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da Storie dalla terra.Manuale di scavoarcheologico

di Andrea Carandini

Storia dell�arte Einaudi 1

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Indice

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Stratigrafia e tecnica dello scavo 4

Introduzione 5Una conquista moderna 5Procedere all�indietro 7Questioni disciplinari 8Domande e risposte 9Qualità e quantità 10Costruzione, rovina e stratificazione 11Compiti dello scavatore 12Un gioco universale 13Oggettività e soggettività 15Distruzione e documentazione 16Monumenti e indizi 18Ritorno all�architettura 20Smettere di scavare? 21Scavo e risparmio 23Meriti di una generazione 25

1. Storia e principî della stratigrafia 28Geologia e archeologia 28Stratificazione in generale 34Strati naturali e antropici 37

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storie dalla terra

Stratigrafia e tecnica dello scavo

Lo studio dell�antichità deve saper far parlare idocumenti archeologici, dalle statue e dagli archi ditrionfo ai piú umili frammenti fittili, il loro elo-quente linguaggio. E ai giovani deve essere inse-gnato non già a deridere col Mommsen la paletno-logia come «scienza degli analfabeti» o a insultarecon alcuni seguaci italiani del Mommsen i «ricer-catori di cocci», ma a integrare l�analisi della tra-dizione con lo studio delle tombe e delle stazioni.

gaetano de sanctis

Dato che ci sono infiniti modi disordinati le coseandranno sempre verso la confusione. � Voi nonvedete realmente me, ma un mucchio di informa-zioni su di me. � Le cose possono entrare nelmondo della comunicazione solo mediante reso-conti. � Il numero di differenze potenziali in unoggetto è infinito. � Solo pochissime diventanodifferenze efficaci, cioè informazioni. � L�infor-mazione è concentrata nei contorni. � Il chiaro-scuro è un�ottima cosa, ma gli uomini saggi vedo-no i contorni e perciò li tracciano.

g. bateson

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Introduzione

Una conquista moderna.

Nelle civiltà contadine l�uomo appare ancora relati-vamente indiviso dalla madre terra. Egli guarda al sot-tosuolo con ingenuo e ancestrale rispetto, oppure vice-versa lo dissacra depredandolo dei suoi nascosti tesori.Dalla metà dell�viii secolo a. C. nelle città greche in for-mazione si scoprono e si venerano tombe principeschedi età piú antica come se fossero di eroi (Berard 1982).Durante la purificazione di Delo nel 426 a. C., che com-portava la rimozione di ogni tomba da quel suolo, si sco-prí che metà di esse erano Carie dal tipo delle armi e dalmodo di seppellire allora ancora in uso presso quellapopolazione anatolica (Tucidide 1.8.1). Tornati daCorinto un secolo dopo la sua distruzione i Romani nedepredarono la necropoli recuperando terrecotte e bron-zi di cui riempirono Roma (Strabone viii. 6.23). Sco-perte casuali o cacce a oggetti preziosi fino dall�età ome-rica sono state le uniche forme di una embrionalearcheologia (Manacorda 1988; Pucci 1988). Gli scavi aMiseno e a Sanguigna di Fabrizio del Dongo, nella Char-treuse de Parme, che riflettono quelli dello stessoStendhal in Italia, rientrano ancora in questa mentalitàe siamo nella seconda generazione dell�Ottocento.

Con lo sviluppo dell�industrialismo e il primato dellecittà sulle campagne l�uomo si svezza dalla terra e può

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muovere verso una libera conoscenza del sottosuolo,come anche delle cime montane (l�alpinismo è giovanequanto l�archeologia). Le attività produttive feriscono laterra sempre piú in profondità e la ricerca scientifica rag-giunge i segreti piú impenetrabili delle cose. La sezionedei terreni diventa visione abituale e ovunque emergo-no i resti degli uomini piú antichi. È solo nella secondametà dell�Ottocento che i pochi millenni di storia chela Bibbia avaramente concedeva si sono dilatati in untempo insondabile. Qualche fanatico religioso protestaancora oggi, come a Gerusalemme, contro la profana-zione archeologica delle tombe degli avi, cosí come aRoma i cultori della bellezza, per paura delle ferite infer-te dallo scavo al paesaggio urbano tramandato. È comeil ritrarsi di fronte alla dissezione di un corpo, alle stra-nezze dell�anima o alla bizzarria degli elementi. In que-sto arroccarsi nei vecchi riti e percorsi mentali affiora-no modi di sentire propri di passate piú spontanee civiltànel contesto freneticamente analitico della nostra epoca.«Venerare» e «indagare» sono modi diversi e rivali diamare la terra abitata. L�archeologo stratigrafo, tipicofiglio della modernità, ispeziona cassetti mai aperti delmondo, volendo conoscere dei morti piú di quanto essisapessero o lasciassero intendere di sapere della lorovita. Resuscitare il passato, non solo nella sua parola maanche nella sua apparenza � «meglio una cosa vista checento raccontate» � non è piú la perversione di pochispecialisti ma l�inclinazione di un�epoca, che mentreancora si affanna dietro al progresso piange sempre piúamaramente i paradisi che ha perduto. La sensazione diaver sciupato il mondo, che il meglio della vita sulla terrasia trascorso, ha sviluppato la capacità di ragionare all�in-dietro, riferendosi ai primi dolori, ai primi autori, aglistrati piú antichi dell�esistenza. Nella società in cui i vec-chi sono piú numerosi dei giovani si sviluppa un�atten-zione inedita per disincanti e rovine. La Città proibita

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di Pechino risorge splendida nella proiezione cinemato-grafica e la reggia del Louvre, il piú grande museo delmondo, non ha tralasciato di scavare ogni lembo dellaParigi sottostante, esponendolo in mostra come museodello stesso museo. Ecco un tratto tipico di questanostra epoca.

Procedere all�indietro.

Una casa va continuamente mantenuta se la si vuoleconservare, come si sostituiscono le cellule di un orga-nismo, altrimenti comincia il suo deperimento. Le durerocce e i castelli fortificati tendono a diventare polvere(vi sono piante che sanno nutrirsi di calce scalzando imattoni dei muri). Intere metropoli dormono ormaisotto campi di grano. La terra vince tutto ed è con laterra che l�archeologo stratigrafo ha innanzi tutto a chefare, come se fosse un contadino della storia. Guardan-do fattorie e fabbriche con i tetti crollati su rimasugli disuppellettile egli impara le procedure della rovina, comela vita chiara e multiforme tenda naturalmente versoun�unica pesante oscurità. Osservare le ragioni progres-sive di un crollo non è difficile, perché si tratta pur sem-pre di un procedere in avanti, che è la direzione dellavita cui siamo abituati. Arduo è invece seguire il cam-mino inverso, cioè penetrare tra le spighe di grano perriedificare nell�immaginazione la città distrutta sotto-stante, perché la maceria oblitera coprendolo quantoancora in frammento si conserva, cosí che l�indagatoreè costretto a scendere innaturalmente a ritroso nell�i-gnoto. Ma per servirsi della distruzione a vantaggiodella ricostruzione occorre aguzzare l�ingegno, come chiha perso un oggetto e deve ripercorrere la giornata intempi e luoghi rovesciati. Per questa ragione bisogna svi-luppare l�arte della stratigrafia.

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Questioni disciplinari

L�archeologia dello scavo si fonda su principî pecu-liari e autonomi che solo mediatamente si ricolleganoagli altri modi piú tradizionali di intendere questa disci-plina, come quelli storico-antiquario e storico-artistico.Non si può leggere un�epigrafe romana senza conoscereil latino, né un�opera d�arte senza familiarità con leimmagini. Allo stesso modo non si può indagare il sot-tosuolo senza conoscere le regole della stratigrafia. Ciòsembra ovvio, eppure fraintendere un testo o lo stile diun panneggio scredita uno studioso, mentre distrugge-re una stratificazione non ha ancora portato a seri pen-timenti o ritardato la carriera ad alcuno. Questo statodi cose deriva dal fatto che dietro l�idea corrente diinterdisciplinarità si nascondono ancora saperi che domi-nano su altri e che le filologie nobili scoperte dal Rina-scimento vogliono continuare a comandare su quelleignobili di piú recente formazione. D�altra parte siamosempre piú consapevoli che la qualità di un muro o diuna terra e la natura di un seme poco hanno diretta-mente a che fare con il tradizionale metodo storico e chetutte le fonti, siano esse letterarie o stratigrafiche, hannopari dignità, se non pari lignaggio, perché forniscononotizie di genere diverso, per cui nel maneggiarle sihanno analoghi doveri di probità. In questa prospettivale diverse filologie appaiono come lingue differenti, chenon possono essere subordinate le une alle altre, né esse-re unificate in un unico idioma, ma soltanto comparatee tradotte le une nelle altre. Confronti e versioni sonooperazioni delicate in cui c�è sempre qualcosa da gua-dagnare e anche qualcosa da perdere.

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Domande e risposte.

Le domande che sempre precedono e accompagna-no uno scavo � la tabula rasa è impossibile e indesidera-bile � dovrebbero sorgere non solo dal dialogo fra lo sto-rico scavatore e le fonti letterarie o quelle archeologichegià note e per cosí dire esterne alla ricerca sul campo,ma anche dal colloquio diretto con le strutture, il terre-no e gli oggetti dello scavo in atto. Bisognerebbe perciòche lo stratigrafo sapesse far tacere ogni tanto la suamemoria storica costituita per poter captare il nuovomeno prevedibile che qualsiasi porzione di terra serbain seno. Molta documentazione stratigrafica è statadistrutta sterrando perché non rispondeva alle doman-de poste preliminarmente e dall�esterno allo scavo.Realtà piú tarde sono state sacrificate per raggiungere infretta quelle sottostanti, testimonianze evidenti hannofatto scartare quelle piú riposte e documenti ritenuti piúimportanti hanno portato alla distruzione di altri credutitrascurabili. Nell�archeologia del territorio dovrebbeinvece interessare qualsiasi cosa che si possa incontraree solo una oculata programmazione della ricerca potreb-be consentire di sveltire lo scavo in talune piú ovvie cir-costanze per poter coglierne meglio altre piú insolite earrivare cosí a conoscere la stratificazione fino in fondo,in tutta la sua durata. Ogni scavo ha infatti limiti ditempo e di mezzi per cui deve restituire il massimo diinformazione possibile. Piú ampio è lo spettro delle fontiprese in considerazione a partire dallo scavo stesso, piúampio quello delle domande storiche, meglio sarà con-dotta la ricerca e piú ricca apparirà infine la ricostru-zione storico-monumentale. Né vi è domanda storica perquanto basilare che possa giustificare l�abbandono delleconsuete procedure stratigrafiche. Il momento della con-testualizzazione di uno scavo nell�insieme piú largo delleconoscenze già acquisite è essenziale a una buona rico-

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struzione scientifica, ma esso si rivela tanto piú effica-ce quanto meno avrà prepotentemente e anzi tempointerferito con l�altro momento, logicamente preceden-te, della comprensione della stratigrafia. Il latino e le lin-gue romanze consentono di capire meglio l�italiano, masolo una volta che ne sia stata studiata la peculiare gram-matica. Altrimenti si comparano fra loro confusionianziché distinti. La specializzazione piú che un malenecessario è il presupposto di ogni sapere generale ditipo moderno. Quanto piú ampia, profonda e sistema-tica è stata l�analisi dei dettagli, tanto piú ardua maanche ricca sarà la costruzione della sintesi capace dicomprenderli. Pronto a moltiplicare le domande lo stra-tigrafo avanzerà e ritirerà le risposte mano a mano chel�evidenza le renderà piú o meno plausibili, evitando difar subentrare la sua soggettività prima che i dati piúoggettivi siano stati completamente sfruttati.

Qualità e quantità.

Se lo scritto e il figurato non sono piú gli unici luo-ghi del valore storico, allora è chiaro che non si scava pertrovare statue e papiri, cioè per colonizzare il sommer-so con i nostri saperi inveterati. Lo scavo arricchisceanche qualitativamente l�evidenza, avvicinandosi sem-pre piú alla complessità della vita passata. Il sottosuolonon è solo una dispensa di soprasuolo sommerso darimettere in luce, cosí come un�anima non è soltanto unarmadio da spalancare. Nella rovina e nella terra le cosesi degradano in modi particolari, che sono diversi daidestini degli edifici conservati ancora in uso. Il «sepol-to» è piuttosto «il sepolto». Nella discesa entro i con-testi stratificati è l�evidenza fragile, latente, incoerentee eterogenea a rivelarsi sorprendente e piú difficilmen-te integrabile nelle nostre abituali conoscenze di ciò che

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è già letterariamente, artisticamente e antiquariamentenoto. Si tratta di saper maneggiare sostanze pesanti eopache, che vanno sollevate al piano aereo della cono-scenza, con tutti i rischi di impoverimento e forzaturache si corrono quando si vuole tradurre un testo in unaltro o una dimensione in un�altra, ma anche con la pos-sibilità di dare una forma al casuale movimento dellavita, di trasformare la terra in un libro.

Costruzione, rovina e stratificazione.

Come la vita si trasformi per l�abbandono e finiscasotto terra è una delle curiosità principali dell�archeolo-go. Le costruzioni sono fatte di apporti e sottrazioni dimateriali che si succedono periodicamente nel tempointerferendo gli uni negli altri entro una stessa porzio-ne di spazio. Questa è la vita nel mondo degli oggetti.Le costruzioni finiscono poi sepolte e immobilizzate nelterreno. Questa è la condizione finale delle cose nellaloro morte. Ma come si sono svolti l�agonia e la decom-posizione di un edificio? A volte le costruzioni finisco-no sotto terra mummificate e quindi quasi intatte, comePompei sotto l�eruzione. Altre volte subiscono invecegradi diversi di sconvolgimento e di omogeneizzazione,per deterioramento fisico e alterazione delle relazionispaziali, fino a divenire difficilmente comprensibili oanche a perdersi del tutto. Ciò accade quando l�edificioviene abbandonato e permane esposto all�atmosfera.Qui avviene la transizione dalla condizione di costru-zione a quella di deposizione. Erosioni, accumuli e tra-sformazioni, dovute a forze naturali e umane, alteranol�edificio cosí come era nella sua ultima fase di vita. Seentriamo in un cascinale, in una fabbrica o in un isola-to urbano abbandonati possiamo osservare i diversi stadidi questa progressiva rovina. Nulla vi è di piú istrutti-

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vo che conoscere tali procedure del disfacimento in attoper ragioni di introspezione architettonica e stratigrafi-ca. Ogni rottura è un nuovo punto di vista sulle pecu-liarità segrete di un monumento (Carandini 1989d).

Compiti dello scavatore.

Primo compito dello scavatore non è quello di nar-rare piacevolmente una storia sulla base di impressionie indizi sparsi, ma quello di stabilire, sullo sfondo delracconto in formazione e oltre l�apparente disordine eimpenetrabilità della stratificazione, la sequenza delleazioni e delle attività naturali e umane accumulatesinella stratificazione entro un determinato spazio etempo, prima singolarmente distinte e poi messe in rela-zione fra loro. Tali relazioni sono rapporti di contiguitàfra le unità che consentono di determinare la sequenzacronologica relativa. Saranno poi i reperti contenutinegli strati a permettere di passare dal tempo relativo aquello assoluto. Due strati uno sopra l�altro implicanoche quello superiore si sia formato dopo quello sotto-stante e ciò permane vero anche se la ceramica in essicontenuta indicasse il contrario. Chiarita e periodizza-ta la sequenza stratigrafica possono finalmente emerge-re gli avvenimenti. Il racconto da deuteragonista si faallora protagonista, ma sempre entro gli ambiti consen-titi della sequenza, che ne costituisce l�imprescindibilecanovaccio. Storie frettolosamente ricavate da cumuli dimateriali disorganizzati nello spazio e nel tempo sonoproiezioni su quella povera evidenza di altre esperienzegià note, alla ricerca di ulteriore conferma. Di qui nonvengono storie originali e sinceramente protese al vero.Quanti scavi e loro edizioni, poveri di metodologiatopografica, stratigrafica e tipologica, sono stati sacrifi-cati ai bisogni ripetitivi dei troppo disinvolti facitori di

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storie. Non esistono fasi preparatorie e strumentali dellaricerca subordinate ad altre piú nobili e finali, essendoogni fase dell�indagine presupposto dell�altra. Uno sca-vatore analfabeta è tanto unilaterale quanto uno stori-co che non sa leggere il mondo degli oggetti (si legga ilpasso di De Sanctis in epigrafe). Rischi di preparazioniunilaterali e meramente tecnicistiche vanno oggi molti-plicandosi in ogni campo della ricerca scientifica. Manon si sfugge al paradosso della modernità, per cui piúsi studia una cosa e piú si diventa ignoranti nei campilimitrofi, nascondendo le proprie unilateralità dietro aquelle degli altri. Non saranno piú rapporti gerarchici,globalistici e superficiali, a ricondurre l�angusta tecnicadelle discipline nell�alveo unitario della cultura storica,ma piuttosto il rispetto reciproco fra i saperi specializ-zati e l�abilità di convertirli l�uno nell�altro nei modi enei momenti piú appropriati.

Un gioco universale.

Nel suo aspetto piú fisico lo scavo segue procedurevalide per ogni tempo e luogo (il che assai piú difficil-mente si verifica nella tradizionale ricerca storica). Lecaratteristiche di una fossa, per cui il suo taglio neglistrati precedenti è comunque anteriore al suo riempi-mento, sono valide a Roma, a Pechino, sotto i Flavi osotto i Ming. Per questo l�archeologia stratigrafica vedegli insediamenti non come una selezione di belle emer-genze ma come una concatenazione continua di eventiin spazi e tempi determinati, mentre altre ottichearcheologiche si focalizzano piuttosto su civiltà e luoghiparticolari. Si creano in tal modo l�Etruria etrusca, laMagna Grecia greca, ecc. (Carandini 1985b). A rinfor-zare il punto di vista della continuità diacronica propriodella cultura stratigrafica è stato lo sviluppo, recente in

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Italia, dell�archeologia urbana. L�archeologo stratigrafoappare sempre piú come un tipologo degli interventinaturali e umani in un monumento e una sorta di ico-nografo delle loro conseguenze sul terreno. Egli è un ser-vitore del mondo delle cose piú che non di quello dellediscipline accademiche. Importante è per lui individua-re, descrivere e mettere in relazione questi interventiprima ancora di capirli, come gli esploratori che segna-vano sulle carte isole appena intraviste. Ma il mondodelle strutture e degli oggetti è quanto mai variabile, nonconoscendo fissa anatomia, per cui è impossibile esserespecialisti dei manufatti di ogni epoca e luogo. Ciò nonsignifica che nello scavo di un sito pluristratificato ladirezione dovrebbe avvicendarsi a seconda delle epocheche si incontrano scendendo, e ciò grazie all�universalitàdel metodo stratigrafico. È nel laboratorio, contempo-raneamente o posteriormente allo scavo, che devonoconfluire le competenze dei diversi specialisti chiamatia consulto

1. Conosciamo scavi ben condotti da strati-

grafi che non erano specialisti dei contesti esplorati.Non conosciamo invece scavi ben condotti da storici,storici dell�arte e antiquari specialisti di quei contesti madigiuni del metodo stratigrafico. Le peggiori distruzio-ni sono dovute alla presunzione inversa. Penso al gio-vane H. Hurst che si era segnalato come ottimo scava-tore di Gloucester e che era stato saggiamente nomina-to direttore della missione archeologica britannica aCartagine pur non essendo egli particolarmente versatoin ceramica, arte e architettura nordafricane. I grandirisultati del suo scavo furono dovuti certamente alla suacapacità di cogliere le questioni fondamentali dell�inse-diamento, ma forse anche alla parziale estraneità a queiluoghi e alle domande degli studiosi della tradizionepost-coloniale franco-italiana e alla sua familiarità conl�archeologia provinciale dell�Europa settentrionale, abi-tuata a cercare fortificazioni, edifici di legno, muri spo-

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liati e altre realtà che assai poco avevano interessato ivecchi cultori di quelle materie (Hurst-Roskams 1984).Se fossi stato un topografo di Roma, un etruscologo ouno specialista di storia arcaica avrei indagato diversa-mente le pendici settentrionali dei Palatino, condizio-nato dai miei precedenti orientamenti, mentre nelle con-dizioni in cui mi trovavo ho potuto scavare piú inge-nuamente quel monte come se fosse stato un oppidumqualsiasi. È cosí che sono riuscito a trovare le tracce diquella che mi è parsa essere la fortificazione rituale pala-tina e forse anche del relativo pomerio, cui negli ambien-ti specialistici piú accreditati è ancora oggi di buon gustonon credere.

Oggettività e soggettività.

Non si creda tuttavia che la costruzione dellasequenza stratigrafica sia un�attività scientifica deltutto oggettiva e esatta. La stratigrafia non è la strati-ficazione. Il procedimento di estrarre azioni e loro rela-zioni da una stratificazione è infatti, almeno in teoria,interminabile, perché un vento piú forte trasporta par-ticelle piú pesanti che possono formare uno strato diver-so da quello precedente composto da particelle simili mapiú leggere, perché uno strato di interro può distin-guersi in carriolate o palate e una palata colma può dif-ferenziarsi da una scarsa, e cosí via senza fine. Anchequel fatto concretissimo che è l�unità stratigrafica, cioèla singola azione della natura o dell�uomo, può dunquerivelarsi ulteriormente o diversamente divisibile, aseconda del grado e tipo di analiticità che si è volutoscegliere. Possiamo infatti individuare solo ciò che ciappare riconoscibile e distinto, ma la stessa capacità diriconoscere dipende da quella di saper cogliere diffe-renze e dalla potenza della strumentazione che si è

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voluto adottare per osservare i fenomeni. Scavare conintelligenza significa tener conto di questa relatività, diquesto infinito intensivo che si spalanca ogni volta sottoi nostri piedi, e nello stesso tempo superare lo sgomen-to che ne proviene scegliendo dove separare in queldisordine e dove impedirsi ulteriormente di separare.Di fronte ai pezzi in cui divide il sottosuolo (le unitàstratigrafiche) il bravo scavatore è dunque sempre per-plesso. Li percepisce come unità, altrimenti non lidistinguerebbe e non fonderebbe su di essi la suacostruzione scientifica, ma al tempo stesso non si stan-ca di scrutarli per carpire il segreto del loro formarsi, ese vi scopre differenze, alternanze, prevalenze e ricor-si che gli paiano significativi è preso dal dubbio: «siamonello stesso strato oppure ne comincia un altro?» Egliè spinto contraddittoriamente a inglobare e neutraliz-zare quelle differenze intraviste nello strato considera-to e al tempo stesso è portato a espungerle come qual-cosa di alieno, creando cosí altri strati. In questa alta-lena fra divisibile e indivisibile l�archeologo riconosceil suo tormento, senza forse sapere che esso è lo stessodi qualsiasi altro tipo di conoscenza. Gli strati esistonoe lo scavatore li riconosce piú o meno esattamente, o èlo scavatore a inventare i suoi strati? Sono forse verientrambi questi punti di vista. La virtú è nel mezzo enel mezzo è l�unità stratigrafica. «Perplessamente con-vinti» e «lentamente frettolosi» sono i migliori statid�animo con cui possiamo cercare di trasformare l�opa-ca stratificazione in una chiara stratigrafia.

Distruzione e documentazione.

Ogni fonte deve essere usata con doveri analoghi manon identici di serietà, ché una lettura sbagliata non dan-neggia un testo, né uno sguardo fallace consuma una

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immagine, mentre uno scavo errato o uno sterro distrug-gono per sempre l�evidenza sepolta. È come bruciare lepagine di un libro in copia unica subito dopo la sua let-tura. Cosa ne resterebbe senza una trascrizione o alme-no un riassunto fedele? Non si può asportare uno stra-to, un battuto pavimentale, una fogna o un muro senzadistruggerli. Solo rivestimenti significativi come mosai-ci, affreschi e stucchi meritano le complicate e costoseasportazioni non distruttive del restauratore. Migliore èla conservazione di una fase di un monumento, piúarduo diventa scendere a quelle piú antiche sottostanti.Non si può vedere una cosa coperta da un�altra senzarimuoverla e se è incoerente distruggerla. La casa diAugusto sul Palatino, ben conservata sotto l�interrodella reggia domizianea, si è potuta scavare solo moltolentamente e poco purtroppo ancora sappiamo di quan-to si nasconde sotto di essa a causa degli importantirestauri cui si è dovuto sottoporla e che hanno assorbi-to gran parte dei mezzi disponibili. Nello scavo dellapendice settentrionale del Palatino siamo invece riusci-ti a risalire senza troppe difficoltà all�viii secolo a. C. eal suolo vergine di quel monte per il povero stato di con-servazione degli edifici piú tardi e della loro decorazio-ne, dovuto all�incendio neroniano e alle escavazioni diepoca moderna. In queste condizioni, privilegiate dalpunto di vista della stratigrafia e disgraziate da quellodel restauro, è stato facile asportare qualche battuto,fogna e muro, oltre i soliti strati terrosi, per arrivare aleggere anche il primo capitolo di quel sito (Terrenato1988). L�archeologia di scavo mira a conoscere, dovepossibile, l�intera sequenza stratigrafica e per un�area piúampia possibile, al fine di ricostruire la storia di un inte-ro quartiere.

Ma a leggere una stratificazione ci si mette molto piútempo che a leggere un libro. I basoli sono piú pesantie impenetrabili delle pagine. Lo scavo è dunque una pro-

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cedura lunga e faticosa e solo la documentazione anali-tica delle unità stratigrafiche e la loro ricomposizionenella ricostruzione ideale possono riparare il danno delladistruzione ch�esso inevitabilmente comporta. In talmodo lo scavo traduce forzatamente e irreversibilmen-te la pesantezza dei materiali e della terra nella legge-rezza delle parole, dei disegni e delle fotografie. D�altraparte senza questa trasformazione la stratificazionesarebbe solo silenzio e oscurità, non esistendo che inpotenza per noi.

Monumenti e indizi.

Si potrebbe ingenuamente ritenere che solo i gran-di monumenti siano interpretabili con un qualche gradodi verosimiglianza e che i fragili indizi siano condannatia restare incomprensibili. Che dire dei lacerti di muririnvenuti lungo il lato orientale del Foro e che sono statiinterpretati come la Basilica Emilia, mentre quella finoad ora ritenuta tale sarebbe invece la Basilica Pauli(Steinby 1988)? Tutto dell�antichità è rimasto, ma indiversi stati di conservazione. Limitarsi a interpretare,specie nel cuore di Roma, solo gli edifici con piantechiare e cospicui elevati significa seguire le vie dellasorte anziché quelle della topografia. Rifiutarsi di pren-dere in considerazione i piccoli indizi sarebbe come perun investigatore interessarsi solo a quegli omicidi di cuisi possegga per caso il filmato. Non si tratta tanto discartare le fragili tracce, quanto di coinvolgerle in inter-pretazioni provvisorie, che valgono fino a quando nonve ne siano di migliori. La vecchia archeologia monu-mentale non può accettare questo relativismo, nonessendo stata ancora coinvolta nei mutamenti dellamoderna ermeneutica, per cui continua ingenuamentea credere alla semplice oggettività del reale. Purtroppo

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i monumenti stessi di Roma, fra i meno conosciuti eediti di tutto il mondo romano, stanno a dimostrare chela cospicuità volumetrica non sempre è il presuppostodei migliori studi e delle interpretazioni piú sicure. Ciòche appare piú evidente può rivelarsi particolarmenteoscuro, come bene intende Dupin nella Lettera rubatadi Poe, tanto meglio nascosta quanto piú platealmenteesposta. Le difficoltà della scarsa conservazione acui-scono l�ingegno e costringono a mettere a frutto ogniinezia, come sa fare l�occhiuto mercante, mentre lefastose rovine tendono a impigrire chi le osserva, comele rendite infiacchiscono il signore, a meno che non lesi tratti con la stessa acribia appresa indagando il piúpovero lacerto. Né è possibile distinguere fra indizisignificativi e non significativi, dal momento che il piúinsignificante dettaglio unito ad altri può arrivare acostituire un particolare importante (è di altro parereGiuliani 1990). Ogni grande monumento è semprecostituito da una congerie di dettagli ed è solo il per-corso logico attraverso ciascuno di essi a consentirne lacomprensione integrale. È attraverso i piccoli e sgra-devoli sintomi delle malattie che si è capito il funzio-namento del corpo umano, che il bel fisico dell�atletanon rivela. È grazie ai minimi lapsus che può intendersiil funzionamento del cervello. L�antiquaria monumen-tale non può essere che o troppo prudente o troppoimprudente. L�archeologia stratigrafica può essere inve-ce prudentissima e audace a un tempo, dal momentoche il crollo di una ipotesi non inficia la presentazionefilologica di un monumento che solo essa sa pienamen-te realizzare. Non vi è dunque piú ragione di inibirci lavoglia di storia e il bisogno di interpretazione se met-tiamo gli altri in condizione di confutarci tramite lanostra stessa analisi e se accettiamo che le nostre veritàsiano in gran parte solo probabili e provvisorie (Caran-dini 1989b).

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Ritorno all�architettura.

La verità è che gli archeologi, seguendo le tracce deglistorici dell�arte (almeno da Longhi in poi), hanno traditol�architettura. È assai raro che in una facoltà di lettere siinsegni in modo soddisfacente «Rilievo e analisi deimonumenti» o «Storia dell�architettura». Eppure ognidisciplina archeologica ha continue occasioni di imbattersiin edifici antichi e deve attrezzarsi per poter affrontare iproblemi che essi pongono, a partire dagli insegnamentifondamentali dell�archeologia classica e medievale. Nonè questione di enfatizzare esclusivamente il lato tecnicoo ingegneresco o di esaltare solo quello storico-artistico eculturale. Il problema è piuttosto quello di combinare nelmodo piú soddisfacente la precisione quantitativa dellequattro dimensioni spazio-temporali con la precisionequalitativa della ricerca storica.

Un monumento può essere legittimamente conside-rato dal punto di vista storico-antiquario, preferendocioè la tradizione letteraria (testi, iscrizioni, monete)rispetto alla lettura analitica della realtà materiale. Ogniottica consiste infatti nel privilegiare un aspetto rispet-to a un altro e solo l�occhio di Dio sa vedere ogni cosasenza limite. Per questa ragione è rispettabile ancheconsiderare un monumento dal solo punto di vista dellasua decorazione architettonica. Mosaici, pitture, capi-telli, architravi e stucchi hanno le loro tipologie, la lorostoria interna, che è essenziale per intendere la menta-lità dei costruttori di quegli edifici. Lo stesso può dirsidelle tecniche edilizie, attraverso le quali possiamo capi-re i diversi modi di lavorare dei muratori antichi. Sonoqueste i diversi strati di pelle e i muscoli dell�ossaturaarchitettonica, senza i quali un edificio antico nonpotrebbe esistere. Un�altra ottica è quella stratigrafica,che identifica le varie parti di cui è composta una costru-zione (strati terrosi e loro reperti compresi) per metter-

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le tutte in relazione temporale fra loro. Esiste infine losguardo che indaga l�ossatura di un monumento, la sualogica strutturale e la sua statica.

Solo considerando insieme tutte queste ottiche,senza ritenere quella in cui si è piú versati come piúimportante, possiamo sperare di avvicinarci alla veritàdi un monumento. D�altra parte sarebbe disonesto nonriconoscere che la nostra archeologia è arretrata spe-cialmente per quanto riguarda gli ultimi due modi divedere (quello stratigrafico e quello strutturale), perchéquello stratigrafico è un sapere recente senza grandetradizione e perché quello strutturale è un sapere anti-co quanto l�uomo ma persosi ormai per la dominanza delcemento armato e precompresso, che hanno sostituitoogni altro modo tradizionale di costruire. Per recupera-re il sapere di un capomastro antico, piú che il moder-no ingegnere e i suoi calcoli, servono documentazioni etrattati su questo argomento, a partire dal medioevo. Anulla però varrebbe la pratica di cantiere senza la com-prensione stratigrafica, tanto è vero che i monumenti dietà moderna storicamente capiti e pubblicati si contanosulla punta delle dita, eppure non sono mancati archi-tetti restauratori e storici dell�architettura che li hannostudiati. Allo stesso tempo nessun rapporto stratigrafi-co per quanto essenziale arriva a spiegare perché unacostruzione stia eretta oppure crolli. Ben vengano per-tanto le ricerche storico-antiquarie, iconografiche e tipo-logiche di qualsiasi genere, ma la lettura storico-strut-turale di un monumento non può prescindere dalle logi-che stratigrafiche e da quelle statiche

2.

Smettere di scavare?

Vi è chi ritiene, specie fra gli storici dell�arte, chenon bisognerebbe piú scavare, ma solo tutelare e cono-

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scere quanto già è in luce. È come ingiungere a una per-sona: «riordina la tua memoria e non imparare di piú».Conservare una biblioteca significa studiarvi, riordinar-la, incrementarla e non solo spolverarne gli scaffali. Loscavo è la necessaria premessa di ogni studio e restaurodi quanto emerge ed è noto. Basta sottoporre un edifi-cio ad analisi prima della sua conservazione, per inten-derne anche solo la sua ultima fase di vita, che subitozampillano alla superficie, intersecate in una stessa por-zione di spazio, le sue fasi precedenti e le costruzioni chelo hanno preceduto in quel luogo. Mentre nel soprasuolole costruzioni si dispongono distinte le une dalle altre,nel sottosuolo ciò non avviene e abbiamo tutto fram-mentariamente preservato in un formidabile intrico.D�altra parte un edifico è comprensibile solo se inseri-to nella serie dei suoi periodi di esistenza e nel contestodelle altre costruzioni che lo hanno preceduto e seguitonel suo spazio. Non vi è intonaco o superficie pavi-mentale a cui ci si possa legittimamente fermare dicen-do: «non voglio saperne oltre». L�indagine è come unasmagliatura che avanza e non si sa dove si fermerà.Smettere di scavare significherebbe smettere di cono-scere in modo attuale il mondo materiale e cioè confor-memente ai contesti. Che senso ha piú per noi una rovi-na cumulativamente e quindi superficialmente intesa?L�oggetto che abbiamo di fronte non è mai uno, ma sem-pre appare composto da una pluralità di cose diversa-mente collegate e compresse in poco spazio, come i tes-suti di un organismo. Toccare un anello significa aversubito a che fare con l�intera catena di cui è parte. Ameno di contentarsi di bei paesaggi, di rovine orlate diacanto, di facciate venerate in una visione incantata chesi teme di infrangere. Purtroppo le carrozze del grandtour sono tutte partite. Lo scavo non è piú evitabileessendo uno dei modi di conoscere della modernità, laquale, se pienamente vissuta, vuole l�incanto amico del

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disincanto, lo stile sgorgante dalla prosaicità, l�icono-grafia bella compagna dell�anatomia e l�apparenza inte-sa con quanto si nasconde. Spiegazione e fantasticheriariescono in tal modo per la prima volta a convivere.

Scavo e risparmio.

Se tutto si vuole conoscere, tutto di conseguenza sideve scavare, per cui ogni evidenza viene divorata dallostesso bisogno di intenderla. Dove prima era la stratifi-cazione regnerebbe incontrastato il vuoto. Non sempretuttavia la congruità e la piacevolezza delle testimonian-ze consentono impunemente questa distruzione per laconoscenza. È inutile distruggere strutture se non vi èuna stratificazione importante da ispezionare, né hasenso demolire muri le cui fondazioni avessero perfora-to tutta la stratificazione. Occorre scegliere di volta involta se deve prevalere la logica dello scavo (perché il piúimportante sta sotto) o quella della valorizzazione (per-ché il piú importante è già emerso). Ma il risparmio arre-sta comunque la conoscenza e la conoscenza presupponel�eliminazione del risparmio. Scelte univoche in questocampo sono raramente possibili. Il regno dello spazio tri-dimensionale è quello dell�inevitabile compromesso, nonpotendo stare due cose nello stesso luogo e non essendola materia trasparente. D�altra parte non tutti gli scavidovrebbero essere conservati aperti. I saggi possono esse-re reinterrati, i muri scrostati per analizzarli nuovamen-te intonacati (almeno negli edifici ancora in uso) e l�esi-to delle ricerche può essere comunicato attraverso testi,grafici, fotografie e plastici. Gli archeologi tendono spes-so a sopravvalutare ciò che hanno rinvenuto e sottopon-gono povere strutture a inutili e costosi restauri, lascian-do invece spesso importanti rovine senza cure e spiega-zioni. La tutela conoscitiva (dove al sapere non segue la

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conservazione materiale delle strutture) ha i suoi rischima anche i suoi vantaggi. Ha consentito a Londra, doveè largamente praticata, la conoscenza sistematica di quasiun terzo della città antica, che è un dato senza confron-to. La frenesia per il palinsesto è dissennata quanto lafede nell�inviolabilità dei suoli. È stato giusto scavarePiazza della Signoria a Firenze. A legittimare uno scavobasta l�informazione storica che se ne ricava, né ha sensopretendere risultati spettacolari dal punto di vista stori-co-artistico. È stato anche giusto sperare di conservarein qualche modo visibili le rovine tramite qualche espe-diente sotterraneo. Errato è stato invece far durare l�in-dagine a lungo, non curare il contatto con il pubblico eprospettare la possibilità di una visione in trasparenza delsottosuolo, perché quella piazza è un luogo che non pote-va sopportare gestioni correnti e soluzioni incongrue,non trattandosi di uno scavo qualsiasi bisognava mette-re in campo cooperazioni con altre istituzioni diversa-mente competenti per elevare il tono della ricerca e allar-gare le possibilità di consenso. Doveva cioè trattarsi diun vero e proprio «scavo urbano», come oggi lo si inten-de. Nell�ipervalutare il risultato del lavoro archeologico,senza tener conto dei risvolti estetici, architettonici eurbanistici, vi è il rischio di scatenare reazioni negative,difficili poi da frenare. Diverso è il caso dei Fori impe-riali a Roma, solo parzialmente scavati (rispetto agli stes-si intendimenti degli anni �30) e che attendono di usci-re dalle loro ristrette fosse per confluire nel disteso pae-saggio del Campidoglio, del Palatino, del Foro romano edella «Passeggiata archeologica». È questa l�unica crea-zione della Roma umbertina veramente bella (Lanciani1876-1913), universalmente accolta come grande con-quista di conoscenza e di ameno paesaggio archeologicourbano, che in seguito a questa legittimazione abbiamoil dovere di completare con coerenza e prudenza di pro-positi.

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Meriti di una generazione.

Ogni generazione è consapevole dei propri meriti,mentre la generazione precedente tende a sottovalutar-li, sostenendo che la seguente si è limitata a sfondareporte aperte. L�archeologia non si è evoluta gradual-mente, ma per balzi, specie in paesi come l�Italia dove,fra le due guerre, la ricerca sul campo era molto deca-duta. Ciò non ha facilitato la comprensione fra chi si èformato fra gli anni �30 e �60 e chi invece fra il �70 e il�90. La prima di queste due generazioni è quella che inEuropa ha generalizzato la scoperta della stratigrafia,che data dalla fine del secolo scorso, e che ha visto inItalia i primi archeologi sul campo veramente moderni,come Lamboglia e Bernabò Brea: figure con poche altretanto esemplari quanto isolate in un mare di scarsa com-petenza. La seconda generazione è quella che ha assistitoe partecipato a quell�enorme sviluppo e diffusione intutti i sensi della disciplina che i piú conservatori siostinano a negare.

Da oscuro e personale piccolo artigianato, i cui segre-ti erano noti soltanto a chi lo praticava, l�archeologia èdiventata negli ultimi decenni un grande gioco univer-sale, con le sue regole e le sue consapevolezze, le sue pra-tiche e le sue teorie, la sua scienza e la sua professiona-lità. Questa maturazione non può essere capita in ter-mini di continuità, come ogni sviluppo umano che passaper stadi anche molto differenti: infanzia, adolescenza,giovinezza... Oggi anche in Italia l�archeologia è dive-nuta matura attraverso incomprensioni e sforzi doloro-si. Il divario di mentalità con l�epoca precedente, spe-cie nel centro della Penisola e soprattutto a Roma (nelNord c�era Lamboglia e nel Sud Bernabò Brea), era dav-vero enorme. Per superarlo serviva uno scossone.

I giovani che hanno partecipato al moto di rinnova-mento, penalizzati dall�isolamento e dal ritardo nelle

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carriere, sono stati a volte intemperanti e presuntuosi (ilclima era ancora quello del �68), ma hanno avuto il meri-to di portare l�Europa in Italia per quanto riguarda l�ar-cheologia sul campo, importando nuove tecniche, adat-tandole e ripensandole dal punto di vista culturale. Leloro teorie, idee e coscienze sono state considerate daidifensori del passato come mera ideologia. I loro scrittidi storia della storiografia archeologica, i primi cheabbiano gettato luce sull�età fascista e il dopoguerra,hanno fatto scandalo e sono stati intesi come detrazio-ne della nazione. Le simpatie per l�archeologia britan-nica hanno risvegliato i risentimenti contro la perfidaAlbione. Le nuove scoperte sono state avvilite a bana-lità. Eppure quei giovani non hanno mai disconosciutoi meriti della passata generazione, anzi l�hanno valoriz-zata ovunque fosse possibile, anche per fondare su queiprimordi le premesse della loro archeologia piú nuova.

Che senso può mai avere un manuale di scavo percoloro i quali ritengono che ogni monumento andrebbescavato a suo modo? Fiorivano i manuali di scavo al disopra delle Alpi. Non uno è stato scritto da noi, tantoeravamo bravi. Storie dalla terra è dunque uno dei tantifrutti di quella seconda generazione, stufa della srego-latezza senza genio come norma della ricerca. Vuolespiegarne ragioni, valorizzarla e difenderla, perché l�at-tacco contro di essa non si è ancora esaurito. Comedev�essere riposante la vita per chi ritiene che tutto siaovvio, scontato e dato una volta per tutte! Sapremo noicapire meglio gli scontenti già emergenti dei piú giova-ni di quanto siamo riusciti a tollerare il discredito dei piúvecchi? I giovani nati modesti sono nati vecchi, perchéla potenza creativa di colui che si imbarca per la primavolta nella vita non può non inorgoglire chi la possiedee non irritare chi già si trova oltre la grande boa. Ma leirritazioni degli adulti per i giovani, spesso giustificate,mai dovrebbero giungere a neutralizzarne i meriti. Ven-

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dicarsi dell�intelligenza è come punire la vita. La mode-stia si impara con gli anni.

1 Con ottica in parte diversa, B. D�Agostino, Introduzione a Barker1977.

2 Su questi argomenti, ma con diverso orientamento, si veda Giu-liani 1990 e Francovich-Parenti 1988, p. 19, con critica di R. Franco-vich a R. Bonelli.

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Capitolo primo

Storia e principî della stratigrafia

Geologia e archeologia.

La stratigrafia archeologica ha ricavato inizialmentee per un certo periodo i suoi principali dalla stratigrafiageologica. Ciò è accaduto con particolare intensità inquel centro del potere mondiale che era la Gran Breta-gna nel secolo scorso e ancora nella prima metà di que-sto. Sulla scia delle ricerche promosse dagli scienziatidella terra, in particolare da Ch. Lyell, che nel 1830aveva pubblicato i suoi Principles of Geology, usciva nel1865 Prehistoric Times di J. Lubbock, primo libro indirezione della moderna archeologia. Dalla seconda metàdel secolo scorso gli archeologi europei avevano comin-ciato a datare gli strati di origine antropica con i manu-fatti, come i geologi avevano datato, fin dal xviii seco-lo, gli strati di origine naturale con i fossili in essi con-tenuti.

In Italia questo aspetto piú scientifico dell�archeo-logia si è sviluppato con ritardo. Dopo una breve e pre-sto abortita stagione positivistica, ispirata alla culturad�Oltralpe, seguí la fioritura dell�idealismo, che mai ade-guatamente valutò quanto, ad esempio, i musei londinesierano venuti raccogliendo e sottoponendo a tipologia apartire dall�età vittoriana: dagli oggetti naturali ai manu-fatti di ogni genere e specie (Carandini 1979a; Peroni1976-77). Le nostre raccolte museali rispecchiano anco-

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ra oggi la cultura sostanzialmente premoderna della col-lezione. Le nostre riviste scientifiche, pur essendo peraltri aspetti meritorie, recano una analoga impronta,come ad esempio l�«Annuario della Scuola Italiana diAtene», che mette in primo piano gli studi di caratterestorico-artistico e storico-antiquario e raccoglie i rap-porti degli scavi nella sezione finale e subordinata degli«Atti». Lo si confronti con il simmetrico «Annual of theBritish School of Athens», dove le indagini sul campocostituiscono l�oggetto principale della rivista (si veda-no, ad esempio, gli scavi esemplari della vecchia Smir-ne: Nicholls 1958-59).

Non è facile spiegare le ragioni di questi ritardi inItalia, essendo ancora rari (anche perché rischiosi per lacarriera) gli studi di storia della storiografia archeologi-ca contemporanea per quanto attiene le attività sulcampo1. Sta di fatto che il primo convegno nazionaletenutosi in Italia (a Siena) su Come l�archeologo opera sulcampo. Per un minimo comune denominatore nei metodidell�archeologia degli insediamenti risale soltanto al 1981,che è anche l�anno di uscita della prima edizione di Sto-rie dalla terra, primo manuale di archeologia stratigrafi-ca scritto da un archeologo italiano, per quanto stranociò possa sembrare2.

Fin dall�inizio le stratificazioni degli insediamentiumani dovettero apparire piú complesse di quelle pro-dotte dagli agenti naturali, se non altro per il carattereincoerente e fragile degli strati accumulati dagli uominirispetto alle solide sedimentazioni rocciose. Anche imanufatti umani dovettero sembrare piú incostanti ebizzarri rispetto all�evoluzione regolare dei vegetali edegli animali, se non altro per l�assenza di ogni selezio-ne naturale e per la presenza dei mutevoli gusti dell�uo-mo, che ora sostituisce un oggetto piú elementare conuno piú perfezionato e ora si rifiuta di farlo per amoredella tradizione. Ciò nonostante gli archeologi si sono

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resi conto con notevole ritardo che la loro scienza era pervari aspetti diversa da quella dei geologi (Harris 1979).Eppure quel quasi pedissequo seguire, magari con unsecolo di ritardo, quanto danesi, americani e inglesi eranovenuti scoprendo sulla storia della terra non è stato senzautilità per l�archeologia sul campo, avendo preservato ilsuo legame essenziale con il paradigma indiziario.

La migliore archeologia della prima metà del nostrosecolo appartiene ancora alla prima stagione del saperestratigrafico moderno. Essa raggiunge il suo culminecon M. Wheeler (1954) e K. M. Kenyon (1956), i cuilavori si concentrarono fra gli anni �30 e �50. Ancoranegli anni �20 lo scavo poteva essere sostanzialmenteuno sterro, come indicano i principî metodologici di L.Woolley editi nel 1930 e ripubblicati agli inizi deglianni �50 con la seguente significativa nota d�autore: «misono occupato qui di principî e questi cambiano poco oniente». Gli scavi in Oriente erano particolarmente malcondotti, funzionavano a colpi di mance (baksheesh) edera già una conquista se l�archeologo si occupava dipiante di edifici oltre che di oggetti mobili (Woolley1954). La prima archeologia stratigrafica nasce dunquenon nelle città assolate dell�Oriente e del Mediterraneoma nei brumosi centri fortificati preromani dell�Inghil-terra, per essere poi esportata ovunque, come è accadu-to con il metodo Wheeler, divenuto presto internazio-nalmente noto e praticato. Fece epoca lo scavo negli anni�30 di Maiden Castle (Wheeler 1943). Nelle sezioni diquesto Hillfort le unità stratigrafiche appaiono perfet-tamente definite e numerate, anche per certificare laprovenienza dei reperti. Ciò accadeva per la prima volta,nel senso che quelle sezioni fecero epoca e scuola, il chenon accadde purtroppo al saggio di Boni nel Comizio aipiedi del Campidoglio (Boni 1900).

A queste sottigliezze di importanza fondamentalenon pensava invece A. Maiuri (1938), il grande scava-

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tore di Pompei. Nelle sue edizioni le strutture architet-toniche appaiono, salvo in due casi (Maiuri 1973, figg.28, 56), del tutto liberate dagli strati, per cui i rappor-ti fra muri, strati e manufatti sono andati perduti. Que-sto e altri difetti dell�archeologia di scavo italiana emediterranea spiegano la sostanziale sfiducia in questoambiente geografico verso la stratigrafia, per cui fino aepoca recente ha prevalso la datazione dei monumentitramite le tecniche edilizie (Lugli 1957) anziché grazieai reperti rinvenuti negli strati. Esemplari da questopunto di vista sono stati due casi. Il primo fu quello diG. Lugli, che alle giuste critiche di N. Lamboglia (lapolemica era sorta sulla datazione del teatro di Venti-miglia) rispondeva svalutando senz�altro il metodo stra-tigrafico: «con due cocci [Lamboglia] fa la storia delmonumento» (Lamboglia 1958; Lugli 19593). Il secon-do caso fu quello di P. Romanelli, il quale ancora neglianni �60 rispondeva a R. Meiggs (1960), fin troppo gar-batamente critico degli sterri a Ostia fra 1938 e 1942,sostenendo che a Ostia gli scavi stratigrafici non eranopossibili o erano assai meno determinanti che altrove(Romanelli 1961). Anche M. Pallottino (1963) si schieròpoco dopo contro la «supervalutazione» della stratigra-fia (egli ha promosso gli scavi di necropoli piuttosto chequelli di abitato). Tra la fine degli anni �50 e gli inizi dei�60 l�archeologia ufficiale italiana avversava dunque onon vedeva di buon occhio il nuovo metodo (Manacor-da 1982b). In un tale clima sfavorevole vennero scava-te a Ostia (dal 1966) le Terme del Nuotatore (Carandi-ni-Panella 1968-77). Ricordo ancora le accuse mosseci(non solo dagli archeologi piú anziani) di minuzia ecces-siva e lungaggine nelle distinzioni stratigrafiche e nel-l�analisi dei reperti. Ma col passare degli anni quelle pub-blicazioni sono diventate un punto di riferimento del-l�archeologia romana nel Mediterraneo e nessuno avan-zerebbe oggi le riserve di allora. La difesa della cultura

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stratigrafica fu in quegli anni particolarmente difficile,piú di quanto i giovani possano oggi immaginare.

Questa arretratezza nell�archeologia sul campo haorigine in Italia fra le due guerre mondiali. Prima lasituazione era diversa. Si pensi al Museo Etnograficocreato da L. Pigorini al Collegio Romano (in seguitosloggiato all�Eur dal Ministero dei Beni culturali, che nelfrattempo occupava anche il San Michele, la miglioresede per un nuovo museo archeologico della città), al«Bullettino di Paletnologia Italiana», in cui dal 1882figurano sezioni di insediamenti, alle ricerche pionieri-stiche di P. Orsi e ai rapporti di scavo di G. Boni e pochialtri sulle «Notizie degli scavi» del primo quindicenniodel secolo (Boni 1900, 1913) e non oltre (D�Errico-Pantò1985). L�immagine della base della Colonna Traianasezionata, con la sua fondazione e gli strati a essa col-legati (Boni 1907), è una grandiosa premessa senzaseguito e un�accusa agli sventramenti e agli sterri di cuiRoma è poi stata palestra preferita. Questa regressionedell�archeologia è una realtà che comincia prima delfascismo (coinvolgendo la stessa figura di G. Boni, dicui si conoscono ampi scavi inediti che sono degli ster-ri: Carandini e altri 1986) e lambisce questo nostrotempo (condizionando la mentalità di chi, favorevolesoltanto all�archeologia storico-artistica e monumenta-le, osteggia ancora quella stratigrafica considerandolacomponente meramente tecnica e secondaria della disci-plina).

Non è un caso che la prima ripresa dell�archeologiastratigrafica avvenga in Italia una generazione dopo, intono minore e in una zona marginale della penisola, congli scavi di N. Lamboglia a Albintimilium (Ventimiglia)negli anni 1939-40 e di L. Bernabò Brea alle AreneCandide presso Finale Ligure negli anni 1940-42.Entrambi risentono dell�archeologia d�Oltralpe e dellapaleontologia italiana, in particolare della scuola fioren-

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tina, cui si deve il primo scavo sistematico del nostropaleolitico superiore ad opera di G. A. Blanc, edito nel1920 (Bietti 1900). Lo scavo di Ventimiglia (Lamboglia1950) è il primo di età classica che possa competere conquelli di Wheeler, anche se Lamboglia mai seguí quelmetodo, per cui appare un post-wheeleriano, ante litte-ram, e quello delle Arene Candide (Bernabò Brea 1946)è il primo con analoghe caratteristiche a riguardare lanostra preistoria meno remota. Questi due scavi liguri,entrambi pubblicati a Bordighera, davano particolareimportanza alle sezioni, come è naturale per l�epoca,disegnate fra l�altro secondo criteri grafici molto simili(Lamboglia 1950, fig. 2; Bernabò Brea 1946, fig. 4).

È soltanto durante l�ultima generazione che l�ar-cheologia stratigrafica è riuscita a emanciparsi dalla geo-logia e dalla paleontologia per autodefinirsi come disci-plina storica particolare. Quest�ultima rivoluzione si èprodotta, ancora una volta, in Inghilterra, dove già allafine degli anni �50 si cominciava a superare il metodo diM. Wheeler e si inventavano nuovi principî e pratiche,definitivamente affermatesi negli anni �70 e ancora oggisostanzialmente validi. Si pensi agli scavi di S. S. Frere(1971-1983) a Verulamium, di B. Cunliffe (1971a,1971b, 1975-76) a Fishbourne e a Porchester, di M.Biddle (1975) a Winchester e di P. Barker (1975, 1980)a Wroxeter, per non citare che i piú famosi di quella for-tunata stagione.

Fra la seconda metà degli anni �70 e gli anni �80 inuovi metodi britannici hanno varcato la Manica atte-standosi dal Louvre al Palatino. Degli scavi di Cartagi-ne e di Settefinestre in Etruria si è già detto nella Pre-messa e altri simili potrebbero essere citati, anche diepoca medievale (Francovich 1986; Francovich-Parenti1987). È poi venuta l�esperienza fondamentale degliscavi urbani in Italia, decisiva per il progresso di questistudi nel nostro paese4.

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Le procedure dello scavo non hanno fatto in questiultimi anni progressi decisivi. I temi su cui l�archeolo-gia britannica sta oggi lavorando riguardano piuttostoaltri aspetti, come l�uso del computer, la paleoecologia,l�archeometria e i modi di archiviare e pubblicare, ecioè la transizione dall�analisi della sequenza stratigra-fica alla sintesi del racconto storico. Il metodo strati-grafico inteso in senso lato è un ambito di ricerca anco-ra in espansione e il Museo di Londra resta ancora unpunto di riferimento principale (Site manual 1990).

Stratificazione in generale.

Tutte le forme di stratificazione, siano esse geologi-che o archeologiche, sono il risultato di 1) erosione/distru-zione, 2) movimento/trasporto, 3) deposito/accumulo.Mentre però la stratificazione geologica è dovuta esclu-sivamente a forze naturali, quella archeologica apparecome una risultanza di forze naturali e umane, diversa-mente separate o combinate fra loro, per cui erosione,movimento e deposito si intrecciano a opere di distru-zione, trasporto e accumulo o costruzione. Il fenomenodella stratificazione è pertanto in ogni caso bifronte, pre-supponendo sempre la rovina del precedente equilibrioe la formazione del nuovo. Una capanna implica untaglio di legna, un muro di terra uno scavo di argilla eun muro di pietra una cava.

In natura si hanno erosioni, abrasioni, distacchi edepositi, alluvioni, colluvioni, morene, dune e frane, iquali tutti presuppongono dislocazioni di materiali. Pertale ragione le circostanze stratigrafiche degli insedia-menti in collina o in montagna sono diverse da quelledegli insediamenti in pianure sedimentarie, perchémutano ad esempio i criteri interpretativi per quantoriguarda la giacitura dei materiali. Il ruscellamento

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superficiale porta infatti i materiali a valle e si riscon-trano le tracce della fluitazione sulla ceramica (Manno-ni 1970).

Si conoscono però anche modificazioni di materialigià esistenti senza dislocazione alcuna, dovute a com-pressioni, cotture, turbative biogenetiche e chimismoindotto5. L�analisi di una stratificazione presupponesempre l�analisi dei processi naturali e/o antropici chel�hanno determinata, al fine di riconoscere le condizio-ni storiche e paleoambientali che hanno portato alla suaformazione.

La formazione di una stratificazione si attua percicli, cioè attraverso periodi di attività e di minore atti-vità o di pausa. Durante le pause possono succederemolti fenomeni, ma non processi di crescita della stra-tificazione. L�azione è rappresentata dagli strati e lapausa dalle superfici degli strati. Tali superfici sonoimpalpabili pellicole cui i geologi hanno dato il nome diinterfacce. Esse rappresentano il periodo di esposizionedi uno strato (che può essere anche minimo) e cioè illasso di tempo trascorso fra uno strato formato e uno checomincia a formarsi al di sopra di esso, quindi per cosídire la sua vita.

Un�azione di deposito/accumulo comporta sempreuno strato (il dato materiale) e la sua superficie o inter-faccia (il dato immateriale). Generalmente si presta piúimportanza al primo che al secondo, ma è un errore, per-ché la ricostruzione storica deve tener conto delle lacu-ne della documentazione stratigrafica e anche immagi-nare quanto, pur essendo. esistito, non è arrivato a tra-dursi in stratificazione positiva.

Un�azione di erosione/distruzione non comportainvece mai uno strato bensí una mancanza di strato o distrati (il dato materiale è stato spostato altrove) che pos-siamo chiamare interfaccia o superficie in sé. La superfi-cie che non presuppone uno strato sta a rappresentare

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sia l�azione di erosione/distruzione che la vita dellasuperficie stessa. È pertanto fondamentale saper distin-guere in una qualsiasi stratificazione gli strati dalle super-fici di strato e dalle superfici in sé.

A volte il risultato delle azioni di erosione/distru-zione e di trasformazione è talmente minimo o unifor-me da non essere facilmente riconoscibile (ArnoldusHuyzenveld - Maetzke 1988), mentre altre volte essoappare evidente o comunque significativo e va senz�al-tro documentato. Gli strati, le loro superfici e le super-fici in sé possono essere a loro volta oggetto di azioni dideposito/accumulo e di erosione/distruzione. Ciò puòaccadere durante la loro formazione, durante la lorovita e anche dopo di essa.

Gli strati si accumulano in un�area determinata chesi chiama bacino di deposito, costituita per lo piú da unadepressione naturale o artificiale, oppure da uno spaziochiuso da terrapieni o muri. Bacini diversi presuppon-gono stratigrafie diverse. La forma del deposito dipen-de dai materiali depositati e dal tipo di forza esercitatadalla natura o dall�uomo nel muoverli.

Per determinare se una particolare realtà stratigra-fica è di origine naturale o antropica occorre tener pre-sente 1) il tipo di materiale stratificato, 2) il modo in cuiè stato eroso o scavato, 3) il modo in cui è stato sposta-to o trasportato, 4) il modo in cui è stato depositato oaccumulato.

Le caratteristiche principali di uno strato sono leseguenti. 1) Lo strato possiede una superficie, che puòessere orizzontale, inclinata o verticale. 2) La superficiedi uno strato è delimitata da un contorno e possiede unrilievo che può essere rappresentato con curve di livelloquotate. 3) Dal rilievo della superficie di uno strato,combinato con quelli degli strati sottostanti e a contat-to, si ricava il suo volume. 4) Ogni strato ha una sua posi-zione topografica entro le tre dimensioni spaziali. 5) Ogni

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strato ha una sua posizione stratigrafica, cioè una suaposizione relativa nel tempo rispetto agli altri strati, laquale si ricava dai rapporti fra le superfici o interfaccee non dai reperti in esso contenuti. 6) Ogni strato ha unasua cronologia assoluta, la quale viene stabilita grazie alreperto databile piú tardo in esso contenuto e a esso pre-feribilmente coevo, che quindi non sia un residuo o unaintrusione, e grazie alla cronologia assoluta degli stratiche lo precedono e lo seguono nella successione strati-grafica.

Occorre ricordare che i geologi hanno sempre rico-nosciuto le superfici degli strati (chiamandole interfac-ce), mentre gli archeologi le hanno prese sistematica-mente in considerazione solo di recente (Harris 1979).Prima che cosí si facesse non era possibile trasformareintegralmente una stratificazione in una sequenza strati-grafica e cioè in una stratigrafia.

Strati naturali e antropici.

Con il danese Steno, l�inglese Smith e gli scozzesiHutton e Lyell (1830), vissuti fra il xvii e il xix secolo,la geologia ha acquisito le nozioni fondamentali neces-sarie a stabilire le stratigrafie della terra: fossili, strati,interfacce, rapporto fossili-strati e datazione degli stra-ti tramite i fossili (sulla base dell�evoluzione delle spe-cie). Le leggi che consentono di ricostruire la sequenzadegli strati rocciosi depositati in condizioni sedimenta-rie sono le seguenti. 1) Legge della originaria sovrappo-sizione, per cui lo strato piú alto è anche il piú recente;essa presuppone che gli strati siano indisturbati e cioèche si trovino nella loro giacitura originaria; 2) leggedella originaria orizzontalità, per cui gli strati formatisisott�acqua presentano generalmente superfici orizzon-tali; le superfici di strato inclinate implicano modifiche

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successive del loro assetto primitivo; 3) legge della ori-ginaria continuità, per cui gli strati non presentano bordiesposti; se essi esistono sono dovuti a successive azionidi erosione; 4) legge della successione faunistica, per cuigli strati sono datati in base ai fossili che contengono;ciò comporta che gli strati spostati o capovolti sonodatati piuttosto dai fossili che racchiudono che dallaloro sovrapposizione nella stratificazione.

Come la stratigrafia geologica, anche quella archeo-logica si basa su principî applicabili ovunque, in quantoconcernono l�aspetto fisico delle azioni umane, il qualesegue la regolarità della natura piú che l�irripetibilitàdella storia. Questa è la ragione per cui nell�archeologiastratigrafica le distinzioni disciplinari finiscono per rive-stire un significato relativo. Lo scavatore è dunque unospecialista di stratigrafia generalmente intesa, capace dioperare nei contesti piú diversi, essendo i rapporti stra-tigrafici determinati dalle contiguità fra le superfici ointerfacce e non dai reperti contenuti negli strati, con-trariamente a quello che avviene in geologia per la leggedella successione faunistica. Questa differenza fra stra-tigrafia geologica e archeologica è dovuta alla naturasommamente incoerente degli strati di terra, i quali inqualsiasi modo scavati e capovolti vengono comunque aformare nuovi strati, quale che sia la cronologia deireperti in essi contenuti. La storicità del nostro sotto-suolo consiste in questa possibilità incessante che unostrato si trasformi in un altro e nell�attitudine umana acreare continuamente strutture verticali capaci di mol-tiplicare i bacini di deposito e di infrangere l�orizzonta-lità dei depositi, che è invece una caratteristica dellastratificazione naturale. Diverso è il comportamentodegli strati coerenti. Non mancano infatti casi in cuistrati murari possono capovolgersi come strati rocciosi,ad esempio nel crollo di strutture cementizie.

Se consideriamo i siti archeologici urbani e rurali,

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essi ci appaiono come isole stratigrafiche umane in unmare di strati naturali. Alla periferia o al fondo di uninsediamento troviamo sempre la stratificazione volutadalla natura. Da questo punto di vista sottolineare l�o-riginalità dei processi di sedimentazione nei siti archeo-logici rispetto a quelli naturali rischia di separare ciò chein realtà appare continuo e quindi di isolare il sitoarcheologico dal suo contesto ambientale. Per questaragione alcuni specialisti della stratigrafia consideranol�attività antropica generatrice di stratificazione allastregua di qualsiasi agente sedimentario e geomorfico(Brogiolo-Cremaschi-Gelichi 1988; Cremaschi 1990). Aseconda dei punti di vista la creazione di stratificazio-ne da parte dell�uomo appare piú o meno simile o diver-sa rispetto a quella dovuta alle forze naturali.

Dove la natura prevale sull�uomo, come negli scavi prei-storici (ad esempio nei siti paleolitici all�aperto), si trovaalla scala dello strato ciò che sempre si rinviene a quella delterritorio (sugli scavi del paleolitico, si veda Bietti 1990).Le tracce della vita umana vi appaiono infitti isolate fraloro, come annegate nell�uniformità dello strato naturale.Non potendosi stabilire rapporti stratigrafici fra questetracce isolate è impossibile ricostruire una sequenza stra-tigrafica in senso proprio, basata cioè sulle relazioni fisichetra i diversi risultati delle azioni umane fra loro combina-ti. La successione relativa nel tempo può essere alloradesunta soltanto della posizione tridimensionale di quelletracce nell�ambito dello strato naturale. Pur apparendo untale strato del tutto omogeneo, almeno a occhio nudo,esso può essersi accumulato durante un periodo di tempoassai lungo e in circostanze non del tutto identiche. Da ciòsi ricava che le porzioni orizzontali artificialmente stabili-te e piú alte di questo strato sono con tutta probabilità piútarde di quelle situate piú in basso. Nelle condizioni direale o apparente indistinzione, che è tipica dei grandi

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fenomeni naturali, quindi in assenza di articolazioni spa-zio-temporali evidenti, la posizione tridimensionale dellesingole tracce nell�ambito dello strato diventi di fonda-mentale importanza, finendo essa per rappresentare l�uni-ca seppur debole discriminante nell�ambito dell�uniformedepositarsi dei materiali. In questo caso le tracce umanefiniscono per apparire dei sottoinsiemi della sequenza stra-tigrafica naturale (Cremaschi 1900). Anche in età storicasi possono avere condizioni stratigrafiche latamente ana-loghe, ad esempio nell�alto medioevo, quando nelle anti-che città le fognature non funzionano piú e gli spazi urba-ni vengono invasi da strati di fango, i quali finiscono, adesempio, per inglobare le misere capanne di coloro che nonavevano ancora abbandonato l�insediamento (WardPerkins 1981). Possono anche esistere strati di occupazio-ne di età protostorica considerevolmente omogenei, dovela distribuzione di micro-strutture (come i focolari) e direperti finisce per essere piú rilevante delle distinzioni fragli strati, difficilmente rilevabili.

Dove invece le azioni umane si intensificano e intrec-ciano, sovrapponendosi e stabilendo i propri bacini dideposito, come nelle prime forme di vita concentrata econtinua, la stratificazione naturale viene tenuta al mar-gine dell�insediamento e finisce per svolgervi un ruolosubalterno. Da questo punto di vista la città appare comeun insieme intensamente correlato di azioni umane cheesclude innanzi tutto il dominio della natura all�internodei suoi limiti. Le strutture verticali costruite dall�uomo(fossati, terrapieni, palizzate e muri) stabiliscono insie-mi stratigrafici del tutto artificiali, fortificati contro piog-gia e torrenti oltre che contro il nemico.

I diversi modi di agire della natura e dell�uomo pos-sono essere compresi in termini di energia. La naturaimpiega normalmente energie assai piú basse di quelleusate dall�uomo anche quando maneggia solo la pala e il

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piccone. Le precipitazioni, i corsi d�acqua e i venti spo-stano man mano e con poca forza minime particelle. Siformano in tal modo gli strati omogenei di cui si è par-lato. Con i suoi muscoli e strumenti l�uomo rivoluzionaprecedenti situazioni, trasporta materiali pesanti,costruisce monumenti, che una volta abbandonati crol-lano formando grandiose rovine, espressione anch�essedell�alta energia tesaurizzata in quelle costruzioni e quin-di esse stesse monumenti di monumenti. Per non diredegli sconvolgimenti che l�uomo riesce ormai a produr-re con le sue macchine e i suoi ordigni, dalle dighe aigrattacieli, di forza quasi pari a quella della natura quan-do si scatena in un cataclisma. La stratigrafia archeolo-gica complessa è dovuta pertanto alla concentrazionedella vita in un determinato luogo e alla capacità divi-dente e trasformante dell�alta energia che l�uomo sa ero-gare usando anche solo le sue mani.

Anche negli strati omogenei prodotti dalle basse ener-gie naturali o in altre particolari condizioni antropiche(lenti accumuli in capanne dove si vive senza pulire o rial-lestire) possono esistere cambiamenti, piú o meno gra-duali, dovuti a variazioni di energia degli agenti. Non riu-scendo spesso a coglierli a occhio nudo, occorre analiz-zarli piú approfonditamente per scoprire le variazioni diforza che hanno consentito il trasporto selezionato diparticelle piú o meno grandi. Diventa in tal modo possi-bile articolare in base ai piccoli mutamenti di energiaquanto in un primo momento poteva apparire indistin-to. L�analiticità della visione e quindi della ricostruzio-ne stratigrafica dipende dunque dalla potenza dell�occhioindagatore. Restiamo stupiti infatti quando indaghiamola natura al microscopio e scopriamo forme che maiavremmo sospettato. Di qui la necessità di scavare talistrati con tracce di vita umana procedendo per livelli arti-ficiali anche sottili e prelevando da essi campioni di terrada analizzare in laboratorio.

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Si pensa sempre all�uomo come facitore di strumen-ti, opere d�arte e architetture. Meno frequentemente losi considera anche come scavatore o costruttore, crea-tore di bacini di deposito e accumulatore di stratifica-zioni. Non stupisce pertanto che le unità stratigraficheda lui prodotte siano per molti aspetti diverse da quel-le naturali, specialmente perché riflettono la sua com-plicata progettualità e le sue motivazioni imprevedibili.Vi è certamente un rapporto fra complessità culturale eproduttiva. La relativa semplicità dei manufatti e degliinsediamenti preistorici ben corrisponde a un mondo chenon scrive. Viceversa la creazione delle opere d�arte edei monumenti riflette fedelmente un mondo che sascrivere. Da questo punto di vista la documentazionescritta appare come il naturale complemento della riccaproduzione artigianale e manifatturiera di una società dietà storica. La contrapposizione fra scrittura e materialavorata non ha pertanto alcun senso, potendo ciascunadelle due fonti meglio dire ciò cui l�altra riesce soltantoad alludere. Lo scritto non sostituisce il manufatto cosícome la psiche non sostituisce il corpo umano. Stratifi-cazioni e archivi sono due espressioni di uno stessovolto.

Sui diversi tipi di stratificazioni si è riflettuto anco-ra assai poco. Nell�età preistorica e protostorica e forseanche in altre piú tarde, come l�alto medioevo, può pre-dominare o comunque cospicuamente manifestarsi lastratificazione di origine naturale o comunque di carat-tere omogeneo. Nelle altre età prevale invece la strati-ficazione archeologica complessa. Nell�età industriale losviluppo della meccanizzazione, della nettezza urbana edella tutela dei monumenti hanno mutato il caratteredella stratificazione, a volte ulteriormente complican-dola e a volte semplificandola all�esterno. Questo librotratta soprattutto della stratigrafia archeologica dell�etàpreindustriale, quando termina la dominanza della cam-

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pagna, si stabilisce l�antagonismo fra essa e la città e nonsi è ancora arrivati alla dominanza incontrastata di que-st�ultima (Carandini 1979b). Si cercherà pertanto diindividuare i principî che consentono di leggere la stra-tificazione creata per lo piú artigianalmente dall�uomo.Esistono costanti nel suo comportamento sul terreno cheè necessario conoscere se si vuole affrontare con meto-do la conoscenza della terra e delle materie plasmate dal-l�uomo. Le regole della stratigrafia sono in questa sortadi discesa agli inferi l�unico nostro Virgilio.

1 Manacorda 1982b, 1982C, 1983, 1985a, 1988; D�Errico-Pantò1985; Archeologia italiana 1986, dove le imprese italiane nel Mediter-raneo vengono confrontate con le condizioni della ricerca in patria;Guidi 1988; per la storia delle scoperte archeologiche si veda Daniel1976; per l�archeologia americana, si vedano Trigger 1989 e LambergKarlowsky 1989.

2 L�edizione degli atti del convegno fu fermata in bozze dal falli-mento della casa editrice De Donato. Le relazioni tenute in quella occa-sione furono le seguenti: T. Potter, Le indagini topografiche in Gran Bre-tagna; D. Whitehouse, Le indagini topografiche britanniche in Italia; P.Gianfrotta, L�esperienza della Forma Italiae; M. G. Celuzza, L�esperi-mento dell�Ager Cosanus; M. Torelli, Topografia e epigrafia; M. Jones,Paleoecologia archeologica; G. Gullini, Per un approccio sistematico al ter-ritorio; G. Pucci, Scavo e cultura materiale fra �7oo e �800 (Pucci 1988);D. Manacorda, La stratigrafia in un secolo di ricerche italiane (Manacorda1982b); A. Carandini, Metodi di scavo e principî della stratigrafia; H.Hurst, La stratigrafia degli elevati; R. Francovich, Restauro architettoni-co e archeologia; F. Donati - E. Fentress, Scavo della decorazione pit-torica parietale; A. Melucco, Il restauro sullo scavo; T. Tatton-Brown,Lo scavo stratigrafico negli interventi di tutela in Inghilterra; T. Manno-ni, Lo scavo stratigrafico negli interventi di tutela in Liguria; A. La Regi-na, Per una ripresa degli scavi nei Fori a Roma: problemi di metodo; F.Badoni, La documentazione scritta dello scavo; A. M. Bietti Sestieri, Lascheda di saggio; C. Panella, La scheda di unità stratigrafica; M. de Vos,La scheda di unità stratigrafica di rivestimento (pavimenti e decorazioneparietale); A. Ricci, Le schede dei reperti di scavo; A. Carandini - M.Medri, La documentazione grafica; H. Hurst, Come pubblicare unoscavo; G. Ballantini, Per un sistema museale organico in Toscana; P. Pela-

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gatti, Lo scavo come museo all�aperto; S. Settis, La mostra archeologica;G. Gullini, Scienze archeologiche e istituzioni; I. Angle Per un raccordofra ricerche sperimentali e il Ministero per i beni culturali e ambientali, G.Vallet, Come proseguire il dibattito in rapporto con l�archeologia france-se; A. Carandini, Problemi in via di soluzione e da risolvere.

Il dibattito annunciato con l�archeologia francese non ha poi avutoseguito, ma con i suoi cicli di lezioni l�Università di Siena ha continuatoa essere il piú importante centro di dibattito su questi argomenti. Nel1987 il tema è stato L�architettura e il restauro dei monumenti (Franco-vich - Parenti 1988; si veda sul tema anche Carandini 1977b), nel 1988Le scienze applicate all�archeologia (Cannoni - Molinari 1990), nel 1989Lo scavo: dalla diagnosi all�edizione (Francovich - Manacorda 1990) enel 1991 L�archeologia del paesaggio (Francovich - Manacorda c. s.).

3 Significativo è l�episodio narrato da Lugli 1959: «mi piace ricor-dare la sorpresa che ebbi in uno scavo stratigrafico per rinvenire qual-che frammento del primitivo tempio di Giove [Capitolino]. A ottometri di profondità ecco intravedersi un vaso di ferro smaltato, diforma tondeggiante, con manico laterale facilmente riconoscibile... Ciguardammo attoniti, poi scoppiammo in una risata. Chiudemmo subi-to lo scavo e del tempio di Giove dei Tarquini non se ne parlò piú».La stratigrafia come metodo per datare i monumenti non viene con-templata da Giuliani 1990, p. 21.

4 Hudson 1981; Manacorda 1981, 1982a, 1983, 1985b, 1987;Carandini e altri 1985; Castagnoli e altri 1985; Visser Travagli - WardPerkins 1985; La Rocca Hudson 1986; Milanese 1987; Panella 1987 e1990; Archéologie urbaine 1982; Archeologia urbana in Lombardia 1984,con saggio di M. Carver sull�archeologia urbana in Europa e relativabibliografia; Archeologia urbana a Napoli 1984; Archeologia urbana erestauro 1985; Francovich - Parenti 1988; Archeologia urbana a Roma1989; Morselli - Tortorici 1989.

5 Barker 1977, pp. 119 sgg.; Leonardi 1982; Devoto 1985; Arnol-dus Huyzenveld - Maetzke 1988; Balista e altri 1988; De Guio 1988;Brogiolo - Cremaschi - Gelichi 1988; Cremaschi 1990.

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