Daccapo , il nuovo romanzo di Dario Franceschini ... · quasi mai i romanzi dei leader politici...

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R2 CULTURA 58 MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 l a R e p u b b l i c a fratelli e sorelle, tutti generati con altrettante prostitute. Per onestà va anche detto che quasi mai i romanzi dei leader politici sono i benvenuti. E que- sto perché i loro autori, di norma ben pasciuti e innamorati di sé, già intasano quotidiani, rotocal- chi e schermi televisivi. Per cui imparassero a far bene il loro me- stiere, cioè leggi e opposizione, viene da pensare con la dovuta malignità, senza infliggerci pure le loro esercitazioni della dome- nica, per cui questi onorevoli ex- ploit letterari in linea di massima si tende a rubricarli con un’alza- ta di spalle come casi di bulimia narcisistica, o avidità predatoria, o parassitismo editoriale con pa- racadute cortigiano e recensione garantita. Detto questo, ma riconosciu- tane anche la maligna fallacia, non c’è libro, non c’è romanzo che non dica qualcosa; e se a scri- verlo - anche bene, cioè chiaro, con ritmo e qualche soluzione poetica - è proprio un uomo già posseduto dalla passione politi- ca e comunque immerso nelle beghe del potere, come è nel ca- so di Dario Franceschini, beh, al- lora questo doppio piano di let- tura non si può, né è giusto liqui- dare all’insegna del malanimo, magari venato di comprensibile anti-politica. Così accade che si colga un lampo di verità in questo suo Daccapo e nell’argomento sca- broso che reca come biglietto da visita. E lo si dice con qualche ri- tegno nell’era del bunga-bunga, ma ciò che in queste pagine viene ambientato ed esaltato, e pro- prio contro le vuote forme del moralismo e del perbenismo co- sì diffusi sulla scena pubblica, si trova scritto nel Vangelo: “Le pro- stitute vi precederanno nel Re- gno di Dio” (Mt, 21,28). La frase è rivolta ai farisei, che poi sarebbero i politici e i giorna- listi di oggi. Nel suo terzo roman- zo l’onorevole Franceschini, si mette decisamente in gioco sen- za paura di trasmettere al lettore tutta la sconvolgente potenza di Eros, altro che il doppio turno o la terza gamba dell’ex Ulivo! Perché attraverso una piccola prostituta di nome Mila la bufera di Eros apre voragini nell’animo del pro- tagonista oppresso dalle con- venzioni, quindi gli rivolta la vita, travolge ordini falsi e ipocriti, scioglie il nodo della cravatta, ri- lassa le spalle, trasforma le smor- fie in sorriso. Perché Eros - anche per i poli- tici oltre che per i notai e i figli dei notai - è libertà, è liberazione, è il- luminazione, è impeto di gene- rosità e per questo apre gli occhi del cuore e fa scoprire «come la vita sia ovunque». Questo in estrema sintesi ciò che accade al protagonista, tra Mantova e Fer- rara in anni lontani su cui sembra calata una atmosfera da sogno. Sullo sfondo c’è la provincia emiliana con le sue biciclette, il grande fiume, le corriere, i nomi strani che forse ancora si danno alle persone, Edmo, Clerice, Ni- vardo, Ginisca, la salama da sugo, i balli sui terrazzi o nelle aie. C’en- trano matrimoni molto scombi- nati e un vecchio proiettore; c’è un’eredità palpitante, una strana anagrafe, un’esplosione alla Au- to da fè e un rapporto che con au- dace ambiguità ci si sente infine autorizzati a qualificare lesbico. Al dunque da questo romanzo l’onorevole Franceschini esce parecchio più spettinato di quanto fosse prima di comincia- re a scriverlo. Non è un male. È una bella pretesa impossibile, tanto più in epoca di vantag- giose contaminazioni, tenere distinta la figura del romanzie- re da quella del politico di primo piano, come pure chiede e ri- chiede con vana insistenza Dario Franceschini riguardo al suo terzo libro, Daccapo (Bompiani, pagg. 220, euro 16,90). E non so- lo per via dell’argomento piccantello: basti qui sapere che il protago- nista, un notaio di provincia invero un po’ represso e cristallizzato nel suo ruolo, si sente rivelare in punto di morte dal ricco padre, pure no- taio e circondato da una fama di sorvegliata autorevolezza, di avere 52 “Daccapo”, il nuovo romanzo di Dario Franceschini PROSTITUTE E PASSIONE UNA VITA DI PROVINCIA FILIPPO CECCARELLI FABIO GAMBARO Il tema scabroso dell’erotismo che percorre la storia ci fa cogliere un lampo di verità © RIPRODUZIONE RISERVATA ANSELM L’intervista/Il celebre autore tedesco e la scena contemporanea: “Siamo soffocati dai record e dal mercato” KIEFER “COSÌ IL CINISMO DI HIRST DISTRUGGE L’ARTE” “Daccapo” è l’ultimo romanzo di Dario Franceschini (edizioni Bompiani) PARIGI «L’ arte sopravviverà alle sue rovine». Per Anselm Kiefer è una certezza da costruire giorno per giorno. Il celebre artista tedesco - le cui ope- re monumentali e sature di materie stratificate suscitano dapper- tutto stupore e ammirazione, ma anche infinite discussioni - lo pro- verà ancora una volta a Venezia, alla Fondazione Vedova, dove tra pochi giorni presenterà “Salt of the earth” (dal primo giugno al 30 novembre). Si tratta di una suggestiva istallazione che, rievocando le incessanti trasformazioni dell’alchimia, instau- rerà un dialogo a distanza con un ciclo di tele di Vedova, “... in continuum”, esposte nello stu- dio del pittore veneziano scomparso nel 2006. «Non ho mai conosciuto Vedova, ma le sue opere, specie negli anni Sessanta, sono state per me molto importanti», ci dice Kiefer, ricevendoci nel suo immenso atelier a venti chilo- metri da Parigi, un capannone di 30.000 metri quadri ingombro di tele, sculture, costruzio- ni e materiali d’ogni tipo. «L’idea di pensare un’opera per gli spazi del Magazzino del Sale della Fondazione Vedova mi ha subito affascinato. Il sale, insieme al mercurio e allo zolfo, e uno degli elementi di base dell’alchimia, una realtà a cui m’interesso da molto tempo. An- che perché, per andare verso il fu- turo occorre guardare verso il pas- sato. Ho provato così a realizzare un’opera che evocasse la ricerca alchemica, sfruttando diversi ma- teriali, ma anche il processo dell’e- lettrolisi. Accanto ai quadri, ci sa- ranno quindi delle lastre di piom- bo lavorate e trasformate dall’elet- trolisi che verranno presentate al- l’interno di una struttura, il cui scopo è quello di separare l’arte dalla vita. Non credo, infatti, che l’arte e la vita debbano essere con- fuse, sebbene in passato Dada e Fluxus abbiano tentato questa via, ottenendo risultati molto interes- santi. Attraverso una soglia, io pre- ferisco indicare l’ingresso nel mondo dell’arte, che è diverso dal- la vita reale». La fondazione Vedova sottoli- nea nel suo lavoro, come in quello del maestro veneziano, “un’ico- noclastia” tesa alla “ricerca di nuove forme”. Si riconosce in questa definizione? «Un artista è sempre alla ricerca di nuove forme, giacché si con- trappone sempre all’esistente, cercando ogni volta un nuovo or- dine del mondo. Oggi però molti artisti sfruttano la ripetizione, ri- ducendo l’arte a semplice diverti- mento. La ripetizione è senza sor- prese. Se io lavoro duramente alle mie opere, è solo per imbattermi di tanto in tanto in una sorpresa». Il dominio della ripetizione mette l’arte in pericolo? «Sì, ma l’arte è sempre in perico- lo. E’ minacciata dall’esterno co- me dall’interno. All’esterno, l’arte fa paura e i potenti hanno sempre cercato di controllarla. L’arte è in- dipendente, non è riconducibile alle leggi della morale e della poli- tica, quindi spiazza e sorprende il potere. Il vero artista non fa mai quello che ci si aspetta da lui, sfug- ge alle regole e alle attese, mostra che si può pensare l’impensabile, diventando così un esempio peri- coloso». E quali sono i pericoli interni? «Un’opera artistica nasce sem- pre da una successione di scelte. Ad ogni momento, quindi, si ri- schia la scelta sbagliata. L’arte è co- me un percorso sulla cresta di una montagna, si può cadere ad ogni istante da una parte o dall’altra. Ol- tretutto, l’arte è sempre attratta dall’autodistruzione, come hanno mostrato in passato i futuristi. Per rinnovarsi, oggi si mette alla ricer- L’OPERA A sinistra le foto di Charles Duprat della installazione “Salt of the Earth” di Kiefer al Magazzino del Sale di Venezia; sopra, un ritratto dell’artista ***************************************************************************************** ***************************************************************************************** ***************************************************************************************** ***************************************************************************************** ***************************************************************************************** *****************************************************************************************

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R2CULTURA� 58

MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011

la Repubblica

fratelli e sorelle, tutti generati conaltrettante prostitute.

Per onestà va anche detto chequasi mai i romanzi dei leaderpolitici sono i benvenuti. E que-sto perché i loro autori, di normaben pasciuti e innamorati di sé,già intasano quotidiani, rotocal-chi e schermi televisivi. Per cuiimparassero a far bene il loro me-stiere, cioè leggi e opposizione,viene da pensare con la dovutamalignità, senza infliggerci purele loro esercitazioni della dome-nica, per cui questi onorevoli ex-ploit letterari in linea di massimasi tende a rubricarli con un’alza-ta di spalle come casi di bulimianarcisistica, o avidità predatoria,o parassitismo editoriale con pa-racadute cortigiano e recensionegarantita.

Detto questo, ma riconosciu-tane anche la maligna fallacia,non c’è libro, non c’è romanzoche non dica qualcosa; e se a scri-

verlo - anche bene, cioè chiaro,con ritmo e qualche soluzionepoetica - è proprio un uomo giàposseduto dalla passione politi-ca e comunque immerso nellebeghe del potere, come è nel ca-so di Dario Franceschini, beh, al-lora questo doppio piano di let-tura non si può, né è giusto liqui-dare all’insegna del malanimo,magari venato di comprensibileanti-politica.

Così accade che si colga unlampo di verità in questo suoDaccapo e nell’argomento sca-broso che reca come biglietto davisita. E lo si dice con qualche ri-tegno nell’era del bunga-bunga,ma ciò che in queste pagine vieneambientato ed esaltato, e pro-prio contro le vuote forme delmoralismo e del perbenismo co-sì diffusi sulla scena pubblica, sitrova scritto nel Vangelo: “Le pro-stitute vi precederanno nel Re-gno di Dio” (Mt, 21,28).

La frase è rivolta ai farisei, chepoi sarebbero i politici e i giorna-listi di oggi. Nel suo terzo roman-zo l’onorevole Franceschini, simette decisamente in gioco sen-za paura di trasmettere al lettoretutta la sconvolgente potenza diEros, altro che il doppio turno o laterza gamba dell’ex Ulivo! Perchéattraverso una piccola prostitutadi nome Mila la bufera di Erosapre voragini nell’animo del pro-tagonista oppresso dalle con-venzioni, quindi gli rivolta la vita,travolge ordini falsi e ipocriti,scioglie il nodo della cravatta, ri-lassa le spalle, trasforma le smor-fie in sorriso.

Perché Eros - anche per i poli-tici oltre che per i notai e i figli deinotai - è libertà, è liberazione, è il-luminazione, è impeto di gene-rosità e per questo apre gli occhidel cuore e fa scoprire «come lavita sia ovunque». Questo inestrema sintesi ciò che accade alprotagonista, tra Mantova e Fer-rara in anni lontani su cui sembracalata una atmosfera da sogno.

Sullo sfondo c’è la provinciaemiliana con le sue biciclette, ilgrande fiume, le corriere, i nomistrani che forse ancora si dannoalle persone, Edmo, Clerice, Ni-vardo, Ginisca, la salama da sugo,i balli sui terrazzi o nelle aie. C’en-trano matrimoni molto scombi-nati e un vecchio proiettore; c’èun’eredità palpitante, una stranaanagrafe, un’esplosione alla Au-to da fè e un rapporto che con au-dace ambiguità ci si sente infineautorizzati a qualificare lesbico.Al dunque da questo romanzol’onorevole Franceschini esceparecchio più spettinato diquanto fosse prima di comincia-re a scriverlo. Non è un male.

Èuna bella pretesa impossibile, tanto più in epoca di vantag-giose contaminazioni, tenere distinta la figura del romanzie-re da quella del politico di primo piano, come pure chiede e ri-chiede con vana insistenza Dario Franceschini riguardo al

suo terzo libro, Daccapo (Bompiani, pagg. 220, euro 16,90). E non so-lo per via dell’argomento piccantello: basti qui sapere che il protago-nista, un notaio di provincia invero un po’ represso e cristallizzato nelsuo ruolo, si sente rivelare in punto di morte dal ricco padre, pure no-taio e circondato da una fama di sorvegliata autorevolezza, di avere 52

“Daccapo”, il nuovo romanzo di Dario Franceschini

PROSTITUTE E PASSIONEUNA VITA DI PROVINCIAFILIPPO CECCARELLI

FABIO GAMBARO

Il tema scabrosodell’erotismo chepercorre la storiaci fa cogliereun lampo di verità

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ANSELM

L’intervista/Il celebre autore tedescoe la scena contemporanea: “Siamosoffocati dai record e dal mercato”

KIEFER“COSÌ IL CINISMO DI HIRSTDISTRUGGE L’ARTE”

“Daccapo” èl’ultimoromanzo diDarioFranceschini(edizioniBompiani)

PARIGI

«L’arte sopravviverà alle sue rovine». Per Anselm Kiefer è una certezzada costruire giorno per giorno. Il celebre artista tedesco - le cui ope-re monumentali e sature di materie stratificate suscitano dapper-tutto stupore e ammirazione, ma anche infinite discussioni - lo pro-verà ancora una volta a Venezia, alla Fondazione Vedova, dove tra

pochi giorni presenterà “Salt of the earth” (dal primo giugno al 30 novembre). Si tratta di unasuggestiva istallazione che, rievocando le incessanti trasformazioni dell’alchimia, instau-rerà un dialogo a distanza con un ciclo di tele di Vedova, “... in continuum”, esposte nello stu-dio del pittore veneziano scomparso nel 2006.

«Non ho mai conosciuto Vedova, ma le sue opere, specie negli anni Sessanta, sono stateper me molto importanti», ci dice Kiefer, ricevendoci nel suo immenso atelier a venti chilo-metri da Parigi, un capannone di 30.000 metri quadri ingombro di tele, sculture, costruzio-ni e materiali d’ogni tipo. «L’idea di pensare un’opera per gli spazi del Magazzino del Saledella Fondazione Vedova mi ha subito affascinato. Il sale, insieme al mercurio e allo zolfo, euno degli elementi di base dell’alchimia, una realtà a cui m’interesso da molto tempo. An-che perché, per andare verso il fu-turo occorre guardare verso il pas-sato. Ho provato così a realizzareun’opera che evocasse la ricercaalchemica, sfruttando diversi ma-teriali, ma anche il processo dell’e-lettrolisi. Accanto ai quadri, ci sa-ranno quindi delle lastre di piom-bo lavorate e trasformate dall’elet-trolisi che verranno presentate al-l’interno di una struttura, il cuiscopo è quello di separare l’artedalla vita. Non credo, infatti, chel’arte e la vita debbano essere con-fuse, sebbene in passato Dada eFluxus abbiano tentato questa via,ottenendo risultati molto interes-santi. Attraverso una soglia, io pre-ferisco indicare l’ingresso nelmondo dell’arte, che è diverso dal-la vita reale».

La fondazione Vedova sottoli-nea nel suo lavoro, come in quellodel maestro veneziano, “un’ico-noclastia” tesa alla “ricerca dinuove forme”. Si riconosce inquesta definizione?

«Un artista è sempre alla ricercadi nuove forme, giacché si con-trappone sempre all’esistente,cercando ogni volta un nuovo or-dine del mondo. Oggi però moltiartisti sfruttano la ripetizione, ri-ducendo l’arte a semplice diverti-mento. La ripetizione è senza sor-prese. Se io lavoro duramente allemie opere, è solo per imbattermi ditanto in tanto in una sorpresa».

Il dominio della ripetizione

mette l’arte in pericolo? «Sì, ma l’arte è sempre in perico-

lo. E’ minacciata dall’esterno co-me dall’interno. All’esterno, l’artefa paura e i potenti hanno semprecercato di controllarla. L’arte è in-dipendente, non è riconducibilealle leggi della morale e della poli-tica, quindi spiazza e sorprende ilpotere. Il vero artista non fa maiquello che ci si aspetta da lui, sfug-ge alle regole e alle attese, mostrache si può pensare l’impensabile,diventando così un esempio peri-coloso».

E quali sono i pericoli interni?«Un’opera artistica nasce sem-

pre da una successione di scelte.Ad ogni momento, quindi, si ri-schia la scelta sbagliata. L’arte è co-me un percorso sulla cresta di unamontagna, si può cadere ad ogniistante da una parte o dall’altra. Ol-tretutto, l’arte è sempre attrattadall’autodistruzione, come hannomostrato in passato i futuristi. Perrinnovarsi, oggi si mette alla ricer-

L’OPERA

A sinistrale fotodi CharlesDupratdellainstallazione“Salt of theEarth”di Kieferal Magazzinodel Saledi Venezia;sopra,un ritrattodell’artista

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@MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011

la Repubblica PER SAPERNE DI PIÙ

www.fondazionevedova.orgwww.mondadori.it

e penso a Enzo Siciliano me l’immagino sorridente e vestito di bianco forse per sugge-stione di un passo di Campo de’ Fiori che mi era rimasto impresso. «Avevo un vestitobianco cui ero affezionato: era di mio padre, me lo ero fatto adattare e lo portavo comefosse una reliquia», racconta Enzo riandando ai suoi anni giovanili. «Ho un ricordo diquegli anni quasi fosse sempre estate, una vita all’aria aperta».

Nell’opera vasta e variegata di Siciliano, di cui ora un Meridiano ottimamente cura-to da Raffaele Manica, con la collaborazione di Simone Casini, propone una scelta,Campo de’ Fiori è un punto d’osservazione privilegiato. Intanto è un consuntivo d’au-tore, una messa a fuoco meditata a lungo (uscì nel ’93) dopo la tragedia della morte diPasolini e dunque in una situazione che non concede sconti, perché si sa che nulla saràpiù come prima. Campo de’ Fiori è dunque un cercarsi interrogando il proprio passatoe la forma di scrittura adottata, una sorta di racconto-diario con degli “a parte” in cor-

PAOLO MAURI

sivo, fruga nel tempo perduto di cui Sici-liano è stato testimone e insieme protago-nista. Eccolo rievocare la quasi-rotturacon la Morante che accoglie male le sue ri-serve sulla Storia e gli annuncia che nonleggerà mai la biografia di Pasolini (da luipubblicata nel ’78) perché le biografie nondicono cose vere. Eccolo, tanti anni pri-ma, discutere con Moravia al caffè Rosatidi piazza del Popolo, dove Siciliano, cheallora lavorava alla Rai di via del Babuino,raggiungeva lo scrittore durante la pausadel pranzo. Si parla di Nizan, i due si dàn-no ancora del lei. La discussione si infer-vora e il cameriere si avvicina chiedendo,senza dirlo, che abbassassero un po’ i to-

ni di voce. Siciliano deve a Pasolini il titolo “Rac-

conti ambigui”, ma al premio ViareggioPier Paolo sostiene Massimo Ferretti e di-ce al suo giovane amico di aver lavoratoper la sua sconfitta. «Le parole di Pier Pao-lo mi fecero male», commenta Siciliano,ma poi racconta che lo stesso Pasolini gliaveva chiarito che non lo aveva certo fattoper sadismo.

«Scrivere si tramutava in una ininter-rotta scoperta di me stesso, un saldo chenon si è mai chiuso da allora», annota Si-ciliano sempre in Campo de’ Fiori. L’indi-cazione è preziosa: il biografo di Pasolini edi Moravia è stato dunque il biografo, l’in-quisitore di se stesso attraverso la scrittu-ra creativa e dunque con tutte le traslazio-ni e i travestimenti del caso, ma anche connumerosi elementi in chiaro, specie at-torno alla figura della madre. ComunqueSiciliano cominciò la sua carriera en phi-losophe, laureandosi alla Sapienza conuna tesi su Wittgenstein. Aveva anche unaforte inclinazione musicale e studiavacanto, poi optò decisamente per la lette-ratura, dividendosi tra la critica e la narra-tiva, anche se - e per tutta la vita - la cultu-ra musicale avrebbe dato i suoi frutti.

Nato nel ’34, Siciliano ha più o menouna trentina d’anni all’epoca in cui di-

vampano le polemiche tra Neoavanguar-dia e Tradizione. E’ una vicenda tropponota e anche un po’ consumata dalle con-tinue rievocazioni perché sia necessarioqui ripercorrerla. Quasi mezzo secolo do-po sarebbe lecito uscire dall’aneddotica etentare bilanci un po’ meno provvisori.Fatto sta che quando, agli inizi degli anniOttanta, Siciliano pubblicò La Principes-sa e l’Antiquario, un romanzo ambientatonella Roma del Settecento, ma con unacornice novecentesca e Eco pubblicò Ilnome della rosa qualcuno pensò che cer-te incandescenti discussioni potevanoormai essere archiviate. A me sembra tut-tavia che Siciliano abbia scritto i suoi ro-manzi senza dimenticarsi mai d’essere unintellettuale o meglio senza riuscire a ta-citare l’intellettuale che era in lui. Sicché,a volte, Siciliano è un narratore migliorenelle opere non dichiaratamente narrati-ve, perché lì non ha più bisogno di sorve-gliarsi. Si veda, per esempio, Il fazzolettodi Furtwängler o il più volte citato Campode’ Fiori per non dire delle numerose pro-se diaristiche o memorialistiche.

Raffaele Manica, a un certo punto dellasua prefazione, scrive: «Sulla figura intel-lettuale e sull’opera di Siciliano si è eserci-tata quella che un illustre critico ha chia-mato, per tutt’altri “contesti” una “scuoladel risentimento”. Ovvero: quel che Sici-liano si è meritato sul campo sembravaspettare a chiunque altro, tranne che alui». E poco sopra Manica aveva scrittoche l’essere stato amico di Moravia e Pa-solini era stato vissuto da qualcuno comeuna sorta di delitto. Questo Meridiano è,intanto, un invito a rileggerlo (o a legger-lo), lasciando dove sono quelli che ormaici sembrano solo pettegolezzi scaduti. Unfatto resta: la vicenda di Siciliano, cultura-le e letteraria, è una vicenda plurale, constorie che si intrecciano e in qualche mo-do dialogano. Grazie anche alla Cronolo-gia molto accurata di questo Meridiano èintanto possibile recuperare “dal vivo”una lunga stagione letteraria e rileggere,per esempio, anche il Siciliano anima diNuovi Argomenti, così aperto e pazientenei confronti delle esperienze dei più gio-vani. Quello che possiamo aggiungere, daamici oltre che da lettori, è che era un uo-mo innamorato della letteratura e l’avevacorteggiata intensamente per tutta la vita.

Esce il Meridiano che raccoglie scritti e opere del grande autore

LE STAGIONI DI SICILIANOINTELLETTUALE NARRATORE

IL VOLUME

“Operescelte”di EnzoSiciliano(Mondadori,collanaI Meridiani)

Dalla rottura con la Morante allediscussioni con Moravia fino alrapporto con Pasolini e lagenerosità nei confronti dei giovani:i tanti volti del lavoro di un maestro

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ca di stimoli e idee al di fuori deipropri confini, confrontandosicon il kitsch, la cultura di massa, ilbrutto, materiali che prova riela-borare e trasformare. Spesso peròfinisce per restarne prigioniera».

Pensa ad artisti come JeffKoons?

«Non m’interessa fare nomi. Di-co solo che già Andy Warhol realiz-zava la morte dell’arte. I suoi qua-dri erano brutti, ma il cinismo delsuo lavoro era una novità. Oggiperò quello stesso cinismo non èpiù riproponibile. Non si puòesporre di nuovo l’orinatoio di Du-champ. Eppure c’è chi lo fa. L’artediventa così un passatempo diver-tente, al cui interno si può fare ditutto. I risultati però non lascianotraccia. Si consumano immedia-tamente e si dimenticano. Que-st’arte non intriga più, è solo con-sumo».

Il mercato spinge in questa di-rezione?

«Naturalmente, ma è tutto il si-

stema dell’arte ad essere prigio-niero della quantità, come mo-strano i musei alla ricerca del re-cord di pubblico. L’arte rischia diessere soffocata dal denaro e dairecord. Non a caso, circolano mol-te opere che non hanno nulla a chevedere con l’arte. Oggi la vera arteè underground, sepolta sotto unavalanga d’opere inutili e commer-ciali».

Un artista celebre può resistereagli eccessi del mercato?

«Non è facile, perché il mercatoè seduzione. Io provo a resistere,ad esempio impedendo ai galleri-sti di proporre le mie opere alle fie-re. Oppure dipingendo solo qua-dri molto grandi che non entranonei salotti. Dipingere piccoli for-mati è come stampare denaro,quindi rifiutarsi di farlo è un modoper resistere alla pressione delmercato. Inoltre, le opere che sivendono meglio sono di solitoquelle più facili e consensuali. Tut-to ciò non m’interessa. Il troppo

consenso è sempre negativo. Pre-ferisco restare nell’underground.Preferisco le critiche anche aspreche però mi fanno sentire vivo».

Rispetto agli anni Cinquanta eSessanta, oggi il pubblico seguecon maggiore attenzione l’artecontemporanea. Per un artista èuno stimolo importante?

«Non è un interesse vero. E’ soloconsumo e spettacolo. Adorno loaveva previsto, sebbene poi l’arte,che sembra sempre precipitarenell’abisso, all’ultimo momentoriesca sempre a salvarsi in un mo-do o nell’altro. L’artista che più hafatto precipitare l’arte verso il suoannientamento è Damien Hirst,come mostrano le quotazioni stra-tosferiche delle sue opere. Il suo ci-nismo trasforma l’arte in puromercato, conducendola in una zo-na pericolosa. L’arte però nonmuore mai, resiste, risorge dallerovine, anche se, nella nostra so-cietà unidimensionale in cui tuttipensano allo stesso modo, non ci siaspetta più nulla d’originale. Perquesto, mi sento un alieno prove-niente da un altro pianeta».

Di recente, Maurizio Cattelanha dichiarato che potrebbe anda-re in pensione. Lei che ha sessan-tasei anni potrebbe mai dire unacosa del genere?

«Naturalmente no. Non potreimai smettere di lavorare. Quandosi ama il proprio lavoro, non si pen-sa alla pensione. Ma la dichiara-zione di Cattelan è una civetteria.Una delle sue solite provocazioniche servono a fargli pubblicità.Non sono contro le provocazioni,ma solo se non sono intenzionali.Se le mie opere provocano, sonocontento, ma nel mio lavoro noncerco mai di provocare volontaria-mente il pubblico. Cattelan invecesì, anche se a volte i suoi risultatipossono essere molto interessan-ti. A me, ad esempio, era molto pia-ciuta la sua Hollywood sulla disca-rica di Palermo. «

Dopo quarant’anni di attività ècambiato qualcosa nel suo mododi lavorare?

«E’ cambiato il contesto, che -come ho detto - è ormai dominatodal mercato. Io però sono rimastolo stesso. La sola differenza è cheoggi so che sono capace di dipin-gere. Non ho talento, ma la miamano adesso sa dipingere. Natu-ralmente ho sempre dei dubbi suquello che faccio, anche perchéquando si crede di saper fare benequalcosa diventa più facile sba-gliarsi. Occorre fare attenzione econtinuare ad interrogarsi critica-mente. E’ il motivo per cui io nonsono mai soddisfatto di quello cheho fatto. E comunque ogni risulta-to è sempre provvisorio. Nulla èmai definitivo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Tutto viene ridottoa divertimentoMa resto ottimista:risorgeremodalle rovine”

Venezia

LE SUE OPEREALLA FONDAZIONE

VEDOVA

VENEZIA — Dal primogiugno al 30 novembre, alMagazzino del Sale di Ve-nezia restaurato da Ren-zo Piano, sarà allestital’installazione di AnselmKiefer Salt of the Earth, acura di Germano Celantper la Fondazione Emilioe Annabianca Vedova.Nell’ex studio di Vedova,nello stesso periodo, saràinvece esposto …in con-tinuum di Emilio Vedo-va, il ciclo costituito da108 tele, la maggior partein bianco e nero, dipintenel 1987-1988. Con que-ste due nuove esposizio-ni la Fondazione Emilio eAnnabianca Vedova pro-segue il suo percorso didialogo in parallelo tral’opera dell’artista vene-ziano e quella dei mag-giori protagonisti dell’ar-te contemporanea, ini-ziato lo scorso anno conLouise Bourgeois: the Fa-bric Works ed Emilio Ve-dova Scultore.

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