 3 figli, persona straordinariamente normale, belga di origine marocchina tra belgi di origini varie, è la prova di un’integrazione possibile e il marito ha più volte ribadito che «Molenbeek è anche Loubna Lafquiri, non solo Salah Abdeslam, il terrorista». E assieme a lei, Mourad Laachraoui, fratello di uno degli attentatori del 22 marzo, che gioca nella nazionale belga di taekwondo. L’interculturalità che ancora manca a Bruxelles riparte da queste storie.

30 cittànuova n.5 | Maggio 2016

pagine internazionali BELGIO

Ogni stazione metro di

Bruxelles è decorata. A

Maelbeek, Benoît van Innis

ha dipinto visi stilizzati su

piastrelle bianche in parte

sfigurati dall’attentato del

22 marzo. Volti anonimi

che per anni sono stati

guardati con indifferenza da

anonimi viaggiatori. Perché

l’interculturalità non resti

utopia serve guardare di più

i volti di chi abita la città e

riconoscere in essi qualcosa

che appartiene anche a me.

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G7, G20, Brics e Mint. La crisi dei circoli economici alternativiPasquale Ferrara, diplomatico e

saggista, docente di diplomazia

e relazioni internazionali alla

Libera Università Internazionale

degli Studi Sociali Guido Carli

(Luiss) e all’Istituto Universitario

Sophia (Ius).

In un sistema internazionale in rapido

mutamento, in cui i ruoli degli Stati e

delle regioni del mondo stanno cercando

un nuovo assetto, continuano a nascere

raggruppamenti e sigle che tentano di

cristallizzare i rapporti di forza, anzitutto

economici, tra i protagonisti della politica

mondiale. Il gergo dei politologi li definisce

con la formula di “governance globale”.

All’origine c’era il G7, cioè il club dei 7

Paesi più industrializzati del mondo (Stati

Uniti, Canada, Giappone, Germania, Gran

Bretagna, Francia, Italia), poi divenuto

G8 per accogliere la Russia, salvo poi

ridiventare G7 come ritorsione verso Mosca

per aver annesso la Crimea. Poi è sorto il

G20, per far spazio a nazioni emergenti

come la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia,

l’Indonesia, il Sudafrica, l’Australia. Ma nel

frattempo Brasile, Russia, India, Cina e

Sudafrica, forti di tassi di crescita economici

parecchio elevati nella prima decade del

XXI secolo, avevano dato vita a un altro

“circolo”, quello dei “Brics”, così definito

da un economista della Goldman Sachs

dalla lettera iniziale dei vari Paesi membri.

Questo raggruppamento, che aveva preso

progressivamente coscienza del proprio

peso nell’economia mondiale, avrebbe

voluto trasformare questa posizione

in un ruolo più politico e strutturale e

da qui riunioni, vertici, dichiarazioni e

convergenze. Questo gruppo, come pure

quello del G20, non si sa bene però quale

funzione dovrebbe esplicare rispetto alle

istituzioni internazionali ufficiali, come ad

esempio le Nazioni unite, l’Organizzazione

mondiale del commercio e le istituzioni

finanziarie quali il Fondo monetario

internazionale e la Banca mondiale.

Sicuramente queste associazioni hanno

rappresentato un’istanza di cambiamento

verso una governance più ampia e inclusiva,

che non tenga conto sempre e solo dei Paesi

occidentali “tradizionali”. Ma oggi i membri

del Brics sono quasi tutti in una condizione

di rallentamento economico e stanno

sperimentando difficoltà anche in ambito

sociale e politico-istituzionale (vedi il caso

del Brasile).

Intanto il solito economista della Goldman

Sachs ha prontamente coniato un’altra

sigla, quella dei “Mint”: Messico, Indonesia,

Nigeria e Turchia. Sarebbero questi i Paesi

destinati a sostituire, per così dire, nella

posizione di traino dell’economia mondiale i

“vecchi” Brics. Per il momento, da quanto si

sa, i Mint non hanno ceduto alla tentazione

di farsi anche loro un club esclusivo. Ciò

che appare incongruo è la proliferazione di

“circoli” alternativi, modello “fai da te” in un

ambito delicato come quello dell’economia

mondiale, preoccupata di mettere un

qualche ordine nell’anarchia distruttiva

del capitalismo speculativo e di cercare, al

contempo, nuovi sbocchi di investimento

per il capitale finanziario.

scenari mondiali PASQUALE FERRARA

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I leader del Brics: Dilma Rousseff, Narendra Modi, Vladimir Putin, Xi Jinping e Jacob Zuma.

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32 cittànuova n.5 | Maggio 2016

l’irrigazione, le reti idriche urbane, la costruzione di dighe per l’elettricità, a cui si aggiungono pesca e allevamento intensivi. Attualmente il bacino alimenta 30 milioni di persone ma negli ultimi anni le migrazioni sono cresciute e sono nati non pochi conflitti con le popolazioni indigene. Una comunità di pescatori ganesi si è trasferita sulle rive mentre 30 villaggi sono stati creati dai nigeriani sul territorio camerunense, sottraendo al Paese un’area oggi sotto il controllo della Nigeria. Un piano di sviluppo e protezione è stato presentato durante la conferenza per il clima a Parigi e varie risoluzioni sono state adottate dai capi di Stato dei Paesi sul lago per rispondere alla crisi ambientale. Intanto si lavora per inserirlo tra i luoghi Patrimonio mondiale dell’umanità.

Davanti al Parlamento si susseguono le manifestazioni dei sostenitori del governo e dell’opposizione che ha presentato per la terza volta presso il Consiglio nazionale elettorale (Cne) la richiesta di referendum per revocare il mandato di Maduro, ma il Cne ha fatto sapere che tale disegno di legge è di sua competenza e non appartiene ai parlamentari. Il braccio di ferro tra i poteri dello Stato rischia di chiudere un dialogo civile e aperto con la gente sempre più esasperata.

Il bacino del lago Ciad è un esempio per gli scienziati di tutto il mondo degli effetti dei cambiamenti climatici. Tale Paese e in particolare un Comitato (LCBC) di tutti gli Stati confinanti con lo specchio d’acqua, cioè Camerun, Nigeria, Niger, Repubblica Centrafricana, a partire dal 2000 hanno cercato di mobilitare la comunità internazionale per salvarlo. 30 anni fa il lago copriva una superficie di 25 mila kmq ed era ricchissimo di pesce, oggi si stende su appena 2500 kmq: un puntino nelle mappe geografiche poiché circa il 90% della sua superficie si è prosciugata. Gli esperti sono allarmati e qualcuno pronostica la scomparsa della riserva di acqua dolce in meno di 20 anni. Le autorità attribuiscono il ritiro delle acque al riscaldamento globale, ma le cause sono molteplici:

Se la rivoluzione bolivariana del comandante Hugo Chavez aveva messo fine a un lunghissimo periodo di governi corrotti dando voce a settori marginali della popolazione, oggi questo nuovo corso è fortemente messo in crisi da una guida poco carismatica come quella di Nicola Maduro. Alla caduta del prezzo del greggio, prima risorsa economica del Venezuela, si aggiunge l’inefficenza generale del Paese che si trova a fare i conti con una vulnerabilità finanziaria ed economica senza precedenti. L’inflazione è alle stelle, Caracas è la città più violenta del mondo e gli scaffali dei supermercati sono talmente vuoti, da far sembrare lussuosi quelli di epoca sovietici. Manca persino la carta igienica e molti disoccupati “lavorano” facendo file per rifornirsi di uno o più prodotti da rivendere al fiorente mercato nero. A poco serve imputare all’“ultradestra economica fascista e golpista condotta dall’Impero Usa di Obama” le cause di questa disfatta.

AFRICA

Sul lago Ciad si rischia la crisi ambientaledi ARMAND DJOUALEU

VENEZUELA

Il fallimento della rivoluzione di Chavez di SILVANO MALINI

pagine internazionali FLASH DAL MONDO

Su cittanuova.it

un approfondimento

sulle origini della crisi

in Venezuela.

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33cittànuova n.5 | Maggio 2016

in guerre senza via d’uscita e non sono mancati i massacri di ufficiali della polizia e dell’esercito, che in Egitto continuano a godere di una certa stima della popolazione pur con tante zone d’ombra. Il Paese di Al Sisi dal 2011 ha visto sorgere centinaia di gruppi criminali che rubano, sequestrano e uccidono e la crisi economica innestata dagli attentati ha provocato il crollo del turismo, ora fermo al 5% rispetto a quanto non fosse solo qualche anno fa. Quando il 30 giugno 2013  milioni di egiziani si sono rivoltati contro le politiche dell’allora presidente Morsi, legato ai Fratelli musulmani (poi destituito da al Sisi con una sorta di golpe), è stato dato un segnale chiaro contro il fondamentalismo islamico non solo per l’Egitto ma per l’Italia e l’intera Europa. La giustizia verso Giulio non deve far dimenticare che le relazioni tra questi due Paesi non possono scivolare in accesi processi ai governi. I colpevoli vanno condannati, non solo quelli di Giulio ma anche quelli che vendono illecitamente armi all’Isis e a correnti terroristiche altrettanto violente. Serve poi una grande capacità di perdono reciproco e questa è la testimonianza che i familiari e le madri dei copti assassinati in Libia lo scorso anno a Sirte e Barqa hanno dato ai nostri popoli. E di questo perdono tutti abbiamo bisogno.

problemi attraverso le vie del dialogo». Non sono ancora trascorsi 5 anni da quando l’Eta, l’organizzazione che lottava per l’indipendenza di questi territori, ha deciso di consegnare le armi e lavorare per la riconciliazione. Tra le manifestazioni di rilievo il progetto “Trattato di pace”, sul rapporto tra guerra e pace attraverso i suoi simboli, e il “Summit sulla diversità linguistica in Europa” dove si elaborerà un protocollo a garanzia delle lingue minoritarie.

La dolorosa vicenda di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso al Cairo lo scorso gennaio, è diventato un caso diplomatico tra Italia ed Egitto, ma non può diventarlo anche tra italiani ed egiziani. Attorno all’assassinio di questo giovane tante verità si stanno dipanando col rischio di diventare letture parziali o banalizzazioni da circo mediatico. Gettare discredito su un Paese nuoce agli italiani che amano l’Egitto e nuoce ai 100 mila egiziani che hanno stabilito la loro residenza in Italia. L’impressione data dai media è quella di un’Italia che vorrebbe punire tutto un popolo fatto di 90 milioni di persone. Vari amici in questi giorni esprimevano il loro dispiacere per questa tragedia e chiedono giustizia al pari degli italiani, non dimenticando che anche l’Egitto continua a non avere notizie di un suo giovane cittadino, Adel Moawad Heikal, scomparso in Italia alcuni mesi fa. Il contesto internazionale richiede prudenza e visione soprattutto perché l’Egitto è tra i Paesi in prima linea nella lotta contro l’islamismo jihadista e va sostenuto perché anch’esso conta molte vittime innocenti uccise sul suo stesso suolo dai terroristi. Quelle che in Europa sono state considerate Primavere arabe hanno portato alla destabilizzazione di Libia, Iraq, Siria, Yemen, coinvolti

“DSS2016EU” è un monogramma o un anagramma? In realtà è la sigla della nuova capitale europea della cultura: “Donostia-San Sebastián 2016 Europa”. Si fa riferimento a due termini locali: EU che richiama l’Unione europea e la parola “Euskadi”, cioè “paese basco”; mentre Donostia è riconducibile a “done”, il santo che ha dato il nome a San Sebastián. Questa cittadina a Nord della Spagna proporrà per tutto il 2016 un programma incentrato sulla pace, perché «la società basca – come ha precisato l’organizzazione – cammina verso la soluzione dei

EGITTO

Le tante verità su Giulio Regenidi MOUNIR FARAG

e BRUNO CANTAMESSA

SPAGNA

Donostia-San Sebastián, la capitale basca della cultura europeadi JAVIER RUBIO

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INTERVISTA A

Potrà mai il mondo vivere in pace finché la città della pace sarà murata?

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35cittànuova n.5 | Maggio 2016

Dal 2012 è la prima donna e la prima cattolica a diventare sindaco di Betlemme. Una città sotto assedio con gravi problemi economici, politici e sociali. Dialogo con una grande donna, vedova, con 5 figli, che dice: «Non mi importa nulla del potere»

daco senza autorità perché quan-do il consiglio comunale decide di aprire una strada, di fare un pro-getto per l’acqua, per l’elettricità devo sempre chiedere il permes-so ad Israele. La gente che vive in questa città fronteggia tante di quelle difficoltà che non potete ne-anche immaginare.

A cominciare dal muro…Siamo nati per agire e interagire con altre persone, culture e nazionali-tà. Il fatto che la città è murata da più di 12 anni ha delle conseguenze sull’economia, sulla prosperità, sulla politica. Gli stessi turisti visitano la basilica della Natività e scompaio-no. Non c’è una vera relazione con la città e i visti sono rilasciati solo da Israele. Il muro condiziona anche la nostra fede, perché sin da bambini eravamo abituati a visitare i luoghi originari di Gesù. C’è una intera generazione di giovani palestinesi

Vera. Di nome e di fatto. Autentica, schietta, diretta. Sposata, con 5 figli e vedova perché il marito Johnny è morto 9 anni fa, a soli 49 anni, per le conseguenze delle torture in un carcere israeliano. Ti fissa con i suoi intensi occhi blu marino, il vol-to rotondo, i capelli corvini e parla a braccio, con affetto, mirando dritto al cuore. E la comunicazione non verbale incide più delle parole.

Ci spiega com’è divisa la città di Betlemme?In base agli accordi di Oslo del 1993 la Cisgiordania è stata classi-ficata in 3 zone amministrative: A, B e C. Anche a Betlemme la zona A, sia l’amministrazione che la si-curezza, è gestita dai palestinesi. Nella zona B i palestinesi gesti-scono l’amministrazione, mentre la sicurezza è garantita dagli isra-eliani. La zona C è tutta in mano agli israeliani. Di fatto gli israeliani

hanno il controllo totale dell’82% della città.

Spesso sui media si parla di sparatorie in città e case demolite. Com’è la situazione?La vita quotidiana a Betlemme è molto tranquilla. Incidenti, sca-ramucce tra i giovani e l’esercito israeliano accadono lungo i con-fini, lontano dai luoghi turistici. Di notte, però, i soldati israeliani entrano nella città, persino nelle piazze principali, abbiamo le prove dalle telecamere di sorveglianza, e compiono degli arresti. Dopo la se-conda intifada entrano anche nella zona A e B perché, a loro arbitrio, hanno cambiato il protocollo.

Il prossimo ottobre terminerà il suo mandato da sindaco, può fare un primo bilancio?Fare il sindaco di Betlemme è uno dei lavori più difficili. Sono un sin-

a cura di Aurelio Molè

Betlemme• Città della Cisgiordania, del Governatorato di Betlemme dell’Autorità nazionale palestinese

• L’ Autorità nazionale palestinese nasce nel 1993 in seguito agli accordi di pace di Oslo

• Abitanti 40 mila. 28% cristiani. 72% musulmani

• In ebraico Beit Lehem significa la “Casa del Pane”

• Città dove è nato Gesù e anche Davide, secondo re di Israele

• Si trova a circa 10 km a sud di Gerusalemme, ad un’altezza di 765 m sul livello del mare

• La chiesa della Natività a Betlemme è una delle più antiche del mondo (330)

IsraeleGerusalemme

Betlemme

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VERA BABOUNintervista a...

mo deciso con il consiglio comu-nale, di abbassare le tasse dell’80% sulle licenze e sulle proprietà per chi vive e lavora nell’area turisti-ca. Lo abbiamo fatto per sostenerli anche se ciò significa un impoveri-mento di risorse per il comune. Ma a noi chi ci sostiene? Chi sostiene la nostra doppia identità? Quella cristiana universale e quella pale-stinese.

Ma chi glielo fa fare?Solo l’amore di Dio. Lo avverto in maniera molto forte. Non mi im-porta nulla del potere, della fama; per me fare il lavoro di sindaco è un peso che mi costa non poco. Dopo la morte di mio marito e dopo aver lavorato tutta la vita nell’educazio-ne, ho deciso di prendere il posto di mio marito perché si era impe-gnato politicamente per la libera-zione della Palestina.

Il livello di povertà raggiunge il 22% e la disoccupazione il 27%...Prima i giovani si recavano a Ge-rusalemme per lavorare. Oggi solo il 3% ottiene il permesso. Non si può nemmeno andare a Ramallah perché ci sono due ore di strada e i salari sono molto bassi. Per questo le nuove generazioni scelgono di emigrare in altri Paesi. E la disoc-cupazione maggiore è tra i cristia-ni: le loro partenze sono più visi-bili, più riconoscibili e le famiglie cristiane sono veramente povere.

Quali sono le realizzazioni più positive del suo lavoro come sindaco?Negli ultimi due anni abbiamo rag-giunto un accordo strategico per Betlemme per aumentare i confini della municipalità. Abbiamo otte-nuto 2 kmq dentro il muro verso il Nord e 1 kmq al Sud. Un mese fa abbiamo avuto l’approvazio-ne ufficiale dall’amministrazione palestinese. Inoltre, sin dal 1958, non esisteva un piano regolatore.

cristiani che non ha mai pregato nel Santo sepolcro di Gerusalemme.

È come vivere in un carcere all’aperto per 40 mila detenuti?Con il muro non sigilli solo un terri-torio, soffochi la vita, metti un osta-colo al normale svolgimento delle attività umane. Quando chiediamo uno Stato palestinese non è solo per una questione di giustizia, ma an-che e soprattutto di vita. Significa avere il controllo sulla governance, sulle migliori opportunità lavorati-ve, sul territorio. Anche se Israele ha firmato gli accordi di Oslo, nei fatti, non li ha mai applicati. Sin dal 1993 quello che doveva diventare lo Stato palestinese è stato occupato da migliaia di coloni. Le proteste dei giovani contro di loro non sono organizzate. È pura disperazione. E i coloni sono armati, si possono muovere dove vogliono e fanno quello che vogliono.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito anche a un peggioramento della situazione economica… Le conseguenze del vivere in una città murata si vedono non solo nel

turismo ma anche nell’indotto: in-dustria e artigianato. Insieme alle limitazioni alla mobilità delle per-sone e dei trasporti, causano l’in-terruzione di un circolo virtuoso. Quando lavori, produci, guadagni, spendi, investi. Ne risente anche la salute. Anche se abbiamo degli ottimi ospedali come Holy Family Hospital, Maternity Hospital, Ca-ritas Baby Hospital, soffriamo di grandi carenze negli ospedali pub-blici, per quanto concerne i reparti oncologici e chirurgici. Ci manca un centro moderno per curare le malattie dei reni, abbiamo 120 pa-zienti in lista di attesa. Per il can-cro o problemi cardiaci dobbiamo andare a Hebron o a Gerusalemme.

Le cancellazioni delle prenotazioni dei turisti per le ultime festività di Natale hanno raggiunto il 40% …È il risultato della situazione politica, non di una reale situazio-ne di pericolo. Siamo la capitale della natività, celebriamo e man-diamo al mondo un messaggio di pace, mentre a Betlemme manca proprio la pace. Dopo il 40% di cancellazioni di quest’anno, abbia-

Vera Baboun riceve il premio Chiara Lubich a Manfredonia nel marzo scorso.

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a un bivio. Essere israeliana e per questo rigettare tutto quello che le raccontavo, o provare compassio-ne per la mia vicenda. In un pri-mo momento lei non era riuscita ad accettarmi e se n’è andata dalla stanza dove ci eravamo incontrate. L’ho seguita e le ho detto che mi dispiaceva di averla urtata. Bella mi ha spiegato che non era colpa mia, ma del sistema. Allora le ho chiesto di tornare indietro (si com-muove ndr). Così è nata la nostra amicizia. Un muro separa la mia città, Betlemme, dalla sua, Geru-salemme. Ma tra noi due non ci sono più muri. Prego affinché mol-ti ebrei d’Israele possano guardare alla nostra amicizia. Bella vive lo spirito dei Focolari nel senso che siamo tutti figli di Dio ed è solo l’amore e la compassione che ci porta a vivere insieme. Noi uomini abbiamo costruito il muro attorno a Betlemme, non si può costruire da solo. Dio ci ha dato la libertà di costruirlo o di abbatterlo. Anche dentro di noi.

La riorganizzazione dei confini della municipalità ci ha permesso di approvarlo. Abbiamo diviso la città in aree turistica, industriale, residenziale, commerciale, la cit-tà vecchia. Stiamo riorganizzando la mobilità interna: i mezzi di tra-sporto, la viabilità, i servizi. Au-mentare i confini e avere un piano regolatore permetterà alla città di ottenere maggiori entroiti da uti-lizzare per il bene comune.

Lei ha spesso dichiarato: «Potrà mai il mondo vivere in pace finché la città della pace sarà murata?»…Finché sarà murata la città di Bet-lemme, ci sarà un muro attorno alla pace. Siamo sotto assedio. E per il mondo è meglio lavorare per liberare la pace, non solo per Bet-lemme, ma per liberarci dal senso del male, dall’uso della religione come maschera per coprire malva-gità e guerra. Anche oggi, come ai tempi della nascita di Gesù a Bet-lemme, i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una fa-miglia, di una società, del mondo intero. Ricordiamo tutti le imma-gini del piccolo Aylan, il bambino siriano annegato sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. Segno di una buona umanità è quando riuscia-mo a proteggere i nostri bambini. L’umanità ha fallito quando i bam-bini non sono considerati.

Ci sono vie possibili di uscita?Dicono che un unico Stato è la so-luzione, ma è una grande bugia. Siamo in regime di apartheid come lo era il Sudafrica. Uno Stato con due nazioni non può funzionare. Quando nel 1948 le Nazioni Unite riconoscevano lo Stato d’Israele, perché non riconoscevano anche l’esistenza del popolo palestinese su questo stesso territorio? Noi, come popolo, siamo un fatto. Nes-

suno può prendere i palestinesi e trasferirli su Giove. Eppure sono stati recentemente confiscati altri 3,2 kmq di terreno e stanno chiu-dendo la Cremisan Valley, ricca di vigneti e ulivi. Per spiegare quello che stiamo vivendo, è come se ne-gli splendidi oliveti italiani arri-vasse qualcuno e ci costruisse un muro in mezzo.

Due anni dopo la preghiera per la pace con Francesco, i due presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas, e con lei presente, vede qualche segno di progresso?Per me la preghiera è stato il modo in cui papa Francesco ha cercato di insegnarci come costruire la pace, avviando un processo concreto. Riunirci insieme, pregare insieme, ebrei, cristiani e musulmani, con un vero senso di Dio. La preghiera può, poi, proseguire con il dialogo e la negoziazione, rispettandosi l’un con l’altro, accettandosi re-ciprocamente. Avevamo pensato fosse stato un passo importante per la pace, ma Israele, appena pochi giorni dopo, ha annunciato una nuova guerra contro Gaza, di-struggendola quasi completamen-te con armi ultra-sofisticate. Del resto, è sempre stato così. Anche l’anno scorso, quando il Vaticano ha annunciato il riconoscimento dello Stato della Palestina, Israele ha cominciato a costruire il muro nella Cremisan Valley.

È possibile instaurare una autentica amicizia tra palestinesi e israeliani? Lei ha un’amica ebrea dall’altro lato del muro?Ho conosciuto Bella, una donna ebrea, in un centro dei Focolari a Gerusalemme. Gli ho raccontato la storia di mio marito torturato in un carcere israeliano. Lei mi ascoltava anche se notavo un cer-to conflitto interiore. Era davanti

«Betlemme sarà sempre per la pace, per l’arte di amare, la speranza, la riconciliazione, la fratellanza».

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Nella legge Cirinnà è prevista la non obbligatorietà

della fedeltà. Le regole per farsi felici

e le conseguenze psicologiche dell’infedeltà

Nella recente legge sulle unioni civili è prevista la non obbligatorietà della fedeltà da parte della coppia dello stesso sesso. Il dibattito nell’opinione pubblica si è da qui allargato con domande tipo: «Perché non

eliminare l’obbligo di fedeltà anche per i matrimoni?» e «Ha ancora senso la fedeltà coniugale?».Oggi è consuetudine ascoltare amici, parenti o colleghi vantarsi delle proprie avventure

extraconiugali. La fedeltà è vista come difficile, patetica, quasi banale. La regola principe è invece: vietato vietare. E tuttavia la nostra vita si fonda sulla fedeltà. La si può descrivere come la forza che vince il

PSICOLOGIAfamiglia e società

con te fino alla fine?

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tempo, il mutare e il perire, non con la durezza e fissità di una pietra, bensì come forma vitale che cresce e crea. Essere fedeli significa perseverare nell’amore, rimanere fermi nella responsabilità, superando mutamenti e rovesci. Ha in sé qualcosa dell’eternità.

Il miglior modo per costruire un buon matrimonio è avere le idee chiare sin dall’inizio. Quando concludo un incontro con coppie di fidanzati, chiedo il motivo per cui intendono sposarsi: se rispondono che desiderano «essere felici», li invito ad aspettare e riflettere ancora un po’, invece mi complimento con le coppie che rispondono che vogliono «farsi felici». Comunque, anche se ci si sposa con queste premesse, è importante non trascurare mai le piccole cose: cercare di mantenersi attraenti sia fisicamente che intellettualmente, evitando la sciatteria nell’abbigliamento e nella cura della propria persona. Anche se avanti negli anni, poi, gli sposi non devono mai abbandonare le tenerezze fisiche che da fidanzati abbondano: il vero amore fisico coniugale si basa in gran parte sulla tenerezza, non sull’erotismo. Inoltre, è importante non smettere di parlarsi e ascoltarsi. Bisogna imparare a tacere finché si è sicuri che l’altro abbia detto tutto quello che voleva. Spesso accade che la comunicazione nella coppia si riduca solo al livello del “che cosa”, dandosi istruzioni o informazioni a vicenda, mentre nel vero dialogo mettiamo a nudo l’anima, rivelando senza pudore la nostra intimità al partner. L’amore coniugale profondo

esclude l’infedeltà, perché una coppia affettivamente e sessualmente soddisfatta ha scarse spinte centrifughe, è sazia di sé stessa e non percepisce un altro più attraente del partner.

Rimanere insieme è comunque una scelta, che richiede attenzione e impegno. Si è fedeli non per mancanza di opportunità o per insicurezza e paura delle conseguenze, ma per salvaguardare il rapporto fin qui volutamente costruito, per garantire la preferenza a una relazione così speciale nella sua unicità e globalità, per l’amore che si è donato e ricevuto reciprocamente. La coppia è una relazione a spirale in cui si cresce insieme, aiutandosi reciprocamente, dove la fedeltà richiede maturità psicoaffettiva, col controllo delle pulsioni al piacere. Tutto ciò vale per chiunque, anche per chi si orienta verso la vita consacrata, ma particolarmente per la vita matrimoniale. Scrive Malachia, profeta dell’Antico Testamento: «Il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza… la donna legata a te da un patto… nessuno tradisca la donna della sua giovinezza». Queste parole bibliche suggeriscono l’atteggiamento da assumere per essere fedeli: concentrarsi sull’immagine “giovanile” del proprio partner, anziché imporre a sé stessi di non guardare fuori dalla coppia.

Il nostro inconscio, riconosce e accetta con più facilità la fedeltà coniugale rispetto all’infedeltà; infatti quest’ultima genera sempre uno stato di disagio mentale sia in chi lo procura

(stress da doppia vita) sia in chi lo subisce (stress da sentirsi rifiutato/a), mentre l’essere fedeli genera sempre solo benessere psichico alla coppia. Quest’ultima considerazione potrebbe spiegare come mai le civiltà, per quanto riguarda i costumi sessuali, si siano orientate quasi tutte verso la monogamia piuttosto che la poligamia. Oggigiorno si può anche mettere in discussione il valore della fedeltà coniugale: il problema però non è la presenza o meno di una legge in merito, ma capire come la psiche si comporta in caso di infedeltà. Dietro l’angolo potrebbe essere in agguato quella che alcuni psicologi chiamano “la vendetta degli dèi”, ovvero il rischio che l’inconscio reagisca con sintomi da malessere psichico.

di Pasquale Ionata

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Anche se avanti con gli anni, gli sposi non devono mai abbandonare le tenerezze fisiche

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la maggior parte di voi condivide il mio pensiero, anche se c’è chi ha idee differenti, come è normale che sia. L’idea che abbiamo sulla sessualità ci viene data durante la nostra crescita. Anche se il nostro pensiero su questo tema tende a cambiare a seconda dei periodi della nostra vita, ciò che ci viene insegnato da piccoli è importantissimo.La sessualità umana viene influenzata da cultura e società, ma anche dal nostro progetto di vita. La sessualità siamo noi e il modo con cui ci rapportiamo con la vita.

prevaricazione, sfruttamento, violenza.Alcuni anni dopo essermi sposata, con un’amica ostetrica mi sono avvicinata allo studio della fertilità per la regolazione delle nascite. Mi si è aperto un mondo che ancora oggi, quando ne parlo alle coppie, mi incanta. È stato bello parlarne coi figli adolescenti, sottolineando la perfezione della fisiologia maschile e femminile rivolta all’avvento di una nuova vita. La conoscenza porta al rispetto per l’altro, ma poi ci vuole l’educazione ad accoglierne la diversità, tenendo conto della sua psicologia e interiorità. Solo così si arriva al vero incontro e si vive appieno la vita sessuale.Per i giovani, piuttosto che divieti e prediche, credo sia efficace far vedere la bellezza di una relazione sana di coppia, ciò a cui tutti anelano. Anche nei momenti in cui i difetti emergono e ci fanno soffrire, può essere utile ripensare a quello che ci ha fatto innamorare dell’altro, quando lo vedevamo con gli occhi dell’Amore.

È un argomento delicato, che di solito si tende a evitare, ma su cui bisogna confrontarsi, perché spesso si rimane ignoranti su questo tema. Per questo con altri ragazzi ho partecipato al progetto Up2Me, un corso basato sul rapporto tra le persone e con sé stessi, incentrato su sessualità, uso dei contraccettivi, rapporto uomo-donna, differenze tra i due, aborto e altri argomenti che ho trattato nella rivista Teens. La sessualità consente la riproduzione della specie, permette di far diventare più intimo il rapporto tra due innamorati e… “divertirsi”. Ha un significato prettamente fisico o c’è dietro anche un senso più passionale, una ricchezza nel volersi bene tra due persone che si amano? Io penso la seconda cosa e così sono sicuro che

La sessualità intesa come differenza di genere è la prima diversità che sperimentiamo nella vita. Da quando nasciamo ci rapportiamo con la madre da cui dipendiamo, e col padre, figura prossima ma diversa. Il mio nipotino ama gli animali. Ne ha una scatola piena e mi spiega: questa è la giraffa “macchio” e questa è la femmina. La differenza tra maschi e femmine è importante, con caratteristiche fisiche e psicologiche complementari. Come tutte le differenze, se accettata e valorizzata, è un arricchimento. Oggi una certa cultura vorrebbe sminuire questa diversità, secondo me impoverendo il disegno dell’umanità, che è declinata in maschio e femmina.La sessualità indica anche il rapporto tra uomo e donna, la relazione amorosa, la genitalità. Molte volte ho pensato che la sessualità sia un dono straordinario che ci è stato dato per trasmettere la vita, ma anche per vivere l’unione con l’altro in uno scambio reciproco che soddisfa la nostra sete di unità, di relazione profonda. E questo dono dà gioia. Ma può essere rovinato, diventando

Nonni e nipoti

Cosa significa la sessualità?MARINA GUIla nonna

MARCO D’ERCOLE il nipote“

famiglia e societàf i li i à DOMANDE & RISPOSTE

40 cittànuova n.5 | Maggio 2016

Una nonna e un nipote

(non della stessa famiglia!)

si confrontano su uno stesso

tema. Per imparare gli uni

dagli altri.

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41cittànuova n.5 | Maggio 2016

Lo psicologo

EZIO ACETI

Generazione 2.0

Insegno in una quarta elementare, ma mi sembra di stare con bambini dell’asilo: sono agitati, anche se intelligenti, e perdo continuamente tempo a richiamarli all’attenzione… Un’insegnante - Bologna

I bambini sono cambiati. Solo 30 anni fa un’insegnante poteva tenere una classe con 30 bambini, mentre oggi con classi di 15 è faticoso avere anche il minimo ascolto. Una prima ragione è dovuta alla miriade di stimoli che un bambino riceve sin dalla nascita. Questo lo rende in grado di collegare molte attività, ma in modo superficiale

e immaturo. Il risultato è che i bambini sono cognitivamente intelligenti, ma emotivamente fragili e immaturi. E in difficoltà quando devono esercitare concentrazione e attenzione. Una seconda causa sta nei programmi scolastici e nelle attività previste: sono ancora quelle dell’epoca precedente, con l’apprendimento visto come fatto cognitivo e di concentrazione, mentre l’aspetto relazionale viene lasciato alla buona volontà dell’educatore.Tutto ciò deve cambiare. Occorrerebbe insegnare, sin dall’infanzia, alcune autonomie che noi possedevamo ai nostri tempi, perché circostanze e società ci costringevano a

impararle: capacità introspettiva, di ascolto e di cooperazione, insieme con gestione delle emozioni. Perché non prevedere una nuova materia di “autonomia relazionale”? I bambini imparerebbero ad apprezzare l’ascolto e le relazioni con sé stessi

e gli altri. Del resto ciò sarà inevitabile, a partire dalla formazione di insegnanti ed educatori. Avremo il coraggio di farlo?

L’etnopediatra

RICCARDO BOSI

La sciabola di Ashraf

L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima in 36 mila i bambini siriani – nati profughi in Libano dall’inizio della guerra del 2011 – che, non avendo certificati di nascita in nessun Paese, sono apolidi. Senza alcun diritto. “Non esistono”. Ma quando ce la fanno a salvarsi – grazie a un corridoio umanitario

un gruppo è da poco arrivato in Italia –, eccome se esistono! Visito una decina di bambini. Si fa subito avanti Ashraf, 9 anni. Un lampo spavaldo passa nei suoi occhi verdi quando entra nello studio barcollando, sbilanciato. È forte, ma traballa perché è senza una gamba, dilaniata da una granata, e usa le grucce. «La notte questi bambini urlano, hanno incubi», ci dice l’operatore. È lo stress post-traumatico: ad Aleppo i barili-bomba non hanno fatto solo

morti e danni fisici, ma anche devastato la psiche dei ragazzi. Completate le visite e pianificato qualche esame, ci salutiamo. Non smettono di ringraziare. All’uscita Ashraf scivola e cade. Una gran botta in testa! Corriamo all’ingresso, ma niente di serio, per fortuna. Come pensavo, la gomma alla base delle vecchie stampelle è consumata, il tubo di ferro sporge. Per questo è scivolato. Ma lui, appoggiato alle spalle del fratellino, riprende a sorridere brandeggiando

una delle grucce come una sciabola. È arrivato presto per te, Ashraf, il tempo di duellare con la vita, col destino che ti ha tolto patria, amici, futuro, e ti sta chiedendo di combattere con una gamba sola. Onore delle armi, giovane guerriero: grazie a te e ai bambini come te che, dopo viaggi assurdi, vengono a scombussolare le sicurezze di noi abitanti della Fortezza Europa. Queste sì, che sono le nostre stampelle.

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famiglia e società

Continuiamo con voi la condivisione di parte

delle interessanti riflessioni di Jesús Morán

alla prima scuola tutors di Up2Me (cfr. Città Nuova n. 4/2016), da cui siamo interpellati

come adulti/genitori/educatori o più

semplicemente come persone che vivono

nell’oggi con le nostre domande, ricchezze e

problematiche. Accanto alla sfida culturale

del “riduzionismo”, eccone un’altra, positiva,

del pensiero post-moderno: la “generatività”.

Tutti possiamo generare, intendendo questo

termine non solo nel senso letterale del dare

vita a un figlio, ma nell’ampio significato

di creatività. Far nascere rapporti vitali,

relazioni creative con tutto il nostro essere

corporeo, psichico, spirituale. O meglio…

saremmo fatti così. Perché qui, come

argomentano in un bel libro (Generativi) i coniugi Magatti-Giaccardi, si inserisce

il binomio di quelli che vengono da loro

chiamati giver (chi dona), contrapposti ai

taker (chi prende).

Si tratta allora di accompagnare i ragazzi,

cominciando in famiglia, perché la loro

personalità si sviluppi come giver, con scelte

e decisioni conseguenti. Chi percorre la via

del dono non avrà confini: in qualunque

situazione, andrà alla ricerca di rapporti

creativi, “generativi”, sarà capace di

abnegazione, sacrificio, amore vero. La

persona come tale è sempre apertura, ha

un chiaro indirizzo – metafisico – nel senso

del give. Chi non sviluppa questa capacità

avrà sempre come confine il proprio “io”,

sarà chiuso nella ricerca di ciò che lo

soddisfa: “prendere” continuamente. L’una

dimensione è sempre aperta, l’altra è “curva”

su sé stessa. Ognuno di noi riconosce in

sé qualcosa di uno e dell’altro di questi

atteggiamenti, che in genere fanno parte

entrambi della nostra personalità. Forse

contro l’uno o l’altro combattiamo una

battaglia quotidiana dai risultati alterni…

Allora: si dona o si prende, giver o taker?

pianeta famiglia BARBARA E PAOLO ROVEA

Chi prende e chi dà

Integrare la diversità

FEDERICO DE ROSA

GabbieCosa significa essere autistici? Come definizionee come assunzione di consapevolezza da parte tua.  Grazie, Federico!Antonella - Ragusa

Il mio cervello funziona diversamente dal vostro. Ipersensorialità, mancanza di visione d’insieme, blocco comunicativo. Molta fatica ad esprimermi. Un giornalista una volta mi ha chiesto di definire

l’autismo e ho risposto: «Devi uscire da molte gabbie, ma sei senza chiavi. Il mondo è oltre le sbarre, lo vedi, non ci puoi arrivare senza aiuto. E non sai chiedere aiuto». Anche da piccolo provavo la sensazione di essere diverso dagli altri: l’ambiente esterno mi confondeva. Tutti parlavano con naturalezza e io non ci riuscivo. Provavo rabbia e mi infuriavo con la mia mamma. L’amore mi arrivava bene dentro ma l’angoscia in me cresceva. Finché una sera d’estate in vacanza al mare (credo avessi 7

o 8 anni) fra le lacrime chiesi a mia madre: «Mamma, che cos’ho?». Allora praticamente non parlavo ma era tale l’angoscia che le parole mi uscirono di getto. Parole di angoscia. Mamma mi spiegò e per la prima volta questo mio stato ebbe un nome: autismo. Chiesi poi: «Perché proprio a me?». Mamma rispose che molte persone nel mondo ne soffrivano e che la mia famiglia combatteva questa battaglia con me e mi amava così com’ero. Da allora ho combattuto in prima persona,

facendomi parte attiva nei percorsi riabilitativi e nella vita sociale. Continuo a combattere per me e per chi non ha la fortuna di essere consapevole della sua diversità: molto c’è da fare per includere tutti. Ognuno di noi è prezioso.

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tDOMANDE & RISPOSTE

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AZIONI NEL PAESEcantiere italia

cultura delle relazioni /un impegno comune

giovani ha partecipato a un laboratorio parlamentare di approfondimento sull’appello per la pace, il disarmo e la riconversione industriale con alcuni parlamentari, a giugno; queste sono iniziative encomiabili e risposte concrete sarebbero auspicabili. C’è anche un’altra sorta di guerra: quella delle mafie alla convivenza civile. Un fenomeno deliquenziale che ha fatto emergere veri e propri martiri; le mafie ostentano pure il potere di apparire impunemente in televisione. Non ci spaventano queste frange di “deboli”, vittime a loro volta dell’inganno del potere, delle armi e dei soldi. Abbiamo invece fiducia nelle minoranze creative, fedeli alla logica della concretezza e della vita, che alimentano il risanamento del tessuto sociale. Papa Francesco è un segno formidabile di questo processo di speranza irreversibile. Rosalba Poli e Andrea Goller

Il 16 maggio saranno due mesi che giovani dei Focolari hanno presentato in Parlamento un documento con precise domande sul commercio (non) legalizzato di armi. Nel frattempo un gruppetto di questi

Fiducia nelle minoranze creative

in questo numero

Roma, Milano, Caserta,Loppiano (FI)

Iniziative avviate sul territorio italiano in campo sociale, politico, economico ed ecclesiale.

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44 cittànuova n.5 | Maggio 201644 cittànuova n.5 | Maggio 2016

DISARMOcantiere italia

La guerra è inutile

etica, nell’accoglienza dei migranti, nell’impegno politico, sentiamo una forte responsabilità nella costruzione della pace sia in quanto singoli sia in quanto parte di una comunità.Questa nostra esigenza ha trovato immediato riscontro nell’appello della presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, a impegnarsi per la pace. Il 16 marzo dunque, nell’ambito del percorso già iniziato lo scorso anno in Parlamento su “La fraternità universale in cammino”, insieme a 260 giovani provenienti da tutta Italia abbiamo presentato un appello sull’“Inutilità della guerra”

La guerra è entrata nelle nostre vite. I media riportano quotidianamente bollettini di morte da tutto il mondo, ogni giorno migliaia di migranti fuggono dai conflitti nei loro Paesi, gli attentati terroristici in Europa hanno blindato le nostre città e risvegliato la paura del “diverso”, generando incertezza sul futuro. Tutto ciò ci porta a interrogarci: qual è la nostra posizione di fronte alla guerra? Noi giovani delle scuole del Movimento Politico per l’Unità e Giovani per un mondo unito italiani, a partire dal nostro impegno nel dialogo interreligioso, nella finanza

DI FRONTE AI BOLLETTINI DI MORTE CHE PIOVONO DA PIÙ PARTI,

GIOVANI ITALIANI SI MOBILITANO PER ANDARE ALLE RADICI

DEI MECCANISMI CHE MINACCIANO LA PACE.

LA TAPPA IN PARLAMENTO. UN LORO CONTRIBUTO

Aleppo distrutta dai bombardamenti.

ROMA

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45cittànuova n.5 | Maggio 2016

Noi crediamo che la pace sia un percorso possibile, che parte dalle scelte quotidiane di ciascuno, ma che necessita di azioni politiche dirette a intervenire sulle cause dei conflitti e sulle condizioni che generano diseguaglianza. C’è già chi ogni giorno costruisce la pace, come ci hanno raccontato i ragazzi migranti che vivono in un centro di accoglienza pugliese, o i giovani cristiani e mussulmani che sperimentano il dialogo interreligioso, o Federico, che ha rifiutato l’offerta di un’azienda a lavorare nel campo della progettazione di missili. Le loro esperienze sembrano raccogliere l’invito «a non rimanere affacciati al balcone della storia» rivolto da papa Francesco alle giovani generazioni.L’evento del 16 marzo è stato solo l’inizio di un percorso. Già in tutta Italia si stanno moltiplicando iniziative e gruppi di approfondimento su questi temi. Vogliamo contribuire alla diffusione di una cultura della pace, analizzando la radice dei conflitti e promuovendo il dialogo interreligioso. Vogliamo agire concretamente, coinvolgendo quanti nella società civile già da tempo si impegnano per costruire la pace, ad esempio aderendo alla campagna Bankmob, per “votare col portafoglio” una finanza più trasparente ed etica, oppure affiancandoci alla rete disarmo e a tutte le realtà che stanno chiedendo a gran voce l’attuazione della legge 185/90, anche tramite il coinvolgimento delle istituzioni locali e dei media. Inoltre continueremo a dialogare con i parlamentari, portando avanti le nostre istanze per la realizzazione di politiche per una pace duratura e sostenibile.

a parlamentari rappresentanti delle diverse forze politiche. Nell’appello abbiamo chiesto l’applicazione di leggi già in vigore e che vietano la vendita e l’esportazione degli armamenti verso Paesi in stato di conflitto o che stanno commettendo gravi violazioni dei diritti umani; abbiamo chiesto lo stanziamento di fondi per la riconversione a fini civili dell’industria bellica, la trasparenza e il controllo delle transazioni bancarie verso importazioni, esportazioni e transito di sistemi d’arma. Abbiamo chiesto inoltre l’attuazione di politiche di pace attraverso la promozione dell’accoglienza e dell’integrazione, attraverso il dialogo interreligioso e interculturale.

Nel dialogo con i parlamentari abbiamo ricevuto risposte eterogenee, ma abbiamo constatato che per molti la pace è solo un’utopia per “anime belle”. La guerra invece, secondo noi, ha dei precisi responsabili, come ci è stato anche mostrato dal prof. Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Iriad (Istituto ricerche internazionali archivio disarmo), il quale ci ha fornito dati sul coinvolgimento dell’Italia e dell’Europa nell’ambito del commercio mondiale di armamenti e sugli interessi economici nei conflitti in atto.

Un giovane e combattivo Igino

Giordani, parlamentare negli

anni del dopoguerra, scriveva:

«La pace è scienza, è civiltà, è

luce: come la guerra è istinto,

è buio. Aspettarsi, come s’è

fatto, dalla carneficina una

civiltà migliore, cioè dal male

il bene, dal nero il bianco, è lo

stesso che pretendere dalla

ghigliottina il miglioramento

pedagogico delle teste che

recide».

di Maria Chiara Cefaloni e Marco Luchini

Incontro in Parlamento con 260 giovani

su “La fraternità universale in cammino”.

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46 cittànuova n.5 | Maggio 201646 cittànuova n.5 | Maggio 2016

EDUCAZIONEcantiere italia

Una scuola per tutti

Qual è la sua originalità?Don Carlo ha sempre visto come una profonda ingiustizia sociale il fatto che solo i ricchi avessero la possibilità di accedere a livelli qualitativamente superiori di istruzione e potessero avere un’educazione cattolica solo in quanto “benestanti”. Per lui non sarebbe stata pensabile una scuola cattolica che non fosse, al tempo stesso, per tutti. E non a parole, ma nei fatti. Ha applicato così alla realtà educativa scolastica il principio della comunione dei beni. Per questo al Montini, da 40 anni a questa parte, non esistono le “rette”.

Don Paolo, con quale scopo è nato il liceo Montini?Di fronte alle continue occupazioni e politicizzazioni della scuola di Stato e a fronte di una scuola cattolica che poteva essere usufruita solo da chi aveva le possibilità economiche per farlo, don Carlo Calori ha voluto una scuola popolare, per tutti, e cristiana, intendendo con questa espressione tanto i contenuti dell’insegnamento, quanto il metodo dello stesso: l’attenzione alla persona, seguita e accompagnata con un amore attento. A 10 anni dalla sua morte queste sue intuizioni restano ancora valide, anche se il contesto culturale e sociale è notevolmente mutato.

UN ISTITUTO PARITARIO UNICO NEL SUO GENERE: IL LICEO MONTINI,

FONDATO NEL 1976. NE PARLIAMO CON IL RETTORE, DON PAOLO ZAGO,

PARROCO IN UNA GRANDE PARROCCHIA DEL CAPOLUOGO LOMBARDO

MILANO

Lezione in un’aula del liceo Montini di Milano.

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47cittànuova n.5 | Maggio 2016

passo con la dimensione di una scuola di qualità e culturalmente elevata. Popolare non ha mai significato, per lui, “di basso livello”. La sua attenzione educativa nei confronti di tutti non lo ha portato a livellare verso il basso i termini della proposta. Anzi. A tutti noi ha sempre richiesto una grande competenza professionale.

È ancora così dopo tanti anni?Personalmente sono testimone, ormai da 10 anni, da quando cioè don Carlo è morto, e il cardinale di Milano mi ha chiesto di proseguirne l’opera, del fatto che questi pilastri reggono ancora.Al Montini (che nel corso degli anni è diventato liceo classico e linguistico) possono accedere tutti, anche chi non può pagare. La proposta educativa prevede che i ragazzi durante l’anno scolastico abbiano momenti formativi, giornate di ritiro spirituale e attività di servizio pomeridiane e serali coi minori, i diversamente abili, gli anziani e il mondo dell’emarginazione. Inoltre nel corso dell’estate svolgono settimane di volontariato in Italia e all’estero. Il tutto rispettando la libertà del soggetto, mai imponendo nulla. I docenti cercano di fare in modo che tutti gli studenti possano raggiungere gli obiettivi didattici consoni alle loro capacità, non escludendo anche traguardi di eccellenza per chi può raggiungerli.

Che risultati avete ottenuto? Direi buoni sia sul versante didattico sia su quello educativo. Decine di vocazioni sono nate sui nostri banchi e centinaia di famiglie hanno trovato e trovano occasioni di crescita e di maturazione.

Prospettive? In occasione del 40° della scuola abbiamo deciso di far nascere un liceo Montini in Africa, in Guinea. Con le stesse attenzioni educative. Un gruppo di persone sta già partendo per l’Africa a questo scopo.

Come è possibile portare avanti una scuola senza “rette”?Ogni famiglia contribuisce in maniera libera al mantenimento della scuola secondo le proprie possibilità e secondo coscienza. Crediamo all’onestà delle persone, vivendo la cultura della fiducia, a partire da una passione educativa e dall’amore per i ragazzi. La scommessa è quella di mettere l’economia al servizio dell’educazione dei ragazzi, corresponsabilizzando le famiglie. Ciascuno sa quanto ci costa il loro figlio, dopo di che ciascuno fa i suoi calcoli: è una libera contribuzione secondo coscienza.

Ma ottenete i soldi necessari?Chiaramente no. Ogni anno mancano a preventivo decine di migliaia di euro per sanare il bilancio. E allora tutte le componenti della scuola si danno da fare. I professori offrono gratuitamente delle ore di insegnamento con corsi pomeridiani; gli studenti si adoperano per raccogliere fondi; i genitori offrono il loro servizio e apporto. Ma è soprattutto la Provvidenza che da anni ci sostiene, attraverso strade sempre sorprendenti.

Diciamo la verità, spesso le scuole paritarie vengono accusate di essere dei “diplomifici”. Lo è anche il Montini?Decisamente no. Per don Carlo la dimensione popolare andava di pari

Il liceo Montini nasce per

opera di don Carlo Calori nel

1976 in una realtà periferica

di Milano, con lo scopo di

offrire una proposta educativa

cattolica e di qualità.

a cura di Aurora Nicosia

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48 cittànuova n.5 | Maggio 2016

PROGETTIcantiere italia

ecologia /concorso fotografico

casa comune”, si ispira proprio al testo di Bergoglio. Le immagini fotografiche scelte entreranno a far parte di un fotolibro (immagini e testo) che, diffuso a livello nazionale, avrà l’intento di stimolare una riflessione sulla cura della casa comune sia sotto forma di denuncia del degrado ambientale e umano esistente sul pianeta che di esaltazione dell’armonia natura-uomo. Molteplici i temi a cui dovranno ispirarsi le foto, indicati nelle linee guida: la governance globale, l’inquinamento, la destinazione comune dei beni, l’acqua, i poveri, l’ecologia della vita quotidiana, la libertà, il mondo interconnesso. Per maggiori informazioni

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Fissare in uno scatto un panorama cittadino, un paesaggio naturale, un ambiente suggestivo, un volto, un momento particolare che richiami un passaggio della Laudato si’, l’enciclica di papa Francesco sull’ecologia. È la proposta di un concorso artistico fotografico indetto dalla Fondazione Mario Diana Onlus, il cui titolo, “La

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AIPECcantiere italia

Ma che cos’è in pratica la EoC-IIN nata a Loppiano? Una rete internazionale

EdC o – per conservare il concetto insito nella parola “incubazione” – “terrà al caldo” nuove aziende EdC per permettere loro di nascere, svilupparsi e crescere. L’incontro a Loppiano è stato anche l’occasione per collegarsi già in maniera concreta e operativa fra associazioni EdCin Paesi diversi come nel caso dell’associazione italiana Aipec e della brasiliana Anpecom: incontrarsi e conoscersi è stato un tutt’uno col decidere di firmare un patto di “gemellaggio” e collaborazione reciproca.Il lancio del Microcredito di economia civile e di comunione (Mecc), piccola banca al servizio delle idee imprenditoriali, e la presenza del direttivo con il presidente Steni Di Piazza, sono stati l’ultimo tassello che permetterà agli imprenditori di vedere nel Polo la casa che aiuta a farla nascere, a dare forma all’impresa per offrirla al mercato.Aipec sarà la compagna che sosterrà e accompagnerà l’imprenditore che vorrà completare il percorso di vita economica civile e di comunione.

EoC-IIN ovvero Economy of Communion International Incubating Network: è il nome scelto per designare la rete internazionale di supporto all’imprenditorialità nata lo scorso 12 marzo al culmine di un intenso incontro di lavoro della durata di 3 giorni, svoltosi a Loppiano, presso il Polo Lionello. 80 persone da 26 Paesi – da varie nazioni dell’Africa, dalla Corea alle Filippine, dal Brasile, all’Argentina, dal Messico agli Stati Uniti e da quasi tutti i Paesi europei –, si sono ritrovate in rappresentanza delle realtà EdC di tutto il mondo dopo un lavoro preparatorio svoltosi sia localmente che a livello centrale nell’arco degli ultimi mesi. Significativa la rappresentanza dei giovani. Scopo dell’incontro era generare insieme, nell’anno del 25° EdC, un progetto in grado di rispondere alle sfide di oggi, dando così vita a una nuova stagione di EdC in tutto il mondo.

Una rete per gli imprenditoriRAPPRESENTANTI DI TUTTO IL MONDO EDC HANNO PROGETTATO

LA NUOVA STAGIONE DELL’ECONOMIA DI COMUNIONE

LOPPIANO (FI)

a cura della redazione

49cittànuova n.5 | Maggio 2016

Incubatori d’impresa,

cioè, strutture di supporto

sistematico a idee

imprenditoriali, ce ne sono

già tanti nel mondo. Il punto

di forza, il vero capitale

di questa iniziativa è

l’Economia di Comunione.

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50 cittànuova n.5 | Maggio 2016

TEMPO PER GLI ALTRIstorie

Vieni a casa mia

Un romano in pensione malato di diabete.

Un berbero immigrato senza fissa dimora.

Storia di un’amicizia

a cura di Aurelio Molè / Illustrazione di Valerio Spinelli

Un tugurio maleodorante. Le narici respirano il fumo del camino, l’umido si propaga nell’aria, anche se la stanza è attraversata da un piacevole tepore. Un letto a castello, pile di panni lavati dappertutto, ma ordinati, un cucinotto con la macchina del caffè, una semplice credenza di color noce, poche carte ammucchiate sulla spinta dell’aria e della forza di gravità. Un grande disordine e la sensazione di una vita ridotta al minimo, all’essenziale, sospesa su un filo di fragilità estrema. Una lampadina a incandescenza con i filamenti tremolanti illumina le pareti scrostate di vernice e appiattisce tutto su un giallo tenue. Una luce calda che ben si armonizza con il sapore di casa che, nonostante tutto, si gusta.È visibile l’imbarazzo negli occhi di Bruno che si riscalda portando le mani vicine al fuoco. Si scusa per il disordine e lo stato della casa. 50 metri quadri su Via della Magliana a Roma. Se non fosse così anziano, mi rammenterebbe ancora di più Braccio di Ferro. Il volto bonario, pochi capelli, la barba bianca incolta, il tono un po’ burbero e arrabbiato come marchio di fabbrica che cela un cuore d’oro. Mohammed mi offre del caffè. Alto come un giocatore di

pallacanestro, fiero, robusto. Sembra un guerriero con i piedi di argilla e le gambe fragili, indossa le scarpe senza calzini anche se fa freddo per timore di una ulteriore trombosi venosa, oltre le 5 già subite. Quando la conversazione si complica, preferisce virare sull’inglese, ma oltre all’arabo, sa bene anche il francese. La loro è una storia singolare. Di ordinaria solidarietà in una grande città dove spesso non si conoscono neanche le persone del proprio condominio.È da poco trascorso il Natale. Mohamed è fuori per una visita medica. Rientra e trova Bruno accasciato a terra, vicino al camino. Gli tocca la fronte. Ha la febbre alta, farfuglia parole in libertà. Vaneggia. Sviene. È in coma diabetico, ma nessuno lo sa. La perdita di coscienza avviene per il tasso di ipoglicemia particolarmente basso, solo 40. Mohamed chiama l’ambulanza. Bruno non risponde, né si risveglia. Gli operatori sanitari fanno una iniezione, inseriscono una flebo intravenosa. Dopo un’ora Bruno si riprende. Bastava poco, un ritardo di Mohamed, e la loro amicizia sarebbe continuata in altre forme. «Ma sia chiaro – commenta ironico Mohamed –: non voglio fare il figlio adottivo perché Bruno è un rompiscatole».

Intanto, però, gli ha salvato la vita. Mohamed è un berbero, si definiscono mazighen, “uomini liberi”. È fuggito dal suo Paese perché doveva combattere contro il suo popolo in una guerra definita civile. Ha trovato l’Italia, ma ha perso la sua stagliata identità, né arabo, né europeo. Lavora duro per anni: ai mercati generali, nei traslochi. Il fisico lo sorregge, ma le ferite psicologiche lo tormentano ancora: 7 amici

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51cittànuova n.5 | Maggio 2016

”Amavo l’Italia – racconta Mohamed – perché è il popolo più vicino alla mia terra. Sono dovuto fuggire per ragioni politiche.

e 2 parenti uccisi dall’esercito. Si smarrisce tra le vie di Roma, diventa un senza fissa dimora. Per l’emergenza freddo si sistema in un centro di assistenza, con la bella stagione cammina tutta la notte inseguito dalle sue paure. Non si fida di dormire, da solo, per terra. Si riposa di giorno, sulla strada, su qualche cartone. Fino all’approdo sulle rive del fiume Tevere. Un mondo sconosciuto, poveri, immigrati, persone con

mille difficoltà si sistemano in case di cartone e lamiere nascoste nella vegetazione. Mohamed trova una baracca diroccata. Senza luce, riscaldamento, finestre. È pericolante, ma si arrangia. Lì dentro si sente al sicuro. Davanti alla casetta di Bruno che abita poco distante sono ammassati resti di tavoli, pezzi di legno, scarti di materiale edilizio. Mohamed si avvicina e gli chiede una porta che Bruno gli regala.

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storie

Incuriosito lo segue e osserva dove abita. «Io sono solo – pensa – e ho una stanza in più». «Avevo paura che morisse lì dentro. Un crollo improvviso era sempre possibile». Mohamed è un lupo solitario, ma Bruno insiste. Dopo un anno si trasferisce a casa sua.Una bella coppia di amici. Bruno, classe 1938, soffre di diabete. Mohamed, classe 1968, laureato in economia, immigrato senza fissa dimora, si occupa di lui. L’unico reddito è la pensione sociale di Bruno che ha sempre lavorato come gruista, ma rigorosamente in nero. Ricevono una busta di alimenti dalla Caritas con cui vanno avanti tutta la settimana. Per la cura della salute si rivolgono all’Inmp, una delle eccellenze sconosciute della Sanità italiana. Mohamed

tutti i giorni cucina per lui, trova la legna per il camino, lo accompagna per le varie visite mediche. «Ogni tanto – interviene Mohamed – gli cucino anche il cuscus, un piatto tipico berbero che esiste da un migliaio di anni. Ho una ricetta segreta che ho migliorato negli anni». Le difficoltà nascono dalla differenza di età, dai diversi punti di vista. «Cerco di convincerlo a credere – commenta ironico Mohamed – ma lui non crede quasi in nulla». «È più forte di me – risponde Bruno –, non riesco a credere nei preti». Insieme formano quasi un originale nucleo familiare, si aiutano a vicenda, combattono contro molte avversità e ingiustizie. Mohamed è colto, aperto. Bruno ha una carica umana e una simpatia naturali.

Due mondi, due culture, due religioni. «Ogni famiglia – dice Bruno – potrebbe ospitare un profugo». «Anche se – puntualizza Mohamed – il bene non va pubblicizzato. Altrimenti, per la mia religione, diventa peccato». Uscendo dalla loro casa un senso di mistero mi avvolge. Avverto la presenza di Dio nei poveri.

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TEMPO PER GLI ALTRI

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papà si diventa

Pensierini irriverenti

sulla funzione del padre

Si dice “istinto materno”, sarebbe dunque la maternità qualcosa di profondamente radicato nell’animo femminile. Non so se le cose stanno proprio così, quello che so è che se mamma si nasce, papà si diventa. Bisogna imparare: ci vuole tempo e applicazione. E bisogna stare attenti perché prima o poi arriva la valutazione, la pagella.Io mi sono trovato in una condizione privilegiata, perché mia moglie mi ha procurato 4 valentissimi docenti: Andrea, Chiara, Anna ed Elena. Nati a due anni di distanza l’uno dall’altro, mi hanno assicurato la continuità didattica per un periodo molto lungo e caratterizzata da una non comune pluralità di indirizzi. Pur con le loro particolari “specializzazioni” possedevano un unico originale metodo attivo basato sull’insegnamento derivante dai piccoli accadimenti quotidiani.Non dimenticherò mai quella volta in cui, entrato nella stanza dei loro giochi, vidi l’armadio a tre ante, alto fin quasi al soffitto, curiosamente spostato al centro della camera. Poiché il più alto dei 4 arrivava sì e no agli 80 centimetri, meravigliato e preoccupato, chiesi come diavolo avessero fatto. Sorridenti e laconici come maestri Zen risposero: «Insieme!».A volte usavano sorprendere il padre-discepolo con domande intriganti perché, si sa, è

Due giovani lasciano il loro villaggio in campagna per andare a lavorare lontano, in città. Dopo tanti anni di sacrifici, diventano ricchi e decidono di ritornare nel villaggio per godersi il resto della vita. Sulla strada incontrano un anziano con in mano un gong che li sta aspettando. Si rivolge a loro: «Sono il custode della morte. Secondo il mio registro è arrivata la vostra ora. Avete ancora 3 giorni di vita e al tramonto del terzo giorno verrò a suonare il gong. Quando sentirete il suono, la vostra vita terminerà».I due rimangono scioccati. Hanno tanto faticato per accumulare tesori per godersi la vita, invece non gli restano che 3 giorni! Così arrivano al villaggio. Il primo ricco è molto triste, non mangia né beve, conta i suoi soldi e pensa di dover morire presto. Aspetta con angoscia l’ora del tramonto e, al termine del terzo giorno, quando si presenta l’anziano alla porta, al primo suono del gong cade per terra e muore.Il secondo ricco pensa: «Veramente non ho mai fatto nulla per gli altri, adesso voglio usare bene questi soldi per aiutare i poveri e i bisognosi». Si mette subito a distribuire i beni ai poveri, costruire ponti, asfaltare strade, si dà così tanto da fare che perfino dimentica la faccenda del gong.Passati 3 giorni, ha ormai dato via quasi tutti i suoi beni. Il popolo

importante sgomberare il campo dalle false sicurezze. Come quella volta che Elena (3 anni) fissandomi con sguardo severo, mi chiese: «Perché non posso, se voglio?». A 40 anni di distanza, sto ancora cercando una risposta.Da certi segnali mi pare di aver capito che Andrea sia stato il commissario politico del gruppo docenti. Un giorno, mentre cercavo con un certo imbarazzo di spiegargli che un mio consiglio non voleva assolutamente essere un ordine, mi disse: «Capisco, ma tu sei il papà!».Chiara, invece, si occupava della mia educazione religiosa e del mio rafforzamento nella fede.Qualche giorno dopo la morte di mia madre, mentre stavamo dicendo le preghierine della sera,improvvisamente saltò in piedi nel suo lettino e, con la forza di un antico profeta, gridò: «Allora, Gesù! Questa nonna quand’ è che “rivivisce”?!». Ci fu un periodo in cui le difficoltà e gli insuccessi mi avevano un po’ depresso. Ed ecco arrivare Anna, la dolcissima psicologa del gruppo, mi porge un nido di paglia contenente 4 pulcini fatti con il pongo e mormora: «È per te, papà. Questi siamo noi: guarda come stiamo al calduccio qui dentro!».Una cosa che senz’altro ha influito positivamente su tutto il nucleo familiare – docenti e studenti – è stata l’assenza del televisore. E così i 4, abituati a inventarsi sempre nuovi giochi originalissimi (come spostare armadi, per esempio), anche se qualche volta, dai nonni, capitava che vedessero la tv, si facevano beffe perfino del mago Zurlì. Questo però li portò ben presto a un pericoloso scetticismo nei confronti di chiunque tranciasse sentenze dal piccolo schermo: conduttori, esperti, politici… Ma, si sa, nessuno è perfetto.

di Vittorio Sedini

una storiella cinese

Un passo oltre il confine

tra la vita e la morte

è possibile

di Stella Chiu Yuen Ling

53cittànuova n.5 | Maggio 2016

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cittànuova n.5 | Maggio 201654

TEMPO PER GLI ALTRIstorie

del villaggio per ringraziarlo chiama la banda per fare festa davanti a casa sua, non mancano fuochi d’artificio e petardi.Proprio in quel momento arriva l’anziano, in perfetto orario. Suona il gong, ma nessuno lo sente, tanto è il rumore della festa. Suona un’altra volta e ancora, ma il suono svanisce nel nulla. Alla fine si arrende e se ne va.

ricominciare nonostante tutto

Una giovane donna

di Torino si racconta.

La sua esperienza di

separazione.

La speranza di una

vita nuova

di Giulia Francese

Mio marito è stato il primo ragazzo della mia vita. Siamo rimasti fidanzati per 7 anni, durante i quali io mi impegnavo negli studi. Appena terminati e trovato un lavoro, ci siamo sposati. Dopo quasi 3 anni è nato Gabriele. Il nostro desiderio è sempre stato quello di una famiglia numerosa, accompagnata da Dio, ma ad un certo punto il nostro rapporto si è sgretolato improvvisamente quando mi ha detto che non desiderava andare avanti. Dopo diversi mesi di confronto ha deciso di lasciare la nostra casa. Il mondo mi è crollato addosso e anche la fede ha iniziato a vacillare. Mi sono anche arrabbiata con Gesù perché tante volte gli avevo chiesto di farmi capire se il cammino del matrimonio con Carlo era giusto per me. Mi sono sentita sola, non capita anche da chi cercava di starmi accanto. Mi sembrava di ricevere solo critiche, di essere guardata con disprezzo e mi sentivo un po’esclusa dagli amici, dai conoscenti, dalla comunità.

Qualche mese più tardi mi sono resa conto che le lacrime e il senso di colpa mi stavano distraendo da ciò che di più importante avevo: il mio bambino. Mi sono sforzata di mettere tutto dietro le spalle e anche con l’aiuto di una psicologa e di un sacerdote ho cercato di riprende il controllo della mia vita. Da 4 anni partecipo a degli incontri per un gruppo di persone separate e divorziate che si incontrano mensilmente con un sacerdote per un momento di riflessione su quanto la parola del Vangelo può dirci. È un momento di confronto molto intenso: questo ha dato nuova forza alla mia vita. Mi ha fatto conoscere persone meravigliose.Rialzarsi è stato impegnativo e spesso, anche oggi, è difficile non vacillare, non colpevolizzarmi e non cadere nelle accuse verso il mio ex marito per la scelta che ha fatto e per alcune decisioni che prende nei confronti di nostro figlio. Ogni giorno è un rimettersi in gioco, rialzarsi, rimettersi nell’amore.Dopo poco tempo, che spesso considero forse troppo poco e che mi lascia un senso di colpa per non essere rimasta in attesa, ho conosciuto Gianni che ha accolto me, le mie crisi, i miei limiti e soprattutto il mio bambino. Con lui è iniziato un nuovo capitolo della mia vita. Ora stiamo costruendo una nuova famiglia perché lui ci ama proprio come se fossimo stati da sempre con lui.

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Sì, togliersi i sandali!Piero Coda, teologo, è preside

dell’Istituto Universitario Sophia

a Loppiano (Figline-Incisa

Valdarno). Tra le sue tante opere

ricordiamo “Dalla Trinità” (Città

Nuova).

Siamo tutti partecipi di eventi che ci

lasciano senza parole e talora persino

ci sgomentano. Uomini, donne, bimbi e

anziani vittime inconsapevoli e inermi di

barbari ed efferati attentati terroristici.

Giovani che vengono torturati e uccisi per

la loro ricerca di verità e di giustizia. Folle

innumerevoli di profughi – ciascuno col

suo irripetibile volto e il suo angoscioso

“perché?” – che a rischio della vita

solcano i mari o peregrinano per terre

incognite e troppo spesso inospitali, dopo

essersi lasciati dietro le spalle ogni cosa:

casa, lavoro, affetti, costumi... Ragazzi

barbaramente trucidati in un tragico e

insensato gioco di morte. Bimbi generati da

uteri in affitto (!) per soddisfare il desiderio

(?) di qualcun altro…

Sgomenti, sì, siamo sgomenti! Non è

la prima volta, nella martoriata storia

millenaria della famiglia umana – è vero –

che s’assiste allo spettacolo raccapricciante

dell’odio, della violenza, dell’uccisione,

dell’asservimento. Ma oggi pare si sia

persa anche per principio – nella coscienza

profonda – la bussola del riconoscimento

della dignità intangibile di ogni persona

umana, in qualunque stadio e in qualunque

situazione d’esistenza si trovi.

È improcrastinabile un sussulto di ferma

indignazione e di umana pietà, un risveglio

ardito dell’anima, una conversione decisa

del cuore, un’illuminazione nuova delle

menti! Occorre – come ha scritto papa

Francesco – con radicalità e sempre, senza

eccezioni, «imparare di nuovo a togliersi i

sandali di fronte alla terra sacra dell’altro».

Quando formula quest’imperativo,

Francesco rimanda all’episodio narrato

nel libro dell’Esodo, allorché Dio – nell’atto

in cui rivela il suo misterioso e indicibile

Nome al suo servo Mosè – lo chiama a sé

ma dicendogli di togliersi prima i sandali:

perché sacra è la terra su cui cammina.

Sì, stare di fronte all’altro, trattare in

qualunque forma od occasione con lui o

con lei, è aver a che fare con “Dio in effige”,

come amava ripetere Igino Giordani.

Non son forse creati, l’uomo e la donna, a

immagine e somiglianza di Dio stesso? E

Gesù – il Figlio di Dio fatto carne nostra –

non ritiene fatto a sé tutto ciò che facciamo

al più piccolo dei suoi fratelli?

Nel luglio del 1949, in un periodo di

straordinaria Luce, Chiara Lubich scriveva

che queste parole di Gesù dapprima

le vedeva “stando sul raggio”: e ciò

camminando lungo la traiettoria verso il

Cielo descritta, per ciascuno, dalla volontà

del Padre. Stando sul raggio e risalendolo

verso Dio si sa e si sperimenta passo passo

che Gesù s’è unito e si unisce a ciascuno

di noi – indissolubilmente – e che quindi

occorre amare l’altro come sé.

Ma quando poi – continuava Chiara –, per

l’amore reciproco vissuto sulla misura di

Gesù che ha patito l’abbandono in croce

per compiere la volontà del Padre e farsi

uno coi fratelli, e per l’Eucaristia che in

Lui ci fa una cosa sola, accade d’essere

rapiti al seno del Padre, allora – con l’anima

ormai in Cielo ma i piedi, le mani, il cuore in

terra a condividere le piaghe dell’umanità

– si vede e comprende che davvero ogni

uomo e ogni donna, nella Mente di Dio,

sono pensati, amati e voluti come altri

Gesù. Perché ciascuno è una Parola

creata, diversa e singolare, che risuona in

quell’unica Parola increata e fatta carne

in cui Dio dice in “infinti toni” Sé stesso:

Amore!

Togliersi i sandali di fronte alla terra sacra

d’ogni altro non è un semplice modo di dire.

È la realtà di Dio in noi.

se posso PIERO CODA

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MOVIMENTIspiritualità

Don Julian Carron sosta vicino a un tavolo bianco, quasi anonimo, tra i tanti partecipanti al meeting di Comunione e liberazione al Metropolitan Pavilion di New York. Passerebbe inosservato, con il suo semplice maglione grigio, se non fosse per una discreta fila di persone in attesa di salutarlo e che dopo avergli stretto la mano e

fatta qualche confidenza, ritorna radiosa a mescolarsi tra la folla. Ha finito da qualche momento un serrato dibattito sulla libertà e la fede, ma non si sottrae all’incontro e neppure alle interviste. Lo abbiamo interpellato sul valore dell’anno della misericordia nella sua esperienza e in quella del movimento che presiede.

Don Carron, cosa significa per lei l’anno della misericordia?Sto vivendo quest’anno come una grazia speciale per me, perché mi rendo sempre più conto di quanto io stesso abbia bisogno di misericordia per poter vivere con gratitudine e pace la mia vita: lo sento come lo sguardo che Cristo ha su di me perché sono ben

la misericordia è la bellezza di dioL’anno giubilare indetto da papa Francescoè per Julian Carron, presidente di Comunione e liberazione, un’intuizione geniale che apre la porta dell’abbraccio di Cristo agli uomini del nostro tempo

56 cittànuova n.5 | Maggio 2016

Vincent van Gogh, “Il buon Samaritano” (1890).

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consapevole che tutto quello che io sono o tu sei è già compreso dalla e nella sua misericordia. E sotto questo sguardo vogliamo vivere in tutto il movimento, perché possiamo sentire in questo anno una nuova chiamata alla conversione. Vorrei che tutti sentissero di essere amati per primi da Dio e potessero guardare al proprio male sapendo che possiamo mettere tutto nella sua misericordia ed essere da Lui perdonati.

L’ha sorpresa questa decisione di papa Francesco?L’anno della misericordia non è stato una sorpresa perché è la prova del grande realismo del papa. Lui ha capito che l’uomo contemporaneo ha tante ferite, provocate da vicende storiche personali e sociali e che necessitano dell’abbraccio di Cristo. Lui ha capito che le ferite più che un ostacolo all’incontro con Dio, sono una crepa da cui entra la sua misericordia di Cristo. Il papa guarda così alle ferite e offre alla Chiesa una risposta che diventa dono

alla condizione di sofferenza dell’umanità.

Lei ha parlato nei suoi interventi di un serrato legame tra libertà e misericordia. In che senso?La libertà è come non mai sfidata dalla misericordia e un esempio ce lo ha dato Gesù quando è andato da Zaccheo. Le prediche dei farisei sulla sua ricchezza e sulla sua condizione non avevano sfidato così tanto la libertà di agire, come aveva fatto la presenza di Cristo nella sua casa. Lui si era seduto alla sua tavola senza disprezzo. Questa storia del Vangelo è cruciale per capire il nostro tempo, perché tante volte pensiamo che facendo una predica riusciremo a smuovere la libertà dell’altro, ma quello che muove la libertà è un gesto gratuito in grado di commuoverci fino al midollo e da cui nasce il desiderio di rispondere con altrettanta gratitudine: questo è quello che ha fatto Gesù con Zaccheo e questa è l’iniziativa di Dio verso ognuno di noi.

Si ricorda un episodio in cui ha ricevuto misericordia o l’ha donata?Ci sono momenti in cui il tuo fallimento o i tuoi sbagli sono stati così palesi e hanno prodotto ferite così grandi che possono essere rimarginate solo da un gesto di misericordia. Queste sono esperienze fondamentali per capire dal di dentro cosa significa la parola misericordia e dall’altra parte ci aiutano a guardare gli altri con la stessa misericordia con cui noi siamo stati guardati. Tante persone si avvicinano a un sacerdote per le ferite che la vita provoca o per gli errori che hanno commesso e nell’incontro con me devono sentire l’abbraccio con cui io sono stato abbracciato. Questo li sconvolge ma è la modalità con cui Cristo è entrato nella storia di duemila anni fa e continua ad arrivare agli uomini del nostro tempo. Proprio come ora fa papa Francesco che magari durante le udienze parla per 15 minuti, ma poi dedica un’ora a salutare e ad abbracciare le persone perché l’amore e la misericordia arrivano anche così.

E si ricorda qualche episodio di misericordia nella vita di don Giussani? Don Giussani ci ha parlato della misericordia in una maniera così travolgente che, se oggi come Cl possiamo essere testimoni di misericordia, è per quelle sue parole, soprattutto quando commentava l’incontro di Matteo o di Zaccheo con Gesù o quando c’è stato l’incontro con Pietro dopo la resurrezione. Gesù avrebbe potuto rimproverarli tutti per condotte o situazioni che si trovavano a vivere, per non parlare di Pietro che era arrivato persino a tradirlo. Invece Gesù si presenta disarmato e a Pietro domanda persino se lo ama. Gesù

a cura di Maddalena Maltese

57cittànuova n.5 | Maggio 2016

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spiritualità

sa che tradirà ancora, perché non può non farlo, non può non accadere per la nostra condizione di peccato, eppure chiede: «Mi ami tu?». E lo fa al presente e non al passato o al futuro a ribadirgli che tutta la sua simpatia umana è per Pietro, è per te oggi malgrado il tradimento e i tanti tradimenti che operiamo verso Dio e il prossimo. Dio lo sa come lo sa una madre, quando i bambini continuano a ripeterle di volergli bene anche se fanno tanti capricci: è più vero il bene.

In un suo recente libro ha fatto un parallelismo tra misericordia e bellezza…La misericordia è la bellezza del Dio disarmato che non si impone e non ha bisogno di potere aggiunto e questo attrae. Basta guardare come Dio

ha fatto quando ha deciso di diventare uomo e si è spogliato della forma divina, della sua potenza, per portare una bellezza e un’attrattiva disarmata che non poggiava su alcun potere e che ha corso il rischio di non essere ricevuto, ma a chi lo ha ricevuto e lo riceve ha dato e dà il potere di diventare figli di Dio e questa è un’esperienza dalla bellezza inequivocabile e che non si può negare. Questo dice anche quanto Dio ami la nostra libertà e quanto ami la nostra persona perché possiamo aderire a lui non per paura ma liberamente.

Cosa sfida maggiormente i cristiani di oggi?Davanti alla mentalità moderna contemporanea il cristianesimo ha una sfida che possiamo riassumere in una domanda:

un uomo del nostro tempo può veramente credere in Gesù Cristo o la fede è un’esperienza solo per uomini sottosviluppati o in luoghi più protetti? In Occidente viviamo in contesti dove nessuno accetta imposizioni o formalismi e in questi ambienti sono la vita cristiana e la bellezza che la testimonianza può suscitare che possono costituire una tale attrattiva che spinge le persone ad aderire a Cristo. Viviamo in un clima sempre più globale e multiculturale, come in fondo era il mondo ellenistico e lì il cristianesimo si è sviluppato, non è retrocesso. Quindi la vera sfida per noi cristiani è mostrare un Cristo che risponda alle esigenze dell’uomo di oggi e soprattutto non aver paura.

MOVIMENTI

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Dopo aver imparato a leggere è importante leggere bene.

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LA GRANDE ATTRATTIVAspiritualità

Di tanto in tanto i media rimbalzano la notizia – sensazionale – di una “presunta” apparizione di Maria, la Madonna. I teologi esperti in materia parlano di una sollecitudine di madre che si fa presente e consiglia, incoraggia, conferma... C’è però un “farsi presente” tipicamente evangelico di Maria nel mondo – ci ricorda Chiara Lubich –, come di colei che interpreta sollecitamente le note domande che Gesù rivolgerà a ciascuno di noi all’“esame finale”, in cui saremo interrogati sull’amore. Maria è la “donna del Bell’Amore”.

mariadonna del bell’amore

60 cittànuova n.5 | Maggio 2016

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«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36).

Noi dobbiamo vivere questo amore del prossimo con tutte le persone che avviciniamo durante la giornata, sapendo che Gesù ritiene fatto a sé quanto facciamo a loro. Saranno i nostri familiari che vestiamo, sfamiamo, consoliamo, consigliamo... Saranno i colleghi di lavoro; sarà la società che dobbiamo amare servendola negli uffici, nelle scuole, nei parlamenti.

Dobbiamo amare tutti, nessuno escluso. Dobbiamo, infatti, amare

anche i nemici...Anche se il nostro pianeta è

attraversato da molteplici tensioni, Maria spinge

gli uomini in vari modi all’unità e la vuole in tutti i sensi.Vuole famiglie unite, desidera che le diverse generazioni siano unite; domanda l’unità fra le razze, fra i popoli, fra i cristiani e, come è possibile, con i fedeli delle grandi religioni ed anche, almeno in campo operativo, con tutti gli uomini che cercano il bene dell’uomo.Ella ama tutta l’umanità e vuole la

fraternità universale.da L’influsso spirituale

di Maria sull’uomo d’oggi, discorso pronunciato a Roma,

in Santa Maria Maggiore, il

30/11/1987.

a cura di Donato Falmi

Chiara Lubich è stata fondatrice e prima presidente del Movimento

dei Focolari, nonché scrittrice prolifica. I suoi testi sono

un suo lascito e, ancora oggi, una fonte d’ispirazione per tanti.

Ogni mese Città Nuova ne propone uno stralcio.

Maria spinge gli uomini in vari modi all’unità e la vuole in tutti i sensi. ”

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62 cittànuova n.5 | Maggio 2016

Quanto lo desiderava, Caterina Benincasa, di saper parlare, leggere e scrivere bene come i frati Predicatori del convento di San Domenico vicino a casa sua a Siena… ma non era cosa semplice, per una donna nata nel 1347 in una famiglia di 25 figli, avere accesso all’istruzione. E se, con la ferrea volontà che la contraddistingueva in tutte le sue opere e iniziative, era infine riuscita a imparare a leggere, per il dono della scrittura – come riporta la tradizione – intorno ai 30 anni le era venuto in soccorso il prodigioso intervento divino, regalandole un’abilità che sentiva più che mai necessaria per rendere concreta la sua opera.

In realtà, le capacità di santa Caterina da Siena erano prodigiose da molti punti di vista: narrano i suoi discepoli che era capace di dettare a più segretari per volta, sia lettere che brani della sua principale opera, il Dialogo della divina Provvidenza, tenendo sempre il filo per ogni testo, che risultava sempre perfetto. E davvero le era necessaria questa abilità, vista la mole di lettere che sin dall’età di 20 anni aveva cominciato a inviare ai destinatari più diversi, sparsi in mezza Europa: papi e regnanti, politici e alti prelati, comunità monastiche e religiosi, i suoi stessi figli spirituali ma anche i familiari…

L’attività epistolare di Caterina fu intensa e caratterizzata da una passione audace e imperiosa, dove a parlare non è tanto lei ma sono «Gesù Cristo crocifisso e Maria dolce», nel cui nome ammonisce e guida, chiede e “comanda”, lasciando che sia Dio a operare attraverso di lei secondo i disegni che le si sono manifestati. L’interesse per i grandi problemi del suo tempo, come la guerra centenaria tra Francia e Inghilterra, l’ideale della Crociata, il potere temporale e il grande scisma, la corruzione del clero e degli Ordini religiosi, si somma alla cura dei problemi più personali

e particolari delle persone che a lei si rivolgevano in cerca di consiglio, e ai quali Caterina guarda con la stessa attenzione. Le sue lettere, caratterizzate da una prosa schietta e limpida, uniscono il più alto livello spirituale (soprattutto le lettere indirizzate a fra Raimondo da Capua, il “padre dell’anima sua” e suo confessore, che sono un vero e proprio poema lirico) con un grande senso della realtà. Un ricchissimo patrimonio che Città Nuova rende disponibile in una nuova edizione integrale delle Lettere, trasposte in italiano contemporaneo per agevolarne la comprensione ai lettori di oggi.

caterinasempresulla notiziaEscono le “Lettere” della santa di Siena: un concentrato di spiritualità nella realtà della storia

di Lucia VelardiNOVITÀ EDITORIALIspiritualità

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Come cade bene, in mezzo ai conflitti

che feriscono l’umanità in tante parti del

mondo, l’invito di Gesù alla pace. Tiene viva

la speranza, sapendo che è Lui la pace e ha

promesso di darci la sua pace.

Il Vangelo di Marco riporta questa parola di

Gesù al termine di una serie di detti rivolti

ai discepoli, riuniti in casa a Cafarnao, nei

quali spiega come avrebbe dovuto vivere

la sua comunità. La conclusione è chiara:

tutto deve condurre alla pace, nella quale è

racchiuso ogni bene.

Una pace che siamo chiamati a

sperimentare nella vita quotidiana:

in famiglia, al lavoro, con chi pensa

diversamente in politica. Una pace che

non ha paura di affrontare le opinioni

discordanti, di cui occorre parlare

apertamente, se vogliamo un’unità sempre

più vera e profonda. Una pace che, nello

stesso tempo, domanda di essere attenti

a che il rapporto d’amore non venga mai

meno, perché l’altro vale più delle diversità

che possono esserci tra noi.

«Dovunque arriva l’unità e l’amore reciproco

– affermava Chiara Lubich –, arriva la pace,

anzi, la pace vera. Perché dove c’è l’amore

reciproco, c’è una certa presenza di Gesù in

mezzo a noi, e lui è proprio la pace, la pace

per eccellenza»1.

Il suo ideale di unità era nato durante la

Seconda Guerra mondiale e subito apparve

come l’antidoto a odi e lacerazioni. Da

allora, davanti a ogni nuovo conflitto, Chiara

ha continuato a proporre con tenacia la

logica evangelica dell’amore. Quando,

ad esempio, esplose la guerra in Iraq nel

1990, espresse l’amara sorpresa di sentire

«parole che pensavamo sepolte, come: “il

nemico”, “i nemici”, “cominciano le ostilità”,

e poi i bollettini di guerra, i prigionieri,

le sconfitte (…). Ci siamo resi conto con

sgomento che veniva ferito nel cuore il

principio fondamentale del cristianesimo,

il “comando” per eccellenza di Gesù, quello

“nuovo”. (…) Invece di amarsi a vicenda,

invece di essere pronti a morire l’uno per

l’altro», ecco l’umanità di nuovo «nel baratro

dell’odio»: disprezzo, torture, uccisioni2.

Come uscirne? si domandava. «Dobbiamo

tessere, dove è possibile, rapporti nuovi, o

un approfondimento di quelli già esistenti,

fra noi cristiani ed i fedeli delle religioni

monoteiste: i Musulmani e gli Ebrei»3, ossia

tra quanti allora erano in conflitto.

Lo stesso vale davanti a ogni tipo di

conflitto: tessere tra persone e popoli

rapporti di ascolto, di aiuto reciproco, di

amore, direbbe ancora Chiara, fino ad

“essere pronti a morire l’uno per l’altro”.

Occorre spostare le proprie ragioni per

capire quelle dell’altro, pur sapendo che

non sempre arriveremo a comprenderlo

fino in fondo. Anche l’altro probabilmente

fa lo stesso con me e neppure lui, forse, a

volte capisce me e le mie ragioni. Vogliamo

tuttavia rimanere aperti all’altro, pur nella

diversità e nell’incomprensione, salvando

prima di tutto la relazione con lui.

Il Vangelo lo pone come un imperativo:

“Siate in pace”, segno che richiede un

impegno serio ed esigente. È una delle più

essenziali espressioni dell’amore e della

misericordia che siamo chiamati ad avere gli

uni verso gli altri.

spiritualità PAROLA DI VITA di FABIO CIARDI

giugno

«Siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9, 50).

63cittànuova n.5 | Maggio 2016

testimoni del VangeloDon Carlo Gnocchi, nato il 25

ottobre 1902 a San Colombano

al Lambro (Mi), affinò la sua

passione e sensibilità come

educatore e guida spirituale, fino

al 1940, quando si arruolò come

cappellano militare degli alpini

nella campagna di Grecia e poi in

Russia. Tornato in patria provvide

all’assistenza degli orfani dei

suoi alpini diventando direttore

dell’Istituto grandi invalidi di

Arosio (Como) e istituendo la

Fondazione Pro Juventute. Prima

di morire di cancro, nel 1956,

chiese che le sue cornee fossero

trapiantate per ridare la vista a

uno dei suoi ragazzi, quando in

Italia il trapianto d’organi non era

ancora disciplinato. È beato dal

2009.

1 Alla TV Bavarese, 16 settembre 1988.

2 28 febbraio 1991, cf. Santi insieme, Città Nuova,

Roma 1994, p. 63-64.

3 Ibid., p. 68.

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64 cittànuova n.5 | Maggio 2016

alla scuola. Cominciando dalla disposizione di tante classi: di fronte ai banchi a ferro di cavallo non c’è più la cattedra del professore, ma la Lim (Lavagna interattiva multimediale). Ma non era il rapporto allievi-professore il cuore dell’educazione? Leggiamo il resoconto finale del Ministero sul progetto Cl@ssi 2.0: sembra vago, sia nella descrizione degli obiettivi della sperimentazione tecnologica (costata milioni), sia nella valutazione di cosa sia effettivamente accaduto nelle classi coinvolte, e quali siano gli eventuali miglioramenti riscontrati nella preparazione degli studenti. Di sicuro ci sono i guadagni dei fornitori e la velocità con cui questi strumenti informatici invecchiano e devono essere sostituiti. Ma quando i fondi a disposizione sono scarsi, può

«Il ministero la deve smettere di proporci corsi di informatica. Vorremmo sapere, invece, come entrare nelle menti di questi ragazzi!». È quasi disperata la professoressa di liceo. Dopo tanti anni di insegnamento e una motivazione sempre tesa a cercare il bene dei suoi studenti, la frustrazione è grande davanti a ragazzi distratti, superficiali, altrove. È soprattutto questa l’impressione: che siano con la mente altrove. Ma dove? Sono forse i professori a non essere all’altezza? Serve una scuola diversa?Le discussioni si sprecano, alimentate dalla novità entrata nella vita delle classi: la tecnologia. Dopo l’entusiasmo iniziale, si cominciano a fare le valutazioni. Sottovoce qualcuno comincia a chiedersi se le nuove tecnologie facciano bene o male

essere difficile decidere se comprare uno dei tanti pacchetti software che inondano le scuole o spendere invece in formazione degli insegnanti, oppure comprare strumenti per i laboratori degli istituti tecnici. Senza indicazioni e sperimentazioni chiare e convincenti, ogni preside e ogni professore fa del suo meglio, continuando magari a insegnare nel vecchio stile con strumenti nuovi, in un’approssimazione

idee e cultura SCENARI

scuola:emergenzacognitiva?Il dibattito su educazione e nuove tecnologie. La pigrizia intellettuale di massa prossima ventura

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6565cittànuova n.5 | Maggio 2016

di Giulio Meazzini

Abbandono scolastico (giovani tra 18 e 24 anni con sola licenza media nel 2012)

SPAGNA

24,9

PORTOGALLO

20,3

ITALIA

17,6

GRAN BRETAGNA

13,5

EU 27

12,8

GRECIA

11,4

FRANCIA

11

GERMANIA

10,5

DANIMARCA

9,1

fonte: Eurostat - Statistics on Education

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66 cittànuova n.5 | Maggio 2016

che non aiuta a ottimizzare l’uso di Lim (lavagna interattiva multimediale), tablet e computer.È evidente che non bastano gli strumenti a fare una buona scuola. Servono, come sempre, buoni insegnanti e studenti motivati, altrimenti la tecnologia, oltre a essere dispendiosa, non fa altro che aumentare la disuguaglianza tra gli studenti bravi (pochi) e quelli che rimangono indietro (molti). Per chi ha già buone competenze generali, infatti, gli strumenti multimediali sono un potente strumento di elaborazione del proprio sapere. Per chi invece ha difficoltà anche solo a scrivere un pensiero corretto, questi programmi (spesso scelti più per il basso prezzo che per il contenuto) rischiano solo di aumentare la confusione mentale e l’abbandono.Nessuno sa veramente quali siano gli effetti delle tecnologie informatiche sulle menti dei ragazzi (che non sono digitali!). Sicuramente l’abitudine a continui spostamenti di attenzione da un media all’altro non aiuta l’attenzione, la concentrazione, l’approfondimento, la capacità critica. E si sa che studiare davanti a un libro di carta è molto più efficace che davanti allo schermo

di un tablet. Ma questo non ferma il trend. Fino a qualche tempo fa si inseguiva il mito della “società della conoscenza”; ora certe spese tecnologiche vengono giustificate più banalmente dalla necessità di prepararsi al mercato per evitare la disoccupazione. Ma se vince il mercato, cambia anche il motivo per cui i ragazzi vanno a scuola. Scrive Adolfo di Luzio: «La scomparsa dell’educazione come conquista di significati personali nel nuovo immaginario ha tuttavia un prezzo. Apprendere – e non studiare – in questo nuovo contesto significa accettare le ragioni di un brutale riduzionismo cognitivo, per il quale conoscere cessa di essere l’elaborazione di una risposta personale a un problema di natura morale o intellettuale e si risolve in una prestazione efficace di abilità mentali» (Senza educazione, Il Mulino). Tutta da buttare dunque la novità tecnologica? No, assolutamente. A patto però di usarla con buon senso (il nostro cervello non è un computer!), consapevoli che libri di carta e tablet, lezione frontale e tecnologie sono metodologie didattiche complementari, non

alternative! E sapendo anche quali filosofie possono esserci dietro la tecnologia. Riflettiamo un attimo: se la nuova scuola si basa sull’apprendimento attraverso l’interazione prevalente del singolo ragazzo con computer e Rete, verranno sviluppati e proposti programmi didattici capaci di adattarsi ai bisogni “spontanei” del singolo alunno, seguendolo nel suo sviluppo in modo personalizzato. Questo è ottimo per esempio per i ragazzi dislessici, visto che il tablet non si stanca mai di ripetere le stesse cose. Ma se un solo server può seguire centinaia di ragazzi, questo significa che a lungo andare forse non serviranno più i curricula, le classi e, infine, i professori? Significa che i ragazzi non impareranno più la fatica della ricerca e «la pazienza della cultura» (Dianora Bardi – liceo Lussana – BG)? Se lo Stato può assicurare l’istruzione in modo centralizzato e per via telematica, si può studiare da casa, quindi non c’è bisogno delle scuole. Se lo Stato, tramite programmi di insegnamento automatici, può formare il cittadino medio che gli serve, veicolando direttamente ai ragazzi gli «orientamenti valoriali e culturali» che preferisce, i professori non servono più, anzi sono dannosi perché pensano (e insegnano) in modo autonomo. Eppure gli studenti fioriscono, quando fioriscono, solo per la relazione vitale con il professore davanti a loro, non con una «macchina insegnante». Forse questo scenario non si avvererà mai. Ma, come dicevano i nostri nonni, meglio stare in campana. Meglio combattere contro la diffusione della «pigrizia intellettuale di massa», sicuri che la tecnologia non può mai costituire la base di un rapporto intenso e vero con la vita.

idee e cultura SCENARI

Di fronte ai banchi non c’è più la cattedra, ma la lavagna interattiva multimediale.

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Il dialogo della mamma di Andrea SantoroJesús Morán è copresidente

del Movimento dei Focolari.

Laureato in Filosofia,

è specializzato in antropologia

teologica e teologia morale.

Cerchiamo di percorrere ancora un po’

quel “piccolo sentiero” del dialogo – non

di rado ripido e faticoso – di cui parlavamo

nell’articolo precedente. Questa metafora

del sentiero mi sembra opportuna se

pensiamo che solo attraverso sentieri si

raggiungono i luoghi dove l’anima viene

sopraffatta dalla bellezza: una vetta in

montagna, un prato nel bosco, una spiaggia

sconosciuta, un lago tra le colline. Inoltre,

un sentiero si percorre con le proprie forze,

senza ricorrere a mezzi esterni, ma anche

se si marcia con le proprie gambe, la visione

finale si gode insieme.

Cosa impedisce o interrompe il dialogo

tra le persone? Sicuramente la sfiducia

nell’altro è un fattore decisivo: mi chiudo al

dialogo perché non sono sicuro delle buone

intenzioni del prossimo. Anche l’offesa

subìta può essere un impedimento. Così

come il bisogno interiore di affermare ciò

che noi consideriamo essere verità. Tante

possono essere le cause di indisponibilità

dialogica, tutte comprensibili e forse

invalicabili, se non fosse per il fatto che la

capacità di dialogo in situazioni estreme

rappresenta per chi la pratica l’atto supremo

di umanità e personalizzazione.

Quando vivevo a Santiago del Cile, anni

addietro, al tempo del referendum che

doveva decidere la durata del regime di

Pinochet, con un gruppo di giovani abbiamo

organizzato alcuni incontri tra universitari.

Un momento memorabile: due ragazzi,

uno figlio di militare, l’altro figlio di esiliato,

si sono comunicati la rispettiva visione dei

fatti. Ognuno dei due era commosso dal

racconto dell’altro. Tempo fa, l’ex-vescovo

di Latina, mons. Petrocchi, ha chiesto

alla mamma di don Andrea Santoro – il

sacerdote italiano ucciso a Trebisonda,

in Turchia, il 5 febbraio 2006 – se avesse

perdonato l’assassino di suo figlio. La

mamma ha risposto di sì. Non soddisfatto,

il vescovo le ha chiesto se sarebbe stata

disposta ad adottare l’assassino come figlio

al posto dell’altro da lui ucciso. Di nuovo la

mamma ha risposto di sì. Al termine della

messa, il vescovo si è inginocchiato davanti

alla mamma di don Andrea chiedendo la sua

benedizione. Non vi poteva essere amore

più grande.

Ci sono, in effetti, momenti in cui la capacità

di andare incontro all’altro – questo

in definitiva è dialogare – raggiunge

l’eroismo o ciò che potremmo chiamare la

trasfigurazione dell’umano. In questi casi, la

capacità di dialogo realizza la sua vocazione

etica al servizio della convivenza tra le

persone. Questa è quanto mai necessaria

ai nostri giorni, anche se sprofonda nella

notte dei tempi. Caino, forse, non avrebbe

assassinato Abele e con lui se stesso e

l’umanità, se avesse perso un attimo a

parlare col fratello, invece di addossargli

la propria insufficienza e farsi rodere da

invidia, gelosia, poca autostima e ottusità

patologica conseguente. Se si fosse aperto

al fratello invece di arrovellarsi nei suoi

pensieri e mettere a tacere la scintilla di

umanità che il Creatore gli aveva istillato

assieme alla libertà.

Il fulcro credo possa essere quello di

mettersi in gioco. Mettersi in gioco e

sperimentare tutte le contraddizioni che

questo comporta. Dialogare vuol dire

sopportare le differenze, evitando di vivere

al sicuro trincerati nelle proprie convinzioni.

Questo non vuol dire rinunciare alla verità,

ma capire che nessuno la possiede! Essa

possiede noi, come amava dire papa

Ratzinger. Il raggiungimento della verità è

sempre un processo dinamico, che si gioca

nel rapporto interpersonale, perché la verità

non è un concetto ma un’epifania, una

manifestazione.

Quando ci chiudiamo al dialogo abbiamo, in

definitiva, paura di perdere qualcosa, senza

renderci conto che così perdiamo noi stessi.

La persona, infatti, è una realtà aperta, che

cresce solo trascendendo sé stessa, mentre

la chiusura all’incontro “riempie di vuoti” la

nostra vita. E siccome in ogni persona c’è

l’umanità tutta intera, se io scarto qualcuno

per il suo modo di essere o pensare, compio

una sorta di automutilazione. Quando

questo arriva a dimensioni collettive, si

rasenta la tragedia, ogni giorno. Dunque,

non rassegniamoci. Diventiamo “ottimisti

tragici”, come diceva Emmanuel Mounier.

Opponiamoci alla tragedia con la cultura del

dialogo.

pensare l’unità JESÚS MORÁN

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68 cittànuova n.5 | Maggio 2016

cresce sul web fino a raggiungere un noto produttore. Morale: ad oggi Adele, che ha iniziato sui social, ha venduto 40 milioni di dischi in tutto il mondo ed è considerata una delle migliori cantanti nel panorama musicale contemporaneo.

Cosa c’entrano questi episodi simpatici e un po’ straordinari con i consumi? A leggerle con attenzione, si tratta di storie concrete di come la Rete e i social network stiano cambiando le nostre esperienze di consumo, storie che ci dicono qualcosa su nuove opportunità sia per chi compra che per chi produce.Un elemento chiave del rapporto tra i social network e il mercato è quello di accorciare le distanze tra produttori e consumatori. Qual è la sfida più grande per un’impresa? Capire quali siano

Storia 1. Un giorno una giovane ragazza scrive sulla propria pagina Facebook: «Con questo raffreddore avrei bisogno di una montagna di fazzolettini!». 24 ore dopo un’importante compagnia di prodotti per l’igiene le fa recapitare a casa gratuitamente una scorta di fazzoletti di carta. Così lei non tarda a pubblicare foto del dono e commenti di ringraziamento e la storia si rende velocemente nota su Internet. Morale: da una parte la ragazza è felice del regalo ricevuto, dall’altra la compagnia mette a segno un bel colpo di pubblicità in Rete.

Storia 2. Nel 2007 una sconosciuta cantante inglese di 21 anni comincia a caricare in Rete alcuni suoi brani musicali. Nel giro di poco tempo la sua musica comincia a riscuotere tra gli amici un buon successo, che presto

i bisogni dei propri clienti, reali o potenziali. La Rete è un luogo in cui tutti mettono in mostra bisogni e desideri: una miniera di informazioni per chi produce. In tal senso il sociologo Harrison White diceva che i mercati sono il risultato dell’interazione tra produttori, che si osservano reciprocamente cercando di soddisfare le richieste dei consumatori. Forse oggi la realtà è un po’ diversa grazie all’immediatezza dei rapporti tra domanda e offerta. La storia della ragazza raffreddata, che riceve una scorta omaggio di fazzoletti, è un caso da manuale di marketing aziendale ai tempi di Internet,

idee e cultura MEDIA

prosumerfare affari su internetUn raffreddore su Facebook e una famosa cantante. Nuovi strumenti e nuovi consumi per le trasformazioni sociali in corso

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6969cittànuova n.5 | Maggio 2016

gli studiosi hanno coniato il termine “prosumer”, che deriva dalla fusione delle parole inglesi producer (produttore) e consumer (consumatore). Questa realtà si riferisce a quegli ambiti in cui i consumatori sono essi stessi produttori, come nel caso dei blog e di YouTube, e all’impatto che le loro pratiche di consumo e comunicazione in Rete hanno sul lato dell’offerta, contribuendo concretamente alla creazione del prodotto attraverso commenti e richieste.Le due storie raccontano di trasformazioni nella società contemporanea; ma sono solo opportunità quelle che nascono

sulle opportunità in termini di visibilità per un’azienda, sulla costante attenzione al bisogno del consumatore e sulla facilità con cui ogni persona, consapevolmente o meno, può comunicare un esigenza a chi produce. Ma è anche un indizio delle grandi trasformazioni sociali che attraverso la Rete stanno cambiando le regole del mercato, e certamente anche la concezione della persona all’interno di esso.Ma c’è dell’altro. La seconda storia ci racconta qualcosa su come i consumatori diventino un po’ produttori, di come i confini in certi contesti vadano sfumandosi. Per descrivere queste dinamiche

dalla Rete e dai social? Sarebbe ingenuo crederlo. Sono all’ordine del giorno notizie di aziende e governi che cercano nei computer e telefoni delle persone informazioni da usare a proprio vantaggio, ma anche dei rischi legati alla messa in scena della dimensione privata sui social network e della creazione di personalità non reali. Tra gli studiosi è aperto il dibattito sul bilancio tra le opportunità delle nuove esperienze in Rete e i rischi a esse associati. Da un lato possiamo parlare di una “democratizzazione culturale”, perché non è mai stato facile come oggi accedere alla conoscenza e ai consumi; dall’altro c’è chi legge tutto come nuovi strumenti del capitalismo contemporaneo, espressione di una vecchia logica della persona considerata solo come potenziale consumatore. Non è facile dare risposte a interrogativi di questo genere. Che siamo imprenditori o consumatori possiamo intanto cominciare col ricordarci che dietro ogni computer c’è una persona.

di Andrea Gallelli

In Rete tutti mettono in mostra bisogni e desideri. Le aziende ringraziano

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71cittànuova n.5 | Maggio 2016

Cento anni fa, l’8 giugno 1916, nasceva Luigi Comencini, lombardo di Salò, infanzia a Parigi, laurea in architettura al Politecnico di Milano, tra i registi cinematografici italiani più popolari e rappresentativi del secondo ‘900. Basti dire che i suoi primi film di successo, Pane amore e fantasia (1953) e Pane amore e gelosia (1954), sono ancora ospiti assidui dei palinsesti televisivi e

hanno consacrato il loro autore fra i papà della commedia all’italiana, costola brillante e leggera del cinema neorealista. Comencini è soprattutto la versione “bucolica”, tipica dell’Italia postbellica. In 40 anni di carriera ha diretto più di 50 film, lavorando con i grandi attori del cinema italiano (Totò, Sordi, Gassman, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi, la Cardinale, la Mangano, per

limitarci ai divi) e realizzando successi internazionali. Tra i tanti titoli si può ricordare Tutti a casa, del ’60, con Sordi ed Eduardo, La ragazza di Bube, del ’63, dal libro di Cassola, con Claudia Cardinale, Il compagno Don Camillo, del ’65, con Cervi e Fernandel, fino al capolavoro, Lo scopone scientifico, del ’72, commedia dark a sfondo “pasoliniano” e borgataro, con un cast maiuscolo che va dalla Mangano a Sordi, da Bette Davis a Joseph Cotten. Nel grande cinema italiano degli anni ’40-’80, che oggi tutti rimpiangono pur guardando avanti, Luigi Comencini ha un posto tutto suo. Come il carattere dell’uomo il suo cinema aveva un tocco lieve, fine, delicato, una misura sempre osservata pure nei film e nelle sequenze spassose. Nino Manfredi lo dipinse come meglio non si può: «Serio ma non serioso, divertente ma mai comico, capace di far adattare gli attori ai ruoli con maestria ineguagliabile». Comencini è stato anche un cineasta dinamico, curioso, versatile, come attesta la sua intensa attività televisiva degli anni ’70 e ’80. È proprio il suo lavoro più apprezzato sul piccolo schermo, Pinocchio, del ’72, a evidenziare un altro aspetto nodale del suo cinema, l’interesse e il rispetto per l’infanzia, al centro di opere importanti come Incompreso, del ’66, Cuore, dell’84 (sempre per la tv) e ancora un film “televisivo”, La storia, dell’86, dal romanzo di Elsa Morante. Del valdese Comencini ci piace infine ricordare la sua spiritualità, un suo cristianesimo umano-sociale tangibile in certi personaggi e storie. Come Cercasi Gesù, dell’82, una parabola di oggi con il già protagonista (!) Beppe Grillo.

comencinie la commediaitalianaUn regista curioso, brillante e versatile, dal tocco delicato. Al cinema come in tv

di Mario Spinelliidee e cultura IL CENTENARIO DELLA NASCITA

Luigi Comencini e Andrea Balestri sul set di “Pinocchio”.

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72

IL PIACERE DI LEGGEREidee e cultura

Il diavolo è uno sconfittoL’amore prima del mondoJORGE MARIO BERGOGLIO

Un libro per ragazzi gradevole e intenso anche per genitori, nonni ed educatori,

con una bella introduzione di Antonio Spadaro. Dalle pagine raffinate (il costo

forse è impegnativo), ci guardano le foto dei bambini e i loro disegni.

«Mio nonno non è cattolico ma non è disposto a fare del male. Lui andrà lo

stesso in paradiso?». «Se Dio ci ama così tanto, perché non ha sconfitto il

diavolo?». «Sai perché alcuni genitori litigano fra di loro?»…

Domande difficili, ma la risposta del papa è sempre ricca di spunti e buoni

pensieri di chi vola alto, dove lo spessore educativo è proporzionale

all’empatia suscitata. «Non siamo prigionieri della sofferenza e tu lo hai

disegnato esprimendolo con il sole, i fiori… il tuo sorriso».

Subito pensi che questo libro ti servirà per rispondere ai tuoi figli o nipoti. «Il

diavolo è uno sconfitto: è come un cane legato che abbaia e ringhia, ma se

non ti avvicini non può morderti». Nelle parole di Francesco c’è condivisione

dei sentimenti, abbraccio sincero, risposta “a misura”, carica di benevolenza e

rigore, misericordia e incitamento al bene. Niente di scontato o paternalistico.

Francesco ancora una volta è sceso dalla papamobile per immergersi nella

folla vociante dei bambini. E lì parlare della sua vita e di un Dio buono e vicino,

capace di stravolgere il male del mondo e di proteggere i bambini. «Vedere un

bambino per me è vedere il futuro. Sì, sento tanta speranza». Ai lettori scoprire

il significato del titolo. Per i bambini è risultato semplice. Lo si sapeva.

Tengo famigliaFAMIGLIA LEONI

San Paolo, € 14,50

Tengo famiglia è l’ultima

fatica di casa Leoni. È stato

scritto a 24 mani: oltre i due

capo-famiglia, Luca (56) e

Anna Maria (57), i loro 10

ragazzi. Le storie narrate

sono autentiche e sincere,

senza fronzoli e belletti.

Nascono dal cuore di

una famiglia simpatica

e accogliente, oltre che

numerosa. La lettura

procede col sorriso e la

mano sul cuore. Facile

immedesimarsi. Tenere a

bada 10 pargoli non sarà

semplice, eppure proprio

le riflessioni dei figli-

cresciuti ci fanno intuire

quanto siano in gamba

questi babbo e mamma

toscanacci e quanto sia

bella una big family.

Punto 1: si è “rivoluzionari”.

Punto 2: ogni figlio nasce

non perché si rompe la tv,

ma per amore della vita.

Rizzoli,

€ 17,00

/recensione a cura di

ANNAMARIA GATTI

Senza ragione apparenteGRAZIA VERASANI

Feltrinelli, € 13,00

«Avevo un figlio, dottoressa.

Otto mesi fa, una mattina

che era solo in casa, si è

tagliato le vene con un

coltello…». Inizia così il

nuovo romanzo di Grazia

Verasani (scrittrice, autrice

teatrale e cantautrice) con

un’indagine di Giorgia

Cantini. Un personaggio

romanzo ha ricevuto la

menzione speciale della

giuria al Festival Noir 2015 di

Courmayeur.

/recensione a cura di

GIANNI ABBA

“normale”, Giorgia,

malinconico forse, come

l’aria che si respira per tutto

il romanzo. Il rapporto con

Luca Bruni (e sua moglie

Giusy, che fin dall’inizio del

romanzo irrompe in casa

di Giorgia piantandole

addosso «i suoi occhi grandi

e risentiti») fa da sfondo a

un’indagine strana, quasi

in punta di piedi, che entra

a poco a poco, senza

spingere, nelle tormentate

vite di un adolescente e dei

suoi amici e compagni di

classe. Finché un apparente

caso di suicidio si trasforma

in qualcosa di diverso,

che ha a che fare con le

azioni e i rapporti a volte

assurdi e senza senso della

nostra società di oggi. Il

cittànuova n.5 | Maggio 201672

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in libreria a cura di ORESTE PALIOTTI

a cura di Gianni Abba

Punto 3: essere in tanti ti

permette di confrontarti

con tante teste, e quindi di

comprendere e d’amare di

più anche gli altri, poveri,

malati psichici. Sulla loro

storia, TV2000 ha ideato

Romanzo familiare, un

reality show sulla loro vita

quotidiana, in 16 puntate.

/recensione a cura di

PATRIZIA CAROLLO

Preghiera per Cernobyl’SVETLANA ALEKSIEVIČ

Edizioni e/o, € 14,00

Un libro che, da solo,

spiega il premio Nobel

dato nel 2015 alla

giornalista e scrittrice

bielorussa. È composto da

testimonianze raccolte, a

10 anni dalla tragedia, dalla

Aleksievič che ha vissuto la

transizione tra comunismo

e post-comunismo. Un

libro che racconta la

gravità di quanto accaduto,

l’incredibile catena di

uccisioni, menzogne e

pusillanimità che hanno

reso possibile la mattanza,

che numericamente ha

assunto dimensioni bibliche

perché le più ovvie misure

di prevenzione contro le

radiazioni vennero ignorate.

Un affresco straordinario,

in cui la Aleksievič ha dato

parola solo agli sconfitti.

Come fece Kapuściński

che, ne Il Negus, raccontò

la sconfitta di Hailé Selassié

solo con le parole dei

soldati sopravvissuti. Il

Nobel alla Aleksievič mi

piace venga considerato

anche un riconoscimento

postumo al grande collega

nato in Bielorussia ma di

nazionalità polacca.

/recensione a cura di

PIETRO PARMENSE

73cittànuova n.1 | 1 gennaio 2015

Figli nella tempesta

Antonello Vanni

San Paolo, € 16,00

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divulgativo l’Autore

approfondisce

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BAMBINI

I misteri del Sacro

Bosco di Bomarzo

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in libreria a cura di ORESTE PALIOTTI

a cura di Gianni Abba

73cittànuova n.5 | Maggio 2016

Ultimi studi su DanteEnzo Noè GirardI

Vita e Pensiero, € 13,00

Coronamento del fervido cammino di studioso di un maestro della letteratura italiana.

Come muoiono i santiAntonio Maria Sicari

Ares, € 12,90

Una vera galleria di santi “fotografati” negli ultimi istanti della loro vita. 100 racconti di resurrezione.

Piccoli combattentiRaquel Robles

Guanda, € 15,00

Narrata da una bambina, la quotidianità in Argentina ai tempi tragici della dittatura militare.

Gli affreschi della cupola di S. Maria del FioreAa.Vv.

L.E. Fiorentina, € 18,00

La prima guida dell’immenso ciclo pittorico della cattedrale di Firenze.

STORIA

I tre giorni di Pompei

Alberto Angela

Rizzoli Vintage, € 8,99

Da geniale e documentato divulgatore qual è, l’autore ci fa rivivere nei dettagli la tragedia delle città sepolte dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo, inseguendo le storie “verosimili” di 7 personaggi realmente esistiti.

CLASSICI

Racconti dell’inquietudine

Joseph Conrad

Clichy, € 10,00

Il mare, il viaggio, la sofferenza e gli uomini più singolari del mondo. Dallo scrittore che con le sue tecniche narrative ha anticipato gran parte del romanzo novecentesco, 5 storie sull’implacabilità dei destini umani.

ISLAM

L’Islam degli sciiti

Mohammad

Ali Amir-Moezzi

Edb, € 8,00

Messa a fuoco di una minoranza islamica (200 milioni di fedeli) che si distingue da quella sunnita e di cui solo una corrente è fondamentalista e nutre ambizioni politiche. Per capire l’anima dell’Iran tra mistica e politica.

TESTIMONI

Don Ernest Simoni

Mimmo Muolo

Paoline, € 12,50

Tirana, 21 settembre 2014: un sacerdote albanese, sopravvissuto alla persecuzione del regime comunista, incontra papa Francesco. La vicenda d’un impavido testimone della fede che anni di torture, carcere, lavori forzati non hanno piegato.

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reportage MEDITERRANEO

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Un tour nel Sud della Spagna ammirando i particolari dello stile architettonico islamico

di Beatrice Franzoni

l’improntaaraba in andalusia

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76 cittànuova n.5 | Maggio 2016

L’Andalusia ha visto il passaggio di vari popoli che hanno lasciato il segno in ambito culturale e socio-e-conomico. Oltre al passaggio di cartaginesi, visigoti e romani, l’im-pronta araba è decisamente la più marcata, anche perché è il popolo che ha dominato più a lungo. È per questo che non ho saputo resistere alla (buona) tentazione di percor-rerla in lungo e in largo…

ValenciaNon siamo ancora in Andalusia, ma anche qui la dominazione araba ha lasciato la sua impronta. Valencia è una città che sta rinascendo. Segni di modernità si notano dalle nuove infrastrutture d’avanguardia come la Ciudad de las Artes y de las Cien-cias o il nuovo ponte sul fiume Tu-ria, entrambe opere dell’architetto

reportage MEDITERRANEO

La cupola della Sala de los Abencerrajes, nell’Alhambra, a Granada,

dove avvenne l’uccisione della famiglia degli Abencerraj.

La torre della Giralda a Siviglia.

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77cittànuova n.5 | Maggio 2016

Calatrava, spazi culturali e di intrat-tenimento. Oltre ai nuovi quartieri in costruzione, si può passeggia-re per quello antico, attraversare i grandi viali alberati e vedere porte fortificate come ad esempio la Puer-ta de Serranos – una delle 12 porte di guardia dell’antica muraglia della città –, stradine su cui si affaccia-no antiche vetrine o edifici gotici. La linea metropolitana consente di raggiungere qualsiasi punto della città, comprese le splendide spiag-ge e il porto dove mangiare un’otti-ma paella di pesce. Avvicinandoci al centro, abbiamo incontrato la Plaza de Toros, accanto alla Estaciòn del Norte. Quest’ultima è stata costruita all’inizio del secolo scorso cavalcan-do l’onda di trasformazione urbana. Procedendo dritto, siamo sbucati in Plaza del Ayuntamiento, la piazza più importante, sede del comune e dell’Ufficio delle Poste (Correos). Abbiamo deciso di portarci fino al Mercado Central, che a prima vista potrebbe sembrare una chiesa per le grandi vetrate, una cupola e addi-rittura un rosone sulla facciata cen-trale. Un’apoteosi di colori e suoni. Ha lunghi corridoi con all’incirca 950 posti vendita di frutta, crostacei, verdura, varietà di pepe e pesci. A conferma della bellezza della città, si aggiunge anche Plaza de la Reina su cui si affaccia la Cattedrale di Valencia. Sorge su ciò che origi-nariamente era un tempio roma-

Il Sud della Spagna è un ponte tra Europa e Africa e punto di incontro tra culture, terra di chi ama i contrasti e le contaminazioni

Il cortile delle fanciulle nel palazzo Alcazar di Siviglia. Secondo la leggenda, i musulmani di al-Andalus ottenevano dai regni cristiani spagnoli, come tributo, 100 vergini all’anno.

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78 cittànuova n.5 | Maggio 2016

un colle vicino al quartiere arabo, se-parato da esso dal fiume Darro. Già solo l’entrata è un’opera d’arte che incanta l’animo. All’interno giardini, fiori, cespugli ordinati, fontanelle e muretti scolpiti, corridoi ornati di piante. Arriviamo al Generalife, la residenza estiva dei sultani Nasridi. Ha giardini interni ed esterni. La muratura è chiara ed è più lumino-sa col sole che si riflette nelle acque delle vasche. Tutto quanto è decora-to con minuziosi elementi scolpiti su pareti, colonne, capitelli e pavi-menti. Ripercorrendo gli stessi vialetti e corridoi siamo andati a vedere i Pa-lazzi Nasridi. Come si entri non si sa dove posare lo sguardo, non si riesce a fissare un punto preciso. Anche i soffitti sono scolpiti. Dove non è scolpito c’è una decorazio-ne a mosaico o pietrine colorate. I principi compositivi che regolano

no e in seguito una Mezquita, una moschea. Dalla piazza si può subito notare il Miguelete, la torre a pianta ottagonale che sovrasta la cattedra-le. Di stile gotico prende il nome da San Michele Arcangelo che si fe-steggiava il 14 marzo quando venne battezzata la grande campana che si trova sulla terrazza. Il luogo più im-portante e attraente della cattedrale è la Cappella del Santo Graal dove si ritiene sia conservato il calice che Gesù utilizzò durante l’ultima cena. È una coppa che risale al I secolo a.C. ed è conservata in una teca.

GranadaDa Valencia abbiamo noleggiato un’auto. Ci siamo spostati all’inter-no della pianura, dove di pianura in realtà ne resta poca perché Grana-da è a quasi 700 metri sul livello del mare ed è circondata da alture. È

vicinissima alla Sierra Nevada: bel-lissima la visuale delle sue cime in-nevate che impediscono però che il clima si mitighi un po’. Infatti, in in-verno si scende spesso sotto lo zero e in estate si superano sempre i 30°. Specialmente a livello architettoni-co, la tradizione spagnola e lo stile arabo sono preponderanti. A pro-posito di cultura araba, è delizioso il quartiere Albayzìn. Conserva cortili, terrazze, fontane e alcuni muri ori-ginali del periodo medievale in cui dominarono i Mori (termine usato per definire i musulmani). Il cen-tro non è grandissimo, si riesce a visitare comodamente. Alla sera si riempie di odori di cibi e persone, cambiano i colori e comincia la vita notturna. Un po’ nascosta e oscurata da alberi e ombre abbiamo ammira-to l’Alhambra illuminata a notte: una vera città murata.  Il nome si pensa derivi dal suo colore rosato. Sorge su

reportage MEDITERRANEO

La cattedrale di Valencia, nella Plaza de la Reina.

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il sistema ornamentale islamico possono ridursi al ritmo ripetitivo e alla stilizzazione. I motivi o di-segni ornamentali si succedono in ritmi reiterati all’infinito, come una metafora dell’eternità che riempie lo spazio. Sono formule elaborate per moltiplicazione e suddivisione, orientamento, rotazione e distribu-zione simmetrica. Per ultimo siamo entrati nel Palaz-zo di Carlo V. È un edificio piutto-sto discusso e incompreso per lo stile e l’architettura che non han-no molto a che fare con lo stile del resto dell’Alhambra. Sembra il ten-

tativo da parte dei monarchi spa-gnoli di radere al suolo il passato islamico, di dimostrare il tramonto di una cultura vinta.

SivigliaDopo aver fatto tappa a Marbella, una bella cittadina di mare, dalla costa ci siamo riportati verso l’in-terno. Siviglia sorge sulle pianure del Guadalquivir. Nel 1992 è stata sede dell’Expo, purtroppo però la zona della città a ciò adibita è stata abbandonata a sé stessa. La prima visita ci ha portati alla Plaza de To-ros, dove si svolge la corrida di cui

gli spagnoli vanno piuttosto fieri. Usciti dall’arena ci siamo ritrovati sulle sponde del fiume Guadalqui-vir, da dove svetta la Torre dell’O-ro, un’antica torre di sorveglianza, in origine ricoperta d’oro, dove vi si succedevano passaggi e scambi economici. A fine giornata siamo andati a ve-dere Plaza de España. Dalla forma semicircolare sembra di entrare in una copia di Venezia. Un canalet-to attraversa la piazza, sormontato da 4 ponticelli che rappresentano i 4 antichi regni della Spagna. Da ultimo siamo stati alla Cattedrale di Siviglia. Sorge su una moschea della quale è rimasta sino ad oggi la Giralda. Fu il minareto della moschea e lo stile almoadiano è riconoscibile. In epoca cristiana la torre venne poi coronata con un campanile di stile rinascimentale e per questo si può ben vedere la differenza tra i due tipi di costru-zione. Risalendo la torre si arriva ad ammirare la città.

CordobaOvunque traspare lo splendore del suo passato, prima romano, poi arabo, ebraico e cristiano. Solo un accenno alla grande moschea che oggi è la cattedrale di Cordoba. È il raduno dell’arte arabo-islamica e dell’architettura gotica e rinasci-mentale. Una foresta di colonne che impediscono una visuale chiara costringono a fare attenzione alle decorazioni islamiche dei capitelli o del soffitto. Poi si cominciano a vedere anche le aggiunte e i tratti cristiani: absidi rifinite in oro, sta-tue, affreschi. E poi… una cupola bianca e luminosa, rifinita in oro. Una paradossale mescolanza tra stile musulmano e cristiano che la-scia senza parole.

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Interno della grande moschea di Cordoba, ora cattedrale.

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L’inglese di Giulio Piscitelli non ha la stessa pregnanza e le stesse sfumature forti e avvolgenti delle sue foto. Ma a lui non servono parole: sono le immagini, i colori, le inquadrature a dar voce alle storie delle migliaia di migranti che nella battaglia per la sopravvivenza sono approdati sulle coste europee o che quelle coste, invece, non le hanno mai viste perché seppelliti dal mare o inghiottiti dalla sabbia. Su questi crocevia è nato un progetto “From There to Here”, dove il fotoreporter napoletano racchiude in immagini 6 anni di cammino, senza che la parola fine sia stata ancora scritta: «Un’esperienza che mi ha cambiato la vita», afferma mentre le prime pagine e le copertine di New Times, Vanity fair, Internazionale, La Stampa mostrano i suoi scatti.  Cosa c’è dietro un impegno così lungo ed emotivamente forte?Tutto è cominciato in Italia e dalle storie di immigrazione che dal 2010 hanno interessato il nostro Paese. Poi nel 2011, nel pieno crollo del regime libico e dalla rivoluzione tunisina sono arrivato a Lampedusa e con i miei amici ci siamo detti: «Andiamo a vedere cosa succede dall’altra parte?». Ero curioso e volevo vedere con i miei occhi quali pericoli accettavano di correre questi giovani e raccontare le ragioni che sottostanno alla decisione di lasciare una casa, un Paese, i genitori.

E cosa succedeva dall’altra parte?Mi sono imbattuto in un campo profughi con centinaia di migliaia di persone sfuggite alla guerra e alla miseria e questo mi ha insegnato ad andare a fondo e a cercare di capire i tasselli di un problema e tutto questo mentre nel nostro Paese, con estrema superficialità, si parlava di “tsunami umano”. Ero indignato.

 Perché hai deciso di attraversare il Mediterraneo su un barcone di migranti?È stata una delle esperienze che più mi ha segnato, nel bene e nel male, perché attraversi il nulla, c’è il buio, ed è ben diverso dallo stesso deserto, che

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IAarte e spettacolo

fotografare il cambiamentoI reportage di Giulio Piscitelli sono storie di vita

dove convivono denuncia e pietà, orrore e fiducia.

Lo abbiamo incontrato a New York

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ho pure percorso. Ho provato a mettermi nei panni di un padre che decide di imbarcarsi e sa che le probabilità di sopravvivenza e di morte, per la sua famiglia e per i suoi figli, sono pari, ma non può fare altro. Questi viaggi mi hanno insegnato a guardare diversamente alle cose e sono stati i miei maestri: quelli che

mi hanno fatto più soffrire per l’umanità calpestata delle persone.  Quali verità e storie hai documentato?Non credo di cercare la “verità” con le mie foto, perché penso

esistano molte verità e penso che il giornalismo riesca a restituirne solo una parte. Io non ho la presunzione di farlo, ma voglio capire e raccontare ciò che ho visto, voglio fotografare storie sperando che possano interessare e rendere un po’ più consapevole sia me stesso, sia chi guarda i miei reportage.

 Spesso ripeti che in questo momento l’Europa nega il diritto alla speranza…Non dobbiamo nasconderci i problemi, ma non possiamo impedire l’incontro tra il Nord e il Sud del mondo. Io ho incrociato questa gente nelle prigioni,

mentre a piedi camminava sulle dune di sabbia. Li ho fotografati vittoriosi su un filo spinato tagliente e impauriti dopo la traversata: tutto questo mi ha insegnato a essere critico, a non scivolare sulle parole facili come “terroristi o clandestini”, ad aprire gli occhi, e non solo l’obiettivo fotografico, sul cambiamento. Perché le migrazioni ci stanno costringendo a cambiare, anche se nella nostra società sono in tanti a non voler vedere e a sperare che non avvenga. Le mie foto vogliono essere il diario di un cambiamento, ma soprattutto la mia partecipazione nel costruire un mondo diverso, a fianco di chi invece crede che ne usciremo migliori, cambiati sì ma non distrutti. 

C’è stato un episodio davanti al quale hai deciso di non scattare? L’esperienza più dolorosa l’ho vissuta in Siria, quando ho visto un ragazzo morirmi davanti agli occhi: non c’è l’ho fatta a scattare. Quando io fotografo, non sono davanti a uno zoo e le persone sanno che le sto fotografando, mi vedono. Io non agisco di nascosto e capita anche che qualcuno si rifiuti: il rispetto delle persone è fondamentale.a cura di Maddalena Maltese

 Il reportage “From there to here” si può vedere su giuliopiscitelli.viewbook.com

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Spesso l’amore è protagonista della nostra televisione: dei suoi salotti, delle sue fiction, venduto come tale in qualche reality show. È difficile raccontare l’amore per ciò che è, non solo attrazione e sintonia, ma scelte, impegno, volontà, conoscenza profonda dell’altro. L’amore in televisione è spesso mercificato, basti pensare a Uomini e donne, programma cult della De Filippi, in cui un ragazzo o una ragazza, noti come “tronisti”, vengono corteggiati all’interno di uno studio televisivo. L’obiettivo del programma è formare delle coppie che possano durare anche nella vita reale. Alla fine delle puntate prestabilite, infatti, il o la tronista individua, tra le persone conosciute, quella “giusta”, con cui iniziare una

storia a telecamere spente. Chiunque abbia visto almeno una volta Uomini e donne, ha assistito a discorsi sul niente, spesso interminabili digressioni sull’atto del fidarsi, polemiche montate ad arte all’interno dello studio, toni volgari rissosi e tanto, troppo trash. Il programma, oltre a proporre modelli diseducativi e un’idea fuorviante del rapporto amoroso, si concentra sul corteggiamento (peraltro costruito e innaturale) e su un’epidermica e superficiale attrazione fisica.Al di là del caso limite di Uomini e donne, è difficile trovare programmi che raccontino la parte più interessante di una storia d’amore: il “dopo”. Passata la fase dell’innamoramento, come procede il rapporto? Quale gioie e difficoltà vive? Che cos’è e qual

è l’amore che dura? Domande di non facile risposta, sulle quali prova a dare il proprio contributo I colori dell’amore, una docu-fiction sulle coppie italo-straniere del nostro Paese, in onda ogni domenica sera su Real Time. Il racconto si dipana tra interviste ai diretti interessati e spezzoni della loro vita quotidiana. Il programma è alla sua seconda stagione e quest’anno, accanto al racconto delle nuove coppie, le telecamere tornano a seguire le storie della precedente edizione, per raccontare “il dopo” matrimonio, tra figli, progetti e sogni da realizzare. È forse questo l’aspetto più interessante e innovativo del programma, che non si limita a raccontare le fasi dell’innamoramento e del corteggiamento, ma cerca di capire, proprio in coppie all’apparenza “più problematiche” per diversità di nazionalità e/o religione, quali sfide affrontano insieme e come ciascuna coppia prova a superarle. Un esperimento interessante, soprattutto in un’epoca caratterizzata da una difficile situazione internazionale, che sempre più sembra spingere verso la diffidenza e la paura dello straniero. I colori dell’amore non edulcora la realtà né censura le difficoltà di una relazione, ma al contempo riesce a restituire uno sguardo di positività e di speranza sull’amore, proponendo, accanto alle storie di giovani coppie, anche matrimoni che durano da decenni, come quello di Carlos (colombiano) e Anna, sposati da 55 anni, o Yuko (giapponese) e Raffaele, coniugi da 25. In un’epoca in cui i sentimenti perdono la loro definizione e il partner si sceglie in tv, abbiamo bisogno di conoscere storie per cui valga la pena, ogni tanto, accendere il televisore.Eleonora Fornasari

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Earte e spettacolo

uomini e donne - i colori dell’amoreÈ difficile parlare della vita di coppia

sul piccolo schermo. Proponiamo

due esempi diametralmente opposti

Kathleen (Filippine) e Mattia raccontano a “I colori dell’amore” la loro giovane storia.

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gucci museo

La ricerca artistica di Gucci negli articoli da viaggio in esposizione al Gucci Museo di Firenze, che trascendono la loro funzione primaria trasfigurandosi in icone, si ispira alle “grottesche” decorazioni pittoriche di epoca augustea riscoperte nel fascino notturno dagli artisti del ‘400 toscano, che si calano dalle grotte romane del Colle Esquilino nei resti sotterranei della Domus Aurea di Nerone, a lume di

candela, per ammirarne il mistero. Inizialmente ritenute semplici espressioni della fantasia, le “grottesche” celano un significato classificatorio per un approccio ai fondamenti della conoscenza. Progettato dal direttore creativo Frida Giannini, il Gucci Museo nel cuore di Firenze, in Piazza della Signoria, trova naturale continuità e radici nel palazzo medioevale, deputato a sostenere le corporazioni, centro d’affari di commercianti di tessuti, produttori di lana e tessitori di seta. Nel 1921 Guccio Gucci fonda

in questa città la sua azienda coniugando artigianalità e design, moda e passione per il cinema, creazioni dal fascino onirico e straordinarie collaborazioni filantropiche.Beatrice Tetegan

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microbo e gasolinaL’amicizia tra ragazzi, tenera e potente come solo nell’adolescenza può essere. È questo il tema del nuovo, bellissimo film di Michel Gondry. La fantasia, stavolta, altra parola chiave della pellicola, non è esibita dal regista con lo stile, ma omaggiata attraverso i caratteri dei due giovani e stravaganti protagonisti. Se Gondry è quello de Il favoloso mondo di Amelie e de L’arte del sogno – film assai vistosi nella forma –, questo suo ultimo lavoro è visivamente asciutto, e sono i personaggi a offrire una succulenta e valida lezione di creatività. Microbo e Gasolina, questi i loro soprannomi, sono compagni di classe in polemica aperta sia col mondo distratto dei grandi (ben comprese le loro famiglie) sia con le logiche e le noiose mode imposte dai loro coetanei. Il primo è genio nel disegno, l’altro nella meccanica. Non sono visti bene dal contesto, ma entrambi se ne infischiano, forti della loro totale e ribelle immaginazione. Odiano la

tecnologia digitale e decidono, alla fine dell’anno scolastico, di partire insieme con un marchingegno da loro costruito, metà macchina e metà casa. Lo hanno ricavato a partire dal motore di un tagliaerba e lo fanno diventare lo strabiliante, e al tempo stesso concreto, strumento di un road movie avventuroso e romantico. Il loro è un doppio romanzo di formazione spalmato lungo il tempo magico di un’estate, che ricorda l’importanza e la bellezza di essere quello che sentiamo dentro, che ripete di non allontanarci mai dai nostri sogni e desideri.

Il film è piccolo e insieme grande, leggero e al tempo stesso intenso, lento come il veicolo artigianale di questo viaggio singolare e fresco come l’aria in faccia ai visi dei protagonisti. Microbo e Gasolina, tutto ambientato lungo le strade secondarie di una affascinante Francia, libera il profumo dei migliori buddy movies americani, che non erano soltanto cinema per ragazzi, ma che al pari di questo gradito ritorno di Gondry, emozionavano quelli che del cinema amano la poesia della semplicità. Edoardo Zaccagnini

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arte e spettacoloM

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O ti amo, sei perfetto, ora cambia

yehudi menuhin l’opera da tre soldi

Torna la versione italiana del musical I love you, you’re perfect, now change, firmato Joe di Pietro. La commedia è stata tradotta in 13 lingue, ha calcato le scene dei più importanti teatri, ha raccolto orde di fan, divenendo un cult del genere. Con ironia e intelligenza, scardina una serie di luoghi comuni sull’amore e la relazione di coppia. Lo spettacolo racconta epoche diverse della vita e la soluzione registica di Marco Simeoli e Piero di Blasio appare funzionale: 4 cubi di colori diversi creano le ambientazioni, attraverso veloci cambi di scena. La regia è scattante e si sposa con i ritmi incalzanti della musica dal vivo e i toni comici. Il cast, Daniele Derogatis, Di Blasio stesso, Stefania Fratepietro e Valeria Monetti, è brillante e all’altezza di una prova non facile: dalle battute piccanti ai momenti più introspettivi, gli attori non perdono forza, ma acquisiscono spessore. L’adattamento del testo ha richiesto piccoli aggiustamenti che rispondono a un gusto tutto italiano di pensare la commedia, che da Petrolini e De Filippo hanno segnato il nostro modo di ridere a teatro. Elena D’Angelo

Teatro Vittoria, Roma.

Dal 17 al 29 maggio

«Come non accorgersi che non si tratta solo di tecnica, ma di una cosa che è al di là della musica, e che questo essere diventa completamente Mozart in Mozart, Bach in Bach… è la rivelazione di una conoscenza sovrana, venuta attraverso il canale dell’arte, di quella fiamma creatrice o ricercatrice che si chiama genio?». Così il grande direttore d’orchestra Ernest Ansermet si riferiva all’ex bambino prodigio Yehudi Menuhin, nato 100 anni fa e scomparso nel 1999. Una leggenda del violino e un artista sensibile alla vita sociale. Un ebreo che suona Mendelssohn a Parigi liberata dai nazisti, rifiuta il linciaggio preconcetto di un direttore come Furtwängler per i contatti di costui con Hitler, perora la causa dei dissidenti in Russia e comprende a fondo i problemi di Israele: «Fino a quando Israele non sarà diventata una specie di Svizzera del Medio Oriente e non esisterà una struttura federale, ci sarà la guerra». Menuhin era un cittadino del mondo, amava Firenze e l’Inghilterra ed era adorato in India. Ma sopra tutto il violino con lui si trasformava, si identificava con la musica e l’autore che eseguiva. Ne catturava l’anima. Dote solo dei geni.Mario Dal Bello

A 60 anni dall’edizione di Strehler, primo ad allestire in Italia l’opera più conosciuta di Brecht e  Weill (1928), torna al Piccolo di Milano con la regia del talentuoso Damiano Michieletto. Spettacolo monumentale per due mesi di repliche che anticipa altre edizioni in Europa. L’autore irride con sarcasmo sulle ipocrisie sociali, sullo sfruttamento della miseria e sul falso moralismo. La storia dei Peachum, di Jenny delle Spelonche e di tutta la varia umanità protagonista ruota attorno al gangster Mackie Messer che sposa la figlia di un re dei bassifondi che lo fa arrestare e condannare alla forca; alla fine

è salvato grazie a un incongruo intervento reale. Per Michieletto il fulcro è il processo a Mackie Messer (interpretato da Marco Foschi), che diventa il filtro attraverso cui comprendere la storia. Il regista, lavorando su un costante dislivello recitativo dei personaggi, dove la canzone crea un’ulteriore e prepotente spaccatura con il tessuto e le circostanze della vicenda, smonta e rimonta il racconto creando il necessario distacco analitico.Giuseppe Distefano

Al Teatro Strehler di Milano,

fino all’11/6.

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elisa: un nuovo inizio

L’anno prossimo la signora Elisa Toffoli compirà 40 anni, 20 dei quali passati col vento quasi sempre in poppa, ma anche prendendosi i propri tempi per non lasciarsi irretire o stritolare dalle frenesie del music-business. La maturità acquisita, la maternità e una sempre più palpabile convinzione dei propri mezzi hanno orientato il concepimento di questo suo atteso nono album verso una sorta di new beginning: dove, senza rinnegare nulla del proprio passato e della propria vocazione cosmopolita, saltasse subito all’orecchio la sua gran voglia di liberarsi dalle consuetudini e dal sostanziale provincialismo del pop italiano: per puntare la propria carriera dritta

sui grandi mercati internazionali.Ecco perché questo On ha l’imprinting tipico delle grandi produzioni anglo-statunitensi: co-autori di vaglia, incisioni a New York e Los Angeles e un sound accattivante e decisamente orientato verso i gusti del mercato di massa. Ciò non vuol dire che le 13 nuove canzoni (di cui solo due cantate in italiano) siano stereotipate od omogenizzate. Tutt’altro. Elisa da Monfalcone varia spesso e volentieri i suoi registri espressivi, spaziando dalle ballatone pop-rock a cadenze neo-soul e dance, da sofisticate atmosfere trip-hop a sonorità vintage che paiono attingere a una vasta gamma di reminiscenze stilistiche, quelle sulle quali è cresciuta e che più ha amato. Un album decisamente mainstream, quindi, fatto

per essere ascoltato e consumato via streaming o per radio, ma che ad ascolti più attenti rivela una solida struttura e un assemblaggio quasi artigianale: fatto con le idee chiare e la ferma intenzione di preservare, per quanto possibile, l’anima selvatica, istintiva e indie, che sta alla base di gran parte degli episodi.La nuova Elisa, insomma, pare un po’ come il gattino sulla

copertina scelta per questo On: tenero e coccoloso, ma come tutti i felini, pronto a graffiare quando serve e, soprattutto, ad attraversare il resto della vita senza lasciarsi ingabbiare da nessuno. Franz Coriasco

The Menuhin Century (Warner)

80 cd e 11 dvd per i 100 anni

dalla nascita del violinista.

Da rarità inedite (la prima

registrazione a 13 anni) ai lavori

scritti per lui da Bartòk, Bloch,

Martin, Walton, ai cavalli di

battaglia (Mozart, Beethoven,

Brahms, Berg), fino all’ultima

incisione, la Sonata n. 6 di

Beethoven col figlio. M.D.B.

My Tribute to Yehudi Menuhin

(Deutsche Gramophon)

Un omaggio che il violinista

Daniel Hope, cresciuto accanto

a Menuhin, dedica al suo

amico, con cui ha condiviso

una fruttuosa collaborazione.

Ne esce un ritratto musicale

di qualità assai elevata, ma

pure un personaggio ricco di

umanità. M.D.B.

Zayn: “Mind of mine” (Sony Music)

L’ex One Direction ha

intrapreso una corriera solista

cercando di distanziarsi almeno

un po’ dalle formule dei vecchi

compari. Ne è scaturito un

disco modernista che tira verso

l’RnB contemporaneo: non è

male, e tutto lascia pensare

che il giovanotto ce la farà a

stare in piedi da solo. F.C.

Ron: “La forza di dire sì” (Universal)

Un doppio cd a favore

dell’AISLA dove il Nostro,

attorniato dalla crema dei

suoi colleghi (dai compianti

Dalla e Daniele, a Jovanotti

e Fabi) sfodera il meglio del

suo repertorio in una serie di

memorabili duetti: un disco a

suggello di una carriera quasi

cinquantennale. F.C.

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il giornalino dei bambini in gamba*

TRATTO DAn. 9 - Novembre-Dicembre 2015

I SEMIDELL'IMPERATORE

Un imperatore del lontano Oriente stava invecchiando e non aveva figli.

Perciò radunò i bambini delle famiglie nobili e diede a ciascuno un seme dicendo: «Vi consegno un seme molto speciale. Tra un anno esatto, quello tra voi che farà crescere il fiore più bello, diventerà imperatore dopo di me».

I bambini presero i semi e li piantarono. Uno di loro, di nome Jian, si mise con pazienza ad innaffiare il vaso col suo seme ed aspettò che germogliasse. Provò in ogni modo, aspettò, ma niente: il seme non spuntava. I suoi amici invece si vantavano di come le loro piante crescessero belle e piene di fiori.

Più passava il tempo, più Jian era triste, ma con tanta pazienza continuava a curare il seme. Passarono i giorni, le settimane, i mesi. Finalmente, passò un anno, ma nel vaso di Jian non si vedeva nulla, mentre tutti gli altri bambini avevano piante rigogliose. Jian era tanto abbattuto che non voleva mostrare il suo vaso vuoto all'imperatore, ma i suoi genitori lo consigliarono: «Mai mentire. Hai fatto del tuo meglio: va' a mostrarlo comunque».

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Jian non riusciva a credere alle sue

orecchie. «Ma... perché?

I fiori degli altri bambini sono

meravigliosi, mentre il mio

non è neppure germogliato...».

L'imperatore rispose:

«Hai ragione. Ma i semi che vi ho dato

erano stati bolliti e non potevano

germogliare. Gli altri bambini hanno

barato e hanno usato un altro seme.

Tu sei l'unico ad esser stato tanto

onesto e paziente da fare del tuo

meglio con il seme che t'ho dato io.

Perciò sei l'unico adatto a ricevere

il mio impero dopo la mia morte».

Tutti i bambini portarono i loro meravigliosi fiori all'imperatore, ma lui li guardò appena, senza sorridere. Jian era l'ultimo della fila e tremava per la paura di mostrargli un vaso vuoto. Ma quando l'imperatore vide che non aveva nemmeno una pianticella, sorrise e gli disse: «Tu sarai il prossimo imperatore!».

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SPORTpagine verdi

il record di bannister

A maggio di 62 anni fa un ragazzo con la passione per la corsa percorse un miglio in meno di 4 minuti

Quando quel 6 maggio di 62 anni fa, nel 1954, sulla pista di Iffley Road, Oxford, un ragazzo longilineo tagliò il traguardo, molti spettatori lo fissarono increduli, altri corsero sull’erba a festeggiarlo, sbalorditi come il cronometrista che prese il tempo, consentendo

al giudice di gara Norris McWhirter un indimenticabile responso: «Signore e signori, questo è il risultato della gara numero 9, il miglio: primo, il numero 41, Roger G. Bannister dell’Amateur Athletic Association e già studente dei college

Exeter e Merton, con un tempo che rappresenta un nuovo record della pista e del meeting e che, dopo esser stato sottoposto a ratifica, sarà un nuovo record inglese, britannico, su suolo britannico, europeo, dell’Impero britannico e del mondo».Bannister aveva

appena dimostrato che teorie e calcoli atti a provare che un essere umano non fosse in grado di percorrere un miglio in meno di 4 minuti si erano appena scontrati contro un’umanissima variabile mai effettivamente misurabile: la forza di volontà, che gli valse uno

6 maggio 1954. Roger Bannister taglia il traguardo e segna il record di 3’59”4.

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storico 3’59”4.Eppure Roger, che si era sempre definito un dilettante, a 6 settimane dalla sospirata laurea in medicina, in quella mattina uggiosa aveva creduto addirittura di non farcela, attanagliato dal ricordo del fallimento ai Giochi di Helsinki, due anni prima,

dove era arrivato solo quarto. Per migliorarsi in vista di quel fatidico 6 maggio aveva trascorso giornate intere sulle montagne scozzesi, in compagnia dell’amico Chris Brasher, tra prove di forza, freddo e fame, sfidando vette e limiti di sopravvivenza. Eppure, tornato a casa sottopeso

e con una caviglia rotta, Roger appurò di aver migliorato il tempo sul miglio, come dimostrò sulla pista dopo il suo consueto giro visite mattiniero previsto dal tirocinio al Paddington Hospital.E pensare che quella mattina, sul treno per Oxford, assalito da dubbi, si era imbattuto in Franz Stampfl, suo storico allenatore austriaco, il quale disse al ragazzo di credere in lui e che, se non avesse partecipato a quella gara, non lo avrebbe perdonato per il resto della vita perché è sempre meglio avere rimorsi piuttosto che rimpianti… «Facciamolo», reagì Bannister che, ancora oggi, ricordando quei momenti, conferma di «avercela messa tutta» prima di svenire, letteralmente accecato dalla fatica. Oggi a Iffley Road una targa a sfondo blu ricorda quel record leggendario, paragonato da alcuni alla scalata dell’Everest, che durò tuttavia appena 46 giorni: il 21 giugno l’australiano John Landy fece 3’57”9. I due si incontrarono

Record attuale di corsa sul miglio (1,60 km)

3’43’’13

HichamEl Guerrouj(Marocco)

7 luglio 1999

di Mario Agostino

l’anno successivo a Vancouver, per i Giochi del Commonwealth, quando Roger poté prendersi la sua rivincita, giusto prima di ritirarsi dallo sport per dedicarsi all’attività cui ha consacrato la sua vita: la neurologia. Non a caso oggi, a 87 anni, mostra con orgoglio più il premio conferitogli dall’Accademia americana di neurologia che le foto con Kennedy e Churchill: continua a definirsi un ex “dilettante”, il dottor Bannister, la cui icona è divenuta emblema motivazionale atta a promuovere lo sport quale veicolo di salute e solidarietà.Per un paradossale corso degli eventi, un uomo che ha dedicato la vita allo studio del cervello convive oggi col Parkinson e ha venduto all’asta le scarpe da corsa con cui compì la sua impresa storica proprio per devolvere il ricavato alla Autonomic Charitable Trust, associazione per la ricerca neurologica.

Bannister nel laboratorio di ricerca neurologica

del Boston City Hospital, nel 1962.

Esausto, Bannister sviene dopo l’impresa del record.

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90 cittànuova n.5 | Maggio 201690 cittànuova n.5 | Maggio 2016

di Cristina Orlandi

Hummus

INGREDIENTI PREPARAZIONE

Una crema morbida e saporita tipica della cucina

mediorientale. Può essere servita con pane o crostini,

con verdure crude o, come prevede la tradizione,

con la pita e i felafel

per circa 4 persone

› 600 grammi di ceci in scatola

› 100 grammi di semi di sesamo

› 150 ml di acqua calda

› succo di ½ limone

› 30 ml di olio di semi di sesamo

› semi di cumino

› 1 cucchiaio di paprika

› 1 spicchio d’aglio

› Prezzemolo

› q.b. di sale e di pepe nero

Tostare i semi di

sesamo in una padella

antiaderente per un paio

di minuti, quindi tritarli

con il mixer (la ricetta

originale prevede di

pestarli), unire l’olio di

semi di sesamo (si può

sostituire con dell’olio

extravergine d’oliva),

il sale e l’acqua calda

e mescolare per far

amalgamare bene gli

ingredienti fino ad

ottenere una crema, la

tahina. Scolare i ceci

precotti dal liquido

di conservazione,

spremervi mezzo

limone, unire l’aglio

spellato e privato

dell’anima interna, la

salsa di semi di sesamo

(tahina) preparata in

precedenza, e i semi di

cumino e frullare il tutto.

Unire il prezzemolo

tritato, il pepe nero

macinato al momento e,

se necessario, altro olio.

Servire con una

spolverata abbondante

di paprika.

BUON APPETITO CON...pagine verdi

preparazione 10 min

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EDUCAZIONE SANITARIA di Spartaco Mencaroni

di Luigia Coletta

È considerato antipertensivo, abbassa colesterolo e trigliceridi, rinforza il sistema immunitario, ha una certa capacità di inibire la formazione di coaguli, è utile come complemento terapeutico antiglicemico, è antibatterico anche verso l’Helycobacter pylori, il batterio in

parte responsabile dell’ulcera gastrica, è antivirale e svolge un’azione disintossicante coi metalli tossici dello smog e degli alimenti contaminati. Un consumo regolare di aglio può ridurre il rischio di cancro a pancreas, mammella, prostata, apparato gastrointestinale e polmone. Numerose

persone centenarie attribuiscono al consumo di aglio la loro longevità. Il National Cancer Institute, pur con prudenza, indica di mangiare uno spicchio di aglio al giorno. Attenzione, però, alle controindicazioni: specie se consumato crudo, può provocare gravi irritazioni.

Spesso consulto il web prima del medico. C’è un modo più veloce e sicuro per informarsi sulla salute dei bambini?È accattivante il titolo scelto per il progetto di informazione sanitaria per la tutela della salute dei bambini sperimentato a Milano. L’iniziativa, curata dall’Istituto Mario Negri, Federfarma e Associazione Culturale Pediatri, è alla vigilia

del “lancio” su scala nazionale, tramite il sito di Federfarma. Si basa sulla diffusione di schede semplici, dai contenuti chiari e selezionati dal punto di vista scientifico, per orientare il genitore sulle principali problematiche: punture d’insetto, stipsi, affezioni respiratorie, celiachia, psoriasi, patologie della pelle. Tutto questo con l’obiettivo dichiarato di combattere il rischio

crescente del ricorso all’informazione “fai da te” sul web, alla base di tante scelte dannose per la salute propria e degli altri (basti pensare alla disinformazione sui vaccini). Fatto non da poco, le schede sono state compilate con la partecipazione attiva di un gruppo di lettura composto da mamme; segno di una scelta di dialogo e partecipazione.

Prima o poi bisogna farci i conti. A casa nostra sono arrivati in testa a Irene, che però per la sua docile natura, non se ne lamentava né si grattava. Per fortuna hanno fatto outing le mamme di due bimbi della classe e, volgendomi a dare uno sguardo ai capelli di Irene, ho avuto anch’io la triste sorpresa. Le due settimane successive sono state un incubo.

Non tanto per gli shampi, quanto dover trascorrere ogni serata a setacciare ciocca dopo ciocca col temibile pettinino a denti stretti che elimina le coriacee larve. In farmacia poi ho chiesto il prodotto più efficace e mi sembra che così si sia rivelato: schiuma a base di piretrine naturali. In effetti il numero di uova è diminuito fino a scomparire. Non ho

avuto modo di provare prodotti naturali, ne sono venuta a conoscenza più tardi, ma spero di non averne più bisogno. Oltre ciò in casa aleggiava la puzza tra il limone e l’aceto dello spray per prevenire la diffusione e la lavatrice era sempre piena di federe, coperte e asciugamani. È stata una prova di sopravvivenza: superata!

ALIMENTAZIONE di Giuseppe Chella

DIARIO DI UNA NEOMAMMA

ARRIVANO I PIDOCCHI

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L’AGLIO

“LO SAI MAMMA?”

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Provate a immaginare un’autostrada libera da pedaggi, tutor e autovelox, semafori... «Non esiste», direte. Effettivamente no, per le auto o le moto. Ma per le bici sì. Forse non dovremmo chiamarla autostrada ma “bicistrada”. Così, in Germania è stata inaugurata la Radschnellweg, detta in breve Rs1, la prima tratta di un percorso che, una volta terminato, dovrebbe raggiungere i 100 km di lunghezza e collegare 10 città tedesche come Hamm, Duisburg e Dortmund. Quando il progetto sarà del tutto completato, contribuirà a un abbattimento delle polveri sottili, perché – si stima – sarà utilizzata da oltre due milioni di pendolari, pari a 50 mila automobili che non circoleranno per le strade. Ma la Germania questa volta non ha il primato. In Danimarca, infatti, esiste già una superstrada di 22 km che unisce Copenaghen con la città di Albertslund, un primo passo per un progetto più grande che copre circa

300 km di asfalto ciclabile. A Londra invece è in programma la costruzione della East-West Cycle Superhighway, 30 km percorribili in bici che attraverseranno la città da Est a Ovest. Nel nostro Paese da qualche anno abbiamo rispolverato le biciclette e vari politici e amministratori hanno concretamente realizzato progetti a favore dell’utilizzo delle due ruote. Ricordiamo la ciclovia Alpe Adria con i suoi 100 km nel Friuli Venezia Giulia, dove si possono ammirare paesaggi mozzafiato (è stata premiata pista ciclabile dell’anno 2015), o il progetto della Ciclovia Vento, per collegare Venezia e Torino, un tratto stradale che, al termine dei lavori, potrebbe raggiungere i 680 km di lunghezza, unendo i 102 km di piste ciclabili già percorribili ad altri tratti che potrebbero essere collegati con interventi abbastanza veloci e poco costosi. Il governo Renzi con il ddl Stabilità ha stanziato 94 milioni di euro

per la costruzione di infrastrutture ciclabili, come il Grab, grande raccordo anulare delle bici a Roma, oppure la Ciclovia del Sole fra Verona e Firenze. Ormai

la bici in città rappresenta un fenomeno in rapida evoluzione che, per tantissime persone, sta ridefinendo il concetto stesso di mobilità sostenibile urbana.

di Lorenzo Russopagine verdi

le autostrade delle bici

Tanti progetti in fase di realizzazione in Europa per percorsi ciclabili che collegano città

AMBIENTE

92 cittànuova n.5 | Maggio 2016

 

ciclovia Alpe-Adria

ciclovia Vento

ciclovia del Sole

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la vignettaGIBI E DOPPIAW

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Dialogo con i lettoriRispondiamo solo a lettere brevi, firmate, con l’indicazione del luogo

di provenienza.

INVIA A [email protected]

OPPURE via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma

Sesso, cuore, amoreHo letto la risposta di Maria e Raimondo Scotto sul numero di febbraio, pag. 42, riguardo ai rapporti sessuali fra due persone che si amano e due che non si amano i quali, questi ultimi, possono avere «un’esperienza tecnicamente perfetta, sessualmente libera e perfino tenera». Mi sembra come minimo incompleta, per non scrivere fuorviante. Mi sembra che non venga per nulla presa in considerazione l’etica dei comportamenti. Senza riflettere sulla possibilità di una gravidanza fra due persone che non si amano. › Mario D’Astuto

Rispondono Maria e Raimondo Scotto. Come potrà immaginare, le nostre risposte, dato lo spazio, sono necessariamente brevi, certamente non esaustive. La nostra non vuole tanto essere una rubrica sui comportamenti etici. La domanda era: «Cosa pensate dei rapporti sessuali occasionali? Ho tanti amici che fanno esperienze di questo tipo e mi sembrano molto contenti». La richiesta, quindi, riguardava non tanto un parere sul valore morale del comportamento, ma se era possibile

sperimentare gioia in conseguenza di un rapporto sessuale occasionale. In questo caso ci è sembrato utile mettere in evidenza che, pur potendo sperimentare anche un po’ di gioia e tenerezza in rapporti occasionali, quando ciò avviene in una relazione stabile e sostanziata da amore vero, la gioia è molto più grande. Avremmo potuto chiarire meglio qual è il vero amore, un amore che riconosce il messaggio di Cristo, ma lo spazio era troppo poco. La citazione di Cociglio serviva per evidenziare che non solo il messaggio di Gesù, ma anche la sessuologia laica mettono in relazione il sesso con l’amore.

Le non dimissioni di CameronIn 3 ore 3, si dimette un nostro ministro neppure inquisito, invece, malgrado lo scandalo, ogni giorno Cameron se ne inventa una, ma rimane aggrappato alla cadrega. Lo aveva già fatto nel 2011, quando venne arrestato il suo portavoce Andy Coulson per lo scandalo delle intercettazioni. L’unico lavoro che pare abbia fatto prima di essere premier è stato «consigliere di John Major per le conferenze stampa». Cameron aveva

una grande opportunità: andare subito alla Camera, e fare un grande discorso, se non con la profondità, almeno con il piglio di Churchill: «È vero, il conto era di mio padre, io l’ho ereditato, certo mia madre mi fatto donazioni aggirando il fisco, e allora? I quattrini sono miei e me li tengo, punto. Se volete sfiduciarmi per questo, fatelo pure, ma vi ricordo che mio padre non era un pirata ma uno dei corsari che, a differenza dei pirati, hanno fatto grande l’Inghilterra, l’hanno arricchita depredando gli altri, erano fedeli servitori della Corona, si consideravano cittadini a tutti gli effetti (un nome per tutti, Sir Francis Drake)». Nulla di tutto questo. In diretta dai Comuni, Cameron ha letto a velocità supersonica quattro foglietti, passando con leggerezza dalla sua vicenda personale alla lotta all’evasione fiscale, di GB contro il mondo degli evasori. L’unico momento alto è stato: «Sono orgoglioso di mio padre». Alla fine, lui non si è dimesso, non è stato sfiduciato, potrà tornare a fare il bullo in Libia. › Giovanni Arletti

Condivido la sua delusione. Non credo che la storia finisca qui. È gravissimo

Regalo agli insegnantiA proposito dell’articolo apparso sul n°23/24 di Città Nuova, “Un regalo per gli insegnanti” scritto da Luigi Chatel, vorrei sottolineare che se il contratto dei docenti, bloccato ormai da almeno 7 anni (incostituzionale), venisse riadeguato al reale potere d’acquisto, noi insegnanti non avremmo bisogno di “regali” una tantum, squallido espediente per vendere fumo negli occhi e poter racimolare “a buon mercato” qualche voto in più, in quanto ben altre sarebbero le spese che con un nuovo stipendio potremmo affrontare. Altre potrebbero essere le soluzioni per risanare e rimpinguare le misere casse dello Stato: lotta decisa e reale alla grande evasione fiscale, tagli netti ai vitalizi, agli stipendi, alle pensioni d’oro, agli sperperi, ai privilegi di cui ancora oggi godono i nostri “medievali” politici, dirigenti e vari funzionari di Stato!› Paola Annicchiarico - Napoli

Il mestiere di insegnante è uno dei più sottovalutati nella nostra Italia. E pensare che un Paese che deve uscire dalle magre di una grave crisi demografica ed economica dovrebbe proprio investire in futuro.

cittànuova n.5 | Maggio 2016

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che uomini e donne di potere praticamente dell’intero pianeta continuino ad approfittare delle loro posizioni per arricchirsi. Serve una vera e propria “economia del noi”, come abbiamo evidenziato in questo numero nella nostra inchiesta. Che poi siano in circolazione leader come Sarkozy e Cameron che hanno distrutto la Libia e allargato a dismisura il fossato col mondo arabo, accentuando quel malcontento che permette al terrorismo di prosperare… beh, questa è un’altra storia. O è la stessa?

Family Day e politicaSull’ultimo numero di Città Nuova in risposta a un lettore ancora insistete sul fatto che il Movimento dei Focolari non è stato tra i promotori del Family day per le evidenti strumentalizzazioni politiche di alcuni organizzatori. E chi sarebbero? Sarebbe stato più opportuno trovare altre motivazioni. E poi cosa intendete per “strumentalizzazioni politiche”? Non mi sembra che sia stato creato un nuovo movimento politico e che alcuni esponenti della manifestazione si siano canditati in qualche partito. E se lo avessero fatto dov’è il problema? Lo stesso papa Francesco ha incoraggiato i cattolici a impegnarsi in politica come una missione e per dare una testimonianza. Purtroppo il disimpegno di tanti cattolici ha portato a un impoverimento della politica. Non va dimenticato il grande contributo che tanti

cattolici come De Gasperi, La Pira, Moro, Zaccagnini, Tina Anselmi ecc, hanno dato per la ricostruzione civile e morale dell’Italia nel dopoguerra. Loro non ebbero paura di sporcarsi le mani.› Goran Innocenti

Non credo che Adinolfi e Amato, che hanno fondato un loro partito, mentre altri esponenti di spicco del FamilyDay sono ancora tentati di aggregarsi a qualche partito, siano da paragonare nemmeno lontanamente a La Pira, Moro, Zaccagnini e Tina Anselmi! Questi grandi cattolici avevano un alto senso dello Stato e anche della Chiesa: mai e poi mai avrebbero utilizzato una manifestazione ecclesiale come predellino per le loro avventure politiche! La storia va letta con attenzione e obiettività, la prego. La invito poi a rileggere i nostri articoli per capire che le motivazioni per non essere tra i promotori del FamilyDay erano anche altre e ben più profonde…

Nord e Sud ItaliaSi dice che siamo tutti italiani da Bolzano all’isola di Favignana o Lampedusa, abbiamo lo stesso governo, siamo in un Paese democratico, repubblicano e nessuno ha mai risolto le enormi differenze fra il Sud e il Nord. Ho superato da molto i 70 anni e dopo tutti i governi, ancora oggi, per curarci qualche malattia, dobbiamo andare al Nord. Ma una cosa che sa di razzismo, perdonatemi, è il modo in cui sono trattati dal punto di vista economico tanti giovani che per lavoro

Enza vive in una borgata romana e non riesce

a rassegnarsi, all’indomani degli attentati di

Parigi, di non vedere più in giro per il quartiere

una sua amica musulmana, impaurita dagli

eventi: «Sentivo in cuor mio che potevo

almeno farle una telefonata. Pur contenta di

sentirmi, Rachida cominciò a tirar fuori tutto

il suo dolore, tutti loro si vedevano additati

e insultati in strada e i suoi figli a scuola

venivano definiti “talebani”. Era dispiaciuta dal

risentimento e dalle falsità che si leggevano

sulla stampa o si ascoltavano in televisione.

Le dissi che non tutti i media erano uguali e la

invitai a leggere Città Nuova che aveva scritto

degli articoli corretti sui musulmani veri, che

sono tanti».

Cerco sul dizionario Treccani il significato

della parola “promuovere”: «Impegnarsi

perché venga messo in moto e realizzato

qualcosa, assumersi il compito di diffondere la

conoscenza di qualcosa, favorirne lo sviluppo,

muovere l’animo altrui a fare qualcosa».

L’esempio di Enza ci stimola: leggere Città

Nuova può coinvolgere mente e cuore. E

responsabilizzare. Quante le guerre ancora nel

mondo che spostano interi popoli alla ricerca

di pace (il dossier “Immigrazione” allegato a

questo numero per tutti gli abbonati vuole

essere un tentativo di spiegazione di questo

fenomeno inarrestabile), quanti i problemi che

attanagliano le famiglie. Ci vuole coraggio per

lasciarsi contaminare dal “bene”, che pure

è tanto intorno a noi. Città Nuova prova a

incoraggiare i suoi lettori e quanti potrebbero

diventarlo: le promozioni nella terza pagina

della copertina hanno questo significato. C’è

bisogno ora di menti e di cuori. Quelli dei

nostri lettori, primi promotori di una cultura che

mette al centro la persona umana.

MARTA CHIERICO

[email protected]

CITTÀ NUOVA IN VACANZA CON TE

La nostra città.

di Michele Zanzucchi

cittànuova n.5 | Maggio 2016

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lamentazioni non servono più. Bisognerebbe che la politica europea capisse che non si può trattare allo stesso modo regioni troppo diverse tra di loro. Mi si permetta, è la stessa logica distruttiva che ha guidato le recenti vicende di Grexit: un Nord “opulento, onesto e laborioso” ha preteso che un Sud “povero, poco laborioso e un po’ imbroglione” pagasse tutto il dovuto, senza sconti. Sapendo, giusto per fare un esempio, che non si può pensare che la sanità in una regione piatta e collegatissima come il bacino del Reno costi quanto la sanità in un Paese con migliaia di isole mal collegate…

PedofiliaSono contentissimo di aver letto le dichiarazioni del card. O’ Malley. Le sue spiegazioni sono chiare ed inequivocabili e da sottoscrivere totalmente. Solo peccato che la Chiesa

cattolica si sia svegliata così tardi benché fosse a conoscenza di quanto avveniva da lunga pezza. Riguardo a quanto esposto nelle chiese, parrocchie, collegi religiosi, chiederei al cardinale se si riferisse agli Usa o anche all’Italia perché a Trieste dove vivo non ne ho visto alcuno da nessuna parte. Se fosse in suo potere dar una sveglia al nostro vescovo o a chi per lui in tanti fedeli le saremmo molto grati.› Sergio Lorenzutti, ex pres. dell’Azione Cattolica

Sulla pedofilia e in genere sugli abusi in materia sessuale nella Chiesa bisognerà continuare a vigilare. Debolezze e malattie vanno curate, ma i reati vanno condannati. Perché un solo caso è anche di troppo nella sequela di Cristo.

Rosso o non rossoDa 45 anni leggo Città Nuova. Mi nutre, mi

forma, mi raddrizza quando vacillo. Mi incultura. Per venire all’ultima veste, vi dirò che all’inizio mi è mancato quel titolo bianco su rosso che si staccava dall’altra stampa, ora mi sono adattata. › Cettina Zafarana

Ho sempre ritenuto il colore rosso “aggressivo”. Mi sembra di vedere nei titoli, nei box e nelle didascalie, un uso eccessivo di tale colore.› Un lettore

Caratteri piccoliSubito al primo numero del nuovo mensile avevo notato che alcuni articoli erano scritti con caratteri più piccoli degli altri. Devo dire che alcuni sfondi colorati creano una lettura un po’ difficoltosa.› Battista Bonometti

Così belloGrazie per il nuovo giornale: come è stato

sono costretti a trasferirsi al settentrione; come mai un monolocale a Marsala o a Trapani in affitto lo paghi al massimo 250 euro e lì 600? Un appartamento di 50 mq al Sud lo paghi non più di 60 euro e lì 150 euro? Non si costringono questi ragazzi a vivere da schiavi? Sono abbonato alla rivista da più di 40 anni e sono anche un modesto abbonatore. Città Nuova non può lanciare un grido d’allarme alle autorità che, forse per tanti interessi, fanno finta di non conoscere il problema?› Alberto Di Girolamo - Marsala

Potrei rispondere che è la legge della domanda e dell’offerta... Oppure che la storia ha riservato al Sud invasioni dopo invasioni… O ancora che la mafia rovina tutto… Potrei scrivere tante cose, ma la realtà è che il Sud è ancora sofferente. E tuttavia le

cittànuova n.5 | Maggio 2016

FUORI DAL CARCEREMaurizio, 48 anni, è stato

in carcere e sta cercando

di riprendere in mano la

sua vita. Ha una moglie

e 3 figli: Antonio, 28

anni, Alessandro, 26,

e Riccardo, 22. Sono

senza lavoro e non sanno

come fare per andare

avanti. Chiedono un

aiuto. Il parroco, don

Michele, conferma che

questa famiglia ha grandi

difficoltà.

Guardiamoci attorno a cura dell’associazione Progetto Sempre Persona

Invia il tuo contributo tramite c.c.p. n. 34452003 oppure tramite bonifico bancario (Iban IT46R07601032000000 34452003) intestato a Città Nuova della PAMOM, specificando come causale “Guardiamoci attorno”. Oppure scrivi a Città Nuova, via Pieve Torina 5500156 Roma.Le richieste di aiuto si accettano solo se convalidate da un sacerdote. Scrivete a [email protected] o all’indirizzo di posta. Verranno pubblicate a nostra discrezione e nei limiti dello spazio disponibile.

Dialogo con i lettori

6 FIGLI DA MANTENEREBarbara è madre di 6 figli,

tutti minorenni. Il marito

è in carcere e non può

provvedere alla famiglia. Lei

è disoccupata e ha problemi

nel cercare lavoro per via

della numerosa famiglia

a cui deve badare da

sola. 3 figli sono portatori

d’handicap e prendono un

piccolo sussidio. Siccome

necessitano di visite e

controlli periodici, il piccolo

sostegno non basta, non

hanno altro.

MENINGITEMaria Magda ed Emilio

hanno la loro figlia, Sara (6

anni), a letto per meningite

fulminante. La situazione si

è un po’ stabilizzata anche

se non parla, non mangia

autonomamente, non si

sa se vede... Con questo

pesante compito la mamma

non può lavorare. Il papà ha

qualche lavoretto saltuario

ed è molto difficile per loro

tirare avanti.

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97cittànuova n.5 | Maggio 2016

possibile farlo così bello? Anche un altro abbonato mi ha detto che gli piace più del precedente. Il fatto di essere un mensile lo trova (come me) molto utile perché gli articoli sono più approfonditi anche se non troppo complicati. Anche l’impaginatura del giornale gli piace di più della precedente. › Massimo Castellani

SperanzaIn un mondo di disunità, fobia del diverso, dell’altro, di cronaca nera, Città Nuova porta i segni dei costruttori di unità, pace, accoglienza che sono la vera rivoluzione, la speranza che mai muore.  › Peppe Trapani

Grazie a tutti i lettori che ci inviano le loro critiche e i loro apprezzamenti sulla nuova rivista mensile. Terremo conto, per quanto possibile, dei suggerimenti.

Odore di stampaRicevendo gli ultimi numeri della rivista nella nuova versione, abbiamo notato, e alcuni abbonati ci hanno segnalato, che emana un forte odore di carta stampata. Ci chiedevamo se, a parte la sensazione poco piacevole a chi è sensibile agli odori, le sostanze odorose diffuse nell’aria non siano nocive per l’ambiente. Nel numero di febbraio infatti anche voi parlate di difesa dell’ambiente. Siamo sicuri che fate tutto rispettando le norme di legge, ma vorremmo dare una risposta a chi ci chiede spiegazioni.  Un grazie anticipato.› Un gruppo di lettori e abbonatori di Como

Ci dispiace dell’odore sgradevole che si respira aprendo il cellophane, ma possiamo assicurare che non c’è nulla di nocivo. Anzi, l’inchiostro per la stampa utilizzato dalla tipografia è ecologico.

Piacere di leggereStamattina che è sabato mi concedo di poltrire un po’ a lungo nel letto e sfoglio con attenzione la rivista. Mi fermo su una frase di Dori Zamboni che dice pressappoco così: «Quando anche la forma diventa sostanza». Questa frase era riferita alla nuova grafica, ma nel leggere la rivista provavo un piacere delicato e profondo. Forse perché essa fa muovere le corde del mio sentire, con le esperienze di vita così toccanti del dr. Leto e la vicenda di Ismaila, ma anche con il viaggio in Nepal o il ricordo di Rascel e del poeta Luzi, riportano al mio cuore una visione di luce in mezzo alle brutture del mondo. Grazie per il vostro lavoro. › Roberto Paoloni

Errata corrigeSul numero di marzo a p. 87 il nome dell’autrice della favola non è corretto. L’autrice è in realtà Maristella Galli e l’illustratrice è Giorgia Corcione. Ci scusiamo con le dirette interessate e coi lettori.

A proposito dell’articolo “Gender: incontrarsi senza scontrarsi”, apparso su Città Nuova n. 2/2016, p. 97

Dramma. Prendo spunto per riproporre il tema

dell’omosessualità che, a mio avviso, è di estrema

delicatezza e di grande importanza nell’attuale

società. Da alcuni anni in un piccolo gruppo di

persone, giovani e non, omosessuali, con la presenza

di un diacono, stiamo facendo un cammino di fede

e condivisione. Il mio servizio è solo di ascolto e di

accoglienza. Conosco molto bene queste realtà e

sofferenze, perché ho sperimentato, all’interno della

mia famiglia, il dramma della transessualità attraverso

un mio fratello che ha scelto di “diventare sorella”; ciò

per noi familiari ha rappresentato un dramma enorme.

Sono molti i rischi incontrati dai trans. Disprezzo,

violenze, giudizi, emarginazione, soprattutto nel

mondo del lavoro. Questo costituisce, per le famiglie,

un gran dolore che bisogna accettare. La mia

esperienza mi ha portato a capire che dietro a queste

ferite e mutamenti ci sono uomini e donne le cui vite

sono caratterizzate da storie amare; spesso si tratta di

figli violentati nel corpo e nella psiche. Tale situazione

li porta molte volte a rimanere vittime di amicizie

sbagliate. La mia esperienza diretta e indiretta mi ha

portato alla conclusione che le famiglie che vivono

questi drammi spesso sono lasciate sole e questa

solitudine impedisce loro di trovare la forza per

sostenere i loro figli. Cosa possiamo fare? Costituire

una rete di servizio che coinvolga queste famiglie, che

da sole non riescono ad affrontare tale situazione. Se

si riesce ad arrivare alle famiglie coinvolte e a dare

loro forza e coraggio, esse possono trovare l’iniziativa

e le giuste soluzioni per sostenere i loro figli, al fine

di evitare nuovi danni. Attraverso Città Nuova si può

arrivare a molte famiglie invitandole a un confronto e

a una condivisione per trovare, poi, strade da seguire.

Personalmente sono a disposizione e lascio, a questo

scopo, il mio indirizzo mail: [email protected].

Cordiali saluti, anche da parte di mio marito.

MARIA SATARIANO

Volentieri pubblichiamo questo appello, sperando che

serva a far uscire dalla solitudine qualche famiglia.

Sulla rivista e sul sito torneremo su un argomento così

delicato, dove è facile lasciarsi prendere da pregiudizi

e disinformazione. Tra l’altro le posizioni spesso

sono così rigide che è quasi impossibile parlarsi e

capirsi. Ma non molliamo nel cercare di creare spazi di

dialogo. (MZ)

LE FAMIGLIE DEI TRANS

Riparliamone.

di Michele Zanzucchi

a cura di GIANNI ABBA

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98 cittànuova n.5 | Maggio 2016

Galanterie e cose d’altri tempi

Arrivarono in 44. Era la terza decade dell’800. Erano stati inviati come ambasciatori a Parigi dal Pascià d’Egitto per capire come funzionassero le istituzioni scolastiche francesi e si trovarono di fronte un mondo alla rovescia. Ne descrive lo stupore lo storico Alain Finkielkraut ne L’identità infelice (2016), soffermandosi su un dettaglio oggi per noi trascurabile: a Parigi le donne erano tutte oggetto di cortesia e di riguardo. Se una sedia era libera, veniva lasciata a una donna; ogni gentilezza era riservata alla padrona di casa e uomini e donne si intrattenevano con gentile disinvoltura nelle sale da ballo. Siamo dentro un quadro un po’ vintage, dominato dalla galanteria dell’Europa borghese. Un sistema di convenzioni sociali che portava il più forte, o chi si riteneva tale, a concedere al più debole rispetto e omaggi. Idea che si è poi nel tempo trasformata in un codice diffuso di buona educazione. Eppure, conclude l’autore, anche la galanteria, come tutte le forme borghesi, dimostra di avere un fondamento morale, facendo entrare fin dentro la commedia sociale, lo scrupolo e l’attenzione verso l’altro. La galanteria infatti non segue la natura – privilegiando le donne giovani e aggraziate – ma la contravviene includendo nell’omaggio l’intero universo femminile, senza distinzione d’età e di grazia.

Torniamo ai nostri giorni. Aprire la porta a una signora, versarle dell’acqua a tavola quando il bicchiere è vuoto ci paiono solo vezzi un po’ retrò. Oggi siamo molto più sensibili alle ragioni della parità e del rispetto; da tempo le donne hanno imparato a sovvertire ordini e gerarchie. Provate ad aprire la portiera di un’auto a una donna americana e sarete guardati come un suppellettile da museo. Ma quella stessa donna non oserebbe mai fare per prima una proposta di matrimonio al proprio fidanzato (la filmografia wedding style è desolante!). Indugiate qualche istante di troppo nello scendere dall’auto per aprire la portiera della vostra gentile ospite in contesti più mediterranei e sarete tacciati di cattiva educazione. Tempi durissimi per gli uomini ben educati che ormai non sanno più come muoversi: in ogni caso sbagliano. Tempi duri anche per le donne, in parte gratificate dalla ritrovata parità, in parte stupite da orde di uomini che, nel varco stretto di un portone aperto, non si fanno scrupoli a passare per primi. Scavalcandole, con spensierata leggiadria. Sì, lo so, parità e rispetto chiedono ben altri cambiamenti culturali. Ma anche in una società di pari la gentilezza di genere non è cosa d’altri tempi.

CONVENZIONI

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di Elena Granata

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Chiara Andreola, FAME D’AMORE la mia anoressia con un saggio di Silvia Dalla Casa

Fernando Muraca, DIECI GIORNI storia di un amore con un saggio di Rino Ventriglia

Luca Gentile, ATTRAVERSANDO INSIEME LA NOTTE un padre, un figlio, la drogacon un saggio di Loredana Petrone

Michele Zanzucchi, NIENTE È VERO SENZA AMORE con un saggio di Anna e Alberto Friso

Tamara Pastorelli, L’ESTATE DI AGNESE con un saggio di Chiara Gambino

Michelangelo Bartolo, GIOIA E LE ALTRE con un saggio di Valter Giantin

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