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Da ‘compartimento’ per l’idraulica e l’elettrotecnica a Scuola di ingegneria e architettura: un progetto e un cantiere con molte
vicissitudini
Giuliana Mazzi1
Gli studi condotti nell’ambito del PRIN 20022, conclusi da un convegno dedicato a «Daniele
Donghi ingegnere polivalente e architetto del manuale» tenuto a Padova il 10-12 febbraio 20053,
hanno portato a primo inquadramento critico di Daniele Donghi nell’ambito del contesto
progettuale e culturale del periodo in cui visse e operò, sia per quanto riguarda il contesto italiano
sia, soprattutto, quello europeo. Valutazioni critiche sulla sua attività di progettista e sul suo ruolo di
divulgatore sono infatti pressoché assenti nella bibliografia scientifica dedicata al Novecento.
In tal ambito è stata condotta una prima indagine – ovviamente non esaustiva – sull’attività del
milanese per la progettazione e la realizzazione di edifici per l’università4 condotta sulle fonti più
immediate, ossia la tranche dell’archivio Donghi depositata presso l’Archivio Progetti dello IUAV,
l’Archivio dell’Università di Padova, l’Archivio del Comune di Padova e un primo spoglio degli
«Annuari» dell’ateneo. Gli approfondimenti in corso da parte di Elena Svalduz e di Stefano Zaggia
(effettuati non soltanto sui fondi dell’università e sull’archivio Donghi ancora presso gli eredi ma
allargati ad archivi padovani e non) stanno ricostruendo una vicenda che si intuiva complessa già
nelle contemporanee fonti a stampa. Queste, ovviamente, non consentono né la ricostruzione delle
vicende di cantiere né le frequenti variazioni nelle distribuzioni interne dovute ai continui cambi di
esigenze espresse dai singoli istituti. Tale aspetto è ancor più evidente qualora si paragonino l’esito
degli sforzi di Donghi per adeguarsi al frequente variare di richieste (che spiega, almeno sinora, il
mancato rinvenimento di piante per i vari piani dovuta più che presumibilmente all’esecuzione di
continue varianti in corso d’opera5) e l’estrema funzionalità del Liviano, dove il rettore Carlo Anti
1 Dipartimento di Architettura, Urbanistica e Rilevamento. 2 La ricerca verteva sul tema «Un nuovo sistema per l’architettura e le arti applicate: didattica, istituzioni, ruoli
professionali, letteratura tecnica in Italia (1850-1914)»: coordinatore scientifico nazionale: Guido Zucconi IUAV, dipartimento di Storia dell’architettura. Unità di Padova: «Norme e teorie del ‘buon costruire’ nell’insegnamento per ingegneri, ‘capi d’opera’ e decoratori»; coordinatore locale: Giuliana Mazzi, facoltà di Ingegneria, DAUR. Sempre come esito di quel PRIN è stato edito Architettura e arti applicate fra teoria e progetto. La storia, gli stili, il quotidiano 1850-1914, a cura di Fabio Mangone, Napoli, Electa Napoli, 2005.
3 Daniele Donghi. I molti aspetti di un ingegnere totale. Atti del Convegno nazionale, Padova 10-12 febbraio 2005, a cura di Giuliana Mazzi e Guido Zucconi, Venezia, Marsilio, 2006. Si rimanda agli interventi ivi pubblicati per riferimenti anche bibliografici alle tematiche cui si accenna in questa sede.
4 Massimiliano Savorra, Scuole politecniche e città degli studi: Daniele Donghi e il caso di Padova, in L’Università e la città. Il ruolo di Padova e degli altri atenei italiani nello sviluppo urbano. Atti del convegno di studi, Padova 4-6 dicembre 2003, a cura di Giuliana Mazzi, Bologna, CLUEB, 2006, pp. 175-189.
5 La sola pianta sinora nota è quella del piano terra con l’indicazione della destinazione dei locali in tutti i piani pubblicata in Daniele Donghi, La nuova sede della Scuola di Ingegneria e di Architettura a Padova, in «L’architettura
– docente di archeologia – ha personalmente controllato il progetto e deve aver imposto ai docenti
degli istituti di cui era stato deciso il trasferimento dal palazzo centrale alla nuova sede la stesura di
precise indicazioni sulle esigenze di didattica e di ricerca. Emblematici in tal senso sono il museo-
gipsoteca annesso all’istituto di archeologia e l’aula per le lezioni di storia dell’arte e di archeologia,
dotata di oscuramento, di cabina per le proiezioni (previste per la visione contemporanea di due
soggetti da porre a confronto) e di luci per ogni postazione destinata agli studenti6.
Risale al 1911 il progetto di Daniele Donghi per la sistemazione nell’area del Piovego degli
istituti di idraulica e di elettrotecnica e sembra mettere in forma, per i due istituti, il primo di una
serie di padiglioni studiati come idea di massima (or ora individuata da Elena Svalduz e da Stefano
Zaggia) nell’anno precedente (1910) su incarico di Ferdinando Lori (ordinario a Padova di
elettrotecnica dal 1903 e direttore della scuola dal 1909 al 1913, anno in cui diverrà rettore), per «un
grande politecnico» fatto di cinque edifici autonomi, uno centrale per la direzione e gli uffici e
quattro per gli istituti, organizzati adattando alle diverse funzioni della didattica e della ricerca un
blocco-tipo. Le ragioni di questo primo piano – cui in seguito, a quanto sinora si conosce, non si
farà più riferimento – nascono dal decollo nella scuola dei primi anni del Novecento dei settori che
nel corso della seconda metà del secolo precedente si erano già qualificati come trainanti
(l’idraulica7, la scienza delle costruzioni e la meccanica) o avevano iniziato, come l’elettrotecnica e
proprio con l’inizio del nuovo secolo, ad acquisire un peso notevole. Le sostiene anche la decisione
di riqualificare proprio con Daniele Donghi8 un settore sino ad allora fortemente carente nel quadro
complessivo della scuola ricorrendo a un docente di architettura colto, aggiornato sui sistemi
costruttivi, e con conoscenze, letture ed esperienze non esclusivamente venete, e quindi di peso
scientifico analogo a quello dei cattedratici dei settori in espansione. Infine il termine ‘politecnico’,
prerogativa dopo l’Unità della sola sede milanese (Torino lo diventerà nel 1906) e che sembra ora
comparire per la prima volta riferito alla scuola padovana di ingegneria, è dovuto ai dibattiti in
corso da qualche decennio (e comunque con il regno d’Italia) sul riordino delle professioni di
ingegnere e di architetto e, conseguentemente, dei rispettivi percorsi scolastici con l’innescarsi di
progetti di legge destinati sì a via via cadere ma a confluire infine nella legge Gentile del 1923, che
trasformerà in laurea il diploma rilasciato dalle scuole e istituirà l’obbligo dell’esame di stato.
italiana. Periodico mensile di costruzione e di architettura pratica», XIV, 1919, 11, I novembre, p. 3, e, con un disegno più schematico in Idem, Nozioni di architettura tecnica. Parte seconda, Padova, Cedam, 19292, p. 46.
6 Per la descrizione delle dotazioni del Liviano v. Il Liviano sede della Facoltà di Lettere, in «R. Università degli Studi di Padova. Annuario per l’anno accademico 1939-40», pp. 393-403. Nel palazzo centrale restavano il seminario di filologia moderna e gli istituti di paleografia, di storia moderna e di geografia: ivi, p. 393.
7 Si pensi alla legge istitutiva del Magistrato alle Acque, alla conseguente istituzione (grazie ai fondi messi a disposizione dalla magistratura stressa) delle cattedre di idraulica fluviale (nel 1908), di idrografia (nel 1909) e di navigazione interna (nel 1910) e alla convenzione per usare gli impianti dell’istituto idrotecnico di Stra.
8 È nominato ordinario di architettura tecnica nel 1910, dopo due anni di incarico.
Il 1911 è l’anno anno delle esposizioni di Roma e di Torino e di progetti come quello, per
esempio, di Aldo Andreani per il palazzo della Camera di Commercio di Mantova9. Non è ancora
infatti penetrato in Italia quel panorama internazionale che in quegli stessi anni registra la
pubblicazione in Europa dei disegni e delle fotografie degli edifici di Wright che determineranno la
versione De Stijl della sua lezione, e ostenta le costruzioni di Loos, di Behrens, di Gropius e di
Meyer, di Poelzig, o di Berg. È anche vero che di lì a poco le suggestioni del mondo industriale e la
visione di volumi fuori scala porteranno agli esercizi grafici di Mario Chiattone o di Antonio
Sant’Elia, ma quest’ultimo propone nei concorsi e nei progetti richiesti da una committenza precisa
fonti ‘viennesi’ e facciate medievaleggianti10.
Una prima, e ancora sommaria, analisi degli edifici costruiti entro la seconda guerra mondiale
nell’area del Piovego (fig. 1), ha rivelato che tutto il sistema – rapportato alle analoghe iniziative
edilizie delle università italiane e aperto proprio con la scuola di ingegneria (gli edifici precedenti
sembrano sinora meno significativi) – si è rivelato di notevole valenza, un vero e proprio
campionario delle tendenze progettuali italiane del periodo. E quindi di pari valore, dal punto di
vista storico-architettonico (e conseguentemente da quello dell’opportunità di una sua
conservazione), delle operazioni (le sole note alla bibliografia scientifica) condotte da Giò Ponti e
da Ettore Fagiuoli nel palazzo centrale e da Ponti e da Massimo Campigli al Liviano11. Il solo
complesso contemporaneo sinora studiato con attenzione storico-critica, ossia la Sapienza romana,
risale infatti al 1932-35.
9 Si tratta dell’esposizione internazionale tenuta a Roma nel quadro dei festeggiamenti per l’Unità d’Italia – dove
il linguaggio architettonico esercitato per i padiglioni è quello, vernacolare, dell’edilizia minore oppure quello degli edifici storici più rappresentativi – e dell’esposizione dell’industria e del lavoro di Torino, dove nonostante i fermenti art nouveau che animano la città, le scelte architettoniche si indirizzano verso uno stile monumentale barocco: cfr. Giorgio Muratore, Uno sperimentalismo eclettico, in Storia dell’architettura italiana. Il primo Novecento, a cura di Giorgio Ciucci e Giorgio Muratore, Milano, Electa, 2004, pp. 10-37; Guido Zucconi, Gli anni dieci tra riscoperte regionali e aperture internazionali, ivi, pp. 38-55.
10 Sant’Elia, come è noto, nei disegni per la ‘città futura’ trasmette l’idea che i moderni materiali da costruzione e le nuove tecniche possono dare una spallata definitiva all’architettura degli stili storici ma nell’ambito di una progettazione effettiva propone nel 1912 fronti ‘viennesi’ per la stazione centrale di Milano e nel 1913 facciate medievaleggianti per il concorso internazionale per la sede centrale della Cassa di Risparmio di Verona a Verona in piazza Erbe. Cfr. almeno Zucconi, Gli anni dieci, pp. 50-51.
11 I bandi del 1933 per il completamento e il restauro del palazzo centrale, per la nuova sede della facoltà di Lettere e Filosofia e per la realizzazione dell’istituto di Chimica farmaceutica e tossicologia vinto dal milanese Giuseppe Merlo, per la coincidenza di date e per la qualità del Liviano e della ridefinizione del Bo (in rapporto al contemporaneo panorama italiano) hanno infatti concentrato l’attenzione a questi due soli edifici: v., almeno, Maristella Casciato, I concorsi per gli edifici pubblici: 1927-36, in Storia dell’architettura italiana. Il primo Novecento, pp. 227-228 e Paolo Nicoloso, Piacentini e Mussolini nella città universitaria di Roma 1932-1935, in L’Università e la città, pp. 231-246.
Fig. 1. Planimetria generale degli istituti universitari nell’area del Piovego (da Efisio Mameli, L'Istituto di
Chimica farmaceutica e tossicologia dell'Università di Padova, in «Padova», XI, 1938, n. 1)
Sarebbe dunque forzato, oltre che fuorviante e antistorico, rapportare la cultura progettuale di
Daniele Donghi e, in generale, quella italiana degli anni dieci del Novecento ad un panorama
internazionale che sta imboccando (operativamente e non soltanto come mero esercizio grafico) la
strada dell’International Style. Donghi (come d’altronde Gustavo Giovannoni a Roma) persegue e
sviluppa nella progettazione (e nell’insegnamento accademico) la lezione – perseguita poi da Luca
Beltrami – di Camillo Boito che, con la Scuola speciale di architettura di Milano caratterizzata da
un particolare percorso formativo che legava i corsi del Politecnico a quelli dell’Accademia di
Brera, mirava a una nuova figura professionale provvista di una formazione di tipo tecnico e in
grado di padroneggiare il progetto anche dal punto di vista formale. Punta cioè a gettare un ponte tra
la tradizione storica recuperata con intelligenza (e non come mera citazione e smontaggio stilistico)
e la modernità vista come adesione alle nuove tecniche. Non a caso, ancora come capo dell’ufficio
tecnico comunale nei secondi anni novanta, aveva introdotto a Padova (e quindi nel Veneto) il
sistema Hennebique (nella scuola Lucrezia degli Obizzi e nel cimitero) nonostante le perplessità
(ma anche la curiosità) degli ingegneri locali.
Gli anni dieci del Novecento sono una specie di terra di nessuno dove prevale il gusto (da cui
Donghi è esente) per l’effetto fuori scala suscitato da volumi che incombono sull’osservatore
(l’esempio più noto è la stazione di Milano di Ulisse Stacchini del 1912-31) oppure quello per il
rapporto di una nuova costruzione con l’insieme urbano su cui insiste costituito da grandi superfici
di facciata dove si inseriscono citazioni anche bizzarre che assumono un peso abnorme. Un esempio
padovano è d’altronde rappresentato dal concorso del 1919 per il nuovo braccio del municipio su
via VIII febbraio, cui Donghi è coinvolto in termini non ancora chiari.
Non a caso (e in questo soprattutto consiste l’eredità di Boito) Donghi e Giovannoni12 puntano
a figure equivalenti per i professionisti del costruire: Donghi cerca di preparare l’ingegnere
integrale, Giovannoni l’architetto integrale ma, al di là dell’‘etichetta’ dovuta al dibattito sulle
formazioni e sulle professioni avviato fin dal 1879, lavorano entrambi per la genesi di
professionalità che abbiano analoghe spendibilità operative (che hanno la loro origine nella struttura
didattica impostata appunto a Milano da Boito) e che puntino a trattare i nuovi materiali seguendo
concetti di estetica tratti dalla storia.
Nelle dispense il milanese valuta, ad esempio, negativamente l’art nouveau, senza mai
nominarla esplicitamente ma riferendovisi in tutta evidenza (per ragioni di date) quando sostiene
l’inadeguatezza di tentativi di modernità fatti con l’uso di forme avulse dalla storia. Mantiene infatti
negli edifici (universitari e non) progettati a Padova (ma non soltanto) l’impiego di elementi
rinascimentali fusi con motivi barocchi: e sul barocco ‘classico’ piemontese – quello ad esempio di
Juvarra – aveva espresso fin dagli anni novanta giudizi positivi, anticipando la storiografia critica
degli anni dieci del Novecento. Da questo consegue che le sue fabbriche si svincolano dall’‘Arte
nova’ per motivata scelta compositiva (soltanto il demolito teatro varietà di Abano Terme, del
1910-11, o elementi di arredo, come ad esempio le vetrate della Cassa di Risparmio di Padova,
hanno motivi riconducibili a quello stile) e non la escludono per impliciti ritardi culturali quando
sono contemporanee alle realizzazioni dell’accezione italiana dell’art nouveau. Donghi sostiene
inoltre che una qualsiasi costruzione è valida soltanto in rapporto ai suoi aspetti strutturali,
costruttivi ed economici: e ribadisce continuamente che l’architettura «è il risultato di due fattori:
12 Cfr. Paolo Nicoloso, Una nuova formazione per l’architetto professionista, in Storia dell’architettura italiana.
Il primo Novecento, pp. 56-73.
tecnico e artistico. Dal primo deriva l’organismo strutturale di un’opera architettonica, dal quale
dipende la solidità, la durata, la comodità, con riguardo alla questione economica; dal secondo
l’estetica. Dal giusto equilibrio tra i due fattori e dalla perfetta armonica loro fusione scaturisce
quell’unità architettonica, la quale vuole che l’aspetto esterno e interno di un edificio sia la sincera
espressione del suo organismo strutturale13». La sua apparente mancanza di interesse nell’affrontare
il problema dell’estetica (sia nel Manuale, sia nell’esercizio dell’insegnamento universitario
documentato dalle dispense sia in numerosi interventi nelle riviste specializzate) deriva dunque
dalla convinzione della necessità di selezionare le forme trasmesse dalla storia ricorrendo ad un
razionalismo che ‘scelga’ le forme decorative in rapporto alla funzionalità cui devono partecipare e
ai materiali costruttivi impiegati.
Nella seconda edizione del 1929 di Nozioni di architettura tecnica. Parte seconda14 – ossia
delle dispense redatte per il corso, che ovviamente più del Manuale informano sui criteri insiti alla
sua progettazione e, soprattutto, sui contenuti didattici trasmessi – Donghi ricorda, citando alcuni
esempi, che non è necessario smembrare i politecnici in blocchi distinti, ma anche che non occorre
abbiano sede unica. Indica quindi agli allievi numerosi casi, prevalentemente europei, e presenta
nelle dispense (come esperienza negativa di committenze confuse) la soluzione finale per la scuola
di ingegneria di Padova (fig. 2) perché può capitare, nel corso di una qualsiasi carriera, che un
committente richieda un edificio sulla base della disponibilità economica del momento, per poi
rendersi conto, magari grazie anche a successivi incrementi dei fondi disponibili, che la prima idea
non avrebbe risolto i problemi connessi alle esigenze dell’edificio previsto (l’utilitas) e chieda
mutamenti in corso d’opera o addirittura a cantiere concluso. Ricorda inoltre che la biblioteca e la
sala per le conferenze (l’attuale aula magna) avrebbero dovuto essere situate in posizione centrale
per ovvie ragioni di organizzazione dei percorsi interni – ancora una volta utilitas. In effetti (fig. 3),
con il primo incarico che prevedeva un solo blocco destinato a Idraulica e Elettrotecnica le aveva
poste in posizione centrale rispetto alle aule e ai locali destinati ai due istituti, interpretando i
precedenti di Kiel e di Aquisgrana, così come per il nuovo ingresso deciso con il terzo blocco
riformulerà distribuzioni presenti a Strasburgo e a Saragozza. Sono questi edifici, come del resto
quasi tutti quelli segnalati nelle dispense e nel Manuale, progettati e/o realizzati negli ultimi decenni
del XIX secolo.
13 Daniele Donghi, Decorazione ed estetica architettonica, in Manuale dell’architetto, II, La composizione
architettonica, Torino, UTET, 1935, p. 1. 14 Donghi, Nozioni di architettura tecnica. Parte seconda, pp. 47-49.
Fig. 2. Scuola di ingegneria di Padova, pianta del piano terra (da Donghi, 1919)
Fig. 3. Scuola di ingegneria, istituti di Idraulica e Elettrotecnica, sezione della parte centrale (ingresso, biblioteca,
sala per le conferenze) (da Donghi, 1919)
La decisione di trasferire nell’area del Piovego tutta la scuola di ingegneria sembra aver
impedito la stesura di un progetto razionale e omnicomprensivo delle necessità dei diversi istituti,
essendo stata promossa la costruzione in progress di un unico complesso a due cortili e ignorata la
soluzione a padiglioni pensata nel 1910. A quella prima idea, a quanto sinora si conosce e come si è
accennato, Donghi sembra non riferirvisi mai e non sembra mai tornarvi la documentazione sinora
rinvenuta. Inoltre quella decisione, come sostiene il milanese, ha obbligato al «ripiego» di staccare
le ali nord e sud dei blocchi occidentali e di limitarle per un tratto a un solo piano per non toglier
luce a quanto già costruito e per poter impiegare una decorazione diversa rispetto a quella utilizzata
nella prima fase ritenuta troppo onerosa, in modo che non ne risultasse evidente la difformità
stilistica e formale. Donghi ribadisce l’impossibilità di ottenere «razionalità distributiva e
costruttiva» in un progetto stilato sulla base di tranches di richieste scalate nel tempo (sia pure nel
giro di pochi anni) e non formulato su idee chiare fin dall’inizio delle operazioni. Ritiene
ciononostante di aver rispettato l’obbligo (insito nella professione di un progettista) di aver tentato –
nel susseguirsi delle richieste di modifiche e di ampliamenti – di rispondere il più possibile
all’utilitas senza compromettere l’estetica, che scaturisce appunto dalla struttura seguendo quella
concezione – che deriva dal razionalismo ottocentesco – che ritorna con estrema puntualità nei suoi
scritti e nei suoi progetti. E bastino come esempio (fig. 4) i ragionamenti condotti per l’aula
dell’istituto di Fisiologia, costruita anche per quanto riguarda il posizionamento dei posti a sedere
seguendo le indicazioni per l’acustica pubblicate da Antonio Favaro nel 188215.
Fig. 4: Sezione schematica dell’aula dell’istituto di Fisiologia (da Donghi, 1935)
Donghi ricorda infine, sempre nelle dispense, che nel caso di più fabbricati pertinenti ad un
solo uso conviene impiantare nel centro del sistema un edificio di servizio per il riscaldamento di
tutti i blocchi, per la produzione di acqua calda (di cui abbisogna per esempio l’istituto di chimica) e
di vapore, e per un impianto frigorifero. Afferma anche di averlo proposto per la scuola di Padova,
ma la non contemporaneità nella costruzione dei diversi fabbricati ne aveva impedito l’attuazione,
determinando anche l’impossibilità di futuri risparmi sia nei rifornimenti di combustibile sia nella
manutenzione degli impianti16.
La storia progettuale ed edilizia della scuola altro non è quindi che un tassello di quanto ha
contraddistinto le realizzazioni (non solo universitarie) della Padova del Novecento, ossia per punti,
non in prospettiva, e suscettibili di cambiamenti in corso d’opera sulla base dell’insorgere di
problemi non previsti nella fase iniziale ma inevitabilmente emergenti. I medesimi errori avevano
15 Daniele Donghi, Esempio di locale acustico per audizioni, in Sindacato nazionale fascista ingegneri. IIIo
Congresso Nazionale degli Ingegneri italiani. Trieste 30/31 maggio-1-2 giugno 1935-XIII, estratto; ma v. anche, Idem, Edifici per istituti di istruzione e di educazione, in Manuale dell’architetto, II, La composizione architettonica, I, Distribuzione, Torino, UTET, 1916, pp. 552-553.
16 Idem, Nozioni di architettura tecnica. Parte seconda, pp. 48-49.
d’altronde screditato anche l’organizzazione della sede di palazzo Cavalli, avviata dopo aver
scartato l’idea di una collocazione della Scuola nel palazzo centrale a seguito di un ampliamento
lungo l’attuale via Battisti verso riviera Ponti Romani, nell’area dove tra il 1916 e il 1922 sarà
costruita la cosiddetta ala Fondelli.
Ma torniamo alle vicende dei diversi cantieri. Nel 1911 (i lavori iniziano l’anno seguente
condotti dall’Ufficio del Genio Civile e saranno conclusi nel 1915) è decisa la costruzione di un
solo edificio per sistemare gli istituti di elettrotecnica e di idraulica (fig. 5), fortemente sacrificati
negli spazi di palazzo Cavalli, che aveva già avuto un primo ampliamento nel 1905 e che nel
progetto del 1892 non aveva ovviamente previsto locali per l’elettrotecnica (il primo corso libero fu
avviato nel 1898 e la cattedra istituita nel 1901).
Fig. 5: Istituti di Idraulica e di Elettrotecnica, fronte su via Loredan (da Donghi, 1919)
La nuova fabbrica – commissionata senza l’intenzione di affiancare altri blocchi riservati alla
scuola e senza la previsione di un totale trasferimento di questa nell’area del Piovego – doveva
essere costituita dal solo corpo ad ali con risalti (centrale e agli estremi) sul fronte su via Loredan,
con un’altezza (due piani e un mezzanino intermedio) corrispondente all’attuale in facciata mentre
le ali che ora delimitano parte del cortile interno dovevano essere ad un solo piano e con copertura a
terrazza. Già in corso d’opera furono fatte modifiche nella distribuzione interna sulla base delle
richieste dei docenti di idraulica17. Inoltre il braccio orientale su via Poleni (destinato appunto a
questo istituto) fu sopraelevato di un piano con la conseguente eliminazione della terrazza pensata
anche per favorire l’aerazione alle aule. Donghi (divenuto nel 1911 presidente della Commissione
edilizia d’Ateneo ma escluso dalla Commissione per la sistemazione edilizia dell’università istituita
17 Sono state recentemente rinvenute da Elena Svalduz e Stefano Zaggia piante del piano terra con correzioni in tal senso che rivelano contrattazioni per ridefinizioni continue degli spazi.
nel 1913) lamenta infatti da parte di chi ha diretto il primo cantiere (ossia il Genio Civile) la
mancata comprensione del ruolo delle bifore aperte sulla terrazza e destinate soprattutto
all’aerazione delle aule e la mancata adozione di soluzioni alternative di risposta a quel problema.
L’interesse per l’aerazione18 – comune ai progettisti dell’epoca: si ricordino tra gli altri i sistemi
impiegati da Gaudì negli appartamenti di casa Batllò – sembra una costante nei suoi progetti per
edifici universitari: sarà attuata nell’aula di Fisiologia, e ritorna nei fronti su via Paolotti e su via
Marzolo19 (fig. 6).
Fig. 6: Scuola di ingegneria, particolare della facciata dell’istituto di Architettura su via Paolotti (da Donghi 1919)
Deplora anche l’eliminazione della scaffalatura a soffitto con ballatoio intermedio di accesso
agli ripiani superiori pensata per la biblioteca che sarà aperta come biblioteca centrale nel 192020
(fig. 7); non approva ritenendoli giustamente pesanti la decorazione del soffitto e il ballatoio, che
interpreta il tipo del cornicione sommitale sorretto da mensole. Il progetto originario, a detta dello
stesso Donghi, era stato comunque rispettato in linea di massima.
18 Idem, Edifici per istituti di istruzione e di educazione, pp. 472-473, 478-485. 19 Le bocche sono ora tamponate. 20 «R. Università degli studi di Padova. Annuario per gli anni accademici 1935-36 e 1936-37», p. 130.
Fig. 7. Biblioteca, sala di lettura (da Donghi, 1919)
Nel 1912 – e quindi contemporaneamente all’avvio del cantiere – il rettore Vittorio Rossi lo
incarica di uno studio di massima per gli altri istituti della scuola e per quello di Fisica. È cosi
ideato un fabbricato gemello al primo e situato verso via Marzolo (figg.8-9), dove però (per
contenere i costi) occorreva modificare (almeno in parte) le altezze e ridurre la decorazione
impiegata nel primo blocco (pietra artificiale cementizia a graniglia marmorea, intonaco di impasto
analogo e martellinato, decorazioni a graffito e un fregio sommitale sottostante al cornicione nei
due settori arretrati della facciata21).
Fig. 8. Scuola di Ingegneria, fronte su via Marzolo (da Donghi, 1919)
21 Il fregio è dipinto da Giovanni Vianello, responsabile anche del medaglione sul soffitto del salone delle
conferenze, i cui stucchi furono eseguiti da una ditta padovana (la Rizzo), e delle decorazioni eseguite sui fronti costruiti in seguito, come sta emergendo dalle ricerche in corso. Vianello lavora anche in altri cantieri donghiani come la Cassa di risparmio di Padova in corso del Popolo, il Teatro varietà di Abano Terme, demolito nel 1968, il teatro Sociale di Rovigo. Per le (sinora) scarne notizie sul pittore padovano v. Elena Annovazzi, Giovanni Vianello, in Palazzo Donghi sede della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Milano, Skira, 2002, p. 89.
Fig. 9. Scuola di ingegneria, blocco su via Marzolo, sezione della parte centrale (ingresso, sala per le riunioni) (da
Donghi, 1919)
Un terzo edificio, destinato a Fisica, era previsto verso il tratto di via Paolotti in prosecuzione
della via attuale e allora di viabilità pubblica. Nel 1914 gli è finalmente chiesto un progetto per un
fabbricato di maggiori dimensioni che occupi tutta l’area sino a via Paolotti, rinviando quindi la
costruzione dell’istituto di Fisica, realizzato poi nella situazione attuale. Scartata una prima
soluzione a esedra, Donghi propone la forma effettivamente costruita (fig. 10), dove la decorazione
sarà ancora in pietra artificiale cementizia a graniglia marmorea ed è prevista la replica di
decorazioni vegetali nei pennacchi delle finestre degli avancorpi sulle vie Marzolo e Paolotti. Il
cantiere decollerà (ovviamente dopo la guerra) nel 1919, diretto da Giordano Tomasatti, direttore
dell’Ufficio tecnico dell’ateneo, e docente incaricato di Strade ordinarie, strade ferrate e gallerie e
dal figlio di Daniele, Mario Felice libero docente in Disegno d’ornato e architettura elementare dal
1915. Per ragioni economiche è subito decisa la soppressione della torre (costruita in seguito (fig.
11)) e il rinvio della costruzione della parte centrale del braccio ovest su via Paolotti. Questo (figg.
12-13) doveva funzionare
Fig. 10. Scuola di ingegneria, veduta prospettica (da Donghi, 1919)
Fig. 11. Il secondo cortile e la torre per osservazioni geodetiche. Sono visibili la terrazza in testa al braccio
settentrionale e i portici di collegamento tra i due sistemi (da Donghi, 1933)
come ingresso principale all’edificio e come accesso diretto agli istituti di Architettura, che
occupava entrambi i piani del corpo settentrionale, di Fisica tecnica e di Chimica applicata, situati
nel blocco meridionale. Ospitava inoltre la parte riservata al funzionamento della Scuola (sale per i
professori e per gli studenti, per la direzione, per il consiglio e per gli esami, uffici): sostituiva
dunque (fornendo meno spazi) l’edificio autonomo con le medesime funzioni previsto nell’idea di
massima del 1910. La particolare destinazione ne spiega la difformità compositiva rispetto alla
generale omogeneità degli altri corpi di fabbrica, segnalando subito l’ingresso principale e gli uffici.
Informa anche sulla metodologia didattica che Donghi intendeva perseguire per la formazione dei
diplomati della scuola soprattutto nell’ambito della progettazione tramite i clipei affrescati nelle ali
che lo affiancano, riferiti iconograficamente – con il ritratto e il nome nel cartiglio – ai grandi nomi
di chi storicamente aveva portato alla definizione delle materie portanti insegnate negli istituti di
architettura, di fisica tecnica e di chimica applicata ospitati nei due bracci.
Nel 1919, quando pubblica il progetto22 presenta la disposizione di cinque «compartimenti»
(fig. 10): il primo con l’atrio – ingresso comune agli istituti di Idraulica e di Elettrotecnica – (ma
con ingressi separati per gli studenti dei due istituti), lo scalone di accesso al salone delle
conferenze (posto nel mezzanino) e le scale che portavano ai piani superiori e alla biblioteca
divenuta poi centrale situata al primo piano. Negli estremi del fronte e di quel primo edificio a ali
erano alloggiati i due istituti.
Nel blocco gemello, dove nel 1928 (anno ribadito nell’iscrizione sul fronte di via Marzolo) si
trasferirà da palazzo Cavalli tutta la scuola, un solo ingresso portava a quasi tutti gli istituti (ma a
Meccanica applicata era destinata la gran parte degli spazi23). Al primo piano una grande sala era
riservata alle riunioni (fig. 9).
Le due ali del sistema su via Paolotti sono appunto tenute staccate dai due blocchi costruiti per
primi per garantire luce alle testate di questi (figg. 10, 11, 13); per lo stesso motivo i tratti terminali
nei corpi settentrionale e meridionale sono a terrazza al di sopra del primo piano; garantiva infine il
collegamento tra le diverse parti (ancora utilitas) un portico di immissione al varco tra i due sistemi
(varco per altro non ben risolto trattandosi di un collegamento indotto dal susseguirsi di più fasi di
progettazione) (figg. 2,11). Tale passaggio a sua volta immetteva ai corridoi di comunicazione con i
primi due corpi di fabbrica che, saldandosi, avevano determinato la corte chiusa. Donghi prevede
dunque una serie di collegamenti interni (i corridoi) ed esterni (i portici) che garantiscano continuità
totale di comunicazione ‘protetta’ tra le diverse parti dell’edificio.
22 Donghi, La nuova sede della Scuola di Ingegneria e di Architettura a Padova, pp. 81-85, tavv. XLI-XLII. 23 Per la precisione, il sotterraneo della L sulla destra dell’ingresso destinato a laboratori, il pianterreno ancora con
laboratori e il museo e alcuni locali del primo piano.
Fig. 12. Ingresso principale e uffici (da Donghi, 1933)
Nell’ultimo blocco, affacciato su via Paolotti, la L di nord-ovest è prevista per l’istituto di
Architettura su entrambi i piani in una evidente riproposta degli spazi riservati all’insegnamento di
quelle materie nei politecnici di Milano e di Torino; le aule per il disegno (fig.14) rispondono per
esposizione (a nord, e quindi luce diffusa e senza riflessi proveniente da sinistra) e per sistema
costruttivo a quanto raccomandato nelle dispense e nel manuale24.
24 Donghi, Edifici per istituti di istruzione e di educazione, p. 460, 491-492.
Fig. 13. Istituto di chimica industriale (da «Annali della R. Scuola di Ingegneria», V, 1929, n.1-2, giugno). Manca
ancora il corpo dell’ingresso principale e degli uffici ed è visibile la terrazza in testa al braccio meridionale
Donghi è anche molto attento a fornire tutti gli istituti di quanto è necessario all’espletamento della
didattica e della ricerca: camere oscure (a Idraulica e ad Architettura), luoghi dove conservare
diapositive e fotografie (ancora ad Architettura e a Idraulica), biblioteche autonome (per
Architettura, Costruzione di ponti e strade, Idraulica, Macchine e Meccanica applicata, ritenute –
soprattutto per Architettura – laboratori analoghi a quelli di ricerca), sale per l’esposizione dei
modelli di studio (macchine e apparecchi ferroviari a Costruzione di ponti e strade) e, ad
Architettura e a Mineralogia, per la rassegna di campionari di materiali da costruzione, musei (a
Idraulica e a Macchine)25.
25 La nuova sede della R. Scuola di Ingegneria di Padova. Memoria del comm. prof. dott. ing. Daniele Donghi, in
Atti del Primo congresso interregionale degli ingegneri delle Tre Venezie, Trieste 21-23 aprile 1933, Trieste, Stabilimento tipografico nazionale, pp. 181-197 (estratto).
Fig. 14: Aula di disegno nell’istituto di Architettura (da Donghi, 1933)
Fig. 15. Laboratori nel primo cortile e vasca circolare trasferita nel 1912 da palazzo Cavalli (da Scimemi, 1925)
Stravolgimenti e integrazioni al progetto iniziano però quasi subito, di fatto ancora in fase di
cantiere per le esigenze di Idraulica e di Meccanica applicata, cui si affiancano quelle di
Elettrotecnica. Entro il 1925 (fig. 15) nel cortile più interno è sistemato un secondo laboratorio per
Idraulica ampliando uno shed lasciato dai militari. Iniziano così le superfetazioni e gli ampliamenti
(per esempio le due aule per elettrotecnica sull’ala occidentale del primo blocco) (figg. 16-18) ) che
hanno innescato la situazione attuale.
Fig. 16: Aula grande per Elettrotecnica (da Pugno Vanoni, 1935)
Le ricerche in corso stanno definendo il quadro di tali interventi sinora ricostruibili da una
bibliografia a stampa ‘ufficiale’26 che non rivela i continui contrasti tra Donghi – che andrà in
pensione nel 1935 – e referenti che impongono continui mutamenti in corso d’opera per le
‘improvvise’ esigenze particolari dei singoli istituti, risolte via via dall’Ufficio tecnico. Manca,
inoltre, la storia edilizia ancora più ‘improvvisata’ del secondo dopoguerra.
26 V. per esempio Ettore Scimemi, L’Istituto di Idraulica della R. Scuola di Ingegneria, in «Annali della R. Scuola
d’Ingegneria di Padova», I, 1925, pp. 183-190; Claudio Pasini, Collegamento geodetico della torre della R. Scuola di Ingegneria, Padova, Penada, 1932; Massimo Velatta, Il laboratorio d’Idraulica della R. Scuola d’Ingegneria di Padova, in «Padova», 1932, 5, maggio (estratto); Ettore Scimemi, Il laboratorio di idraulica nel R. Istituto Superiore di Ingegneria di Padova e le sue ricerche, in «L’energia elettrica», XII, 1935, 9, settembre (estratto); Enzo Pugno Vanoni, La sezione elettrotecnica del R. Istituto Superiore d’Ingegneria di Padova, in «Annali della R. Scuola d’Ingegneria di Padova», IV, 1935, serie II, Comunicazioni e memorie presentate al III Congresso nazionale degli ingegneri italiani, supplemento al n. 2, pp. 125-141; Carlo Parvopassu, L’Istituto di Meccanica applicata e R. Laboratorio sperimentale per la prova dei materiali da costruzione, in «R. Università degli Studi di Padova. Annuario per l’anno accademico 1938-39», pp. 464-485.
Fig. 17: Aula piccola per Elettrotecnica (da Pugno Vanoni, 1935)
Fig. 18: Istituto di Idraulica, modello dell’Adige per la sezione di Trento (da Scimemi, 1935)