Da buddha A einstein

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Paolo Guido

DA BUDDHAA EINSTEIN

LA STRUTTURA DEL PENSIEROORIENTALE NELLA FISICA MODERNA

Paolo GuidoDa Buddha a EinsteinCopyright © 2004 Edizioni Il Punto d'IncontroPrima edizione italiana marzo 2004.Prima edizione digitale novembre 2013Edizioni Il Punto d'Incontro s.a.s., Via Zamenhof 685, 36100 VicenzaTel. 0444 239189, Fax 0444 239266www.edizionilpuntodincontro.comTutti i diritti riservati. Nessuna parte di quest'opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l'autorizzazione scritta dell'editore, adeccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

ISBN 9788868200206

INDICE

Premessa dell'autore

Introduzione

Prima parte: da Buddha

1. Religione e religiosità2. I pregi della filosofia orientale3. Le principali dottrine

InduismoBuddhismoTaoismoZen

4. Unità e separazione, il cammino verso Brahma5. La gabbia di Maya6. Gli elementi della diversità7. Yin e Yang8. Il bene e il male9. La sintesi dello Yoga: l'elemento sattvico

10. Il percorso dell’ albero cosmico

Seconda parte: a Einstein

11. I periodi della fisicaPeriodo mistico–filosoficoPeriodo classicoPeriodo unitario o moderno

12. Da materia ed energia nasce il “campo”Materia ed energiaCollegamentoDualitàPieno e vuotoL'atomoFusioneIdentità

13. Da spazio e tempo nasce lo “spaziotempo”La fisica di Aristotele

Il mondo di Galileo e di NewtonNuovi fenomeniLa RelativitàIl tempo cambiaLo spazio è elasticoSpaziotempoIl presente relativoIl paradosso dei gemelliLe due facce del tempo

14. Da soggetto e oggetto nasce...Espansione del soggetto nella speciePurusha e PrakritiGli universiUnione soggetto-oggettoUnità del sapereRappresentazione, trasformazione e Realtà

Conclusione

Nota sull'autore

PREMESSA DELL'AUTORE

Oggi posso dire che fin da ragazzo avevo inconsapevolmente fatto del mistero dell'esistenza la miaragione di vita; la figura di Einstein e le sue teorie sconcertanti, di cui ben poco capivo, miriempivano di una strana sensazione di euforica serenità. Sentivo che l'interrogarsi sul perché dellecose e soffermarsi a riflettere sulla domanda stessa era per me troppo importante: una ricerca, soloper il fatto di essere tale, non è mai sterile, perché ha troppo da donare.

Approdai inevitabilmente a studi scientifici.Tuttavia, durante gli anni di università la mia mente, imbevuta di discorsi di Fisica teorica e

Logica matematica, si trovava spesso a fantasticare spingendosi oltre i limiti che il rigoresperimentale imponeva. Già da tempo ero affascinato da quanto si conosceva sulle pratiche delloYoga o sulla filosofia Zen, argomenti che la rivoluzione culturale degli anni Sessanta tanto avevapreso in simpatia.

Trovavo la speculazione orientale curiosamente vicina alle teorie della Fisica moderna di cuiiniziavo a intravedere la portata, ma non afferravo il motivo di questa affinità.

Col passare degli anni, terminati gli studi e avendo iniziato a praticare l'Hatha Yoga, lentamentetutto mi fu più chiaro.

La Filosofia orientale e la Fisica moderna si incontravano semplicemente perché la prima avevada millenni nel suo seno un po’ di scientificità e la seconda si era recentemente vestita di una buonadose di religiosità. Ho riflettuto su questa considerazione qualche anno, poi, anche sull'onda dianaloghe proposte di autori sicuramente più accreditati di me, ho deciso di scrivere queste pagine,con la speranza che oltre a essere chiare vadano dritte nel segno: far pensare a quanto tutto possaessere diverso da quello che sembra.

Due parole sul titolo. Buddha ed Einstein sono due punti di riferimento, due figure simbolichesicuramente tra le più rappresentative per significare un accostamento tra mondi e culture cosìstoricamente diversi: l'Oriente, da sempre incline a una visione spirituale dell'esistenza umana e peril quale l'aspetto trascendente è elemento portante e l'Occidente, più propenso a dare credito a quelloche i sensi sperimentano, fino a razionalizzare il trascendente stesso.

Su due linee di percorso così diametralmente opposte l'Oriente ha sviluppato la religiosità,l'Occidente la scienza.

Il mio maestroIl mio maestro

è un genio dal multiforme aspetto.Padre, saggio, musicante,

poeta maledetto.Lo incontrai gettare sillabe

nella nebbia di un bimbo vacillante,lo udii intonare versi di pace

su una folla impazzita.Lo vidi davanti a sguardi dubbiosi

imbastire formulesul senso della vita,

lo ammirai uscire sorridenteda nembi minacciosi

vestito di nuove verità.Scomparve un giorno senza dire niente,un solo mormorio sfumato nell'orecchio:

“Se hai bisogno di meguardati allo specchio!”.

INTRODUZIONE

Quando si cerca di dare una spiegazione alle problematiche dell'esistenza, si cade inevitabilmente incontraddizioni logiche, a volte volutamente ignorate.

La nostra estrema limitatezza molto spesso non ci rende consapevoli di questa semplice verità:come può un essere finito abbracciare l'infinito, come può un piccolo vaso di porcellana contenere ilmare?

Può forse l'uomo, con i soli mezzi della logica e del linguaggio, esprimere la natura divina?Ed è così che una presa di contatto, per sua natura difettosa, con l'ambiente esterno genera

inevitabilmente un'interpretazione del mondo molto lontana dal vero.È paradossale, ma l'unica affermazione possibile sul mistero della vita consiste nella denuncia

della impossibilità di affermare qualcosa; ci è concesso solo approssimare, formulandorappresentazioni del Reale conformi ai nostri mezzi cognitivi.

Partendo da questa ammissione di incompletezza, ho inteso proporre la rappresentazione chenasce semplicemente dalla sintesi e dal confronto di due culture in apparenza molto distanti.

Le conclusioni cui perverremo risulteranno, credo, originali se non in taluni casi addiritturastravaganti. In ogni caso, mi auguro, sarà costruttivo rifletterci sopra.

Proprio familiarizzando infatti coi tentativi che la nostra mente compie per afferrare l'Assoluto,ognuno di noi inconsapevolmente affina e predispone il proprio “spirito” verso livelli diconsapevolezza superiori.

Come recita un detto Zen: “all'inizio la Via è priva di parole, poi le parole illustrano la Via;infine, quando si intravede la Via, ogni parola viene dimenticata”.

Prima parte

DA BUDDHA...

CAPITOLO UNO

RELIGIONE E RELIGIOSITÀ

Non sappiamo se al momento della nascita gli esseri viventi portino con sé un qualche bagaglio diconoscenza e se così è non ne conosciamo le cause. Molto è stato detto al riguardo.

Crediamo però di poter affermare con certezza che l'uomo, tra tutte le creature il più dotato diqualità intellettive, nei suoi tentativi di adattarsi all'ambiente tradisce in parte se stesso.

Nel corso della storia egli ha infatti dato vita a sistemi sociali sempre più numerosi e complessi equesto, se da un lato gli ha permesso di ottenere benessere e migliorare con il progresso il tenoredella sua esistenza, dall'altro lo ha snaturato, imprigionandolo dentro stereotipi calati sulla suapersonalità fin dalla nascita.

Da uomo l'essere umano è divenuto macchina.Durante la crescita viene ormai sottoposto a una “terapia dell'oblio” della propria natura per cui

da adulto, in maniera consapevole o no, tenderà a ignorare le sue esigenze più profonde.Vittima di tale ingranaggio, invece di migliorarsi egli ha sviluppato col tempo alcuni aspetti

negativi già insiti nella sua complessa struttura quali:

l'individualismo: occorre purtroppo riconoscere che la maggior parte di noi viene mossa piùdal tornaconto individuale che da ideali d'amore e solidarietà. Senza troppo considerare inostri simili, ambiamo unicamente al possesso personale.la superficialità: questa continua ricerca del proprio benessere, unita allo sviluppotecnologico, ha portato a sopravvalutare beni voluttuari, il cui uso non equilibrato hasovvertito la scala dei valori. Ed è con falsi valori che ormai ci identifichiamo, limitandoci asostare sulla superficie dei diversi aspetti della realtà.

Le ambizioni che conseguono dal concorso di questi due elementi propongono continuamentetraguardi illusori: se le aspettative si realizzano, ci si accorgerà ben presto che quanto si eraardentemente desiderato non appaga più. Come colui che mai riesce a dissetarsi avendo adisposizione solo acqua salata, ci affretteremo allora a mutare l'oggetto delle nostre brame, perchéuna insana sete di conquista sembra ormai dominarci.

Questa spirale senza fine può in alcuni casi concludersi con l'ultima, la più sublime e ambiguadelle ambizioni: quella di giungere a Dio. Tuttavia anch'essa, vista secondo quest'ottica, è solo unaforma di potere, perché Dio non può essere concepito quale oggetto d'ambizione.

Questo è un punto molto importante: le religioni tradizionali, che dovrebbero portare l'umanitàverso i valori più sani, hanno invece spesso contribuito ad accrescere gli inganni di un'educazionedettata da interessi di parte!

Non è forse vero che in ogni epoca storica si è dovuto assistere alla malafede di sedicentireligiosi, in realtà uomini ambiziosi, e non solo di Dio, che hanno imposto il loro pensiero persoddisfare la propria sete di ricchezza e di potere? Essi hanno sfruttato i loro simili, facendo leva

sulla pigrizia e sulla paura, ignorando che quest'ultimo sentimento era profondamente radicato anchein loro stessi.

La paura, la cui essenza si specchia nel mistero dell'esistenza e della morte, non può esseredebellata imponendo una dottrina, ma unicamente favorendo un diverso atteggiamento verso la vita.

Spesso ciascuno di noi ha la sensazione che l'esistenza sia priva di significato; la verità è che,come insegnano alcuni maestri, noi non conosciamo affatto la vita o, per meglio dire, ciò chechiamiamo con questo nome è senza significato.

La maggior parte delle religioni si è limitata a raccontare favole, esattamente come si fa con ibambini per colorare il loro mondo irrazionale; avrebbe dovuto, invece, in un certo senso farcitornare sì bambini, ma per renderci consapevoli delle sovrastrutture originate dal nostro adattamentoal mondo in cui viviamo.

Le dottrine religiose avrebbero dovuto insegnare come credere e non a cosa credere. Avrebberodovuto comunicare amore e non limitarsi a predicarlo, spesso ipocritamente, favorendo l'odio.

Nate da insegnamenti di illuminati, hanno quasi sempre perso in poco tempo la forza originaria,perché immancabilmente sono ricadute nella trappola dei falsi valori: si adornavano di insiemi diregole e rituali, divenendo organizzazioni sociali che poco avevano di veramente religioso.

Si potrebbe obiettare: ma la religione è lo spirito applicato alle masse e le masse hanno bisognodi regole!

Credo che sarebbe forse più corretto dire che le imposizioni dogmatiche sono necessarie per ognitipo di immaturità; ma anche che ogni tipo di immaturità deve essere dinamicamente portato versouna sua evoluzione. Come il fanciullo diviene adulto, così anche il genere umano deve cresceresviluppando la sua componente spirituale.

Il fatto che questo processo non abbia mai avuto inizio è particolarmente significativo: per ogniforma di potere è molto più semplice tenere a bada una moltitudine di ignoranti che un gruppo disapienti.

Potremmo così in definitiva concludere queste prime considerazioni affermando che le dottrinereligiose si sono vestite e tuttora si vestono di scarsa religiosità; manca in esse quella particolarepredisposizione dell'animo che, indipendentemente dai luoghi e dalle condizioni sociali o ambientaliin cui si esprime, origina un vivere nello spirito di carattere universale.

Tale predisposizione d'animo non si esprime attraverso scelte, ma solo attraverso amore eaccettazione perché la Realtà, lungi dall'essere un punto di vista, si manifesta solo quando i diversipunti di vista si sono dissolti.

Se escludiamo gli insegnamenti dei grandi maestri, raramente religione e religiosità si sonoincontrate; vedremo come e perché lo spirito orientale si è invece avvicinato a questo connubio.

CAPITOLO DUE

I PREGI DELLA FILOSOFIA ORIENTALE

Sono perfettamente consapevole che l'espressione “filosofia orientale” può sembrare impropria oquanto meno riduttiva. Tutti sappiamo quante dottrine mistiche l'Oriente abbia prodotto. Eppure, già auna prima analisi ci si rende conto che esse hanno molti concetti in comune e che, in generale, sonotalmente compatibili tra loro che un assemblaggio dei tratti più significativi delle stesse può dare vitaa un sistema filosofico estremamente coerente e valido.

Queste pagine, come già detto, si propongono di mostrare come questo sistema sia anche talmenteattuale da consentire un accostamento con le teorie scientifiche contemporanee.

Prima di esaminare, sia pur schematicamente, lo sviluppo nel tempo di tali dottrine osserviamoche esse, nel loro complesso, presentano delle caratteristiche di base che le differenziano dallenostre tradizionali forme di conoscenza mistiche o filosofiche e precisamente:

Sono “sperimentali”:mirano cioè a un'evoluzione della coscienza che non è solo studio di teorie altrui, ma ricercainteriore.

Il loro intento è di conseguenza quello di sviluppare, mediante la sperimentazione pratica di sé, unapprendimento intuitivo che va oltre la pura logica.

Tale realizzazione pratico-cognitiva, nella quale si parte dall'uomo per giungere a Dio e non daDio per giungere all'uomo, allontanandole dalle posizioni della filosofia occidentale e delle religionipiù diffuse, tende ad avvicinare tali dottrine a quelle della moderna ricerca scientifica.

Sono tolleranti:il significato di questo aspetto è più profondo di quanto non si immagini.

Noi occidentali, abituati alla ricerca di verità assolute, che diano sicurezza e protezione neiconfronti dei pericoli di quanto ancora non si conosce, siamo portati a screditare tutto quello chepossa minare ogni stabilità acquisita.

La ricerca orientale, invece, privilegiando come abbiamo visto l'aspetto empirico, poggia su unrelativismo cognitivo di base che è di ampio respiro.

Proprio tale qualità ha consentito in questa zona del mondo la nascita e l'attuale esistenza di quelgigantesco amalgama di idee, riti, culti e credenze che va sotto il nome di Induismo.

Infatti, partendo dal presupposto, già tratteggiato nella nostra introduzione, che la verità non risultiinquadrabile in una descrizione, ma che sia inconoscibile o quanto meno non verbalizzabile, è statopossibile unire in un unico movimento religioso forme così diverse di credo.

In quest'ottica, le varie dottrine costituiscono per il ricercatore orientale solamente dei mezzi eogni praticante, per raggiungere il proprio scopo, deve scegliere quella che più si adatta alle proprie

caratteristiche, determinate dal personale grado evolutivo, dalla cultura della società in cui vive e daaltri (chissà quanti) fattori.

In teoria, dunque, le vie sono tante quante gli esseri viventi e ognuna di esse è elemento diquell'immenso patrimonio che è la coscienza dell'umanità. Essa è come una fittissima rete di scaleche portano al cielo.

Date queste premesse, è inevitabile che l'atteggiamento mistico che ne consegue risulti indirizzatoverso una tolleranza attiva nei confronti di punti di vista diversi, pronta ad accogliere e a consacrarenuovi concetti e suggerimenti che possano accelerare il cammino spirituale del genere umano.

È per tale ragione che l'insegnamento orientale non ha mai pensato di impegnarsi in disputereligiose o intraprendere guerre sante.

Se non andiamo errati, dalle nostre parti le cose sono andate un po’ diversamente, al punto taleche ancora oggi la maggior parte dei praticanti è convinta che la verità sia una e, guarda caso, si trattiproprio di quella che fu loro insegnata. Tutto il resto dell'umanità è condannato ahimè (dal loro Dioinfinitamente buono) a vivere nell'ignoranza, se non addirittura nel peccato!

A tal proposito Buddha propose un paragone molto eloquente.Se dobbiamo attraversare un fiume e abbiamo a disposizione varie imbarcazioni, tutte in grado di

farci raggiungere la sponda opposta, avrà importanza quale di esse useremo?C'è chi preferirà una canoa o una barca a remi più comoda o chi ancora avrà la possibilità, diremo

noi oggi, di salire su un mezzo a motore. L'unica cosa significativa è che prima o poi tutti saremodall'altra parte.

Le vie sono tante, lo abbiamo già detto, il traguardo è lo stesso per ognuna di esse a prescinderedal punto di partenza o dai mezzi usati. Esso è lì ad attenderci con estrema benevolenza e non saràmotivo di merito (casomai fonte di demerito) fare a gara per raggiungerlo.

Sono universali:questa terza caratteristica scaturisce dalle prime due e in parte è stata appena analizzata.

Spirito di ricerca e tolleranza, infatti, tendono a sviluppare un corpo dottrinale universale,adeguato a ogni tipo di esigenza mistica. Chiariamo.

Le filosofie orientali, nella loro quasi totalità, non hanno mai limitato il campo dell'esistenza alsolo aspetto fisico. Ogni creatura vivente viene generalmente descritta come costituita da vari corpiche, partendo proprio dal fisico, l'unico del quale abbiamo una sufficiente percezione, e divenendovia via sempre meno densi, si avvolgono uno sull'altro come degli involucri.

Possiamo raffigurarci una struttura simile a quella di una cipolla, ogni strato della quale puòessere considerato un diverso piano di esistenza.

La vita si svolge così contemporaneamente su vari livelli, ognuno dei quali è pronto a donarci undiverso grado di consapevolezza e che, in linea con la maggioranza delle scienze esoteriche, percomodità così schematizziamo:

fisicoastrale o emotivomentalecausale o simbolicospirituale.

Non è nostra intenzione dilungarci sull'argomento, che può essere approfondito per chi lo desideri suimolti testi scritti al riguardo; è comunque evidente che esiste una grande diversità tra le creature diquesto mondo, se considerate in base al loro sviluppo nell'ambito dei vari piani di esistenza.Chiaramente negli animali il fisico e l'astrale troveranno la loro massima espressione, nell'uomo ilbaricentro della personalità tende a spostarsi verso piani più evoluti anche se, come sappiamo, visono notevoli differenze tra soggetto e soggetto.

C'è chi vive completamente dedito a soddisfare le proprie esigenze fisiche, chi ama tuffarsiquotidianamente in mille emozioni, chi si chiede il perché di ogni cosa e filosofeggia sui misteri delcreato, chi accresce il proprio livello spirituale offrendo amore e carità. Tutti, anche chi ècostantemente attratto da valori materiali, prima o poi avvertono però il senso del trascendente, tutti,almeno in particolari momenti della vita, sentono il bisogno di rivolgere il loro pensiero oltre gliangusti limiti fisici.

Sembrerebbe che la cultura orientale abbia tenuto conto proprio di questa eterogeneità dell'essereumano e abbia così prodotto nel corso dei secoli (grazie al principio di tolleranza) diverse dottrineamalgamabili in un unico grande sistema teoretico, pronto a essere interpretato dal praticante, chefarà automaticamente suo quell'aspetto che più degli altri si adatta allo “strato della cipolla” in luimaggiormente sviluppato.

Abbiamo voluto evidenziare le tre caratteristiche che, a nostro parere, descrivono la filosofiaorientale.

In base a quanto detto possiamo concludere che essa:

differisce dalla filosofia occidentale, perché chiama in causa mezzi di conoscenza piùcompleti, che si basano cioè oltre che sui sensi e sulla ragione anche su qualità più sottili. Ciriferiamo per esempio all'intuizione, quella particolare saggezza che “non conosce, eppureillumina”.differisce dalle religioni occidentali soprattutto per la particolare attitudine allasperimentazione di cui abbiamo parlato. Questa filosofia è prima di tutto Moksha, cioèilluminazione, e diviene poi un sistema di idee con lo scopo di verbalizzare un'esperienza. Ilprezzo da pagare per tale ambizione sarà un'inevitabile perdita di efficacia, esattamente comeun sole dipinto sulla finestra impedisce la vista del vero sole.si awicina alla Fisica moderna per due motivi:1. per lo stesso spirito di ricerca che la allontana dalle religioni tradizionali e che ècaratteristico della scienza.2. perché la Fisica moderna stessa nel corso del Novecento ha dato spazio a ipotesi econclusioni vicine a quelle dell'intuizione mistica e nelle quali (avremo modo di vedere) larazionalità e la logica in più di un'occasione devono farsi da parte.

CAPITOLO TRE

LE PRINCIPALI DOTTRINE

I tratti più significativi del pensiero orientale, quelli che hanno prodotto un modo particolarmentevalido di interpretare e vivere la vita, appartengono a tre grandi movimenti religiosi: l'Induismo, ilBuddhismo e il Taoismo.

Li esamineremo ora molto sinteticamente, mettendone in risalto quei particolari che più ciinteressano per i nostri scopi.

InduismoNon è facile parlare dell'Induismo. Non è facile perché esso non si basa, come la maggior parte dellereligioni, sulle parole di un profeta o sulle dottrine di un'organizzazione religiosa, ma è piuttosto untermine di comodo che sta a indicare un insieme di culti e speculazioni filosofiche praticatenell'antica regione del fiume Indo.

Crediamo sia opportuno accennare brevemente alle caratteristiche di questo movimento mistico,anche perché da esso emergono molte delle idee che in seguito prenderemo in esame.

Le nostre attuali conoscenze risalgono circa a 1500–2000 anni prima di Cristo, epoca in cui gliArii, gruppo etnico di razza bianca proveniente da terre occidentali, sembra abbiano invaso il sub-continente indiano allora abitato da popolazioni pastorali denominate Dravidi.

L'incontro tra due diverse culture determinò un vasto panorama ideologico caratterizzato daposizioni eterogenee, inizialmente discordanti ma, in definitiva, non al punto tale da non riuscire, altermine di un gigantesco processo di fusione, a convivere e integrarsi come se ognuna di esse nonfosse altro che un elemento di un progetto superiore.

Se in un primo momento, infatti, gli Arii, di indole guerriera, sottomisero i più pacifici Dravidi, ilpatrimonio culturale di questi ultimi riemerse dopo non molto, contribuendo in maniera determinantealla struttura del pensiero induista.

Per semplicità divideremo la dinamica dell'Induismo in tre fasi distinte:

1) Vedismo, che prende il nome dai Veda, i testi sacri più antichi dell'India, la cui compilazioneiniziò circa quindici secoli prima della nostra era.

È questo il periodo della supremazia culturale degli Arii e ciò comporta una sorta di classismoideologico. Inizia infatti a delinearsi il sistema delle caste, al cui apice si collocano i sacerdoti. Aessi è riservata la pratica religiosa e di conseguenza ogni forma di conoscenza mistica.

L'universo viene descritto come una moltitudine di energie di varia natura rappresentate ognuna dauna diversa divinità. L'atto della preghiera o del sacrificio quindi, più che una richiesta di perdono oun'espiazione del peccato, esprime un tentativo di rendersi partecipi di eventi energetici superiori edi sviluppare così una visione intuitiva della realtà.

Tale concezione, sorprendentemente moderna, si basa su una supposta affinità esistente tral'universo che è fuori di noi e la nostra stessa interiorità, per cui gli dei vedici che, come abbiamodetto, possono essere intesi come antropomorfizzazioni delle diverse forze che regolano il cosmo,trovano asilo anche all'interno dell'essere umano a rappresentarne quei processi dinamici chegenerano i fenomeni psichici e spirituali.

Il brano del Rig-Veda che descrive il momento della creazione costituisce un significativo,peraltro attualissimo, esempio di tale corrispondenza:

“Non c'era Esserené non Essere.Non c'era mortené immortalità.In principio era tenebracoperta da tenebra....Sopravvenne il desiderioe fu il primo semedella mente...”.

Questa fase si estende poco oltre il primo millennio a.C., quando cioè inizia quella speculazionefilosofica in cui verranno alla luce alcuni concetti base di tutto il misticismo orientale.

2) Tutto l'arco di tempo che va approssimativamente dal IX al VI secolo a.C. è conosciuto coltermine Brahmanesimo.

In questo periodo il pantheon vedico lascia il posto a Brahma, Principio ultimo, Signoredell'universo.

Intermediari tra Lui e gli uomini sono ancora i sacerdoti, ora chiamati brahmani, cui spetta ilmonopolio delle attività religiose, anche se accanto a riti e liturgia si fa sempre più spazio la ricercainteriore.

In opere immortali come le Upanishad si parla ora di “atman”, di “karma” e di “samsara”.Il significato e il ruolo dell'essere umano nei confronti del creato e del suo creatore diviene più

chiaro: il fine dell'esistenza è la fusione dell'atman o anima individuale con Brahma. Per realizzaretutto questo sarà necessario passare per il samsara, cioè per un ciclo indefinitamente lungo di morti erinascite regolato da una legge universale: la legge del karma.

3) Con Induismo classico (o Induismo in senso stretto) si intende l'ultima fase che va dal VI secoloa.C. fino ai nostri giorni.

Il VI secolo a.C. costituisce un momento molto importante nella storia del pensiero. In Cina nasceLao Tse fondatore del Taoismo, in India due movimenti religiosi si contrappongono alBrahmanesimo: il Buddhismo e il Jainismo. Essi verranno denominati “non ortodossi”, perché nonriconoscono l'autorità dei Veda.

In questo nuovo fiorire di spiritualità, i Brahmani capiscono che è giunto il momento di adeguarele loro dottrine e le loro pratiche religiose al mutamento dei tempi e attuano un lungo processo dimodernizzazione che verrà chiamato “brahmanizzazione dell'India”. Esso consiste (e qui emerge intutta la sua positività quel principio di tolleranza, che abbiamo indicato come uno dei pregi dellafilosofia orientale) nell'inquadrare in un unico assetto, in una sintesi più elevata, tutto il vasto

complesso di idee, culti e filosofie generati dai moltissimi gruppi etnici coesistenti. Ognuno di essiconservava la propria visione del mondo che veniva ora intesa come uno dei tanti modi per giungerealla meta suprema, la fusione dell'atman con Brahma, già sintesi finale del Brahmanesimo.

L'Induismo nella sua espressione definitiva, che abbiamo denominato “classica”, può esseredunque inteso come una “dottrina universale” capace di inglobare in sé credenze e tradizioni locali,dotandole di un comune denominatore.

In aggiunta a questo patrimonio ideologico derivante dalla “brahmanizzazione”, l'Induismo fucaratterizzato poi da alcune vere e proprie scuole filosofiche denominate “darsana” o punti di vista,che ampliarono il già vasto orizzonte spirituale con nuovi importanti concetti.

Tra le darsana, che sono sei, le tre più significative sono il Samkhya, lo Yoga e il Vedanta.

Secondo il Samkhya, sistema filosofico attribuito al saggio Kapila, nato anch'esso intorno al VIsecolo a.C., l'intera realtà fenomenica, chiamata “Prakriti”, poggia su un apparente gioco dicaratteristiche e tendenze opposte, la cui giusta interpretazione porta alla conoscenza. È questa ladottrina dei tre “guna”, che avremo modo di approfondire in seguito, cioè le qualità della natura che,mescolandosi continuamente, confondono la nostra componente spirituale, chiamata “Purusha”. Ilcompito di quest'ultima sarà di conseguenza quello di comprendere l'illusione di cui è vittima,cercando le chiavi di lettura nelle innumerevoli manifestazioni della Prakriti.

Se il contributo fornito dal Samkhya alla filosofia orientale è costituito proprio dal concetto diqualità opposte che regolano la dinamica dell'universo sensibile, lo Yoga fornisce una soluzione aquesto loro incessante alternarsi, svelandone, per così dire, il significato nascosto eternamentesoggiacente sotto la superficie delle cose e dei fenomeni.

Lo Yoga è una dottrina ascetico-filosofica, codificata secondo un insieme di regole da Patanjali nel IIsec. a.C., che pur facendo parte delle darsana induiste affonda le sue radici in epoche molto piùantiche, probabile retaggio dell'India dravidica.

Yoga vuol dire “unione”.Abbiamo visto che già nei Veda il mondo veniva inteso come un insieme di energie e che lo scopo

dell'uomo era quello di entrare in sintonia con esse, per rendersi parte integrante del creato. Questafusione con il divino viene inquadrata dallo yoga in un preciso sistema filosofico: la giusta via percogliere l'essenza della Realtà consiste nell'intuire che ogni nostra esperienza rappresenta unaistantanea di un processo più ampio che, visto nella sua globalità, unisce dinamicamente aspetti traloro antitetici.

Sarà poi un procedimento cognitivo a ritroso, di cui ci occuperemo diffusamente nelle prossimepagine, a condurci verso i più alti livelli di consapevolezza.

Lo yoga si avvale, nel rispetto del principio di tolleranza, di vari metodi apparentemente dissimilitra loro, ma ognuno dei quali può favorire nell'adepto le giuste condizioni psicospirituali perraggiungere lo scopo.

Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che i modi per attraversare il fiume, come i sentieri cheportano in cima a una montagna, possono essere tanti e di diversa natura, ma alla fine...I concetti del Samkhya e dello Yoga vengono ripresi, e in taluni casi portati verso conclusioniradicali, dalla importantissima corrente filosofica chiamata Vedanta.

Questa può essere considerata quasi una conclusione di tutto il pensiero induista precedente; sisviluppa infatti in epoche posteriori alle scuole ora nominate e il suo principale esponente, Shankara,

vissuto nel IX secolo d.C., è uno dei più grandi pensatori che l'India abbia mai avuto.Se il Samkhya descriveva l'universo come manifestazione di due principi opposti, il Purusha e la

Prakriti, se lo Yoga vedeva un'armonia sottostante a questi due principi, la cui comprensione elevaval'umano al divino, il Vedanta di Shankara radicalizza questo processo unitario in una situazione difatto già esistente: solo Brahman è reale, il resto è falso. La creazione consiste in una involuzione, inun oblio di sé dello stesso Brahman che s'immagina separato in innumerevoli creature ed erige unillusorio universo dei sensi che finisce per imprigionarlo.

Dovrà destarsi dal suo sogno. Dovremo destarci dal nostro sogno.Tuttavia finché questo non accadrà, ognuno di noi (che è già Brahman) sarà costretto a convivere

col mondo fenomenico che per lui ha tutto l'aspetto del reale. Ci abitueremo ad abbandonarlo eritrovarlo più volte morendo e rinascendo secondo la ruota del samsara e la legge del karma; anchequesto farà parte della grande illusione che, conclude Shankara, può essere intesa come un livelloinferiore di realtà, una falsa realtà la cui esperienza si impone per accedere all'unica autenticaesistenza espressa nella verità del “tutto è Brahman”.

BuddhismoIl Buddhismo è una delle tante forme ascetiche sorte nel primo millennio a.C. ma, lo ripetiamo, adifferenza delle darsana dell'Induismo, non viene considerata ortodossa perché non riconoscel'autorità dei Veda, i testi sacri di cui già abbiamo parlato.

Come tutti sanno, questa dottrina nasce dalle parole di uno dei più grandi profeti della storiadell'umanità: Siddharta Gotama detto il Buddha cioè l'Illuminato. È proprio l'aspettodell'illuminazione che, nell'ambito del Buddhismo, ci interessa mettere in risalto.

In un certo qual modo il Buddha attua un superamento delle concezioni preesistenti, perché la suadottrina più che mirare a riflessioni sulla trascendenza propone una vera e propria filosofia di vita.

Non è la speculazione filosofica, frutto della conoscenza convenzionale, che può portarci adafferrare l'essenza del divino, perché il conoscere deriva dalla nostra mente e come tale distorce larealtà.

Le condizioni più favorevoli vengono create invece proprio da quella particolare “nonconoscenza” che scaturisce da un diverso atteggiamento nei confronti della vita.

Il “vuoto” dei Buddhisti è il risultato di un processo cui abbiamo accennato nella nostraintroduzione: prescindere dalle forme di pensiero che ci sono imposte dalle consuetudini sociali,sperimentare l'irrilevanza dei valori stereotipati e attuare una forma di distacco.

Il vuoto non vuol dire quindi mancanza di esistenza, bensì mancanza di significato, perché ilsignificato è solo un'esigenza mentale.

La dottrina di Buddha può allora esaurirsi in poche semplici considerazioni la cui attuazionerisulta però meno facile di quello che potrebbe sembrare:

1. la vita è dolore e sofferenza;2. questo stato di cose deriva dall'attaccamento e dal desiderio;3. per arrestare la sofferenza e il dolore occorre eliminare ogni forma di attaccamento e

desiderio; si raggiungerà in tal modo la liberazione dal ciclo delle nascite.

Come si può vedere l'interesse è rivolto a un perfezionamento di condotta durante la vita più che a

considerazioni metafisiche. Anche perché tali considerazioni, dice il Buddha, produrrebbero lostesso risultato di quello raggiunto da chi prova ad afferrare una nuvola!

Circa duemilacinquecento anni or sono il filosofo greco Gorgia, uno dei maggiori esponenti delmovimento sofista e forse ingiustamente relegato a figura di secondo piano nei testi scolastici,affermava che “Nulla è, ma se qualcosa fosse, sarebbe incomprensibile; se poi, per assurdo, fossecomprensibile, sarebbe inesprimibile”.

A riprova che istanze universali nacquero spontaneamente e indipendentemente in ogni angolo delmondo, il Buddhismo si muove in perfetta sintonia con questo concetto. E non si tratta di un casoisolato perché, partendo da idee molto simili, altre scuole di pensiero estremamente validecontribuirono a determinare nel corso dei secoli l'impostazione culturale di tutto l'estremo Oriente.

Il Taoismo e lo Zen, che ora esamineremo brevemente, sono tra queste le più importanti.

TaoismoAnche il Taoismo consiste in una via di liberazione da questo mondo e dalle sue convenzioni. Ladiffidenza nei confronti della conoscenza convenzionale e del ragionamento logico lo rendono deltutto simile al Buddhismo.

“Chi sa non parla, chi parla non sa”, sentenzia un famosissimo motto di questo movimentofilosofico, nato in Cina intorno al VI secolo a.C. per opera del saggio Lao Tse.

La differenza con la dottrina di Buddha va cercata soprattutto nelle varie interpretazionisviluppatesi dopo la sua morte e questo ci porta a una considerazione di una certa importanza: il nonattaccamento predicato dal Buddha, che intende non tanto un distacco dalle cose della vita quanto undistacco dai frutti che queste possono procurare, risulta molto vicino ai principi di condotta taoisti.Le regole che nel corso degli anni il profeta stabilì diedero tuttavia adito col tempo ad applicazionispesso eccessive. Lo sviluppo del Buddhismo, infatti, ha avuto manifestazioni di profondo ascetismonelle quali il disinteresse per la quotidianità era la regola di base.

L'atteggiamento del Taoismo prevede al contrario una osservazione della natura attenta anche sedistaccata, allo scopo di sviluppare una capacità di penetrazione mistica, che possa comunicarcil'inesprimibile Assoluto o Tao.

Guardandosi intorno, il saggio avverte che il mutamento è la tendenza innata degli elementi checontraddistinguono il mondo fenomenico. Il suo scopo, la sua liberazione, consiste allorasemplicemente nel seguire l'ordine naturale delle cose, riconoscendosi parte integrante dello stesso.

Questa visione del cosmo ci riporta alla mente il famoso detto “panta rei” o “tutto scorre” diEraclito, filosofo greco del IV secolo a.C., per il quale l'essenza della realtà rimane nascosta dietroun continuo divenire.

Divenire che, secondo il Taoismo, è determinato dall'incessante avvicendamento dei due aspettiopposti di ogni elemento della manifestazione. Questi vengono chiamati Yin e Yang e sono ilcorrispettivo cinese dei guna della filosofia Samkya.

Differiscono da questi ultimi però, sostanzialmente per l'approccio più diretto e meno intellettualeche il cultore del Tao tende a instaurare con essi: per lui vivere non è comprendere, ma seguire leleggi naturali, agire secondo spontaneità. Non conoscenza come nel Samkya, non rinuncia come nelBuddismo, ma adattamento.

Non occorre stabilire regole, ma semplicemente scoprire e accettare quelle che già esistono.Questo atteggiamento di osservatore partecipe e nel contempo disinteressato venne portato alla

sua massima realizzazione pratica dalla cultura giapponese che, sfruttando le caratteristichepragmatiche che la contraddistinguono, diede alla luce lo Zen.

ZenIn questo rapido panorama del pensiero orientale, la filosofia Zen merita una citazione. Laaggiungiamo di buon grado quindi alle tre dottrine da noi reputate più rappresentative, soprattuttoperché è quella che più delle altre mette in pratica un corpo teoretico, per sua stessa definizioneinadeguato, a descrivere la realtà e in un certo senso ne costituisce quindi una sintesi.

Risultato di un amalgama di cultura cinese, giapponese e Buddhismo, di cui conserva l'essenza, èuna via di liberazione che introduce dei metodi nuovi, molto più diretti verso una comprensioneintuitiva.

Con i cosiddetti “koan”, che consistono in azioni, frasi o parole improvvise, infatti, lo Zen cercadi evidenziare i paradossi del pensiero convenzionale senza la pretesa di doverli descrivere.

Il “Satori”, o illuminazione, non richiede particolari studi di testi sacri o pratiche costanti efaticose, ma semplicemente una predisposizione che può risvegliarsi nel nostro animo in qualsiasimomento. Da allora ogni singolo atto sarà accompagnato da una diversa consapevolezza, che daràcome risultato un vivere la propria vita quotidiana in modo naturale e spontaneo.

Per queste caratteristiche la disciplina dello Zen è alla portata di qualsiasi persona, anche di chiparadossalmente non ha molto tempo da dedicare a pratiche ascetiche, perché un diversoatteggiamento rivolto alla saggezza, all'amore e all'umiltà è già una pratica ascetica.

Forse più eloquente di qualsiasi descrizione è la seguente frase: “quando l'uomo comune capiscediventa un saggio, quando un saggio capisce diventa un uomo comune”.

CAPITOLO QUATTRO

UNITÀ E SEPARAZIONE:IL CAMMINO VERSO BRAHMAN

Possiamo ora portare a termine il discorso lasciato in sospeso sul significato da noi attribuitoall'espressione “filosofia orientale”.

Dicevamo che, unendo tra loro i tratti fondamentali delle dottrine più significative, è possibileottenere un sistema mistico-filosofico che non sia in contraddizione con alcuna di esse, ma che anzi lerafforzi, inquadrandole come diversi approcci finalizzati alla medesima conclusione. Seguendoquesta ottica prenderemo in prestito:

dal Brahmanesimo il concetto di Unità,dall'Induismo (in senso stretto) i concetti di Reincarnazione e di Karma,dal Buddhismo il concetto di Liberazione,dal Taoismo e dal Samkya il metodo di conoscenza,dallo Yoga il concetto di Armonia.

Ed ecco il risultato:Il mondo che noi sperimentiamo quotidianamente è conseguenza di un processo che da una originariaunità, cioè da uno stato perfettamente omogeneo, è progressivamente degenerato verso una semprecrescente differenziazione.

“In principio la tenebra era coperta da tenebra. Tutto ciò che si vedeva non era che ombraindistinta”, recita il già citato passo del Rig Veda, “poi sopravvenne il desiderio e fu il primo semedella mente”.

Da qui, aggiungiamo noi, forse per capriccio, forse per disegno o forse per caso nacque il germedella discriminazione e prolificò senza più fermarsi.

L'uomo, travolto da questo divenire, automaticamente si adatta a una continua diramazione insoluzioni sempre più complesse, allontanandosi dall'unità di base che costituisce la sua natura.

Egli non sa che il suo destino finale è quello di percorrere il cammino inverso a quello che fino aora l'Universo ha effettuato.

Il compito non è facile e per questo l'essere umano ha a disposizione non una ma molte vite: dopola morte, infatti, rinascerà di nuovo per riprendere il viaggio interrotto.

Questo ciclo di reincarnazioni non è affidato al caso, ma è regolato da una legge imparziale einesorabile, basata su un principio generalizzato di causa e effetto: la legge del Karma.

Essa prevede che ogni esistenza porti il retaggio di tutte le precedenti, per cui azioni negativeprodurranno condizioni non favorevoli allo sviluppo spirituale di chi le ha commesse, al contrario diquelle positive che creeranno una sempre maggiore consapevolezza del senso della vita.

Quando l'individuo, dopo un cammino più o meno lungo, giungerà ad afferrare l'unità, perverrà a

uno stato di liberazione dal ciclo nascita-morte (in sanscrito samsara) e sarà così per lui possibilenon reincarnarsi più. Fanno eccezione le scelte di alcune creature spiritualmente molto evolute che,anche se non più soggette ad alcun vincolo, tornano a reincarnarsi sotto le spoglie di grandi maestri,come fu per Gesù Cristo o Buddha, allo scopo di aiutare il resto dell'umanità.

Come fare a intraprendere la giusta via che conduce a questi particolari stati di coscienza?La cosa più importante è iniziare a guardare con occhi diversi ciò che ci circonda; a un'attenta

analisi ci si accorgerà, infatti, che tutti gli elementi della manifestazione sensibile recano in sécaratteristiche che ricordano il processo base unità-differenziazione.

L a conoscenza del Tao, come abbiamo già accennato, afferma che queste caratteristicheconsistono in una continua alternanza tra apparenze antitetiche, di cui solo un'ascesa dimensionaledella consapevolezza potrà palesare la natura. Gli opposti si risolveranno allora semplicemente inaspetti di un fenomeno più ampio e generale, governato da una sottostante legge di armonia.

“Come l'Uno muore nel molteplice, a sua volta il molteplice morirà nell'Uno”.Quanto ora esposto costituisce il fondamento teorico di tutto il nostro discorso e fra breve

andremo a dimostrare che la fisica moderna è ormai indirizzata verso considerazioni del tutto simili.Ma procediamo con ordine ed entriamo nel merito di alcuni dettagli.

CAPITOLO CINQUE

LA GABBIA DI MAYA

Le problematiche trascendentali fanno parte della vita di tutti noi.C'è chi le ignora perché assorbito da valori materiali, c'è chi le sfiora riservando loro solo gesti

automatici e comportamenti privi di un'autentica partecipazione, c'è infine chi sente l'esigenza dianteporre un programma spirituale agli altri aspetti dell'esistenza. Quest'ultima scelta, soprattuttonelle fasi iniziali, trova l'adepto smarrito e incapace di procedere verso una ricerca costruttiva.

Viene da chiedersi a cosa siano da attribuire questi limiti e se sia possibile porvi rimedio.Ebbene, la filosofia orientale afferma che tra noi e i più profondi contenuti della realtà si frappone

costantemente un velo, che ne copre la vera essenza. Esso viene chiamato maya o illusione.Possiamo paragonare la realtà stessa a un immenso oceano, nel quale vivono delle creature

primitive che ignorano le caratteristiche più importanti della propria natura. Esse sopravvivono inlotta con le onde e in continuo affanno per restare a galla. Non sanno di essere dotate di una formarudimentale di branchie che, se sviluppata a dovere, permetterebbe loro di vivere anche sotto lasuperficie dell'acqua.

Quando, in verità molto raramente, qualcuna di loro si immerge, lo fa solo per qualche istante,tanta è la paura dell'ignoto. Poche volte è accaduto che lo sguardo abbia spaziato più in là, versoorizzonti lontani ed è stato sufficiente perché l'artefice dell'esperienza sia tornato ad ammonire glisconsiderati compagni: “Amici, la superficie dell'oceano è solo una piccolissima parte del mondo,tutto il resto è profondità, vita, essere, credetemi non possiamo e non dobbiamo ignorarlo!”.

Esattamente come quelle creature, noi viviamo sulla superficie del nostro spirito e raramente necogliamo le profondità, perché abbiamo paura di esplorarne gli abissi.

La causa di tutto questo è ovvia: le nostre sensazioni e il nostro intelletto, che ci consentono diinterrelazionarci col resto del mondo, costituiscono anche il nostro limite.

Siamo chiusi in una gabbia dalla quale è estremamente difficile evadere e dal cui interno nonpossiamo comprendere la vera essenza di quello che esiste al di fuori.

Due sono le conseguenze, entrambe molto penalizzanti:

1. una visione parziale: come colui che, fornito di una piccola lanterna con vetri colorati, cerchi diilluminare un ampio locale immerso nell'oscurità vedrà ora questo ora quel particolare, per di piùfalsato dalla colorazione dei vetri stessi, così i nostri sensi ci mostrano piccole sezioni di realtà,diversamente tinteggiate dai nostri filtri personali quali sentimenti, stati d'animo, difetti percettivio altro.L'approccio che ne deriva viene definito “riduzionista” ed è chiaramente parziale, perché limitatoa zone ridotte che si susseguono nel tempo come la pellicola di un film.La filosofia orientale privilegia al contrario un accostamento alla vita di tipo più globale, chemetta in condizione di cogliere l'interrelazione esistente tra le singole strutture più o menoelementari dell'universo.

Una descrizione di questa esperienza, anche se per forza di cose approssimativa, è lo scopo che cisiamo proposti e, come vedremo, costituisce proprio l'anello di congiunzione tra le due disciplineche stiamo considerando.

2. l'inganno delle scale: tutti noi abbiamo un'istintiva tendenza a valutare gli oggetti secondo lanostra scala di misurazione. Ci spieghiamo meglio: prendendo come punto di riferimento l'uomo,possiamo rappresentare il mondo oggettivo diviso in tre diverse scale di grandezza:

• quella ordinaria o umana;• quella del microcosmo o dell'infinitamente piccolo;• quella del macrocosmo o dell'infinitamente grande.

Sono questi termini ormai familiari a tutti, che nel corso del Novecento hanno perfezionatocontinuamente i loro contenuti. Gli atomi da una parte e le galassie dall'altra rappresentano, almomento attuale, i due estremi di un segmento che ci vede posizionati nel mezzo.

Fino a circa cento anni fa gli scienziati hanno seguito il senso comune, hanno cioè dato perscontato che gli eventi sia del microcosmo che del macrocosmo, i cui elementi e fenomeni eranoancora peraltro in gran parte sconosciuti, fossero governati dalle leggi e dai criteri del nostro mondoordinario.

Tuttavia, il primo ventennio del Novecento ha inferto un duro colpo a questa convinzione.Procedendo nell'analisi delle particelle elementari e nell'esplorazione della infinità del cosmo risultòinfatti evidente che la costruzione di mezzi di osservazione sempre più perfezionati non erasufficiente a penetrare nei segreti di questi due “universi confinanti” col nostro.

Ci si rese conto che occorreva mutare il modo di affrontare le problematiche, perché una diversascala comportava una logica non logica o, detto in altre parole, una disposizione mentale aperta aprotocolli cognitivi non convenzionali.

L'argomento verrà ampiamente approfondito quando entreremo in merito alla struttura dellamateria.

Abbiamo per ora stabilito che visione parziale e inganno delle scale sono i limiti principali cui ciobbliga la gabbia di maya. Questi limiti producono come effetto una vera e propriaantropomorfizzazione della realtà, presentandoci una progressione infinita di sdoppiamenti che, colloro dinamico divenire, impediscono la conoscenza dell'armonia originaria dell'essere.

CAPITOLO SEI

GLI ELEMENTI DELLA DIVERSITÀ

Come si sarà notato, nelle pagine precedenti abbiamo evidenziato con caratteri in neretto concetti oaffermazioni ritenuti particolarmente importanti. L'abbiamo trovato utile (e continueremo a operare intal modo) per dare un'immagine schematica e immediata di quanto è nostra intenzione significare,lontani da ogni desiderio di sentenziare e ben consapevoli di quanto tutto possa essere suscettibile dimaggior rigore ed efficacia.

Fatta questa dovuta precisazione, vogliamo ora proporre un nostro schema esemplificativo cheillustri come lo sviluppo della conoscenza possa entrare in sintonia con la successione unità-differenziazione-unità della filosofia orientale.

Dividiamo gli elementi della manifestazione sensibile in quattro categorie:

gli oggetti, appartenenti al mondo fisico;i fenomeni, causati da energie che dinamizzano il mondo fisico;le qualità, corrispondenti ai giudizi suggeriti dalle nostre emozioni o dal nostro intelletto;i concetti, che racchiudono in sé i significati più profondi dei primi tre elementi.

L'essere umano si rapporta a queste quattro categorie secondo un protocollo psichico innato, fruttodel condizionamento della gabbia di maya.

Esso consiste sostanzialmente nelle tre fasi di separazione – classificazione – identificazione ilcui risultato è la conoscenza convenzionale.

Vediamo brevemente di cosa si tratta.Una volta avvertito il mondo come insieme di elementi eterogenei e indipendenti, classifichiamo

questi dapprima secondo criteri di raggruppamento suggeriti dalla logica e poi, senza accorgercene,compiamo una serie di identificazioni.

La conoscenza convenzionale poggia in effetti su una sequenza di associazioni mediante le qualinoi rivestiamo gli elementi della manifestazione sensibile di valori simbolici e astratti. Ciascunoggetto materiale, per esempio, è la risultante di una moltitudine di queste associazioni che, anzichérivelare l'essenza dell'oggetto stesso, lo qualificano secondo i codici di un livello d'esistenzainferiore.

Il primo passo di questo processo consiste nell'abbinare all'oggetto un suono: in questo modo lodenominiamo. Successivamente provvederemo a contraddistinguerlo, fornendolo di un numero più omeno ampio di qualità.

Infine, lo identificheremo con la sovrastruttura da noi appena creata.“Questa cosa si chiama fiore, questo fiore si chiama rosa, è profumato e gradevole...”.Un procedimento analogo viene messo in atto anche nei confronti di noi stessi.Ci immedesimiamo, infatti, dapprima col nostro corpo fisico poi, mediante insiemi di fenomeni,

qualità e concetti quali per esempio la nostra nascita, il nostro carattere, la nostra appartenenza a unafede religiosa o a un'ideologia, completiamo la costruzione della nostra identità.

Tuttavia, questo processo di identificazione non può essere considerato assoluto, perché si trattasolo di un insieme di astrazioni che, sommandosi tra loro, danno vita all'illusione della nostrapersonalità.

Credo che, riflettendoci sopra, ognuno di noi si accorgerà che il giudizio e la considerazione cheegli ha di se stesso o degli altri e che gli altri hanno di lui o di se stessi sono estremamente relativi.Una comprensione più elevata dovrebbe donarci, inoltre, la consapevolezza che lo stesso relativismovale anche per tutti gli oggetti del piano fisico, nel quale la sensazione di separazione è nettamentesuperiore.

Una classica favola zen narra di un maestro che, dovendo stabilire quale tra i suoi allievi fossedegno di succedergli, chiese loro di definire una brocca che aveva posto sul pavimento.

Quello tra gli allievi che era considerato il più colto parlò per primo e la descrisse come un vasodi forma rotondeggiante, fornito di un manico e di un becco.

Un altro la definì un recipiente che serve a contenere acqua o altri tipi di liquido.Un altro ancora si limitò ad affermare che non era un tavolo di legno.Quando nessuno aveva più niente da dire, uno degli inservienti del monastero, presente alla

lezione, si alzò, prese la brocca in mano e la mostrò a tutti senza dire nulla.Il maestro, senza esitazione, lo dichiarò suo successore.L'aneddoto insegna che, come nessuna descrizione della brocca può sostituirsi alla brocca stessa,

così la descrizione di qualsiasi oggetto fisico, che si basa sull'iter separazioneclassificazione-identificazione non è in grado di coglierne l'essenza che per natura è incompatibile con parole o idee.

Qual è dunque la via d'uscita?Per emergere dallo stato di incoscienza in cui ci troviamo, occorre attuare un cammino che procedain senso inverso.

Si realizzerà allora un sentiero spirituale consistente in tre momenti diametralmente opposti aiprecedenti: disidentificazione-declassificazione-unione.

Come fossimo delle cipolle, dovremo a poco a poco eliminare i vari strati delle sovrastrutture edei condizionamenti che la realtà ordinaria, nel corso di innumerevoli secoli, ha provveduto acostruirci attorno. Allora paradossalmente svuotandoci sempre più, sempre più diverremo pieni ditacita consapevolezza.

CAPITOLO SETTE

YIN E YANG

Dopo aver preso coscienza dei nostri limiti e dei processi mentali che ne conseguono, perintraprendere la giusta via verso l'unione sarà necessario un cambio di prospettiva nell'osservazionedei vari aspetti del mondo, dal più banale al più insolito.

È giunto il momento di approfondire alcuni concetti cui abbiamo accennato a proposito dellafilosofia Samkya e del Taoismo, concetti che costituiranno la premessa fondamentale alla successivaesposizione scientifica.

Abbiamo schematicamente suddiviso gli elementi della nostra vita cognitiva nelle quattrotipologie da noi denominate oggetti, fenomeni, qualità e concetti.

Ebbene, ognuno di essi viene inteso da queste scuole come manifestazione di due opposti principi:lo yin e lo yang o, che è lo stesso, il “tamas” e il “rajas”. Il primo viene definito principio femminile,passivo e dispersivo, il secondo è invece il principio maschile ed è attivo e accentratore.

In questa continua mescolanza tra loro, yin e yang sono in perenne, apparente conflitto e ilprevalere ora dell'uno ora dell'altro non è mai definitivo.

Ogni cosa, dice la filosofia orientale, per essere, ha bisogno del suo opposto; non ha senso parlaredel giorno senza sapere cosa sia la notte, né di male se non abbiamo un'idea del bene, come non hasenso definire un alto senza un basso o una destra senza una sinistra.

Un'osservazione più approfondita ci svela però che queste classificazioni sono del tutto arbitrarie.Procediamo con ordine.Per quanto riguarda le stime spaziali (alto, basso, destra, sinistra) è chiaro che esse dipendono dallaposizione dell'osservatore. A un cambio di questa, un alto può diventare un basso, una destra puòtrasformarsi in sinistra e viceversa. Non sono altro che aggettivi che qualificano (sono quindi qualità)l'ubicazione di un oggetto nello spazio.

Se prendiamo in esame il giorno e la notte entriamo nel campo dei fenomeni e il discorso diventameno evidente.

All'inizio del terzo millennio tutti sanno che anche queste due situazioni ambientali così diversesono solo due aspetti opposti di un processo più generale: il movimento di rotazione della Terra suse stessa.

Potendo godere di un punto di osservazione situato nello spazio, tutto sarebbe evidente, ma perquanto tempo l'uomo avrà ipotizzato soluzioni che niente avevano a che vedere con la verità? Perquante migliaia di anni giorno e notte saranno sembrati due eventi soprannaturali circondati da unalone di magia? Da sempre, dove non arriva la spiegazione logica interviene il dogma religioso e nonpiù di quattrocento anni fa, prima degli studi di Galileo, la ricerca razionale aveva un campo d'azionemolto limitato.

Oggi dunque possiamo dire che giorno e notte sono come le facce di una stessa medaglia; il giornodinamico e solare è tipicamente yang, la notte statica e oscura raffigura l'aspetto yin.

Quando uno dei due raggiunge il suo punto di massima espressione, automaticamente la sua

intensità inizia a decrescere lasciando spazio all'incedere dell'altro. Ed è significativo che proprio imomenti di passaggio tra i due stati, corrispondenti all'alba e al tramonto, siano i più gradevoli epoetici: in essi qualità opposte si equilibrano armonicamente, dando la sensazione della vanità edella illusorietà delle nostre classificazioni mentali.

Osserviamo in proposito la figura 1 riportata nella pagina successiva.Il suo titolo è “Salita e discesa” ed è un grafico del noto artista olandese M.C. Escher, famoso per

le sue paradossali rappresentazioni del reale.In esso alcuni monaci salgono e altri scendono i gradini di una scala che sembra non avere fine:

dopo ogni giro ci si ritrova esattamente al punto di partenza.Anche se esiste un trucco grafico che permette la realizzazione di questo strano disegno, esso

sembra lanciarci un monito: “Attenzione, ecco come vanno a finire le valutazioni e le catalogazionidella nostra mente; possono essere facilmente invalidate come perfino una rappresentazione graficadimostra, rendendo verosimili le cose più incredibili”.

Figura 1 Salita e discesa

CAPITOLO OTTO

IL BENE E IL MALE

Definire cosa siano il bene e il male è impresa antica quanto l'uomo.In realtà la morale, al centro degli insegnamenti di gran parte delle istituzioni religiose, è solo uno

dei frutti della cultura del momento, condizionata, come ogni cosa, in buona misura dagli interessi. Ilmutare di questi ultimi nel corso delle diverse epoche storiche provoca inevitabilmente continuicambiamenti anche nelle norme etiche.

Asserire dunque, che l'osservanza di certi principi comportamentali sia un bene è stato spessodettato dalla convenienza di una classe dominante. Prova ne sia che le stesse regole sono state poiregolarmente (mi si perdoni la tautologia) sovvertite al successivo cambio di guardia e ciò che erastato considerato “bene” con la massima naturalezza è stato trasformato in “male” o viceversa.

Nel Medioevo era considerato peccato mettere in dubbio la parola della Chiesa e questo venivaspesso punito con la morte; l'Islam additava a peccatori gli infedeli e ne invocava lo sterminio.

Oggi questi fenomeni sono superati ed essendo cresciuta la coscienza di massa, anche le autoritàistituzionali hanno dovuto adeguarsi ai tempi, non rinunciando comunque a usare la violenza, anche sein modo meno evidente e più ambiguo.

Quello che vogliamo dire è che ogni atteggiamento umano, come per esempio i comportamentisessuali, la libertà di espressione, la concezione della famiglia, ha conosciuto nel corso della storiafasi contraddittorie e spesso antitetiche e la spinta maggiore che ha determinato queste fasi è stataimpressa dall'egoismo.

In aggiunta a questi aspetti della morale che potremmo definire “sociali” esiste però qualcos'altro.Occorre infatti considerare che l'idea del bene e del male, da sempre insita nelle profonditàdell'animo umano, è soggetta anche a una valutazione individuale.

In effetti, fin da bambini istintivamente classifichiamo con buona o cattiva qualsiasi cosa capitisotto la nostra esperienza: persone, oggetti o circostanze. Concentriamo in questo breve suono deglistereotipi impressi in noi dalla nascita e rinforzati dalla successiva educazione.

Potremmo quindi asserire che vi sono due tipi di morale, entrambi relativi, tali da determinareinterpretazioni comportamentali del tutto diverse. Essi sono:

1. la morale collettiva o sociale, che muta da un gruppo etnico all'altro e, nell'ambito di questo,da un'epoca all'altra;

2. l a morale individuale, che varia in uno stesso individuo sia a seconda delle condizioni divita che si trova a sperimentare sia durante l'arco dell'esistenza stessa.

Come la prima, anche quest'ultima quindi dipende da molteplici fattori.È facile fare i moralisti, quando si vive nel benessere o almeno si è abituati ad avere il necessario

per un'esistenza dignitosa. È altrettanto facile sovvertire le regole stabilite quando si è in difficoltà epensare di agire bene: è l'ordine costituito, che non ci tutela, a essere in difetto.

Come è tutto relativo!Ci siamo mai domandati quante volte nel corso della nostra vita sia cambiata per noi la

valutazione delle cose?Ogni male può sempre divenire un bene e ogni bene ha sicuramente degli aspetti negativi.Ricordo che non molto tempo fa il sistema politico additava certi movimenti estremisti come

fossero il peggiore dei mali. Essi a volte usavano violenza, è vero, e questo aspetto (sempre dacondannare) unitamente al continuo condizionamento psicologico dei mass-media, faceva pendere ifavori della maggioranza verso la parte lesa, cioè lo Stato.

In realtà, si può essere violenti in molti modi e tra questi non ce n'è uno peggiore in assoluto.Sembra assurdo, ma anche l'offesa fisica trova, da parte di chi la attua, una giustificazione; certo nonsiamo qui per associarci a questo modo di vedere e di agire, ma è altrettanto sicuro che l'ipocrisia dichi sotto la maschera di benefattore nasconde il più perfido egoismo è solo apparentemente un maleminore.

Spesso chi usa il primo tipo di violenza paga un caro prezzo, quasi sempre chi mette in atto laseconda resta al sicuro e in più decide le sorti degli altri.

Il significato di tutto questo, ci sembra di poter concludere, è che non esistono un bene e un maleassoluti, perché essi sono solo prodotti della nostra mente e come tali mutevoli.

Acquistano però un contenuto diverso, se inquadrati come aspetti di un fine più generale.Se si accetta infatti la tesi (come abbiamo visto prettamente orientale) che lo scopo dell'uomo sia

quello di evolvere spiritualmente e che questa evoluzione vada intesa in senso globale, che dovràcioè prima o poi essere raggiunta da parte di tutti gli individui, la morale comunemente intesa tende adissolversi.

L'individualità consiste in questo caso nella specie e non nei singoli rappresentanti di essa e inquesto contesto si inserisce il concetto di Karma.

Come sappiamo, esso prevede un lungo ciclo di reincarnazioni volte al ricongiungimento conl'unità originaria perduta.

Questo processo viene regolato da una particolare legge di compensazione, il Karma appunto, percui il male e il bene compiuti durante un'esistenza si riflettono inevitabilmente sulle successive,determinando una intricata catena di cause ed effetti non sempre inquadrabili nella logicaconvenzionale.

Ecco allora che sinteticamente possiamo intendere come bene l'insieme di quelle azioni chefacilitano l'evoluzione karmica, prima di tutto della specie e poi, compatibilmente con essa, quella diogni suo elemento; il male verrà di conseguenza inteso come tutto ciò che ostacola o rallenta losvolgimento dell'evoluzione stessa.

È facile intuire che in questo senso, cioè da un'ottica così generalizzata, anche azioni consideratenegative secondo il nostro modo ordinario di vedere le cose, possono a volte rientrare in un contestopositivo.

Se per esempio un individuo con limitato livello di coscienza, per migliorare e intraprendere ilsuo cammino evolutivo ha bisogno di un evento “straordinario” che cambi la sua vita, anche un attodelittuoso può, in questo caso, trovare un'interpretazione positiva; a sua volta, infatti, anche la vittimapotrebbe trarne beneficio, magari pagando un debito karmico contratto durante una delle sue esistenzepassate.

Concludiamo allora dicendo che bene e male sono solo idee, che appaiono in antitesi quando siinquadra la realtà da una prospettiva ridotta; sono invece aspetti diversi di un processo diricongiungimento col divino, quando si comincia a percepire che ogni dubbio si dissolve nel concetto

di unione.Essere saggi, quindi, non vuol dire essere virtuosi, ma piuttosto prendere coscienza del senso di

relatività che permea la vita, perché come recita la ormai familiare filosofia zen:

“Quando tutti vedono il bello come belloquesto è brutto;quando tutti vedono il bene come benequesto è male”.

CAPITOLO NOVE

LA SINTESI DELLO YOGA:L'ELEMENTO SATTVICO

Gli esempi ora proposti di concetti antitetici, tratti da circostanze della nostra vita quotidiana, hannomostrato un volto del tutto inedito: a un'analisi approfondita essi si rivelano diversi momenti di unmedesimo fenomeno e trovano la loro ragion d'essere nel divenire del mondo sensibile.

Riusciamo così a intravedere il corretto atteggiamento mentale da tenere nei confronti delladinamica dell'esistenza, esso presuppone lo sviluppo di due qualità molto importanti:

1. la capacità di un’ascesa dimensionale2. l'acquisizione di una prospettiva universale.

In tutte le dicotomie che abbiamo analizzato, dalle diverse posizioni nello spazio all'opposizionedella notte con il giorno, all'alternativa bene – male, emerge chiaramente che le dualità, se vistedall'esterno, con una sorta di ascesa dimensionale, sono in effetti delle trinità. Possiamoparagonarle a dei triangoli isosceli nei quali il vertice rappresenta l'elemento unificante, la sintesidei due lati divergenti verso il basso (fig.2).

Figura 2

È questa la famosa via mediana del Buddhismo, situata in realtà non nel mezzo ma al di sopra degliestremi, nel cosiddetto “terzo superiore”, operante su un piano di coscienza dal quale gli oppostivengono visti come sue funzioni.

Le filosofie orientali, e in particolare lo Yoga, sogliono definirlo elemento sattvico, cioèelemento che armonizza, sintetizzandole, le opposte qualità della natura: tamas o statica o yin e rajaso dinamica o yang.

Questo cambio di livello, che permette di percepire l'unità nella diversità, questo allargarsi dellavisuale, scioglie un problema apparentemente insolubile non risolvendolo, ma semplicementesuperandolo con uno spostamento del punto di osservazione. Spostamento che è alla base della veraconoscenza e che produrrà, alla fine del cammino che ci siamo riproposti, l'eliminazione del punto divista egocentrico, condizione indispensabile per attuare nei confronti della vita un atteggiamento

equilibrato e impersonale, lontano sia da un eccessivo attaccamento (rajas) sia da un eccessivodistacco (tamas).

Solo così, acquisendo quella che abbiamo definito una prospettiva universale, le problematichepiù profonde dell'esistenza appariranno senza più veli.

CAPITOLO DIECI

IL PERCORSO DELL'ALBERO COSMICO

L'eterogeneità del mondo in cui viviamo è dunque illusoria; come abbiamo visto, in profonditàemergono infatti significati convergenti, che rendono la struttura dell'universo molto più omogenea.

Il punto chiave dell'accostamento che intendiamo proporre tra il misticismo orientale e la fisicamoderna è proprio questo: vedremo tra breve come anche le posizioni di quest'ultima mostrino unatendenza decisamente unitaria.

Prima di entrare nel merito di questo approfondimento vogliamo però tentare una rappresentazionevisiva di quella che sarà la struttura del cammino della conoscenza, che le due discipline hanno incomune.

Ci sembra abbastanza appropriato, alla luce di quanto afferma la filosofia orientale, paragonare ildivenire dell'universo a un albero, con innumerevoli rami che continuamente si biforcano e al cuiinterno una corrente biologica eserciti un'irresistibile spinta dinamica trascinando ogni cosa versol'alto.

Più l'albero cresce più aumentano le sue diramazioni, più la periferia si allontana dal tronco chene rappresenta l'origine.

Allo stesso modo, più il tempo passa più l'universo si differenzia, separandosi dal tuttoonnicomprensivo iniziale.

Immaginiamo ora degli esseri microscopici che conducano la loro esistenza all'interno dell'albero.Vivendo dentro una struttura, è molto difficile essere consapevoli della sua conformazione, prova

ne sia che l'uomo, dopo millenni di storia, non è ancora giunto a una conclusione circa la suacollocazione certa nell'ambito dell'immenso spazio che lo circonda.

I nostri microabitanti avranno quindi un'idea parziale e distorta del loro mondo: non solo nonafferreranno la sua forma esterna, ma rimarranno del tutto ignari della sua origine e della suadinamica.

Spingiamoci ancora più in là con la fantasia e supponiamo che il nostro albero abbia una singolarecaratteristica: ogni ramo, tronco compreso, è internamente ed esternamente colorato secondo uncriterio di composizione e decomposizione.

Più precisamente, procedendo verso l'alto, a ogni biforcazione il colore del ramo si scinde neisuoi due o più componenti; così, per esempio, un ramo verde si divide in un ramo giallo e uno blu;regredendo invece verso il basso, il che comporta enorme fatica dato il verso contrario alla corrente,si attua un progressivo processo inverso di sintesi: i colori si mescolano a ogni biforcazione,generando tonalità risultanti dalla loro fusione fino ad arrivare all'interno del tronco, dove ilconnubio finale viene rappresentato dal bianco, completamente mascherato in tutti gli altri rami.

L'impossibilità di osservarne la struttura dall'esterno, unita alla tendenza biologica diretta versol'alto, non favorisce l'accesso al tronco dove tutto converge, né tanto meno alle radici dove si svela ilsignificato ultimo di quel piccolo universo.

Lì è l'origine della vita, il punto d'accesso alla sua trascendenza, la madre Terra.In quel punto vi è il Divino, la genesi della struttura, il momento in cui tutto era ancora potenza da

trasformare in atto.

Ci sembra di poter affermare che il mondo in cui viviamo ha molte cose in comune con l'esempioproposto. Prendendo l'albero come struttura di base, tentiamo allora di percorrere le tappe chedall'istante iniziale condussero alla situazione attuale.

Il tronco è la divinità che intende manifestarsi e che tramite le radici è ancorata all'immanifesto,l'origine indifferenziata, energia omogenea in equilibrio. Questo desiderio di trasformazione producela prima biforcazione: la coscienza di sé si contrappone alla non-coscienza di sé. Nascono l'io e ilnonio, il soggetto e l'oggetto.

Il soggetto è l'aspetto di Dio che sperimenta, che è conscio dell'esistenza dell'essere e del non-essere ma non più di sé, l'oggetto è invece la componente inerte, passiva, che non sperimenta masemplicemente è.

Ricordate i concetti di Purusha e Prakriti della filosofia Samkhya? Siamo molto vicini a quelladescrizione.

Il tronco originario, dunque, si è appena duplicato ed ecco che i due rami da esso prodotti sibiforcano di nuovo (fig.3)

Figura 3

Da un lato il ramo soggetto, il centro di coscienza, si scompone in più parti che sommariamenteschematizziamo in componente fisica e componente psichica.

Quest'ultima in particolare è la risultante di svariate energie, che concorrono a formare i nostrispazi interiori. I cosiddetti corpi, chiamati anche involucri o foderi, ai quali abbiamo già accennato,sono termini con cui vengono rappresentati questi elementi, che trascendono l'aspetto puramentemateriale e che risultano per così dire miscelati a quest'ultimo per costituire la complessa personalità

umana.La componente fisica si scinderà a sua volta nelle varie strutture descritte dalla scienza medica.Dall'altro lato poi il ramo oggetto, la parte passiva dell'Assoluto che viene sperimentata dal

centro di coscienza, si biforca nelle sue caratteristiche di base: lo spazio e il tempo.La nostra presa di contatto con l'universo avviene attraverso questi due canali.Il primo è il contenitore di tutte le forme della manifestazione, il recipiente entro cui giacciono le

innumerevoli diversità; senza di esso c'è il nulla.Il secondo è il responsabile del mutamento di ciò che esiste nello spazio; senza lo scorrere del

tempo, cosa potrebbe cambiare?La sua dinamica presuppone un itinerario diviso in due parti: il già percorso e quello ancora da

percorrere; per questo noi scindiamo il tempo in passato e futuro.Lo spazio “non rimane a guardare” e provvede immediatamente alla sua successiva biforcazione:

da esso nascono materia ed energia.La materia comprende tutto ciò che i nostri sensi giudicano concreto e tangibile. In pratica tutti gli

oggetti che sono composti da atomi si trovano su questo ramo dell'albero. La materia è l'aspettostatico dello spazio e si divide nei tre stati di aggregazione solido, liquido e gassoso.

L'energia, al contrario, sembra sottrarsi al vaglio delle nostre immediate percezioni.Nel corso degli ultimi secoli il progresso scientifico ha catalogato, però, molto di ciò che veniva

attribuito a interventi soprannaturali, secondo diverse forme di energia del tutto naturali. Al momentoattuale sembra che l'universo conosciuto sia animato da quattro configurazioni energetiche operanti adifferenti livelli. Esse sono la gravitazionale, l'elettromagnetica, la forte e la debole.

La gravitazionale è la più nota, perché ne abbiamo un'esperienza diretta quotidiana; la gravità èinfatti la forza che ci attira verso la Terra tenendoci ancorati al suolo. Su scala cosmica essadetermina poi i movimenti dei vari corpi celesti.

L'elettromagnetica è il tipo di energia responsabile della struttura della materia. Anche in questocaso noi sperimentiamo continuamente gli effetti dei campi elettromagnetici, dai comunielettrodomestici all'ingegneria spaziale.

La terza configurazione energetica, chiamata “forte” è molto meno nota, anche perché per venirnea conoscenza occorre entrare in merito alla conformazione dell'atomo. Diciamo solo che le suecomponenti elementari, chiamate “quark”, sono legate da questo tipo di forza che ha un raggiod'azione molto limitato, ma è estremamente potente.

L'ultima forma di energia conosciuta, la cosiddetta “debole” si esercita tra particelle ed èresponsabile delle trasformazioni di alcune di esse di cui la radioattività è una conseguenza.

Termina qui la nostra descrizione dell'albero cosmico. Esso potrebbe estendere all'infinito le suediramazioni, ma per noi ora è sufficiente il punto in cui siamo arrivati. Da questo punto, infatti, iniziail cammino della fisica moderna che, senza nulla sapere in merito a questioni di yin e yang, operò conle sue teorie rivoluzionarie uno sviluppo unitario, collegando tra loro concetti apparentementeindipendenti.

Seconda parte

...AD EINSTEIN

CAPITOLO UNDICI

I PERIODI DELLA FISICA

La fisica è quella disciplina che nel panorama scientifico si occupa di scoprire come e perché accadeciò che quotidianamente sperimentiamo con i nostri sensi.

Questo tipo di ricerca implica un procedimento rigorosamente sperimentale; solo così, infatti, si èin grado di garantire attendibilità nei riguardi delle conclusioni raggiunte. Una legge fisica, una voltaformulata, non ammette eccezioni: partendo da una situazione iniziale nota, il risultato finale ècompletamente prevedibile, al punto tale che, se anche una sola volta questo meccanismo venissemeno, la legge verrebbe invalidata.

Queste considerazioni non sono così banali come potrebbe sembrare, tant'è che nascono da uncambio di prospettiva avvenuto solo poco più di quattrocento anni or sono per opera di alcune grandipersonalità scientifiche.

Prima di tale data l'interpretazione del mondo era completamente diversa, perché priva di unmetodo preciso d'indagine.

Ci ripetiamo su un'importante riflessione: l'analisi storica ci insegna che lo sviluppo dellereligioni ha seguito un andamento inverso, o per meglio dire complementare, rispetto a quello dellaconoscenza scientifica.

Anticamente un semplice temporale veniva interpretato come messaggio divino, oggi si sa checosì non è e il ricorso al soprannaturale si è spostato verso altri fenomeni ancora sconosciuti.

“La religione inventa, la scienza scopre”, afferma un famoso maestro contemporaneo e ciò cheancora non è stato scoperto può essere passibile di qualsiasi interpretazione. La trasmissione delpensiero, le stimmate di Cristo, l'esistenza di un aldilà, sono questi fenomeni che la ricerca un giornopotrà spiegare e annoverare nel suo grandioso catalogo?

Se ciò accadrà, probabilmente la religiosità prenderà il posto della religione e l'uomo compirànotevoli passi in avanti verso la consapevolezza.

Ci avvarremo ora di uno schema molto semplificato per chiarire quale sia stata nel corso deisecoli la tendenza del pensiero scientifico.

Periodo mistico-filosofico(dalle origini fino al XV secolo circa)

Questo lungo periodo, che va dalle prime speculazioni filosofiche sulla natura degne di nota fino alRinascimento, alla fine del XV secolo, viene caratterizzato da due fattori fondamentali: il pensierogreco e la religione cristiana.

L'osservazione della natura, chiaramente limitata dalla mancanza di cognizioni e di mezzi tecniciadeguati, viene subordinata ad alcuni sistemi ideologici di base.

L'intero periodo vede prevalere una visione trascendente del cosmo, prodotto quasi esclusivo

della filosofia platonica in cui si inseriscono la fisica di Aristotele e l'astronomia di Tolomeo.Questo connubio generò uno schema esistenziale innovativo rispetto al politeismo pagano

preesistente, che ebbe però il torto, se così possiamo definirlo, di cristallizzare per quasi duemilaanni, complice il potere temporale della Chiesa, l'evoluzione della conoscenza.

La vita sulla Terra, concepita come luogo di passaggio in attesa di un'altra esistenza ultraterrenache inizia dopo la morte e nella quale le anime dei defunti trovano la giusta collocazione in base allaloro condotta in vita, costituisce tuttora il punto centrale della liturgia cattolica.

La differenza fondamentale, per quanto riguarda il passato, resiede nell'ingerenza che la Chiesapoteva esercitare sulle istituzioni politiche e di conseguenza sulla società, imponendo in questo modoi suoi dogmi anche quando l'evidenza li scopriva vacillanti sotto i colpi di un progresso che siimponeva.

L'astronomia di Tolomeo e la fisica di Aristotele avevano collocato la Terra al centrodell'universo, la Chiesa, ritenendo che l'uomo fosse la creatura prediletta da Dio e che il luogo dellesue gesta dovesse rivestire un ruolo di importanza fondamentale in seno al creato, fece di questaopinione un dogma e, quando iniziò a palesarsi la sua falsità, pensò bene di ignorarla per non doverrinnegare quanto per secoli aveva predicato.

Il primo periodo della conoscenza scientifica vede dunque, in conclusione, la ricerca a serviziodella fede, la fisica subordinata alla religione.

È caratterizzato dal predominio dell'aspetto astrale, emotivo della personalità umana e come talespesso non in grado di produrre una descrizione oggettiva dei fenomeni esaminati.

Periodo classico (dal XV al XIX secolo)

Il Rinascimento, movimento culturale nato verso la fine del Quattrocento, ha come motivo centrale lariscoperta dei valori umani in antitesi alla trascendenza delle concezioni medievali.

In questo risveglio di idee, dopo il lungo intorpidimento intellettuale che aveva preso le mossedalla caduta dell'Impero romano, la scienza inizia il suo vero cammino.

Tendendo a ravvisare nel mondo un ordine regolato da codici matematici, sostituisce al dogma ilmetodo logico finalizzato alla ricerca delle leggi che governano i fenomeni fisici. Questa ricerca atutto campo, ispirata da figure quali Copernico, Keplero e soprattutto Galileo, costruisce nel brevearco di quasi quattrocento anni tutta l'impalcatura della fisica classica, distribuendola nei suoi varisettori: nascono così la meccanica, l'ottica, l'acustica, l'elettricità.

Tutto questo opera inevitabilmente uno stravolgimento nel rapporto uomo-universo. Dopo un lungotravaglio ideologico la Terra viene relegata al ruolo che le compete: essa gira intorno al Sole cometutti i pianeti vicini; l'uomo non è più un punto di riferimento fondamentale, ma semplicemente unadelle tante manifestazioni della natura.

La nuova meccanica di Galileo e Newton, che si contrappone a quella aristotelica, testimoniaquesto stato di cose; più in là avremo modo di analizzarne alcuni importanti concetti.

Tale è l'entusiasmo della rinascita culturale, che si arriva perfino a sostenere che tutto èautomatico e potenzialmente determinato. Supponendo cioè di conoscere le condizioni iniziali di unsistema fisico e le leggi che lo governano, è teoricamente possibile predire con esattezza la suaevoluzione futura. Solo la mancanza di mezzi e cognizioni adeguate ancora ci precluderebbero,secondo questa opinione, che venne chiamata deterministica, una visione completa e inconfutabiledell'universo.

Ecco dunque che questo secondo periodo si pone in totale antitesi al precedente. La religione escedallo scenario scientifico, all'interno del quale ormai è passibile di credito solo ciò che la ragionerivela, un passo dopo l'altro, col suo metodo sperimentale. Ora, in contrapposizione alla passataprevalenza dell'aspetto astrale, domina incontrastato quello mentale, che trova riscontro anche nelleistanze di grandi filosofi dell'epoca classica (chi non ricorda il “Cogito ergo sum” di Cartesio?).

Se il pensiero è garanzia di esistenza, la sperimentazione, basata sui sensi e sull'intelletto èconsiderata, in questo periodo, l'unica via per conoscere il mondo.

Periodo unitario o moderno (dal XX secolo)

Se nel passaggio dal primo al secondo periodo si era abbandonata un'immagine teista della Realtàspostando l'attenzione dal divino all'umano, con la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo XX lascienza, allontanandosi da una consolidata concezione materialista, si muove verso una visione piùastratta della realtà stessa.

Anche nella storia della Fisica sembra emergere infatti un elemento sattvico, giustaarmonizzazione di due estremi, che corrisponde all'epoca attuale e che rappresenta, in un certo senso,la riconciliazione di aspetti peculiari delle due precedenti epoche del pensiero.

Ci spieghiamo. Abbiamo già detto dei difetti di fondo del periodo mistico-filosofico: ilsubordinamento alla fede è sicuramente un fattore scientificamente negativo. La reazione successivainstaurò un effetto opposto, dando massima fiducia alla razionalità e al suo prodotto più naturale, lalogica.

Tuttavia, come abbiamo visto, la filosofia orientale afferma che noi siamo la risultante di varicorpi, manifestazioni sul piano soggettivo dei diversi piani di esistenza della realtà. Per poter quindievolvere spiritualmente, occorre entrare in sintonia con questi ultimi prendendo coscienza della lorostruttura.

Essendo il razionale solo uno di essi, ne consegue che una conoscenza globale deve abbracciareanche tutti i rimanenti e non può quindi esaurirsi in un'indagine del mondo puramente logica.

Sotto certi aspetti tali considerazioni hanno trovato posto anche nel campo della fisica,determinando il passaggio dal periodo classico a quello moderno.

Chiaramente ciò non vuol dire che vi sia stato un regresso rispetto alla precedente acquisizione diuna scienza svincolata da forme di fede. Al contrario è l'apertura, che si va facendo sempre piùampia, verso schemi non rigorosamente logici (e quindi verso piani d'esistenza superiori) a conferirealla visione scientifica moderna un'elasticità e una generalizzazione mai, in passato, nemmenoimmaginate.

Al proposito ci sembra quanto mai significativo riportare alcune parole di Albert Einstein, padredella fisica contemporanea e sicuramente uno dei più grandi geni della storia universale: “Una naturanobile desidera con tutte le sue forze sfuggire al suo ambiente affollato e rumoroso per rifugiarsi nelsilenzio delle vette più alte, dove l'occhio spazia liberamente nell'aria ancora pura e segue consguardo amorevole i placidi contorni che paiono costruiti per l'eternità. [...]

Il fine ultimo è arrivare a quelle leggi universali ed elementari a partire dalle quali si puòcostruire il cosmo per pura deduzione. Non c'è un cammino logico che conduca a queste leggi; le puòraggiungere soltanto l'intuizione, sorretta da un'intelligenza del mondo in profonda risonanza conl'esperienza...”.

Abbiamo definito questo periodo unitario ed è evidente il riferimento al nostro albero cosmico:vedremo come, grazie alle teorie scientifiche contemporanee, le biforcazioni principali troverannouna sintesi non più solo filosofica, ma supportata dall'inappellabile sentenza del rigore matematico.

Gli inizi del Novecento hanno visto la nascita di due grandi teorie rivoluzionarie:

1. La Teoria della Relatività , opera del grande genio di Albert Einstein, di cui proprio oraabbiamo enunciato alcune idee; essa riguarda fenomeni che, partendo dalla scala cosmica, cioè dalmacrocosmo, giungono ai livelli della nostra esperienza quotidiana.

2. La Teoria quantistica che fu frutto del lavoro dei più illustri scienziati dell'epoca; essacomprende le più moderne conclusioni e ipotesi sul mondo atomico.

Analizzando entrambe le teorie, saremo in grado di entrare in merito alle due scale di esistenza a noivicine. Il prezzo da pagare sarà la caduta di modelli di pensiero peculiari della nostra scalaordinaria.

Vedremo come dalle loro ceneri si perverrà alla nascita di nuovi concetti molto più generali.In particolare dalla Teoria della relatività perverremo all'unione dello spazio e del tempo, dalla

Teoria quantistica dedurremo la sintesi di materia ed energia nonché quella di soggetto e oggetto.Inizieremo a parlare di quest'ultima.

Schema dei periodi della fisica

Periodo misticofilosofico

Caratteristiche: osservazione subordinata ai dogmiFigure di spicco: Platone, Aristotele, TolomeoAspetto predominante: astrale

Periodo classico

Caratteristiche: osservazione subordinata alla sperimentazioneFigure di spicco: Copernico, Galileo, Newton, Maxwell Aspetto dominante: mentale

Periodo unitario

Caratteristiche: osservazione unita all'intuizioneFigure di spicco: Einstein, HeisenbergAspetto dominante: causale

Figura 4

CAPITOLO DODICI

DA MATERIA ED ENERGIANASCE IL “CAMPO”

Materia ed energiaIl mondo nel quale viviamo consta di una grande varietà di oggetti, in continuo movimento e inperenne trasformazione.

La mente occidentale, dopo la nascita del metodo scientifico galileiano, ha ripartito questaeterogeneità di cose ed eventi in due classi ben distinte: materia ed energia.

Con materia intendiamo tutto ciò che è dotato di massa, quindi di peso, di consistenza e di forma;essa è continuamente davanti ai nostri occhi, costituisce la base della nostra esperienza di esseriviventi. La sua struttura, secondo la fisica classica, consta di innumerevoli piccolissime particellecui, in considerazione dell'antica definizione di Democrito, fu dato il nome di atomi.

L'energia, al contrario, viene intesa come qualcosa di imponderabile ma in grado di agire suglioggetti, modificandone lo stato: quando imprimiamo una spinta meccanica a un qualsiasi corpo,stiamo comunicando energia. Essa è quindi, per così dire, l'elemento dinamico del mondo, in gradodi attivare la materia altrimenti inerte. La sua struttura è ondulatoria, nel senso che il suo andamentosi evolve nel tempo, sviluppando varie fasi proprio come accade per le onde di un liquidoperturbato.

Materia ed energia furono così considerate due diverse caratteristiche del nostro universo, alpunto tale che due leggi della fisica classica, denominate leggi di conservazione, le separavanonettamente.

La prima, o legge di conservazione della massa, enunciata da Lavoisier, afferma che la quantitàtotale di materia in un sistema chiuso (cioè senza influenze esterne) rimane costante. Questo equivalea dire che un oggetto durante una reazione chimica, per esempio, può passare da uno stato solido auno stato liquido o gassoso o viceversa, ma la somma totale delle masse non varia.

La seconda, la legge di conservazione dell'energia, fu formulata quando si capì che esistonodiverse sue forme, come l'energia cinetica (data dalla velocità), quella potenziale (data dallaposizione), quella termica (data dal calore) e che queste possono essere trasformate una nell'altra,senza dispersione alcuna, esattamente come accade per la materia.

Per avere un'idea della descrizione fornita dalla fisica classica, immaginiamo un recipiente in cuisiano miscelate due diverse quantità di acqua e di olio; l'esperienza ci dice che i due liquidi, dopoessere stati ben agitati, non finiranno mai col fondersi completamente: saranno visibili un grannumero di bollicine di olio galleggianti nell’ acqua.

Ebbene, il nostro universo, come concepito fino al XX secolo, offriva un quadro molto simile: unmare di energia nel quale galleggiano una moltitudine di bolle materiali.

L'inizio del Novecento vede nascere sull'argomento un insieme di idee innovative; esse, frutto delcontributo di numerosi fisici entrati poi a far parte della storia, sono state raggruppate e denominateTeorie quantistiche perché hanno il pregio, incastrandosi perfettamente una nell'altra e costituendoun corpo strutturale completo, di produrre una visione totalmente diversa del microcosmo.

Molto brevemente, e spero con maggior chiarezza possibile, ora ne riassumeremo le principalitappe di sviluppo, che porteranno prima a un avvicinamento poi a una fusione dei due concetti inesame.

Tutto ebbe origine da alcune contraddizioni incontrate nello sviluppo degli studi atomici cheprodussero, come già era avvenuto in precedenza in circostanze diverse, una necessaria revisione diconvinzioni acquisite.

Nella storia della fisica la dinamica per la produzione di nuove idee ha sempre seguito infatti unpercorso articolato in tre fasi, che potremmo definire di crisi, di sconvolgimento, di riesposizione.Che cosa è in fin dei conti, concordiamo con l'osservazione di un affermato autore contemporaneo, lastoria della scienza se non una serie di spiegazioni sempre nuove di fatti vecchi?

Nel nostro caso la crisi riguarda le menzionate situazioni di contraddizione (sarà argomento delleprossime pagine) in cui versava la fisica classica nella descrizione della struttura dell'atomo, losconvolgimento viene delineato dalle teorie quantistiche e la riesposizione dalla nuovarappresentazione dell'infinitamente piccolo venutasi a creare. Procediamo con ordine e vedremo ilnostro discorso articolarsi in varie fasi.

CollegamentoUna prima considerazione da fare è che alcuni importanti fenomeni fisici venuti alla luce ai primi delNovecento stabilivano già una sorta di collegamento tra materia ed energia.

Abbiamo detto poco fa che quest'ultima ha qualità ondulatorie; orbene l'interpretazionedell’effetto fotoelettrico fornita da Einstein, che paradossalmente diede un apporto fondamentale alsuccesso delle nuove concezioni quantistiche, nonostante in linea di principio egli non fosse convintodella loro validità, cambia le carte in tavola.

Si sapeva, in base a esperimenti eseguiti, che la luce, e in generale un'onda elettromagnetica, dicui la luce stessa è un caso particolare, esercita una pressione sugli oggetti che trova lungo il suocammino.

Questa circostanza era incompatibile con i fenomeni ondulatori, di per sé ritenuti privi diconsistenza materiale. L'unica soluzione che non generasse contraddizioni era quella di presupporreche i raggi luminosi avessero carattere particellare, per cui la pressione stessa sarebbe statagiustificata da urti meccanici tra particelle di luce e particelle di materia.

Gli esperimenti lo confermarono.Ecco allora che possiamo trarre una prima conclusione: l'energia possiede massa e rinviene così

in se stessa proprietà che la legano alla materia.Ma le sue caratteristiche erano ondulatorie, direte voi!E in effetti per descrivere in modo coerente la natura dell'effetto fotoelettrico ci siamo scontrati

con un'immagine contraddittoria della struttura della stessa energia.Siamo per così dire caduti dalla padella alla brace, ma c'è di più.Risultò infatti vero anche il contrario: confinata nella materia non c'è solo massa, ma anche

energia.

A suggerirlo fu la scoperta dei fenomeni di disintegrazione del nucleo atomico, chiamati fissione efusione.

Il nucleo dell'atomo, come tra breve vedremo, è composto di due tipi di particelle diverse,chiamate protone e neutrone, legate tra loro da forze molto intense: le forze nucleari. Si capì chequesto legame energetico, che viene a crearsi nel momento in cui i nucleoni (termine generico perindicare sia i protoni che i neutroni) si uniscono tra loro, si realizza a scapito della massa.

In altre parole quando queste particelle si accoppiano, sacrificano parte di loro stesse per creareuna forza che le tenga ben strette.

Il fenomeno, che è più complesso e variegato di quanto la nostra trattazione volutamente sommarialasci intendere, ci porta a una seconda conclusione: la massa, cioè la materia, per mutare alcune sueconfigurazioni si trasforma in energia, palesando caratteristiche che la legano a quest'ultima.

Questo collegamento viene espresso in forma matematica dalla famosa equazione di EinsteinE=mc2 che indica anche la proporzione di conversione: è sufficiente una piccola quantità di massaperché in alcuni fenomeni, che sono appunto quelli di fissione (nei quali un nucleo si divide in piùparti) e quelli di fusione (nei quali più nuclei si uniscono) si crei un'enorme quantità di energia.

Abbiamo compiuto un primo importantissimo passo: sia la materia che l'energia racchiudono nelproprio grembo ognuna il germe dell'altra. Possiamo iniziare a parlare di aspetti opposti di entitàconcettuali più generalizzate? Vedremo tra poco come, entrando in merito alla struttura atomica, ladifferenza, come sempre accade, si riduca solo a prospettive meramente umane; in realtà, anchequesto è uno degli innumerevoli casi in cui gli aspetti yin e yang, alternandosi armonicamente,originano le illusorie forme della natura.

DualitàAlla fine dell'Ottocento l'atomo, rispettando la sua etimologia democritea (atomo = indivisibile) eranel suo complesso ancora considerato la più piccola organizzazione di materia; veniva raffiguratocome un sistema planetario in miniatura, un'immagine che ancora oggi, pur nella sua notevoleapprossimazione, è proposta nei testi scolastici di base.

In questi ci si limita a dire che il centro di gravità del sistema è costituito da una piccola sferadetta nucleo, al cui interno vengono a trovarsi le due differenti particelle elementari già da noimenzionate: il protone e il neutrone.

Il nucleo possiede una carica elettrica positiva e attorno a esso ruotano dei corpuscoli ancora piùpiccoli chiamati elettroni con carica elettrica, al contrario, negativa.

In base alle leggi fisiche note dell'epoca (ed ecco la prima contraddizione), questa struttura nonaveva una configurazione stabile. Le allora recenti teorie di Maxwell, infatti, stabilivano chequalsiasi carica elettrica accelerata perde energia sotto forma di onde elettromagnetiche; l'elettrone ècarico negativamente ed effettuando traiettorie approssimativamente circolari è dotato di unaparticolare accelerazione chiamata centripeta, che consiste nel cambio istantaneo della direzionedella velocità.

Esso è quindi una carica elettrica accelerata e, diminuendo continuamente la sua energia, perquanto detto poco fa, in breve tempo dovrebbe precipitare sul nucleo.

Se così fosse, non esisterebbe il mondo e noi non staremmo qui a parlarne. È allora evidente chein questa rappresentazione qualcosa doveva essere modificato.

La fisica quantistica prende le mosse da questo imbarazzo crescente in cui i depositari della

conoscenza scientifica vennero a trovarsi.

Nel corso della storia del pensiero ogni cambiamento radicale ha sempre dovuto superare notevolidifficoltà e il motivo è da ricercare nelle profondità dell'animo umano, in cui sempre albergano, alivello individuale o collettivo, impronte lasciateci dall'incedere dell'essere.

Una di queste è l'esigenza di certezze, di punti di riferimento ben consolidati che ci aiutino neimomenti di maggiore difficoltà, come dei galleggianti che ci permettano di non affondare nel maredell'ignoranza.

Fino all'adolescenza e oltre, i genitori assolvono a questo compito perché rappresentano per noiuna protezione ma, una volta divenuti adulti, quando ci confrontiamo con la società, inevitabilmentelo status quo raggiunto nel ristretto ambito familiare viene minato.

Col tempo iniziamo allora di nuovo la ricostruzione di sostegni sicuri che possono consistere inpersone, istituzioni, idee e, una volta che li abbiamo raggiunti, cerchiamo di non lasciarli più andarevia, perché è in gioco il nostro stesso benessere.

Una dottrina religiosa, un movimento politico, un cantante rock, una squadra di calcio sono tuttispunti di aggregazione e di identificazione che conferiscono potere e sicurezza.

Ma, ed è questo il punto, queste a ben vedere sono solo illusioni: il potere ha come termine diparagone il prossimo e la nostra sicurezza non deve poggiare su un valore così relativo e immorale.Essa deve invece trasfigurandosi trovare in sé i motivi della propria essenza e divenire saggezza.

L'uomo saggio conosce la giusta scala dei valori e non può turbarsi di fronte a un mutamento diriferimenti esterni: egli si è già costruito le proprie verità interiori.

Questo processo di costruzione di certezze fa quindi parte del lato più debole della natura umana eper procedere nell'evoluzione spirituale va superato.

Le società, composte da persone, soggiacciono alle stesse leggi e a maggior ragione necessitanodi poggiare su modelli che diano garanzia di stabilità.

Dobbiamo ricordare di nuovo quanto tempo dovette trascorrere prima che il potere politico equello ecclesiastico accettassero la centralità del Sole nei confronti del nostro pianeta, esautorandocosì la Terra di una rassicurante posizione di egemonia in seno all'universo?

Allo stesso modo la fisica quantistica stravolge convinzioni radicate da secoli, perché dettate dalsenso comune e ha l'ardire di sostituirle con descrizioni del mondo microscopico prive di qualsiasifondamento logico. Un esempio potrà chiarire il concetto.

Ci sembrerebbe credibile che una quantità d'acqua contenuta in un secchio e gettata sopra uncespuglio di rose non si infranga contro di esso, ma rimanga unita come una palla di gomma? Ebbenequest'assurdità, se applicata in ambienti di dimensioni notevolmente ridotte, diviene un evento deltutto normale.

I liquidi possiedono infatti una forza di coesione, chiamata tensione superficiale, che nel caso divolumi piccoli, se rapportati alla scala umana, tengono unite le loro molecole.

Se fossimo nati formiche (e la cosa potrebbe non essere esclusa per quanto riguarda vite passate ofuture!) sperimenteremmo quindi un universo governato da alcune caratteristiche diverse.Figuriamoci allora cosa potrebbe accadere su livelli atomici!

In definitiva la posizione concettuale da raggiungere, e che tra l'altro la filosofia orientale insegna,è che, essendo la nostra condizione di osservatori limitata, mai potremo pensare di aver raggiuntouna visione completa del reale.

Nelle prime pagine del libro abbiamo parlato dei vari livelli di conoscenza raggiungibili, secondole antiche dottrine, in base al grado di armonia instaurato tra i cosiddetti involucri o corpi che

avvolgono quello fisico, nonché tramite l'acquisizione di consapevolezza degli stessi. Ebbene, poichéin questo mondo non c'è niente che sia indipendente da tutto il resto, le energie più sottili,appartenenti agli involucri psichici e spirituali, esercitano grande influenza sull'andamento dellamanifestazione grossolana della nostra esperienza ordinaria.

È ovvio allora, lo ripetiamo di nuovo, che una conoscenza globale debba includere questi aspettibasilari dell'esistenza, che ancora sfuggono alla nostra sperimentabilità, producendo inevitabilmentecodici di consapevolezza posizionati molto al di là del puro razionalismo.

In questo profilo si inquadra perfettamente il cammino teorico di tutta la fisica moderna, dallaRelatività alla Meccanica Quantistica e oltre.

Riprenderemo ora il discorso sulla descrizione della struttura atomica, ben consapevoli che da qui apoco il rigore logico dovrà essere abbandonato.

È chiaro che se una barca non è più adeguata per navigare su fondali nuovi e insidiosi, prima opoi le falle si moltiplicano. Fu così che mentre, come abbiamo visto, la configurazione dell'atomorimaneva un punto importante da chiarire, a inizio secolo, esattamente nel 1900, il fisico tedescoMax Planck, alle prese con un altro problema irrisolto dell'epoca, ebbe un'idea geniale che avrebbespianato la strada verso nuovi orizzonti.

L'argomento riguardava le onde elettromagnetiche che vengono emesse da tutti i corpi riscaldati eche, a determinate temperature, assumono l'aspetto di luce visibile; secondo le deduzioni scientifichedei primi anni del secolo un oggetto col massimo di potere emittente, denominato “corpo nero”,avrebbe dovuto irradiare ad alte temperature onde su tutte le innumerevoli frequenze esistenti, dandocome risultato una quantità infinita di radiazioni.

Questo è in aperto contrasto con l'osservazione, anche perché se accadesse una cosa del generenoi saremmo continuamente bombardati da ogni tipo di raggi, tra cui alcuni particolarmente nocivicome, per esempio, gli ultravioletti, che minerebbero costantemente la nostra integrità fisica.

Per evitare un simile paradosso, Planck ipotizzò che potessero esistere solo quantità multiple diuna grandezza fondamentale indivisibile che chiamò quanto e che l'energia radiante non venisse diconseguenza emessa in modo continuo, ma a dosi finite.

Questa ipotesi, limitando il possibile numero di frequenze in questione ed escludendo quindi lapresenza degli ultravioletti, chiaramente limitava anche la somma delle energie irradiate, evitando ilparadosso dell'infinito.

Essa risultò poi in perfetto accordo con i dati sperimentali e fu espressa mediante un'equazionematematica, fornendo in tal modo la soluzione al problema.

Se ora colleghiamo queste conclusioni al fenomeno dell'effetto fotoelettrico, di cui abbiamoparlato poc'anzi, saremo in grado di compiere un ulteriore piccolo passo in avanti.

Planck aveva parlato di energia irradiata in quantità non divisibili, come se si trattasse di unacaratteristica del comportamento del corpo emittente e non della struttura del raggio emesso.

Einstein, invece, giustificando la pressione delle onde luminose con una loro struttura particellare,battezzò implicitamente i quanti di energia cioè le minime quantità con cui essa si manifesta in natura.

Ecco allora che si delinea la giusta conclusione: l'energia viene emessa in quantità definite, inpiccole particelle, perché anche questo aspetto rientra nelle sue prerogative, fa parte del suo modo diessere.

Pieno e vuoto

Una breve riflessione.La rivoluzione concettuale cui siamo di fronte vedrà dissolversi un altro degli attributi con cui

siamo soliti rivestire ciò che cade sotto il vaglio dei nostri sensi: la continuità.Gli oggetti materiali, i movimenti, lo scorrere del tempo, tutto sembra caratterizzato da un

andamento lineare, senza interruzione alcuna. Il nostro intelletto ha costruito nel corso dei secoli unedificio logico, che trova riscontro in tutte le esperienze della realtà ordinaria.

È sempre possibile, ci insegna la matematica, dati due estremi di un segmento, trovare un punto aesso interno; questo procedimento all'infinito presuppone una serie infinita di punti cioè un continuospaziale.

Tuttavia, siamo sempre lì: quando abbiamo necessità di cambiare scala e bussiamo alle porte dimondi confinanti col nostro, ecco che essi non si assoggettano alle nostre pretese di inquadrarlimediante le regole che conosciamo; da buoni ospiti dobbiamo comprendere e rispettare le loro!

Anche perché queste potranno aprirci gli occhi su particolari ancora inosservati del mondo da cuiproveniamo.

Gli abitanti del microcosmo ci mandano il loro primo messaggio: “Molti secoli fa voi umaniavevate delle facoltà mentali per certi aspetti molto più sviluppate di quanto non lo siano ora.Riuscivate a intuire alcuni particolari della struttura dell'universo, che solo oggi la scienza arriva inparte a quantificare. Alcuni vostri saggi avevano capito che l'essenza della vita sta nell'incessantegioco di situazioni in apparenza antitetiche, che denominarono yin e yang.

Il loro convincimento di base era che l'uomo vede le cose in modo distorto e parziale, così quandovollero approfondire la propria scala di realtà intravidero un concetto molto importante: quando viguardate intorno, a voi sembra ovvio dover distinguere tra corpi materiali e zone di spazio prive diqualsiasi oggetto. Esse sono condizioni con evidenti caratteristiche opposte: pieno e vuoto. Maattenzione, come nello yin è sempre mimetizzato lo yang e viceversa, così nel pieno si nasconde ilvuoto e viceversa”.

In effetti oggi noi, confortati dal rigore scientifico, sappiamo che:

1. il vuoto assoluto non esiste, perché anche negli spazi intergalattici c'è la presenza diparticelle;

2. un'attenta analisi sulla struttura della materia rivela che ciò che apparentemente è pieno sirisolve addirittura in un'abbondante presenza di spazi vuoti.

Dentro l'atomo, infatti, tra il nucleo e gli elettroni che gli ruotano intorno, si interpone una grandequantità di spazio priva di qualsiasi massa.

Conclusione: siamo in presenza di due dei tanti attributi che caratterizzano quel fondamentaleaspetto della manifestazione che è la materia, attributi apparentemente in antitesi, ma che si rivelanomeno distanti di quanto potrebbe sembrare.

Nel disegno che abbiamo tracciato riguardante l'albero cosmico possiamo allora far partire daognuno dei tre stati della materia la biforcazione “pieno–vuoto”, ricordando che questa è solo unadelle tante potenziali ulteriori divisioni (fig.5).

Figura 5

Risulta allora chiaro che questa doppia faccia dell'aspetto materiale mette fine alla concezionecomune della compattezza delle cose, instaurando un modo di procedere “a salti”: perfino il suolo sucui camminiamo è per buona parte privo di consistenza!

Riprenderemo più in là questo concetto e vedremo che anche il vuoto, per il quale abbiamo giàpreannunciato una struttura discontinua, è completamente diverso da ciò che i nostri sensi cisuggerirebbero.

Si sta aprendo un universo nuovo, sicuramente inadeguato ai nostri mezzi razionali e per questoestremamente affascinante. Sembrano prendere corpo le parole di un antico aforisma: “La verità nonsi trova in fondo a complicati ragionamenti né ha bisogno di particolari rivelazioni. Essa sta primadei ragionamenti e delle rivelazioni”.

L'atomoLa cosiddetta “quantizzazione” dell'energia mise in moto un progressivo meccanismo generatore dinuove idee. Il passo successivo fu la risoluzione del problema del movimento dell'elettrone intornoal nucleo atomico, da cui sono partite le nostre considerazioni.

Niels Bohr, insigne fisico danese, fu il padre del nuovo modello di atomo che, qualche modifica aparte, sopravvive ancora ai nostri giorni.

Egli pensò che il modo di manifestarsi dell'energia, per quantità piccole ma definite, dovrà esseresempre lo stesso in qualsiasi circostanza. Quindi se, come aveva detto Einstein, la regola valeva peri fenomeni elettromagnetici, altrettanto doveva accadere anche per quanto riguardava i movimentimeccanici dei corpi materiali.

Nel nostro caso se, come abbiamo visto, gli elettroni ruotando emettono onde di energia, nonpotranno farlo in modo continuo bensì in minuscole dosi finite e con valori ben precisi. Questo rendestabile la configurazione dell'atomo, contrariamente a quanto avveniva per la descrizione classica.

Infatti, secondo il modello di Bohr, quando queste particelle si trasferiscono da un'orbita all'altraemettono o assorbono un “quanto” di energia variando la loro configurazione dinamica, riducendolacioè di un quanto se la distanza dal nucleo diminuisce, incrementandola sempre di un quanto se ladistanza dal nucleo aumenta.

In questo modo rimarranno confinate in orbite ben definite: di esse la più vicina al nucleo avràenergia minima, mentre le energie delle successive orbite saranno multiple di questa quantità base

(fig.6).

Figura 6 Atomo

L'atomo diviene così stabile, perché al di sotto dell'orbita più piccola non è possibile andare.Non vogliamo entrare nei particolari del modello atomico: per il nostro discorso che è,

ricordiamolo, essenzialmente concettuale, è importante notare che nel microcosmo la materia sipresenta in modo discontinuo perché non tutte le posizioni spaziali sono possibili. Il fatto che laminima quantità di energia che la natura ci consente di utilizzare attui il passaggio da un'orbitaelettronica a un'altra rende infatti inaccessibili le zone di vuoto tra esse comprese.

È un po’ come giocare una gigantesca partita a dama. Ogni pedina può muoversi liberamente, masempre in modo da occupare una casella. Le regole del gioco non consentono infatti soste diverse.

Giunti a questo punto i fisici si chiesero quale criterio usasse la natura per privilegiare determinateorbite atomiche rispetto ad altre.

La risposta fu fornita dal fisico francese Louis De Broglie il quale, profondamente convinto che ilnostro universo sia governato da leggi di armonia, ipotizzò che il comportamento duale dell'energia,emerso dall'effetto fotoelettrico, a volte ondulatorio a volte corpuscolare, dovesse essere condivisoanche dalla materia.

Di conseguenza le particelle elementari potranno presentarsi, quando il caso lo richieda, oltre chesotto le consuete statiche sembianze materiali, anche sotto più accattivanti vesti di curve fluttuantinello spazio.

De Broglie, riferendosi infatti al modello di Bohr, suppose che il movimento dell'elettrone in unadeterminata orbita fosse come guidato da onde, da lui chiamate onde pilota, che vanno a distribuirsilungo l'orbita stessa in modo ben preciso: una sulla prima, due sulla seconda, tre sulla terza e cosìvia (fig.7). Il significato di queste assumerà maggiore chiarezza quando inizieremo a parlare dellafunzione di Scroedinger.

Dal suo discorso si deduce, comunque, che le traiettorie orbitali consentite nell'atomo di Bohrsono quelle che contengono un numero intero di dette onde di materia.

Questo assetto strutturale, che urta con i significati convenzionali, ma che si è rivelato subitoperfettamente in linea con i dati sperimentali, rende simili anche se non ancora equivalenti i dueaspetti della manifestazione in esame: la configurazione ondulatoria, infatti, da questo momento entra

a far parte anche della materia.

Figura 7

FusioneLa definitiva conferma che il microcosmo abbia dei codici di configurazione diversi dalla logicaordinaria venne dal famoso Principio di Indeterminazione a opera del fisico tedesco WarnerHeisenberg.

È accaduto spesso nella storia del pensiero che considerazioni estremamente elementari e intuitiveabbiano richiesto secoli di preparazione per emergere attraverso i meandri della psiche umana.Abbiamo già visto come a volte preconcetti, altre volte semplicemente ignoranza e spesso pigrizianel voler continuare a vedere le cose come sono sempre state presentate, non hanno certo contribuitoal progresso della conoscenza.

C'è voluto quasi sempre il lampo di genio di una mente fuori dell'ordinario per illuminare unpiccolo frammento di questo grande puzzle che è la realtà.

Il principio di Heisenberg è un classico esempio di questo stato di cose.

Abbiamo già accennato a quella che era la tendenza del criterio scientifico prima del XX secoloparlando di “determinismo”.

Ricordiamo brevemente che era questa una corrente di pensiero scaturita dall'atteggiamentomentale che la fisica aveva adottato da Galileo in poi. Per circa trecento anni, dal Seicento fino agliinizi del Novecento, il mondo scientifico aveva postulato la possibilità di dare a tutto ciò che esisteuna spiegazione razionale; era solo la mancanza dei mezzi adatti o di cognizioni adeguate cheimpediva una visione completa ed esaustiva del mondo in cui viviamo.

In linea di principio si riteneva possibile, una volta noti i dati che individuino un istante diuniverso, determinare univocamente tutti quelli degli istanti precedenti o successivi.

In pratica, l'universo stesso sarebbe un libro ancora chiuso solo a causa della nostra ignoranza, masicuramente in un futuro più o meno lontano ogni mistero potrebbe essere svelato.

Il principio di indeterminazione contraddice queste affermazioni, minandone le stesse basi.Esso nacque da un'analisi dettagliata del significato dell'atto del misurare, effettuata alla luce

delle nuove concezioni duali della materia e dell'energia.

Heisenberg fece questo ragionamento: supponiamo di voler osservare una particella conl'intenzione di determinare la sua linea oraria, cioè la posizione e la velocità che si trova ad averenei vari istanti della sua esistenza.

Per fare questo è necessario inviare sull'oggetto in esame della luce, o qualsiasi altro tipo di ondaelettromagnetica in grado di fornirci informazioni e attendere che i raggi riflessi tornino verso glistrumenti di misura da noi utilizzati, portandoci la risposta.

Nella vita di tutti i giorni, complici i raggi luminosi, questo accade normalmente e nemmeno ce nerendiamo conto ma, alle prese con oggetti di dimensioni infinitesimali, il discorso è diverso. La luceche inviamo per osservare ha infatti una sua realtà fisica (ricordiamoci che può essere intesa anchecome insieme di particelle materiali chiamate fotoni) e quindi esercita una pressione (ricordiamocidell'effetto fotoelettrico) sui corpuscoli di dimensioni microscopiche con cui viene in contatto.L'effetto sarà quello di alterarne il moto e falsare l'informazione che noi attendiamo.

Vediamo un po’ più nel dettaglio cosa succede eseguendo un esperimento ideale; una particella,che raffiguriamo con una piccolissima pallina, viene investita da un raggio luminoso. Lorappresenteremo in questa circostanza tracciando il suo andamento ondulatorio (fig.8).

Figura 8

Prima di proseguire apriamo una brevissima parentesi per dare due definizioni in proposito:Si dice lunghezza d'onda, che chiameremo λ, la distanza tra due minimi o tra due massimi;

chiameremo invece frequenza il numero delle oscillazioni che un'onda compie nell'unità di tempo(fig.9).

Figura 9

Per osservare dunque la nostra pallina, inviamo il raggio di luce e attendiamo che esso torni ai nostriocchi con l'informazione della posizione e della velocità.

Una situazione analoga si ha quando facciamo cadere un sasso in uno stagno, nel quale le ondegenerate investono ogni oggetto che galleggi sull'acqua. Prendiamo per esempio una barca: si puòdimostrare che essa riflette in diversa misura differenti tipi di onde, che incidono sulla suasuperficie.

Più precisamente, se le sue dimensioni sono superiori alla lunghezza tra due creste d'onda (λ),avremo una riflessione del moto ondulatorio, altrimenti quest'ultimo avvolgerà la barca e tenderà a

passare oltre.In altre parole, onde molto lunghe produrranno nell'imbarcazione un movimento a seguire in alto e

in basso e non torneranno verso la zona donde provengono.Nel caso della particella il principio è lo stesso: inviamo il fascio luminoso con l'intento di

determinare la sua posizione e la sua velocità e, in base a quanto ora detto, per ottenere unariflessione significativa i raggi dovranno avere una λ inferiore alle dimensioni dell'oggetto in esame.Anzi più λ è piccolo più la luce verrà riflessa e più sarà semplice individuare la posizione chestiamo cercando.

Ma dire λ piccolo equivale a dire frequenza molto grande (vedi figura precedente) e le leggi dellafisica insegnano che la frequenza è direttamente proporzionale a una grandezza chiamata quantità dimoto (mv) che individua, come dice il nome, la quantità di movimento che un qualsiasi corpo è ingrado di trasferire a un altro mediante un contatto fisico come per esempio un urto.

Il punto importante è proprio questo: se usiamo una radiazione con λ piccolo per poterdeterminare con precisione dove si trovi la particella, verrà contemporaneamente a essa trasferitauna certa quantità di moto, col risultato di alterare la velocità che si trova ad avere e che noivorremmo conoscere. È come se l'oggetto della nostra indagine fosse investito da altri piccolicorpuscoli (la luce per il Principio di dualità avrà un carattere corpuscolare oltre che ondulatorio),che lo faranno rimbalzare senza controllo in tutte le direzioni.

In questo modo avremo sì registrato la posizione della pallina, ma la sua velocità sarà rimastacompletamente indeterminata e non avremo raggiunto lo scopo che ci eravamo prefissati.

Si potrebbe pensare allora di utilizzare un raggio con λ molto più grande, in modo da nonprovocare alterazioni sul moto. Cadremmo però nel caso di λ maggiore delle dimensioni del corpomateriale investito; l'onda lo avvolgerà col risultato di ritornare ai nostri occhi con un'informazionealquanto imprecisa circa l'ubicazione spaziale.

Per concludere, con λ molto piccola individuiamo la posizione, con λ più grande la velocità, manon potremo mai conoscere entrambe in modo esatto.

Possiamo scegliere una via di mezzo: con una lunghezza d'onda intermedia perturberemoleggermente il movimento e l'informazione riflessa riporterà valori abbastanza precisi delle duegrandezze cercate, consentendoci però solo una conoscenza approssimativa delle stesse.

Heisenberg dedusse che, su scala microscopica, si deve rinunciare al tradizionale concetto ditraiettoria, perché gli “abitanti di questo mondo” non possiedono contemporaneamente gli attributi diposizione e velocità. La cosiddetta indeterminazione quantistica affligge la loro esistenza!

È come se le onde pilota di De Broglie, nel caso degli elettroni, avessero anche la funzione didilatare la traiettoria stessa, permettendole una vasta gamma di possibilità (e vedremo tra breve cheaccade veramente questo) a seconda delle condizioni di osservazione da noi scelte.

Vogliamo precisare, se ce ne fosse bisogno, che questa indeterminazione, da Heisenberg espressain precise formule matematiche, non dipende dalla limitatezza delle attuali apparecchiaturesperimentali ma è, per quanto ne sappiamo oggi, una caratteristica della natura.

Quindi alcune grandezze che usiamo per qualificare il nostro ambiente ordinario non hanno più lastessa efficacia descrittiva nel microcosmo, semplicemente perché quel tipo di definizione lì nonesiste. E, guarda caso, attributi che nel nostro ambiente presentano una loro identità individuale,anche se legati tra loro da formule matematiche, attuano nel microcosmo un'unione “di coppia” fino acostituire nuove entità di aspetto bipolare.

Ed è infatti singolare che anche in questa circostanza le caratteristiche di questo piccolo mondoricordino strutture teoriche antiche di millenni: la posizione, che potremmo identificare con l'aspetto

yang della particella, e la quantità di moto, più volatile e dinamica quindi yin, non si manifestano maicontemporaneamente in modo netto e chiaro; sarà osservabile solo una loro mescolanza con unaprecisione che a seconda dei casi privilegerà uno o l'altro aspetto: meglio individueremo uno dei duemeno sapremo dell'altro e viceversa.

Il principio di indeterminazione che, come possiamo notare, riveste un'importanza fondamentalenell'ambito della recente rivoluzione scientifica, non esaurisce qui le sue sorprese.

Infatti nel microcosmo altre due grandezze fisiche, grazie a questo principio, imitano ilcomportamento della strana coppia ora esaminata. Esse hanno già rinunciato alla loro identitàindividuale, unendosi rispettivamente allo spazio, come vedremo, e alla materia, la cui sintesi stiamoora completando. Sono il tempo e l'energia che, già elementi essenziali del nostro albero, a riprovadella variegata interconnessione cosmica, stabiliscono tra loro un'ulteriore relazione: vale per esselo stesso rapporto che abbiamo stabilito esistere per posizione e velocità.

Ciò vuol dire che, se vogliamo quantificare l'energia posseduta da un sistema fisico, più tempoimpieghiamo, cioè più l'istante di misurazione sarà indeterminato, e più la misura sarà precisa.Tuttavia, se restringiamo l'intervallo di tempo fino a renderlo molto breve, avremoun'indeterminazione via via maggiore dell'informazione sull’ energia che vogliamo avere.

Questa considerazione ha autorizzato i fisici a pensare che su scala microscopica, laddove i tempidelle azioni sono incommensurabilmente brevi, tale circostanza rivesta carattere di normalità e che ivalori energetici siano frequentemente indeterminati. Cade così quel principio di conservazione, giàda noi menzionato, che costituiva una delle basi della teoria classica e che è ancora peraltro validoper ambienti ordinari.

Quali possono essere le conseguenze pratiche?La risposta ci lascia stupiti: nel mondo atomico, rimanendo nell'ambito di durate temporali

limitatissime ma, ripetiamo, non così limitate se rapportate ai fenomeni su cui operano, può esserecreata energia dal nulla!

Particelle, che vengono chiamate “virtuali” appariranno e scompariranno e, nel breve intervallo ditempo in cui è racchiusa la loro vita, produrranno effetti sul nostro mondo.

In teoria è quindi possibile che l’ universo sia costellato di una moltitudine di questi oggettivirtuali in continuo stato di esistenzanon esistenza.

Questo è esattamente quello che sostengono le moderne teorie della fisica, asserendo addiritturache il numero delle particelle “fantasma” è molto maggiore di quello delle cosiddette reali edevidenziando la sconcertante, ma per noi ormai scontata conseguenza che la realtà ordinaria è unapiccola parte di qualcosa di immensamente più vasto, un'isola di razionalità nel vasto oceanodell'illogico.

Esauriamo per ora qui le considerazioni sul principio di indeterminazione; più in là, verso laconclusione torneremo a parlarne: esso risulterà infatti ancora di fondamentale importanza percompletare il tracciato dell'albero cosmico.

L'evanescenza del concetto di materia, ormai non troppo distante da quello di spazio vuoto, nonché lacaduta del concetto di traiettoria, suggerirono a Erwin Schroedinger, altro insigne esponente dellarivoluzione quantistica, un'equazione matematica che descrive il microcosmo in termini probabilisticie che venne chiamata “funzione d'onda”.

Questa equazione infatti, in perfetta sintonia col Principio di Indeterminazione, associa a ogniparticella un'onda di probabilità, una funzione matematica cioè che indichi i punti dello spazio nei

quali è più o meno probabile che la particella stessa si trovi.Tale nuova realtà fisica, che aveva preso le mosse dalle ipotesi di De Broglie e che fu denominata

“onda di materia”, costituisce un punto di vista estremamente ardito, perché crea tra la nostra scalaordinaria e il microcosmo dei collegamenti di natura statistica.

Le componenti materiali, ormai confinate in ambiti di pura astrazione, potranno riacquistare laloro concretezza solo se considerate nella loro globalità e questo non contrasta con le nostreesperienze: per le nostre conoscenze pratiche è in effetti importante non tanto conoscere gli eventilegati a ogni singolo abitante del piccolo universo degli atomi, quanto valutare il comportamento dimassa, il solo che trovi corpo e senso nei fenomeni che descrivono la scala superiore.

Quello che sperimentiamo è dunque in definitiva un complesso di relazioni intrinsecamenteindeterminate a cui la loro struttura d'insieme, al vaglio dei nostri mezzi percettivi, donaun'espressione definita; come se il concetto generale di funzione d'onda (che d'ora in poi indicheremoanche con la lettera greca Ψ attribuitale dallo stesso Schroedinger) una volta entrato in contatto conun centro di coscienza, collassasse in una particolare soluzione matematica che consiste nellaparticella osservata.

Secondo l'equazione di Schroedinger la realtà consiste dunque in una moltitudine di campi dienergia e quelle che comunemente vengono definite particelle elementari sono zone di spazio nellequali è altamente probabile che esista una disposizione energetica più densa che chiamiamo materia ea cui solo l'accostamento con un soggetto sperimentante dona l'attributo di oggetto “reale”, cioèesistente nella nostra scala ordinaria.

Torneremo in seguito ad approfondire questi concetti.

IdentitàPer completare la biforcazione materia – energia rimane un ultimo passo, un passo che tra l'altro aprele porte a nuovi ed estremamente interessanti orizzonti del sapere.

In questa sede non potremo entrare in merito a troppi dettagli data la non facile né brevetrattazione che ne seguirebbe; inoltre questa andrebbe oltre gli intendimenti che ci siamo proposti,che sono quelli di una sequenza il più possibile semplice e logica del cammino che ha avvicinato lafisica a posizioni di pensiero caratteristiche dell'antico Oriente.

Le conclusioni cui siamo giunti nel paragrafo precedente sembrerebbero aver eliminato qualsiasidifferenza tra materia e energia:

1. ambedue possono manifestarsi sia come onde che come particelle;2. l'universo è un insieme di campi, i cui componenti infinitesimali, che sono i più piccoli

agglomerati possibili di materia e di energia, sono detti quanti.

C'è tuttavia ancora una caratteristica che ripartisce questi ultimi, e di conseguenza i due tipi di campoda essi generati, in due classi diverse.

Un altro principio fondamentale della meccanica quantistica, chiamato principio di esclusione diPauli, stabilisce infatti che due elettroni non possono occupare lo stesso stato quantico. Il che vuoldire, in termini più semplicistici (e la cosa questa volta ci sembrerà ovvia) che le particelle dimateria non possono trovarsi contemporaneamente nel medesimo luogo. Al contrario questo può

invece accadere a quelle di energia: in un punto dello spazio infatti possono agire (e generalmenteagiscono) più forze, come per esempio quella gravitazionale e quella elettromagnetica.

Ed è per questo motivo (l'osservanza o meno cioè del principio di esclusione) che noi percepiamole due forme della manifestazione in modo così nettamente diverso.

Supereremo quest'ultimo ostacolo?La seconda metà del Novecento ha visto la fisica impegnata in quello che viene chiamato il

problema della grande unificazione.Profetizzata da Einstein, essa avrebbe lo scopo di omogeneizzare le quattro energie fondamentali

e, in ultima analisi, i due diversi tipi di quanti, di materia ed energia, abbattendo il muro edificato dalprincipio di Pauli.

Il procedimento teorico da seguire sembra sia ormai chiaro, ma purtroppo la sperimentazioneancora non riesce a supportare la teoria a causa delle enormi difficoltà che si incontrano perrealizzare dispositivi strumentali adatti allo scopo.

Si parte dalla famosa ipotesi del Big Bang, venuta alla luce negli anni Sessanta, secondo la qualel'universo al momento della sua nascita era un'entità priva di struttura e differenziazione, contemperatura e densità enormemente elevate.

Da notare che stiamo ripetendo, per bocca della scienza contemporanea, quanto già più volteesposto nelle pagine precedenti in termini puramente qualitativi parlando della filosofia orientale: siricordino in particolare i versetti dei Veda sulla Creazione.

Dall'istante iniziale di tempo densità e temperatura iniziarono a diminuire provocando in tal modoun aumento della struttura e della diversificazione.

Per descrivere questo processo, la fisica si è avvalsa di un concetto preso a prestito dal mondodell'arte e della geometria: quello di simmetria.

Il termine, che deriva dal greco antico (Syn = insieme, metron = misura), vuol dire “di ugualemisura” e, come l'esperienza ci insegna, esso prevede la ripetizione di una quantità misurabile,armonica e piacevole nello stesso tempo, se giudicata in base a un criterio estetico superiore.

La natura ci offre numerosi esempi di strutture che ricordano simmetrie: i corpi celesti, essendosferici, sono pressoché simmetrici come i loro movimenti; gli stessi esseri viventi, dagli animaliall'uomo, lo sono rispetto a un piano che li tagli sagittalmente dividendo la destra dalla sinistra.Abbiamo altri esempi nelle opere stesse dell'uomo: l'architettura e la musica presentanomanifestazioni simmetriche che le rendono gradevoli ai nostri sensi.

Siamo sicuramente di fronte a una tendenza generale della natura tanto più che, come dicevamo,avvalendosi di questo concetto nelle sue linee più astratte, la fisica moderna sta dimostrando che ilnumero delle manifestazioni simmetriche è molto più ampio di quanto si possa immaginare.

L'argomento meriterebbe molte e non semplici pagine; a noi basterà sapere come si esprima intermini di simmetria la moderna teoria della grande unificazione: come dicevamo, siamo di fronte adargomentazioni ormai per noi molto familiari.

Il nostro universo attuale, dice la teoria, è il risultato di una simmetria originaria che non è piùpossibile rilevare. Immediatamente dopo il Big Bang il calo generale della temperatura, infatti,provocò delle cosiddette “rotture” che produssero in un primo momento la differenziazione tra leparticelle di materia ed energia e in seguito la separazione delle varie forme di quest'ultima.

L'attuale varietà sarebbe quindi frutto di una rottura di simmetria originaria che, dopo la nascitadel tempo, provocò l'immediata divisione dello spazio nei suoi due poli, esattamente comeraffigurato nella sequenza dell'albero cosmico.

Non insistiamo ulteriormente su questi concetti che rappresentano le ultime conquiste della fisicamoderna e che sono ancora in via di perfezionamento; ne abbiamo fatto cenno per mostrare comel'unione concettuale tra materia ed energia sia ormai in fase di completamento, ovviando aquell'ultimo punto che ancora mancava.

Possiamo affermare di aver dunque raggiunto il nostro primo obiettivo. Non più materia, non piùenergia ma campo che, per continuare a usare termini familiari, denomineremo ancora “spazio”.

Il prossimo passo sarà quello di vedere come quest'ultimo vada a unirsi a un altro concetto,anch'esso antico quanto il mondo, perché generato dal Big Bang: il tempo.

CAPITOLO TREDICI

DA SPAZIO E TEMPONASCE LO SPAZIOTEMPO

Spazio e tempoNel nostro cammino verso le origini è giunto dunque il momento di analizzare quale tipo diinterrelazione esista tra lo spazio e il tempo.

Il senso comune e l'istinto ci portano a giudicarli tra loro concettualmente e operativamenteindipendenti; la maggior parte di noi dà infatti per scontato che:

esiste uno spazio, esterno al nostro sistema percettivo, entro il quale identifichiamo emisuriamo gli oggetti per la loro forma, per la loro dimensione o per le loro distanzereciproche;in questo ambiente spaziale ogni trasformazione, dovuta al movimento, genera quello chechiamiamo tempo. Esso infatti non avrebbe ragion d'essere se tutto fosse perfettamenteimmobile.

Nel corso della storia però, a partire dalla nascita del secondo periodo scientifico (da noi definitorazionale) la valutazione di questi due concetti ha conosciuto due importanti rielaborazioni che dallarappresentazione oggettiva di partenza hanno gradatamente portato a un panorama assolutamenterelativo di quanto accade.

Chiariamo.Spazio e tempo hanno costituito da sempre l'ambiente entro il quale viviamo. La fisica classica,

con le leggi della meccanica formulate da Galileo e Newton, che avremo modo di riprendere frabreve, paragonò la nostra condizione a quella dei viaggiatori di un grande treno diretto, con tuttoquello che si trova al suo interno, sempre nella stessa direzione.

Queste leggi presumevano un universo collocato in uno spazio assoluto, cioè uguale per qualsiasipersona e da qualunque condizione lo si osservi, ma mutevole secondo il trascorrere di un tempoassoluto, il cui comportamento è cioè sempre lo stesso, ovunque.

Anche se queste posizioni possono sembrare a prima vista ovvie, altre considerazioni, menoimmediate ma rivelatesi dopo un'attenta analisi anch'esse ovvie, improvvisamente eirrimediabilmente ne negarono la validità.

Fu dapprima l'indagine filosofica che, verso la fine del XVIII secolo, subì un netto cambiod'impostazione a opera di Immanuel Kant.

Tale stravolgimento comportò una vera e propria rivoluzione copernicana della filosofia (comefu chiamata), perché assegnò all'uomo una partecipazione attiva nella stesura del reale, collocandolo

in posizione determinante nei riguardi dei fenomeni della natura.Kant affermava, in contrapposizione alle tendenze empiriche dell'epoca, che ci sono aspetti della

nostra esperienza la cui origine non proviene dai sensi o dalle elaborazioni dell'intelletto. Taliaspetti sono come dei codici innati e attraverso di essi noi concettualizziamo i fenomeni, dandoneun'interpretazione compatibile con la nostra struttura mentale; essi vennero denominati “categorie” oforme a priori del nostro intelletto.

Tra queste categorie troviamo proprio lo spazio e il tempo, che non sarebbero quindi esterni alsoggetto bensì costituirebbero un suo substrato, “un modus operandi” con il quale è possibile dareordine al caos percettivo altrimenti incomprensibile.

È come se guardassimo il mondo indossando un paio di occhiali con lenti colorate, per esempioblu: ne avremmo una visione meno completa, ma sicuramente più omogenea.

Questo aspetto della filosofia occidentale ci sembra un importante cambio di prospettiva neiconfronti di concetti che, salvo qualche eccezione, sono sempre stati ritenuti assoluti e può costituireuna giusta introduzione alla moderna Teoria della Relatività, che ora analizzeremo iniziando apercorrere una serie di tappe susseguitesi nell'arco dello sviluppo del pensiero scientifico.

Per raggiungere i nostri scopi, prenderemo in esame la problematica del movimento che ha impegnatola mente dell'uomo fin dalle epoche più antiche. Ne vedremo le soluzioni nei tre i periodi della fisicadi cui abbiamo parlato all'inizio della seconda parte del nostro discorso, tenendo presente che,essendo il movimento matematicamente espresso da un rapporto tra spazio e tempo, diverseinterpretazioni dello stesso possono comportare importanti mutamenti nelle relazioni esistenti traqueste grandezze.

Ricordiamo a proposito che parlando del primo di questi periodi, il mistico-filosofico,evidenziammo come l'aspetto trascendente avesse il sopravvento sull'indagine puramente speculativa;in questo lungo intervallo di tempo comprendente quasi due millenni, le regole del mondo, teorizzateda Platone e Aristotele quattrocento anni prima di Cristo, giunsero quasi intatte fino alle soglie delCinquecento, quando i tempi ormai più che maturi, uniti alla nascita di grandi talenti, imposero con laforza dell'evidenza le necessarie innovazioni.

La fisica di AristoteleIn questo primo periodo, oltre a Platone ci fu un'altra figura di grande spicco che influenzò laconoscenza dell'aspetto puramente fisico dei fenomeni: Aristotele, discepolo dello stesso Platone,che si discostò dalla visione soprannaturale del maestro per operare una sintesi tra l'umano e iltrascendente.

Egli propose un'unità del sapere nella quale la filosofia comprendesse sia la fisica, che si occupadi scoprire quali siano le leggi della natura, sia la metafisica, che ha il compito di spiegare perchéqueste leggi esistano.

Ci interessa in questa sede esaminare sia pur brevemente la sua interpretazione del problema delmovimento dei corpi e delle cause che lo producono, che sono poi aspetti determinanti della suaconcezione dinamica del mondo.

Prima di entrare in merito a ciò, introduciamo un semplice concetto: si dice Sistema diriferimento, e d'ora in poi lo abbrevieremo con l'espressione SR, il posto dal quale vengonoeffettuate delle stime o misure di grandezze fisiche.

Posso stare comodamente seduto sul balcone della mia casa o nello scompartimento di un treno,posso osservare diversi fenomeni dal terrazzo di un grattacielo o da una giostra che gira: questediverse collocazioni del punto di osservazione, questi diversi SR, comporteranno probabilmente unadifferente valutazione del fenomeno in esame.

Ora, per formulare delle leggi fisiche occorre rispondere a questa domanda: cosa rimane immutatodelle mie misure quando l'osservazione passa da un SR a un altro?

Aristotele basò le sue considerazioni sull'ipotesi dettata dal senso comune che il movimento siacondizionato dall'azione continua di una sollecitazione esterna. Come dire che un corpo si muovefinché viene spinto e si arresta non appena la pressione viene a mancare.

Questa affermazione porta a delle conclusioni molto interessanti che cercheremo di chiarire conun esempio.

Ci troviamo in campagna per un pic-nic e sul nostro tavolino sono state poggiate delle piccole biglie.Se esse sono ferme, deduciamo che non sono sottoposte ad alcuna stimolazione esterna.

Purtroppo la scelta del posto non è stata felice e ce ne siamo accorti troppo tardi, perché nonlontano da noi c'è una ferrovia e il passaggio dei treni, anche se non eccessivamente frequente, risultafastidioso.

Ne notiamo in particolare uno, che procede sui binari molto lentamente. All'interno di uno deivagoni riusciamo a distinguere un tavolino simile al nostro sulla cui superficie, per una raracoincidenza, si trovano delle piccole biglie ferme.

Esaminiamo ora questo fenomeno secondo l'ottica aristotelica.In base a quanto affermava il grande filosofo, gli oggetti sferici, muovendosi col treno ed essendo

quindi in moto rispetto a noi seduti sul prato, dovranno essere sottoposti a una forza.Potremmo allora concludere che la legge del moto, secondo la quale un corpo si muove solo se

sottoposto a sollecitazioni e in caso contrario è immobile, è valida solo per chi è fermo sulla Terra enon per chi si trova in tutti gli altri sistemi in movimento.

Infatti, nel caso che stiamo ora esaminando possiamo dire che, per un osservatore che viaggi sultreno, le biglie poste sul tavolino del vagone malgrado l'azione di una forza rimangono ferme.

Queste conclusioni condussero a una radicata convinzione geocentrica, che sposava le vedutefilosofiche di Aristotele con il sistema astronomico di Tolomeo. Il pianeta Terra rappresentava ilcentro dell'universo e le leggi fisiche erano a essa rapportate. L'uomo poi, creatura nata per volontàdivina, era il punto di riferimento di ogni cosa.

Tanta implicita presunzione doveva prima o poi confrontarsi con una realtà ben diversa, nellaquale la razza umana conserva sì la sua importanza, ma solo come una delle tante manifestazionidella natura.

Questa nuova collocazione è stata ed è forse tuttora, per gran parte di noi, difficile da accettare,ma un'evoluzione interiore, verso la quale sono convinto che sia pur molto lentamente stiamoavviandoci, dovrebbe, dopo averci spogliati dell'indomabile senso dell'ego, portarci a comprendereche tutto ciò che esiste, anche se a diversi gradi di coscienza, proviene dalla stessa origine.

Il mondo di Galileo e di NewtonIl periodo classico della fisica, che prende le mosse dal XVI secolo e giunge fino alle soglie delNovecento, è quindi sotto certi aspetti paradossale: se da un lato segna infatti la riscoperta dei valori

umani nei confronti dell'eccessivo trascendentalismo del periodo antico, dall'altro proprio questocredito incondizionato conferito alla ragione va a ridimensionare l'importanza dell'uomo nell'ambitodel creato.

Il punto di svolta fu determinato dall'opera di due grandi geni della storia della fisica: GalileoGalilei e Isaac Newton.

Ancora una breve parentesi per un'ulteriore semplice ma importante definizione: nell'ambito deiSR (che abbiamo definito poc'anzi) quando due di essi siano in quiete tra loro o si muovano convelocità relativa costante, vengono chiamati inerziali.

Quando mi trovo sul balcone della mia casa costituisco un SR inerziale con l'inquilino del balconeaccanto o con chi si trova immobile sul marciapiede sotto il portone. Due automobili che viaggianosulla stessa strada, ma in senso opposto, entrambe a velocità costante sono anch'esse due SR inerzialitra loro. Non sarà invece così per il SR di due genitori rispetto a quello dei loro bambini che giranosulle vetture di una giostra, perché il moto circolare, presupponendo una velocità variabile (sia puresolo nella direzione), costituisce un SR non inerziale.

Detto questo, torniamo agli eventi che poco meno di cinquecento anni fa determinarono uncambiamento nella storia della scienza.

Con Galileo e Newton nacque un nuovo modo di intendere la ricerca dei significati del mondo fisico:occorreva attenersi ai fatti, trovare le regole che li governavano ed esprimere il tutto attraversoformule matematiche, con lo scopo di descrivere in modo preciso qualsiasi fenomeno della natura.

Fu così che il problema fondamentale dell'esame del moto, dopo ripetuti esperimenti, vennecodificato in un insieme di leggi che fu chiamato “meccanica”. In particolare la dinamica, quellaparte della meccanica stessa che riguarda il movimento in rapporto alle cause che lo producono,riprende il discorso di Aristotele per sovvertirne radicalmente i principi.

Prendiamo in esame quelle che sono conosciute come le prime due leggi della dinamica; essesono:

1. la legge d'inerzia, secondo la quale ogni corpo non soggetto a forze conserva il suo stato di moto,rimane cioè in quiete o si sposta a velocità costante.

2. la legge delle forze, che consiste nella famosa equazione F = m.a, secondo la quale qualsiasioggetto sottoposto a una forza esterna varia la sua velocità, cioè accelera o decelera, in modoproporzionale alla propria massa.

Dalla prima delle due leggi si deduce che nel nostro universo, se le forze sono assenti, lo statodinamico si conserva spontaneamente. Dalla seconda emerge poi che proprio queste ultime, che lafisica aristotelica sosteneva avessero il compito di mantenere il movimento di un corpo, intervengonoinvece solo per modificarlo.

Quando colpiamo con una stecca una palla da biliardo imprimiamo a essa una forza che ne cambialo stato di moto: dalla quiete la porta a muoversi con una certa velocità che chiameremo K. Talevelocità, dal valore iniziale impresso dalla stecca, lentamente decresce a causa dell'attrito cheesercita il piano d'appoggio.

Se ci trovassimo in una situazione ideale, se cioè l'attrito non ci fosse, la prima legge della dinamicaafferma che la palla non si fermerebbe più.

Sintetizzando, la spinta iniziale della stecca ha variato lo stato dinamico del corpo sferico, le

forze d'attrito lo variano di nuovo facendolo lentamente arrestare.Tornando all'esempio del treno proposto quando si è parlato della fisica aristotelica, se i vagoni

si spostano rispetto a noi con velocità costante essi costituiscono un SR inerziale; dalla prima leggedella dinamica deduciamo che non sono soggetti ad alcuna forza e, di conseguenza, anche le bigliesituate all'interno di uno di essi sono libere da sollecitazioni.

Relativamente a un osservatore situato sul treno esse risultano giustamente ferme, proprio come anoi appaiono ferme quelle vincolate alla superficie del tavolo posto sul prato.

Il SR del treno, procedendo a velocità costante, cioè ripetiamo senza subire accelerazioni odecelerazioni, dal punto di vista operativo è esattamente equivalente a quello di chi effettua lemisurazioni fermo a terra.

Ecco dunque cadere la posizione di privilegio che la fisica aristotelica conferiva al SR Terra,essendo le leggi fisiche rilevabili e calcolabili da qualsiasi altro SR con le caratteristiche ora viste.

Nel passaggio dal primo al secondo periodo della fisica dunque, l'uomo attua un rapportosperimentale con l'universo che lo circonda, senza subordinare la conoscenza a forme di fede o acredenze istintive.

Le conseguenze di questa trasformazione furono da una parte lo sviluppo tecnologico che produssesicuramente benessere, dall'altra l'abbandono di quegli aspetti della conoscenza che appartengono ailati più sottili della personalità. Questi, che erano presenti nei secoli precedenti al Rinascimento,seppure accompagnati da eccessivi condizionamenti religiosi, ora quasi per reazione, vengono invecetroppo trascurati.

Un giusto equilibrio tra razionalità e intuizione sarà la caratteristica del terzo periodo che ora ciaccingiamo a esaminare.

Nuovi fenomeniA tutti noi capita spesso di programmare la giornata.

“Oggi al termine del lavoro devo recarmi al supermercato per fare alcuni acquisti poi ...”.Oppure nei giorni di festa organizziamo mentalmente le varie fasi di una gita, stabilendo tappe e

orari.Non di rado questi progetti subiscono poi modifiche dovute al sopraggiungere di eventi nuovi e

imprevisti. Non è possibile conoscere con certezza ciò che accadrà fra un'ora o domani, se così fossemolte cose cambierebbero.

La storia della conoscenza scientifica è fatta di giornate, come la nostra vita. Tutto fila liscio inaccordo con le previsioni, a meno che non capiti qualcosa che non rientrava nei piani, qualcosamagari mai verificatosi prima, che modifica o addirittura rivoluziona l'andamento della normalequotidianità.

Proprio quando cresceva la convinzione che la fisica fosse avviata verso una sistemazionedeterministica dei fenomeni della natura per cui (come aveva detto Laplace) in teoria, conoscendo idati necessari che caratterizzano l'universo in un preciso istante, saremmo in grado di predire tutti gliistanti futuri, ecco spuntare l'elemento nuovo.

La nuova carta che andò a inserirsi nel vecchio, collaudato mazzo degli eventi del mondo e nefece mutare le regole del gioco fu la scoperta dei fenomeni elettromagnetici.

Essi vennero alla luce per la sempre più evidente interdipendenza che progressivamente si era andata

delineando tra elettricità e magnetismo, due rami della fisica sorti verso la fine del Settecento.Anche se non ne abbiamo in precedenza data una definizione, è abbastanza evidente che con il

termine campo intendiamo una regione di spazio entro la quale è rivelabile la presenza dell'ente chela genera. Una carica elettrica, per esempio, crea un campo elettrico e un magnete crea un campomagnetico, cioè una zona in cui è possibile avvertire la loro presenza.

Si scoprì che col movimento i due diversi fenomeni si producono a vicenda. Una correnteelettrica, che è la risultante di cariche elettriche in movimento, genera un campo magnetico e, a suavolta, il moto di un magnete dà luogo a campi elettrici. In natura si istaura così un processo a catenail cui risultato, comprendente le due diverse caratteristiche, acquista proprietà dinamichepropagandosi nello spazio circostante sottoforma di moto ondulatorio. Ecco quindi che un campoelettromagnetico troverà sempre espressione quale insieme di onde elettromagnetiche.

La situazione è molto simile a quanto accade all'acqua di uno stagno, se applichiamo in unqualsiasi punto della sua estensione una sorgente d'energia, come per esempio un motore, osemplicemente un getto continuo di liquido, che crei delle perturbazioni regolari nel tempo.Nasceranno delle tipiche onde concentriche che, propagandosi uniformemente in tutte le direzioni,deformeranno la superficie dell'acqua.

Le onde elettromagnetiche hanno la sola differenza di portare la loro azione, che è l'effetto di unasituazione perturbativa di origine diversa, in un ambiente tridimensionale come lo spazio.

Le novità che il nuovo tipo di fenomeno ondulatorio presentava rispetto alle conoscenze fisichedel tempo vennero alla luce nella seconda metà dell'Ottocento, per opera del fisico scozzese JamesClerck Maxwell.

Egli codificò in un insieme di equazioni tutte le proprietà di questi campi dalle quali emerse chela luce, la cui natura fino ad allora era stata considerata del tutto particolare, non era altro che unadelle tante radiazioni elettromagnetiche, identificata da una ristretta banda di lunghezze d'onda.

Dalle equazioni di Maxwell si deduceva poi che la velocità di propagazione di questo tipo dionde, comprese quindi quelle luminose, era finita, anche se molto elevata in confronto a quelleriscontrabili nella nostra esperienza quotidiana: 300.000 km al secondo!

Eccoci davanti a una prima novità: l'uomo fino a ora aveva sempre supposto che l'informazioneluminosa viaggiasse a un velocità infinita.

La differenza è abissale.In quest'ultimo caso, infatti, il segnale emesso da una qualsiasi sorgente di luce raggiungerebbe

istantaneamente ogni più remoto angolo dell'universo, consentendo (in teoria) una visionecontemporanea di tutto quello che esiste.

Sarà invece proprio la propagazione non più istantanea il punto d'inizio per un approcciofondamentalmente diverso con il reale, nel quale le categorie temporali non saranno più suscettibilidi distinzioni nette e statiche e il tempo stesso, come vedremo, andrà progressivamente ainterrelazionarsi con lo spazio, contrariamente a quanto la logica suggerirebbe.

Già il valore finito della velocità della luce, che viene comunemente indicato con la lettera c, è diper sé spunto per interessanti osservazioni, che probabilmente prima dell'Ottocento sarebberosembrate assurde.

Forse ancora ai nostri giorni poche persone rifletteranno sul fatto che, sollevando lo sguardo dinotte verso la volta stellata, non vediamo solo lo spazio bensì uno spazio nel tempo; sopra di noi èpresente infatti un mosaico di angoli dell'universo, testimoni dei più svariati momenti della suastoria.

Quando leggiamo nei testi di astronomia che Sirio, la più brillante stella del cielo, è lontana danoi nove anni luce o che l'astro gigante Antares ne dista cinquecentoventi, vuol dire che la luceimpiega esattamente quel periodo di tempo per giungere fino a noi. La conseguenza, che deve esserestata abbastanza sconvolgente per coloro che per primi dovettero familiarizzarvi, è che i nostri occhivedono i corpi celesti non come sono ora, ma come erano in determinati momenti del loro passato,nel nostro caso nove e cinquecentoventi anni or sono.

Niente di ciò che appare nell'universo appartiene al momento presente: ogni raggio luminososcandisce infatti un istante di storia che probabilmente non abbiamo vissuto.

La prima conclusione che possiamo trarre è quindi che lo spazio e il tempo, per distanze moltograndi, sembrano stabilire tra loro una sorta di collegamento.

La teoria di Einstein, analizzando le grandi velocità, perfezionerà questo rapporto stabilendo tra ledue categorie un legame inscindibile.

Per iniziare a esaminare questa teoria occorre ripartire dalle equazioni di Maxwell che, comeabbiamo detto, riassumono le proprietà dei campi elettromagnetici.

In queste equazioni era presente il termine c, che esprime la velocità della luce. Noi sappiamo, daquanto Galileo e Newton stabilirono, che le leggi della fisica sono le stesse in tutti i SR inerziali,sistemi che, come abbiamo visto, differiscono tra loro per un fattore di velocità.

Siamo di fronte a un fenomeno contraddittorio.Le nuove leggi, infatti, al pari delle altre a esse preesistenti, avrebbero dovuto conservarsi

invariate nei vari SR inerziali e di conseguenza anche la velocità c delle onde elettromagnetiche, checompare nelle loro equazioni, non avrebbe dovuto subire cambiamenti.

Proveremo a essere più chiari.Analizziamo questa situazione: io sto fermo ai bordi di un marciapiede e un'autovettura A mi

passa davanti a cinquanta km all'ora. Un'altra auto B procede alla stessa velocità, ma in sensoopposto; per il conducente di quest'ultima la valutazione della velocità di A sarà diversa dalla mia?(Fig.10)

Figura 10

Il nostro buon senso risponde affermativamente e le leggi della meccanica classica lo confermano: Aviaggerà a cinquanta km/h rispetto a me e a cento km/h rispetto a B.

Consideriamo ora una sorgente luminosa, per esempio il Sole: i suoi raggi giungono sul nostropianeta con la velocità c. Un'astronave parte dirigendosi verso l'astro e mantiene da un certo punto inpoi del suo viaggio una velocità costante (= v), costituendo in tal modo un SR inerziale con la Terra.

Misurando la velocità delle onde luminose emesse dal Sole a bordo dell'astronave dovremmo

trovare, in linea con l'esempio precedente e perfettamente in accordo con il senso comune, il valorec+v che è diverso da quello c rilevato sulla Terra (Fig.11)

Figura 11

In questo modo, però, la luce avrebbe una velocità diversa nel passare da un SR inerziale a un altro ele equazioni di Maxwell subirebbero anch'esse un cambiamento non rientrando più nel novero delleleggi di natura.

Per ovviare a questo inconveniente, dovremmo perciò supporre che i raggi luminosi abbianosempre la stessa velocità indipendentemente dal SR inerziale dal quale essa viene calcolata.

In pratica le misurazioni del nostro razzo in rotta verso il Sole dovrebbero essere le stesse diquelle effettuate sulla Terra, anche se logicamente ciò non sembra possibile.

Dopo molti esperimenti si giunse inaspettatamente a tali conclusioni.Tuttavia, nessuno era in grado di risolvere il problema di come fosse possibile attribuire alla luce

un siffatto comportamento e per quale motivo essa si muovesse con la stessa velocità rispetto aqualsiasi osservatore.

La RelativitàFu Albert Einstein con la sua Teoria della Relatività a risolvere questo paradosso logico che avevadeterminato la crisi della fisica classica.

Non ripercorreremo le varie tappe che costituiscono le premesse della teoria, appesantiremmoun'esposizione già non del tutto semplice. Baderemo invece a focalizzare la nostra attenzione sualcuni concetti, realizzando una chiara sequenza teorica che ci conduca alle sorprendenti conclusionicui Einstein arrivò.

Egli fece pressappoco questo ragionamento: se i raggi luminosi hanno la stessa velocità perqualsiasi osservatore, sia che esso vada loro incontro o proceda nello stesso verso, vorrà dire che lavelocità stessa, nel passaggio da una situazione a un'altra, subirà un “mutamento interno”.

Cosa vuol dire?Sappiamo che la velocità è una grandezza fisica risultante dal rapporto tra spazio e tempo:

viaggiare a cento km orari significa percorrere in un'ora cento km. È ovvio che due viaggiatori che

procedano in senso opposto, ciascuno alla velocità di cento km/h, per esempio a bordo di due treniche si incrociano lungo due binari paralleli, valuteranno la loro velocità relativa duecento km/h: inun'ora i due viaggiatori si allontaneranno cioè di duecento km.

Se al posto dei treni consideriamo due raggi luminosi (che per semplicità supponiamo procedanoanch'essi alla velocità di cento km/h, anche se chiaramente non è così), data la particolarità dellainvarianza di cui abbiamo finora parlato, essi si allontaneranno tra loro solamente cento km, purpercorrendo ognuno dei due separatamente questa distanza nell'arco dell'ora.

Qual è dunque la soluzione?L'unica possibilità è che lo spazio e il tempo operino un particolare cambiamento, dilatandosi o

contraendosi, ma in modo da conservare sempre il medesimo valore “esterno” dato dal loro rapportorisultante: la velocità.

Einstein giunse a queste conclusioni facendo tesoro di un gruppo di equazioni formulate verso lafine dell'Ottocento da un eminente fisico olandese di nome Hendryck Lorentz. Tali equazioni, chedescrivevano i cambiamenti che avvengono passando da un SR a un altro, andavano a sostituirequelle di Galileo della fisica classica e presentavano, per la prima volta, una variabilità per le duecategorie dello spazio e del tempo.

La circostanza, del tutto inedita, però non era stata dallo stesso ideatore interpretata nel modocorretto; la variabilità fu pensata più come un'azione dovuta alla presenza di un ipotetico mezzo ditrasporto chiamato etere che come una caratteristica intrinseca delle grandezze fisiche in questione.

Il grande merito di Einstein fu quello di creare un nuovo modo di intendere la fisica, decifrandocorrettamente ciò che Lorentz, pur con tutto il merito della scoperta, non era riuscito a comprendere.

Questo episodio ci rammenta ancora una volta quanta saggezza ci sia nelle affermazionitramandateci dall'antico Oriente: “La realtà non deve essere inventata, va scoperta ma esiste già.L'illuminazione non è nulla di speciale, è al contrario uno dei fenomeni naturali più elementari cheesistano” e forse, aggiungiamo noi, proprio per questo è divenuto così difficile e lontano dall'uomomoderno.

Nei momenti di maggior ispirazione della nostra vita è possibile percepire l'impalpabile contattocon l'autenticità delle cose pur sempre sfuggente. Personalmente sono convinto che abbiamocostantemente davanti ai nostri occhi una sorta di realtà mascherata, che solo particolari stati dicoscienza ci consentono di afferrare.

Quando ci liberiamo, anche se parzialmente, dalle catene della razionalità e della conoscenzaconvenzionale ci invade la sensazione di essere in un mondo diverso, nel quale molte delle categorieordinarie vengono meno.

Ed è così che intravediamo la mancanza di senso di assoluti come lo spazio, il tempo, la causalitàe infine l'io.

Einstein credeva fermamente che per l'evoluzione delle idee scientifiche occorressero menti sìgeniali, ma anche libere da pregiudizi o principi di autorità e sicuramente la chiave di lettura delleequazioni di Lorentz poteva venire alla luce solo per opera di uno scienziato che avesse il coraggiodi agire in questo senso.

Andiamo con ordine e iniziamo col dire che egli, prendendo atto dei risultati sperimentali ottenuti inquel periodo ed essendo convinto che occorresse costruire una teoria generalizzata, checomprendesse anche i fenomeni elettromagnetici, partì da due presupposti:

1. la velocità della luce, che è la massima raggiungibile in natura, è sempre la stessa da

qualsiasi SR inerziale venga osservata;2. le leggi naturali, di cui ora fanno parte anche quelle elettromagnetiche, sono sempre le stesse

per tutti i possibili SR inerziali.

Va da sé che le leggi atte a descrivere il passaggio da un SR inerziale a un altro (cioè quelle formuledeputate a indicare per esempio come cambiano le posizioni spaziali o le velocità), non potranno piùessere quelle classiche formulate da Galileo. Einstein pensò che quelle di Lorentz, di cui abbiamoparlato poco fa, fossero le più adatte per la nuova situazione.

Queste ultime, come abbiamo accennato, presupponevano uno spazio e un tempo non più assolutima variabili in dipendenza dal punto d'osservazione (SR), il che equivale a dire che il tempo nonscorre per tutti nello stesso modo e che l'estensione spaziale può avere valutazioni diverse.

Entriamo nei dettagli e analizziamo schematicamente le varie osservazioni compiute da Einsteinper arrivare alle sue conclusioni.

Il tempo cambiaPremettiamo che il tempo assoluto, già dopo la scoperta del valore finito c della velocità della luce,non era più una realtà sperimentabile.

Se in ogni punto dell'universo infatti si potessero porre degli orologi perfettamente sincronizzatitra loro, a ogni rilevazione contemporanea essi dovrebbero segnare sempre la medesima ora. Macome effettuare la misurazione?

Ipotizziamo di voler rilevare nello stesso istante l'orario di tre corpi celesti che chiamiamo A, B eC (Fig.12). Inviamo a tale scopo contemporaneamente verso ognuno di essi una richiesta di notiziesulla data e l'ora locale, chiedendo che facciano partire il messaggio di risposta esattamente un'oradopo aver ricevuto quello della nostra domanda.

Supponiamo che A disti da noi un anno luce, che B ne disti cinque e che C ne disti dieci.Nell'universo di Newton, nel quale i segnali luminosi venivano ritenuti istantanei, i nostri messaggigiungerebbero alle tre destinazioni nello stesso momento. Supposto che i destinatari siano ligi allenostre istruzioni per l'inoltro delle loro risposte, potremmo asserire con assoluta certezza che i loromessaggi inizierebbero simultaneamente il viaggio verso la Terra e altrettanto simultaneamente laraggiungerebbero.

Figura 12

Così, se gli orologi erano stati in precedenza sincronizzati, ci accorgeremmo che essi continuano asegnare esattamente il medesimo orario.

Ma ahimè, gli eventi della natura non contemplano questa possibilità, perché il nuovo universospazio-temporale pone il limite c all'informazione luminosa e questo comporta delle significativecorrezioni al procedimento ora illustrato.

Accadrà allora che i messaggi, partiti dalla Terra contemporaneamente, giungeranno su A dopo unanno, su B dopo cinque e su C dopo dieci anni. È evidente che le risposte che riceveremo, ognunadopo il doppio del tempo, cioè dopo due, dieci, vent'anni non ci potranno riportare tre orarisincronizzati!

Il tempo assoluto, dunque, non è una realtà sperimentabile. Einstein, spingendosi molto oltre taliconclusioni, arrivò a sostenere che il concetto stesso di tempo assoluto è addirittura privo di senso.

Egli affermò infatti che, anche se per assurdo fosse possibile in qualche modo rilevarecontemporaneamente i segnali di orologi sparsi nell'universo e precedentemente sincronizzati, nonavremmo alcuna garanzia che tali sincronizzazioni possano conservarsi.

Tutto è in movimento e proprio questa condizione, unita allo strano comportamento della luce,determina l'impossibilità di definire un tempo omogeneo.

Renderemo le cose più chiare con un esempio.Ci troviamo a bordo di un'astronave che procede a velocità molto elevata ma, come al solito,

costante. Nel suo interno, al centro di una grande cabina vi sia una sorgente luminosa per esempiouna lampadina L e sulle pareti, alla stessa distanza da L due rivelatori ottici A e B che si illuminino acontatto con impulsi luminosi. Se accendiamo la lampadina i due rivelatori, raggiunticontemporaneamente dai raggi, altrettanto contemporaneamente manderanno i loro segnali.

Ora supponiamo che ci sia un altro osservatore, che si trovi invece sulla Terra a guardare lanostra nave spaziale. Se potesse distinguere l'interno della cabina, vedrebbe illuminarsi prima ilrivelatore che occupa la posizione posteriore nella direzione del moto, nel nostro caso A (Fig.13).

Figura 13

Questo perché A si muove incontro al raggio luminoso, mentre B se ne allontana. Poiché entrambi iraggi infatti, è bene ricordarlo, procedono a velocità c, A accorcia la distanza e B la allunga.

In conclusione, due eventi che appaiono contemporanei sull'astronave non sembrano tali seosservati dalla Terra.

È importante notare come sia fondamentale la costanza di c.Se per la luce, infatti, valesse la stessa legge della composizione delle velocità che regola i moti

della nostra esperienza ordinaria, il raggio che procede verso A avrebbe, per l'osservatore sullaTerra, velocità c – v, il raggio che si muove verso B avrebbe velocità c + v, dove v è la velocitàdell'astronave, diretta in senso opposto a c nel primo caso, in senso concorde nel secondo.

Il risultato di questa disuguaglianza sarebbe quello di compensare la differenza dei tragitti dei dueraggi e rendere quindi i due eventi contemporanei anche per il secondo osservatore.

Alla relatività della contemporaneità, per logica, consegue la relatività della durata. Questo perchédire che due eventi simultanei in un SR (cioè separati da un intervallo di tempo = 0) risulterannosuccessivi (cioè separati da un intervallo di tempo > 0) in un altro SR inerziale con il primo,equivale ad attribuire al fattore velocità la proprietà di accrescere la durata temporale.

Anche in questo caso ci aiutiamo con una semplice dimostrazione visiva.

Figura 14

Da un punto O viene emesso un segnale luminoso diretto verso uno specchio S, il quale lo rifletteràverso il luogo d'origine (Fig.14).

Lo spazio percorso dal segnale una volta che questo sarà tornato indietro sarà due volte ladistanza tra il punto di partenza e lo specchio, sarà cioè uguale a 2 OS.

Dalla nota formula fisica, che definisce la velocità come rapporto tra lo spazio percorso e il

tempo impiegato a percorrerlo (v = s/t) otteniamo che il tempo trascorso dall'invio alla ricezione delsegnale è t = s/v = 2 OS/c.

Supponiamo ora che il sistema specchio-sorgente di luce non sia situato sulla terraferma, ma siavincolato alla solita nostra astronave che viaggia nel cosmo a velocità molto elevata. Per chi si trovaall'interno di essa, accade esattamente quanto abbiamo descritto poco fa per un SR fisso, ma per chiosserva gli avvenimenti di bordo dalla Terra ancora una volta le cose vanno diversamente.

Secondo quest'ultimo punto di vista infatti il segnale, nell'intervallo di tempo che intercorredall'invio alla ricezione, avrà percorso una distanza maggiore che nel caso precedente, a causa delmoto dell'astronave che va a sommarsi a quello del raggio luminoso (Fig.15).

Figura 15

Poiché, di conseguenza, anche la durata temporale relativa al doppio percorso, ricordando la formulat = s/v, sarà più lunga, possiamo concludere che al giudizio di un osservatore fisso il tempoall'interno di un SR inerziale scorre più lentamente.

Più precisamente, analizzando le equazioni di trasformazione di Lorentz, si vede che più alta è lavelocità più lo scorrere degli istanti, valutato da un altro SR con esso inerziale, tende a rallentarefino a fermarsi (al limite) quando si sta per raggiungere la velocità c, che è la massima, almeno perquanto ne sappiamo attualmente, che la natura consenta.

È importante considerare che la situazione si presenta perfettamente simmetrica, non per niente lateoria fu chiamata “della Relatività”. Questo vuol dire che, chi si trova nella nave spaziale aosservare gli eventi della Terra, vedrà questi ultimi scorrere più lentamente dei propri.

Vedremo fra breve, quando parleremo del “paradosso dei gemelli”, come tale apparentecontrosenso venga superato.

Precisiamo, per tranquillizzare il lettore, che il fenomeno di “dilatazione temporale” comunque èdi scarsissima rilevanza per gli eventi della nostra quotidianità ed è forse per questo che fu scopertosolo un secolo fa con un procedimento del tutto particolare: non fu tanto l'osservazione dei fatti,quanto un'analisi intuitiva degli stessi a condurre alla verità.

Tanto per fare un esempio, per un aereo che voli a mille km all'ora vedremmo che gli orologi abordo rallentano di circa cento miliardesimi di secondo al giorno. Ma su una nave spaziale che, in unfuturo forse ancora abbastanza lontano, si muoverà a duecentocinquantamila km al secondo,vedremmo il tempo dimezzato rispetto al nostro: ogni ventiquattr'ore i suoi orologi resterannoindietro di dodici!

Dunque la luce ci riserva una sorpresa dietro l'altra. Dopo aver preso coscienza che non esiste un

tempo universale ora veniamo a contatto con una nuova realtà, in cui né contemporaneità né duratasono assolute. Le conseguenze, come vedremo fra poco, ribalteranno alcune posizioni concettualiormai acquisite dal senso comune, confinando il significato del tempo stesso a mera categoria dellamente: quell'aspetto della psiche cioè, che permette di ottenere la percezione del mutamentodell'universo materiale.

Rimane ancora, per completare l'analisi della teoria, da esaminare cosa accade allo spazioquando si è alle prese con le alte velocità, o per usare termini più scientifici, in condizionirelativistiche, che sono poi le più comuni in ambienti lontani dalla nostra quotidianità come gli spazisiderali.

Lo spazio è elasticoMisurare un'estensione spaziale vuol dire confrontare quest'ultima con una lunghezza giàpredeterminata, come per esempio un'asta rigida graduata con tale lunghezza, in modo tale che possaagire da unità di misura. Quantificheremo in questo modo l'estensione, calcolando quante volte ciòche vogliamo esaminare è più lungo del campione scelto.

Perché l'operazione sia possibile, i due oggetti ovviamente dovranno essere in quiete tra loro.Supponiamo ora che i nostri osservatori, dopo essersi ripresi dallo stupore causato loro dal

diverso scorrere del tempo, si siano oltremodo insospettiti per il comportamento che la natura riservaai fenomeni che sfuggono alla quotidianità e decidano di confrontare le misurazioni che ognuno diloro compie sulle lunghezze spaziali.

Poiché chi è fermo sulla Terra non potrà usare un'asta graduata per calcolare le distanze a bordodi un veicolo che gli sfreccia davanti, ricorreremo a un altro metodo di misura. Esso si basa sullaconsiderazione che, se sono fermo e voglio conoscere la lunghezza di un corpo in moto, di cuiconosco la velocità, mi basterà rilevare i tempi del passaggio dei suoi estremi davanti a un traguardofisso.

Ciò che cerco risulterà dalla semplice relazione s = v x t (ottenuta dalla v = s/t), dove nel nostrocaso s è la lunghezza incognita, v la velocità della nave spaziale e t l'intervallo di tempo cheintercorre tra le due rilevazioni.

Ora siamo pronti per vedere se, e nel caso affermativo in quale misura, ci sarà differenza tra ledue misurazioni effettuate dall'interno del SR mobile e dal SR fisso cioè dalla Terra.

Colui che viaggia nello spazio, supponiamo come al solito a velocità v molto elevata e costante,potrà dunque misurare la lunghezza del suo veicolo, calcolando l'intervallo di tempo intercorso tra ilpassaggio della prua A e della poppa B davanti al traguardo Z. Dalla formula s = v x t, ripetiamo,sarà semplice rilevare la lunghezza AB. L'osservatore “fisso”, che si trova all'esterno della navespaziale, eseguirà esattamente lo stesso tipo di misurazione, rilevando il passaggio dei due puntiestremi davanti al traguardo (Fig.16).

Figura 16

Per il fenomeno della dilatazione temporale, però, questo osservatore vede i tempi di bordorallentati, il che equivale a dire che le sue durate saranno più brevi rispetto a quelle di chi si trova inviaggio. Ne consegue che il tempo da lui misurato tra i due passaggi risulterà più breve.

Dalla formula di prima consegue che anche la lunghezza spaziale del veicolo, essendodirettamente proporzionale al tempo stesso, apparirà minore.

Ecco allora, in definitiva, che l'osservatore fisso vedrà le lunghezze dell'astronave mobilecontrarsi.

Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte a proposito della relatività del tempo, circala perfetta simmetria del fenomeno rispetto ai due osservatori nonché sulla non rilevabilità dellostesso nelle situazioni della nostra quotidianità che presentano velocità molto inferiori a quella dellaluce.

SpaziotempoFinora abbiamo costatato che le due categorie dello spazio e del tempo, in condizioni relativistiche,cioè a grandi velocità, perdono la loro assolutezza. Vengono infatti valutate in modo diverso, aseconda delle condizioni di moto di chi ne fa misura. A velocità crescenti lo spazio tende a contrarsisempre più, mentre il tempo al contrario si espande.

Il tutto ci fa pensare a una qualche forma di collegamento tra queste due categorie, come fosserocaratteristiche parziali di un fenomeno più ampio e generale.

L'eterno gioco degli opposti, yin e yang, ci torna ancora alla mente.Ebbene, ricordate che le considerazioni da cui prese le mosse la teoria riguardavano la costanza

assoluta della velocità della luce?Si disse allora che, perché questo avvenga rispetto a qualsiasi SR, occorre che le sue componenti,

spazio e tempo, divengano variabili ma dipendenti una dall'altra secondo particolari regole.La teoria ha stabilito quali sono queste regole, arrivando a formulare una relazione matematica

che esprime le caratteristiche di questo legame. Da questa relazione nasce una nuova entità fisica, cheha il pregio di essere sempre la stessa per ogni condizione di osservazione, quindi si tratta di unassoluto: lo spaziotempo.

Lo possiamo paragonare a un foglio elastico avente una figura geometrica ben precisa, peresempio un quadrato di area A i cui lati orizzontali rappresentino lo spazio e quelli verticali il tempo(Fig.17).

Se su di esso non agiscono sollecitazioni, la sua forma rimarrà inalterata e le due dimensioni

saranno uguali per qualsiasi osservatore.

Figura 17

Tuttavia, l'equilibrio viene rotto applicando una qualsiasi forza meccanica lungo una delle duedirezioni parallele ai lati, per cui il quadrato diverrà un rettangolo con la base maggiore dell'altezzao viceversa. L'area di questa figura geometrica variabile, però, (ed è questo il punto fondamentale)rimarrà sempre la stessa.

In un universo in continuo movimento, quale il nostro, ogni SR imita un simile comportamento. Aun'osservazione esterna, cioè, ogni stato di moto sembra immergersi in situazioni di maggiore spazioe minor tempo o, al contrario, di maggior tempo e minore spazio, esattamente come la base e l'altezzadi un rettangolo si invertono a seconda dei punti di vista, ma conservano inalterato il loro prodotto.

È chiaro a questo punto che d'ora in poi non avrà quindi più senso parlare di una delle duecategorie senza prendere in considerazione anche l'altra.

Non esistono punti spaziali o istanti temporali o, per meglio dire, essi scaturiscono solo dal nostrolimitato modo di percepire il mondo. Se si riesce ad aggirare questo ostacolo, appare una realtàcostituita solo da eventi spaziotemporali e quindi non percepibile con gli ordinari mezzi diconoscenza. Quello che comunemente chiamiamo oggetto e ciò che abitualmente definiamo istantehanno un carattere estremamente effimero e instabile. Come un pugno svanisce quando la mano vieneaperta, così qualsiasi cosa ha il carattere della transitorietà; persino noi esseri viventi non siamoaltro che una continua successione di eventi, il cui assemblaggio crea l'illusione di quel complessoorganizzato e apparentemente inscindibile che chiamiamo individuo.

Il presente relativoCrediamo sia ormai chiaro che la Teoria della Relatività, oltre a costituire lo spunto per profonderiflessioni filosofiche, implichi anche sconvolgenti conseguenze pratiche.

Per entrare in merito ad alcuni esempi particolarmente singolari, esamineremo ora l'aspetto forsepiù innovativo e paradossale della teoria stessa. La fisica classica che, come abbiamo più voltericordato, rispecchia perfettamente le posizioni del nostro senso comune, ripartiva il tempo nelle trecategorie di passato, presente e futuro. Di esse il presente, ambiguo e impercettibile, sempre in bilicotra essere e non essere, fungeva da linea di demarcazione tra i due più consistenti compagni. In effettile parole “ora”, “in questo momento”, svaniscono nello stesso istante in cui vengono pronunciate,dando netta la sensazione della transitorietà di ogni nostra esperienza.

Newton rappresentò il nostro universo temporale con il grafico che riportiamo di seguito, dovesull'asse orizzontale, o delle ascisse, compare lo spazio e su quello verticale, o delle ordinate, iltempo (Fig.18).

Figura 18

In questa figura ogni retta parallela all'asse delle ascisse comprende tutti i punti dello spazio in unistante determinato. Rappresenta cioè quello che avviene ora, sia qui dove mi trovo io che a NewYork o sulla Luna o ancora in un lontano punto dello spazio e così via.

La chiameremo linea di contemporaneità ed è ciò che comunemente intendiamo con il termine“presente”.

Muovendosi parallelamente a se stessa e con regolarità dal basso verso l'alto, dal passato verso ilfuturo, essa raffigura la nostra percezione del tempo.

La fisica classica riteneva di conseguenza possibile in teoria fotografare in qualsiasi momentol'universo e avere una visione globale di tutti gli avvenimenti che contemporaneamente in essoaccadono: l'universo consiste in una successione infinita di stati di contemporaneità.

Queste considerazioni così “evidenti e logiche” non sono mai state poste in dubbio nemmeno dagliaddetti ai lavori, fino a quando...

Fino a quando, ripetiamo, il comportamento anomalo della velocità della luce, che agli inizi delNovecento ispirava il genio di Einstein dando vita alla Teoria della Relatività, spazzava via anche lalineare e credibile rappresentazione newtoniana.

Il ragionamento da fare risultava paradossalmente molto semplice: il presente è l'insieme deglieventi che accadono contemporaneamente; tuttavia, poiché ricordando quanto detto a proposito deglieffetti relativistici sul tempo, da diversi SR si dissente su quali siano gli eventi da giudicarecontemporanei, possiamo concludere che dagli stessi SR si debba dissentire sul significato da dareallo stesso termine “presente”.

Più semplicemente possiamo dire che esso cambia al mutare dello stato di moto in cui ci si trova.È ovvio che stando così le cose non esisterà più una linea di contemporaneità universale e la

descrizione di Newton dovrà essere sostituita da qualcosa di più adeguato. Vediamo.

Lo spazio sia rappresentato sempre sull'asse orizzontale e il tempo su quello verticale. Le traiettoriedei raggi luminosi, che come abbiamo visto hanno un'importanza fondamentale per determinare lecategorie temporali, siano le bisettrici dei quattro quadranti (Fig.19)

Figura 19

Ci appariranno due coni con angolo al vertice di 90°. Di essi quello che si sviluppa verso il basso,col vertice quindi in alto, contiene gli eventi passati, quello rivolto invece verso l'alto col vertice inbasso corrisponde al nostro futuro.

L'enorme differenza rispetto alla rappresentazione precedente consiste nelle vaste regionirimanenti che nella figura sono contrassegnate con P1 e P2.

Avendo già identificato le due zone del passato e del futuro, è intuibile che queste corrispondanoal presente relativo e, osservando il disegno, potremo chiarirne più facilmente alcuni aspetti.

Dicevamo poco fa che, a seconda del SR in cui ci si trova, cambia l'insieme degli eventicontemporanei, quindi il presente.

Questo comporta che la linea di contemporaneità, che nella descrizione di Newton consistevanell'asse orizzontale ed era uguale per tutti, ora dovrà variare; ed è proprio questo il significato delleregioni P1 e P2: esse comprendono un insieme teoricamente infinito di queste linee, come infinitesono le possibilità di osservazione.

La nuova regione del presente relativo, che va ad aggiungersi al passato e al futuro assoluti,presuppone una categoria di eventi che potremmo definire ambigui.

Un evento verificatosi un anno fa su un corpo celeste a dieci anni luce di distanza da noi è senzadubbio per logica da considerarsi passato ma, al contrario, non fa parte del nostro passato assoluto.

Può sembrare un gioco di parole e invece questa affermazione nasconde un concetto moltoimportante: non esiste in natura alcun segnale in grado di partire da quell'evento e giungere ora sullanostra Terra per darcene notizia. Perché ciò avvenga dovranno trascorrere altri nove anni.

D'altro canto un evento che accadrà tra un anno sullo stesso corpo celeste non farà mai parte delnostro futuro assoluto, in quanto non potremo in alcun modo influenzarlo: non sarà per noi possibileinfatti né inviare segnali né tanto meno trasferirci in quel luogo entro un anno, a meno che nonriuscissimo a spostarci più veloci della luce.

In definitiva questa velocità limite crea una sorta di “terra di nessuno”, di eventi tra loro slegati acausa della precarietà della reciproca informazione e sui quali si potrà agire in un solo modo:collegandoli mediante linee di contemporaneità o, in termini più semplici, facendoli rientrare nelmedesimo presente.

Riassumendo, la nuova rappresentazione dello spaziotempo, che fu chiamata “cronotopo diMinkowski” in omaggio all'illustre matematico suo ideatore, riconosce ancora le tre categorietemporali però con diverse caratteristiche.

I due coni P e F costituiscono gli insiemi degli eventi rispettivamente del passato e del futuro esono legati a O da intervalli di tipo temporale. Questo vuol dire che, scelti due di tali eventi apiacere, sarà sempre possibile costruire una linea oraria che li comprenda entrambi: se ci troviamoin O possiamo aver vissuto qualsiasi evento di P e potremo vivere qualsiasi evento di F, basta porsisul giusto SR.

Sempre per chiarire con un esempio, chi ha più di venti anni potrebbe aver vissuto da vicinol'evento della vittoria dell'Italia ai Campionati del mondo di calcio del 1982: bastava in quel periodorecarsi in Spagna. Come chiunque potrà assistere alle prossime Olimpiadi, perché sarà sufficienterecarsi sul posto in cui avverrà la manifestazione ed essere disposti a sostenere le spese di una lungavacanza.

Al contrario vi sono avvenimenti che non possono essere tra loro messi in comunicazione con talesemplicità e sono proprio quelli di cui parlavamo poc'anzi. Nelle due regioni P1 e P2 ci sono ineffetti eventi che appartengono e non appartengono al passato e al futuro e nemmeno sonocontemporanei a O.

Di essi alcuni, in base al nostro SR (quindi in base al nostro moto in seno all'universo) potranno,di volta in volta, essere resi contemporanei e altri no. La nostra velocità determinerà la linea dicontemporaneità e di conseguenza l'insieme degli eventi che costituiscono il nostro presente relativo(Fig.20).

Figura 20

Il paradosso dei gemelliFaremo ora alcune considerazioni sulle conseguenze della Teoria della Relatività. Potremo cosìrenderci conto di quanto le intuizioni di Einstein potrebbero, in un prossimo futuro, cambiarel'esistenza dell'umanità. Nell'epoca attuale, infatti, le velocità in gioco sono ancora troppo basse perpoter percepire effetti relativistici ma, quando l'uomo riuscirà a viaggiare nel cosmo verso i pianetipiù remoti del Sistema solare e oltre, vorrà dire che sarà in grado di muoversi molto velocemente.Dovrà fare allora i conti con strani fenomeni...

Il fenomeno della dilatazione temporale determina quello che viene ormai universalmente

conosciuto come il “paradosso dei gemelli”.Supponiamo che in un'epoca di viaggi interstellari vivano due gemelli di trent'anni. Uno di essi

svolge una vita del tutto normale; un lavoro tranquillo e una famiglia a cui è molto affezionato loportano a condurre un'esistenza piuttosto sedentaria, ma di cui è soddisfatto.

L'altro, di carattere più irrequieto e avventuroso, è un astronauta e sta per intraprendere un lungoviaggio che lo porterà in prossimità della stella più vicina alla Terra, Proxima, nella Costellazionedel Centauro, distante quattro anni luce. Egli dovrà circumnavigare l'astro e fotografare una zona cheultimamente sembra aver rivelato la presenza di alcuni corpi celesti che potrebbero essere pianeti,per poi far ritorno.

La sua astronave toccherà naturalmente velocità molto elevate vicine a quella della luce. LaTeoria della Relatività ci consente di calcolare come procede il tempo sia sul SR Terra che su quellomobile del gemello viaggiante. I risultati sentenzieranno che proprio per quest'ultimo esso scorre piùlentamente e di conseguenza anche quei fenomeni biologici che determinano l'invecchiamentotenderanno a ritardare.

Così quando tornerà sulla Terra dopo un viaggio per lui durato due anni troverà il suo gemello cheormai ha superato abbondantemente la cinquantina.

Va fatta una precisazione: quando parlammo della dilatazione temporale di un SR inerzialerispetto a un altro precisammo che il fenomeno era del tutto reversibile. Nel senso che se in A iltempo rallenta rispetto a B, la stessa cosa sarà per B nei confronti di A.

Nel nostro caso l'astronauta dovrebbe trovare il tempo rallentato sul SR della Terra, per cui lasituazione paradossale sarebbe invertita: ora lui sarebbe più vecchio del suo gemello rimasto adattenderlo.

Che senso avrebbe allora la Relatività se approdasse a situazioni operativamente impossibili oltreche assurde?

Nelle pagine di introduzione alla Teoria abbiamo omesso di dire che essa si divide in due parti.La prima di esse, quella che abbiamo ora sommariamente analizzato, è la Relatività ristretta, chegiunge come abbiamo visto a un nuovo concetto unificato dello spazio e del tempo.

La seconda, chiamata Relatività generale, esula dagli scopi della presente trattazione; essaopera, per così dire, una critica alle forze gravitazionali creando un modo completamente nuovo divedere l'universo. Ecco, proprio questa seconda parte della teoria, che interpreta la gravità come unageometria, spezza quella situazione di simmetria nel paradosso dei gemelli; tra loro esiste unadifferenza: colui che rimane sulla Terra è in un SR inerziale, l'altro no, perché per compiere ilviaggio dovrà necessariamente essere sottoposto a forze di accelerazione. Proprio queste ultime, deltutto equivalenti secondo la Relatività generale alle forze gravitazionali, saranno le responsabili delrallentamento del tempo e della contrazione dello spazio.

L'argomento ora trattato è ormai scientificamente provato e dovremo a poco a poco familiarizzarecon esso, perché in un futuro, prossimo o remoto che sia, costituirà una questione da affrontare ecredo che comporterà non pochi problemi.

Le due facce del tempoAlcuni anni fa mi capitò di leggere un interessante romanzo di fantascienza impostato sul paradossodei gemelli. Era ambientato nell'anno 2.700 (!), epoca in cui l'uomo aveva trovato la chiave perviaggiare nello spazio oltre i limiti del Sistema solare.

Andare molto lontano anche a velocità fantastiche, prossime a quella della luce, comportavadurate temporali non indifferenti e il fenomeno relativistico della dilatazione produceva un effettosociale devastante.

Equipaggi invecchiati di poche settimane trovavano al ritorno della loro missione una Terra piùvecchia di parecchi anni e le novità che erano subentrate spesso generavano incomprensione.

Nacque così progressivamente una sorta di associazione tra i naviganti dello spazio, perché conl'andar del tempo si trovarono ad avere ben poco in comune con gli altri terrestri legati al pianetad'origine.

La matematica della Relatività aveva diviso in due la razza umana con un colpo d'accetta ben piùprofondo e irrisolvibile di quanto non avessero mai fatto l'egoismo e gli odi razziali.

L'immancabile eroe del romanzo si chiama Alan ed è uno degli astronauti. Al ritorno da uno deisuoi viaggi decide di uscire dal suo “mondo” e rimanere sulla Terra per andare alla ricerca del suofratello gemello, anch'egli astronauta, ma che aveva abbandonato il servizio prima dell'iniziodell'ultima missione.

Tra i due c'era ormai una differenza di età di oltre dieci anni e il gemello rimasto a terra sitrovava in una situazione di difficoltà in un mondo a cui non era riuscito ad adattarsi.

Senza entrare nei particolari del racconto, fermiamoci al suo messaggio. Quando la realtàquotidiana si incontrerà con i fenomeni relativistici, l'uomo dovrà prendere in seria considerazionequesto aspetto sociale che l'autore intelligentemente propone.

C'è a tutto questo una soluzione?La fantascienza ne ha già pronta una nel cassetto; è una delle ipotetiche conseguenze della

Relatività generale ed è anche quella che il protagonista del romanzo insegue per tutta la storia e allafine raggiunge: viaggiare più veloci della luce, utilizzando delle “scorciatoie” che lo spaziotempo, invirtù della sua struttura del tutto particolare, sembra avere.

Ripetiamo, siamo in questo caso ancora nel campo fantascientifico, ma i fatti hanno dimostrato chespesso quest'ultimo ha precorso la realtà proprio perché a posizioni concettuali raggiunte econsolidate aggiunge quella fantasia che, se nella giusta dose, può favorire una successiva fase disviluppo.

Abbiamo inserito questa breve parentesi a conclusione dell'argomento della convergenza dellabiforcazione spazio – tempo. Speriamo sia servita a dare un'idea della misura in cui, procedendoverso una conoscenza più profonda, si attua un progressivo discostamento dal senso comune dellecose, un nuovo modo di rapportarsi con esse nel quale l'unità è insita nella diversità.

Quando spazio e tempo si uniscono, tutto sembra cambiare aspetto. Probabilmente quando leconseguenze di questa unione entreranno a far parte della nostra esperienza, sarà possibile superareanche i disagi che essa comporta, per beneficiare esclusivamente dei suoi aspetti positivi, come èavvenuto per il nostro Alan, perché una cosa è certa: quando due o più concetti si incontrano performare una sintesi vuol dire che si sta aprendo una via di maggiore consapevolezza.

Abbiamo così concluso la penultima tappa del nostro cammino. Il nostro albero cosmico staconvergendo verso il punto d'origine.

Dopo la connessione tra materia ed energia a formare un nuovo concetto di spazio o campo, dopoil collegamento di quest'ultimo con l'altro ramo della biforcazione, che è il tempo, a formare tuttol'universo oggettivo, è facile immaginare quale sarà il prossimo passo.

CAPITOLO QUATTORDICI

DA SOGGETTO E OGGETTO NASCE.....

Espansione del soggetto nella specieAbbiamo esaurito il discorso sul mondo oggettivo.

Per avere un quadro completo del reale, prenderemo ora in esame l'altro polo della biforcazioneoriginaria, quello che in prima istanza, all'inizio della fenomenologia della manifestazione sensibile,si separa dal resto e ne fa esperienza trasformandolo in oggetto conosciuto.

Esso è il soggetto conoscente.Occorre prima di tutto chiarire cosa vogliamo intendere con questo termine. In generale siamo

portati a definire il soggetto come un centro di coscienza individuale dal quale si traggono unavisione e una valutazione del mondo esterno. Gli “io” di questo tipo sono innumerevoli: tutti gliesseri umani e ogni forma di vita animale, fino alla più elementare, sono forniti di un più o menosviluppato senso di individualità che li porta ad agire per la propria conservazione nell'ambitodell'ambiente che li circonda.

L'esistenza di tanti soggetti diversi tra loro, ognuno dei quali con una personale percezione delreale, non ci induce forse a dubitare della consistenza oggettiva del reale stesso?

“I miei occhi vedono a causa della luce o la luce è luce a causa dei miei occhi?”, si chiedevano atal proposito gli antichi saggi. Come dire, avrebbe senso un oggetto se non esistesse alcun soggettoche lo sperimenti?

Prendendo spunto da questa domanda, da qui alla fine della nostra esposizione cercheremo dicostruire un'ultima impalcatura mentale, che dovrà portarci paradossalmente al superamento diqualsiasi problematica.

Se ricordiamo quanto detto a proposito del Buddhismo, definimmo il “vuoto” non come mancanzadi esistenza ma come mancanza di significato.

Ebbene i nostri scopi mireranno proprio a quella condizione di vuoto, nella quale la necessità diun qualsiasi riscontro verbale svanirà nel modo più indolore.

Andiamo con ordine e procediamo nell'analisi dei rapporti che possono crearsi tra i due polidell'ultima biforcazione iniziando da una importante considerazione.

Ogni centro di coscienza identifica l'oggetto come tutto ciò che non è se stesso.Questo significa, chiediamo perdono per il bisticcio di parole, che nell'oggetto, cioè nel “non-io”,

di ogni soggetto sono compresi anche tutti gli altri soggetti diversi da lui.Non esistono quindi per definizione due visioni dell'oggetto uguali tra loro.Sarebbe sufficiente questo, senza bisogno di dover ricorrere alle considerazioni fatte sulle

differenti valutazioni soggettive a proposito dei concetti, per stabilire che viviamo in una sorta diisolamento gli uni nei confronti degli altri.

Ma le cose stanno veramente così?

Dopo i viaggi interstellari a bordo di velocissime astronavi effettuati nel precedente capitolo,dobbiamo ora rituffarci nel misterioso mondo dell'infinitamente piccolo. L'atomo non ha ancora finitodi inviarci informazioni sugli eventi della sua scala e ve ne sono ancora alcuni che non tarderanno astupirci.

Esiste un importante esperimento in meccanica quantistica che ci fa capire quale sia il significatoda attribuire alle particelle elementari, se osservate su scala ordinaria.

Noto come esperimento di Young, esso consiste nel proiettare da una sorgente una certa quantitàdi elettroni o fotoni (le particelle di luce) verso uno schermo A nel quale siano state praticate dueaperture al di là delle quali è posto un secondo schermo B (fig.21).

Figura 21

Il solito senso comune ci suggerisce che su quest'ultimo si formeranno due immagini luminosepuntiformi in corrispondenza dei fori di A (attraverso i quali passeranno le particelle) con uncomportamento del tutto simile, ma raddoppiato rispetto a quello che si avrebbe se ne otturassimouno dei due.

L'esperienza ci mostra invece che lungo B viene rilevata una successione di frange chiare e scureconsistenti in zone di luce alternate a zone d'ombra, esattamente come accade per il fenomenodell'interferenza ondulatoria.

Noi già sappiamo, da quanto si disse a proposito dell'unione materia – energia, che i duecomportamenti, ondulatorio e corpuscolare, sono intercambiabili, quindi nessuna sorpresa alriguardo.

Quello che c'è di nuovo nell'esperimento in esame è che gli elettroni (o i fotoni a seconda deicasi) sembrano aver stabilito un accordo tra loro, per disporsi secondo uno schema di interferenza.

Dalla struttura del fenomeno si deduce infatti una circostanza particolarmente strana: anche sesupponessimo di poter effettuare un esperimento ideale, diminuendo gradualmente l'intensità delfascio di particelle fino a farne transitare una alla volta attraverso la fenditura e registrandol'immagine che ognuna di esse lascia sullo schermo, avremmo comunque esattamente la stessa figuradi prima, ottenuta facendo passare il fascio senza limitazione alcuna.

In definitiva la situazione è la seguente: se uno dei due fori è chiuso, B mostrerà un'immaginecircolare, corrispondente al raggio che lo investe dopo essere passato per la fenditura di A, un po’sfocata ai lati per qualche particella che vi si disperde; se invece ambedue i fori sono aperti, ancheprocedendo una particella per volta, sullo stesso schermo apparirà una figura di interferenza.

La corretta interpretazione di questo fenomeno presenta contenuti filosofici che cercheremo di

generalizzare.

Ricordiamo che un elettrone, per il principio di indeterminazione di Heisenberg, non possiede unatraiettoria ben definita. Ebbene, l'esperimento dei fori vede in azione questa sostanziale incertezza.

La meccanica quantistica asserisce infatti che le fenditure dello schermo A vengono attraversateda tutte le possibili traiettorie della particella e, in qualche modo per noi incomprensibile, essedeterminano una figura macroscopica ben precisa. Troviamo di nuovo quelle onde di materia di cuisi parlò in occasione della costituzione dell'atomo.

Ricordate quanto dicemmo in proposito?Attribuimmo loro un significato statistico, definendole onde di probabilità. Questo aspetto di

importanza fondamentale ci permette di ribadire che, se l'indeterminazione intrinseca della posizionee della velocità conferisce incertezza di base alla traiettoria di un singolo elettrone, così non è perquanto riguarda gli insiemi di essi, per i quali, usando le regole della statistica, in cui la probabilitàdiviene concretezza, si rientra nell'ambito delle leggi deterministiche della nostra scala.

Siamo giunti così, con un esempio pratico, alle stesse conclusioni che avevamo toccato sotto unprofilo teorico a proposito dell'equazione di Schroedinger.

Dal nostro punto d'osservazione non è dunque possibile entrare nei dettagli delle “individualità”del microcosmo, perché queste nella nostra scala trovano espressione solo come figura d'insieme.Per gli scopi pratici che riguardano la nostra vita, d'altro canto la storia di una singola particella nonè poi così importante, in quanto sono i flussi determinati dai grandi numeri a generare i fenomeniosservabili.

Con un po’ di immaginazione potremmo dire che l'individuo quantistico, salendo di dimensione,va a estinguersi nella specie.

Purusha e PrakritiTorniamo allora alla domanda che ci eravamo posti all'inizio del capitolo: siamo veramente creaturesole o esiste qualche filo che misteriosamente unisce le nostre esistenze?

Premettiamo due considerazioni, la prima delle quali trae spunto da quanto affermavamo poco fa:

1. la natura sembra indirizzata a fini che considerino sempre la specie e non il singoloindividuo; anche quando parlammo di evoluzione karmica, elemento unificante dei concetticontrapposti di bene e di male, ci esprimemmo esattamente in questi termini.

2. una forza molto potente, imponderabile ma estremamente attiva, che chiamiamogenericamente “amore”, sembra legare tra loro tutti gli esseri viventi.

Ebbene, giunti a questo punto, appare molto sensato supporre che nell'universo agisca un'ottica discala, il cui risultato è quello di riprodurre in salita o in discesa sempre gli stessi criteri.

In altre parole, l'importanza che generalmente noi attribuiamo al singolo e che caratterizza tutte lemanifestazioni della nostra esistenza ordinaria, tende a svanire se ci collochiamo su un pianosuperiore. Nei riguardi del macrocosmo, infatti, una qualsiasi persona non ha la minima rilevanza,mentre ne può invece avere la specie umana, soprattutto in una prospettiva di crescita emiglioramento.

Come noi non vediamo le singole particelle ma sentiamo il loro effetto di insieme nella nostra

quotidianità, così se esistessero delle forme di vita macroscopiche, e nulla si può escludere,potrebbero non essere in grado di identificarci individualmente, ma sentire in qualche modo lapresenza della nostra specie.

Si innescherebbe così una successione “di scatole cinesi”, ognuna delle quali rappresentativa diuna scala di grandezza e le cui individualità avrebbero la qualità di essere sia risultanti checomponenti di altre individualità.

In questo gioco senza fine, nel quale il singolo si rapporta alla propria scala d'esistenza e laspecie a quella successiva, noi saremmo universi di particelle e particelle di universi (fig.22).

Figura 22

La sintesi finale della filosofia orientale, lo ricordiamo, prevede un annullamento del soggetto:essere illuminati significa aver preso coscienza in modo irreversibile dell'intima unione che regna tratutte le creature e più in generale tra tutto ciò che esiste.

Finora abbiamo compiuto solo il primo passo di questa unione, assistendo all'ampliamento dellacoscienza da individuale a collettiva. Essa è la risultante dell'aggregazione di innumerevoli soggettisimili per alcuni caratteri di base, che, usando termini tratti dalle scienze biologiche, abbiamochiamato “specie”. È allora ovvio che esistono molti raggruppamenti di questo tipo: un cane, unacavalletta o una formica avranno visioni della Realtà completamente diverse, in base al particolarefiltro di cui è dotato il sistema percettivo della specie stessa.

La sommatoria di tutte queste classi di soggettività dà luogo a una supercoscienza globalecomprendente tutti i soggetti esistenti che, tolta dal complesso della manifestazione, lascia il posto aciò che comunemente definiamo materia inerte; questo sarà l’oggetto assoluto.

Quest'ultima dicotomia ci ricorda molto da vicino la struttura della dottrina Samkya, nella quale difronte alla Prakriti, o Natura, o oggetto, vi sono tanti Purusha o Coscienze individuali (fig.23).

Figura 23

Anche questa dicotomia, in accordo col principio unitario della filosofia orientale e conl'orientamento della moderna fisica, è destinata a dissolversi.

Per vedere in che modo questo avvenga ed effettuare così il passo definitivo verso la confluenzadell'ultima biforcazione dell'albero cosmico, dovremo riprendere il discorso sul principio diindeterminazione di Heisenberg.

Gli universiQuale può essere la struttura di un “libro infinito”?

Mi imbattei in questo singolare quesito durante la lettura di uno dei racconti metafisici di JorgeLuis Borges, famoso scrittore argentino il cui stile elegante e originalissimo ha toccato molti aspettidelle problematiche che stiamo esaminando. Convinto che l'universo sensibile sia illusorio, egli videnella letteratura, intesa come summa della produzione dell'animo umano, l'unica verità.

Realtà è quindi la nostra mente e tutto quello che in essa è contenuto, dagli oggetti che abbiamodavanti e che sperimentiamo con i nostri sensi fino alle più assurde fantasie. La sua filosofia, dievidente tendenza unitaria, arriva a supporre che “forse le storie che ho raccontato sono una solastoria e forse la storia universale è quella di un solo uomo”.

Nell'ambito del racconto cui accennavo dal titolo, già di per sé espressivo, “Il giardino deisentieri che si biforcano”, si fa riferimento a un ipotetico scrittore cinese che ha dedicato gli ultimitredici anni della sua vita al tentativo di costruire un labirinto letterario che fornisca una dellepossibili soluzioni alla nostra domanda iniziale: può un libro essere infinito?

Una possibilità, osserva Borges, è quella di un'opera ciclica, nella quale l'ultima pagina siaidentica alla prima e instauri così “la possibilità di continuare indefinitamente”. Un altro modo perraggiungere lo scopo è quello di inserire a un certo punto di una storia uno dei suoi personaggi cheinizia a raccontare la storia stessa. Si tornerà così di nuovo al punto in cui il personaggio prende araccontare e così via all'infinito.

Il tentativo dello scrittore cinese era però di ben diversa natura, illogica e contraddittoria:sembrava uno zibaldone di idee e fatti in apparenza tra loro incompatibili.

Nella realtà ordinaria, quando si è di fronte a diverse alternative, se ne sceglie una scartando lealtre; nel libro in questione l'autore “decide simultaneamente per tutte. Si creano così diversi futuri,diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano”.

Così in un capitolo il protagonista muore, nel successivo invece è vivo, in un altro discorre con unamico e in un altro ancora quest'ultimo è suo nemico.

Borges non credeva in un tempo unico, ma in una serie infinita di tempi tra loro “divergenti,convergenti e paralleli” nella maggior parte dei quali non si sono create le condizioni perché noiesistessimo.

Se in effetti ci soffermiamo a pensare un attimo, possiamo tranquillamente convenire che ogniistante della nostra vita è come un punto sospeso nell'infinito. Da questo istante infatti basterebbe unadecisione diversa da parte nostra, o anche una particolare circostanza che si svolgesse in mododiverso da come s'è svolta, per far cambiare il corso degli eventi di ognuno di noi e in molti casianche della storia dell'umanità.

Questa considerazione è valida per tutti gli esseri viventi.Quante volte ci siamo detti “Potessi tornare indietro nel tempo, sicuramente non prenderei più

quella decisione”! Oppure: “In quella situazione mi comporterei in un altro modo, perché mi sonoreso conto di avere sbagliato”!

Ma tutte le vie abbandonate e rimpiante o i pericoli scampati appartengono a un mondoimmaginario o in qualche modo trovano una loro sia pur particolare esistenza?

Borges propende per la seconda risposta.È affascinante immaginare questa infinità di universi corrispondente a tutte le possibili alternative

che la vita continuamente propone. Forse proprio l'inconscio implicitamente le suggerisce e loscrittore argentino in tutti i suoi racconti interpreta proprio questo aspetto della nostra personalità.

Vi starete sicuramente chiedendo cosa c'entri tutto questo con gli scopi del nostro discorso,proprio ora che siamo giunti all'ultima biforcazione dell'albero cosmico.

Il fatto è che queste considerazioni, a prima vista piuttosto stravaganti e che sembrano frutto difervide fantasie letterarie, trovano ispirazione proprio nelle teorie della fisica contemporanea chestiamo analizzando. Queste ultime hanno in effetti spesso costituito una valida base scientifica per leinnumerevoli fantasie dell'arte e della narrativa dei nostri giorni.

Come già preannunciato, occorre di nuovo entrare in merito alla fisica quantistica, riprendendo inconsiderazione il principio di indeterminazione di Heisenberg.

Al riguardo, nel capitolo dedicato alla biforcazione materia-energia, soffermammo la nostraattenzione sull'intrinseca incertezza circa le operazioni di misura che lo sperimentatore effettua.

In particolare emerse l'impossibilità di valutare con precisione contemporaneamente grandezzefisiche quali posizione e velocità, energia e tempo. Il tutto col risultato di rendere sempre piùevanescente il concetto tradizionale di materia fino a omogeneizzarlo a quello più generale dienergia.

Fin qui era stato preso in considerazione l'aspetto oggettivo del fenomeno. Il rovescio dellamedaglia, l'analisi cioè dei riflessi che la particolarità del fenomeno stesso può comportare per ilsoggetto, riserva non minori sorprese.

L'indeterminazione relativa alla misura di grandezze tra loro collegate lasciava infatti, nella suavariabilità, ampi margini di scelta per lo sperimentatore.

Si disse che avremmo potuto optare a nostro piacimento per una maggiore precisione nellaconoscenza di una grandezza fisica piuttosto che dell'altra a seconda degli scopi del lavoro da

eseguire.

Ribadiamo in proposito un concetto molto importante.L'approccio nei confronti dell'oggetto analizzato, sia che consegua da una nostra iniziativa o da

circostanze indipendenti dalla nostra volontà, per variegato che possa essere, determinerà in ognicaso un inevitabile condizionamento dello stesso oggetto; condizionamento che, lo ripetiamo ancora,non è legato all'inadeguatezza o alla carenza dei mezzi d'indagine, ma è insito nella natura delprocedimento di misurazione.

Possiamo asserire in proposito che il concetto di errore di misura nella fisica classica aveva uncarattere puramente epistemologico, riguardava cioè l'accostamento che per forza di cose losperimentatore si trova ad avere in modo imperfetto nei confronti dell'oggetto sperimentato: lepercezioni sensoriali hanno il loro margine di affidabilità e la strumentazione non sempre risultaadeguata.

Ora nella fisica quantistica l'imprecisione entra a far parte della struttura stessa della realtà,assume cioè un significato ontologico.

Fu questo un salto molto coraggioso che dall'assoluto deterministico, condizione ritenuta fino adallora inoppugnabile, condusse in un mondo in cui i concetti tradizionali perdono valore. Lo stessoEinstein non si dichiarò mai convinto che la natura potesse risultare così intrinsecamenteincompatibile con la nostra logica ordinaria. Con la sua Teoria della Relatività, per rivoluzionariache fosse, non aveva mai messo in dubbio una realtà magari incomprensibile ma oggettivamentedeterminata, tanto da pronunciare in merito la famosa frase: “Dio non gioca a dadi”.

A questo punto, una volta appurato che la indeterminazione di base, cioè ontologica, è unacaratteristica del microcosmo, saliamo di scala, accomodiamoci nel familiare ambiente “ordinario” edomandiamoci quali siano le conseguenze osservabili di tanta stranezza.

Finora siamo arrivati a concludere che nel linguaggio degli atomi non ha senso parlare di universooggettivo, perché esso risulta legato alle condizioni di chi ne fa esperienza. La conoscenza delmicrocosmo comporta quindi la conoscenza del rapporto che si instaura tra quei due aspetti dellarealtà che sono il soggetto e l'oggetto.

Ma, e qui rivoltiamo appunto la medaglia, nell'ambito della nostra scala quali effetti possonocomportare queste considerazioni?

Ebbene, esiste un anello di congiunzione tra le conclusioni scientifiche ora espresse e lecongetture fantastiche, o forse fantascientifiche, di Borges.

Esso sta in un'osservazione che lo stesso Heisenberg propose in alcuni suoi scritti divulgativisull'argomento, secondo la quale i fenomeni subatomici molto probabilmente sono significativi ancheper l'uomo, allorché si consideri l'intera vasta gamma delle manifestazioni psichiche, dallaformazione delle idee al complicato meccanismo del ragionamento logico, dal sorgere dellacoscienza fino alla profonda meditazione.

Anche le leggi dell'ereditarietà, che assicurano una continuità attraverso le generazioni, constanodi una complessa fenomenologia che sembra chiamare in causa gli elementi del microcosmo.

In altre parole il corpo e la mente, se presi nel loro insieme, appartengono alla scala ordinaria, maquando analizzati nelle loro parti costituenti ci introducono in un mondo di difficile comprensionelogica, proprio come l'universo quantistico.

La morale comunemente intesa, di cui parlammo abbastanza diffusamente a proposito dei concettidi bene e di male, risultò di fatto completamente indeterminata. Non è un caso: l'universo del nostro

spirito è strutturalmente molto vicino ai “non sensi” del mondo atomico.La fantastica visione degli universi alternativi ora non è più così lontana: abbiamo visto che in

ogni istante della vita di ognuno partono biforcazioni più o meno numerose, relative a decisioni nonprese e ad azioni non compiute.

Nell'esperimento dei fori, lo ricordiamo, l'esistenza delle particelle diviene reale quando ilsoggetto vi stabilisce un contatto macroscopico eseguendo una misura e non ha importanza alcuna perl'andamento della nostra scala ordinaria il considerare quello che accade negli istanti cheintercorrono tra una valutazione e l'altra.

Allo stesso modo nella quotidianità, con lo strumento della coscienza, noi riportiamo di ogni cosao evento una visione macroscopica: essa non è altro che la risultante di innumerevoli processipsichici e spirituali appartenenti a una scala dimensionale diversa.

È necessaria a questo punto una breve pausa per riordinare le idee e trarre alcune conclusioni.Abbiamo visto che il fattore individuale ha senso solo nell'ambito della propria scala; passando

alla superiore, nella quale la sua esistenza viene assorbita da quella della specie, questo senso vieneperduto.

Tale concetto, per quanto riguarda i rapporti tra microcosmo e realtà ordinaria, fumatematicamente espresso dalla funzione d'onda che, quale funzione di probabilità, assumeva unsignificato statistico, adatto cioè a descrivere comportamenti collettivi e non singoli.

Abbiamo anche visto che il comportamento particellare, di per sé indeterminato, automaticamentesi determinava entrando in contatto col soggetto sperimentante.

Esprimendoci diversamente, usando un linguaggio maggiormente incisivo, diremo che la Ψ (cosìabbiamo denominato la funzione d'onda) in casi del genere collassava passando da una situazionegenerale a una delle sue particolari possibili soluzioni.

Il soggetto crea così la sua realtà, operando una sorta di sezione di un contesto immensamente piùesteso.

Abbiamo concluso infine proprio ora, per bocca di Heisenberg, che la fenomenologia della nostrapsiche può essere considerata alla stregua di quella quantistica. La coscienza sarebbe dunque unasorta di rilevazione statistica di un vasto complesso di manifestazioni mentali, emotive e spirituali:una Ψ dell'universo interiore del soggetto conoscente.

Ci sembra sensato a questo punto supporre che, come ogni oggetto della realtà ordinaria èprodotto dal collasso della sua Ψ, così anche ogni processo psichico, preso a sé stante, sia ilrisultato di un analogo collasso della Ψ soggettiva, che, solamente considerata nella sua totalità,potrà promuovere una visione esauriente del nostro universo interiore.

Accade allora questo.Sappiamo che rapportandoci al mondo esterno non attuiamo mai un contatto integrale, utilizzando

cioè la globalità della nostra coscienza. Non siamo infatti in grado di operare su tutti i pianidell'essere, coinvolgendo cioè in un'armonica unione quegli “involucri” di cui abbiamo parlato(anche se sommariamente) nella parte dedicata alla filosofia orientale. Alcuni di essi (i piùimportanti) vengono dalla maggior parte di noi quasi totalmente ignorati. Il mentale e l'astrale, data laloro concretezza, ben si adattano ai problemi della vita pratica, nascondendo problematichealtrettanto essenziali e costringendo così gli involucri spirituali a un'attività estremamente limitata.

Operando dunque in questo modo provochiamo prima di tutto il collasso della Ψ soggettiva,realizzando solo una sezione molto limitata delle sue enormi potenzialità; immediatamente dopo, ilnostro contatto con gli oggetti determina gli stessi effetti sulle relative Ψ, dando così spazio

solamente a una delle possibili soluzioni che il rapporto propone.Al di là di questo contatto grossolano, le due funzioni, soggettiva e oggettiva, consistono così in un

immenso campo di possibilità su livelli più sottili e astratti, e quindi non percepibili, che potrebberoperò risultare altrettanto reali di quelli che si concretizzano come “realtà”.

Esisterà allora un universo nel quale io nasco in una nazione diversa da quella in cui sono nato, unaltro nel quale diventerò Presidente della Repubblica, un altro ancora mi vedrà come l'ultimo deimendicanti o non mi vedrà affatto, perché in tale diramazione io non esisto.

In alcuni di essi le mie facoltà psico-spirituali saranno diverse (superiori o inferiori) per undiverso rapportarsi della Ψ soggettiva.

In questa infinità di mondi ce ne saranno anche moltissimi pressoché uguali a quello in cuiviviamo. È sufficiente infatti un solo particolare per creare una differenza anche se minima; e, alproposito, nasce un'interessante congettura... Tempo fa, in visita con mia moglie in una galleria d'arte,acquistai un quadro che ci aveva colpito. Era un dipinto molto semplice in stile impressionista cheritraeva un paesaggio di campagna con alcune case sullo sfondo. La stagione rappresentata erapresumibilmente la primavera, tanti e di vario colore erano i fiori che ricoprivano in primo piano ledistese verdi; tra essi notai, celate nella supremazia della tinta gialla alcune spruzzate di rosso, diazzurro e una fugacissima apparizione del lilla, almeno così mi sembrò. Quella sera tornammo a casapiuttosto tardi per alcuni impegni che ci avevano occupato durante la giornata e non ci fu tempo perappendere il quadro. Il giorno dopo, di ritorno dal mio ufficio, lo trovai già in bella esposizione sullaparete alla quale mia moglie, nell'intento di farmi una sorpresa, lo aveva appeso.

Sul momento ebbi una strana sensazione che non seppi definire, ma non mi soffermai a osservare iparticolari del dipinto. Dopo cena, con calma, mi ci sedetti davanti con gli occhi fissi sui suoi colorivivaci, ma non mi sentivo appagato; era come se qualcosa mancasse, magari un dettaglio, anchesecondario, ma che nel giorno dell'acquisto aveva contribuito alla gradevolezza dell'insieme.

Focalizzai la mia attenzione sui fiori e a un tratto mi sembrò di giungere alla soluzione del piccolorompicapo: non vedevo più quella minuscola macchia di colore lilla, forse insignificante per altri,ma evidentemente per me espressiva.

Pensai subito che, in malafede o no, ci fosse stato imballato un quadro diverso da quello da noiscelto e corsi a dirlo a mia moglie.

Rimasi stupito quando lei mi fece presente di non ricordare affatto il particolare cui mi riferivo eche anzi era sicura che il dipinto fosse esattamente uguale a quello che avevamo acquistato. Io eroconvinto di avere ragione, ma sapevo anche che era difficile dimostrarlo perché non avevo prove nétestimoni.

Col tempo lentamente la mia sicurezza si affievolì e fui sempre più propenso ad attribuirel'accaduto a un mio errore, a quello che solitamente viene chiamato un abbaglio, annoverandol'episodio nella serie dei tanti piccoli fatti strani del nostro mondo.

Ora, alla luce delle considerazioni che conseguono dalla meccanica quantistica e che abbiamodiffusamente esposto, possiamo forse dare un'interpretazione diversa di questo fatto?

Abbiamo detto che nell'infinita sequenza degli universi alternativi teoricamente potevano trovarspazio mondi completamente discordanti dal nostro, come per esempio una Terra nella quale lecondizioni climatiche non avessero a suo tempo seguito il giusto corso per favorire l'origine dellavita. In questo caso ci troveremmo di fronte a un mondo morto, com'è nel caso di tutti i pianeti finoraconosciuti del nostro Sistema solare.

Ve ne saranno altri che differiscono da quello in cui viviamo per aver intrapreso un'altra direzione

in tempi più recenti: in uno di essi, per esempio, prima del 753 a.C, anno della fondazione di Roma,Romolo morì prima di poter uccidere il suo gemello Remo e il corso della storia prese da allora uncammino diverso da quello che conosciamo.

Esistono poi innumerevoli mondi del tutto simili al nostro, dal quale divergono solo per qualchepiccolo particolare di carattere collettivo o individuale e il cui effetto è quasi sempre ininfluente aifini dell'andamento generale. In uno di questi io posseggo un'auto decappottabile, in un altro unaberlina, o molto più semplicemente la differenza tra le due autovetture è solo nel colore. O ancoraposso aver acquistato un paio di scarpe marrone chiaro che in un altro caso risultano di tonalità piùscura, come può esserci o mancare una mosca sulla parete del nostro salotto. E di questo passo lepossibilità diventano più che infinite.

Tutte queste, che chiameremo “minime differenze”, sono, se possiamo tentarne unarappresentazione, estremamente vicine alla realtà in cui viviamo. Vicine al punto tale che noipotremmo saltare da una di esse all'altra senza nemmeno accorgercene e senza trauma alcuno, se nonquello di trovarci a pensare con un po’ di meraviglia: “Questa cosa la ricordavo diversa, eppuregiurerei che...” e così via, esattamente come mi accadde nell'episodio cui ho accennato.

La conclusione di quanto stiamo dicendo contemplerebbe l'esistenza di un'infinita infinità diuniversi paralleli. Questo è il termine che più ci sembra appropriato, soprattutto in considerazionedell'accavallarsi di tutte le scelte soggettive e di quelle della specie di cui parlammo nel capitoloprecedente. Infatti, se ricordiamo bene, il soggetto aveva già rinunciato alla sua individualità quandoera stato annesso al concetto più generale di specie, per la quale vale esattamente lo stesso discorsofatto ora: anche la specie, intesa come soggetto collettivo, si trova continuamente a dover sceglieretra le innumerevoli alternative che il momento storico propone e a ogni decisione il mondo risulteràmolto diverso da quello che avrebbe potuto essere.

Ci viene voglia di pensare a quante cose cambierebbero se la specie umana pensasse un po’ menoal tornaconto personale a vantaggio di qualche ideale di solidarietà e fratellanza!

Ma forse in qualche universo parallelo...

Unione soggetto-oggettoProbabilmente sotto il profilo puramente scientifico ci siamo spinti un po’ oltre il seminato:Heisenberg non immaginava congetture tanto destabilizzanti. Gli universi paralleli tuttavia non sono,al momento attuale, così campati in aria come si potrebbe immaginare. Ho letto su molte rivistequalificate articoli in proposito e l'atteggiamento è quello di una composta riflessione.

Torniamo ora alle considerazioni che hanno dato vita al nostro discorso di base, determinandoquella veste strutturale che racchiude il concetto di albero cosmico, per trarre le opportuneconclusioni.

Ebbene, possiamo dire di essere ormai giunti al termine del cammino programmato.Eseguendo un tragitto inverso a quello che dall'origine dei tempi ha prodotto l'ambiente che

quotidianamente osserviamo, abbiamo cercato di verbalizzare, con l'aiuto delle conquiste della fisicamoderna, alcuni momenti meditativi che la filosofia orientale propone da millenni.

Iniziammo ponendo la nostra attenzione sui due concetti di materia ed energia e constatando comela meccanica quantistica nel corso di circa un ventennio li abbia progressivamente avvicinati fino arenderli due facce opposte di una medesima medaglia. Quest'ultima è quella che comunementechiamiamo spazio e anch'essa, come tutte le manifestazioni della nostra esistenza ha un suo polo

opposto, in realtà molto ben mimetizzato, al punto tale che fino a cento anni fa la fisica lo riteneva unaspetto del reale completamente indipendente. Fu dunque la geniale invenzione della Relativitàeinsteniana a scoprire che lo spazio diveniva a sua volta (semplicemente mutando la prospettiva diosservazione) faccia di un'altra medaglia che aveva impresso nel lato opposto il tempo. Ecco dunquenascere lo “spaziotempo”, contenitore di tutte le nostre esperienze: esso costituisce il polo oggetto.

Non ci rimaneva che far confluire l'ultima separazione nel tronco dell'albero. Per questo abbiamoseguito un procedimento articolato in due fasi.

Nella prima di esse il soggetto realizza un progressivo ampliamento di sé confluendo inizialmentenella specie e poi in quella che abbiamo chiamato “supercoscienza collettiva”.

Nella seconda, in virtù del principio di indeterminazione di Heisenberg, lo stesso soggetto va arapportarsi, sia singolarmente che collettivamente, alla realtà oggettiva, togliendole esistenza propriae riclassificandola a misura di se stesso.

Possiamo così concludere che, mentre ai livelli di conoscenza ordinaria la prospettiva diosservazione ci rende separati da tutto il resto, un cambio radicale di quest'ultima mescolerà le cartein tavola, cancellando la linea di demarcazione tra l'io e il nonio e consentendo il superamento dellafisicità.

In tali condizioni ognuno di noi diviene allora come un artista davanti alla propria tela: egli èlibero di navigare in una Super-realtà, nella quale esistono infinite potenzialità cui la sua fantasiapotrebbe dare forma. Una sola di esse emergerà dall'indeterminatezza per imporsi come elementoreale, ma le rimanenti?

Che le escluse esistano o meno, noi ancora non siamo in grado di saperlo con certezza, possiamoperò asserire tranquillamente che ogni istante di tempo ci vede in un certo senso creatori della storiauniversale.

Come pedine di una scacchiera infinita abbiamo a nostra disposizione infiniti percorsi, anche sesappiamo che alla fine la partita si risolverà in uno solo di essi.

Come solamente le pedine danno un senso alla scacchiera e viceversa solo quest'ultima lelegittima, così soggetto e oggetto s'impongono entrambi quali elementi complementari di una magicafinzione.

Viene da chiedersi quale possa essere il modo per venire in contatto con questa realtà di ordinesuperiore.

Azzardiamo un'ultima ipotesi.I dati sensoriali provengono, come già visto, da un doppio collasso della funzione d'onda:

dapprima quello soggettivo che produce lo stato di coscienza ordinaria e subito dopo quellooggettivo che dà vita ai dati dell'ambiente in cui viviamo. Questa concatenazione dei due collassi siverifica in modo automatico: siamo sotto questo aspetto molto simili a ingranaggi, incapaci dimuoverci in direzioni che non siano quelle prestabilite.

Ma come possiamo giustificare quelle particolari, anche se purtroppo rare, situazioni descritte daisaggi nelle quali sentiamo espandersi la nostra consapevolezza fino ad abbracciare in un tuttoarmonico ogni elemento del creato?

In questi casi le varie componenti della Ψ soggettiva magicamente sembrano accordarsi tra loroper attuare una trasformazione della coscienza. Questa rinnovata condizione interiore, rapportandosicon l'esterno, stabilirà con esso un diverso legame, privilegiandone l'aspetto globale e consentendoin tal modo alle Ψ degli elementi di non collassare, rimanendo integre.

Ecco nascere la coscienza universale, nella quale il soggetto non concretizzerà più solo sezioni

del reale ma il reale stesso.

Ci siamo presi la licenza di raffigurare questa nostra congettura con la figura sotto riportata (fig.24).In essa ogni riga rappresenta la funzione d'onda di un qualsiasi oggetto che racchiude in sé le sueinnumerevoli possibilità (I1x....Inx); l'insieme delle righe corrisponde quindi alla totalità deglioggetti.

Ogni colonna è a sua volta la concretizzazione empirica del soggetto sperimentante nella sua realtàordinaria. Questa determinerà per ogni oggetto l'ormai più volte nominato collasso in una solasoluzione.

La figura nella sua totalità, che consiste nell'insieme delle Ψ non collassate, rappresentanaturalmente quella Realtà che solo una coscienza fuori dell'ordinario è in grado di cogliere.

Colonna = realtà ordinariaRiga = funzione d'onda di un singolo oggettoMatrice = realtà

Il collasso di Ψ risolve la matrice in una sola colonna

Figura 24

Unità del sapereNelle ultime pagine abbiamo lasciato la fantasia libera di navigare nel mare delle ipotesi cui leconclusioni delle recenti teorie della fisica danno facoltà d'esistenza. Alcune di esse potranno forsein futuro svilupparsi e imporsi alla realtà.

Già da ora siamo però in grado di affermare, senza timore di smentita, che, come sostiene oggi lascienza, non è più possibile prescindere dalla comunione tra percepiente e percepito, così come nonera più possibile, dopo la Relatività, valutare lo spazio senza il tempo.

Questo processo di sintesi, proprio perché attuato dalla fisica, introdurrà col tempo anche nellanostra cultura quell’ atteggiamento unitario che, se vissuto nella sua totalità, sconfina in un sentimentod'amore cosmico, attraverso il quale, e solamente attraverso il quale, è possibile accrescere lapropria consapevolezza.

Questa rivoluzione epocale, in quanto rivoluzione epocale, è riscontrabile non solo in camposcientifico, anche se a quest'ultimo ambito è andato l'onore di suffragare l'avvenuto voltapagina. Ognimovimento ideologico, infatti, coinvolge inevitabilmente tutti gli aspetti del nostro sapere.

Per dimostrarlo sarebbe sufficiente una rapida analisi dei diversi stili dell'arte moderna. Come lostesso Heisenberg afferma in un suo scritto, questi, lungi dall'essere prodotti arbitrari dell'animo,nascono dall'interazione tra lo spirito del tempo e l'artista stesso; e lo spirito del tempo èprobabilmente un fatto altrettanto oggettivo degli eventi della scienza della natura.

Non volendo entrare nei dettagli dell'argomento, per i quali mancherebbero tra l'altro anche lanecessarie cognizioni, sarà sufficiente accennare al fatto che una rapida successione delle opereartistiche dal tardo Ottocento a oggi evidenziano un'evoluzione ideologica del tutto simile ai temi danoi finora trattati.

Si parte dalla presa di coscienza, scaturita anche dalle buone cognizioni di ottica raggiunte versola metà del XIX secolo, nonché dalle prime conquiste della tecnologia in proposito, che la realtàoggettiva non è come sembra. Ecco dunque attribuire importanza non più alla riproduzione deglioggetti (tra l'altro per questo c'è la nuova macchina fotografica) ma a una rappresentazione deglistessi che metta in luce altri aspetti oltre quello fisico.

Iniziando così dall'analisi delle impressioni, si proietta sulla tela non più il tradizionale mondooggettivo, ma una simbiosi tra la cosa in sé e il soggetto che la “comprende” con i mezzi a suadisposizione, i quali entrano così a far parte del prodotto artistico.

Questo tipo di studio progredì velocemente andando a toccare i tratti più profondi dell'animo conil Simbolismo e la pura astrazione, per i quali i significati prescindevano totalmente da qualsiasiriferimento agli oggetti esterni.

Già da queste poche righe risultano evidenti le assonanze che esistono tra i vari aspetti delpercorso spirituale tracciato in questo libro e il cammino dell'arte moderna: essa è un mezzo,sicuramente più diretto della parola, per raffigurare quanto in noi è inespresso o inesprimibile.

Non sono affatto da sottovalutare le notevoli possibilità che la grafica e la pittura ci hanno offertoper rappresentare concetti astratti e complicati da verbalizzare.

Riteniamo particolarmente interessante, in relazione agli argomenti finora affrontati, proporreancora due raffigurazioni grafiche di M.C.Escher, noto anche per aver dato forma a situazioniinverosimili, di cui già parlammo a proposito dei concetti di yin e yang.

Le due figure, tratte da due delle sue numerose opere, ritraggono una serie di uccelli e di cavalieribianchi ma, se focalizziamo l'attenzione sul colore nero che fa da sfondo, abbiamo esattamente lastessa visione invertita: gli uccelli e i cavalieri sono divenuti neri e lo sfondo è bianco.

In poche parole viene a crearsi un equilibrio dinamico in cui figura e ambiente si fondono con lapossibilità di interscambiarsi a vicenda, perché possiedono esattamente le stesse forme; in sintesisoggetto e oggetto diventano la stessa cosa (fig. 25 e fig. 26).

Consigliamo al lettore di osservare attentamente le immagini e di ripensare alle pagineprecedenti...

Figure 25 e 26

Rappresentazione,trasformazione e RealtàCi stiamo ormai avvicinando alla conclusione con la speranza di aver raggiunto gli scopi che cieravamo proposti.

Le intenzioni erano quelle di mostrare in che misura la filosofia orientale e la fisica modernapossano essere poste a confronto. L'itinerario grafico con cui abbiamo schematizzato l'evoluzionedella consapevolezza è naturalmente del tutto arbitrario, ma a nostro avviso convincente.

In sintonia con quelle che sono state le conquiste scientifiche di un secolo decisamente innovativo,l'albero cosmico sintetizza infatti un graduale cammino dello spirito verso una coscienza unitaria,.

Il nostro compito è stato reso possibile o quanto meno è stato agevolato dal particolare sviluppoattuato dalla conoscenza scientifica negli ultimi cinquant'anni; sviluppo che ha determinato unaparallela evoluzione della logica e del linguaggio, con l'introduzione di nuovi termini e con una piùvasta applicazione di quelli già noti.

Il gran numero di nuovi concetti sviluppatosi dalla seconda metà dell'Ottocento fino ai primi annidel Novecento ha generato infatti codici di pensiero più adatti alla nuova circostanza.

Probabilmente l'impresa più difficile, più che per la Teoria della Relatività, è stata sostenuta nelprendere atto delle tesi quantistiche: le rappresentazioni mentali che ne scaturivano lasciavanointravedere la necessità di modificare la logica classica.

Lo stesso Hiesenberg definì questo ampliamento “logica quantistica”.Un esempio chiarirà il concetto più di ulteriori spiegazioni.I principi fondamentali della logica ordinaria asseriscono che un atomo che si muova in una

scatola chiusa, divisa in due parti uguali da una parete su cui è stato praticato un piccolo buco, ha duepossibilità: trovarsi nella metà di destra o in quella di sinistra.

Nella logica quantistica le cose vanno diversamente.L'esperienza dei fori, di cui parlammo in occasione del principio di indeterminazione, presentava

una situazione del tutto simile. In quel caso non potevamo pronunciarci sul passaggio della particella

e giungemmo alla conclusione che quello che accadeva era una sorta di mescolanza delle duepossibilità.

Ora nella scatola si verifica la stessa cosa: l'atomo potrà essere presente in entrambe le metà.La nuova logica, dunque, oltre alle due affermazioni alternative ne prevede una terza, chiamata

“complementare”, che lascia aperta la questione: essa semplicemente non viene decisa.Questo aspetto affatto nuovo e lontano da ogni buon senso (lo ripetiamo ancora) scaturisce dalla

constatazione che le particelle elementari più che cose sono fenomeni, e gli eventi atomicicostituiscono un mondo di possibilità e di potenzialità piuttosto che un mondo di fatti.

Queste sono le caratteristiche, insieme allo strano comportamento della luce evidenziato inoccasione della Teoria della Relatività, che, dando spazio a codici di logica non ortodossa, hannofavorito accostamenti sempre più frequenti tra la fisica moderna e le antiche dottrine mistico-filosofiche, determinando così singolari rappresentazioni del Reale.

Ci sembra in proposito opportuno proprio in queste ultime pagine ribadire e soffermarci su unconcetto che fu argomento della nostra premessa e più volte in seguito ripreso.

Tutte le affermazioni sull'essenza della Realtà devono essere considerate solo rappresentazioni,cioè approssimazioni di essa più o meno significative.

Se dovessimo prendere alla lettera le parole e gli insegnamenti dei grandi maestri dovremmo solotacere, perché ogni verità perde il suo contenuto in pasto alle parole.

Come il disegno di una torta o di un piatto di riso non soddisfano la fame, come un sole dipintosulla finestra non consente di vedere il vero sole, così ogni tentativo di verbalizzare il misterodell'esistenza immancabilmente ci allontana dai suoi più profondi significati.

Proprio per questa ragione, per chi si sente impegnato nella ricerca spirituale, è auspicabileseguire due regole fondamentali:

1. considerare ogni “verità” solo una rappresentazione e tuttavia apprezzare in ogni casoquest'ultima come mezzo necessario per preparare lo spirito e renderlo più pronto a quelleprese di coscienza superiori, che possano attuare in noi una radicale trasformazione;

2. non scoraggiarsi mai davanti all'apparente irraggiungibilità del traguardo finale e considerareogni momento della ricerca alla stessa stregua di un punto d'arrivo.

Due parole su quest'ultimo punto.In un simile contesto, nel quale la realtà ordinaria è stata per così dire riorganizzata mediante la

revisione di concetti familiari e ormai suffragati dal buon senso, anche l'idea di punto d'arrivo, ditraguardo, alla luce di un nuovo rapporto soggetto-oggetto, diventa relativa.

Saranno proprio le nuove modalità di accostamento, nell'ambito delle quali le problematicheconvenzionali svaniscono, a svelarci un diverso percorso, le cui tappe non presuppongono obiettivida raggiungere o risposte da attendere.

In una libreria non molto tempo fa mi capitò di leggere sulla copertina di un'agenda una frase di unautore, credo sia cinese, che ha il pregio di esprimere questo concetto in modo sintetico ed efficace:“Cerca finché trovi, ma se trovi vuol dire che hai sbagliato qualcosa”.

La stessa ricerca in somma analisi, quindi, è sia punto di partenza che di arrivo, sia inizio chefine, perché cercare è già trovare.

Questo lavoro incessante e mai definitivo, coadiuvato dal giusto atteggiamento di distacco, cisvincolerà dai piani razionali, per portarci su basi unitarie, dall'alto delle quali sarà possibile

cogliere l'aspetto sattvico degli innumerevoli elementi separati della Realtà e attuare una comunionequotidiana tra tutti i piani della nostra esperienza.

Per perseguire tali finalità, dovremmo fare di ogni istante della nostra vita un'occasione perinterrogarci su quali siano i contenuti inespressi di ogni oggetto, qualità, fenomeno o concetto con cuiveniamo in contatto.

Un simile atteggiamento, dopo una prima elaborazione intellettuale effettuata mediante lerappresentazioni di cui abbiamo parlato, avvierà una trasformazione su tutti i livelli dell'essere.

Sarà questo un coinvolgimento completo che, convergendo verso un armonico accordo traapparenze separate, sfocerà in una sorta di amore superiore, cosmico, disinteressato, privo diattaccamento.

Così e solo così sarà per noi possibile spingerci oltre i confini dell'ordinario ed entrare in unostato di suprema consapevolezza, in una realtà delle realtà, in cui la separazione del pensante dalpensato, del conoscente dal conosciuto apparirà puramente astratta.

Potremo allora affermare insieme a Kabir:

“Colui che andavo cercandomi è venuto incontro;quello che chiamavo altroè divenuto me stesso”.

CAPITOLO QUINDICI

CONCLUSIONE

Un'ultima considerazione per concludere.In queste pagine abbiamo tracciato una possibile via per l'evoluzione della consapevolezza.A monte di quanto la filosofia orientale affermi, viene spontaneo chiedersi: l'uomo ha le capacità

e la volontà per portare avanti un compito così complesso?Spesso mi sono trovato a ragionare sull'argomento con un mio caro amico, compagno di molti anni

di studio e di quasi tutta una vita.I termini della questione erano: è cambiato qualcosa nell'animo dell'essere umano nel corso dei

millenni? Dall'inizio della sua storia la sua coscienza si è evoluta, rendendolo meno egoista e piùportato alla considerazione del prossimo?

Il mio amico sostiene con convinzione che non c'è gran che di diverso tra l'uomo primitivo el'esemplare contemporaneo in quanto ad altruismo. Se le condizioni sociali attuali per qualsiasimotivo dovessero tornare nella barbarie, si instaurerebbe di nuovo una lotta per la sopravvivenzasenza esclusione di colpi.

Io mi pongo questa domanda: tutto ciò che ci circonda ha un senso o è solo il risultato di uninsieme infinito di casualità?

Dalle pagine di questo libro dovrebbe risultare chiaro da quale parte vadano i miei favori. Perchémai l'essere umano non dovrebbe risultare idoneo ad attuare le tappe di un processo evolutivo da luistesso individuato, rispondendo così alle sue più profonde esigenze interiori?

Al di là di considerazioni dettate dall'istinto, sono del parere che ognuno di noi, nonostante le suecontraddizioni, sia strutturato e finalizzato verso destini trascendenti.

Guida le mie convinzioni un ragionamento molto semplice che riassume molte osservazioni giàfatte.

In eterno conflitto tra bene e male la psiche umana può sinteticamente considerarsi un compendiodi due opposte tendenze. La prima rivolta verso l'ego, accentratrice, quindi tipicamente yang,promuove una condotta, che definiamo economica, rivolta unicamente al successo personale. La suaapplicazione va a scapito della conoscenza, indirizzandosi dall'unità alla separazione.

La seconda rivolta invece al di fuori dell'ego, ciò che comunemente chiamiamo altruismo, dallecaratteristiche yin, è improntata invece verso iniziative che favoriscano il bene collettivo; essagenera una condotta etico-spirituale che lentamente si dirige verso l'unità.

Più guardiamo a ritroso nel tempo, più ci accorgiamo che era la prima delle due a farla dapadrone: la lotta per la sopravvivenza lasciava forse poco spazio alla cura di sentimenti che nonfossero quelli volti al benessere personale o al massimo a quello dei propri familiari.

Col passare dei millenni e con la nascita di società, dapprima ristrette poi sempre più vaste, sirese necessario un ordinamento codificato da insiemi di regole, che comportavano diritti e doveri peri singoli individui, con lo scopo di conservare l'ordine acquisito. Tali regole in un certo qual modoiniziavano a imporre un comportamento etico.

In questa fase dell'evoluzione umana, che si estende fino all'epoca attuale, le due tendenze opposteperseveravano e perseverano nel loro eterno conflitto; l'egoismo si manifesta sia in veste individualeche collettiva, spesso con iniziative presentate come ideali sociali ma in realtà espressione diinteressi di parte.

L'altruismo, invece, in crescita ma ancora succube del suo potente antagonista, ha sempre finorafatto la sua comparsa grazie alle opere di grandi individualità, le cui inclinazioni umanitariedeterminavano sempre una fioritura di idee rivolte verso la compassione e l'amore per il prossimo.

Credo che il rapporto tra questi due diversi aspetti della psiche sia ormai molto vicino a un puntodi svolta.

Sia pur molto lentamente i favori volgeranno verso atteggiamenti di maggiore apertura edisponibilità per tutto ciò che non sia esclusivamente il proprio ego e questo, oltre che per un'innatatendenza evolutiva impressa nei nostri codici, anche per fattori puramente meccanici cheaccelereranno il processo.

Lo sviluppo della tecnica che ha consentito infatti alle società di ingrandirsi moltiplicando le lorostrutture, ha reso l'ambiente molto meno ostile, decentrando il benessere dai pochi eletti di un tempoa un numero sempre più vasto di persone.

Le prove tangibili di questo benessere ormai sono presenti ovunque e, se non intelligentementeusate, possono anche trasformarsi in meccanismi pericolosi di cui facilmente si può perdere ilcontrollo.

Tuttavia, ed è questo il punto, gli scopi economici che le hanno generate, per essere remunerativiavranno interesse a produrre una sorta di beneficio collettivo, che riesca a conservare nel tempo lostatus raggiunto. Tutto questo sarà possibile solo se i singoli individui raggiungeranno quel grado dicoscienza necessario, e di volta in volta sufficiente, ad apprezzare i vantaggi ormai conseguiti, senzapericolo di auto-distruggersi.

La tecnica si rivela dunque una sorta di ingranaggio tale da favorire il risveglio di unaconsapevolezza da troppo tempo assopita.

Ecco allora che lo sviluppo iniziale della condotta economica, ispirata dalle esigenze dell'ego, siè reso necessario per favorire la successiva crescita di una condotta etico-spirituale adatta aconsentire un salto evolutivo della specie verso una nuova e più matura visione mistica del mondo.

Al punto tale che, se un giorno di un futuro più o meno lontano un qualsiasi motivo dovesseproiettare di nuovo il mondo in situazioni di difficoltà e di minor benessere, l'umanità sarà pronta areagire in modo diverso, senza trascurare quei sentimenti positivi ormai consolidatisi saldamente.

Senza avvalersi di queste considerazioni, figlie dei nostri tempi, la filosofia orientale, come bensappiamo, basandosi sulla dinamica separazione-unione, postula una crescita spirituale che puòrisultare lenta, meno lenta o veloce, ma inevitabile e alla fine della quale i due poli della personalitàumana, eternamente in guerra tra loro, risulteranno invece perfettamente integrati in un matrimoniosattvico.

Tutto tornerà al Tutto.La moderna scienza sembra muoversi nella medesima direzione. Anche noi, malgrado le difficoltà

del viaggio che ci attende, ne siamo fermamente convinti.Per concludere ci permettiamo un ultimo consiglio e un augurio ai nostri compagni d'avventura

oltre che a noi stessi.Ricordate il cammino da noi definito disidentificazione-declassificazione-unione che,

indirizzandosi in senso opposto al processo degenerativo del nostro mondo, tende verso l'unità

perduta?Abbiamo già visto che percorrerlo vuol dire realizzare una presa di coscienza superiore, che

automaticamente comporterà una più matura disposizione dell'animo. Ebbene, una volta che ildesiderio di migliorare costituirà la nostra base di partenza, il primo passo da effettuare, tanto inapparenza semplice quanto indispensabile, consisterà nell'acquisire la capacità di accettare eapprezzare ciò che è intorno a noi, dalle immense galassie ai minuscoli granelli di sabbia,avvertendo come ogni più piccola sfumatura possa essere spunto per una crescita spirituale.

Tenendo poi a mente le nobili verità del Buddha, l'armonia dello Yoga, l'attiva passività del Taoe, perché no, le intuizioni illuminanti dei grandi geni scientifici del nostro tempo, ci accorgeremoprogressivamente che dentro di noi ha sempre dimorato l'inarrivabile, inesprimibile ispirazionedivina.

Citiamo in proposito una frase che ci auguriamo possa farci sempre da guida, questa volta trattanon dalle massime degli antichi saggi d'Oriente, ma dalle osservazioni di uno scienziato che non pocoha contribuito allo sviluppo della conoscenza, il grande Isaac Newton:

“Non so come io possa sembrare al mondo;a me sembra di essere come un bambinoche si diverte sulla spiaggiae che gioisce se di tanto in tantotrova una conchiglia o un sassopiù levigato degli altri,mentre davanti a mel'immenso oceanoè ancora tutto da scoprire”.

NOTA SULL'AUTORE

Paolo Guido, insegnante di Hatha Yoga dal 1985 e laureato in Matematica, si è sempre dedicato allaricerca dei punti di contatto tra le due culture, orientale e occidentale, convinto che da un connubiotra due metodi così apparentemente diversi possa scaturire una conoscenza più elevata. Nel corsodegli anni è relatore di conferenze e seminari su diversi temi tra i quali: La legge del Karma el'Esistenza Totale, L'illusione del tempo, Lo studio dei Chakra e le teorie della Psicanalisi,Matematica e Universo multidimensionale, Yoga nella Fisica quantistica e nella Relatività, Saperrespirare e meditare. Attualmente insegna presso l'Istituto Yoga Universale di Roma(www.istitutoyoga.it).

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